Giustizia: pare proprio che sia impossibile per l’Italia adeguarsi ai principi europei… di Giovanni Palombarini (Magistratura Democratica) La Provincia Pavese, 26 luglio 2014 Pare proprio che sia impossibile per l’Italia adeguarsi ai principi europei (e della civiltà) in materia di trattamento da riservare alle persone arrestate o fermate dalla polizia. A suscitare allarme non ci sono soltanto le ricorrenti cronache giudiziarie relative a processi contro agenti accusati di avere provocato la morte di qualche giovane. Ci sono anche le sentenze delle Corti internazionali a ricordarci la situazione. Nel giro di una settimana, infatti, l’Italia ha riportato due condanne. Entrambe dinanzi alla Corte europea dei diritti umani: una per i maltrattamenti inflitti dalle forze dell’ordine a una persona in stato di arresto (sentenza 24 giugno 2014, Alberti contro Italia), e un’altra, otto giorni dopo, per i maltrattamenti a molti detenuti nel carcere di Sassari (sentenza Saba contro Italia). Non si tratta di sentenze che stabiliscono nuovi principi di diritto. Entrambe costituiscono semplici conferme della giurisprudenza della Corte di Strasburgo in materia di divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti (art. 3 della Convenzione). Esse meritano tuttavia attenzione perché ricordano, una volta ancora, che in Italia le violenze fisiche e morali perpetrate dalle forze dell’ordine sulle persone in Stato di privazione della libertà personale rimangono prive di adeguate sanzioni. Il caso Saba, in particolare, è esemplare. I fatti risalgono all’aprile del 2000, quando alcuni detenuti del carcere di Sassari denunciarono le violenze di ogni genere subite da parte della polizia penitenziaria in occasione di una perquisizione della struttura (agenti di altri stabilimenti vennero inviati a Sassari per rafforzare la guarnigione locale). Dopo vari tentativi di insabbiamento o di minimizzazione da parte di alcune pubbliche autorità, grazie all’opera di un coraggioso pubblico ministero, Mariano Brianda, si aprirono le indagini che portarono alla richiesta di rinvio a giudizio per novanta persone tra agenti ed altri membri dell’amministrazione penitenziaria in relazione ai delitti di violenza privata, lesioni personali aggravate ed abuso d’ufficio, commessi nei confronti di un centinaio di detenuti. Dei sessantuno imputati che scelsero il rito abbreviato solo dodici furono condannati, con pene da quattro mesi a un anno e mezzo di reclusione, tutte sospese, per i delitti di violenza privata aggravata e abuso di autorità contro arrestati o detenuti (art. 608 del codice penale). In appello le condanne divennero definitive per nove di loro, ad alcuni dei quali vennero altresì applicate lievi sanzioni disciplinari. Quanto agli altri ventinove imputati, soltanto in nove vennero rinviati a giudizio, mentre per venti fu pronunciata sentenza di non luogo a procedere. Pur ritenendo accertato che si fosse verificato un episodio violenza inumana e gratuita, nel corso del quale i detenuti erano stati costretti a denudarsi, insultati, minacciati e in taluni casi anche picchiati (sono queste le parole dei giudici), il Tribunale prosciolse tutti gli imputati: due di loro per carenza di prove, gli altri sette per sopravvenuta prescrizione dei reati. Oltre al rammarico per la gravità dei fatti e per la cattiva fama che il nostro paese si va costruendo a livello internazionale, ciò che colpisce è la modestia delle conseguenze che subiscono coloro che quella cattiva fama determinano. La prescrizione è la regina delle ciambelle di salvataggio. Ma l’assenza nel nostro ordinamento del reato di tortura (la cui introduzione, prevista da convenzioni sottoscritte dall’Italia, è stata più volte sollecitata anche da organismi internazionali), determina per coloro che sono riconosciuti colpevoli l’inflizione di pene modestissime, di regola sospese. E le misure disciplinari che conseguono a condanne simboliche sono altrettanto simboliche. Ciò induce a pensare che siano forti in molti ambienti i sentimenti di solidarietà verso coloro che violano le regole a danno delle persone detenute. Infatti, sono trascorsi più di dieci anni dai fatti di Sassari, ma la situazione, anche normativa, non si è modificata. Giustizia: scelta al ribasso con beffa... una mancia e ti passa la tortura di Vinicio Nardo Il Garantista, 26 luglio 2014 Il nostro Stato non introduce il reato di tortura, come invece gli imporrebbero le convenzioni internazionali sottoscritte. Ed è così che, detta molto banalmente, dal sovraffollamento della carceri, dal mancato rispetto dei metri quadri a persona nelle celle, agli elettrodi nei genitali del detenuto, tutto viene via a prezzo di liquidazione: otto euro e passa la paura. Anzi, come icasticamente titolato dall’Unione Camere Penali "Otto euro e passa la tortura". D’accordo, si tratta di polemica politica, non ogni uscita va presa alla lettera. Si fa un po’ di demagogia facile (perché è facile condensare tutto nella domanda retorica se sia più giusto pagare la guardia o il ladro), e ci si siede dalla parte della ragione, trovando posto nonostante l’affollamento. E tuttavia la questione non è semplice. Lo Stato ha un debito, questo è conclamato da mia sentenza della Corte europea che gli (ci) ha fatto la cortesia di sospendere la condanna, evitando di rendere il debito immediatamente esigibile. E questo è il primo punto. Il secondo è che la ragione del debito sta in un comportamento dello Stato non degno di un Paese civile, quale il nostro pretende di essere, e per tanti altri versi è. Si tratta, come tutti sappiamo, delle condizioni di estremo disagio nelle quali sono state (sono?) tenute le persone ristrette nelle galere italiane. Finché la giustizia era solo nazionale, la polvere si metteva sotto il tappeto, ma ora che nei nostri confini penetra io sguardo dei giudici sovranazionali non si può più farlo. C’è un terzo aspetto. In Italia non esistono praticamente più i provvedimenti di clemenza, spazzati via durante la sbornia forcaiola di "Mani pulite", con l’innalzamento della maggioranza richiesta per promulgarli. Senza amnistia e indulto ci troviamo ora, non a caso, con i tribunali sommersi dai procedimenti penali, finora periodicamente calmierati dalle amnistie, e con carceri zeppe di detenuti, mentre in passato venivano periodicamente decongestionate da provvedimenti di indulto. Il quarto problema è che attraversiamo una fase di cronica debolezza della politica, al di là delle esibizioni muscolari che Renzi ostenta con giovanile baldanza. Di fatto nemmeno si tenta di tamponare la situazione con il rimedio più efficace e diretto (in fondo i due terzi di maggioranza per l’indulto non sono impossibili) e si ricorre a mezzi indiretti e di poca, o nessuna, efficacia: tra questi il decreto degli "8 euro" che sta provocando le polemiche di cui si diceva all’inizio. Si tratta di un provvedimento che, in realtà, dovrebbe scandalizzare per altri motivi, per certi versi opposti a quelli utilizzati dai suoi detrattori. È, innanzitutto, un rimedio di difficile applicazione, poiché non opera automaticamente ma passa per il giudizio, e quindi l’accertamento, dei tribunali di sorveglianza. Il che comporta, da un lato, la certezza dell’ulteriore intasamento degli stessi, dall’altro, la concreta prospettiva che molte decisioni si perdano nell’attesa di una improponibile istruttoria. Inoltre, la cifra è offensiva, se rapportata al danno patito per il sovraffollamento, tanto più in quanto finirà per essere -inevitabilmente - l’importo fisso per ogni e qualsiasi caso. Il punto di arrivo di un indecoroso gioco al ribasso che, di fatto, spazzerà via gli altri possibili rimedi. Infine, c’è l’aspetto più inquietante della vicenda, che solo gli avvocati penalisti sembrano aver colto e denunciato. Il decreto, nato per la sentenza Torreggiani, quindi per rimediare al sovraffollamento, rimanda genericamente all’articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, senza considerare (almeno si spera che ciò sia avvenuto in buona fede) che questa norma della Convenzione non riguarda solo il sovraffollamento, ma tutti i casi di trattamento inumano o degradante e, soprattutto, di tortura. L’effetto, allora, è perverso, se si pensa che per giunta il nostro Stato non introduce il reato di tortura come invece gli imporrebbero le convenzioni internazionali sottoscritte. Ed è così che, detta molto banalmente, dal mancato rispetto dei metri quadri a persona nelle carceri, agli elettrodi nei genitali del detenuto, tutto viene via a prezzo di liquidazione: 8 euro e passa la paura. Mucci: un controsenso che alimenta patologia "A nostro avviso il risarcimento ai detenuti è un controsenso operativo. Definire una somma che lo Stato italiano dovrà risarcire al detenuto non vuol dire risolvere il problema; vuol dire implementare la patologia". Così Mara Mucci, deputata pentastellata, sul decreto-carceri a Intelligo News, quotidiano online diretto da Fabio Torriero. Prosegue Mara Mucci: "In Italia ci troviamo a dover adottare dei provvedimenti per tamponare un’emergenza, invece che adottare dei provvedimenti per far sì che non esista quell’emergenza. I nostri Governi, i nostri legislatori, arrivano sempre dopo". E conclude: "Inoltre, in Aula, abbiamo sentito dire che il governo non vuole fare nessun indulto, ma se ogni dieci giorni c’è la riduzione di un giorno di pena, di cosa stiamo parlando se non di indulto?". Giustizia: Sottosegretario Ferri; bene risarcimenti a detenzione nelle carceri sovraffollate di Daniela Forlani Il Tempo, 26 luglio 2014 Otto euro di risarcimento per ogni giorno di "maltrattamento" in carcere. Ce lo chiede l’Europa. Il sottosegretario alla Giustizia, Cosimo Maria Ferri, ci parla del recente decreto in materia di violazione della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti umani. Ferri perché nel decreto si parla di un risarcimento di otto euro al giorno? "Nel decreto è previsto che chi ha subito una detenzione in condizioni inumane potrà ottenere o un giorno in meno di pena per ogni dieci giorni in cui è stato detenuto in condizioni di sovraffollamento, oppure otto euro per ogni giorno di detenzione nelle predette condizioni". Come si è arrivati a questa quantificazione? "La somma di 8 euro è stata quantificata partendo da una analisi delle sentenze che la Corte Europea ha già emesso e calcolando l’importo che presumibilmente la Corte avrebbe liquidato ai detenuti se non fossimo intervenuti con questo decreto". Il decreto riguarda anche il tema del sovraffollamento. Si tratta di un nuovo svuota carceri? "Il decreto non è un indulto né uno svuota carceri. È proprio per questo motivo che non avrà, come effetto