Giustizia: stop al Parlamento.. alle riforme ci penserà il governo L’Unità, 3 luglio 2014 Il Senato era pronto a licenziare la norma sulla responsabilità civile delle toghe. Ma viceministro e sottosegretario hanno chiesto "un rinvio". Il Parlamento può attendere. Almeno fino a settembre. Perché sulla giustizia decide Matteo. Con buona pace di provvedimenti di legge già pronti e a cui - dettaglio significativo - il governo, ministri, viceministri e sottosegretari, hanno già dato il benestare. Ieri la Commissione Giustizia del Senato era pronta a licenziare il testo di legge che introduce la responsabilità civile dei magistrati. Che sana, cioè, un vuoto normativo che dura dal 1988 quando entrò in vigore la legge Vassalli figlia del referendum dei Radicali che a larga maggioranza decise che il magistrato che sbaglia deve pagare. In 26 anni hanno pagato solo tre magistrati. Un po’ pochi. Così da anni Berlusconi cerca di sanare "l’ingiustizia" e per ora c’è riuscita la Lega che dopo vari tentativi un mese fa è riuscita, con un blitz, a far approvare alla Camera una norma che coinvolge direttamente le tasche delle toghe che sbagliano. Il Senato si è mosso per tempo, su questo punto, con il disegno di legge di Enrico Buemi (Psi) che ieri, appunto, dopo mesi di audizioni e limature, doveva essere licenziato dalla Commissione per poi andare in aula. Buemi prevede la responsabilità indiretta del giudice, abolisce i filtri della Vassalli e introduce l’obbligo per il governo di rivalersi direttamente sullo stipendio del magistrato (fino a metà dello stipendio). Che poi è lo stesso principio europeo che informa il punto 5 delle Linee guida delle riforma della giustizia proposte del governo Renzi. Lunedi, quando il premier e il Guardasigilli hanno presentato le Linee guida della riforma della giustizia rinviata a settembre, molti si sono interrogati su che fine avrebbero fatto i tanti disegni di legge già in avanzato stato di approvazione. "Il Parlamento prima di tutto" hanno assicurato fonti di governo. Macosì non è. Ieri mattina, infatti, si sono presentati al Senato il viceministro della Giustizia Enrico Costa e il sottosegretario ai Rapporti con il Parlamento Ivan Scalfarotto. È stata convocata con urgenza una riunione con i capigruppo della maggioranza, quindi oltre al Pd anche Socialisti, Scelta civica, Popolari, Ncd. Mistero e apprensione, che succederà ora? Molto semplice. "Il governo chiede di lasciare a lui l’iniziativa sulla giustizia e quindi di mettere in stand by i provvedimenti calendarizzati" hanno detto Costa e Scalfarotto. Enrico Buemi, socialista, firmatario della legge sulla responsabilità civile, è rimasto sorpreso. E non se l’è tenuto per sé. "Siccome sono tanti i provvedimenti in Commissione Giustizia - ha precisato - sarà bene che il ministro venga qua e ci dica cosa vuol fare. Almeno ci intendiamo". Questo è avvenuto la mattina. Alle due la Commissione si è riunita e ha rinviato il voto "in nome di un paio di correzioni necessarie". In realtà c’è molta rabbia. "Potevamo approvarlo con un voto ampio e trasversale- si spiega - inmodo da essere pronti a tramutare il testo in emendamento e farlo approvare con la legge Comunitaria sostituendo la norma Pini". Se la maggioranza sembra allinearsi ai desiderata di palazzo Chigi, Forza Italia potrebbe aprire un nuovo tavolo di scontro. Per non parlare dei Cinque stelle che lo hanno già aperto. La Commissione di palazzo Madama infatti ha pronto da maggio anche il pacchetto di nuovi reati contro la corruzione (falso in bilancio, auto-riciclaggio, prescrizione). Finora si è preso tempo in nome di provvedimenti immediati che sarebbero stati presi dal governo. Solo che quel tempo scade domani. E il presidente della Commissione, il forzista Nitto Palma, non pare intenzionato a buttare via mesi di lavoro. Figurarsi i Cinque Stelle che hanno già detto: "Avevamo ragione noi, la solita bugia del governo e della maggioranza, non c’è intenzione di fare la guerra alla corruzione". Ora al di là degli eccessi Cinque Stelle, in effetti non si capisce perché il governo abbia deciso di perdere altri due mesi su provvedimenti pronti che lo stesso governo mette al punto 7 delle sue Linee guida sotto la voce "misure contro la corruzione". Le risposte possono essere almeno tre. Il premier vuole mettere la propria firma su tutto (riduttiva). Qualche commentatore intravede, nel rinvio, la necessità di trattare in gran segreto con gli stessi magistrati. Da notare che finora, vedi il decreto sulla Pubblica amministrazione, le toghe non sono state certo avvantaggiate al netto dei propositi di riformare il Csm. Sarà un caso che proprio ieri il Csm ha richiamato in servizio, dopo 10 anni di fuori ruolo, Domenico Carcano, il capo del legislativo di via Arenula (la qual cosa crea problemi al ministro). La terza ipotesi è più logica: inutile stressare l’alleato Berlusconi con un reato come il falso in bilancio. Meglio attendere l’approvazione del nuovo Senato. Almeno settembre. Giustizia: Gaetano Pecorella (ex parlamentare Pdl); il programma di riforma? è libro dei sogni intervista a cura di Pietro Vernizzi Italia Oggi, 3 luglio 2014 Tutti auspicano processi brevi, giudici promossi per merito. Ma come fare? Una riforma della giustizia articolata in dodici punti. È quanto ha annunciato Matteo Renzi, capo del governo italiano, a conclusione dell’ultimo Consiglio dei ministri. Il presidente del consiglio ha spiegato che "per due mesi vogliamo discutere della giustizia in modo non ideologico", a partire dalla proposta di un "Csm dove si avanzi per meriti e non per correnti". E ha aggiunto Renzi: "Sono 20 anni che sulla giustizia si litiga senza discutere. Noi vogliamo cambiare metodo e discutere nel merito e possibilmente senza litigare". Ne abbiamo parlato con Gaetano Pecorella, avvocato penalista ed ex deputato per quattro legislature. Renzi ha detto che d’ora in poi i magi- strati faranno carriera in base ai meriti e non alle correnti. Che cosa ne pensa di questo invito? Anche oggi da un punto di vista normativo gli avanzamenti di carriera dovrebbero avvenire in base ai meriti e non all’appartenenza alle correnti. Non vedo in che modo il governo possa trovare dei meccanismi per evitare che si formino determinate maggioranze che sono basate su valutazioni di merito, ma che poi hanno dietro un retroterra politico. Quello di Renzi mi sembra un libro dei sogni, cioè uno di quei messaggi rivolti all’opinione pubblica ma che poi concretamente non possono trovare una realizzazione attraverso regole. D. Il governo vuole puntare al processo civile entro un anno. Come valuta questa promessa? R. Sicuramente tutto è possibile. Finché non si vedono le soluzioni dal punto di vista della riforma legislativa, sono solo annunci ovvi. Con tutto il rispetto della buona volontà del premier, tutti vorrebbero che il processo civile durasse solo un anno. Non è che qualcuno possa presentarsi e dire "Noi vogliamo farlo durare dieci anni". Quella di una significativa velocizzazione è una speranza che tutti i civilisti hanno da diverso tempo, bisogna però vedere come fare sì che il processo duri soltanto un anno. D. La riforma della giustizia di Renzi tocca i veri nodi da sciogliere? R. La riforma della giustizia di Renzi è un libro dei sogni. Chiunque vorrebbe che i processi civili durassero solo un anno, che la privacy fosse tutelata, che il Csm fosse diversamente organizzato. Al di là delle buone intenzioni, quelle di Renzi sono però proposte sulle quali da anni si stanno scontrando Berlusconi e la sinistra. Mancano però proposte semplici e concrete in base a cui si possa capire che cosa vuole fare il governo. D. Secondo lei che cosa andrebbe fatto? R. Nel campo della giustizia penale ci sono moltissime cose che si possono fare senza stravolgere il sistema, a partire dal fatto di allargare il patteggiamento così da consentirlo per tutti i reati e per tutte le pene come negli Stati Uniti. Un’altra proposta per ridurre il carcere è la cauzione di buona condotta, che può essere concessa a discrezione del giudice. Tra l’altro la cauzione garantisce non solo che l’imputato non fugga, ma anche che poi pagherà le spese di giustizia. Vanno inoltre ridotte le ipotesi di ricorso in Cassazione. D. Una riforma della giustizia porterà Renzi a uno scontro con la magistratura? R. Inevitabilmente come ogni potere la magistratura cerca di salvare le sue prerogative. Attaccare le correnti certamente non fa piacere a una magistratura così fortemente politicizzata, cioè divisa in fazioni. Introdurre la responsabilità diretta del giudice è un altro aspetto di possibile conflitto, perché nessuno vuole essere oggetto di possibili sanzioni. Non è però questo il terreno su cui cambiare la giustizia, si può benissimo introdurre una riforma senza per questo arrivare a uno scontro con la magistratura. Giustizia: processi ancora più lenti dopo le riforme di Maurizio De Tilla (Presidente Associazione Nazionale Avvocati Italiani) Specchio Economico, 3 luglio 2014 Dopo sette anni di riforme processuali la giustizia civile annaspa ed è paradossalmente peggiorata. I risultati delle novelle processuali sono disastrosi: fallimento dichiarato del "filtro" in appello e della "media conciliazione obbligatoria". I processi durano più a lungo e si incrementano i tempi dei rinvii delle cause in tutto il territorio nazionale. Il disastro era stato previsto dall’Avvocatura che è rimasta inascoltata e contrastata da funzionari ministeriali privi di alcun senso concreto. Anzitutto va sottolineato che la media concilia/ione obbligatoria è fallita. Nel 2013 sono stati poco più di 3 mila i procedimenti andati a buon fine, mentre si continua ancora a fare retorica e a proclamare "definiti" gli ulteriori 21 mila procedimenti per i quali il tentativo di conciliazione è fallito. Tra le poche conciliazioni compiute, almeno la metà e opera degli avvocati che si sono prodigati per la concilia/ione che, avvenuta esternamente, l’hanno poi formalizzata davanti alla Camera di conciliazione. Non comprendiamo, quindi, l’ostinazione nel volere dare ancora corso a un istituto fallimentare. Forse fa comodo per far credere a Bruxelles che si stia facendo qualcosa per ridurre i tempi della giustizia? Altra decisione sconcertante: celebrare i processi a numero chiuso. E gli altri pendenti? Si preannunciano a Roma processi a numero chiuso per mancanza di personale. Ciò accade nel penale. Se i pubblici ministeri definiscono tra i 18 mila e i 20 mila processi l’anno, i giudici sono in grado di celebrarne non più di 12 mila. Ma chi sceglie i processi da celebrare? E quali processi? Si e stabilito di celebrare quelli che si occupano dei delitti più gravi. Destabilizzati e ridotti i processi per ì delitti meno gravi, punibili con carcere fino a dieci anni. Siamo al ridicolo e alla follia. Non vi e ragione che possa giustificare questa scelta romana che va immediatamente revocala. Sono fondatissime le istanze degli avvocati penalisti. Va ancora segnalato che sono stati istituiti 11 uffici giudiziari specializzati per le società straniere: a Bari, Cagliari, Catania, Genova, Milano, Napoli, Roma, Torino, Venezia, Trento, Bolzano. Si pensa così di accorciare i tempi dei processi e di assicurare una migliore competenza ai giudici. Non sarà certamente così, con l’aggravante che sì allontanerà ulteriormente la giustizia dal giudice del territorio e si ritarderanno i processi. Abbiamo un legislatore che non conosce come funziona la giustizia. Ne sono un’ennesima riprova i Tribunali delle imprese, che sono intasati e non rendono giustizia. Intanto viene più volte annunciato che entra da subito in vigore il processo telematico. Peraltro e stata diffusa, dal Ministero della Giustizia, una tabella che conferma il dato controvertibile che nel nostro Paese il processo telematico è "a macchia di leopardo". Mentre a Milano. Torino. Firenze e Bologna si può registrare un inizio di applicazione dei depositi telematici, nei Tribunali di Trieste, Campobasso. Messina, Lecce, Perugia, Reggio Calabria, Salerno si è ancora a zero. La vicenda dei decreti