Giustizia: a proposito di garantismo… di Luigi Manconi L’Unità, 11 luglio 2014 Prima scena. Quando, nel pomeriggio di martedì scorso, ho appreso della condanna inflitta a Vasco Errani, gli ho subito inviato un sms di amicizia personale. Ma già dopo una mezz’ora le agenzie erano invase dalle tonitruanti dichiarazioni di solidarietà de li mejo giustizialisti del Pd e della sinistra, che giuravano sull’innocenza del presidente dell’Emilia Romagna. Richiamavano il principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza fino al terzo grado di giudizio e invocavano i sacri valori del garantismo. Seconda scena. Nel febbraio scorso la Procura della Repubblica di Napoli chiede al Senato l’autorizzazione all’acquisizione dei tabulati telefonici relativi a 24 mesi di uso dei telefoni cellulari intestati al senatore Antonio Milo. Da quei tabulati la Procura ritiene di poter desumere se Milo sia stato effettivamente in cura presso il Centro fisioterapico di Napoli delle cui prestazioni ha chiesto il rimborso all’assistenza sanitaria per i parlamentari. La Procura intende dimostrare l’assenza di qualunque aggancio dei telefonini intestati a Milo alla cella di localizzazione dell’istituto presso cui si sarebbero svolte le cure. Se si dimostrasse che i telefonini di Milo "non sono stati mai lì", si avrebbe la prova del comportamento truffaldino dell’intestatario di quegli apparecchi. A prescindere da evidenti discrepanze (per esempio, l’arco temporale indagato va oltre i limiti entro i quali si sarebbe consumata la truffa), viene ignorata la banalissima possibilità che il parlamentare in questione si sia recato in quel centro privo di telefonino, o con quello intestato alla consorte, o a un lontano cugino di Montù Beccaria. Per converso, l’eventuale presenza di un telefonino del senatore Milo presso il Centro fisioterapico non testimonierebbe, di per sé, delle prestazioni effettivamente rese. Ebbene, di fronte a ciò, il primo luglio l’aula del Senato, con voto segreto e a maggioranza, autorizza l’acquisizione di quei tabulati. Indovinate un pò come si pronunciano e come si schierano i parlamentari di sinistra. Questi due episodi, pur nella loro profonda diversità, consentono di affrontare il tema già catalogato come "il Pd e il garantismo" da una pluralità di punti di vista. Ci si deve chiedere, innanzitutto, se il garantismo sia un’opzione "di sinistra". Tradizionalmente, così non è stato, e per un formidabile motivo: la componente maggioritaria della sinistra ha sempre privilegiato, e per robuste ragioni storiche, i diritti sociali rispetto a quelli della persona e le garanzie collettive rispetto a quelle individuali. Nella più recente fase politica, il garantismo è stato associato alla destra e ai suoi progetti di riforma della giustizia. In altri tempi, a sinistra, lo si qualificava spregiativamente come "liberale". Negli ultimi decenni, i suoi più qualificati interpreti sono stati - oltre che i Radicali - personalità di sinistra e liberali, come Norberto Bobbio e Luigi Ferrajoli. Ciò dovrebbe bastare per sostenere che il garantismo non è né di destra né di sinistra, o - meglio - può essere sia di destra che di sinistra. (Qui, palesemente, a quelle due categorie novecentesche della politica si attribuisce ancora un qualche, seppur controverso e residuale, significato). Di destra è il garantismo ispirato al principio dello Stato minimo e della libertà dell’individuo da ogni indebita interferenza dell’autorità pubblica. Di sinistra è il garantismo che tutela chi non può farlo da sé, anche per mezzo dell’autorità pubblica e dei suoi strumenti. Dunque, sostenere ora che il Pd si sia convertito a una posizione di destra, o che abbia riscoperto un valore tipicamente di sinistra, significa - in entrambi i casi - ricorrere ad argomenti retorici di circostanza o volerla buttare a tutti i costi in caciara. A destra come a sinistra, infatti, essere garantisti significa innanzitutto riconoscere il primato della persona umana, della sua libertà e della sua dignità, sulle necessità contingenti della sfera politica e dell’autorità pubblica. Insomma, significa riconoscere la prevalenza dei fini rispetto ai mezzi, e delle ragioni della politica rispetto ai suoi strumenti. L’importante è ricordarsi, con Bobbio, che, "malgrado le solenni dichiarazioni di principio", "la battaglia in difesa del garantismo è pur sempre... una battaglia di minoranza", tante e tali sono le tentazioni e le pressioni di segno opposto. Da tutto ciò discende una domanda: in nome del garantismo, che ne facciamo di indagati, imputati e condannati in via non definitiva? Va da sé che essi debbano essere tutelati da ogni etichettatura e da ogni anticipazione di pena Questo dovrebbe valere anche per gli accusati di reati considerati, e non sempre a ragione, gravi, che si vuole costretti in carcere prima del tempo perché "socialmente pericolosi": e spesso non già per quello che sono accusati di aver fatto, ma per quello che si teme possano fare. E altrettanto dovrebbe valere per chi ricopra ruoli o funzioni istituzionali. Ciò non toglie che chi lo ritenga opportuno - come ha fatto Errani - possa decidere di dimettersi da un incarico pubblico perché raggiunto da un’accusa ritenuta ingiusta, ma in cui non vuole coinvolgere l’istituzione che rappresenta. E questo gli fa onore. Considerato tutto ciò, il quesito conclusivo è: il Pd "deve" essere garantista? Il fatto che, come si è detto, il garantismo non sia né di destra né di sinistra, o che possa essere sia di destra che di sinistra, e che dunque un partito di centrosinistra non sia necessariamente garantista o il suo contrario, obbliga a una libera decisione politica: essere garantisti oppure no. Il messaggio di Matteo Renzi ("finché non c’è una sentenza passata in giudicato un cittadino è innocente. Si chiama garantismo") indica una scelta di campo che andrebbe accolta senza pregiudizi da parte di chi si ritiene garantista. Certo se ne dovrà valutare la coerenza con i comportamenti futuri, ma è un importante passo avanti per chi coltiva il garantismo "da sinistra", in nome dell’eguaglianza delle opportunità e dei diritti. Giustizia: ammalarsi in carcere, una doppia condanna di Francesco Ceraudo* Il Garantista, 11 luglio 2014 Mai avremmo potuto immaginare che un giorno il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa avrebbe messo sotto accusa il nostro Paese per l’inadeguatezza delle cure mediche fornite ai detenuti. Accusa gravissima perché l’Italia fino a pochi anni fa è stata la capitale mondiale della medicina penitenziaria e la tutela della salute in carcere era una priorità assoluta da perseguire con tutti i mezzi da parte dell’Associazione nazionale dei medici penitenziari, attraverso congressi, seminari, corsi di perfezionamento universitari. I medici penitenziari sono arrivati persino a incatenarsi davanti alle carceri per protestare contro i tagli che mettevano a rischio la tutela della salute in carcere. Nel 2008 è subentrata la riforma della medicina penitenziaria con il passaggio totale delle competenze dal ministero della Giustizia al Servizio sanitario nazionale. E qui sono cominciati i problemi. Vi era la piena consapevolezza di trovarci di fronte ad una riforma epocale, che avrebbe prodotto risultati importanti e significativi, assicurando la tutela della salute della popolazione detenuta. Una tappa di civiltà attesa da tanti anni, anche in aderenza alle direttive emanate ripetutamente dalla Comunità europea. Dopo circa 6 anni registriamo con viva preoccupazione risultati assolutamente fallimentare e ci troviamo costretti a parlare di una riforma tradita. Ci sono regioni in cui, in alcuni istituti penitenziari le cose sono perfino peggiorate, soprattutto in riferimento alle mancate traduzioni per visite specialistiche esterne e per accertamenti diagnostici a causa dell’indisponibilità del nucleo di traduzione o addirittura della mancanza di carburante negli automezzi. Quelli che erano stati i timori iniziali, si sono ormai stratificati in una realtà desolante, che è sotto gli occhi di tutti e impone una presa di posizione autorevole per riannodare i fili di una matassa completamente sregolata. È stato terribilmente difficile passare dalle parole ai fatti. Innanzitutto si è partiti con il piede sbagliato, delegando la programmazione dei servizi e la gestione del personale a una commissione centrale senza alcuna esperienza specifica di medicina penitenziaria che non è stata in grado di imprimere l’andatura necessaria per sviluppare modelli organizzativi adeguati a tutela della salute della popolazione detenuta. È mancata la cultura del carcere, sono mancati gli investimenti. È stata prodotta una miriade di protocolli, talora anche contraddittori, che non solo non sono stati recepiti dalle singole regioni, ma sono stati completamente disattesi. La commissione ha esaurito ogni spinta propulsiva e va avanti per inerzia, facendo mancare una guida autorevole. Andare avanti così è inutile, bisogna cambiare passo. D’altra parte registriamo un’amministrazione penitenziaria in grande affanno, che non ha saputo cogliere l’occasione irripetibile della riforma della medicina penitenziaria per avviare un processo di modernizzazione e riqualificazione delle proprie strutture. Basti pensare alla posizione ingiustificata di non far transitare alle Usi le degenze sanitarie dei centri clinici penitenziari e degli Ospedali psichiatrici giudiziari. Invece di assicurare una concreta e leale collaborazione l’amministrazione penitenziaria si è arroccata a difendere oltre ogni limite il concetto esasperante della sicurezza. Tutto viene fatto in nome della sicurezza, Non esistono altri parametri di riferimento, nonostante la Corte di Cassazione abbia precisato anche di recente che la tutela della salute non può essere sacrificata alla sicurezza. La riforma della medicina penitenziaria aveva il suo caposaldo nella valorizzazione del patrimonio di esperienze e competenze specifiche acquisite dagli operatori sanitari, in prima linea tra mille difficoltà e rischi di ogni tipo. I medici penitenziari dovevano diventare i diretti protagonisti del processo riformatore, invece sono stati collocati in posizioni marginali. Spesso sono costretti a mettere per iscritto di declinare ogni responsabilità medico-legale di fronte alle inadempienze dell’Amministrazione Penitenziaria. Siamo al Far-West. Emerge un incredibile intreccio di illegalità e forzature procedurali che tutti fanno finta di non vedere. Ogni Regione, ogni Usl ha gestito la riforma a suo piacimento. Non si è intervenuti a livello nazionale per cercare di uniformare le procedure e assicurare una sorta di omogeneità per evitare un’assistenza sanitaria di serie A o di serie B, a seconda della regione dove si è detenuti. Gli Ospedali psichiatrici giudiziari sono finiti su un binario morto e i termini per la loro chiusura definitiva sono nuovamente slittati, al 31 marzo 2015. L’indignazione non è mai troppa davanti a queste strutture che costituiscono una vergogna nazionale. Sulla riforma della medicina penitenziaria è stato sollecitato ripetutamente un intervento del ministro della Salute, ma non è pervenuta ancora alcuna risposta esaustiva. Si naviga a vista, rincorrendo l’emergenza clinica. Manca l’applicazione dei criteri più elementari di medicina preventiva. Del resto i detenuti sono i nuovi ultimi e tali devono rimanere. Non hanno alcun valore sociale e tanto meno politico, solo i Radicali di Marco Pannella e Rita Bernardini hanno la sensibilità di prenderli in seria considerazione. Il Presidente della Repubblica è intervenuto ripetutamente, ma il Parlamento è rimasto sordo e la prepotente urgenza di cui parla Napolitano è rimasta un’espressione priva di significato concreto. La situazione carceraria è drammatica, la Corte di Strasburgo continua a infliggere durissime reprimende al nostro Paese, come quella recentissima sulla inadeguatezza delle cure mediche in carcere. Ma non eravamo un Paese-culla della civiltà giuridica? Come ci siamo potuti ridurre in simili condizioni dove i detenuti vivono peggio delle bestie? Il sovraffollamento favorisce il contagio, la diffusione di malattie infettive trasmesse aerosolica-mente; rende insufficienti i già precari servizi igienici presenti nel carcere, favorendo patologie veneree e infezioni intestinali. Negli edifici più vecchi e fatiscenti, in particolare, il sovraffollamento non comporta solo deterioramento delle condizioni igieniche, ma promiscuità, degrado e violenza. Siamo di fronte ad un carcere profondamente malato e inutile, che non riesce a realizzare la finalità che la Costituzione gli assegna: la rieducazione del condannato. Un carcere vendicativo: la forma peggiore per estrinsecare la sua funzione istituzionale. La medicina penitenziaria è una cosa seria, le sono affidate vite di esseri umani nella condizione più dura e difficile. Per essere credibile la riforma deve essere realizzata con i medici e gli Infermieri penitenziari. Tanto meglio funzionerà, quanto più sarà condivisa. Bisogna applicarla, non si torna indietro perché indietro c’è solo l’abisso. Bisogna invece guardare avanti con rinnovato vigore. La salute in