immediato, quello di una riduzione della popolazione carceraria". Quale è allora l’obiettivo del decreto? "Non quello di ridurre i detenuti ma quello di ottemperare ad una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che ci ha imposto di tutelare i diritti dei detenuti facendo in modo che non vi siano condizioni di sovraffollamento carcerario e va di pari passo all’attuazione del piano di edilizia carceraria che sta portando avanti il Governo". Cosa ne pensa invece in merito alla vicenda del disegno di legge sul doppio cognome respinto dalla Camera? "Si tratta di un provvedimento epocale, che implica anche un cambiamento culturale e sociale molto rilevante e che coinvolge interessi e radici familiari su cui gli italiani sono da sempre assai sensibili". Come risponde alle critiche di chi pensa che sia una legge ideologica? "Non credo che si tratti di una legge ideologica, soprattutto se consideriamo che analoghe normative ormai esistono in Francia, in Germania, in Spagna e nel Regno Unito e che il disegno di legge si muove nel solco tracciato dalla Corte Europea. Inoltre, la legge mira a garantire la libertà di scelta del cognome e ad evitare una chiara discriminazioni ai danni delle donne. Tuttavia, ritengo opportuno un esame il più approfondito possibile al fine di arrivare ad un testo che abbia un ampio consenso". Il Coisp appoggia la protesta della Lega: provvedimento indecente Franco Maccari, Segretario Generale del Coisp, il Sindacato Indipendente di Polizia, riferendosi al d.l. Carceri, afferma: "Non possiamo che condividere la protesta leghista a Montecitorio, in occasione del voto su d.l. carceri. È ora di finirla con l’ipocrisia, e dire chiaramente che quello dell’immigrazione è un vergognoso business che specula sulla vita di migliaia di disperati, così come è un’indecenza destinare una paghetta ai criminali. In questo modo si sottraggono risorse vitali ai cittadini, soprattutto alle fasce più deboli come i disoccupati e i pensionati, e si limitano diritti essenziali come quello alla Sicurezza, che non può più essere garantito a causa dei continui tagli al comparto, che costringono le Forze dell’ordine ad operare in condizioni da paese del terzo mondo". Poi Maccari prosegue e dice: "Non posso nascondere che vedere dei politici indossare una maglietta con la scritta "Io sto con le vittime", che è un nostro manifesto, e dichiarare di stare dalla parte dei Poliziotti, come ha fatto coraggiosamente anche il relatore di minoranza Nicola Molteni, ci dà un minimo di speranza rispetto ad una residua sensibilità, nelle stanze del potere, rispetto alle esigenze delle Forze dell’Ordine e dei reali interessi dei cittadini, che non sono appassionati dai dibattiti sui massimi sistemi, ma pretendono di non trovarsi in casa un criminale che porta via i sacrifici di una vita, pretendono di non essere aggrediti per strada, e non possono accettare che gli stessi malfattori vengano rimessi subito in libertà, o peggio stipendiati per restare al fresco. Perché non destinare gli otto euro al giorno, anziché ai criminali, alle tante persone perbene che non hanno un lavoro, e che cercano di sopravvivere senza delinquere? Perché non destinare alle Forze dell’ordine gli oltre 20 milioni di euro stanziati, che userebbero quei soldi per mandare in galera i malviventi, anziché premiarli per le inefficienze del sistema? Giustizia: il Dap senza capo da quasi due mesi, l’emergenza è la regola di Silvia D’Onghia Il Fatto Quotidiano, 26 luglio 2014 Le carceri italiane sono talmente in emergenza... che da quasi due mesi l’amministrazione penitenziaria è senza un capo. Il ministro della Giustizia Orlando a fine maggio ha gentilmente accompagnato alla porta Giovanni Tamburino, non contento del suo tentativo di svuotare le celle. In attesa che Strasburgo si pronunciasse sulla Torreggiani, si diceva: c’era l’incubo che l’Italia fosse condannata a pagare 100mila euro a titolo di risarcimento a sette detenuti. La decisione (clemente) però è arrivata i primi di giugno e da allora nulla è successo, se non l’approvazione - ieri alla Camera - del dl carceri che risarcisce, questo sì, i detenuti. Potrebbe esserci dunque un po’ di maretta sul dopo-Tamburino. I nomi in pole position sono tre, tutti di magistrati, con buona pace della Polizia penitenziaria, che ancora una volta si vedrebbe guidato da un non-poliziotto: Elisabetta Cesqui, membro della commissione disciplinare del Csm, Giovanni Salvi, attuale procuratore di Catania e fratello dell’ex ministro Cesare, e Paolo Mancuso, ex vice capo del Dap ai tempi di Gian Carlo Caselli. Per il momento resta saldo sulla sua poltrona il vicario di Tamburino, Luigi Pagano, un lungo passato a dirigere San Vittore e un ruolo fondamentale nella gestione del sovraffollamento. "È la conferma che le carceri interessano solo quando si deve parlare di emergenza e magari proporre amnistie o indulti - si lascia sfuggire una fonte di Largo Daga. Pensate a cosa sarebbe successo se a rimanere senza un capo fossero stati i Carabinieri". Giustizia: Sappe; altro che emergenza-carceri superata… in poche ore 2 detenuti morti Ristretti Orizzonti, 26 luglio 2014 Resta sempre alta la tensione nelle carceri italiane. La denuncia arriva dal Sindacato più rappresentativo e con il maggior numero di poliziotti penitenziari iscritti, il Sappe, che da notizia del nuovo suicida di un detenuto, a Padova, a poche ore da un caso analogo a Trento. Spiega Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe: "In poche ore, in due carceri italiane, si sono tolti la vita due detenuti. Uno a Trento, l’altro nella notte alla casa di Reclusione di Padova. In quest’ultimo caso si tratta di un detenuto di Lecce, G. P. di 44 anni, ristretto per omicidio e con fine pena 2021. Era in cella da solo e si è impiccando ricavando un cappio rudimentale dall’accappatoio. Nonostante le affrettate rassicurazioni di chi va in giro a dire che i problemi delle carceri sono (quasi) risolti e non c’è più un’emergenza, i drammi umani restano, eccome, ed è quindi sbagliata la scelta del Ministero della Giustiia di cancellare i presidi di sicurezza penitenziaria in cinque importanti regioni come Calabria, Liguria, Umbria, Marche e Basilicata". "Non è pensabile chiudere strutture importanti di raccordo tra carcere, istituzioni e territorio come i Provveditorati Regionali dell’Amministrazione Penitenziaria di Calabria, Liguria, Umbria, Marche e Basilicata a meno che non si voglia paralizzare il sistema ed avere del carcere l’esclusiva concezione custodiale che lo ha caratterizzato fino ad oggi. Vuole il Governo Renzi essere ricordato per questo attacco ai presidi di sicurezza del Paese?", conclude Capece. Giustizia: il Governo accoglie Odg su espiazione pena detenuti stranieri in Paesi origine Il Velino, 26 luglio 2014 Il Governo ha accolto il nostro ordine del giorno che prevede che i detenuti stranieri scontino la pena nei loro Paesi d’origine. Si tratta di un tema affrontato in molti dibattiti anche al di fuori delle aule parlamentari e che risponde in modo concreto al problema del sovraffollamento carcerario. Una posizione condivisa da un ampio fronte politico trasversale. "Il voto dell’aula rafforza il mandato dell’esecutivo nella definizione e nell’applicazione degli accordi con i Paesi di origine dei detenuti stranieri". È quanto dichiara il deputato di Fratelli d’Italia-Alleanza nazionale Massimo Corsaro, primo firmatario dell’ordine del giorno. Giustizia: in settore penale informatizzazione è ancora polverizzata, meglio in quello civile Public Policy, 26 luglio 2014 Dal completamento dell’automazione dei sistemi informativi all’impiego di tecnologie multimediali nel processo penale, come la registrazione o la videoregistrazione degli atti processuali. É questa la direzione indicata dal ministero della Giustizia per colmare il gap che separa l’informatizzazione e l’uso delle tecnologie nel settore civile e in quello penale. A differenza della Giustizia civile, infatti, il settore penale "sconta una maggiore arretratezza essendo storicamente segnato da una polverizzazione dei programmi informatici sul territorio nazionale: ancora non è diffuso un unico sistema dei registri informatici e, ad oggi, non sono state operate scelte di uniformità" per consentire a tutti gli uffici del territorio nazionale "di godere di medesimi livelli di qualità dei servizi". É quanto si legge sul sito del ministero della Giustizia in merito agli ultimi aggiornamenti sull’informatizzazione integrale e sull’innovazione organizzativa del sistema giudiziario per migliorare "l’organizzazione dei servizi di cancelleria, realizzare considerevoli risparmi di spesa e raggiungere una trasparenza delle informazioni relative alle cause e alle sentenze per l’avvocatura e i cittadini". Ma, si legge nella nota, anche in tale settore "si stanno pianificando interventi sia sul piano tecnologico-informatico, sia sul piano organizzativo che sul piano normativo". Ecco le novità più rilevanti. Diffusione del registro informatizzato Un primo ambito di interventi riguarda "il completamento dell’automazione dei sistemi informativi già in uso e la loro completa integrazione sotto il profilo dell’interoperabilità e la sua completa diffusione sul territorio nazionale". Obiettivi sono "un totale superamento di qualunque gestione cartacea dei dati" e "la circolazione dei dati, caratteristica peculiare del settore penale, tra tutti gli attori del processo, in tutte le sue fasi, ossia dalla notizia di reato fino all’espiazione della pena". Digitalizzazione atti e documenti Inoltre servirà una "digitalizzazione degli atti e della gestione documentale secondo una filosofia improntata all’assoluta preferenza per l’atto nativamente digitale. Ciò comporta - si legge ancora - un intervento immediato sulla notizia criminis che dovrà essere trasmessa dalle forze di Polizia in forma digitale: da tale intervento deriverà la digitalizzazione dell’intero procedimento penale in tutte le sue fasi" che saranno anche archiviate "in sistemi unitari di gestione e consultazione". Videoregistrazione e videoconferenze Sull’impiego di tecnologie multimediali nel processo penale si va, fa sapere il ministero, verso "la registrazione o videoregistrazione degli atti processuali (siano essi atti di indagine, udienze dibattimentali o redazione di provvedimenti del giudice), l’utilizzo esteso della videoconferenza per l’esame a distanza (in tutte le fasi del processo), la conservazione nel fascicolo digitale di tali atti multimediali con pari efficacia rispetto ai tradizionali atti scritti". Indispensabile, però, una "fase di avvio in una serie di uffici giudiziari pilota". Banche dati Infine un ultimo