ingiuntivi è. per l’appunto, singolare. In realtà siamo in presenza solo di "depositi" e di comunicazioni "via pec". Ma il processo telematico, con la dematerializzazione, è ancora molto lontano. Per abbreviare i tempi della giustizia qualcuno ha proposto di abolire il grado di appello davanti al Consiglio di Stato contro le decisioni dei Tar in materia di controversie elettorali, E ciò specie in relazione alla questione della recente decisione sulle elezioni della Regione Piemonte, Si vuole, inoltre, estendere questa logica ai processi civili. Non siamo d’accordo. La giustizia italiana è in crisi anche perché produce sentenze errate che vengono riformate nel secondo grado di giudizio, e talvolta anche nel terzo grado di giudizio; ciò vale per la giurisdizione civile e penale. Intendiamo contrastare il pensiero che si sta diffondendo, specie tra ì poteri forti, di una giustizia che possa esaurire la propria funzione nel primo grado di giudizio. Con ciò si farebbe un errore madornale. Si ignora, infatti, completamente lo stato di confusione e di inefficienza dei Tribunali ordinari e comunque dei giudici di prima istanza, che pregiudica una buona resa della giustizia. Nel settore amministrativo sì è poi osservato che cresce il contenzioso quando la Pubblica Amministrazione e debole. Ma in tal caso aumenta anche l’illegalità. Nel 2012 i ricorsi amministrativi sono arrivati a poco più di 60 mila: 51 mila nei Tar e 9.300 al Consiglio di Stato. Nel 2013 i ricorsi sono diventati 64 mila: 54 mila in primo grado. Il disordine legislativo, l’inefficienza della Pubblica Amministrazione ma anche l’illegalità dei suoi atti sono le cause principali dell’aumento del contenzioso, I settori che guidano la classifica dei ricorsi davanti alla giurisdizione amministrativa sono quelli in materia edilizia ed urbanistica: 11 mila davanti al Tar, Segue la materia degli appalti e dei servizi pubblici che hanno subito negli ultimi sette anni sei modifiche all’anno. Anche il pubblico impiego non è da meno. Ma quello che è ben più grave è che gran parte delle decisioni rese nella giurisdizione amministrativa non vengono eseguite dalla Pubblica Amministrazione. Si e inoltre, criticamente ed infondatamente. affermato che i numerosi ricorsi per cassazione in materia penale vengono presentati solo per evitare il passaggio in giudicalo della sentenza di condanna. Si tratta, tra l’altro, di provvedimenti diretti a patteggiamenti per allontanare il più possibile il momento in cui la pena concordata diventerà definitiva. Sono 7.621 su un totale di 52.834 ricorsi. Ma non sì dice che un numero più elevato di ricorsi, 33.980, vengono dichiarati inammissibili. E in numerosi casi l’inammissibilità non c’è. Per non parlare del settore civile, nel quale l’inammissibilità viene dichiarata applicando un discutibile principio di codificazione giurisprudenziale, non normativa, di una pretesa mancanza di autosufficienza del ricorso. Sotto questo aspetto l’Avvocatura ha promosso numerosi ricorsi davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo. E sì aspetta la decisione, oltreché il ragionevole cambiamento dell’orientamento della Corte Suprema. Infine va segnalato che. per smaltire l’arretrato, il Ministero della Giustizia sta riflettendo sull’opportunità di prevedere una scissione tra il dispositivo e la motivazione. Dopo anni di processo, la causa si decide e mentre la decisione viene adottata dal giudice che l’ha istruita, la motivazione viene scritta da un altro "su commissione" del primo. Al giudice farebbe sempre capo la titolarità e la responsabilità della stesura della decisione con l’indicazione dei punti di diritto e di fatto che conducono ad essa, mentre la messa a punto della motivazione verrebbe affidata ad un soggetto esterno, ossia a un avvocato retribuito per tale funzione. Dopo la sentenza con la "motivazione a pagamento", siamo di ironie a un’altra bizzarria del legislatore: "sentenze in appalto" agli avvocati. Siamo alla follia di un legislatore che non ha altro da proporre che interventi privi di consistenza giuridica. La decisione viene affidata non solo al dattilografo, ma anche all’avvocato su commissione del giudice. Un effimero successo e un’ulteriore anomalia per la Giustizia. Ma vi è di più. Con le recenti modifiche legislative della legge Pinto si e voluto contenere il risarcimento per i ritardi della giustizia. Sono stati frapposti ostacoli alla presentazione della domanda e ridotti gli importi dei ristori economici. Così sono premiale le inadempienze dello Stato, che e sempre più colpevole ma risparmia per volontà del legislatore. Il paradosso è che i ritardi dei processi si incrementano, mentre ì danni per i cittadini, invece di aumentare, diminuirebbero, Bene, complimenti. Una soluzione fuori dagli schemi italiani. Alti magistrati italiani e inglesi, nonché politici, avvocati, professori, si sono incontrati nel l’Ambasciata inglese a Roma per discutere di due delle principali cause della lentezza dei processi: le impugnazioni e la prescrizione. L’agenda Wolkonsky si e appuntata sulle seguenti proposte:1I) modifica dell’articolo III della Costituzione per limitare il ricorso per cassazione; 2) filtro per selezionare i ricorsi; 3) fermare la prescrizione dopo la condanna di primo grado; 4) assicurare una durata celere dei giudizi di appello e di cassazione; S) limitare ad alcuni avvocati il patrocinio in cassazione, lasciando agli altri quelli nei giudizi di merito; 6) ampliare il potere di archiviazione del P.M. nei casi di scarsa rilevanza del fatto: 7) limitare l’impugnazione del patteggiamento; 8) cancellare il ricorso diretto in cassazione dell’imputalo; 9) introdurre l’inammissibilità dell’appello per "manifesta infondatezza" dei motivi; 10) impedire l’impugnazione del P.M, dopo due sentenze di assoluzione. Alcune proposte sono accettabili ma non si possono condividere provvedimenti di ostruzionismo ed eccessiva discrezionalità dei giudici su appelli o ricorsi per cassazione. Così, di fronte a una ragionevole e articolata proposta, aumentano le incongruenze e le contraddizioni delle decisioni, anche della Consulta. Con la decisione sulle droghe leggere la Corte costituzionale ha detto no alle norme eterogenee inserite in una legge di conversione di un decreto legge, Un vizio di procedimento legislativo che si riconduce al dettato costituzionale. La legge è viziata quando è diverso l’oggetto delle norme aggiunte dalla legge di conversione. La Consulta ha poi precisato che le aggiunte hanno finito per essere frettolosamente inserite in un "maxiemendamento" del Governo su cui si è posta la questione di fiducia, così precludendo una discussione specifica del Parlamento. Ma non si capisce perché, riguardo alla normativa sulla revisione della geografia giudiziaria, la Corte Costituzionale è stata inspiegabilmente di diverso avviso ed ha emanato una decisione che contrasta con il dettato costituzionale. In Italia è in atto un modo anomalo nel quale le leggi nascono, crescono, muoiono. L’ha detto Valerio Onida, presidente emerito della Corte costituzionale. La Costituzione è chiarissima. Articolo 72: "Ogni disegno di legge presentato ad una Camera è, secondo le norme del suo regolamento. esaminato da una Commissione e poi dalla Camera stessa che l’approva articolo per articolo e con votazione finale". Ancora: "Quando in casi straordinari di necessità ed urgenza il Governo adotta. sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alla Camera". Necessità ed urgenza sono presupposti indefettibili di tutte le disposizioni del decreto legge e quindi anche della legge di conversione, altrimenti vi è incostituzionalità. L’ha scritto Valerio Onida senza però aggiungere che il Governo viola costantemente la Costituzione adottando un modo di legiferare fatto esclusivamente di decreti legge senza urgenza, leggi di conversione con norme intruse, maxi-emendamenti senza esame e voto di fiducia. Il Capo dello Stato vigila, poi, solo saltuariamente sul rispetto del dettato costituzionale. Come è per l’appunto accaduto con la normativa sulla revisione della geografia giudiziaria. Richiamiamo, in proposito, un episodio paradossale. Si vuole chiudere il Tribunale di Bassano del Grappa per trasferirlo a Vicenza. Ma l’ufficio giudiziario di Vicenza e in fase di decozione, al punto che con un’istanza "provocatoria" il locale Consiglio dell’Ordine degli avvocati, con altri enti e associazioni, ne ha chiesto "simbolicamente" il fallimento. Nell’istanza si accusa il Tribunale di essere largamente venuto meno all’adempimento di gran parte degli obblighi istituzionali dei quali è portatore. Rinvii delle cause a cinque anni, diminuzione di magistrati e di personale. Di qui l’istanza di fallimento. Ma il fatto ancor più grave è che, dopo la demolizione di più di 800 uffici giudiziari, anche in numerose altre sedi saranno presentate analoghe istanze, Ci appelliamo ancora una volta al ministro Andrea Orlando perché blocchi al più presto la selvaggia revisione della geografia giudiziaria ed appresti rimedi ed interventi strutturali che rivestono carattere di urgenza. Il nuovo panorama offerto dalla giustizia italiana è veramente preoccupante: tutti gli interventi compiuti ed anche quelli soltanto proposti, invece di eliminarli o quantomeno di ridurli, non hanno fatto altro che aggravare, e forse in modo irreversibile, i mali tradizionali. Giustizia: cambiata la norma sul carcere cautelare per le pene sotto i 3 anni di Alessandra Arachi Corriere Della Sera, 3 luglio 2014 La legge era stata contestata dalle toghe. E Galan aveva già chiesto di usufruirne. Giancarlo Galan avrebbe voluto approfittare volentieri di una norma che non prevedeva il carcere cautelare per reati la cui pena era sotto i tre anni. Ma l’ex governatore del Veneto - per il quale, comunque, essendo ora deputato di Fi, è la Camera che deve dare l’autorizzazione all’arresto - non si era aggiornato. Da pochissimi giorni la legge, che era stata contestata in diverse occasioni dalle toghe, non esiste più. Lo ha fatto sapere con una nota il ministro della Giustizia Andrea Orlando. Chiara la nota di via Arenula: esisteva una norma, approvata da entrambi i rami del Parlamento, che prevedeva il divieto di qualsiasi misura cautelare detentiva nel caso di previsione di una pena non superiore ai tre anni. "Ma il 26 giugno scorso il Governo è intervenuto per correggere questa norma con un decreto legge dove, tra le altre cose, viene prevista proprio la revisione della disciplina della custodia cautelare". Con la correzione del governo adesso non ci saranno più automatismi, ma spetterà al giudice decidere di volta in volta. Più precisamente, come dice la nota: "Sarà il giudice ad esprimere in concreto una prognosi sulla pena concretamente applicabile all’esito del processo, al solo scopo di evitare che l’imputato subisca una limitazione della propria libertà in via cautelare rispetto a una pena che non dovrà essere eseguita all’esito della condanna". Dal ministero di via Arenula danno anche altre spiegazioni e dicono che il provvedimento, proprio perché un decreto, potrà essere modificato. Spiegano: "Il testo introdotto, che prevede quindi la possibilità di applicare gli arresti domiciliari anche per pene inferiori a tre anni nella direzione di garantire una maggiore sicurezza dei cittadini, consentirà comunque al Parlamento di intervenire sulla materia con eventuali correzioni". Giancarlo Galan aveva chiesto l’applicazione di una norma che era contenuta nel provvedimento così detto "svuota carceri" e che proprio ieri alcuni organi di stampa avevano rilanciato con grande enfasi accusando il governo di "lasciare i ladri fuori dalle carceri". Implicato nell’inchiesta sulle tangenti per il Mose, Giancarlo Galan continua a professare la sua innocenza e ieri ha protestato di nuovo. "Mi è stata negata, espressamente, la facoltà di difendermi davanti all’autorità giudiziaria", aveva detto nei giorni scorsi l’ex-governatore del Veneto profetizzando che i giudici lo ascolteranno soltanto una volta dentro il carcere. Intanto, proprio ieri, è finita