carcere è una priorità assoluta. È un diritto e non una concessione eventuale. Un diritto non comprimibile, né negoziabile. *ex presidente dell’Associazione nazionale dei medici penitenziari Giustizia: ministro Orlando; valutiamo emendamento su modifica a custodia cautelare Adnkronos, 11 luglio 2014 "Valuteremo se sarà necessario presentare un emendamento, ma se in commissione ci sarà il sostegno delle forze politiche al nostro punto di vista potrebbe non esserci la necessità di un intervento". Il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, a margine della firma di un protocollo con la Regione Lombardia, ha ribadito l’intenzione del governo di apportare correttivi alla norma sulla custodia cautelare contenuta nel decreto sulle misure compensative ai detenuti, ora all’esame della commissione della Camera. La norma prevede la non applicabilità della custodia cautelare in carcere nei casi in cui il giudice preveda una pena fino a tre anni. Il ministro ha ricordato lo spirito dell’intervento, "evitare la custodia cautelare diventi un’anticipazione della pena". Ma, ha sottolineato, "bisogna lavorare per evitare possibili rischi di pericolosità". "Compete al parlamento valutare come la norma possa armonizzarsi con l’impianto generale", ha concluso il guardasigilli. Carfagna (Fi): emendamento per modifica reato stalking Nuove regole per il reato di stalking. Il decreto 92.2014, che ha appena iniziato l’iter in commissione Giustizia alla Camera, andrebbe a modificare l’articolo 275 cpp con l’introduzione del divieto di applicazione della custodia cautelare in carcere se il giudice ritiene che, all’esito del giudizio, la pena detentiva da eseguire non sarà superiore a tre anni. La disposizione in questione è finalizzata a prevenire ulteriori situazioni di sovraffollamento delle carceri italiane attraverso una modifica al codice di procedura penale, ma è necessario fare dei distinguo. Lo dichiara in una nota la portavoce di Forza Italia alla Camera dei Deputati, Mara Carfagna, che definisce "ignobile che il divieto della custodia cautelare in carcere sia applicabile a coloro che si sono macchiati di reati come lo stalking aggravato". Secondo la deputata, la norma andrebbe a vanificare quanto fatto sino a questo momento in termini di tutela delle vittime tale da spingere le donne ad avere il coraggio di denunciare i proprio aguzzini. Proprio per tale ragione la deputata Mara Carfagna - così come si legge nel suo blog - annuncia che presenterà in commissione un emendamento "che annulli immediatamente la portata devastante della norma derogandone l’applicazione per i reati di cui all’articolo 612bis e 572 cp". Maroni (Ln): scontro su decreto custodia cautelare, ma per migliorarlo "Mi auguro che il decreto sia emendato per venire incontro a ragioni di sicurezza". Lo ha detto il governatore della Lombardia, Roberto Maroni, che oggi ha firmato con il ministro Orlando un protocollo sulle carceri, parlando del decreto legge varato per venire incontro alle richieste di Strasburgo sulle carcere e che esclude la custodia cautelare quando il giudice ritiene che la pena da applicare non sarà superiore a tre anni. "Su questo tema - ha detto Maroni - c’è sempre una forte contrapposizione politica, ma la nostra non sarà strumentale, perchè non si arrivi al provvedimento, ma per migliorarlo". Giustizia: decreto-detenuti; M5S chiede di audire pm Pignatone, ma Ferranti (Pd) dice no Public Policy, 11 luglio 2014 Il M5S chiede di audire sul decreto-detenuti il procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone (ex capo della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria), ma la presidente della commissione Giustizia alla Camera, Donatella Ferranti, dice no, perchè “si è deciso di audire solo soggetti idonei a rappresentare sul piano nazionale l’avvocatura e la magistratura nel loro complesso”. Se qualcun altro è interessato all’argomento, precisa l’esponente del Pd, potrà “produrre e consegnare memorie e contributi che verranno, come sempre, messi a disposizione dei deputati”. I tempi in commissione giustizia In aula a partire dal 21 luglio, con mandato al relatore (David Ermini del Pd) da conferire entro il 17. Il termine per la presentazione di emendamenti è fissato alle 12 di lunedì 14 luglio; l’esame degli stessi potrà svolgersi il 15 e il 16 luglio. Risarcimento per violazione Cedu Il dl, spiega una nota di Palazzo Chigi, “ha la finalità di adempiere alle direttive dettate da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo (Cedu) nei confronti dello Stato italiano nella sentenza Torreggiani del gennaio 2013, nella quale la Corte aveva imposto l’adozione di specifiche misure riparatorie per Detenuti che hanno scontato la pena in una condizione di sovraffollamento, imponendo a tal fine il perentorio termine, appena decorso, di un anno dalla definitività della pronuncia”. “I giudici europei - continua la nota - hanno condannato il nostro Stato al pagamento nei confronti dei ricorrenti di somme comprese tra i 10mila euro ed i 23mila”. Il dl si occupa anche di chi già è uscito dal carcere disponendo “un risarcimento pari a 8 euro per ciascuna giornata di detenzione trascorsa in condizioni non conformi alle indicazioni della Cedu”. Procedura penale Nel dl sono state poi previste anche alcune modifiche in materia di codice di procedura penale. Tra queste ci sono: gli obblighi informativi per procedimenti che incidono sullo stato di libertà di condannati da corti penali internazionali, misure di esecuzione delle ordinanze degli arresti domiciliari, la modifica dell’art.275 del codice di procedura penale che prevede che, con una pena detentiva da irrogare che sia massimo di tre anni, non possano essere disposte le misure della custodia cautelare o degli arresti domiciliari. E ancora, altre misure previste nel dl riguardano l’esecuzione “dei provvedimenti limitativi della libertà personale” verso i minorenni che “nel corso dell’esecuzione, siano divenuti maggiorenni” ma fino ai 25 anni d’età. Polizia penitenziaria Infine il governo ha predisposto alcune modifiche dell’ordinamento della polizia penitenziaria sulla “consistenza dell’organico”, tramite “un aumento della dotazione del ruolo degli agenti e assistenti e diminuzione di quella degli ispettori” e una specifica modifica all’ordinamento per fare in modo che “il magistrato di sorveglianza possa avvalersi dell’ausilio di assistenti volontari”. Giustizia: "Piano Carceri… costruire la legalità", ecco le proposte della Fillea-Cgil di Michela Aprea www.rassegna.it, 11 luglio 2014 Varato nel 2010, il progetto mostra oggi alcune criticità. Il commissario Sinesio è finito sotto inchiesta, ma secondo il sindacato degli edili il Piano funziona. "è una sterzata alla crisi del comparto". Quella dell’edilizia è una crisi strutturale in atto ormai da oltre sei anni. Nel primo trimestre del 2014, rispetto allo stesso periodo del 2013, il comparto ha subìto un calo di 4,8 punti su scala nazionale, con il risultato peggiore nel meridione - 8,6 punti in meno - e un decremento complessivo degli addetti di 76mila unità (dati Istat). Il numero di persone impiegate, informa l’Istituto nazionale di statistica, è sceso per la prima volta sotto quota 1,5 milioni (1.497.000). Ma la crisi non è il solo male da cui è affetta l’edilizia, un settore "la cui pelle è impregnata dalla mafia, dalle infiltrazioni criminali e dalla illegalità diffusa". Ad affermarlo è Salvatore Lo Balbo, componente della segreteria nazionale della Fillea. "Inutile girarci intorno, edulcorando i termini - mette in chiaro il sindacalista. La mafia è nei cantieri e l’impegno per la difesa della legalità, che significa lotta alla criminalità organizzata, è un elemento centrale del nostro lavoro". "Lo facciamo - precisa - attraverso il confronto continuo con i nostri compagni nei territori, la stipula di protocolli, il monitoraggio delle attività e dei risultati realizzati, il lavoro all’interno dell’Osservatorio sull’edilizia e la legalità, che è il soggetto attraverso il quale alimentiamo il dibattito sulla prevenzione e gli strumenti da adottare, e naturalmente nei cantieri, dove portare la legalità significa affermare i diritti e un lavoro dignitoso". Portare la legalità nei cantieri vuol dire ovviamente - anche se può apparire paradossale, dato l’oggetto - farla rispettare pure nella ristrutturazione e costruzione delle carceri. E proprio a questo tema, mercoledì 9 luglio, la Fillea nazionale ha dedicato un seminario con i segretari generali regionali e territoriali delle aree coinvolte dal Piano carceri. Conoscere le Linee guida antimafia per il Piano, gli accordi e i protocolli sulla base dei quali impostare gli interventi in materia di legalità, regolarità e sicurezza sui territori coinvolti e condividere le esperienze e le buone pratiche già realizzate: questi gli obiettivi dell’appuntamento convocato dal Dipartimento Infrastrutture, territorio, legalità e Mezzogiorno della categoria. Obiettivi cui si è aggiunta la necessità di dare indicazioni sull’azione all’interno dei cantieri, realizzare un focus sull’addendum allo schema di protocollo di legalità allegato alle Linee guida e sullo strumento della contrattazione di anticipo. Ma vediamo più da vicino cos’è il Piano carceri, quali sono le novità positive in esso contenute, quali le criticità. Il Piano (e il modello) varato nel 2010 al fine di porre un argine al problema del sovraffollamento carcerario, si articola lungo quattro filoni d’intervento: i primi due relativi all’edilizia carceraria (per il recupero e l’ampliamento degli istituti esistenti e la costruzione di nuove strutture), gli altri due concernenti il quadro normativo e l’assunzione di duemila nuovi agenti di polizia penitenziaria. Il modello di riferimento usato nella sua formulazione era quello emergenziale del dopo terremoto aquilano con poteri derogatori delle ordinarie competenze riconosciuti al Commissario straordinario nell’attuazione degli interventi del primo pilastro (edilizia penitenziaria), orientatati alla velocizzazione delle procedure e alla semplificazione delle gare d’appalto per la costruzione di 47 nuovi padiglioni carcerari. Nel 2011 la misura era stata integrata con l’impegno alla costruzione di 26 nuove carceri (di cui 8 in aree strategiche). Al Dipartimento della Protezione civile veniva affidato il braccio operativo della gestione emergenziale. Obiettivo della pianificazione, la creazione di 21.709 nuovi posti negli istituti penitenziari per una capienza totale di 80mila detenuti. A tal fine erano stati stanziati 600 milioni di euro (500 milioni nella Finanziaria 2010 e gli altri 100 provenienti dal bilancio della Giustizia). Risorse decurtate il 31 gennaio 2012 (di 228 milioni), per effetto dei tagli del Cipe. Nel 2010 la portata massima degli istituti carcerari nazionali era quantificata intorno alle 45mila unità di fronte a un numero effettivo di detenuti pari a 68mila individui. Nonostante l’aumento di circa 2mila posti, tre penitenziari su quattro continuano a essere sovraffollati. Nel febbraio 2014 la Fondazione Leone Moressa denunciava la necessità di soluzioni organiche e a lungo termine. Soluzioni cui dovrebbe pervenire il Piano, gestito a partire dal gennaio 2013 dal commissario straordinario Angelo Sinesio. Attualmente indagato dalla procura di Roma per i reati di falso, abuso d’ufficio e diffamazione, Sinesio è oggetto dell’iniziativa giudiziaria per la gestione da parte del Dap, il Dipartimento amministrazione penitenziaria, dei lavori nelle carceri di Voghera, Lodi e Frosinone. "Opere - precisa Lo Balbo - che non fanno parte delle Linee guida antimafia pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale del 18 giugno 2012". Il Piano oggi si sta rivelando una sterzata alla depressione da cui è da troppo tempo affetto il comparto. "Il dato che registriamo - afferma Lo Balbo - è che mentre altri grandi opere infrastrutturali sono ferme, penso ad esempio al Piano città (il programma del ministero delle Infrastrutture e Trasporti dedicato alla rigenerazione delle aree urbane degradate avviato dal Decreto sviluppo del giugno 2012, ndr), nei territori coinvolti dal Piano carceri si assiste all’assegnazione degli appalti, all’apertura di nuovi cantieri e all’offerta di nuovi posti di lavoro". Certo, non è la perfezione. È però un modello che ha finora dimostrato capacità di realizzazione in tempi congrui e con modalità trasparenti (sul sito www.pianocarceri.it è possibile, accedendo alla sezione Interventi, seguire in itinere l’avanzamento dei lavori). La regina delle cause dei rallentamenti resta una burocrazia talvolta eccessivamente capziosa e il mancato utilizzo di strumenti in grado di portare beneficio effettivo al compimento delle procedure. Il riferimento è in particolare alla Banca dati nazionale unica antimafia prevista dal decreto legislativo 159.11. "Uno strumento essenziale - afferma il segretario Fillea - che però non funziona". Giustizia: chiusura degli Opg… il futuro sono le Rems? di Stefano Ferracuti*, Giuseppe Nicolò** e Rinaldo Perini*** www.quotidianosanita.it, 11 luglio 2014 Il processo di chiusura degli Opg è complesso e pieno di criticità. Anche