ambito di intervento "prevede la creazione di appositi sistemi di controllo di gestione, trasversali ai vari uffici che gestiscono le varie fasi del procedimento penale". E la natura dei registri penali "sarà oggetto di totale ripensamento, attraverso l’automazione informatica, trasformando i sistemi di protocollazione dei dati e degli atti a strumenti di valutazione dell’efficacia dell’azione degli uffici giudiziari". La direzione, si dice nella nota, "è quella di un ampliamento e completamento dell’esperienza già avviata in tema di dataware house nel settore civile". Novità organizzative Come nel settore civile "si stanno pianificando delle misure organizzative che agevolino l’informatizzazione. Tra queste l’accesso on line ai registri penali e alle relative informazioni e l’erogazione da parte degli ‘sportelli di prossimità’ di alcuni servizi relativi al penale (specie rilascio di certificati), in modo analogo a quanto si realizzerà per il civile". Giustizia: Grasso (Senato); in ddl su diffamazione serve abolire carcere per i giornalisti La Presse, 26 luglio 2014 "Il disegno di legge sulla diffamazione, attualmente in commissione Giustizia, ha alcuni importanti elementi di novità, primo fra tutti l’abolizione del carcere per i giornalisti, ma ha certamente bisogno di un approfondimento in aula soprattutto sui temi delle querele temerarie". Lo ha detto il presidente del Senato, Pietro Grasso, in occasione della cerimonia del Ventaglio. "Ho già espresso la mia opinione sottolineando come si debba prevedere a mio avviso una sanzione pecuniaria proporzionale alla richiesta di risarcimento se infondata", ha sottolineato Grasso. "Altro tema da approfondire è certamente quello della revisione del diritto di rettifica in modo da contemperare i rispettivi interessi dell’evidenza della smentita da un lato e della possibilità per il giornalista di un ulteriore chiarimento del giornalista dall’altro", ha aggiunto. "Sarà mia cura prestare la massima attenzione a questo disegno di legge alla ripresa dei lavori", ha proseguito il presidente del Senato. Giustizia: la vicenda dei sette (ex) uomini d’oro… fra politica e manette di Gianni Barbacetto Il Fatto Quotidiano, 26 luglio 2014 Cosentino, Scajola, Genovese, Clini, Dell’Utri, Galan, Papa e Matacena latitante. La grande retata in un paese assuefatto. La Grande Retata del 2014 non provoca traumi politici, né indignazione nel Paese. Nessun corteo, niente monetine. In fondo, nessuno stupore. È una retata a rate, diluita nel tempo, che nessuno segnala come tale: si guarda l’albero, non si vede la foresta, o almeno il bosco. Negli ultimi quattro mesi sono finiti in carcere - oltre a decine di imprenditori, banchieri, faccendieri e politici di seconda fila - sette uomini d’oro della politica italiana, che sono o sono stati parlamentari, sottosegretari, ministri. In quale altro Paese al mondo succede qualcosa di simile? Eccoli, per non far torto a nessuno, in rigoroso ordine cronologico (dell’ingresso in cella): l’ex sottosegretario all’Economia Nicola Cosentino (3 aprile), l’ex ministro Claudio Scajola (8 maggio), il deputato del Pd Francantonio Genovese (15 maggio), l’ex ministro dell’Ambiente Corrado Clini (26 maggio 2014), l’ex senatore e fondatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri (13 giugno), il deputato di Forza Italia ed ex presidente della Regione Veneto Giancarlo Galan (22 luglio), l’ex parlamentare del Pdl Alfonso Papa (22 luglio). L’ottavo del mazzo, Amedeo Matacena, ex parlamentare di Forza Italia condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, non è in cella solo perché è in fuga, latitante a Dubai. Per tre di questi sette, è un bis: Scajola era già stato arrestato nel 1983, Papa nel 2011, Cosentino nel 2013. Per due di loro, il passaggio è diretto dal Parlamento alla galera: i deputati Genovese e Galan sono stati arrestati, come prevede la legge, solo dopo il voto favorevole della Camera. Nick o Mericano da Casal di Principe Quando le porte del carcere si aprono per Nicola Cosentino, pochi si stupiscono. Sono anni che Nick o Mericano, da Casal di Principe, è chiacchierato per i suoi disinvolti metodi politici e per i suoi pericolosi rapporti con la camorra. Forte dei voti raccolti in Campania, diventa coordinatore regionale del Pdl, poi deputato, infine sottosegretario del governo Berlusconi. Lo arrestano per la prima volta il 15 marzo del 2013. Si presenta al carcere di Secondigliano, "da persona innocente", dichiara, "dopo un calvario di cui non riesco a comprendere la necessità". È accusato di concorso esterno in associazione camorristica, riciclaggio di capitali e corruzione. È indicato come il referente politico nazionale dei Casalesi. Dopo quattro mesi di cella, va agli arresti domiciliari. Poi l’8 novembre 2013 torna libero. Si sente abbandonato dal Capo: "Sono schifato da Silvio: mi ha tradito", dice in un’intervista. Fonda Forza Campania. Si prepara alle elezioni europee. Ma ad aprile viene ricondotto in cella, insieme ai suoi fratelli Giovanni e Antonio. Questa volta è accusato di estorsione e concorrenza sleale con metodo mafioso. Secondo i magistrati, si comportava da boss nel campo dei distributori di carburante, il business di famiglia. I fratelli Cosentino finiscono in galera in buona compagnia: con altre dieci persone, tra cui nientemeno che Pasquale e Antonio Zagaria, i fratelli di Michele, boss indiscusso di un clan dei Casalesi. Secondo l’accusa, Nicola Cosentino e i suoi fratelli "attraverso un sistema di coercizione nei confronti di amministratori e funzionari pubblici locali", avrebbero costretto il Comune di Casal di Principe e la Regione Campania a compiere atti illegittimi "per impedire o rallentare la creazione di altri impianti da parte di società concorrenti". Così erano avvantaggiate le società di famiglia, con il sostegno dei boss: "Nicola Cosentino vanta un rapporto stabile con il clan dei Casalesi", scrivono i magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Napoli. L’ex ministro a Regina Coeli Odore di mafia anche nell’arresto di Scajola, portato in manette a Regina Coeli. È accusato dalla procura di Reggio Calabria di aver favorito la latitanza di Matacena, condannato definitivo per concorso esterno ai clan della ‘ndrangheta. Secondo le accuse, l’ex ministro dell’Interno aveva pianificato il trasferimento di Matacena verso il Libano e l’occultamento all’estero dei suoi capitali. Da Reggio, basta passare lo Stretto per raggiungere la Sicilia e assistere all’arresto, un mese dopo Cosentino e sette giorni dopo Scajola, del deputato Francantonio Genovese. La sera del 15 maggio si presenta al carcere Gazzi di Messina. L’accusa: essere a capo di un sodalizio criminale che attraverso truffe, riciclaggio, peculato e reati vari ha sottratto milioni di euro di finanziamenti europei alla formazione professionale per arricchirsi e fare propaganda elettorale. Quando fu candidato dal Pd alla Camera, era già indagato. Il suo caso era stato segnalato dal Fatto e da Report: invano. La commissione di garanzia del Pd di Pier Luigi Bersani non trovò nulla da dire sulla candidatura. Dopo la sua elezione e dopo due mesi dalla richiesta d’arresto da parte dei magistrati, la Camera vota: 371 sì, 39 no, 13 astenuti. Votano sì anche i deputati del Pd di Matteo Renzi, tranne sei che votano no insieme ai berlusconiani, 13 in missione e 33 che non partecipano al voto. "Quello che hanno fatto a mio cognato la ritengo una schifosissima scelta elettorale", dichiara a caldo Franco Rinaldi, deputato regionale del Pd, cognato di Genovese e con lui indagato nell’inchiesta della procura di Messina. Il 25 maggio, dieci giorni dopo l’arresto di Genovese, ci sono infatti le elezioni europee. Il giorno dopo tocca a Corrado Clini, per 25 anni direttore generale e poi ministro all’Ambiente. Secondo il gip di Ferrara, lui e i suoi complici "hanno messo in atto un complesso e sofisticato meccanismo" per appropriarsi di denaro pubblico "conseguendo ingenti profitti": oltre un milione di euro, parte del finanziamento che il governo italiano aveva concesso per il progetto New Eden in Iraq. L’arresto di Dell’Utri è invece una storia annunciata. La sentenza della Corte d’appello di Palermo che lo condanna a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa è del 25 marzo 2013. Ma l’ex senatore, per decenni intermediario tra Cosa nostra e Silvio Berlusconi, scompare. Viene rintracciato il 12 aprile 2014 a Beirut. Arrestato in Libano, viene estradato in Italia il 13 giugno e accompagnato al carcere di Parma. Il 9 maggio la Cassazione aveva resa definitiva la sua condanna. Il "crollo" del sistema Mose Il 4 giugno scatta la retata del Mose: 35 arresti, 100 indagati, 300 perquisizioni. Nel gruppo c’è anche Galan, accusato di avere ricevuto uno "stipendio" milionario per facilitare gli affari veneziani. Lambiti dalle indagini anche gli ex ministri Pdl Giulio Tremonti e Altero Matteoli. Galan sarà arrestato solo a luglio, dopo il voto della Camera: 395 sì, 138 no e due astenuti. Il 22 luglio entra nel carcere di Opera, alla periferia di Milano. "Sono trattato come un appestato", dichiara. Lo stesso giorno torna in cella anche Alfonso Papa, ex parlamentare Pdl ed ex magistrato, già sotto processo per la vicenda P4. È accusato di concussione aggravata dalla finalità mafiosa, per i rapporti stretti con imprenditori legati al clan camorristico Belforte. Avanti il prossimo. Senza alcun brivido e con molta assuefazione. Giustizia: inchiesta Mose, Galan in carcere non risponde al gip e consegna un memoriale L’Unità, 26 luglio 2014 Fin dagli esordi dello scandalo sulle tangenti del Mose, l’ex governatore del Veneto, Giancarlo Galan, si è proclamato innocente. Difendendosi dalle accuse di corruzione per aver intascato 800 milioni di euro per la realizzazione del sistema di protezione dall’acqua alta a Venezia con toni anche piuttosto coloriti: "Stanno tentando di scaricare su di me nefandezze altrui. Non mi farò distruggere per misfatti commessi da altri". Ieri mattina, però, nel corso dell’interrogatorio di garanzia tenuto per rogatoria davanti al gip di Milano Cristina di Censo nel carcere di Opera, dove si trova detenuto per ragioni di salute, il parlamentare di Forza Italia ha perso la sua solita vis polemica e si è avvalso della facoltà di non rispondere. Per contestare tutte le accuse che gli vengono mosse, hanno riferito i suoi legali, Galan ha preferito scrivere un memoriale di suo pugno, accompagnato da una copiosa mole di documenti, per controbattere alle tesi della procura di Venezia, spiegare la provenienza dei suoi conti correnti, il budget destinato al restauro della sua villa (che secondo gli inquirenti sarebbe