agli arresti nella sua casa di Vicenza Amalia Sartori: nella vicenda Mose la donna è accusata di finanziamento illecito ai partiti. E fino ad ora era rimasta ancora libera perché quado era stata firmata l’ordinanza di custodia cautelare era ancora parlamentare europea nelle file di Forza Italia. Ministero: nessun automatismo su divieto detenzione per pene non superiori a tre anni Il governo ha corretto la norma sulla custodia cautelare contenuta nel decreto legge dello scorso 26 giugno, approvato dal Parlamento, la quale stabiliva "il divieto di qualunque misura cautelare detentiva nel caso della previsione di una pena non superiore a tre anni". Come spiega il ministero della Giustizia, "non è stato previsto alcun automatismo. Sarà il giudice ad esprimere in concreto una prognosi sulla pena concretamente applicabile all’esito del processo, al solo scopo di evitare che l’imputato subisca una limitazione della propria libertà in via cautelare rispetto a una pena che non dovrà essere eseguita all’esito della condanna ovvero che potrà essere eseguita in detenzione domiciliare". L’approvazione conforme dei due rami del Parlamento, precisa il ministero, non avrebbe consentito alcuna ulteriore modifica. "Il testo introdotto, che prevede quindi la possibilità di applicare gli arresti domiciliari anche per pene inferiori a tre anni nella direzione di garantire una maggior sicurezza dei cittadini - si legge in una nota - consentirà comunque al Parlamento di intervenire sulla materia con eventuali correzioni". Giustizia: le novità sulla custodia cautelare preoccupano i magistrati, il governo mette una pezza Asca, 3 luglio 2014 I magistrati sono preoccupati per le novità in materia di custodia cautelare contenute nel decreto per il risarcimento ai detenuti. Nel mirino delle toghe c’è soprattutto l’art.8 del decreto entrato in vigore il 28 giugno scorso: "Non può essere applicata la misura della custodia cautelare in carcere o quella degli arresti domiciliari se il giudice ritiene che con la sentenza possa essere concessa la sospensione condizionale della pena. Non può applicarsi la misura della custodia cautelare in carcere se il giudice ritiene che, all’esito del giudizio, la pena detentiva da eseguire non sarà superiore a tre anni". È la norma che, in sostanza, proibisce ai giudici di predisporre la custodia cautelare in carcere per chi ha commesso reati punibili con pene inferiori ai 3 anni. Una novità che, in pratica, comporta la scarcerazione di persone socialmente pericolose anche se condannati per reati "lievi" come piccola criminalità di strada, stalking e maltrattamenti alle donne. È in particolare questo ultimo punto a preoccupare il presidente della sezione misure di prevenzione di Milano, Fabio Roia: così, avverte, "si pone un problema per la sicurezza dei cittadini". I suoi sono timori condivisi dalla maggioranza delle toghe. Al punto che, nella categoria, c’è chi parla apertamente di "indulto mascherato". Il magistrato, insieme ad alcuni colleghi, ha dunque illustrato il problema al Ministro Andrea Orlando, volato nel capoluogo lombardo in occasione della presentazione del "Piano strategico del tribunale di Milano". Giustizia: Vietti (Csm); la riforma? il diavolo si annida nei dettagli… Italpress, 3 luglio 2014 Ai 12 punti indicati dal Governo per la riforma della giustizia "aggiungerei la revisione dei gradi di giudizio e una seria riforma del sistema penitenziario. Sulla responsabilità civile vorrei capire meglio cosa significhi allinearci all’Europa. Se si tratta di recepire la giurisprudenza di Strasburgo, lo abbiamo già fatto. Resta da allargare la rivalsa, ma questo è un problema di diritto interno". Per Vietti "è positivo che si sia rispettato l’impegno del 30 giugno. Anche la consultazione popolare è suggestiva. I titoli andranno declinati nei dettagli perché il diavolo si annida proprio lì". Parlando del falso in bilancio, il vicepresidente del Csm spiega che la depenalizzazione "non fu finalizzata a "indebolire" la fattispecie, ma a proporzionare la pena rispetto al danno. Si vuole ridiscutere l’entità delle sanzioni? Si vuole passare alla procedibilità d’ufficio per tutte le ipotesi? Non ho obiezioni. Credo opportuno mantenere le soglie e punire più severamente il caso in cui il falso miri a procurare provviste in nero per la corruzione. Su questo siamo ancora in tempo". Quanto all’immunità, "bisogna capire la natura del nuovo Senato per valutare le garanzie dei componenti. Sono favorevole a un ammortizzatore tra l’iniziativa giudiziaria e il mandato parlamentare che eviti una frizione diretta. Non si può tornare all’autorizzazione a procedere per l’abuso che l’ha fatta morire", sottolinea Vietti. Passando al delicato capitolo delle intercettazioni, il numero 2 del Csm sottolinea: "Non confondiamo i piani. Una cosa è la responsabilità del magistrato nel garantire la riservatezza su tutto quello che non è strettamente attinente all’indagine; altro è la responsabilità del giornalista che ha un diverso codice deontologico anche rispetto alla privacy. Fare a scaricabarile tra le due categorie non risolve il problema". Per Vietti "ci vuole una vera udienza filtro in cui, nel contraddittorio delle parti, il giudice faccia una selezione tra ciò che è rilevante e ostensibile, e ciò che non lo è, e va distrutto". Molteni (Lega): governo vuole risarcire criminali con 20 mln di euro "Oltre 20milioni di risarcimenti ai criminali per il sovraffollamento carcerario, più sconto del 10% sulle pene e libertà concessa a scippatori e ladri: contro la vergogna del quinto svuota carceri siamo pronti a un’opposizione durissima". Lo dice il deputato leghista Nicola Molteni, capogruppo in commissione giustizia, a proposito del decreto sul sovraffollamento carcerario, un "indulto mascherato". "Il governo intende garantire oltre 20milioni ai criminali perché detenuti in celle troppo piccole, quando tra gli italiani ci sono padri di famiglia e disoccupati che mangiano alla Caritas e un tetto neanche l’hanno. È un insulto a disoccupati, esodati e cassaintegrati. In aula siamo pronti alle barricate per bloccare questa ennesima vergogna". Giustizia: condannati "per inumanità"… questo il volto che Renzi vuole presentare all’Europa? di Rita Bernardini (Segretaria Radicali Italiani) Notizie Radicali, 3 luglio 2014 L’ennesima condanna da parte dell’Europa nei confronti dello Stato torturatore italiano non fa che confermare ciò che da anni noi Radicali denunciamo. Nel caso specifico del detenuto di San Sebastiano, già a suo tempo segnalammo l’esito scandaloso di alcuni dei procedimenti contro gli agenti di polizia penitenziaria che il 3 aprile del 2000 furono autori del violento pestaggio inflitto in massa a una trentina di detenuti nel carcere San Sebastiano di Sassari: sette prescrizioni per decorrenza dei termini, tra chi scelse di farsi processare con il rito ordinario. Colpevoli, secondo il collegio del Tribunale di Sassari, hanno così beneficiato di quella strisciante amnistia di classe - come la definisce spesso Marco Pannella - delle prescrizioni, riservata solo a chi ha i mezzi e l’assistenza legale per protrarre oltre i termini utili i processi. Ricordiamo che il Partito Radicale Nonviolento Transnazionale Transpartito, Radicali Italiani e Non c’è Pace Senza Giustizia, erano entrati nel procedimento davanti alla Corte Edu come "amicus curiae" a sostegno delle ragioni del detenuto Valentino Saba che oggi, finalmente, si è visto riconoscere quella violazione di Diritti Umani fondamentali che in Italia gli era stata negata. Per quanto ancora il Parlamento potrà sottrarsi dall’affrontare il più ampio dibattito sulla giustizia e sulla responsabilità davanti al popolo elettore di votare un’amnistia alla luce del sole, contro l’imbroglio di una giustizia che si ritrova sempre di più ad essere violenta contro i deboli, ma raggirabile dai forti? Quanto occorrerà ancora aspettare per introdurre nel nostro ordinamento il reato di tortura la cui negazione mina le fondamenta dello Stato di Diritto? È con questo volto che il Premier Matteo Renzi vuole presiedere il semestre europeo? Da parte nostra, come radicali fuori dal Parlamento e dal Governo, proseguiamo con Marco Pannella la nostra lotta nonviolenta per far uscire l’Italia dalla trasgressione sistematica e criminale dei Diritti Umani vitali del popolo italiano. Giustizia: lo Stato "indulgente" e l’illusione della legalità di Agostino Cordova (Magistrato) Il Fatto Quotidiano, 3 luglio 2014 L’8 gennaio 2013 la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) ha condannato l’Italia per il degrado della situazione penitenziaria dovuto al sovraffollamento delle carceri. Ne è conseguita la legge "svuota carceri" n. 10 del 21 giugno 2014, consistente nella riduzione delle pene inflitte, nell’ampliamento delle misure alternative, ed altro, in aggiunta e in estensione di precedenti benefici del genere. A parte ciò, viene anche prospettata l’opportunità di emanare un nuovo provvedimento di amnistia e indulto. Orbene, un aspetto che non è mai stato preso in considerazione è che, a fronte del progressivo dilagare dell’illegalità e dell’insufficienza delle carceri, il rimedio del tutto ovvio cui da molti anni si doveva tempestivamente ricorrere era quello della realizzazione di nuovi istituti penitenziari per adeguarli al sempre maggiore numero dei detenuti, e non di ammassare costoro in maniera disumana nelle insufficienti carceri esistenti: come mai nessuno si è accorto di tale mancata soluzione e non l’ha eccepita? Ne consegue un ancora più progressivo decadimento della legalità, in quanto all’aumento della criminalità non corrisponde una tempestiva e adeguata risposta dello Stato, ma un adattamento alla deprecabile situazione, consistente, nella specie, nel ridurre le pene carcerarie alla capienza dei relativi istituti, e non viceversa. E si tace che dal 1948 furono emanati oltre 20 provvedimenti di amnistia ed indulto: uno Stato "indulgente"? Quindi, mentre le pene delle varie mafie sono gravissime, se non mortali, inappellabili e immediatamente esecutive, quelle dello Stato sono amnistiabili, condonabili, prescrivibili, patteggiabili, riducibili, dolcificabili: ad esempio, è recente l’abbassamento della pena per il voto di scambio politico-mafioso, reato teorico, dato che nessuno si chiede per chi votino e faccia votare, e tutti coloro che sono a esse sottoposti e obbligati a obbedire. In siffatta situazione è illusorio pensare a un recupero della legalità, in quanto al dilagare della delinquenza non solo non si contrappone un’adeguata reazione dello Stato, ma addirittura avviene un maggiore abbassamento di essa. Occorre tuttavia precisare che, da una parte, il governo ha ritenuto necessario provvedere nel modo di cui sopra attenendosi alle ingiunzioni della Cedu perché si risolvesse la situazione, e quindi per evitare ulteriori condanne; ma che, per altro verso, non ha previsto che le misure di cui sopra sarebbero rimaste in vigore fino all’eliminazione dell’emergenza con la costruzione di nuove carceri. Né si poteva rimediare con un ennesimo indulto, atteso che questo avrebbe avuto effetto per le condanne passate e non anche per quelle future Tuttavia, resta comunque salva l’attribuzione della situazione a tutti i Governi che si sono succeduti dall’inizio di detta emergenza, non avendo essi provveduto ad adeguare le carceri al numero dei detenuti. A tal punto, volendo fare un paradossale paragone per consimili sistemi, se si volesse rimediare alla lungaggine dei processi causata dall’insufficienza degli organici della magistratura, anziché aumentare detti organici adeguandoli alle pendenze si dovrebbero abrogare i reati meno gravi e più frequenti? Giustizia: terminati i braccialetti elettronici disponibili, scatta il "numero chiuso" di Luigi Ferrarella Corriere della Sera, 3 luglio 2014 Lettera dei ministeri Giustizia-Interni ai Tribunali: non ce li chiedete più. Nel contratto solo 2.000. Nuova gara non prima del 2015. Il capo della Polizia: "Non sarà possibile esaudire nuove richieste". Che begli annunci, che magnifiche