le nuove residenze per l’applicazione delle misure di sicurezza presentano molte incognite i cui esiti futuri non sono immediatamente prevedibili. I facili entusiasmi sono quindi da evitare. Ecco alcune delle problematiche Con la pubblicazione del Dpcm del 01.04.08 si è avviato in Italia un processo di rinnovamento della assistenza sanitaria dei soggetti.cittadini sopposti a detenzione, seguendo il principio secondo cui ogni cittadino ha diritto a ricevere lo stesso tipo di assistenza sanitaria a prescindere dalla sua condizione giuridica. Questo processo si è esteso anche agli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (Opg) oggetto di attenzione della commissione parlamentare di inchiesta sull’efficienza del servizio sanitario che ha messo in luce come gli Opg non assolvessero quasi per nulla il compito di cura della persona autore di reato affetta da disturbi psichiatrici, assicurandone solo gli aspetti custodiali. Vi è da dire che a fronte di una scarsa o nulla intensità di cure sanitarie, le risorse finanziarie di cui disponevano la gran parte degli Opg erano davvero esigue. Il progetto di chiudere gli Opg e creare le Rems, residenze per l’esecuzione della misura di sicurezza sanitaria si è reso necessario perché il Dpcm del 1.4.2008 non ha eliminato la possibilità dell’applicazione di misure di sicurezza detentive, che continuano ad essere presenti nel Codice Penale come possibilità per le persone inferme di mente che hanno commesso reati. Nelle intenzioni generali la possibilità di invio di un malato di mente autore di reato presso un Rems dovrebbe essere residuale rispetto ad altre forme di intervento meno afflittivo sotto il profilo della libertà come, per esempio, l’invio in una comunità residenziale o il trattamento presso il Centro di Salute Mentale. È comunque da sottolineare come questa iniziativa sia unica nel mondo, e nella letteratura scientifica non si ritrovi nulla o quasi di quanto descritto nei provvedimenti legislativi. È vero che l’iniziativa si colloca in un panorama come quello italiano che ha completato il processo di deistituzionalizzazione, ma non vi sono precedenti noti per una deistituzionalizzazione di autori di reato affetti da malattia mentale. La legge 9 del 17.02.12 prevede due tipologie di Rems una di valutazione e stabilizzazione (in cui si pone la diagnosi e si imposta il programma di cura) con lo scopo di effettuare una "rapida stabilizzazione della sintomatologia per permettere il passaggio ad una struttura a minore intensità assistenziale" e una di mantenimento a "vocazione riabilitativa e psicosociale". Si può notare che in tutto il mondo occidentale le strutture per utenti con tali necessità si dividono in tre categorie: alta, media, e bassa sicurezza. L’assegnazione a uno dei tre livelli è determinata dalla natura del delitto e dalla gravità della psicopatologia. Infatti, molti utenti che hanno commesso delitti sono anche farmacoresistenti o sono persone che non rispondono ai comuni trattamenti. I trattamenti previsti dalla letteratura sono ad altissima intensità psicoterapeutica e altamente strutturati con durata minima tra i 3 e i 5 anni. Ovviamente il passaggio tra un livello di sicurezza ed un altro è determinato da indicatori clinici e forensi non dal semplice criterio temporale come previsto dalla nostra normativa nazionale. In Italia, tuttavia, il monitoraggio appare essere stato concepito in funzione della valutazione degli operatori e non sull’andamento del trattamento dei pazienti, dal momento che, in base all’art 1 ter della legge n.81 del 30.05.14, i Servizi devono documentare entro il 15.07.14 al Ministero della Salute e alla autorità giudiziarie, i percorsi terapeutici individuali di dimissione di ciascuna delle persone ancora ricoverate negli Opg alla data del 01.06.14 motivando perché tali persone non siano state ancora dimesse. La formulazione è paradossale dal momento che la dimissione dall’Opg non è una decisione che è nelle mani degli operatori dei Servizi di Salute Mentale ma della Magistratura di Sorveglianza, con la quale non esiste un protocollo di intesa a livello nazionale, ed è anche dubbio che possa essere effettivamente stilato. Dal momento che viviamo in un’epoca di medicina evidence based, e che su questo aspetto mancano completamente dati attendibili, sarebbe necessario, come si sta tentando di fare grazie al coordinamento dell’Università di Verona, monitorare l’outcome dei trattamenti, il tasso di recidiva, identificare variabili che siano predittive dell’esito, piuttosto che mettere sub iudice i dipartimenti di salute mentale. La visione della malattia mentale deve essere ottimistica sotto il profilo della curabilità ma anche realistica, ammettendo che non vi sono indicatori di recidiva certi, che si può prevedere un rischio ma non se un evento avverrà o no. Nel nostro Paese, inoltre, non esiste alcuno strumento giuridico per poter imporre il trattamento farmacologico ad una persona, ad esclusione del Tso, nella gran parte dei paesi occidentali l’internamento di un soggetto ritenuto affetto da disturbo mentale e socialmente pericoloso prevede l’obbligatorietà delle cure, in Italia questo non è invece ancora possibile. Il troppo, comprensibile, entusiasmo della riforma forse ha fatto perdere il focus centrale per l’interesse di queste persone, ovvero garantire un elevata intensità assistenziale a soggetti che a causa del loro disturbo mentale hanno commesso uno o più delitti. Allo stato, invece, il processo tende ad apparire come una competizione in cui il Ministero della Salute plaude chi dimette, a prescindere dall’esito delle dimissioni. Il tema è molto delicato sia per la sicurezza dei pazienti, sia per quella degli operatori che dei cittadini, sono richiesti molta prudenza, pochi preconcetti, e tempi di trattamenti prolungati in condizioni di umanizzazione e di tutela della dignità umana. In ultimo va ricordato che per gli utenti con gravi caratteristiche psicopatiche e antisociali non sono disponibili interventi psichiatrici efficaci, ma solo interventi correttivi. La pianificazione del livello di sicurezza nella progettazione delle Rems È strategico passare da un concetto di sicurezza direttamente correlato al concetto di "pericolosità" che rappresenta soprattutto la possibilità di commettere un atto aggressivo o un crimine e si riferisce principalmente ai singoli, ad un concetto di "sicurezza" nel campo della salute mentale come aspetto sistemico che comprende il sistema di relazioni reciproche tra il paziente ed il suo ambiente. La "pericolosità" del paziente deve essere ricondotta all’interno del processo di stabilizzazione e ripresa, in questo modo il trattamento diviene una parte integrante del concetto di sicurezza . Lo scopo di prevedere nella progettazione delle REMS il livello di sicurezza è quello di determinare condizioni strutturali e conseguentemente organizzative che consentano di: • fornire cure efficaci ed un trattamento in modo da ridurre il rischio, • favorire il recupero e il sostegno ai pazienti all’interno di un percorso di cura che consenta la riduzione progressiva del livello d’intensità assistenziale ed dei livelli di sicurezza necessari per il trattamento. Si tratta di realizzare un complesso equilibrio tra: • mantenimento della sicurezza dei pazienti e del personale, • realizzazione di un ambiente terapeutico rassicurante e protettivo, • inserimento positivo della struttura residenziale nella comunità locale Una definizione articolata di standard strutturali consente di facilitare il modello di trattamento e percorso di cura, e di promuovere l’impegno della comunità per il recupero dei pazienti. Migliorare la progettazione dell’ambiente contribuirà a migliorare gli esiti garantendo la sicurezza dei pazienti, del personale e del pubblico, e fornendo un ambiente comodo e sicuro. Gli aspetti del trattamento terapeutico ed il livello di sicurezza sono strettamente correlati e debbono essere affrontati nel loro complesso; un trattamento terapeutico riabilitativo efficace ed un appropriato livello di sicurezza sono fattori integrati, non fattori contrapposti. È necessario che la concreta declinazione di questi fattori garantisca la privacy e la dignità delle persone fornendo un ambiente sicuro e protetto per pazienti, personale e visitatori come parte integrante della fornitura di assistenza clinica. Sicurezza di una struttura operativa La sicurezza di una struttura operativa è determinata da tre aree interdipendenti: 1. Strutturale: i perimetri interni ed esterni, meccanismi di sicurezza e le tecnologie (ad esempio serrature elettroniche, Videosorveglianza) e altre barriere fisiche presenti nell’unità e il servizio nel suo complesso; 2. Procedurale: la tempestiva, corretta e coerente applicazione di efficaci procedure operative; 3. Relazionale: la comprensione e utilizzo delle conoscenze su i singoli pazienti, l’ambiente e l’insieme degli ospiti e delle dinamiche determinate da ingressi e dimissioni Area Strutturale L’integrità fisica dell’ambiente dipende dalle caratteristiche di realizzazione e dal livello adeguato di manutenzione ordinaria e straordinaria dello stabile degli impianti e dalle condizioni delle attrezzature e degli arredi utilizzati. È importante definire in modo chiaro e presidiabile i perimetri interni ed esterni destinati ai pazienti o ad essi interdetti, questo consente di creare le condizioni per evitare comportamenti auto ed etero aggressivi dei pazienti e proteggere il personale. Area Procedurale Le Procedure di sicurezza si riferiscono alla effettiva applicazione da parte degli operatori di procedure, relative alla sicurezza dei pazienti, dei visitatori e del personale ed alla gestione operativa di rischi ed eventi avversi. È necessario che le procedure di sicurezza siano definite all’interno di una gamma completa di procedure da applicare all’attività terapeutica all’interno della struttura ed alle attività giornaliere che non possono essere lasciate ad una improvvisazione quotidiana. Questo consente agli operatori di essere in grado di stabilire e mantenere attraverso le attività chiari confini e gestire percorsi di trattamento. Gli Operatori devono ricevere una specifica formazione in modo da capire il contesto e lo scopo delle procedure. Per inciso va ricordato che essendo le Rems strutture per l’applicazione delle misure di sicurezza detentive le persone ivi ristrette saranno anche detenute e andrebbe chiarito se e chi applicherà l’Ordinamento Penitenziario, dal momento che la responsabilità della sicurezza rimane in capo agli operatori sanitari. Storicamente nell’unico Opg a diretta gestione sanitaria, Castiglione della Stiviere, l’ordinamento penitenziario era in parte attuato dagli stessi operatori sanitari. Andrebbe anche chiarito il livello di responsabilità in caso di evasione dei pazienti ospiti delle Rems. Area Relazionale L’efficacia della sicurezza relazionale dipende dalla capacità del gruppo di lavoro di essere coeso e lavorare per obiettivi. La sicurezza relazionale può essere definita come: "La personale conoscenza e la comprensione del contesto ambientale del singolo paziente e delle relazioni e dinamiche che attraversano il contesto che si traduce nella capacità di convertire tali informazioni e vissuti esperienziali in risposte adeguate e cure". La sicurezza relazionale riveste un fattore strategico e la sua criticità è in grado di compromettere l’efficacia delle misure di sicurezza dei servizi definite nell’ area strutturale ed in quella procedurale. È importante sottolineare che l’effetto di una crisi marcata della sicurezza relazionale sui pazienti che possono perdere la fiducia nel gruppo degli operatori e conseguentemente nella cura e nel trattamento che gli stessi forniscono. Requisiti strutturali di una struttura operativa La pianificazione di un ambiente sicuro dovrebbe concentrarsi sullo sviluppo di un servizio in cui il personale ed il paziente vivono gli uni per lavorare gli altri per intraprendere un percorso di cura. I requisiti strutturali svolgono una funzione importante per: mantenere l’integrità del servizio, riduzione del rischio, fornire un ambiente sicuro e terapeutico, l’integrazione della struttura nella comunità locale. Occorre prestare attenzione quando si progetta a garantire la funzione terapeutica e sociale del servizio sapendo che i pazienti possono rimanere per periodi di tempo prolungati. Il progetto dovrebbe realizzare una gamma completa di spazi sociali, clinici e terapeutici. Per esempio nelle Rems andrebbe previsto un bar, un luogo di culto per le diverse religioni, un luogo per la de-escalation, una sala per ricevere le cure alla persona come interventi podologici, parrucchiere etc. L’Italia potrà gestire questa opportunità storica di un trattamento innovativo solo ispirandosi alla scienza e ai dati della letteratura, l’improvvisazione in questa situazione sarebbe una forma di razionalità negata. *Neurologo Professore Associato di Psicologia AO Sant’Andrea Facoltà di Medicina e Psicologia "Sapienza" Università di Roma ** Psichiatra Psicoterapeuta Direttore Dsm Asl Roma G ***Psicologo Psicoterapeuta Direttore Struttura Complessa