stata pagata con parte delle presunte tangenti), e per raccontare le ragioni che lo hanno spinto nel 2005 a licenziare la sua allora segretaria Daniela Minutillo, oggi tra i principali testimoni dell’accusa, insieme all’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, e all’imprenditore Piergiorgio Baita. La Minutillo, si legge nella memoria scritta, "aveva di fatto una gestione esclusiva della segreteria attraverso contatti di cui il presidente non era informato". Nelle carte depositate, Galan farebbe poi riferimento a specifici episodi per evidenziare la sua totale estraneità a qualsiasi vicenda corruttiva e, per quanto riguarda i lavori per la sua villa nel padovano, individuerebbe movimentazioni bancarie riconducibili a propri conti correnti che dimostrerebbero che ogni spesa è stata pagata da lui e non da altri. Ancora. Relativamente alle accuse di Mazzacurati, l’esponente di Forza Italia ha ricordato che sono molto generiche e che ne lui né Baita hanno mai detto di avergli consegnato del denaro: "Non si comprende a questo punto chi gli abbia mai consegnato dei soldi" ha sottolineato ieri il suo legale. "Risulta poi dalle carte processuali che Mazzacurati si appropriava dei soldi. È comodo quindi affermare di averli consegnati a questo o a quello, per poi coprire le proprie responsabilità". Per l’avvocato, in sostanza, attraverso la memoria depositata, Galan "ha dato una risposta puntuale a tutte le contestazioni". Sul piano difensivo, intanto, l’attenzione si sposta al primo agosto prossimo quando il Tribunale del riesame dovrà affrontare la questione della richiesta di scarcerazione dell’ex governatore del Veneto: "Lì discuteremo sui gravi indizi di colpevolezza e sulle esigenze cautelari" ha concluso infine il suo rappresentante legale. Intanto non si ferma la polemica politica sorta in seguito all’arresto, che è stato possibile grazie alla delibera di autorizzazione varata pochi giorni fa dalla Camera dei deputati. Dopo la visita in carcere della collega di Forza Italia, Daniela Santanchè, "ho trovato Giancarlo forte e combattivo", Galan ha ricevuto anche quella del deputato Luca Squeri: "Un terzo di chi è in custodia cautelare risulterà essere innocente" ha scritto, con evidente tono critico, su Twitter. Giustizia: nel carcere di Opera Galan riceve visita dei parlamentari Santanché e Gallera Ansa, 26 luglio 2014 In attesa di incontrare oggi il magistrato è stata una giornata di visite quella di ieri in carcere ad Opera (Milano) per l’ex presidente del Veneto Giancarlo Galan. Oltre al suo avvocato e amico Niccolò Ghedini, Galan ha incontrato la deputata di Forza Italia Daniela Santanché e il segretario lombardo del partito e consigliere regionale Giulio Gallera. Ai suoi ospiti Galan, come indicano alcuni quotidiani, è apparso "combattivo, determinato a proseguire nella sua battaglia". Al di là degli aspetti politici della vicenda che lo vede coinvolto l’ex ministro avrebbe messo in evidenza una condizione umana di amarezza legata al sentimento d’amore verso la famiglia. "Mi ha detto che il suo problema più grande - ha riferito Santanché - è quello di non potere parlare con la moglie e la piccola figlia. Non ha ancora ricevuto i libri che aveva portato con sé e per ora passa il tempo leggendo l’ordinanza". Anche Gallera lo ha trovato "reattivo e pronto a combattere". "È molto su di morale - ha sottolineato l’esponente forzista lombardo - ma mi ha confessato di avere chiuso con la politica". Lettere: caro Papa Francesco… ricordati di chi soffre in galera di Domenico Letizia (Segretario Radicali Caserta) Il Garantista, 26 luglio 2014 Oggi, dopo decenni, la città di Caserta ritorna ad accogliere il Papa. In questa occasione noi dell’Associazione radicale "Legalità e "Trasparenza" aderiremo al Satyagraha in corso del leader radicale, Marco Pennella, della segretaria di Radicali Italiani, Rita Bernardini, e della comunità penitenziaria per garantire quella assistenza oggi negata a migliaia di detenuti che non possono essere curati nelle strutture carcerarie, ma anche per rilanciare la riforma della giustizia e la proposta di un’amnistia per la Repubblica. Io ho deciso di intraprendere un digiuno di 24 ore, insieme a Luca Bove, membro del Comitato nazionale di Radicali Italiani, ai militanti radicali Giuseppe Ferrara, Giancarlo Autiere e Carmela Esposito e al giornalista Fabrizio Ferrante. Alla nostra giornata di digiuno nonviolento ha scelto di aderire anche il senatore del gruppo Gal, Vincenzo D’Anna, iscritto alla associazione radicale dì Caserta e da tempo vicino alle iniziative della galassia radicale sulla giustizia giusta. Unirci all’iniziativa nonviolenta radicale in un giorno così importante per la città di Caserta ha un significato emblematico. Anche Papa Francesco in una passata telefonata a Pannella ha voluto richiamare l’attenzione sul problema di dignità e di diritti violati e calpestati che vive l’intera comunità penitenziaria. Saremo quindi in sciopero della fame per non fax calare l’attenzione sul grave stato delle nostre galere e sulle pessime condizioni di vita a cui sono sottoposti i detenuti in Italia. Una vergogna che noi radicali denunciamo da sempre, che è stata motivo di ripetute condanne da parte della Corte europea dei diritti dell’Uomo e che poche settimane fa è finita anche nel mirino dell’Orni (sebbene la recente visita in Italia del Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulla detenzione arbitraria sia stata censurata dai media, così come le parole del suo presidente, Mads Andenas). Per il nostro ultimo congresso, che si è tenuto il 19 luglio scorso, abbiamo scelto il tema: "Diritti umani e riforma della giustizia per gli Stati Uniti d’Europa". Ed è proprio dai diritti umani che vogliamo ripartire anche qui a Caserta, dove i gravi problemi della giustizia e delle carceri riguardano anche le comunità penitenziarie presenti sul nostro territorio, come la "Nuova Casa Circondariale di Santa Maria Capua Vetere". A questo proposito, sullo stato delle sfrattare penitenziarie locali, abbiamo intenzione di coinvolgere anche la comunità episcopale del casertano. Magari proprio approfittando della visita di papa Francesco nella nostra città. Lettere: Toto Cuffaro e altri 78 scrivono a Rita Bernardini "digiuniamo con te" di Micol Ranieri Il Garantista, 26 luglio 2014 Del suo nome conosciamo soltanto le iniziali: G. M.. Ma la sua storia la dice lunga sui mali del carcere. G. M. aveva un problema a un occhio, un problema serio, e per questo stava seguendo tutte le cure necessarie. Poi, all’improvviso, a causa di un vecchio reato è stato portato in carcere, a Reggio Calabria, e dal momento dell’ingresso in cella ha dovuto sospendere ogni cura. Nel giro di poco tempo quell’occhio l’ha perso e ora G. M. rischia di perdere anche l’altro. Di Giovanni, invece, conosciamo anche il cognome, Pucci, e l’età: 44 anni. Non solo. Sappiamo che era originario di Lecce, che aveva già scontato diversi anni di carcere e ora godeva di un regime di semilibertà. E che recentemente si era anche sposato. Ma da ieri Giovanni non c’è più. È stato trovato morto, impiccato, nella sua cella del carcere Due Palazzi di Padova. Poche ore prima era stato sentito dagli investigatori nell’ambito dell’inchiesta su un traffico di droga tra le mura dell’istituto. E forse si è ucciso per paura di un aggravamento di pena (sarebbe uscito di galera al 2021): non una bella prospettiva, soprattutto in un carcere in cui la popolazione detenuta è il triplo di quella prevista dalla capienza regolamentare. Solo il giorno prima, nel carcere di Trento, si era ucciso un detenuto di appena 32 anni. Storie di ordinaria mattanza e malasanità in carcere. Due fronti su cui sta conducendo una dura battaglia nonviolenta la segretaria di Radicali Italiani Rita Bernardini, oggi a! 26esimo giorno di sciopero della fame. Al fianco suo e di Marco Pannello oltre 300 persone, tra cui 78 detenuti del gruppo universitario di Giurisprudenza di Rebibbia che le hanno annunciato la propria adesione in una bella lettera aperta. La prima firma è di Salvatore (Toto) Cuffaro. Lettere: più che la pena poté la fiducia di Emanuela Vinai Avvenire, 26 luglio 2014 Se vi comportate bene fino a dicembre, prima di Natale venite da me e ve le regalo io le scarpe da ginnastica". Tutto si aspettavano, tranne una ramanzina costruttiva i due giovanissimi marocchini arrestati con l’accusa di tentato furto aggravato di un paio di scarpe e di un carica batterie. Al termine dell’udienza per direttissima al Tribunale di Bergamo, il giudice Donatella Nava, dopo aver convalidato l’arresto dei ragazzini, ha smesso per un attimo i panni del magistrato e ha indossato quelli, se possibile più scomodi, dell’educatore. Così, come siamo abituati a vedere in innumerevoli puntate di "legal drama" statunitensi, ma regalando un finale inconsueto per le nostre aule di giustizia, il giudice ha voluto aggiungere alla condanna non una pena accessoria, ma una promessa personale. Considerando le situazioni di grave disagio familiare dei due, ha prima di tutto ricordato loro che certi atti possono rovinare la vita per sempre e condurre a cose peggiori, dopodiché si è impegnata in una duplice promessa. Se i ladruncoli dimostreranno di aver capito la lezione e si comporteranno bene, lei, dal canto suo, regalerà quel paio di sneakers tanto desiderato. Un po’ Fata Madrina e un po’ Giudice Amy, il magistrato di Bergamo ha voluto dare un’opportunità a chi si aspettava soltanto una punizione, scegliendo di affidarsi alla fiducia reciproca. Solo il tempo dirà se è stata ben riposta. La sceneggiatura, adesso, è in mano ai protagonisti veri. Sardegna: Sdr; azione forte delle istituzioni, per salvare le carceri di Iglesias e Macomer Ristretti Orizzonti, 26 luglio 2014 "Iglesias e Macomer sono due facce della stessa medaglia. Non si possono salvare con interventi personali. Occorre che i Parlamentari eletti in Sardegna facciano fronte comune con il Consiglio regionale e gli amministratori locali per dimostrare con i fatti che l’isola non può essere serva di un progetto incomprensibile, irrazionale e antieconomico. Tutto il contrario della logica a cui l’Europa richiama l’Italia". Lo sostiene Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione "Socialismo Diritti Riforme" affermando la "necessità di un’azione forte da parte dei diversi livelli istituzionali". "È evidente - sottolinea - che le valutazioni sull’efficienza del sistema detentivo sardo sono di tipo ragionieristico e non tengono conto dell’impatto sociale del recupero e reintegrazione dei detenuti. Del resto spostare i 96 ristretti di Iglesias a Sassari o a Lanusei significa aggravare strutture che, secondo