sorti e progressive: "In prospettiva è auspicabile un uso più esteso dei "braccialetti elettronici"" per il controllo a distanza dei detenuti ammessi agli arresti domiciliari, raccomanda il 24 giugno ai magistrati una circolare del Ministero della Giustizia. Del resto il 17 dicembre 2013 il comunicato stampa del governo Renzi celebrava questa "sicura garanzia in ordine al mantenimento di adeguati standard di controllo istituzionale sui detenuti". Peccato che braccialetti elettronici non ce ne siano più: erano solo 2.000 quelli disponibili nel contratto Telecom, sono tutti finiti, e procurarne altri non sarà possibile per almeno un anno. Sta scritto in una lettera del 19 giugno del capo della Polizia, che la medesima circolare del 24 giugno del gabinetto del Ministro della Giustizia allega e "prega di comunicare agli uffici giudiziari in attesa che il Ministero dell’Interno giunga a una nuova Convenzione che ampli la disponibilità dei "braccialetti elettronici". D’ora in avanti o si fa come in alcune sedi, dove le carceri stanno già cominciando a comunicare ai giudici che "l’applicazione del braccialetto elettronico è momentaneamente sospesa per raggiungimento della soglia contrattuale minima", e dove dunque le persone poste ai domiciliari dai giudici non saranno più monitorate elettronicamente, ma solo (come prima) dagli estemporanei controlli delle oberate forze dell’ordine. Oppure ci si attrezza pazientemente per il "riciclo", invece che dei regali di Natale, dei braccialetti a "numero chiuso": cioè si aspetta che una persona finisca gli arresti domiciliari con il "braccialetto", e si corre a prenotarlo (uno degli sempre stessi 2.000) per dirottarlo subito su altri in attesa. Non è un gran periodo per la logistica della giustizia: ieri al Csm il consigliere Auriemma ha segnalato "il blocco del sistema informatico che nel Tribunale civile di Roma ha impedito del tutto i depositi degli atti da parte di giudici e avvocati e l’intera attività di cancelleria". Ma questa dei braccialetti è l’ultima peculiare puntata della telenovela legislativa-economica su quella che in realtà è una cavigliera idrorepellente, impermeabile, resistente a 70 gradi di temperatura e a 40 chili di forza di strappo. Già aveva divorato oltre 80 milioni di euro dall’infelice esordio nel 2001, tanto da produrre poi sino al dicembre 2013 (quando in utilizzo ve n’erano solo 55 in 8 uffici giudiziari) "una reiterata spesa antieconomica e inefficace", per dirla con le parole della Corte dei Conti ben meno icastiche della colorita sintesi in Commissione Giustizia nel 2011 del vicecapo della polizia Cirillo: "Se fossimo andati da Bulgari, avremmo speso meno". Ma il 17 dicembre 2013 il governo Renzi dei ministri Alfano (Interni) e Orlando (Giustizia), come una delle valvole di sfogo per l’intollerabile sovraffollamento carcerario, punta di nuovo su questo strumento regolato da un discusso e travagliato contratto con Telecom da 11 milioni l’anno. Al 19 giugno, quando scrive il capo della Polizia, erano già "attivi 1.600 dispositivi, con una previsione di saturazione del plafond di 2.000 unità entro giugno". È successo: i braccialetti sono finiti, e "non sarà più possibile" - scrive Pansa - esaudire le ulteriori richieste, "se non attraverso il recupero degli apparati non più utilizzati". Infatti "l’ipotesi di ampliare il numero dei dispositivi previsti in Convenzione non appare percorribile" perché questo contratto, bersagliato dai ricorsi, "è stato dichiarato inefficace dal Consiglio di Stato, che ne ha prorogato la validità fino al 31 dicembre 2014". E rifare l’appalto? Il ministero dell’Interno promette di aver "già avviato le iniziative volte alla definizione di un Capitolato tecnico da porre a base di una gara per il nuovo servizio di braccialetto elettronico, ma i tempi necessari allo svolgimento della procedura non consentiranno l’attivazione del servizio prima di marzo-aprile del prossimo anno" 2015. Giustizia: la mamma di Niki Aprile Gatti, morto in carcere "voglio giustizia per mio figlio" di Francesco Lo Piccolo www.huffingtonpost.it, 3 luglio 2014 Venerdì scorso (27 giugno) ho conosciuto ad Avezzano la madre di Niki Aprile Gatti, il giovane informatico trovato morto il 24 giugno di 6 anni fa nella sua cella in carcere a Sollicciano dove era richiuso da appena 5 giorni. Seduta tra gli oratori al convegno organizzato da Antigone Abruzzo dal titolo "I percorsi della giustizia e della ingiustizia", Ornella Gemini ha dialogato e risposto alle domande del presidente dell’Ordine dei giornalisti Stefano Pallotta. Le sue risposte, risposte di una madre in lutto perché ancora in cerca della verità, hanno mostrato quanto è ingiusto il nostro sistema giudiziario e come i politici e le istituzioni non sono affatto vicini ai cittadini... se addirittura non sono contro, come di fatto appare da questo emblematico caso. Niki Aprile aveva 27 anni, abitava a San Marino e lavorava presso una società informatica finita poi al centro dell’operazione Premium, l’inchiesta legata alle denunce di migliaia di utenti truffati a causa della tariffa maggiorata degli 899 e che coinvolse diverse società di telefonia. Questa terribile storia comincia il 19 giugno 2008 quando la signora Ornella Gemini viene a sapere che suo figlio era stato arrestato con l’ipotesi di accusa di "frode informatica". Niki era stato arrestato assieme ad altre 18 persone, ma invece che finire in carcere come gli altri a Rimini, venne portato a Sollicciano e rinchiuso assieme a due detenuti extracomunitari ad alta sorveglianza. Il giovane fin dall’inizio dell’arresto fa sapere di voler parlare, vuole spiegare, ma non fa in tempo ad essere ascoltato. Alle 13.25 del 24 giugno 2008 con una telefonata fatta dal carcere di Sollicciano, la mamma di Niki apprende che suo figlio si era suicidato, impiccato nel bagno della sua cella. Dice Ornella Gemini al convegno di Avezzano: "Non volevo essere qui. Questi giorni mi ricordano una data che rappresenta la fine della mia vita. Mio figlio l’ho visto solo un attimo mentre lo caricavano sul furgone blindato, non ho neppure potuto avvicinarmi, un agente mi ha cacciato in malo modo... io e mio figlio ci siamo guardati qualche secondo. È stata l’ultima volta che l’ho visto... Ho cercato di sapere dove era finito... mi dicevano che era a Rimini e invece era a Firenze... il medico legale scrive che l’ora della morte è alle 10, mentre il direttore del carcere dice al garante dei detenuti della Toscana che dalle 10 alle 11 Niki era stato a passeggio; addirittura a verbale c’è la dichiarazione di un agente secondo il quale alle 10 di quel 24 giugno Niki era tranquillo, che avevano parlato assieme, e che gli aveva detto che l’indomani avrebbe saputo se poteva essere rimandato a casa. Ho visto le foto: aveva indosso il pigiama. Perché? Mio figlio era un ragazzo pieno di sogni e aspettative... perché mai avrebbe dovuto uccidersi? Senza neppure un biglietto, una lettera alla famiglia... noi che ci lasciavamo biglietti e post-it per qualunque cosa". Ornella Gemini continua: "Stranezze e incongruenze, senza fine, senza risposte; come ad esempio la storia del telegramma dove gli si ordinava di cambiare avvocato e che venne spedito da casa sua: chi l’ha spedito visto che abitava da solo? Niki pesava 90 chili, era altro un metro e 80, ditemi voi come poteva impiccarsi con un laccio delle scarpe lungo venti centimetri. E poi mi chiedo: perché gli hanno lasciato i lacci? In base al protocollo dell’ordinamento penitenziario la detenzione nei primi giorni dell’arresto deve essere di tipo morbido, l’arrestato deve poter parlare con la famiglia e con l’avvocato... ma così non è avvenuto. E poi c’è la storia dell’ecchimosi sul braccio. Mio figlio non si drogava, non beveva, non fumava... ho chiesto l’esame tossicologico, non mi hanno ascoltata. E come spiegare poi il fatto che la sua casa è stata ripulita? Non c’era nulla, tutto scomparso, vestiti, computer... hanno tolto anche le tende alle finestra... di mio figlio non ho neppure un calzino. Ho cercato di chiedere aiuto e giustizia, i giornali hanno ignorato i miei appelli... e addirittura nei primi giorni dell’arresto hanno scritto che era un imprenditore, che era sposato... tutte bugie. L’unico che mi ha ascoltato in questi anni è stato Grillo, un comico. Da allora sono state fatte 4 interrogazioni e altri 4 atti parlamentari, ma nessuno dei politici ha risposto alle contraddizioni e alle assurdità evidenziati nelle interrogazioni. Sono passati sei anni, nessuna verità...15 giorni dopo gli arresti tutti sono stati scarcerati...mio figlio l’unico che aveva fatto sapere al magistrato che voleva parlare e collaborare con la giustizia non è stato ascoltato... era in custodia cautelare... dopo 5 giorni di carcere è morto. E l’inchiesta raccontata da giornali e tv come l’operazione che aveva scoperto una truffa milionaria è finita nel dimenticatoio, nessuna condanna e neppure un rinvio a giudizio. Sipario chiuso. Anche la morte di Niki viene dimenticata e archiviata. Fin qui la mamma di Niki: l’ho ascoltata, come tutti i presenti al convegno di Antigone, con attenzione e commozione. Perché le sue parole (qui un video con la sua intervista nel blog di Beppe Grillo) aprono ferite in chi è convinto che democrazia e diritto siano valori che non possono essere disattesi. E che la verità, il bisogno di verità non possano essere ignorati. Mai. Come volontario che opera nelle carceri, come giornalista direttore della rivista Voci di dentro, non posso non fare mie le parole con le quali la mamma di Niki ha concluso il suo discorso: "Quali indagini sono state fatte? Io non sono mai stata sentita dai magistrati. È assurdo tutto questo. La giustizia deve essere vicina al cittadino, io mi devo fidare della giustizia, non la devo temere. Ma oggi invece le cose si sono tutte capovolte. C’è una frase del nostro presidente Pertini, lui che ha passato diversi anni in carcere disse: attenzione quando avete a che fare con un detenuto, perché potreste avere di fronte una persona migliore di quanto lo siate voi. Vi prego, Niki non c’è più. Possiamo per Niki fare chiarezza e arrivare alla giustizia, quella vera. Ma attenzione anche agli altri ragazzi perché ci saranno altri Niki magari dentro il carcere, altri Niki che hanno bisogno di essere aiutati". Giustizia: caso Aldrovandi, pignoramento di un quinto della retribuzione per agenti condannati L’Unità, 3 luglio 2014 La Corte dei Conti ha disposto il pignoramento di un quinto della retribuzione per i condannati. La madre: "Quello che speravo". Sequestro conservativo di un quinto dello stipendio e di beni mobili e immobili a carico dei quattro agenti di polizia condannati per la morte di Federico Aldrovandi, a copertura di un danno erariale subito dal ministero dell’Interno pari, complessivamente, a 1 milione e 870mila euro: è quanto ha disposto la Corte dei conti dell’Emilia Romagna accogliendo la richiesta della Procura regionale contabile. Dopo le verifiche istruttorie, la Procura della Corte dei conti dell’Emilia Romagna aveva parlato della sussistenza di una grave fattispecie di danno erariale subita dal ministero dell’Interno, che nel 2010 aveva stipulato un atto negoziale di transazione in favore dei familiari del 18enne, morto nel settembre 2005 in un parco pubblico a Ferrara nel corso di un controllo di polizia. Ciascuno dei quattro agenti condannati in via definitiva per l’"eccesso colposo nell’omicidio colposo" di Federico Aldrovandi, secondo quanto stabilito dai magistrati contabili, dovrà risarcire una danno di 467mila euro. L’udienza di comparizione, in cui si discuterà della convalida dell’atto di sequestro conservativo, davanti ai giudici della sezione giurisdizionale della Corte dei conti per l’Emilia Romagna è fissata per la settimana prossima, il 9 luglio. A sostegno dell’azione di risarcimento del danno erariale hanno concorso una serie di motivazioni, quelle che sono riportate nelle vari sentenze penali già passate in giudicato in questi anni. Infatti, secondo la Procura regionale, le motivazioni addotte dai vari giudici (soprattutto quelli di Cassazione che hanno posto il sigillo finale sul caso, confermando tutti i rilievi dei giudici di primo grado e d’appello) hanno delineato tutti gli elementi di fatto circostanziati negli atti, imputabili ai quattro agenti, che costituiscono la fonte di causa del danno arrecato agli eredi a seguito della morte di Federico Aldrovandi. "È quello che speravo, mi aspettavo e ritengo giusto, profondamente giusto" commenta Patrizia Moretti, la mamma di Federico Aldrovandi: "Mi sembra - aggiunge - che alla fine la giustizia arrivi davvero: questa è un grande notizia e sono senza parole. Il provvedimento della Corte dei conti, anche se ancora parziale e non definitivo, è il completamento giusto della sentenza di condanna per la morte di mio figlio". I sindacati di polizia hanno accolto invece come un accanimento la notifica del sequestro conservativo di 1/5 dello stipendio e dei beni dei quattro agenti (Paolo Forlani, Enzo Pontani, Luca Pollastri e Monica Segatto) che nel frattempo hanno scontato la pena cui sono stati condannati e sono tornati in servizio: "È un provvedimento eccessivo, mi sembra un accanimento" spiega Stefano Parziale segretario del Silp di Ferrara ricordando i mezzi che hanno a disposizione i colleghi per potersi difendere "con uno stipendio che non arriva a 1.500 euro al mese". "Che vengano ora a chiedere il risarcimento ai colleghi lascia alquanto perplessi" spiega Stefano Paoloni, presidente del Sap: "È questo il trattamento che il nostro paese riserva agli operatori di polizia ci lascia sbalorditi, prima decide un risarcimento in modo autonomo (lo fece il ministero degli Interni dopo il processo di primo grado, risarcendo la famiglia, senza consultare i legali degli agenti sotto processo, ndr) e poi ne chiede conto ai propri operatori: ricordo ciò che ripetiamo da tempo, che in questa vicenda le vittime sono sempre state 5, Federico Aldrovandi e i 4 colleghi. Questo provvedimento è la conferma: ovviamente abbiamo fiducia nell’esito del giudizio della Corte dei conti che valuterà il caso con attenzione e ci auguriamo non ritenga di adottare conseguenze patrimoniali ai colleghi che debbono rispondere di reati di natura colposa al di fuori della propria volontà". Giustizia: se i libri negati dietro le sbarre diventano l’ultima pena di Adriano Sofri La Repubblica, 3 luglio 2014 I volumi con copertina rigida vietati, gli altri limitati. Ancora oggi la lettura per i detenuti non è un diritto ma una concessione. Come dimostrano le polemiche inglesi e le proteste di Dell’Utri. Dovete andare in galera: abbracciate i vostri cari, mettete nel sacco spazzolino, biancheria di ricambio, e due libri - forse i due libri prima dello spazzolino? - un romanzo da rileggere, e un saggio recente, o forse un dizionario portatile. All’arrivo, vi lasciano lo spazzolino, vi tolgono i libri. Se eravate novellini, e credevate che davvero le arance fossero permesse, e anche i libri rilegati, dovrete rassegnarvi allo scempio delle copertine rigide strappate via, per regolamento - ragioni di sicurezza. Ogni tanto si ricomincia, con la questione dei libri in cella: se siano una concessione, o un diritto. In Inghilterra è appena successo con la breve detenzione di un ex-deputato laburista ed ex-ministro, Denis MacShane, condannato per aver falsificato i rimborsi (risonanza enorme, cifra modesta in confronto alle nostre) cui furono confiscati i libri che si era portato dietro. Caso che ha fatto esplodere uno scandalo tuttora non sopito. Il ministro della giustizia, Chris Grayling, ha fatto sapere che il divieto di portarsi dietro libri o riceverli per pacco o dai parenti è una misura tesa a far sì che i detenuti li meritino: in sostanza, i libri devono essere un premio alla buona condotta. Per fortuna, un’insurrezione ha accolto la pretesa. Di spirito poetico dotata, la scrittrice Cathy Lette ha avvertito: "Lo impaleremo sui nostri pennini". Altri hanno commentato che condannare a morire di fame di lettura è indegno della Gran Bretagna. Da noi, Marcello Dell’Utri ha minacciato lo sciopero della fame per il divieto (ora caduto) a tenere in cella più di due volumi: "Per me i libri sono come l’acqua", ha detto. I libri sono come l’acqua per tutti i carcerati, o come una zattera. La prigione è un naufragio e non è un caso che all’inizio d’estate le pagine di varietà ricomincino con la domanda: "Che libro vi portereste su un’isola deserta?", Che libro vi portereste in carcere. Magari uno di quelli che in carcere sono stati dettati o concepiti, Il Milione, o il Don Chisciotte, o l’impressionante antologia raccolta da Daria Galateria, "Scritti galeotti. Narratori in catene dal Settecento a oggi" (Sellerio: ne mancano pochi). Ma la tradizione grandiosa della scrittura in carcere non è nemmeno paragonabile alla tradizione inaccertabile della lettura in carcere. In Inghilterra, avendola detta grossa, i responsabili delle carceri hanno ripiegato sulle ragioni di sicurezza: i pacchi vanno controllati, e il personale è poco, e i fondi sono tagliati… come le copertine rigide. Sciocchezze. Poche cose sono facili da controllare come i libri. Ma il tema scatenato dall’ottusità penitenziaria porta lontanissimo. In Brasile, Dilma Roussef (ex-detenuta) sperimentò due anni fa la concessione di 4 giorni di riduzione della pena per ogni libro letto - per un massimo di 12 libri, 48 giorni. In ambedue i casi, quello che riduce la lettura a un premio alla buona condotta e quello che considera buona condotta la lettura, c’è un malinteso: che leggere libri renda migliori, e contribuisca a risocializzare. È vero per la gran parte delle persone, dentro e anche fuori del carcere: ma può anche non esserlo. Quello che conta è che la lettura - e il suo reciproco, la scrittura - è un’attività ormai connaturata all’homo sapiens sapiens, e lo è infinitamente di più dove è privato della libertà. I libri e i giornali sono, oltre che la radio e la tv, ciascuno a suo modo, il mondo surrogato che permette ai carcerati di tirare avanti. In galera l’aria guadagna un senso diverso e calcolato: l’ora d’aria. Nemmeno l’aria che respiri ti rende migliore: semplicemente, ti impedisce di soffocare. Così la lettura. In ogni carcere italiano dovrebbe esserci una biblioteca: c’è nella maggioranza. Spesso è ancora povera, specialmente di libri e giornali adatti alla popolazione straniera. Spessissimo non accoglie i detenuti in modo che possano guardare i libri, sfogliarli, sceglierli. Molto si fa, da volontari e enti locali (che hanno per legge la responsabilità delle biblioteche carcerarie) scontrandosi con gli impedimenti e a volte i boicottaggi quotidiani della vita carceraria. Perfino regalare libri alle biblioteche carcerarie è un’impresa, fra passaggi burocratici e questioni di catalogo e spazio. I detenuti chiedono soprattutto libri sulle questioni ultime, dicono gli esperti: filosofia, religione. Può darsi, i letti a castello propiziano la metafisica. Cercano soprattutto storie d’amore, su cui vagare, e imparare a scrivere lettere d’amore. La vecchia categoria degli "scrivani" ha questo grande privilegio, di fare da Cyrano di mille Rossane, e intanto imparare dagli altri, da quelli che non trovano le parole appropriate, che non sanno scrivere, le parole sorprendenti che loro non avrebbero immaginato. C’è un’ultima questione: per i liberi non solo la lettura dei libri è necessaria e naturale come l’aria e l’acqua, ma anche internet, e gli e-book, e il resto. Fino a quando penseremo che sia un lusso proibito per i detenuti, e che scrivere mail, per chi è autorizzato a scrivere e ricevere lettere senza censura, sia impensabile? I liberi si castigano spesso accontentandosi del mondo virtuale. I prigionieri sono mutilati anche di quello. Liguria: 250 mila euro dalla Regione per migliorare la qualità della vita nelle carceri www.regione.liguria.it, 3 luglio 2014 Uno stanziamento di 250 mila euro dalla Regione per migliorare la qualità della vita nelle carceri liguri. Le realtà del terzo settore interessate a partecipare alla co-progettazione devono inviare la richiesta entro il 10 luglio Migliorare la qualità della vita nelle carceri liguri. La Regione ha stanziato 250 mila euro per il sostegno ai detenuti, alle persone che scontano la pena con misure alternative alla detenzione (affidamento ai servizi sociali, detenzione domiciliare, semilibertà) e ai minori sottoposti a provvedimenti penali. Il progetto, gestito dalla "Rete che unisce" (un’associazione temporanea di scopo con capofila il consorzio Agorà di Genova), è aperto alle realtà no-profit del terzo settore - iscritte (qualora previsto) negli albi regionali - che operino nel territorio regionale nell’ambito dell’inclusione sociale delle persone sottoposte a provvedimenti penali e alle realtà imprenditoriali che - ferma restando l’assenza della finalità di profitto - siano in possesso dei requisiti previsti all’articolo 38 del decreto legislativo 163/2006. I soggetti interessati possono inviare la richiesta di partecipazione alla co-progettazione all’ufficio Protocollo della Regione entro le 12 di giovedì 10 luglio. Tra gli obiettivi del progetto il miglioramento della qualità della vita in carcere, il sostegno alla genitorialità, la mediazione penale minorile tra la vittima e il minore autore del reato con il supporto di personale qualificato per accompagnare i detenuti e i minori al reinserimento nella società, l’accoglienza abitativa per consentire ai detenuti senza domicilio di avere a disposizione un alloggio per usufruire del permesso premio. Lombardia: Associazione Stop Opg; no Rems, più servizi territoriali per la salute mentale Ansa, 3 luglio 2014 Concentrare le risorse pubbliche destinate al superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari (la cui data di chiusura prevista è il 31 marzo 2015) sul potenziamento dei servizi per prendere in carico gli internati, piuttosto che nella costruzione delle Rems, le residenze per l’esecuzione della misura di sicurezza. Questa l’opinione espressa dall’associazione Stop Opg, ascoltata in una seduta congiunta delle commissioni Sanità e Carceri del Consiglio regionale della Lombardia, presiedute dai consiglieri Fabio Rizzi (Lega) e Fabio Fanetti (Lista Maroni). All’audizione ha partecipato anche Raffaele De Luca, il sindaco di Limbiate (Monza Brianza), una delle due località lombarde (l’altra è Castiglione delle Stiviere) dove è prevista la realizzazione delle Rems, secondo la delibera approvata dalla giunta regionale il 20 giugno scorso. Proprio questa "ultima delibera non ci soddisfa ed è uno sperpero di risorse (circa 26 milioni di euro, ndr)", ha commentato Corrado Mandreoli, di Stop Opg Lombardia. Dopo l’incontro, i consiglieri di Pd e Patto civico hanno chiesto di poter ascoltare in commissione quanto prima gli assessori regionali alla Salute, Mario Mantovani, e alla Famiglia, Maria Cristina Cantù. "Invece di concentrare tutte le risorse disponibili nelle nuove strutture psichiatriche, si potrebbe potenziare i servizi territoriali della salute mentale", ha dichiarato in una nota il consigliere democratico Marco Carra, mentre il capogruppo del Patto civico Lucia Castellano ha sottolineato che "le Rems devono rappresentare una soluzione residuale a favore di misure alternative all’internamento". Torino: allarme per decreto legge che esclude il carcere per le condanne inferiori a 3 anni di Paola Italiano La Stampa, 3 luglio 2014 Ladri, rapinatori, spacciatori rischiano di restare a piede libero anche nei casi in cui abbiano commesso altri reati e non offrano alcuna garanzia di non commetterli di nuovo. L’allarme arriva da Palazzo di Giustizia di Torino, dove ci sono state in questi giorni le prime applicazioni delle norme del decreto legge entrato in vigore un paio di giorni fa che prevede il risarcimento dei detenuti vittime del sovraffollamento carcerario. Decreto che, però - ed è questo il punto controverso - contiene anche una modifica al codice di procedura penale, stabilendo che la misura cautelare in carcere non si debba applicare nei casi in cui il giudice possa prevedere, in