Dsm Asl Roma G Lombardia: Orlando e Maroni firmano Protocollo di Intesa sul reinserimento dei reclusi Agi, 11 luglio 2014 Consolidare una proficua collaborazione esistente da tempo per realizzare in modo più puntuale quanto previsto dalla Costituzione per il reinserimento delle persone che stanno scontando una pena. Questo l’obiettivo del protocollo di intesa firmato stamane dal ministro della Giustizia, Andrea Orlando, e dal presidente della Regione Lombardia, Roberto Maroni. Si tratta dell’ottavo protocollo sottoscritto dal ministro Orlando dopo quelli firmati con le Regioni Campania, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Umbria, Puglia e Sicilia. Intese di questo tipo erano state siglate dall’ex guardasigilli, Annamaria Cancellieri, con Emilia Romagna e Toscana, mentre si sta lavorando per attuarle con Piemonte ed Abruzzo. Il protocollo, firmato oggi, dedica particolare attenzione ai detenuti tossicodipendenti, per i quali sono necessari speciali percorsi riabilitati, rieducativi e di reinserimento sociale e lavorativo: per questo, in particolare, l’intesa prevede una collaborazione tra le parti per attuare percorsi di reinserimento, per individuare i soggetti tossicodipendenti idonei ad essere inseriti in un percorso terapeutico, e un piano d’azione regionale per favorire l’applicazione delle misure alternative, nonché per potenziare le capacità ricettive delle comunità, anche di tipo terapeutico, idonee ad ospitare agli arresti domiciliari o in misura alternativa alla detenzione soggetti in esecuzione penale. "La realtà carceraria in Lombardia è tra le più importanti d’Italia - ha rilevato il ministro Orlando - la nostra azione mira a rendere attuabili norme già previste: spesso per i Tribunali di sorveglianza la possibilità di disporre misure alternative si scontra con l’indisponibilità di mettere in atto percorsi riabilitativi e terapeutici". Il ministro ha sottolineato che vi è ancora "un profondo deficit" del nostro sistema, in particolare per "le scarse occasioni di lavoro in carcere rispetto ai livelli europei. Vorrei sviluppare con le Regioni una serie di programmi anche in questa direzione". Il presidente della Regione Lombardia, Maroni, nel ricordare che si tratta dell’ottavo protocollo siglato dal ministero con le Regioni, ha sottolineato: "Abbiamo voluto vedere se questi protocolli funzionano, e visto che funzionano abbiamo deciso di sottoscriverlo. Mi piace - ha proseguito - il metodo di coinvolgere le Regioni, il territori e gli Enti locali. Tutti abbiamo presente che la situazione di sovraffollamento carcerario si risolve con nuove strutture, bene percorsi riabilitativi per il reinserimento sociale e lavorativo di queste persone là dove è possibile. Un’alleanza tra istituzioni anche di colore politico diverso è possibile, perchè il compito delle istituzioni è risolvere i problemi". Plauso per l’iniziativa, viene espresso anche dai presidenti dei Tribunali di Sorveglianza di Milano e Brescia: "In Lombardia - commenta Pasquale Nobile De Santis, presidente del Tribunale di Sorveglianza di Milano - abbiamo sempre condiviso l’idea che la pena non è soltanto il carcere. Spesso abbiamo dovuto rinviare affidamenti terapeutici per mancanza di strutture. Con questo protocollo vengono toccati i problemi concreti". L’intesa firmata oggi per il il presidente del tribunale di Sorveglianza di Brescia, Monica Lazzaroni, "è un punto di partenza necessario. La Lombardia è la regione che ha concesso il maggior numero di misure alternative. Questo sistema si costruisce sul territorio, altrimenti resta solo una scatola vuota". Maroni: coinvolgere territori perchè azioni funzionino "Bisogna coinvolgere i territori, le Regioni e gli Enti locali, perchè la gestione e l’inserimento di questi fenomeni nel territorio fa la differenza fra una cosa che funziona e una che non funziona. Al di là del contenuto di questo Protocollo, mi piace molto il metodo". Così il presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni, intervenendo, oggi, a Roma al Ministero della Giustizia, in occasione della firma del Protocollo d’Intesa per il recupero e il reinserimento sociale di persone sottoposte a provvedimenti dell’autorità giudiziaria. Il documento è stato firmato questa mattina dal presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni, dal ministro della Giustizia Andrea Orlando e dai presidenti dei Tribunali di Sorveglianza di Milano, Pasquale Nobile De Santis, e di Brescia, Monica Lazzaroni. "Sono molto lieto di sottoscrivere questo Protocollo - ha proseguito il presidente -, che dà attuazione alle leggi vigenti, perchè abbiamo tutti ben presente la situazione carceraria italiana: non solo il problema del sovraffollamento, che si risolve realizzando nuove strutture, per esempio, ma anche la necessità di dare attuazione a percorsi riabilitativi e rieducativi, con l’obiettivo del reinserimento sociale e lavorativo di queste persone, laddove sia possibile". "Ed è possibile - ha spiegato Maroni - con la partecipazione attiva e da protagonisti proprio dei territori, la Regione, gli Enti locali, il Ministero e le Istituzioni che si occupano di questi temi, il Tribunale di sorveglianza in primo luogo". "Tutte le Istituzioni - ha proseguito - si impegnano, ciascuna per la sua parte; noi, per quanto riguarda la Regione, abbiamo il compito di adottare misure idonee all’aumento delle possibilità ricettive delle comunità residenziali, anche di tipo terapeutico, in raccordo con gli Enti locali territorialmente coinvolti. Questo è il passaggio fondamentale: l’alleanza fra Istituzioni, anche di colore politico diverso. Quando la politica assume ruolo istituzionale, il suo compito è risolvere i problemi e questo è l’obiettivo che noi ci poniamo con la firma dell’Accordo". A margine della firma del Protocollo, il presidente ha sottolineato come in Lombardia la situazione delle carceri sia "sotto controllo" e rappresenti anche "uno dei punti di avanguardia". "Vogliamo dimostrare - ha aggiunto - che si può fare, mantenendo alta la sicurezza per i cittadini, ma anche svolgendo tutte quelle politiche che mirano al reinserimento sociale e lavorativo di chi ha finito, o quasi, di scontare la sua pena". "La collaborazione con le Regioni rappresenta lo snodo fondamentale - ha detto il ministro Orlando. Con le Regioni vorremmo sviluppare una serie di progetti, che riguardano, non solo, la dicotomia fra dentro e fuori il carcere, ma anche ciò che succede dentro il carcere. Oggi sono particolarmente contento di sottoscrivere questo accordo con la Lombardia, con cui proseguo il lavoro di collaborazione iniziato già da ministro dell’Ambiente". "Da parte nostra garantiamo il massimo impegno - ha assicurato il presidente del Tribunale di sorveglianza di Milano Pasquale Nobile De Santis. In Lombardia, in particolare, otteniamo risultati attraverso la sinergia fra le Istituzioni. Questa è la strada per raggiungere risultati ancora migliori". "Questo Protocollo rappresenta un punto di partenza necessario, perchè questa modalità consente il confronto - ha commentato il presidente del Tribunale di sorveglianza di Brescia Monica Lazzaroni. La misura alternativa si costruisce con il territorio". Lombardia: nuovi percorsi terapeutici e misure cautelari alternative di Michele Mezzanzanica Il Giorno, 11 luglio 2014 Recupero e reinserimento sociale e lavorativo dei carcerati, in particolare quelli con problematiche di dipendenza. Regione Lombardia, ministero della Giustizia e Tribunali di sorveglianza di Milano e Brescia hanno sottoscritto ieri a Roma un protocollo operativo per sostenere e implementare percorsi di recupero e reinserimento di persone sottoposte a provvedimento dell’autorità giudiziaria. Tra le finalità dell’accordo, che ha durata triennale, anche la volontà di contrastare il fenomeno del sovraffollamento delle carceri. Le persone che potrebbero usufruire delle misure previste dal protocollo sono 2.377, con problematiche di dipendenza, detenute negli istituti penitenziari lombardi. Per dare attuazione all’accordo sarà istituito un tavolo tecnico tra Regione Lombardia, Provveditorato regionale e Tribunali di sorveglianza che definirà le procedure operative da attuarsi presso i rispettivi servizi del territorio. Le parti si impegnano a favorire la collaborazione fra i propri servizi (Asl, Aziende ospedaliere, istituti penitenziari e Uffici di esecuzione penale esterna) e gli ulteriori servizi del territorio deputati all’accoglienza dei soggetti sottoposti a provvedimenti dell’autorità giudiziaria, per la predisposizione di percorsi personalizzati finalizzati al reinserimento sociale. È stato quindi predisposto un apposito piano di azione regionale finalizzato alla definizione delle modalità e delle prassi operative per favorire l’applicazione delle misure alternative speciali, per consentire cioè l’attivazione di percorsi terapeutici rivolti alla popolazione detenuta che presenti problematiche correlate alle dipendenze patologiche. In particolare, Regione Lombardia si impegna ad adottare misure per l’aumento delle possibilità ricettive delle Comunità residenziali, anche di tipo terapeutico, idonee a ospitare agli arresti domiciliari o in misura alternativa soggetti attualmente in esecuzione penale, in carico presso i servizi penitenziari della Regione. I presidenti dei Tribunali di sorveglianza di Milano e Brescia si impegnano a favorire la fissazione delle udienze per la trattazione dei casi, analizzando con carattere di urgenza le istanze per le quali sia già predisposto uno specifico programma terapeutico. "Sono molto lieto di sottoscrivere questo protocollo - ha detto il governatore Roberto Maroni - che dà attuazione alle leggi vigenti, perché abbiamo tutti ben presente la situazione carceraria italiana: non solo il problema del sovraffollamento, ma anche la necessità di dare attuazione a percorsi riabilitativi e rieducativi, con l’obiettivo del reinserimento sociale e lavorativo di queste persone, laddove sia possibile. Bisogna coinvolgere i territori, le Regioni e gli enti locali, perché la gestione e l’inserimento di questi fenomeni nel territorio fa la differenza fra una cosa che funziona e una che non funziona. Al di là del contenuto di questo protocollo, dunque, mi piace molto il metodo". Concetto ripreso dal ministro della Giustizia, Andrea Orlando: "La collaborazione con le regioni rappresenta lo snodo fondamentale, insieme ad esse vorremmo sviluppare una serie di progetti che riguardano non solo la dicotomia fra dentro e fuori il carcere, ma anche ciò che succede all’interno del carcere. Sono particolarmente contento di sottoscrivere questo accordo con la Lombardia". Emilia Romagna: Sappe; calo detenuti non elimina problemi, continuano gli eventi critici Ansa, 11 luglio 2014 "I detenuti stanno calando a livello nazionale grazie ai provvedimenti legislativi di questi ultimi anni, come la detenzione domiciliare e l’applicazione del braccialetto elettronico e diminuiranno ancora a seguito della reintroduzione della distinzione tra droghe pesanti e droghe leggere. Tutto questo, però, non elimina il problema dei tanti eventi critici che quotidianamente si verificano nelle carceri italiane e che solo grazie alla presenza della polizia penitenziaria, spesso, non arrivano a conseguenze drammatiche". È quello che scrive in una nota Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe. "Anche in Emilia Rimagna la situazione è decisamente migliorata - ha aggiunto. Infatti, la popolazione detenuta è diminuita di circa 1.000 unità, passando dai circa 4.400 detenuti di qualche anno addietro ai circa 3.400 di questi giorni". E dopo che martedì scorso due detenuti, uno di origine italiana, ristretto nel carcere di Ferrara, l’altro straniero, nel carcere di Modena - come reso noto da Donato Capece, segretario generale del Sappe e dallo stesso Durante - hanno tentato il suicidio e sono stati tratti in salvo dall’intervento della polizia penitenziaria, si "conferma quanto sia indispensabile il controllo del personale di polizia penitenziaria nei confronti dei detenuti, sia per evitare tragedie come il suicidio, sia per garantire la sicurezza all’interno delle strutture penitenziarie. Proprio ieri una delegazione del Sappe ha visitato il carcere di Ferrara, dove ha potuto constatare una situazione comunque gestibile, dovuta anche al calo dei detenuti". Abruzzo: in arrivo 15 nuovi agenti per gli Istituti penitenziari della Regione www.abruzzo24ore.tv, 11 luglio 2014 A seguito del piano mobilità del personale in virtù delle assegnazioni dei neo agenti di cui al 168esimo corso l’Abruzzo vede incrementare di 15 unità l’organico complessivo di Polizia Penitenziaria. Lo annuncia il segretario provinciale dell’Aquila e vice segretario regionale della Uil penitenziari, Mauro Nardella. A Sulmona arriveranno 3 unità, a Pescara 7 e a Teramo 5 unità femminili. Riconosciuto quindi - dice Nardella - anche dal Dipartimento quanto denunciato dalle organizzazioni sindacali non ultima la Uil Penitenziari circa la carenza degli organici delle sedi interessate dalla mobilità. Per Nardella non si può tuttavia "non recriminare la mancata assegnazione di unità di