quanto indicato dal Ministero, sono in sovraffollamento. Analogamente i 53 cittadini privati della libertà di Macomer renderebbero ulteriormente più pesante la situazione a Massama o a Nuoro". "Negli ultimi dieci anni sono mancate - evidenzia la presidente di Sdr - politiche di prevenzione sociale e di programmazione economica. Si è accumulato un disagio sociale che non può essere ancora riversato sul sistema detentivo. Si rischia, infatti, di peggiorare la situazione accorpando in Villaggi penitenziari persone con problematiche differenti nel tentativo di impedirne, con alte e spesse mura, la visione. La Sardegna deve poter fare eccezione mantenendo la finalità del carcere di Iglesias e indicando una specializzazione per quello di Macomer". "La loro dismissione, al pari di quanto avvenuto per il carcere di Busachi (Or) costruito e mai inaugurato, ricadrà interamente sulle precarie finanze delle amministrazioni comunali che - conclude Maria Grazia Caligaris - difficilmente potranno intervenire di immobili in cemento armato con caratteristiche non modificabili se non con investimenti di molte migliaia di euro". Padova: detenuto di 44 anni suicida in cella, gli era stato revocato permesso lavoro esterno di Paolo Melchiorre Ansa, 26 luglio 2014 Giovanni Pucci, 44 anni, elettricista di Castrignano dei Greci (Lecce), è stato trovato morto impiccato nella sua cella nel carcere Due Palazzi di Padova. Quasi nessun dubbio che si tratti di un suicidio. Sulla sua terribile decisione di farla finita potrebbe avere inciso quel colloquio di pochi giorni fa con un magistrato, quando aveva saputo di essere sospettato di coinvolgimento in un presunto traffico di stupefacenti nel carcere di Padova. Per questo motivo da una decina di giorni il Magistrato di Sorveglianza gli aveva sospeso il permesso di lavorare all’esterno. Pucci, con un passato da tossicodipendente, stava scontando una condanna a 30 anni di reclusione per omicidio e sequestro di persona. Fu lui, poi reo confesso, la notte tra il 24 e il 25 aprile 1999 ad uccidere con colpi di cacciavite alla testa la dottoressa Maria Monteduro, 40 anni, che era in servizio di guardia medica a Gagliano del Capo (Lecce), comune in cui era anche assessore ai Servizi sociali. Al momento del delitto, secondo investigatori e giudici, Pucci era sotto l’effetto di un cocktail di stupefacenti. Per quell’omicidio, Pucci era stato condannato all’ergastolo nei tre gradi di giudizio, pena poi rideterminata definitivamente in 30 anni dalla Cassazione il 10 gennaio scorso su ricorso dei difensori (gli avvocati Luca Puce e Giuseppe Stefanelli, del foro di Lecce). La rideterminazione della pena aveva aperto per lui una serie di benefici, tant’è che aveva ottenuto di lavorare fuori dal carcere come elettricista e aveva un contratto a tempo indeterminato. Pucci usciva al mattino dal carcere e rientrava la sera per dormirvi; l’anno scorso si era anche sposato. Sulla carta avrebbe finito di espiare la pena nel 2021, ma il suo comportamento in carcere, fino a ieri irreprensibile, probabilmente gli avrebbe fatto anticipare quella scadenza. Il delitto di cui si era macchiato Pucci destò all’epoca scalpore soprattutto per la sua brutalità. Secondo quanto ricostruito dagli investigatori, Pucci uccise la dottoressa colpendola alla testa con un cacciavite dopo averla costretta a salire a bordo della sua Renault 19 e aver imboccato un viottolo di campagna. Per gli inquirenti ci sarebbe stato anche un tentativo di violenza sessuale. Pucci scomparve subito dopo il delitto ma venne rintracciato e arrestato cinque mesi dopo, il 24 settembre 1999, in Kazakistan, dov’era andato a trovare il padre, e fu estradato quattro giorni dopo. L’uomo confessò l’omicidio, anche se la sua versione dei fatti venne ritenuta dagli investigatori comunque piena di contraddizioni. Nell’inchiesta finirono anche un paio di presunti favoreggiatori, ma alla fine Pucci è stato l’unico a finire sotto processo e ad essere condannato. Il 2 ottobre 1999, a poca distanza dal luogo del ritrovamento del cadavere, fu trovata nel terreno l’arma del delitto, un cacciavite lungo una ventina di centimetri. Poi, nel giro di quattro anni, i diversi gradi di giudizio con una sentenza sempre identica: ergastolo. Fino a quella rideterminazione della pena ottenuta dalla Cassazione ad inizio 2014 che aveva aperto per Pucci la strada del reinserimento nella società. Percorso interrottosi definitivamente, e all’improvviso, la notte scorsa. Parma: la Garante regionale dei detenuti visita le sezioni speciali detentive per i "41-bis" Ristretti Orizzonti, 26 luglio 2014 Accompagnati da personale della Polizia penitenziaria, la Garante regionale dei detenuti, Desi Bruno, e il Garante di Parma, Roberto Cavalieri, hanno visitato nei giorni scorsi le sezioni speciali detentive presso gli Istituti penitenziari di Parma destinate ai detenuti sottoposti al regime speciale di detenzione ex art. 41bis. Al momento della visita, i reclusi sottoposti a questo regime erano 58. L’applicazione di tale regime detentivo avviene su provvedimento del ministro della Giustizia, qualora ricorrano gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica. Ciò comporta nei confronti dei detenuti (con particolare riguardo a coloro che rivestono ruoli di spicco in consorterie mafiose) la sospensione dell’applicazione delle normali regole di trattamento, anche al fine di impedire i collegamenti con l’associazione criminale di appartenenza. Gli spazi detentivi, con l’allocazione in celle singole, sono apparsi in buone condizioni igienico-sanitarie. I detenuti possono usufruire di un’ora di permanenza all’aperto (in alternativa, l’utilizzo della palestra secondo i turni stabiliti) e di un’ora per la socialità, in gruppi selezionati di non più di quattro persone. Ogni contatto con gli appartenenti ad altri gruppi è vietato. La corrispondenza è sottoposta a visto di censura, salvo quella con membri del Parlamento o con autorità europee o nazionali aventi competenza in materia di giustizia. I pasti vengono consumati nelle celle; è vietato cuocere cibi, ma è consentito l’uso dei fornelli autoalimentati per riscaldare cibi già cotti. Il provvedimento stabilito dal ministro della Giustizia dura quattro anni, prorogabili se risulta la capacità di mantenere collegamenti con l’associazione criminale, tenuto conto del profilo criminale e della posizione rivestita nella consorteria, della perdurante operatività del sodalizio criminale, della sopravvenienza di nuove incriminazioni, degli esiti del trattamento penitenziario e del tenore di vita dei familiari. Nel visitare le sezioni parmensi, la Garante ha raccolto le segnalazioni di alcuni detenuti. In particolare, si denunciano difficoltà del mantenimento dei rapporti con i familiari, anche in ragione delle restrizioni previste dalla legge. Infatti, i reclusi in regime di ex 41bis, possono svolgere un solo colloquio mensile, della durata di un’ora, esclusivamente con familiari e conviventi, salvo casi eccezionali; il colloquio avviene in apposti locali muniti di vetri o altre separazioni a tutta altezza, che non consentano né il contatto fisico, né il passaggio di oggetti, con controllo auditivo e registrazione. A coloro che non effettuano colloqui, può essere autorizzata una telefonata mensile di dieci minuti, sottoposta a registrazione. Modena: Bernardini (Ri); magistrato appena nominato va in ferie al rientro va in pensione www.radicali.it, 26 luglio 2014 Dichiarazione di Rita Bernardini, Segretaria di Radicali italiani, giunta oggi al 25° giorno di sciopero della fame: "Mentre si scaricano sui Magistrati di Sorveglianza e sui loro uffici ulteriori compiti ai quali adempiere - vedi il decreto leggi sulle carceri in fase di conversione - e mentre da anni i Tribunali di Sorveglianza non riescono a seguire nemmeno l’ordinaria amministrazione, all’Ufficio di Sorveglianza di Modena accade quel che scriverò in seguito, grazie alla testimonianza di una donna che da tempo sta cercando di interloquire con il Magistrato, stressata da telefoni che non rispondono, uffici che non chiariscono e che rimandano sine die gli adempimenti che competono loro per legge. Da tempo a Modena non c’è il Magistrato di Sorveglianza che ha la competenza anche degli internati di Castelfranco Emilia. Questo significa che delle istanze dei detenuti nei due istituti nessuno si occupa: niente permessi, niente licenze, niente ingressi nelle comunità terapeutiche, solo per fare qualche esempio. Quanto al Magistrato di Sorveglianza di Modena, la signora della quale ho scritto in premessa, mi ha riferito che - dopo tanti giorni di peripezie - dall’Ufficio di Sorveglianza le hanno risposto che "neanche loro sanno quando arriverà da Roma il sostituto e che è tutto fermo fino al suo arrivo". Decisa a non mollare, la signora telefona al Ministero, dove le consigliano di telefonare al CSM. Riesce a parlare con la sezione Settima dove le riferiscono che a loro risulta che il magistrato ha già preso l’incarico e che si tratta del dott. Sebastiano Bongiorno. Forte di questa notizia - la signora ritelefona all’ufficio di Modena dove finalmente le dicono che effettivamente il magistrato ha preso l’incarico… ma è andato in ferie e, comunque, anche dopo le ferie non rientrerà perché… andrà in pensione! Constato, attraverso una ricerca fatta al volo su internet, che in effetti il Dott. Bongiorno (Magistrato e politico eletto nel 94 nella lista dei Progressisti) ha assunto servizio l’8 luglio scorso e che la decisione del Csm risale al 19 febbraio. Faceva parte della vasta schiera di Magistrati fuori ruolo presso il Ministero della Giustizia (Dap): la pacchia pertanto avrebbe dovuto finire, ma il dott. Bongiorno, come abbiamo visto, ha trovato un’alternativa. Dal canto suo, il magistrato di Reggio Emilia -che in teoria sostituisce quello di Modena- non firma le licenze, quindi il risultato è che tutti i semiliberi che regolarmente usufruiscono di licenze, proprio nei mesi più caldi di luglio, agosto e settembre, non avranno la possibilità di esercitare un loro diritto. Inoltre, in molti avevano già prenotato le ferie per andare nei loro paesi di origine a trovare i genitori, che a loro volta aspettavano da tutto l’anno questo momento. Di fronte a questa situazione, il Ministero della Giustizia tace, così come tacciono al Csm e la Procura Generale della Corte di Cassazione: è estate, i magistrati vanno in ferie e quanto prescritto dalla legge può attendere, in un Paese pluricondannato per violazione dei diritti umani fondamentali. Caserta: carceri sovraffollate, Radicali scrivono al Papa e avviano uno sciopero della fame www.campanianotizie.com, 26 luglio 2014 Sabato 