caso di condanna, una pena inferiore ai tre anni: e questi casi sono veramente tanti. Rapinatore scarcerato In base alle nuove norme, ieri è stato dato dalla procura parere favorevole alla scarcerazione di un rapinatore condannato a 3 anni. Aveva già scontato sei mesi, gli restava dunque un residuo di pena di due anni e mezzo. Questo è un esempio di condanna già inflitta, ma negli uffici della procura ci sono da esaminare anche i casi di decine di persone fermate dalle forze dell’ordine in questi giorni, che ora potrebbero essere rimesse in libertà, anche se i reati sono di quelli che generano "allarme sociale": perché sotto ai tre anni sono spesso le pene per furti in abitazione e piccole rapine, ma anche per maltrattamenti in famiglia o stalking. Senza dimenticare i reati come la corruzione. E questo è il secondo allarme che arriva da Torino sugli effetti collaterali delle misure adottate per ovviare alla situazione drammatica nelle carceri, per cui l’Italia rischia una condanna da parte dell’Europa. Il primo lo aveva lanciato il procuratore Paolo Borgna, coordinatore del pool sicurezza urbana della procura, sulla legge "svuota carceri", che non consente la custodia in carcere per i pusher arrestati in flagranza con lievi quantità di stupefacenti, anche se recidivi. Esigenze cautelari tradite La nuova questione è stata ieri al centro di una riunione a Palazzo di giustizia. "L’obiettivo del decreto - spiega il presidente dei gip, Fancesco Gianfrotta - è alleggerire la pressione degli ingressi in carcere e ridurre il numero dei detenuti. Ma credo che il legislatore abbia confuso il piano delle esigenze cautelari con quello dell’applicazione della pena. Io non mi scandalizzo se si vogliono prevedere sanzioni diverse dal carcere, in caso di condanna. Ma se questo giudizio viene anticipato a una fase precedente alla fine del processo, si trascurano una serie di esigenze cautelari come il rischio di inquinamento delle prove, di reiterazione del reato e il pericolo di fuga". A seconda dei reati, il codice penale prevede arresti obbligatori o facoltativi. Per i primi, le forze dell’ordine devono ricorrere alle manette, ma la nuova norma vale anche in questi casi: se il Gip che deve convalidare l’arresto ritiene che l’eventuale condanna potrà essere inferiore a tre anni, deve ordinare la scarcerazione. Gianfrotta dice di temere quella che definisce "una polemica mal riposta" sul fatto che la polizia arresti e la magistratura scarceri: "Ma la norma è quella, e il giudice deve attenersi". Per i reati in cui l’arresto è facoltativo, il rischio è che siano le forze dell’ordine stesse a desistere dalle manette, se tanto dopo 48 ore l’arrestato tornerà in libertà. "Non escludo - conferma il presidente dei Gip - che possa esserci un’autolimitazione da parte della polizia giudiziaria". Il decreto dovrà essere convertito in legge: fino a quel momento ci sarà tempo di fare modifiche. Gianfrotta auspica "una maggiore chiarezza generale, legislatore compreso. Che i detenuti in Italia siano troppi lo sostengo da molto tempo, ma bisogna agire sulle sanzioni alternative al carcere, non sulle esigenze cautelari precedenti alla condanna. Sono piani diversi e non bisogna confonderli". Chiusano (Camera Penale): una scelta obbligata, si rischiava una multa dall’Ue "Indulto e amnistia sono provvedimenti impopolari. Ma il rischio è un indulto perenne mascherato": Anna Chiusano, in qualità di presidente della Camera Penale di Torino, da tempo solleva il problema delle condizioni drammatiche nelle carceri. Ma ora che il Governo ha messo mano ai provvedimenti risarcitori ai detenuti, spunta l’allarme per le norme sulla custodia cautelare: è giustificato? "È comprensibile, perché nel testo non si fa riferimento al massimo della pena prevista per un reato, ma - almeno questa è l’interpretazione che ne do - al massimo della condanna che in concreto nel singolo caso può essere inflitta". Si poteva affrontare la questione in modo diverso? "Il Presidente del Consiglio si è sempre dichiarato contrario a ipotesi di amnistia e di indulto, a cui noi saremmo stati favorevoli. Ciò non toglie che dei provvedimenti dovevano comunque essere presi, perché l’Italia rischiava una maximulta dall’Europa. Si è trattato di una scelta politica". Una scelta da rivedere? "La custodia cautelare dovrebbe essere l’estrema ratio, male nuove norme porteranno una serie di interrogativi: ad esempio, inutile aumentare le pene massime per gli omicidi stradali se poi in concreto non si può applicare la misura in carcere né quella dei domiciliari". Chieti: ho scontato il mio debito... ora lo Stato non paga il suo di Francesco Blasi Il Centro, 3 luglio 2014 Pasquale Contini uccise l’anziana madre e adesso, dopo aver espiato la pena, invoca giustizia. Ha vinto la causa per ottenere la paga da cuoco del carcere ma non ottiene nulla. Racconta il suo passato tempestoso con la poetica lucidità di un personaggio dell’Antologia di Spoon River. Lui, Pasquale Contini, è vivo. Eppure manifesta segni di totale distacco da un mondo come sepolto dalle sabbie di un’enorme clessidra. Non che all’ex detenuto per l’omicidio della mamma Pasqualina Bernabei, a Francavilla il 22 aprile 2001, manchino parole appropriate e ricordi nitidi, ma perché il narratore sembra essere un’altra persona, diversa dall’autore dell’accoltellamento mortale. Un’emozione però traspare dalla figura imponente dell’ex carcerato che ha saldato per intero il conto con la giustizia, e che esibisce tatuaggi sul braccio alla moda di una volta, quando a farsi trafiggere la pelle erano soltanto uomini con esperienze forti, spesso oltre il recinto della legalità. "È il rimorso per la morte di mamma, quello è tutto mio, non me lo perdonerò mai anche se non era lei che volevo colpire, ma mio fratello Giuseppe. E non certo a morte". Sulla notte fatale si sa tutto, compresi i retroscena familiari che però riaffiorano anche quando Contini racconta il Pasquale di oggi, che con il vecchio sembra condividere soltanto l’abitazione nel popolare quartiere di Filippone. Paradosso delle vite difficili, esposte, Pasquale è oggi creditore della giustizia, la stessa che nel 2002 lo condannò a 14 anni di galera per il matricidio. Conto pagato perfino in anticipo, con tre anni defalcati per l’indulto e quasi quattro di sconto di pena per buona, anzi ottima condotta. Semplice e incisiva la descrizione del sopruso che lo Stato gli sta infliggendo, quasi come ritorsione per aver lasciato anzitempo il supercarcere di Sulmona dove è stato rinchiuso fino al 2008 negli ultimi sei anni di detenzione, dopo passaggi in altre case circondariali della regione. "Praticamente subito", racconta, "chiesi di poter lavorare, e dopo mansioni alle pulizie riuscii a farmi assegnare alle cucine, avendo una certa esperienza come cuoco". Lì viene assegnato fino alla scarcerazione definitiva, preceduta da un periodo di semilibertà. Alla fine, però, la somma passata dal ministero si rivela insufficiente rispetto alle prestazioni lavorative svolte spesso anche per oltre 10 ore al giorno. "Alla fine", stavolta è l’avvocato Fabio Cantelmi di Sulmona a parlare, "il giudice del Lavoro, Ciro Marsella, liquidò le spettanze in oltre 13mila euro, ben oltre la cifra riconosciuta dallo Stato al mio cliente. La sentenza è del 2011", spiega l’avvocato, "è esecutiva perché mai impugnata, ma ogni atto legale per riscuotere le spettanze del mio cliente è stato inutile. Se il ministero della Giustizia che non riconosce nemmeno le sentenze dei suoi giudici", è l’amara constatazione di Cantelmi, "significa che lo Stato di diritto è saltato". A dicembre c’è stata un’interrogazione parlamentare di Gianni Melilla, di Sel, ma da Roma tutto tace. "Quei soldi non sono soltanto miei perché a dirlo è una sentenza", riattacca Pasquale, "ma mi servono come il pane". E non esclude, lui ora vittima di della stessa giustizia che aveva infranto con quell’omicidio all’alba, di uscire allo scoperto con un atto clamoroso, forse lo sciopero della fame. Un atto da uomo giusto, compiuto nella veste di operatore della Caritas di Chieti, per la quale lavora alla Casa dell’accoglienza di via De Lollis a due passi dal Marrucino. Un’esperienza, quella di volontario a favore di chi soffre, nata proprio nel supercarcere di Sulmona. "Erano molti, troppi", racconta, "i detenuti poveri, abbandonati dalle loro famiglie, incapaci anche di far valere i loro diritti più elementari. Mi facevo sentire fino alla direzione, chiedendo per loro viveri, vestiario e altri conforti". Pasquale Contini ha scoperto anche di avere una vena letteraria. Mostra con orgoglio la bozza del suo libro in attesa di un editore, brevi scritti in prosa e versi ispirata dagli anni bui della cella. Titolo "Ero nei pensieri di Dio", l’incipit è da brividi: "Oso scrivere dell’amore, perché è attraverso l’amore che sono stato redento dall’abisso della morte". Napoli: la Polizia penitenziaria arresta il detenuto evaso dall’ospedale San Giovanni Bosco Ansa, 3 luglio 2014 È stato arrestato dagli uomini della Polizia Penitenziaria di Napoli Poggioreale, questa notte all’01.00 davanti ad una pizzeria di Torre Annunziata, Antonio Avitabile, il 38enne che sabato mattina era fuggito dall’ospedale San Giovanni Bosco di Napoli dove era piantonato. Ne da notizia il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe. "Nell’immediatezza dell’evento critico" spiega Donato Capece, segretario generale del Sappe "i poliziotti penitenziari si sono subito attivati per mettersi sulle tracce del fuggitivo. Una attenta attività info-investigativa ha permesso agli uomini del Reparto di Polizia Penitenziaria del carcere di Napoli Poggioreale di intercettarlo verso le 22 di ieri sera, davanti a un locale di Torre Annunziata. Indossava una bandana e con un pennarello si era disegnato barba e baffi, ma i nostri uomini non sapevano se era armato. Vista l’alta concentrazione di persone nella zona, i poliziotti hanno atteso un momento più opportuno per catturare l’evaso. Verso l’1 di notte sono intervenuti, si sono qualificati e, respingendo una peraltro prevedibile resistenza, l’hanno bloccato e arrestato. A loro va il mio apprezzamento per l’importante risultato ottenuto, che conferma la professionalità, lo spirito di iniziativa e le capacità operative ed investigative dei Baschi Azzurri della Penitenziaria". Modena: carenza di organico al carcere Sant’Anna, il prefetto assicura l’intervento al ministero Gazzetta di Modena, 3 luglio 2014 Continua l’iniziativa del sindacato Fp-Cgil di Modena per risolvere il problema di organico della sezione femminile della casa circondariale Sant’Anna dopo le azioni di protesta organizzate nei giorni scorsi. La prima risposta pervenuta dal Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria di assegnare due nuove agenti del settore femminile "certamente evidenzia un’attenzione alle problematiche denunciate dal sindacato, anche se non risolve una situazione di pesante criticità che deve assolutamente essere superata". Perciò, su richiesta della Cgil, si è tenuto martedì in prefettura un incontro nel corso del quale è stata esaminata la situazione del settore femminile dell’istituto di reclusione modenese. Il vice prefetto vicario Scognamillo, dopo aver ascoltato le denunce dei rappresentanti della Cgil, ha assicurato il massimo impegno per aumentare il contingente di personale da assegnare all’istituto di reclusione modenese, intervenendo presso il gabinetto del ministro della Giustizia. "Nel corso dell’incontro - spiega Vincenzo Santoro della Fp-Cgil - abbiamo ribadito la necessità che a Modena venga assicurato un adeguato contingente di agenti per la vigilanza delle detenute e che le due nuove agenti che saranno assegnate non possono rappresentare la soluzione al problema. Attualmente infatti la vigilanza è assicurata anche da personale con età anagrafica rilevante che, in base alle norme vigenti, deve essere adibito prioritariamente ad altre mansioni". La Fp Cgil auspica che all’intervento della prefettura possano seguire anche gli interventi dei parlamentari modenesi, affinché