Polizia Penitenziaria alla casa circondariale di Lanciano anch’essa in forte deficit di personale". La Uil si dice quindi "solo parzialmente soddisfatta". "Molto resta da fare per raggiungere quell’optimum da noi richiesto e che è ben lungi dall’essere reso tale. Al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria - conclude Nardella - chiederemo quindi un maggior impegno in tal senso". Napoli: a Poggioreale meno detenuti; ad inizio anno erano 2.400, oggi ce ne sono 1.968 Roma, 11 luglio 2014 Il fronte del sovraffollamento carcerario resta caldissimo. Specialmente in questo periodo estivo. Ma a Napoli, dove il carcere di Poggioreale è da tempo additato come il più sovraffollato d’Europa, gli ultimissimi numeri sulla presenza dei detenuti autorizzano a coltivare un leggero ottimismo. Nella nostra regione, grazie all’apertura di nuovi padiglioni e al declassamento di alcuni istituti penitenziari da carceri di massime sicurezza a strutture detentive di media, la situazione rispetto all’inizio dell’anno sembra essere migliorata. All’inizio del 2014, infatti, gli ospiti di Poggioreale erano 2.400, mentre oggi ce ne sono 1.968. Il carcere di Secondigliano, che ha invece una vocazione differente e ospita detenuti condannati a non avere una fine per la loro pena, resta stabile nei numeri e conserva 1.330 detenuti. Mentre il carcere femminile di Pozzuoli passa da 200 detenute di inizio anno a 179 grazie anche ai trasferimenti effettuati presso il carcere di Sant’Angelo e a quelli presso la struttura di Santa Maria Capua Vetere, dove è stato inaugurato un nuovo padiglione, capace di offrire 150 nuovi posti. Padova: anche abusi sessuali e pestaggi, negli atti dell’inchiesta su operato di alcuni agenti di Cristina Genesin Il Mattino di Padova, 11 luglio 2014 Pestaggi e violenze sessuali nei confronti di alcuni detenuti. Sono i nuovi inquietanti scenari che emergono dall’inchiesta sull’operato di alcuni agenti di Polizia penitenziaria all’interno della casa di reclusione Due Palazzi di Padova (la struttura per i detenuti condannati in via definitiva). Inchiesta che ha spedito in carcere sette persone (tra loro l’assistente e l’agente di polizia penitenziaria Pietro Rega e Luca Bellino) mentre in otto sono finiti agli arresti domiciliari (i quattro agenti Giandonato Laterza, Angelo Telesca, Paolo Giordano e Roberto Di Profio, oltre all’avvocato di Porto Viro Michela Marangon, due parenti di detenuti e un tunisino sospettato di spaccio); restano indagati altri nove agenti del Due Palazzi in stato di libertà. Le accuse contestate per ora - a vario titolo - dal pubblico ministero Sergio Dini sono di concorso in corruzione, spaccio di droga aggravata per essere avvenuta dentro un carcere e con abuso di poteri e violazione dei doveri della pubblica funzione. Ma nel mirino della Squadra mobile, diretta dal vicequestore aggiunto Marco Calì, ci sono quelle violenze. Un detenuto collaboratore, Andrea, ha raccontato di essere stato picchiato da Rega e da suoi "incaricati". Chi sono? Altri agenti o reclusi? Qualcun altro avrebbe parlato di abusi sessuali. Intanto il quadro disegnato dalle intercettazioni va oltre ogni immaginazione: gli agenti andavano al lavoro imbottiti di cocaina o di altri stupefacenti, di cui erano consumatori quasi quotidiani. Il 9 novembre scorso Laterza chiama un pusher nigeriano: "Siamo in tre" informa, poco prima di arrivare all’appuntamento. E a Laterza, che lamenta un pò di depressione, il collega Paolo Giordano (l’agente pornostar che produce filmini a luci rosse distribuiti fra i detenuti) consiglia "un pò di meta (metadone)". L’1 novembre ancora Laterza chiama un fornitore magrebino: "Ehi, ci sei? Dieci minuti ... e siamo quattro". Il pusher: "Dammi 95 (i soldi in euro), vieni al parco...". Il 6 giugno scorso Paolo, un uomo arrestato per furto in un supermercato e terrorizzato all’idea di tornare al Due Palazzi, ricostruisce davanti agli inquirenti e al pm: "Il primo a offrirmi stupefacente fu l’agente Paolo detto il pittore (Giordano). Mi disse se preferivo eroina o brown sugar... Poi mi portò un mezzo grammo di eroina. Da quel momento ho comprato più volte eroina da lui, dall’agente Pietro (Rega), e da un altro agente noto come Ù Cafone (Luca Bellino) tra il novembre 2011 e la fine della mia detenzione. Tutti questi agenti erano consumatori in maniera massiccia. Quando stavano per andare a comprare droga dicevano: "Oggi facciamo festa"". Gli agenti avevano di continuo bisogno di soldi. Così si prestavano a favori anche nei confronti di boss detenuti nel reparto di massima sicurezza. Tra questi, Gaetano Bocchetti legato al clan camorristico "Alleranza di Secondigliano": attraverso un detenuto, Rega fornisce al camorrista un hard disk, cacciaviti, pinze, cellulare, chiavette usb e allenta la vigilanza. Tuttavia, dopo il trasferimento in un altro blocco del detenuto, è più faticosa la consegna della "merce". Il 17 novembre scorso l’assistente Rega parla al telefono con un tale Peppino, legato al clan e identificato in Giuseppe Aquevella: l’uomo si lamenta che un pacco destinato al detenuto è tornato indietro due volte. E dice a Rega: "Domani te lo rimando... Mica mi hai fatto quella cortesia della chiave". E Rega: "Peppino, è un bordello... Sto provando in tutte le maniere. Non so quando e come, credimi tutti i giorni sto pensando a questa cosa... Appena ho l’occasione la faccio, però mi serve l’occasione giusta, sai non so come spiegarti... Adesso magari quando ci vediamo da vicino... Io devo andare da lui e non posso farlo da dove sono io... Stai tranquillo che appena ho l’occasione è il mio primo pensiero, mi sono messo d’accordo con un compagno. Dobbiamo prendere l’occasione giusta". Venezia: processo per la maxi-rissa in carcere tra 50 detenuti magrebini e dell’Est Europa Il Gazzettino, 11 luglio 2014 Una maxirissa tra 50 detenuti nel carcere veneziano di Santa Maria Maggiore. È approdata ieri mattina davanti al giudice monocratico Defazio la vicenda della scazzottata scoppiata nel maggio del 2012. In tutto sono circa una ventina gli indagati, quasi tutti stranieri, che devono rispondere dell’accusa di rissa. La violenta baruffa era nata tra alcuni magrebini e alcuni detenuti originari dell’Europa dell’est. Una mattina erano volate parole pesanti in seguito ad una sorta di spallata tra due persone. La cosa si era ripetuta qualche ora più tardi e tra magrebini, da una parte, e moldavi e ucraini, erano voltati pugni. Genova: Uil-Pa; nel carcere di Pontedecimo detenuto tenta 2 volte di impiccarsi www.genova24.it, 11 luglio 2014 "Ancora una volta il tempestivo ed efficace intervento della Polizia Penitenziaria ha impedito che la già lunga scia di morti per suicidio in cella potesse allungarsi. Nella giornata di ieri, infatti, a Genova Pontedecimo un detenuto italiano è stato per ben due volte salvato in extremis dal soffocamento per impiccagione". Lo comunica Fabio Pagani, Segretario Regionale della Uil-Pa Penitenziari, che fornisce alcuni dettagli su quanto accaduto. "Un detenuto italiano, ha tentato di impiccarsi per ben due volte con una corda ricavata dai propri indumenti, legandola alle sbarre della finestra della cella. L’uomo è stato salvato dagli agenti mentre erano già evidenti i primi segni del soffocamento. A Pontedecimo sono presenti 151 detenuti (79 donne e 72 uomini). Dal 1° gennaio ad oggi la Polizia Penitenziaria ha già salvato 12 detenuti da morte per suicidio, in Liguria - Insomma, in perfetta continuità, la Polizia Penitenziaria continua a salvare vite, ad essere oggetto di aggressioni e messa nelle condizioni di non poter incidere a salvaguardare i livelli di sicurezza". "Vogliamo sperare che il Ministro Orlando sostenga con forza l’urgente necessità di procedere alle assunzioni nella polizia penitenziaria i cui organici registrano vacanze per circa 6.500 unità - prosegue. Speriamo che i vertici politici ed amministrativi comprendano che sottrarre qualche migliaia di poliziotti penitenziari attualmente addetti alle mansioni di usciere e portaborse o applicati ad uffici amministrativi è una prepotente urgenza, propedeutica ad alimentare la speranza che la gestione delle risorse sia improntata, finalmente, all’efficienza ed all’efficacia". "Di certo - conclude il Segretario Regionale della Uil Penitenziari - ci si augura che dopo questo ennesimo episodio, sia i vertici dell’Amministrazione Penitenziaria che dell’Asl riflettano e possano garantire da subito il servizio Sanitario a Pontedecimo h/24". Ferrara: detenuto tenta suicidio, salvato grazie all’intervento della Polizia penitenziaria www.estense.com, 11 luglio 2014 Martedì scorso due detenuti, uno di origine italiana, ristretto nel carcere di Ferrara, l’altro straniero, nel carcere di Modena - secondo quanto riportano Donato Capece, segretario generale del Sappe e Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto - hanno tentato il suicidio e sono stati tratti in salvo dal pronto intervento della polizia penitenziaria. "Tutto questo - affermano i due - conferma quanto sia indispensabile il controllo del personale di polizia penitenziaria nei confronti dei detenuti, sia per evitare tragedie come il suicidio, sia per garantire la sicurezza all’interno delle strutture penitenziarie". Proprio ieri una delegazione del Sappe ha visitato il carcere di Ferrara, dove ha potuto constatare una situazione comunque gestibile, dovuta anche al calo dei detenuti. I detenuti stanno calando a livello nazionale grazie ai provvedimenti legislativi di questi ultimi anni, come la detenzione domiciliare e l’applicazione del braccialetto elettronico e diminuiranno ancora a seguito della reintroduzione della distinzione tra droghe pesanti e droghe leggere. Anche in Emilia Romagna la situazione è decisamente migliorata. Infatti, la popolazione detenuta è diminuita di circa 1.000 unità, passando dai circa 4.400 detenuti di qualche anno addietro ai circa 3400 di questi giorni. "Tutto questo, però - continuano Capece e Durante - non elimina il problema dei tanti eventi critici che quotidianamente si verificano nelle carceri italiane e che solo grazie alla presenza della polizia penitenziaria, spesso, non arrivano a conseguenze drammatiche". Firenze: Radicali in strada per chiedere più salute in carcere e abolizione regime di 41-bis www.gonews.it, 11 luglio 2014 I Radicali fiorentini dell’associazione Andrea Tamburi hanno manifestato stamani con un presidio davanti alla sede della prefettura di Firenze e del Consiglio regionale della Toscana per chiedere più salute all’interno delle carceri e l’abolizione del regime di detenzione del 41-bis. "Le carceri sono tornate nel dimenticatoio - hanno spiegato i manifestanti - ma la situazione è peggiorata. L’80% della popolazione carceraria, anche a Firenze, ha una patologia, il 37% sono tossicodipendenti e il 27% soffre di disturbi psichiatrici. È il momento di dare attuazione alla competenza che le Regioni hanno, Toscana compresa, sulla salute all’interno delle carceri". I radicali chiedono inoltre "da anni l’abolizione del 41-bis perché è lesivo dei diritti costituzionali e non è rispettoso della Costituzione italiana". A questo proposito i manifestanti hanno esposto cartelli e striscioni con scritto, tra l’altro, "Tortura democratica. Provenzano: cosa ci fa un incapace di intendere e di volere al 41-bis". Dai radicali fiorentini anche un appello al sindaco Dario Nardella perché nomini il nuovo garante dei detenuti di Firenze, il cui posto è vacante dallo scorso autunno. Pisa: Alberto Di Martino è il nuovo Garante comunale dei diritti dei detenuti www.gonews.it, 11 luglio 2014 Il sindaco Filippeschi ha nominato il nuovo garante dei detenuti. Si tratta di Alberto Di Martino, professore di diritto penale alla Scuola Sant’Anna. Il garante ha il compito di operare per migliorare le condizioni di vita e di inserimento sociale dei detenuti, di controllare che ai carcerati vengano garantiti i diritti sanciti dalla legge e dalla Costituzione (tra cui le opportunità di partecipazione alla vita civile e di fruizione dei servizi comunali) e di promuovere iniziative di sensibilizzazione pubblica sui temi dei diritti umani e dell’umanizzazione delle pene. Dopo aver esaminato i vari curricula allegati alle domande di partecipazione, è stato scelto il professor Di Martino perché, si legge nelle motivazioni, "è in grado di offrire una solida competenza professionale di tipo giuridico non disgiunta da un’adeguata esperienza maturata nel tempo nei settori dei servizi sociali". Una breve biografia - Alberto di Martino (La Spezia, 1968) è attualmente Professore straordinario di Diritto penale nella Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. Dopo aver studiato giurisprudenza a Pisa, ha effettuato vari soggiorni di studio in istituzioni di ricerca e in università della Germania (Friburgo, Francoforte, Berlino). Ha partecipato durante l’ultimo governo Prodi alla delegazione italiana al Working Group sulla corruzione nelle transazioni economiche transnazionali dell’Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico). È autore di oltre novanta pubblicazioni scientifiche ed ha curato la traduzione italiana di un noto testo