26 luglio in occasione della visita di Papa Francesco a Caserta, l’Associazione Radicale "Legalità e Trasparenza" aderisce al Satyagraha in corso di Marco Pannella, Rita Bernardini e della comunità penitenziaria per garantire le cure oggi negate a migliaia di detenuti che non possono essere "curati" nelle strutture carcerarie, rilanciare la riforma della giustizia e la proposta di Amnistia per la Repubblica. Eseguiranno un digiuno di 24 ore il segretario dei Radicali Caserta Domenico Letizia, Luca Bove membro del Comitato nazionale di Radicali Italiani e i militanti Giuseppe Ferraro, Giancarlo Autiero e Carmela Esposito. Alla giornata di sciopero della fame ha aderito anche il senatore del gruppo Gal, Vincenzo D’Anna, iscritto all’ Associazione radicale di Caserta. Ad intervenire è il segretario dei Radicali di Caserta che dichiara: "Ci uniamo all’iniziativa non violenta in corso di Marco Pannella e di Rita Bernardini proprio in un giorno così emblematico per il casertano. Anche il Papa in una passata telefonata a Pannella ha richiamato l’attenzione sul problema di dignità e di diritto che vive tutta la comunità penitenziaria. Saremo in sciopero della fame anche con il senatore D’Anna per non far calare l’attenzione sulla problematica che da sempre denunciano i Radicali e da qualche tempo anche la Commissione dei diritti umani delle Nazioni Unite". Ad intervenire è anche Luca Bove del Comitato Nazionale di Radicali Italiani che dichiara: "Siamo lieti della visita di Francesco nella città di Caserta ma non possiamo dire lo stesso su come l’amministrazione locale ha gestito l’evento, questione che affronteremo di sicuro nei prossimi giorni. La nostra adesione al Satyagraha di Marco Pannella e Rita Bernardini ,ha anche lo scopo di attirare l’attenzione su tante problematiche che attanaglino la città di Caserta, che spesso abbiamo denunciato, la nostra non è una protesta, come spesso viene considerata dalla stampa, è un nostro modestissimo tentativo di interloquire con il papa e che nessuno si scandalizzi del fatto che i radicali provano a interloquire con il Papa ma di sicuro ci sarà chi urlerà allo scandalo ,a questi consiglio di leggere la lettera di P.P. Pasolini" Catania: giovani detenuti e artisti, insieme per ridare colore al Rione di San Berillo www.cataniatoday.it, 26 luglio 2014 Quindici giovani detenuti seguiranno un corso di formazione di cento ore e poi, per altre duecento ore, lavoreranno in cantiere lungo la via delle Finanze per dare, come ha spiegato l’assessore al Decoro urbano Salvo Di Salvo, "dignità e nuova vita agli edifici più fatiscenti". "Daremo un po’ di colore e di vita a un quartiere della città che oggi sta dando splendidi segnali di voglia di riscatto". Lo ha detto il sindaco di Catania Enzo Bianco firmando, nella Sala giunta di Palazzo degli Elefanti, il protocollo d’intesa tra Amministrazione comunale, Accademia di Belle Arti e Scuola edile per il rilancio e la riqualificazione di San Berillo. Grazie all’iniziativa, che partirà in settembre, quindici giovani detenuti seguiranno un corso di formazione di cento ore e poi, per altre duecento ore, lavoreranno in cantiere lungo la via delle Finanze per dare, come ha spiegato l’assessore al Decoro urbano Salvo Di Salvo, "dignità e nuova vita agli edifici più fatiscenti, sui quali interverranno poi insegnanti e studenti dell’Accademia che con la loro fantasia daranno un tocco artistico e di colore". "Cercheremo di dare - ha sottolineato Bianco - un volto nuovo alla zona con azioni di recupero degli edifici. Naturalmente non si tratta di interventi che risolvono i problemi di San Berillo, ma l’iniziativa ha anche una forte valenza sociale e, insieme con quelle spontanee degli abitanti del quartiere, valorizza un quartiere che vuol tornare a vivere". Il Sindaco ha ricordato la festa organizzata nei giorni scorsi in via Pistone e, parlando con i giornalisti, ha rivelato come sia sua intenzione chiuderla al traffico, "in modo da favorire la nascita di botteghe di artigiani e artisti, sviluppando la cultura in un quartiere che paga un pregiudizio e che deve rinascere". "L’operazione - ha ricordato Di Salvo - si inserisce nell’ambito del progetto "Catania Agorà", e intende riqualificare, con la partecipazione attiva dei cittadini, a cominciare dal Comitato spontaneo, uno dei quartieri più ricchi di tradizione e storia di Catania. Stiamo cercando di operare senza sradicare alcuno ma, nel rispetto delle leggi, facendo convivere le varie attività e le varie anime della zona, ossia migranti, giovani artisti, artigiani, creando armonia pur tra le tante contraddizioni del quartiere". Il presidente della scuola Edile di Catania Giuseppe Piana ha spiegato che gli allievi della scuola, con i giovani detenuti, si occuperanno di ripristinare e consolidare i supporti murari, mentre l’obiettivo dell’Accademia, come ha sottolineato il direttore Virgilio Piccari, sarà quello di "ridare valore alla bellezza offesa attraverso l’opera di giovani artisti, che intendono prendere possesso del territorio per farlo rinascere a una nuova vita culturale e artistica". Un plauso all’iniziativa è venuto anche da Maria Randazzo direttrice del carcere di Bicocca, che ha sottolineato come il progetto sia "un’occasione di riscatto e di qualificazione professionale per quindici giovani detenuti dai 18 a 25 anni", concetto ribadito da Vincenza Speranza dell’Ufficio Servizi Sociali del ministero di Giustizia. All’incontro erano presenti anche il rappresentante della Soprintendenza Nicola Neri, i presidenti della Prima circoscrizione Salvo Romano, del Comitato Cittadini San Berillo Roberto Ferlito e delle associazioni Ideazioni, Grazia Capuano, e Asifi, Saurina Gomez, il direttore della Scuola Edile, Giacomo Giuliano. Bologna: Università in carcere, dalla Regione contributo di 400 euro a chi vuole studiare di Rosario Di Raimondo La Repubblica, 26 luglio 2014 Grazie a un contributo regionale i detenuti del carcere bolognese della Dozza si pagheranno l’iscrizione all’Ateneo Alma Mater. Un contributo economico di 400 euro ai detenuti che vogliono iscriversi all’università. Succede alla Dozza di Bologna, una delle carceri più grandi dell’Emilia-Romagna, attraverso il progetto sperimentale finanziato dalla Regione e previsto per gli anni accademici 2014-2015 e 2015-2016. All’inizio ci sarà posto per 20 persone e 12 si sono già iscritte, grazie alla prospettiva di una copertura parziale delle spese. L’iniziativa rientra in un percorso ambizioso: portare l’università dentro dietro le sbarre. Con un protocollo firmato lo scorso dicembre dal rettore dell’Alma Mater Ivano Dionigi, dalla direttrice della Dozza Claudia Clementi e dal provveditore regionale per l’Amministrazione penitenziaria Pietro Buffa, si è dato il via alla nascita di un Polo universitario dentro le mura della casa circondariale. Aule, materiale didattico, computer e docenti: un distaccamento a tutti gli effetti dell’Ateneo più antico del mondo occidentale, che sorgerà tra pochi mesi. Il contributo di 400 euro è garantito dall’assessore regionale alla Scuola Patrizio Bianchi. E va di pari passo con le iniziative della titolare del Welfare Teresa Marzocchi a favore dell’"umanizzazione della pena". Anche nelle carceri dell’Emilia-Romagna, come nel resto d’Italia, non mancano le difficoltà. A partire dal sovraffollamento: in 12 strutture vivono 3.241 detenuti, a dispetto di una capienza regolamentare di 2.798 unità. E sempre più spesso i sindacati denunciano la carenza degli agenti. Ma la cultura in carcere funziona. Nel 2013, in tutta la regione, 1.012 persone (tra cui 47 donne e 773 stranieri) hanno frequentato corsi di alfabetizzazione, la scuola primaria e la secondaria di primo e secondo grado e i corsi universitari Sanremo: un detenuto ha aggredito e ferito un Poliziotto penitenziario www.riviera24.it, 26 luglio 2014 Cercando di impossessarsi di un manico di scopa ha tentato di aggredire anche gli altri poliziotti che sono intervenuti i quali hanno prontamente contenuto le escandescenze del detenuto il quale è stato denunciato e vedrà allungare la sua pena Ieri mattina un detenuto italiano, recluso presso la Casa circondariale di San Remo, durante una normale operazione di servizio, ha aggredito un poliziotto penitenziario colpendolo con un pugno all’orecchio ed è stato costretto al ricovero ospedaliero. Ma il suo impeto aggressivo non si è limitato al duro attacco al collega: cercando di impossessarsi di un manico di scopa ha tentato di aggredire anche gli altri poliziotti che sono intervenuti i quali hanno prontamente contenuto le escandescenze del detenuto il quale è stato denunciato e vedrà allungare la sua pena posdatandola al limite previsto del 2022. A darne notizia è la segreteria regionale del Sappe che fa presente il costante pericolo aggressione a cui sono sottoposti i nostri poliziotti - Auspico una pronta guarigione al collega ferito - commenta il segretario Lorenzo - e on oso immaginare cosa sarebbe potuto succedere se il collega aggredito fosse stato da solo, quindi determinante è stato l’intervento degli altri colleghi presenti nei pressi dell’aggressione. Ricordo che il poliziotto penitenziario il più delle volte è solo a controllare più piani detentivi, così come i cortili passeggi dove, specialmente in estate, sono presenti dai 30 ai 50 detenuti o il controllo delle sale colloquio. Siamo contrari al progetto chiamato "sorveglianza dinamica" ossia la presenza del poliziotto in postazione tra i detenuti lasciati liberi dalle loro celle". "Riteniamo utile sensibilizzare l’Amministrazione sul rispetto delle norme sulla prevenzione e sicurezza a tutela del personale, prima ancora di attuare quei progetti che aumentano i pericoli per gli operatori di Polizia Penitenziaria. - continua il Sappe - oggi i detenuti presenti a San remo sono 218 (112 italiani e 106 stranieri) numeri che si allontano da quelli a cui si era abituati nei mesi scorsi quando si sono toccate anche le 300 unità, ma come stiamo registrando in diversi istituti della Regione, gli eventi critici si verificano sempre con frequenza. La Polizia Penitenziaria a San Remo è carente di 74 poliziotti". Sassari: cinque ex detenuti coltivano il futuro in un orto solidale di Antonio Meloni La Nuova Sardegna, 26 luglio 2014 Tottubella, progetto di reinserimento della Coop "Differenze". Programma basato sul metodo dell’orticoltura sinergica. L’obiettivo è la riabilitazione di persone reduci da esperienze negative. Il sistema, l’attività agricola praticata secondo il metodo innovativo dell’orticoltura sinergica. Una formula vincente collaudata e messa a punto con successo dagli operatori della cooperativa "Differenze", fondata