presto si possano ristabilire condizioni lavorative diverse da quelle con le quali convivono le agenti della casa circondariale Sant’Anna. Perugia: le detenute lavorano per la Curia e realizzano 2mila bisacce per i pellegrini di Assisi www.perugiatoday.it, 3 luglio 2014 L’Associazione perugina di volontariato (Apv), promossa dalla Caritas, a sostegno del mondo carcerario. Oltre al "Laboratorio di Botanica" quello dei "Fili di speranza". Un’altra iniziativa a sostegno del rinserimento sociale di detenute realizzata dall’Associazione perugina di volontariato (Apv), promossa dalla Caritas diocesana di Perugia, è stata avviata in queste settimane. Dopo il "Laboratorio di Botanica", che ha visto impegnati una decina di detenuti del "Nuovo Complesso Penitenziario Perugia Capanne", l’Apv presenta il progetto della realizzazione di 2.000 e più borse e bisacce in tessuto per convegnisti e pellegrini, affidato ad un gruppo di detenute impegnate nel "Laboratorio Fili di speranza" (avviato nel 2011 con corsi di cucito). A questo progetto ha dedicato ampio spazio il quotidiano "Avvenire", con il suo numero in edicola il 2 luglio, che mette in risalto come il "mondo carcerario e mondo giovanile, la sofferenza e la speranza, si incontrano attraverso un progetto dell’Associazione perugina di volontariato". Gli oggetti prodotti da coloro che vivono l’esperienza del "Laboratorio Fili di speranza" andranno a soddisfare le richieste pervenute da: i promotori del secondo "Happening nazionale degli Oratori", in programma ad Assisi dal 4 al 7 settembre, che vedrà oltre mille rappresentanti di Oratorio provenienti da tutta Italia; gli organizzatori del "Cammino di Santiago", il pellegrinaggio a Santiago de Compostela dal 18 al 30 agosto, promosso dalla Pastorale giovanile di Perugia, al quale parteciperanno 200 giovani; dai Francescani del Sacro Convento di Assisi per il 35° Convegno "Giovani verso Assisi", che si terrà dal 29 ottobre al 2 novembre, con 800 partecipanti, avente come titolo "Mi fido di te: dal buio della superbia alla luce della fede". Riflettendo anche sul tema di quest’ultimo evento, "non è stata casuale la scelta di coinvolgere l’Apv e le detenute del laboratorio "Fili di speranza" - commenta Clara Salvi, volontaria e referente del progetto -. Il messaggio che si vuol dare ai giovani attraverso le borse e le bisacce, è quello di un valore aggiunto alla speranza delle detenute alle prese con il loro reinserimento nella società, che avviene nel crearsi delle opportunità di lavoro. Il sogno di noi volontari è quello di dare una continuità nel tempo al progetto, quindi una prospettiva alle stesse detenute. Siamo fiduciosi perché quest’attività si inserisce tra quelle che la Direzione del Carcere favorisce in quanto tende alla promozione della dignità della persona". A parlare di "occasione di vicinanza concreta ai detenuti da parte della comunità cristiana attraverso l’opera dei volontari e dei fruitori di questi oggetti", è il presidente dell’Apv Maurizio Santantoni. "Ai giovani che utilizzeranno borse e bisacce sarà detto di chi sono le mani che le hanno realizzate - sottolinea Santantoni. Anche con questi oggetti si è vicini a donne molto provate da una vita sbagliata. Questa vicinanza al mondo carcerario è stata voluta dal cardinale Gualtiero Bassetti, come egli ha ribadito durante la sua prima visita da neo porporato che ha riservato ai detenuti e alle detenute all’indomani della sua nomina. Essere attenti alle "periferie esistenziali" come quella del mondo carcerario presente nella nostra realtà - conclude il presidente dell’Apv, è un segno efficace di testimonianza di amore per gli uomini e le donne che sono nella sofferenza e, nel contempo, un’opportunità pedagogica per i giovani ad essere nella vita accanto a chi fa più fatica anche a causa dei propri errori". Tempio Pausania: il carcere di Nuchis diventa un laboratorio di sperimentazione sociale di Angelo Mavuli La Nuova Sardegna, 3 luglio 2014 "La Casa di reclusione di Nuchis si avvia a diventare, primo carcere in Italia, un laboratorio sociale di sperimentazione amministrativo-politico ad approccio riparativo-relazionale sul modello delle Restorative City inglesi". Questa la convinzione della professoressa Patrizia Patrizi, ordinaria di Psicologia giuridica e sociale dell’Università di Sassari, espressa al termine di una "Conferenza sulla giustizia riparativa", tenutasi, su iniziativa del direttore, Carla Ciavarella, nella Casa di reclusione di Nuchis. Un istituto trasformato, ormai, in un centro di cultura e iniziative importanti che lo stanno catapultando positivamente al centro dell’attenzione nazionale. "Quello di Nuchis - dice la professoressa Patrizi, riferendosi alla conferenza di qualche giorno fa che ha visto un "parterre" di straordinario spessore scientifico - è un evento eccezionale, per la partecipazione così diffusa e per la condivisione delle finalità, nella convinzione che insieme possiamo realizzare il cambiamento atteso. Quello di una comunità che accoglie la vittima, che include chi ha commesso il reato, che sana i conflitti piuttosto che esasperarli, che considera le diversità un valore aggiunto e non un male da emarginare, che esprime e richiede responsabilità e che agisce, prima ancora, per creare le condizioni di migliore benessere per tutti. Questa - dice ancora la docente - è quella che noi definiamo comunità relazionale e riparativa". La conferenza di qualche giorno fa è parte integrante di un progetto regionale per la promozione della ricerca scientifica e dell’innovazione tecnologica in Sardegna di cui è responsabile scientifica proprio la Patrizi. L’équipe del progetto invece è coordinata dallo psicologo, Gian Luigi Lepri, dell’Università di Sassari. Padova: premio "Pasticceria dell’anno 2013" ai detenuti della Pasticceria Giotto www.gamberorosso.it, 3 luglio 2014 Una trasferta-premio consentirà ai detenuti pasticceri di ritirare il riconoscimento di Davide Paolini negli stabilimenti dei Molini Agugiaro e Figna. Un premio all’impegno e alla qualità di questo virtuoso laboratorio-scuola. C’è una pasticceria a Padova che riceverà il premio come Pasticceria dell’anno 2013, indetto dal Gastronauta Davide Paolini con la partecipazione dei Molini Agugiaro e Figna. Un riconoscimento che spetta all’impegno dei detenuti della Casa di Reclusione Due Palazzi della città, che ogni giorno impastano e sfornano prodotti artigianali, lieviti, panettoni e colombe. Sì, perché la Pasticceria Giotto, la pasticceria del Carcere di Padova, dal 2005 coinvolge i detenuti che hanno voglia di riabilitarsi attraverso il lavoro manuale e la dedizione verso l’arte bianca, che premia con grandi soddisfazioni l’impegno di questi insoliti pasticceri. L’attività si inquadra all’interno del progetto Officina Giotto, ideato per avviare i detenuti al lavoro impiegandoli in diverse attività per conto di famose aziende italiane, come la valigeria Roncato, le biciclette Esperia o il call center Illumia. Ma proprio il settore dolciario ha riscontrato grande successo all’esterno, portando più volte la Pasticceria Giotto al centro dell’attenzione, riconosciuta per la professionalità dei suoi "dipendenti" e la qualità dei prodotti. E la grande energia positiva che si respira all’interno del laboratorio-scuola, in cui i maestri artigiani trasmettono ai detenuti i segreti del mestiere. L’obiettivo è quello di immettere sul mercato un prodotto competitivo, che aspiri a raggiungere i più alti standard, puntando alla selezione delle materie prime e al corretto apprendimento delle tecniche di lavorazione per realizzare dolci di alta pasticceria artigianale. Quindi non solo panettoni e colombe realizzati con antiche ricette e gesti sapienti, ma anche dolci in onore del patrono della città Sant’Antonio, torte sbrisolone, crostate, specialità da forno e uova di cioccolato. Molte le occasioni per uscire dal carcere e far conoscere le attività del laboratorio nelle principali manifestazioni enogastronomiche. E stavolta, la trasferta-premio condurrà i detenuti pasticceri negli stabilimenti dei Molini Agugiaro e Figna, per ritirare l’ambito riconoscimento. L’Aquila: progetto Csi per il reinserimento dei minorenni sottoposti a procedimento penale Il Centro, 3 luglio 2014 Lo sport come espediente di integrazione sociale per permettere a minorenni sottoposti a procedimento penale il reinserimento nella vita reale. È l’obiettivo del protocollo d’intesta firmato ieri mattina nella sede del Coni dal Centro Sportivo Italiano Comitato Regionale Abruzzo e l’Ufficio servizio sociale minorenni dell’Aquila, in particolare dal presidente del Csi regionale Angelo De Marcellis e la direttrice dei servizi sociali Albertantonia Aracu, alla presenza del numero uno del Csi nazionale Massimo Achini e dell’assistente sociale Maria Taraschi. L’accordo operativo, valido un anno, ha visto le attività iniziare da alcuni giorni. In Abruzzo c’è una media annua di circa 700 interventi su minori e, al momento, il 10% cioè 70 ragazzi verranno segnalati per le attività sportive e nell’organizzazione degli eventi del Csi. "L’accordo è una partenza positiva", ha esordito Aracu, "che si va a inserire a un lavoro di rete già presente. L’esperienza decennale ci dice che in Italia dei circa 20mila ragazzi seguiti da 330 assistenti sociali, la recidiva è bassissima, tra le più basse d’Europa. La ricerca fatta ha un riscontro di una recidiva quasi nulla su ragazzi impegnati in attività scolastica e che svolgono attività sportiva e di volontariato". A parlare dei problemi dei minori l’assistente sociale Taraschi. "Sono ragazzi fragili, che hanno carenze familiari e psico-educative indifferentemente dal ceto sociale a cui appartengono", ha spiegato, "il 97% delle volte arrivano con un fallimento scolastico e non si sentono competitivi. La maggior parte di loro ha un rapporto singolare con lo sport e in pochi presentano il giusto equilibrio nell’attività sportiva". Il presidente del Csi nazionale Achini, dopo aver portato esempi concreti di ragazzi messi alla prova e recuperati, ha sottolineato: "Dove c’è un atteggiamento sopra le righe c’è una fragilità. L’obiettivo del Csi è portare sport a tutti e dappertutto". De Marcellis, presidente regionale, ha esortato i cinque comitati territoriali a ospitare i detenuti minorenni per le attività. "I ragazzi saranno impegnati nella pratica delle varie discipline sportive, ma svolgeranno anche compiti di segreteria e logistici". Il Csi Abruzzo conta oltre tredicimila tesserati e duecentocinquanta associazioni sportive affiliate. Alessia Lombardo Sassari: storie dimenticate del carcere, quando il San Sebastiano era la "Cayenna sarda". di Manlio Brigaglia La Nuova Sardegna, 3 luglio 2014 Nel 1871 San Sebastiano era considerato un penitenziario ad alta sicurezza e ospitò per decenni i più pericolosi esponenti della criminalità organizzata. La Cayenna sarda. Era ora. Credo che lo dica anche la Corte dei diritti dell’uomo. Dopo 140 anni di "onorato" servizio e il solito lunghissimo iter burocratico le carceri di San Sebastiano, sono state chiuse e sostituite con il nuovo stabilimento di Truncu Reale. Un tempo, quando erano all’angolo tra l’attuale via Asproni e via Roma, risultavano alla periferia (erano state battezzate da una chiesetta "extra muros", che stava nel terreno donato dal Municipio), a due passi dalla piazza d’armi, erano considerate delle carceri modello. Nel senso che allora, dal 1871, erano ritenute ad alta sicurezza e quindi adatte ad ospitare la peggiore specie di delinquenti. In particolare, a partire dal 1902, i sassaresi dovettero abituarsi ad assistere al periodico sbarco in massa di mafiosi e camorristi. In particolare il 18 marzo di quell’anno arrivarono a Sassari, per la regolamentare via nave- treno, 150 detenuti: riguardati non senza una qualche (e forse giustificata) preoccupazione da parte delle autorità cittadine. I galeotti, accompagnati da un nutrito numero di carabinieri, percorsero le vie principali della città a piedi, incatenati l’uno all’altro, tra due ali di folla che li accoglieva con