di diritto dei crimini internazionali (Gerhard Werle, Principles of International Criminal Law). Si è occupato di recente di diritto penale dell’immigrazione e ha pubblicato un rapporto in tema di criminalizzazione dell’immigrazione irregolare e detenzione degli stranieri nei centri di identificazione ed espulsione, finanziato nell’ambito delle fondazioni di George Soros, Open Society Foundations-Justice Initiative. Ferrara: l’incontro del Sappe ha messo in evidenza luci ed ombre del carcere cittadino di Marcello Celeghini www.estense.com, 11 luglio 2014 È una situazione in miglioramento ma con ancora molte criticità quella del carcere dell’Arginone. A dirlo il sindacato Sappe della Polizia Penitenziaria che ieri mattina durante un incontro nella struttura penitenziaria ha fatto il punto della situazione sui problemi del carcere di Ferrara e sulle risposte che si attendono, in tempi brevi, dal ministero. All’incontro ha partecipato anche il segretario generale del sindacato, Donato Capece, che ha fornito anche un quadro generale del sistema carcerario italiano dopo gli ultimi provvedimenti governativi per affrontare la piaga del sovraffollamento. Attualmente a Ferrara ci sono 308 detenuti, tra i quali quattro in regime di massima sicurezza, anche se il carcere dell’Arginone è classificato e pensato come carcere di media sicurezza. E qui nascono la prime perplessità del sindacato. "Il personale e la recinzione esterna - spiega il segretario provinciale del Sappe - non sono sufficienti a garantire gli standard di sicurezza per la detenzione in regime di massima sicurezza, la recinzione è una semplice rete metallica da giardino". Altro tasto dolente è quello del personale che, a Ferrara come nel resto d’Italia, è esiguo per il numero di detenuti. "Per Ferrara avevamo fatto richiesta di venti nuove unità per garantire gli standard di sicurezza fuori e dentro il carcere - interviene il segretario regionale del Sappe Francesco Campobasso - dalle prime assegnazioni pare che ci saranno negate e questo rappresenta un grande problema, ci batteremo perché le assegnazioni dei nuovi agenti siano riviste in favore di Ferrara. Altra difficoltà quotidiana per gli agenti è garantire la cosiddetta vigilanza dinamica ovvero la libertà di movimento dei detenuti all’interno delle varie sezioni con tutti i problemi connessi. I problemi del carcere di Ferrara - conclude Campobasso - sono gli stessi delle carceri delle altre città emiliano romagnole, quindi occorre affrontare i problemi in maniera complessiva su tutta la regione". Dati confortanti per la piaga del sovraffollamento carcerario sono stati forniti dal segretario generale del sindacato Donato Capece. "Entro la fine dell’anno la popolazione carceraria italiana dovrebbe scendere al di sotto delle 55mila unità grazie ai provvedimenti svuota carceri degli ultimi due governi. Ma le misure alternative - sottolinea il segretario generale - presentano alcune complessità tutte a carico degli agenti. La prima di queste riguarda il braccialetto elettronico; ad oggi sono finiti i fondi per realizzare i braccialetti, per anni si è speso senza che i braccialetti fossero realmente utilizzati, ora che servono sono finiti". "Anche se il problema del sovraffollamento è avviato verso la soluzione, c’è ancora molto da fare - rivela Donato Capece. Occorre una riforma radicale e complessiva del sistema carcerario italiano. La mia idea sulla possibile riforma sarebbe quella di suddividere tra carcere duro per i detenuti pericolosi e reiteranti e un carcere invisibile sul territorio per tutti i reati minori attraverso lavori di pubblica utilità. Ecco che se la riforma andasse in porto avremmo massimo 30-35mila detenuti nelle carceri ed il personale di polizia attuale sarebbe più che sufficiente per garantire la sicurezza". Nuoro: Sdr; detenuto 38enne chiede avvicinamento alla famiglia, residente in Calabria Ristretti Orizzonti, 11 luglio 2014 "La territorialità della pena e la vicinanza alla famiglia costituiscono i pilastri del trattamento rieducativo carcerario, specialmente in presenza di minori. Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria tuttavia, nonostante la legge e le sue circolari, continua a negare un diritto che riguarda anche i cittadini privati della libertà in regime di Alta Sicurezza infliggendo a detenuti e familiari una pena aggiuntiva". Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione "Socialismo Diritti Riforme", con riferimento al caso di Giuseppe Longo, 38 anni, calabrese, che, ristretto da un anno nella Casa Circondariale di Badu e Carros a Nuoro, ha chiesto ripetutamente al Dap di essere trasferito nella regione di residenza o in una struttura detentiva ubicata in un’area prossima alla famiglia. L’uomo, infatti, non fruisce dei colloqui ormai da quattro mesi con ripercussioni particolarmente negative sui figli, due ragazzine di 12 e 9 anni e un bimbo di 6 anni. "È evidente - sottolinea Caligaris - che non possono essere ignorate le problematiche della sicurezza. È altrettanto fondato però considerare che si tratta di una persona il cui percorso processuale non è giunto a conclusione. La necessità di ristabilire un contatto diretto con la famiglia può essere soddisfatta, almeno in parte, anche con periodi temporanei di avvicinamento durante i quali valutare il comportamento del detenuto e alleviare il disagio dei bambini. Qualche volta il Dap potrebbe applicare quei percorsi virtuosi di umanità che rendendo una condizione meno afflittiva ottengono risultati più soddisfacenti sul piano del trattamento". "Il mio attuale luogo di assegnazione - sottolinea Giuseppe Longo nell’ultima istanza di trasferimento inviata all’associazione - mi impedisce completamente di avere rapporti con la famiglia e ciò anche perché la situazione economica del nucleo familiare non è delle più rosee. Sono il padre di tre splendidi figli, ai quali sono molto legato. Ho sempre cercato di dar loro il massimo sostegno e nei diversi colloqui che ho effettuato in passato non ho fatto altro che raccomandargli pazienza e fiducia nel corso della Giustizia e nell’opera delle Istituzioni. Al tempo stesso, ho sempre e solo cercato di confortare e dar forza a mia moglie. La mancanza di contatti regolari - sottolinea Longo - ha provocato nelle mie figlie, già particolarmente provate dal mio arresto, uno stress tale da avere pesantissime ricadute sul loro equilibrio psicofisico, con conseguenze tangibili anche in riferimento al rendimento scolastico. Entrambe sono state affidate alle cure dello psicologo e psicoterapeuta del Consultorio Familiare. Inutile aggiungere che anche mia moglie che sopporta in silenzio tutto il peso della situazione ha dovuto richiedere in un’occasione l’intervento dei sanitari per una crisi". L’istanza di trasferimento al Dap è corredata della documentazione medica e del dispositivo del Tribunale di Palmi che ha ridimensionato la posizione di Giuseppe Longo in merito alle accuse. Il detenuto, in attesa delle motivazioni della sentenza di primo grado, attraverso l’avv. Francesco Giuseppe Formica, intende ricorrere in appello. Torino: Sappe; trovato un altro telefono cellulare in carcere, è il terzo in pochi giorni Ristretti Orizzonti, 11 luglio 2014 I poliziotti penitenziari di Torino hanno trovato, in una cella occupata da un detenuto rumeno ristretto per reati di droga e con un fine pena marzo 2019, un telefono cellulare perfettamente funzionante. è accaduto al piano terra della sezione Isolamento del Padiglione "A" del carcere di Torino "Lo Russo-Cotugno" e a darne notizia è il segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe Donato Capece. "È un episodio inquietante, essendo il terzo telefono cellulare rinvenuto in carcere in pochi giorni: un arco temporale assai ristretto", aggiunge il leader dei Baschi Azzurri del Sappe. "Tali situazioni dovrebbero far riflettere la nostra Amministrazione circa la vulnerabilità del nostro sistema penitenziario: eppure, poco o nulla viene fatto dal Dap, il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Basti pensare ad alcune soluzioni rapide ed efficaci, come la possibilità di schermare gli istituti penitenziari per neutralizzare la possibilità di utilizzo di qualsiasi mezzo di comunicazione non consentito e la possibilità di dotare tutti i reparti di Polizia Penitenziaria di appositi rilevatori di telefoni cellulari per ristabilire serenità lavorativa ed efficienza istituzionale, anche attraverso adeguati ed urgenti stanziamenti finanziari, che però vengono trascurati dall’attuale dirigenza del Dap." Ma il Sappe, sottolineando che gli ultimi eventi critici in carcere a Torino hanno coinvolto detenuti stranieri, aggiunge: "È sintomatico che negli ultimi dieci anni ci sia stata un’impennata dei detenuti stranieri nelle carceri italiane, che da una percentuale media del 15% negli anni ‘90 sono passati oggi ad essere oltre 20mila. Fare scontare agli immigrati condannati da un tribunale italiano con una sentenza irrevocabile la pena nelle carceri dei Paesi d’origine può anche essere un forte deterrente nei confronti degli stranieri che delinquono in Italia. Il dato oggettivo è però un altro: le espulsioni di detenuti stranieri dall’Italia sono state fino ad oggi assai contenute: 896 nel 2011, 920 nel 2012 e 955 nel 2013, soprattutto in Albania, Marocco, Tunisia e Nigeria. Si deve però superare il paradosso ipergarantista che oggi prevede il consenso dell’interessato a scontare la pena nelle carceri del Paese di provenienza. E spesso proprio gli stranieri in carcere si rendono protagonisti di eventi critici, con una palese accentuazione delle criticità con cui quotidianamente devono confrontarsi le donne e gli uomini della Polizia penitenziaria. Si pensi, ad esempio, agli atti di autolesionismo in carcere, che hanno spesso la forma di gesti plateali, distinguibili dai tentativi di suicidio in quanto le modalità di esecuzione permettono ragionevolmente di escludere la reale determinazione di porre fine alla propria vita". Taranto: l’infermiere di servizio nel carcere si difende "la droga non era per i detenuti" Nuovo Quotidiano di Puglia, 11 luglio 2014 "Quella droga non era per i detenuti. L’ho comprata e l’ho nascosta, ma era per uso personale". Si è difeso così l’infermiere manduriano Cosimo Fanuli, di 52 anni, arrestato lunedì all’interno del carcere con 28 grammi di marijuana. Lo hanno fermato gli agenti della polizia penitenziaria, proprio mentre si accingeva ad entrare in una sezione che ospita detenuti condannati in via definitiva. Lo ha incastrato il fiuto del cane antidroga Vera che ha individuato lo stupefacente nascosto in un flacone di shampoo. E il sospetto, ovviamente, è che l’uomo, in servizio nel carcere tarantino da oltre tredici anni, stesse per consegnare le dosi di droga ad alcuni detenuti. Così per lui è scattato l’arresto ed è stato posto ai domiciliari. Ieri mattina è comparso dinanzi al giudice Pompeo Carriere per la convalida dell’arresto, in flagranza di reato. Fanuli, che è stato assistito dall’avvocato Dario Blandamura, durante il confronto con il magistrato ha raccontato la sua versione dei fatti. Ha ammesso di aver acquistato lo stupefacente poco prima di prendere servizio nel penitenziario di Largo Magli. "L’ho portato in carcere perché dovevo andare necessariamente al lavoro". Ha escluso, però, di aver fatto da corriere per qualche detenuto. Durante il suo racconto ha aggiunto anche alcuni dettagli per corroborare la sua versione dei fatti. A suo dire, da oltre un anno avrebbe cominciato a utilizzare la marijuana anche per combattere una fastidiosa forma di emicrania. Così avrebbe continuato a ricorrere allo stupefacente per uso terapeutico, evitando di comprarlo a Manduria dove è molto conosciuto. Per questo, l’altro giorno avrebbe fatto l’acquisto a Taranto e poco prima di andare al lavoro. Trovandosi, a suo dire, nella condizione necessaria di portarsi dietro quel carico pericoloso. E infatti, quelle dosi nascoste nel flacone di shampoo lo hanno fatto finire direttamente nei guai. Perché il fiuto del segugio Vera ha subito individuato la presenza di stupefacenti, innescando sospetti gravissimi sull’infermiere. Dopo il suo interrogatorio, il giudice Pompeo Carriere si è riservato di decidere sulla misura cautelare da applicare. L’uomo, come si è detto, è già agli arresti domiciliari. Su di lui, peraltro, pende la minaccia di provvedimenti disciplinari annunciati dall’Asl. Subito dopo aver appreso la notizia del suo arresto per droga, dall’azienda è stata diramata una nota. Con la quale si preannunciano provvedimenti contro il paramedico. Lecce: accordo Camera penale-carcere per prenotazione on line dei colloqui con i detenuti www.corrieresalentino.it, 11 luglio 2014 Era stato promesso non appena si insediò il nuovo direttivo della Camera Penale "F. Salvi" di Lecce, da oggi è diventata una lieta novità. A partire dal prossimo 14 luglio, infatti, sarà attivo il sistema di prenotazione on line dei colloqui con i detenuti nonché il nuovo regime per le richieste di informazioni all’ufficio matricola. È quanto contenuto in un apposito protocollo sottoscritto dal Presidente della Camera penale (Francesco