nel 2009 dal sacerdote salesiano e cappellano del carcere Gaetano Galia. Ieri, in un terreno di Tottubella, dove la cooperativa ha impiantato un’azienda, i responsabili del progetto "Orti solidali", realizzato in collaborazione con l’amministrazione carceraria, hanno organizzato un incontro per illustrare i risultati della prima fase di un programma studiato con l’intento di formare cinque persone in affidamento ai servizi sociali per prepararle a gestire in autonomia un orto agricolo sinergico. "Il nostro obiettivo - spiega infatti Luciano Piras, presidente della cooperativa "Differenze" - è quello di sfruttare la componente pedagogica dell’attività agricola usandola nel processo di riabilitazione, per consentire a persone che vivono nel disagio derivante da condizioni di degrado non solo di riacquistare consapevolezza e dignità, ma anche di imparare materialmente un mestiere. Il saper fare, e la concreta possibilità di fare, rappresentano infatti già un primo passo spesso decisivo nel rinserimento". La scelta dell’agricoltura sinergica non è un caso, perché l’attività agricola è praticata secondo principi di sostenibilità. Sul piano tecnico, il campo viene coltivato senza trattamenti di sintesi, senza lavorare il suolo, ma lasciando che la terra si nutra delle sostanze organiche prodotte dagli scarti. "Occorre preparare il terreno a mano con bancali di 40-50 centimetri di altezza - prosegue Piras - su superfici irrigate con impianto a goccia e ricoperte con uno strato di paglia". Un’attività economicamente sostenibile, dunque, per la quale la Cooperativa, che ha sede a Sassari, nella borgata di San Giorgio, ha avuto un finanziamento regionale di centomila euro e la concessione di terreni demaniali ad affitto agevolato per finalità sociali. Naturalmente l’attività non è fine a se stessa, ma è legata alla vendita dei prodotti agricoli che vengono poi inseriti all’interno di una filiera con il valore aggiunto della sostenibilità non solo economica. "L’aspetto importante - tiene a rimarcare Luciano Piras - è il fatto che i lavoratori, assieme alle tecniche agricole, imparano a fare lavoro di squadra, maturando consapevolezza e lavorando per obiettivi". La riabilitazione sociale, dunque, parte dalla terra e dal desiderio di riscatto che ognuno di loro trasforma in energia buona da impiegare nell’attività agricola. Il finanziamento regionale sosterrà il progetto per un anno, ma l’obiettivo della cooperativa è quello di creare un centro permanente che possa essere un punto di riferimento e di formazione per tutti coloro che vivono o hanno vissuto situazioni di disagio legate a esperienze negative. "L’idea di fondo - conclude infatti don Gaetano Galia - è quella di avviare questi progetti a monte, per realizzare percorsi di riabilitazione basati sugli stessi principi, ma alternativi alla detenzione, perché solo in questo modo è possibile la riabilitazione sociale e il reinserimento di persone che diversamente sarebbero soggette a ricadere facilmente nella devianza, l’auspicio, allora, è che progetti come questo possano sempre contare sul sostegno delle istituzioni pubbliche attraverso la destinazione di risorse finalizzate al recupero e alla riabilitazione sociale". Vigevano: detenuto cerca di uccidersi, salvato dalla Polizia penitenziaria La Provincia Pavese, 26 luglio 2014 Cerca di impiccarsi in cella, lo salvano gli agenti di polizia penitenziaria. Un tunisino 24enne, portato al carcere dei Piccolini per scontare una condanna a nove anni per concorso in omicidio, ha tentato di togliersi la vita, appena arrivato nella sezione "nuovi giunti". "Si tratta di un detenuto trasferito dal carcere di Bergamo, prima in una struttura psichiatrica e poi nel carcere di Vigevano", spiega il direttore della casa circondariale di via Gravellona, Davide Pisapia. Commenta Michele De Nunzio, della segreteria regionale Uil penitenziari: "L’ennesimo episodio che attesta le difficoltà quotidiane del lavoro della polizia penitenziaria. Oltre ad occuparsi di sicurezza sociale, è caratterizzato da una grande componente psicologica e gli agenti spesso si trovano a dover gestire situazioni di sofferenza psicofisica che talvolta sfociano in gesti autolesionisti". Prosegue sull’episodio De Nunzio: "Forse è giunto il momento che l’amministrazione centrale e periferica delle carceri prenda atto che la casa circondariale di Vigevano non può ospitare detenuti psichiatrici. Mentre dalle ultime assegnazioni, anche per ciò che riguarda il reparto femminile, questa non sembra essere un’informazione". Avellino: caos e violenza nel carcere di Ariano Irpino, la denuncia del Sappe www.irpinianews.it, 26 luglio 2014 Momenti di tensione nella Casa Circondariale di Ariano Irpino, nella sezione a regime aperto dove un gruppo di detenuti - secondo quanto riportato dal Sappe - ha opposto resistenza al Personale della Polizia Penitenziaria in servizio poiché pretendevano di recarsi in infermeria in gruppo per accompagnare un loro compagno che con molta probabilità aveva simulato un malessere. Infatti proprio quest’ultimo risulterebbe essere stato coinvolto attivamente nella azione violenta nei confronti del personale. Il gruppo dei detenuti era composto da due pugliesi e da un napoletano che sembrerebbe essere uno degli autori dell’eclatante evasione del 12 dicembre di due anni fa di Avellino. Degli agenti coinvolti, a seguito della aggressione subita e resistenza messa in atto dai detenuti, 4 sono stati contusi e refertati dal sanitario dell’Istituto del tricolle. Un detenuto distruggendo i suppellettili della stanza adibita alla socialità si è poi barricato nello stesso locale; un altro detenuto in segno di protesta ha ingoiato delle lamette da barba per cui è stato necessario il ricovero presso il locale nosocomio dove è tuttora piantonato dal personale del Corpo. Il terzo detenuto ha invece inscenato una protesta nella corsia del reparto. La Direzione dell’Istituto è stata costretta a chiedere rinforzo al personale smontante nella zona che recatosi in Istituto con grandi difficoltà, ma con alto senso di professionalità, unendosi al personale già colà in servizio, ha riportato la calma nella struttura penitenziaria arianese. "Ancora una volta - sottolinea Fattorello del Sappe Campania - bisogna registrare un atto di violenza e resistenza al personale posto in essere da detenuti ammessi al "regime aperto", ultima invenzione dell’Amministrazione che doveva garantire il disposto della sentenza Torreggiani del Tribunale di Strasburgo. Ancora una volta il Sappe denuncia le criticità che assillano la vita quotidiana del personale della Polizia Penitenziaria che continua a subire sulla propria pelle gli effetti deleteri di una cieca gestione dell’universo penitenziario da parte di una amministrazione centrale assente e lontana ai problemi del Corpo". Busto Arsizio: progetto "Esternamente", compie un anno il giornale web del carcere di Maria Teresa Antognazza Avvenire, 26 luglio 2014 Parole in libertà, che viaggiano attraverso la rete, scritte da chi la libertà la anela da dietro le sbarre. Ha compiuto un anno di vita il primo web magazine realizzato da detenuti. Siamo nella Casa Circondariale di Busto Arsizio, dove ogni giorno, in una piccola stanza dotata di qualche pc, si riuniscono gli otto redattori del giornale online per discutere, leggere la rassegna stampa e pensare agli articoli della settimana. Poi, il mercoledì, sotto la guida attenda dei tutor del progetto "Esternamente", di cui sono partner la società milanese di comunicazione Fenice Srl, Atena Srl e il consorzio Solco Varese Onlus, si svolge la riunione settimanale di redazione. Così nasce "Vocelibera.net", un progetto unico in Italia scaturito dall’idea di un detenuto "famoso", rimasto in cella a Busto per soli due mesi all’inizio del 2013, Fabrizio Corona, e che ora il fratello Federico prosegue con il coinvolgimento della Srl milanese. Nessuna connessione a internet per i detenuti, che consultano materiale di attualità e corrispondenza offline, grazie alla chiavetta usb portata in carcere dai tutor; con lo stesso sistema poi il magazine viene messo online da remoto, negli uffici della Fenice. Ma tutto nasce dietro le sbarre. Alex, 37enne, si occupa delle rubrica "da dentro", dove racconta il carcere e la vita in cella: "Quando parlo di cosa succede qui, cerco le cose positive, perché dobbiamo sempre tirar fuori il meglio dalle situazioni più negative: solo così possiamo pensare di reinserirci nella società". Poi c’è Ionut, rumeno di 27 anni, che ama scrivere di attualità e di sentimenti: "Con i miei articoli posso mandare messaggi a tutti, ai giovani soprattutto: dico loro di non fare i miei errori, di cercare i valori veri della vita. Il mio sogno è che queste parole arrivino anche in Romania e in tutte le carceri per creare una grande community". Per tutti i protagonisti della redazione, scrivere è diventato lo strumento per vivere positivamente l’esperienza del carcere ed "evadere" da una ruotine che è la condanna peggiore. Con il termine, mercoledì scorso, del progetto d’aula, il magazine è arrivato al giro di boa: "La speranza è di ricominciare a settembre - spiega il tutor Christian Contessa, direttore della comunicazione della Fenice, che segue la formazione dei giornalisti-detenuti. Abbiamo insegnato loro a scrivere articoli, a esprimere sentimenti e idee, con risultati eccellenti. Pensiamo anche di proporre a due di loro, a fine pena, l’assunzione nella nostra agenzia come primo passo di reinserimento nella società". Quello che in una dozzina di detenuti, alcuni poi trasferiti, hanno finora sperimentato nella prigione di Busto deve allargarsi ad altri reclusi. "È un’occasione veramente unica - dice la responsabile dell’area trattamentale, Rita Gaeta - per far arrivare all’esterno la voce del carcere, attraverso chi vive rinchiuso qui dentro, raccontando soprattutto ai giovani cosa significa essere privati della libertà in conseguenza dei propri errori". Padova: nel carcere Due Palazzi… una parrocchia "piccola ma combattiva" di Patrizia Parodi La Difesa del Popolo, 26 luglio 2014 Sono partiti in tre per far diventare quella del carcere una vera parrocchia. Ora sono a uno sbocco importante, don Marco Pozza, il cappellano, e la sua équipe: stanno per creare un vero e proprio consiglio pastorale, dopo aver incontrato 35 vicari foranei, congreghe e gruppi di giovani e giovanissimi. Quando hanno cominciato, tre anni fa, erano in tre: don Marco Pozza, Marco Antonio Longo (diacono permanente) e Chiara Rampazzo (catechista). Ora l’equipe della parrocchia del carcere si è infoltita e sta per compiere un passo importante: costituire un consiglio pastorale. "Il cammino