invettive, lanci di verdure varie e sputi: il Corso, piazza Azuni, piazza Castello, piazza d’Italia e poi via Roma. Sembra la scena iniziale del film Papillon con Steve Mc Queen e Dustin Hoffman, condannati alla famigerata Cayenna. Ed è così che da allora in poi il cronista della "Nuova" chiama San Sebastiano. Arrivi e partenze di mafiosi e camorristi durano per anni, nonostante le proteste dei politici sassaresi, soprattutto dopo una rivolta scoppiata nel 1910 e sedata a stento dall’allora direttore, dottor Tedesco. Il culmine si ebbe il 31 luglio del 1912, con l’arrivo di Enrico Alfano, il "capo dei capi" della camorra, condannato a più ergastoli durante il famoso processo Cuocolo col quale si credeva di aver debellato per sempre questo fenomeno mafioso. Solo che Erricone, elegantissimo nel suo vestito panama, non si muove a piedi dalla stazione: saluta con un cenno della mano la piccola folla presente, sale sulla carrozza di piazzanumero13 e, seguito da due carabinieri ciclisti, raggiunge tranquillo, come andasse a una gita in campagna, Santu Bastianu, la Cayenna Sarda. (Ma ora, dicono i sassaresi, perché non ci facciamo un bel parcheggio in tutto quello spazio?). Bari: Sindacato Cosp; detenuto tenta di aggredire un agente all’uscita della sala colloqui www.baritoday.it, 3 luglio 2014 L’episodio, denunciato dal Cosp, martedì mattina all’uscita della sala colloqui. Il detenuto ha prima insultato e minacciato gli agenti che lo riaccompagnavano in cella, poi ha cercato di aggredire fisicamente uno di loro. Avrebbe prima rivolto insulti e minacce di morte agli agenti di polizia penitenziaria che lo stavano riaccompagnando in cella, poi avrebbe cercato di aggredire fisicamente uno di loro. A denunciare l’episodio, avvenuto martedì mattina nel carcere di Bari, è il Cosp (coordinamento sindacale penitenziario). Secondo quanto riferito dal sindacato, il tentativo di aggressione sarebbe avvenuto all’uscita della sala colloqui, dopo che i poliziotti in servizio hanno bloccato un paio di scarpe portato dai familiari del detenuto. Un gesto di routine, legato ad esigenze di sicurezza e fatto per permettere agli agenti di effettuare dei controlli sulle scarpe, ma che avrebbe fatto scattare la reazione violenta del carcerato, che ha inveito contro gli agenti tentando di colpire uno di loro. Un episodio che tuttavia - denuncia il Cosp - non sarebbe affatto isolato, ma che al contrario sarebbe indicativo delle difficili condizioni di lavoro degli agenti di polizia penitenziaria, spesso costretti a turni massacranti a causa della carenza di personale. "Nel carcere - scrive il Cosp in una nota riferendosi al penitenziario barese - con una popolazione che oscilla dalle 400/450 ospitati su 310 regolamentari, sono rimasti pochi agenti a vigilare i reparti detentivi e nella seconda sezione di recente consegna dopo mesi di restauro, sembra che in alcune giornate il reparto di 200 detenuti sia affidato anche ad un (1) solo agente per tre piani con turni che sfiorano le otto (8) e le nove (9) ore continuative di servizio, dove mancherebbero da tempo, sebbene denunciato all’amministrazione, personale del Ruolo Ispettori ancora impiegati in Uffici, Segreterie e ufficio comando". Il Cosp torna quindi a chiedere interventi urgenti, a cominciare dal potenziamento del personale in servizio e dal miglioramento delle condizioni di sovraffollamento delle sezioni, sollecitando l’intervento delle autorità competenti. Milano: "Impronte Sfiorate", le madri in cella protagoniste di una mostra allo Spazio Oberdan Ansa, 3 luglio 2014 Essere madre in carcere. È questo il tema attorno al quale si snoda la mostra "Impronte Sfiorate" nella quale, per la prima volta in Italia, un’artista, Paola Michela Mineo, svela il mondo della detenzione attenuata dell’Icam, l’Istituto a Custodia Attenuata per Madri, la struttura che consente alle detenute-mamme di tenere con sé i figlioletti fino a tre anni. La mostra, in programma da venerdì prossimo al 5 ottobre 2014, si terrà presso lo Spazio Oberdan di Milano, ruoterà attorno a sei grandi installazioni che costituiscono il risultato finale di un progetto, durato due anni, sviluppato dall’artista all’interno dell’Icam, il primo Istituto realizzato in Europa per la custodia attenuata per madri con figli con l’obiettivo di restituire un’infanzia "normale" ai bambini con una madre detenuta. Paola Mineo ha lavorato in questo contesto particolare, dedicandosi alle madri detenute, coinvolgendone alcune in modo da imprimere un cambiamento importante, quasi "determinante", del loro status: da detenute in regime speciale a vere co-protagoniste di una performance d’arte contemporanea. E tutto questo per arrivare a creare le sei installazioni fatte di piccoli frammenti scultorei plasmati sul corpo delle speciali "modelle", immagini, suoni, odori, video, fotografie, tramite le quali il pubblico potrà conoscere e interagire con una realtà sconosciuta e spesso dimenticata: quella detentiva. India: il premier Renzi sul caso marò; non faccio campagna elettorale sulla loro pelle La Presse, 3 luglio 2014 "Stiamo seguendo" la vicenda dei marò ed è "molto complicata", ma "ci sono" questioni "in cui una parola rischia di essere troppo". Lo ha detto il premier Matteo Renzi a "Porta a porta" su Rai1 rispondendo a quanti oggi hanno criticato l’assenza della vicenda dei due marò italiani detenuti in India dal suo discorso a Strasburgo. "Non credo - ha aggiunto - che per risolvere la situazione l’Italia debba andare al Parlamento europeo, non si risolvono così i problemi con l’India". "So bene - ha detto ancora Renzi - che i due fucilieri, le loro famiglie, tutti quelli che vestono una divisa e gli italiani vivono questa vicenda come una ferita. La stiamo affrontando nelle sedi opportuni. Io non faccio campagna elettorale e demagogia sulla loro pelle". Stati Uniti: 52 parlamentari italiani firmano Mozione per riapertura del caso di Chico Forti Agi, 3 luglio 2014 Cinquantadue parlamentari di quasi tutti i gruppi parlamentari, dal Pd a Forza Italia, dalla Lega a Sel da FdI a Gruppo Misto, hanno sottoscritto la mozione presentata da Mauro Ottobre, deputato delle Minoranze Linguistiche (Patt) per impegnare il governo alla riapertura del caso di Chico Forti, l’italiano detenuto negli Stati Uniti da 14 anni. Ne dà notizia lo stesso Ottobre annunciando che il documento sarà discusso e votato dall’Aula della Camera alla fine di luglio. "Auspico - aggiunge Ottobre - che in Aula si arrivi ad un consenso unanime a sostegno delle motivazioni e della libertà di Chico Forti, che ho incontrato in carcere in Florida agli inizi di giugno". I deputati che hanno sottoscritto la mozione, sottolinea, "hanno compiuto e intendono sostenere una scelta contro il pregiudizio, sulla base di una attenta valutazione degli atti e delle motivazioni prive di fondamento giuridico e sostanziale che hanno portato all’ingiusta condanna di Chico Forti, e chiedono al governo di impegnarsi in sede internazionale e nei confronti degli Stati Uniti per riaprire il caso e giungere in primo luogo alla revisione del processo". Svizzera: italiano da sette mesi in carcere con l’accusa di aver trasportato farmaci vietati di Renato Balducci La Stampa, 3 luglio 2014 "Inghiottito" nelle carceri svizzere. Arrestato il 4 dicembre 2013, di Guglielmo Piccini non si sa quasi più nulla da mesi. Imprigionato per un presunto traffico di medicinali irregolari, del tassista domese non si hanno notizie recenti. Lo stesso avvocato, Marco Garzulino, ammette che del suo assistito sa poco o nulla visto che la giustizia elvetica è avara di informazioni e concede pochi contatti. L’ultima volta il legale ha visto il tassista tre mesi fa. Fermato oltre confine a dicembre, Piccini, 67 anni, in pensione dopo essere stato a lungo in servizio alla stazione ferroviaria di piazza Matteotti, non è più tornato in Italia. Da quando, cioè, i gendarmi lo hanno arrestato a Gondo, il primo paese oltre il confine, contestandogli un "giro" di anfetamine tra Italia e Svizzera. Reato addebitato anche a un altro tassista domese, che poi è stato scagionato. Un altro loro collega era stato ascoltato per rogatoria dalla polizia italiana, ma l’eccessivo riserbo della magistratura confederale non permette di capire se anche altre persone siano coinvolte. Al di là delle Alpi gli inquirenti stanno cercando di scoprire se ci sia un giro "sporco" di medicinali per i quali necessitano prescrizioni mediche specifiche. Nei mesi scorsi, i poliziotti hanno interrogato un farmacista ossolano, sospettato di aver fornito le medicine, che la legge prevede vengano fornite in modiche quantità e solo su presentazione di ricetta medica. Piccini, per gli svizzeri, era il "corriere" che consegnava le confezioni in Svizzera. L’avvocato Garzulino ha sempre sostenuto che il tassista facesse solo il suo lavoro, portando di qua e di là dal confine le persone, senza sapere cosa queste portassero nei bagagli. Tesi rigettata dagli inquirenti che trattengono il domese in carcere a Sion. Una lunga carcerazione preventiva nella speranza che l’uomo decida di "parlare". L’indagine era scattata quando il marito di una donna residente in Vallese aveva scoperto ripetuti prelievi di franchi dal conto corrente. Somme che sarebbero servite ad acquistare i medicinali in Italia. Negli uffici della polizia di Domodossola confermano che l’indagine dei colleghi svizzeri sta proseguendo. Indagine dalla quale è uscito pulito Rinaldo Mombelli, l’altro tassista arrestato in Svizzera dove era stato fatto entrare con uno stratagemma dai gendarmi. Mombelli, finito in carcere in Canton Ticino, era stato rilasciato pochi giorni dopo e poi completamente scagionato. I figli di Piccini per ora non hanno lanciato nessun appello né richieste di aiuto per far uscire il padre della prigione. La convivente del tassista ha invece lasciato Domodossola. Marocco: muore detenuto in sciopero della fame, aveva iniziato la protesta lo scorso 13 maggio Adnkronos, 3 luglio 2014 Un detenuto di un carcere marocchino è morto dopo uno sciopero della fame iniziato il 13 maggio scorso. "Abdelati Zouhri, detenuto nella prigione di Beni Mellal, è morto nell’ospedale della città dopo uno sciopero della fame iniziato il 13 maggio in segno di protesta contro la condanna all’ergastolo per omicidio", si legge in una nota del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dgapr) diffuso dall’agenzia di stampa marocchina Map. Zouhri, secondo quanto reso noto, era stato trasferito in ospedale il 29 maggio scorso. Siria: al Baghdadi libera 100 miliziani avversari detenuti ad Aleppo per nascita califfato Nova, 3 luglio 2014 L’emiro dello Stato islamico, Abu Bakr al Baghdadi, ha ordinato la liberazione di 100 detenuti rinchiusi in un carcere a al Bab, città della provincia di Aleppo, nel nord della Siria. Al Baghdadi ha voluto in questo modo "graziare" un gruppo di combattenti avversari arrestati dai suoi uomini in occasione dell’annuncio della nascita del califfato islamico. Fonti delle province di Aleppo e al Reqqa, riporta il quotidiano arabo "al Hayat", hanno riferito all’Osservatorio siriano per i diritti umani che si prevede entro breve tempo la liberazione di centinaia di detenuti dalle carceri dello Stato islamico, come tentativo da parte di al Baghdadi di conquistare la simpatia delle popolazioni delle zone conquistate. Anche il presidente siriano Bashar al Assad aveva emanato un decreto di grazia il 9 giugno scorso, per festeggiare la sua vittoria alle elezioni presidenziali in Siria. Mauritania: detenuti salafiti trasferiti da base militare a carcere di Nouakchott Nova, 3 luglio 2014 Un gruppo di pericolosi detenuti islamici salafiti mauritani è stato trasferito nella notte dalla base militare Salahuddin, nel nord della Mauritania, al carcere centrale di Nouakchott. Sono 5 i detenuti già arrivati nella capitale mentre gli altri arriveranno domani. Sono 14 in tutto i detenuti salafiti più pericolosi che sono stati trasferiti negli anni scorsi nella base militare dopo l’evasione di alcuni prigionieri islamici dal carcere della capitale mauritana.