Vergine) e il direttore della Casa circondariale "Borgo San Nicola". In particolare si prevede che l’avvocato, a mezzo e-mail, potrà avanzare la propria richiesta di colloquio da inviare all’indirizzo indicato. Tale richiesta, contenente le generalità precise del detenuto o dei detenuti dovrà essere inviata entro le 24,00 del giorno precedente a quello in cui si intende effettuare il colloquio. La Casa Circondariale darà conferma, sempre tramite email, della disponibilità di una sala colloqui per l’orario prescelto eventualmente segnalando una eccessiva sovrapposizione di richieste che impedisce un rapido e corretto espletamento del servizio. La fascia oraria nella quale sarà possibile procedere al colloquio programmato sarà dalle 9 alle 13 oltre ai normali orari pomeridiani, nelle consuete tre giornate. Il sistema consentirà il massimo contenimento dei tempi di attesa. L’avvocato potrà comunque segnalare sempre a mezzo mail o telefonicamente la propria impossibilità a dare corso al colloquio programmato. Al fine di assicurare un sistema funzionale si raccomanda agli avvocati di contenere nel limite del necessario la durata dei colloqui ed utilizzare il sistema di prenotazione on line. Resta, comunque, fermo il diritto degli avvocati di presentarsi, senza prenotazione, per effettuare un colloquio con il proprio assistito. Tuttavia, in tali casi, la Casa Circondariale non garantisce un contenimento dei tempi d’attesa. Il protocollo prevede altresì la possibilità di formulare richieste di informazioni all’ufficio matricola. Savona: Sappe; oggi il Sottosegretario alla giustizia Ferri in visita al carcere www.savonanews.it, 11 luglio 2014 Successivamente si sposterà alla Scuola di Formazione di Polizia di Cairo Montenotte. Appuntamenti liguri domani, venerdì 11 luglio 2014, per il Sottosegretario di Stato alla Giustizia Cosimo Maria Ferri che visiterà la Casa circondariale di Savona e, successivamente, la Scuola di Formazione di Polizia di Cairo Montenotte. "Sono contento che il Sottosegretario Ferri abbia accolto l’invito che gli ha formulato il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria", commenta il Segretario Generale del Sappe Donato Capece che accompagnerà il Sottosegretario nelle visite con il Segretario Regionale ligure Michele Lorenzo. "Non è più accettabile avere in Italia un carcere vergognoso come il Sant’Agostino di Savona, indegno per chi ci lavora e per chi sconta una pena, taluni addirittura in celle senza finestre. È noto che il Sappe suggerisce, da tempo, la proposta di realizzare un nuovo carcere nella Valbormida, in tempi estremamente brevi, con costi contenuti ed avvalendosi di manodopera locale. Questa proposta ha avuto ampie convergenze e potrebbe essere un primo passo importante per un nuovo carcere alternativo a quello disastroso di Savona. Per questo abbiamo ritenuto opportuno invitare domani, venerdì 11 luglio, il Sottosegretario Ferri a Savona". Capece, che rivolge un plauso ai poliziotti penitenziari che lavorano al S. Agostino di Savona per la loro professionalità ed umanità, aggiunge: "Una riqualificazione importante per la Valbormida può essere anche quella di utilizzare aree dismesse per costruirvi un nuovo carcere". E sulla Scuola di Polizia di Cairo Montenotte aggiunge: "La Scuola di Cairo Montenotte, un polo d’eccellenza nella formazione del Personale non solo della Polizia penitenziaria, è poco utilizzata, mentre un suo più massiccio uso potrebbe essere un importante risorsa anche per gli operatori economici di tutta la Valbormida". Milano: alla scoperta di Bollate… il mio viaggio interiore tra le mura di un carcere di Alessandra Virgilio La Voce, 11 luglio 2014 Diversità è ricchezza: il carcere a porte aperte che tocca l’anima. Casa di Reclusione di Bollate. Quella calda mattina di maggio mi sentivo un pò come una ragazzina alle prime armi che stava andando all’appuntamento con il ragazzo per il quale aveva preso una cotta. Cosa dire, come comportarsi, come muoversi. Mille interrogativi affollavano la mia mente, ma anche mille paure. Le paure di chi si accinge a visitare un mondo nuovo, apparentemente così distante e così diverso dal proprio e lo fa non senza pregiudizi. Ma presa dalle mie ansie e preoccupazioni, ancora non sapevo che mi apprestavo ad iniziare un lungo viaggio interiore che mi avrebbe cambiata, mi avrebbe emozionata, mi avrebbe segnata; mi avrebbe fatto crescere. Perché il viaggio che ho intrapreso non è stato quello verso una meta esotica ma a Bollate: precisamente al carcere di Bollate. Tutto è nato dall’idea innovativa dei miei professori universitari di dare la possibilità a noi studenti di svolgere un laboratorio di interviste radiofoniche con i detenuti della casa di reclusione di Bollate. Perché proprio a Bollate? Perché Bollate è un carcere diverso e te ne accorgi fin da subito, quando, dopo aver superato i vari controlli, ti ritrovi a percorrere i vasti e lunghi corridoi luminosi, percorsi da agenti dall’aria gentile e per niente truce e da detenuti che passeggiano, si fermano a scherzare tra di loro, si recano a lavorare grazie all’articolo 21. E per chi non può usufruire dell’articolo 21, è possibile lavorare anche in carcere. Bollate nasce per dare una seconda possibilità a chi, la prima, l’ha buttata via volontariamente o meno: qui, chi ha sbagliato, sconta la sua pena, ma la reclusione non è solo punitiva. È rieducativa. Nato nel 2000 come istituto a custodia attenuata per detenuti comuni, oggi Bollate ospita 1.200 carcerati, che vivono insieme in una struttura aperta: le porte delle celle si chiudono solo la sera e durante il giorno tutti possono girare liberamente da una sezione all’altra. Ma non solo: c’è una palestra, una biblioteca, un servizio catering, la compagnia teatrale Estia con detenuti assunti come attori, una sala di musica e radio con la possibilità di andare in onda ogni domenica su Radio popolare, c’è la cascina Bollate che si prende cura dei cavalli sequestrati e aspira a diventare un vero e proprio maneggio. Insomma, sembra il carcere modello e forse, rispetto a tante altre carceri lo è. Qui il detenuto non è solo un colpevole, ma prima di tutto una persona da reintegrare nella società. E ad avermi colpito di più di Bollate non è solo l’umanità che si respira all’interno di questo carcere, ma proprio le persone. Nel nostro mondo quotidiano, tanto doloroso quanto pieno di contraddizioni, molto spesso la maggior parte delle persone non fa altro che piangersi addosso per problemi futili e patetici. Tutto ciò che dicono è grigio e sterile come le "preoccupazioni" che li affliggono. Nel microcosmo di Bollate, al contrario, ho riscoperto l’interesse per l’ascolto. Perché gli uomini e le donne con le quali ci siamo ritrovati a lavorare erano delle persone con un mondo interiore ricco e da esplorare, interessanti e mai banali. E con le loro parole e le loro storie, io ho arricchito la mia di storia. Così quei due incontri a settimana fino a giugno, erano diventati un appuntamento che riempivano le nostre giornate e sicuramente anche le loro. Lo aspettavo quell’incontro e per nulla al mondo sarei potuta mancare. Il clima amichevole e sereno che si era creato ha dato poi vita ad un emozionante lavoro radiofonico corale, in cui abbiamo cercato di raccontare in una sorta di documentario, il variegato mondo di Bollate. Ma Bollate è questo e molto altro. E non si possono raccontare le emozioni, le risate, i segni interiori che ha lasciato quest’avventura. Posso solo dire che al termine di questa fantastica esperienza di vita, senza i miei compagni di viaggio e senza più quei due incontri settimanali mi sono sentita vuota. In una comunione di storie e di passioni, di sogni e di risentimenti, di risate e di attimi di estrema malinconia, mi sono resa conto ancora di più che milioni di persone incrociano la nostra vita, ma pochissime sono quelle che lasciano un segno indelebile. Brescia: "Correre liberalamente"… i detenuti si allenano per la gara prevista a ottobre di Thomas Bendinelli Corriere della Sera, 11 luglio 2014 Quattro ottobre: segnatevi la data sul calendario. Quel giorno a Campo Marte ci saranno tanti detenuti in tuta e scarpe da jogging: nessuna fuga improbabile sia chiaro, ma una tappa importante del progetto pilota "Correre liberalamente" voluto dall’assessorato provinciale alla Cultura e turismo di Silvia Razzi insieme a Gabriele Rosa, presidente della società Rosa & Associati che si occupa di Medicina dello Sport e promuove eventi, della comitato regionale del Lazio della Federazione Italiana di atletica leggera e del Gruppo Idee, associazione nata all’interno del carcere di Rebibbia con l’obiettivo di aiutare chi, "dopo un reato commesso, ha voglia di rimettersi in gioco". Il progetto, presentato nella Casa circondariale di Verziano, coinvolge anche l’altro carcere cittadino e le due strutture detentive di Sulmona e Frosinone. L’idea di fondo è semplice: al pari delle biblioteche, dell’istruzione, dell’educazione musicale o dei laboratori per imparare un lavoro, anche lo sport e l’attività fisica è strumento di liberazione individuale. Da alcuni giorni 25 detenuti di Verziano - struttura che ha spazi all’aperto sufficienti per poter permettere una corsa degna di tal nome - hanno iniziato ad allenarsi, a breve se ne aggiungeranno alcuni di Canton Mombello e, forse, di Sulmona e Frosinone. Il 17 luglio ci saranno le prime selezioni, a ottobre la prima gara tra detenuti a Campo Marte. "Il nostro augurio - afferma Silvia Razzi - è che questo progetto possa estendersi in futuro anche ad altre strutture penitenziarie". Intanto si comincia, poi si vedrà. "La parola rieducazione può significare tante cose o nulla - osserva la direttrice di Canton Mombello Francesca Gioieni -: per noi è un indicare una strada, fornire un’opportunità di esperienza di vita diversa. Poi dipende ovviamente dai singoli e dal nostro impegno". Di sicuro, aggiunge la direttrice, il carcere "non è e non può essere a tenuta stagna". "La risocializzazione è fondamentale - rileva la direttrice di Verziano Francesca Lucrezi: se non ci credessimo non saremmo qui". "La gara del quattro ottobre sarà testimonianza di un lavoro che si porta all’esterno", suggerisce la direttrice della casa di reclusione di Sulmona Luisa Pesante. Perché la corsa? "Perché fa bene alla salute, è un gesto tecnico semplice, non c’è bisogno di impianti sportivi e si può fare anche attorno a un condominio - ricorda Gabriele Rosa -. E perché permette di riappropriarsi del rapporto col proprio corpo". E aiuta, quindi, a "liberare la mente": il quattro ottobre la prima edizione delle gare nazionali delle case di reclusione. Napoli: la mostra "Poggioreale. Oltre il muro di uno dei più antichi penitenziari italiani" di Rosita Grieco www.pensieridintegrazione.it, 11 luglio 2014 Il 2014 è decisamente l’anno nero per le carceri italiane. L’Italia continua a ricevere richiami da parte dell’Unione europea e la tanto agognata riforma della giustizia non riesce a mettere d’accordo nessuno. Soltanto la scorsa settimana la Corte europea per i diritti dell’uomo ha condannato l’Italia a risarcire 20mila euro (15mila per danni morali e 5mila per spese legali) a Valentino Saba, detenuto nel carcere di San Sebastiano a Sassari nel 2000 e sottoposto a violenze da parte degli agenti di custodia. Il sovraffollamento degli istituti di detenzione, le condizioni disumane in cui versano i carcerati e il desiderio di riscatto sono alla base della mostra fotografica "Poggioreale. Oltre il muro di uno dei più antichi penitenziari italiani" in esposizione alla Feltrinelli di via Santa Caterina a Chiaia di Napoli, dal 9 luglio al 31 agosto, firmata da Pino Rapolla, fotoreporter e giornalista di origini napoletane che da anni visita gli istituti italiani e racconta, con le sue foto, le persone che incontra. Un viaggio, quello di Rapolla, che ha toccato i principali istituti di detenzione come Regina Coeli, Rebibbia, Ucciardone, Opera, San Vittore, La Giudecca, partito inizialmente per realizzare un calendario per il Dap - Dipartimento amministrazione penitenziaria - ma a cui il fotografo di origini napoletane ma romano d’adozione si è appassionato. "Poggioreale: il carcere peggiore che abbia mai visto. Una città nella città": è stata questa la ragione che ha portato Rapolla a concentrare la sua attenzione sul carcere napoletano e attraverso i suoi scatti ha voluto cercare una speranza in quell’inferno dietro le sbarre. "Ho incontrato persone straordinarie - racconta Rampolla, che ha collaborato anche con i quotidiani Il Mattino e Roma - e sono stato testimone, in questi anni, di tutti i laboratori, dal teatro alla ceramica, che si realizzano per il benessere dei detenuti. Con loro ho attraversato selciati assolati e in loro compagnia mi sono reso conto di cosa significhi essere reclusi, non avere la possibilità di comunicare se non attraverso le esperienze che si realizzano in carcere e che diventano fondamentali per loro". Il filo rosso che lega i penitenziari italiani visitati dal fotografo è quello delle persone speciali su cui si può contare all’interno, dai volontari a figure fondamentali come quella del cappellano: "Grazie a queste persone chi arriva nell’inferno trova almeno una mano tesa". Le fotografie in mostra sono tratte dall’omonimo catalogo edito da Co.Art Edizioni, realizzato con il patrocinio del Comune di Napoli e della Provincia e con una prefazione del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Cento fotografie, altamente espressive, attraverso contrasti e sfumature del bianco e nero, che raccontano la vita di chi vive e lavora all’interno del penitenziario. Scatti nati con l’intento di creare un ponte verso l’esterno, di narrare la vita ma soprattutto la speranza verso il domani. Il fotografo, grazie alla sua maestria, riesce a far percorrere gli ambienti, a mettere davanti situazioni sconosciute, presentando quei volti, specchio di un’umanità sofferente, ma tesa verso un futuro di speranza. Immagini evocative capaci di far varcare la soglia di un carcere e di far conoscere un mondo inaspettato, ma fatto di storie e di persone che credono nella vita e nei valori più profondi. Le foto saranno solo venti - spiega l’autore - ma mi auguro possano essere rappresentative della speranza delle persone che ho incontrato nel mio viaggio. Persone che hanno sbagliato, pronte ed espirare la propria pena ma che, anche una volta uscite, trovano spesso difficoltà a rifarsi una vita". Pino Rampolla è nato a Salerno nel 1951, vive a Ostia. Professione e passione, da quasi 50 anni dietro la macchina fotografica. Ha iniziato l’attività nel 1965 come fotoreporter alla redazione del quotidiano Roma e successivamente è passato al Mattino di Napoli. Trasferitosi giovanissimo nella Capitale, ha attraversato molti generi fotografici, dallo spettacolo come assistente di Pietro Pascuttini, allo sport, dalla politica al ritratto dei grandi personaggi della cultura. Negli ultimi anni ha realizzato reportage in Sud Africa, Malawi, Armenia, Iraq e Ghana al seguito di Missioni Umanitarie. Attualmente è impegnato in una ricerca fotografica sulle carceri italiane. Per realizzare questo progetto ha trascorso diverso tempo nei penitenziari dell’Ucciardone, Poggioreale, Regina Coeli, Rebibbia, San Vittore. Opera, Bollate e la Giudecca di Venezia. Ha pubblicato 17 libri fotografici, ha vinto numerosi concorsi fotografici e ha all’attivo numerose mostre personali. Da 20 anni è iscritto all’Ordine dei giornalisti. Napoli: la cantante Monica Sarnelli si esibisce per le detenute del carcere di Pozzuoli Il Mattino, 11 luglio 2014 Come ogni anno, per portare conforto alle detenute che, tra caldo insopportabile e sovraffollamento, patiscono d’estate persino più che nel resto dell’anno, la Comunità di Sant’Egidio, che opera da sempre e con dedizione nelle carceri campane, organizza un evento serale al carcere di Pozzuoli. Quest’anno ha invitato Monica Sarnelli che sarà in concerto venerdì 11 luglio alle 21.00 nel cortile della casa circondariale. All’evento sono invitate a partecipare le 180 detenute. Per l’occasione Monica Sarnelli ha montato una scaletta dedicata alle donne, senza dimenticare i successi personali del suo repertorio, tra classici napoletani di ieri e di oggi e i suoi personali cavalli di battaglia. da "Notte lenta" a "Maruzzella", da "O sudato ‘nammurato" a "A me me piace ‘o blues" e "Un posto al sole". Con questo concerto, la Sarnelli inizia un nuovo percorso artistico, che ha nel suo cuore le donne della canzone napoletana: quelle cantate dalla canzone napoletana, quelle che hanno reso grande la canzone napoletana, quelle che la stanno rendendo grande ancora oggi. Cantanti e autrici, ma anche "Sirene, sciantose, malafemmene ed altre storie di donne", come suggerisce il titolo dello spettacolo scritto per lei da Federico Vacalebre e affidato alla regia di Elena De Candia: appuntamento per saperne di più alla prossima stagione teatrale. La Comunità di Sant’Egidio è presente da anni nelle carceri campane, in particolare a Poggioreale e Secondigliano, dove effettua visite, colloqui di sostegno e distribuzione di generi di necessità e indumenti ai detenuti indigenti. Inoltre organizza eventi culturali e di solidarietà che vedono protagonisti i carcerati che sostengono chi vive nelle prigioni africane. Ma anche feste e momenti di svago come i tradizionali pranzi di Natale che quest’anno hanno visto a tavola oltre 700 detenuti solo in Campania. Svizzera: protesta dei detenuti, interviene il Consigliere di Stato Norman Gobbi www.tio.ch, 11 luglio 2014 Il consigliere di Stato, vista l’assenza dei direttori delle strutture carcerarie, è intervenuto di persona per mediare e ricevere le richieste dei detenuti. "La manifestazione che si è svolta civilmente e senza alcun problema di sicurezza, fatto salvo un singolo episodio che ha interessato un detenuto nella sua cella, si è conclusa - come da richiesta del Direttore del Dipartimento alle ore 16.00 - con il rientro da parte dei detenuti nei laboratori e nelle rispettive celle". È rientrata la protesta inscenata nella giornata di oggi al penitenziario cantonale penale "La Stampa" di Canobbio. Alle 11.30 i detenuti hanno protestato contro le svariate misure restrittive applicate negli anni per motivi logistici, di concordato e di sicurezza interna, rifiutandosi di rientrare nelle loro celle al termine dell’ora d’aria. Su richiesta della direzione delle strutture carcerarie "i manifestanti" hanno elaborato una lista di richieste e rimostranze. L’intervento di Gobbi è dovuto alle assenze per motivi privati del Direttore ad interim Marco Zambetti, che ha comunque seguito via telefono l’evolversi della situazione - e del Direttore della Divisone della giustizia Giorgio Battaglioni. Ed in questo fuori programma il consigliere di Stato ha incontrato una delegazione in rappresentanza dei detenuti al carcere, insieme ai membri di direzione. L’incontro - come si legge nel comunicato stampa - ha permesso di prendere atto delle lamentele e delle ulteriori richieste, le quali saranno vagliate dalla direzione delle Strutture carcerarie, così come di chiarire da parte del Consigliere di Stato Norman Gobbi che non tutte le stesse potranno essere considerate. Dopo l’incontro i detenuti hanno fatto rientro nei laboratori e nelle rispettive celle. Essi riceveranno per iscritto risposta alle loro richieste nei prossimi giorni. Francia: chiude per restauri la storica prigione parigina de "La Sante", riaprirà nel 2019 di Giacomo Leso L’Espresso, 11 luglio 2014 Nuova vita per La Sante. La labirintica e storica prigione parigina, costruita dall’architetto Joseph Auguste Émile Vaudremer nel 1867, chiude il 31 luglio per restauri. E nel 2019 potrebbe riaprire come fiore all’occhiello della riforma del sistema penitenziario, che si vorrebbe far passare dal punitivo al riabilitativo, come ha spiegato davanti ai deputati la ministra della Giustizia Christiane Taubira, che ha difeso l’obiettivo della riduzione della recidiva con mille nuovi impieghi nel reinserimento sociale. La sovrappopolazione de La Sante, l’insalubrità, le incresciose stanze di 10 metri quadri per 4 detenuti, con Wc non separato e senza aerazione, numerosi insetti e colonie di topi, hanno già spinto un tribunale a condannare lo Stato a un risarcimento per contravvenzione alle leggi europee e violazione dei diritti umani. Da gennaio i trasferimenti dalla vetusta prigione del centro di Parigi ai più moderni carceri di Fleury-Mérogis, Poissy e Fresnes hanno ridotto da 900 a meno di 300 il numero dei detenuti: uomini in attesa di condanna o a fine pena, al lavoro di giorno, all’inferno di notte. Il carcere (dove sono passati anche il poeta Guillaume Apollinare, il pericolo pubblico numero uno Jacques Mesrine e il terrorista Nichi Ramirez Sanchez detto Carlos) era stato al centro di numerosi scandali denunciati anche dall’ex direttrice sanitaria che aveva raccontato come numerosi tossicodipendenti e immigrati fossero reclusi in un sotterraneo in condizioni infami. Non sorprende allora che nella mediateca "Robert Badinter" (dal nome del ministro socialista della Giustizia che abolì la pena di morte nel 1981), al primo piano de La Sante il giallo più letto sia "Ils se sont faits la belle" ("Sono evasi"). Ora la scommessa della rinascita. E di condizioni migliori per i carcerati. Grecia: Alba Dorata; in carcere anche il portavoce, è il nono deputato ad essere accusato Ansa, 11 luglio 2014 Un altro deputato del partito filo-nazista greco Chrysi Avgì (Alba Dorata) è da ieri sera detenuto nella prigione di Korydallos, alla periferia di Atene, insieme con il leader del partito Nikos Mihaloliakos e altri sette suoi colleghi. Si tratta di Ilias Kassidiaris, portavoce del partito, accusato dai giudici istruttori di possesso illegale di armi per un’organizzazione criminale. Parlando con i giornalisti, poco prima di presentarsi davanti ai magistrati inquirenti, Kasidiaris aveva sostenuto che la vicenda che lo riguarda è una "persecuzione politica" in quanto gli è stata mossa l’accusa di detenzione di due armi da caccia per le quali aveva un permesso regolare. Secondo la stampa greca, con il fermo provvisorio di Kassidiaris sta per concludersi l’indagine della magistratura greca circa l’attività del partito filo-nazista e presto potrebbe cominciare il processo ai suoi membri. La magistratura ha avviato un’inchiesta sulle asserite attività criminali sul partito filo-nazista dopo l’uccisione del rapper antifascista Pavlos Fyssas avvenuta ad Atene il 18 settembre dell’anno scorso per mano di Georgios Roupakias, militante di Alba Dorata reo confesso. Iraq: Baghdad rifiuta richiesta saudita di trasferire suoi prigionieri in Kurdistan Nova, 11 luglio 2014 L’ambasciatore saudita in Giordania, Saki Salih, ha annunciato oggi che il governo di Baghdad ha respinto la sua richiesta di inviare in Kurdistan i prigionieri sauditi attualmente detenuti nelle carceri irachene. Salih aveva contattato l’ambasciata irachena in Giordania e i funzionari della Croce rossa per chiedere loro di prendersi cura dei prigionieri sauditi e permettere alle loro famiglie di visitarli. Inoltre il diplomatico aveva rinnovato la richiesta già presentata a Baghdad alle autorità saudite perchè i prigionieri sauditi, inclusi quelli accusati di terrorismo, vengano trasferiti dalle prigioni irachene a quelle del Kurdistan. Cina: arrestata la dissidente tibetana Woeser, scrittrice invitata a cena da Kerry di Ilaria Maria Sala La Stampa, 11 luglio 2014 Un invito a cena del Segretario di Stato Kerry può sembrare un bell’onore, ma in Cina gli effetti non sono sempre quelli desiderati. In visita ufficiale a Pechino insieme al segretario del Tesoro Jack Lew per il sesto dialogo strategico annuale Usa-Cina su temi politici e economici, Kerry aveva deciso di cenare insieme alla scrittrice tibetana Woeser e a suo marito, Wang Lixiong - entrambi assai noti nei circoli intellettuali e dissidenti del Paese per aver firmato importanti lavori sul Tibet. Due scrittori coraggiosi, che da anni chiedono al governo di rivedere le politiche repressive della cultura e delle libertà tibetane attualmente in atto, e che portano avanti un lavoro di documentazione di quanto arriva nell’Altipiano ormai raro in tutta la Cina. Entrambi non sono nuovi all’attenzione (indesiderata) del governo, ma ecco che la decisione dell’amministrazione Usa di mandare un segnale a Pechino cercando un dialogo anche con chi non è portavoce ufficiale del governo cinese ha avuto un immediato contraccolpo: i coniugi sono stati messi agli arresti domiciliari. Non solo quindi non potranno cenare con Kerry ma nemmeno uscire di casa per il prossimo futuro. Secondo quanto Woeser ha raccontato all’agenzia "Reuters", appena dopo aver ricevuto l’invito degli americani è scattato l’arresto. Senza motivo ufficiale, visto che un funzionario di Pubblica Sicurezza si è limitato a dichiarare che il motivo del fermo di Wang e Woeser è un "segreto". Si tratta purtroppo di un triste e frequente rituale che vede attivisti e dissidenti "sparire" dalla circolazione ogni qual volta eventi importanti avvengono nelle loro città: che si tratti di visite diplomatiche di rilievo o di anniversari scottanti, come il 25°, quest’anno, dalla Primavera di Pechino del 1989, (il massacro di Piazza Tiananmen) o ancora di Giochi Olimpici o importanti incontri degli organi politici nazionali. Alcuni vengono accompagnati fuori città, altri si vedono tolto il permesso di varcare la soglia di casa da gruppi di poliziotti appostati presso l’uscio. Woeser del resto già da alcuni mesi non può lasciare la Cina: dopo aver ricevuto dal Dipartimento di Stato il premio "Donne Internazionali di Coraggio" lo scorso marzo, il suo passaporto è stato annullato. Il dialogo fra Xi Jinping, Segretario Generale del Partito Comunista, e Kerry, ha comunque avuto inizio ieri come previsto, con dichiarazioni di ampio respiro in cui entrambi assicurano che le due principali economie del mondo hanno "enormi interessi in comune, che vanno al di là di alcune recenti tensioni diplomatiche". Tensioni che includono, a quanto pare, oltre alle pretese cinesi territoriali che sconfinano in quelle degli alleati Usa (Giappone e Filippine in primis), allo spionaggio industriale o cyber, e fino alla la scelta degli ospiti per una cena.