compiuto finora - spiega don Marco - ci conferma che c’è margine per una progettualità anche a lungo termine. Quando siamo entrati qui ci siamo detti: proviamo, in cinque anni, a fare del carcere una parrocchia. Proviamo a dare, a questa comunità, uno stile diocesano. Ci stiamo lavorando! Anche solo il cammino di catecumenato degli ultimi due anni, portato avanti con il servizio diocesano, ci dice che la periferia del carcere è viva e feconda". L’equipe pastorale della casa di reclusione - in particolare i laici - ha cominciato a incontrare alcune congreghe, ma anche gruppi di giovanissimi, giovani o educatori "con l’obiettivo di far loro aprire gli occhi su una realtà che è parte integrante della nostra diocesi e per condividere la sfida, quotidiana, di ricostruire storie frantumate". Dentro all’equipe ci sono tempi e carichi di lavoro diversi. Don Marco entra in carcere tutti i giorni, dalle 9 alle 14. "La maggior parte del tempo, come per qualsiasi parroco, è dedicato ai colloqui con le persone, che spesso sfociano nella confessione. Poi celebro la messa, a volte anche con una sola persona, ma vogliamo che tutti sappiano che ogni giorno c’è qualcuno che prega per tutta la comunità. Al sabato e alla domenica, il lavoro è condiviso con l’equipe. Questo gruppo, che ha una carica umana fortissima, mi "costringe" a non lavorare da solo". Il resto dell’equipe arriva nella casa di reclusione il sabato pomeriggio per la catechesi. Poi torna alla domenica, per l’eucarestia. "Ci incontriamo per celebrare insieme le lodi. Viene anche il coro che è "di turno" quella domenica, tra i quattro della parrocchia del carcere. Poi vengono celebrate due messe. A metà, soprattutto quando sono stati presenti i vicari foranei, abbiamo fatto conoscere la realtà lavorativa del carcere; qualcuno ha confessato i detenuti, mentre altri hanno fatto due chiacchiere con loro". Non mancano, per l’equipe, i momenti di confronto e scambio. Settimanale, come già avviene, ma non solo. "A fine settembre passeremo alcuni giorni insieme. Per leggere il percorso di quest’anno, ma anche per darci alcune piste su cui camminare. Con l’obiettivo, come per tutte le parrocchie, di avere presto un consiglio pastorale". Alghero: Polo Universitario in carcere, per sostenere il progresso culturale dei detenuti www.vocedialghero.it, 26 luglio 2014 Il carcere non può essere considerato un’istituzione statica, immobile e insensibile ai bisogni rieducativi che la comunità esterna richiede, favorire la formazione e soprattutto quella scolastica è lo strumento adottato dal carcere di Alghero per sostenere il progresso sociale e culturale dei detenuti. All’interno della struttura dove da ormai 15 anni è presente il corso di studi ad indirizzo alberghiero (Ipsar) ha visto diplomarsi decine di studenti ed alcuni di essi intraprendere il percorso universitario. La struttura di Alghero è stata individuata come polo universitario per il nord Sardegna. L’anno scolastico appena concluso si e contraddistinto per i lusinghieri risultati ottenuti dagli studenti: quattro diplomati e sette con acquisizione della qualifica professionale, tre con diploma di scuola media. I detenuti iscritti nel percorso universitario sono sette e grazie alla collaborazione e disponibilità dei docenti dei vari corsi di laurea presenti anche con percorsi di studio individuali dei dipartimenti di Agraria, Lettere, Economia Aziendale. Degno di nota il percorso di un detenuto che dopo aver conseguito in carcere la laurea triennale in Scienze della comunicazione, pochi giorni fa, ha raggiunto l’obbiettivo della laurea specialistica, primo detenuto in Sardegna. Voghera (Pv): detenuti attori per un giorno, in scena con "Aspettando Godot" di Beckett La Provincia Pavese, 26 luglio 2014 Oggi al carcere di via Prati Nuovi i detenuti diventeranno attori e metteranno in scena "Aspettando Godot" di Samuel Beckett. Da 5 anni si tengono laboratori teatrali coordinati da Daniele Ferrari: sono stati messi in scena un adattamento della Terra desolata di T. Eliot, La Tempesta di W. Shakespeare, Le Nuvole di Aristofane, Nuvole Spray di Ferrari. "Il tema dell’attesa è il cardine sul quale ruota il testo di Beckett. Abbiamo riflettuto insieme ai detenuti su questa condizione a loro familiare", spiega Ferrari. Le prove del lavoro di quest’anno sono state seguite dalla fotografa Alessia Bottaccio, che ha realizzato un progetto fotografico che documenta il percorso. Tutti i laboratori sono finanziati da Apolf e curati da Compagnia della Corte. Inoltre da quest’anno è nata ufficialmente "Maliminori", compagnia stabile del teatro del carcere di Voghera diretta da Ferrari e composta dagli stessi detenuti per dare una forma più concreta e continua ai laboratori teatrali. Il testo teatrale diventa il pretesto per riflettere sull’attesa anche dal punto di vista delle famiglie che aspettano i detenuti fuori. Da ottobre verrà attivato un percorso sul tema della genitorialità, a cura dall’associazione Synodeia, condotto da esperti in materia. Lo spettacolo è la fase di un progetto più ampio che si chiama "L’attesa è un incantesimo" (curato da Ferrari per Compagnia della Corte e per l’associazione Synodeia) che si completa con il percorso sul tema della genitorialità. Fra i programmi una rassegna teatrale con attori professionisti aperta al pubblico nel teatro del carcere, per la quale sarà auspicabile il coinvolgimento delle istituzioni e della cittadinanza. Varese: i fratelli Corona lanciano il progetto: "Vocelibera", magazine fatto dai detenuti di Mario Catania Il Fatto Quotidiano, 26 luglio 2014 Una "Vocelibera" che possa fare da ponte tra chi vive dietro le sbarre del carcere e il mondo esterno: è il progetto avviato da Fabrizio Corona, oggi detenuto nel carcere di Opera, durante la sua reclusione in provincia di Varese. Ciò che aveva iniziato è stato portato avanti dal fratello Federico insieme all’agenzia Fenice Press nella casa circondariale di Busto Arsizio con l’intento di dare ad un gruppo di detenuti gli strumenti necessari per avviare il primo magazine online pubblicato direttamente da un carcere. Oltre a consigli pratici di scrittura l’aiuto è quello di fare da tramite con il mondo esterno per quello che riguarda notizie e rassegne stampa, visto che nella casa circondariale non è comunque permesso l’utilizzo di internet. I detenuti hanno comunque modo di vedere il lavoro svolto e di leggere i commenti dei lettori. L’iniziativa ha inoltre visto il sostegno della Athena press and production e della cooperativa Sol.Co. Varese e fa parte del progetto "Esternamente", che pone il lavoro come strumento di emancipazione e rieducazione, al centro della vita carceraria. Il prossimo passo sarà quello di esportare questa esperienza in altre carceri italiane sperando di "liberare" di voce di altre persone che non hanno altro modo di comunicare con il mondo esterno. Tunisia: per Festa Repubblica amnistiati 1.630 detenuti, molti per pene da consumo droga Ansa, 26 luglio 2014 In occasione della Festa della Repubblica il Presidente Moncef Marzouki ha concesso una grazia speciale in favore di 1.630 detenuti. Questa decisione è stata presa in concertazione con la Commissione speciale incaricata per l’amnistia presieduta dal Ministro della Giustizia, dei diritti dell’uomo e della giustizia transizionale, Hafedh Ben Salah, che ha analizzato i dossier relativi a 3.545 possibili candidati. Il comunicato della Presidenza precisa che l’amnistia riguarda 1.201 reclusi per reati relativi al consumo di droga e che non sono implicati in altri reati, inoltre vi è un caso di commutazione di pena all’ergastolo per un condannato a morte. L’amnistia non riguarda coloro i responsabili di crimini gravi come terrorismo, traffico d’armi, spaccio di stupefacenti e omicidio volontario La situazione delle carceri tunisine è drammatica: sovraffollamento, condizioni igieniche precarie, mancanza di cure per i detenuti malati, e spesso è stata oggetto di critiche e rilievi da parte di associazioni umanitarie internazionali. La maggior parte dei detenuti è composta da semplici consumatori di droga, l’uso di stupefacenti in Tunisia è infatti punito con la reclusione. L’art. 4 punisce il consumatore e il detentore anche di modiche quantità, in Italia assimilate all’uso personale, con la reclusione da uno a cinque anni e con pena pecuniaria accessoria da 500 a 1.500 euro circa. Da tempo è in atto nel paese un dibattito sulla riforma del testo sulla legge degli stupefacenti, la n. 52 del 1992. Svezia: un tablet ai detenuti per seguire le fasi del processo e visionare le prove di Federica Onori Redattore Sociale, 26 luglio 2014 Il progetto partirà tra due settimane e coinvolgerà 25 detenuti nelle prigioni di Sollentuna, Gothenburg e Växjö. Il dispositivo consentirà loro di essere a conoscenza di ogni prova e documentazione e di prendere familiarità con i nuovi strumenti tecnologici, fondamentali una volta usciti dal carcere. Il tablet entra nelle carceri svedesi. Il progetto è stato presentato da Fredrik Wilhelmsson, responsabile dell’agenzia statale Prison and probation service (Kriminalvården), che ha annunciato la diffusione dei nuovi mezzi tecnologici tra i carcerati che hanno un processo in corso. Il tablet, ovviamente privo di connessione internet, permetterà al detenuto di seguire tutte le fasi del processo e di conservare ogni prova e documentazione. "Le grandi indagini possono comportare dei problemi logistici - dichiara oggi Wilhelmsson al giornale Dagens Nyheter - perché includono documenti audio, video e foto che vanno a riempire migliaia e migliaia di pagine. Sarebbe improponibile consegnare all’accusato una quantità spropositata di carta". Come riportato dal quotidiano The Local, il progetto sarà guidato dall’ufficio Kriminalvården e partirà tra due settimane, coinvolgendo 25 detenuti nelle prigioni di Sollentuna, Gothenburg e Växjö. I tablet saranno installati come semplici strumenti di lettura portatile e, una volta che il dispositivo verrà rimosso, ogni informazione sarà cancellata, il sistema operativo reinstallato e aggiunti, come necessario, nuovi files. Il progetto, che in tutta la Svezia avrà un costo di circa 500 mila dollari, è stato concepito anche come un piccolo passo per "computerizzare" la vita dei detenuti: un modo per consentire loro di prendere familiarità con la tecnologia e di essere così maggiormente operativi nella società una volta usciti dal carcere. "Non puoi cavartela nella società senza saper utilizzare un computer - continua Wilhelmsson. Ci sono persone che sono in carcere da 20 o anche 25 anni, praticamente da quando esiste internet. Non possiamo rilasciarli senza una base per stare in piedi".