Giustizia: all’amministrazione penitenziaria serve un capo competente di Patrizio Gonnella Il Manifesto, 10 luglio 2014 Va a tutti ricordato che il sistema penitenziario italiano è ancora sotto osservazione europea. Nel giugno del 2015 il Consiglio d’Europa dovrà valutare la tenuta delle riforme, verificare se le condizioni di vita nelle carceri sono umane o disumane, accettabili o degradate. Dovrà esprimersi sullo stato dei diritti umani nelle prigioni del nostro Paese. Negli ultimi mesi abbiamo assistito a una decrescita della popolazione detenuta. Nonostante questo il tasso di affollamento è ancora alto. La qualità della vita negli istituti penitenziari è migliorata ma integrità psico-fisica, salute, lavoro, istruzione, affettività sono ancora diritti quotidianamente a rischio. Un processo di riforme nel segno delle garanzie, affinché abbia una qualche chance di riuscita, richiede volontà politica ferma e capacità di resistere alle pressioni dei media, degli umori delle piazza nonché delle micro-corporazioni interne al sistema carcerario. Le riforme le fanno le persone. È questa una fase cruciale. Bisognerà consolidare un percorso, dimostrare che si crede nei diritti; basta poco perché si torni nella melma. In questo momento, per l’appunto decisivo per il sistema delle pene in Italia, l’amministrazione penitenziaria (Dap) non ha un capo. A fine maggio 2014, in concomitanza con la scadenza imposta dalla Corte europea con la sentenza Torreggiani, non è stato confermato ai vertici del Dap il giudice Giovanni Tamburino. Da allora non c’è stata la nomina del nuovo capo. Ogni tanto radio carcere rumoreggia su qualche nome. Tutti rigorosamente magistrati, spesso pm. Si sentono anche impropri ragionamenti intorno a chi spetterebbe la nomina tra le correnti della magistratura. Noi vorremmo invece un altro metodo, dove il capo sia scelto in base al mandato politico e culturale deciso. Se il mandato è quello di garantire il rispetto delle regole europee in materia di umanità del trattamento penitenziario, di modificare prassi sclerotizzate, di modernizzare il sistema, la via non può essere quella di affidarsi a un investigatore o a un giudice con esperienza procedimentale. Ci vorrà qualcuno che per storia e competenza risponda a quel mandato. Che sia un esperto penitenziario, un direttore di carcere, un umanista, un manager o un giudice poco importa. L’importante è che sappia e voglia perseguire gli obiettivi riformatori nel nome della dignità umana. Gli stessi che devono essere alla base della nomina del garante nazionale delle persone detenute. La legge c’è da sei mesi, il Garante non è mai stato nominato. A ottobre saremo sotto il giudizio del Consiglio dei Diritti Umani dell’Onu. Non è bello a 11 anni dalla firma del protocollo alla Convenzione sulla tortura che lo prevedeva essere ancora sul banco dei negligenti. Giustizia: assistenza sanitaria per i detenuti… se l’Italia sembra la Guinea di Luigi Manconi L’Unità, 10 luglio 2014 Leggo dello sciopero della fame iniziato il 30 giugno scorso, da Rita Bernardini, Segretaria di Radicali Italiani e vengo preso da un senso di smarrimento. Lei nel proporre ancora una volta il tema del carcere - con tutta la sapientissima follia che è virtù propria delle persone razionali e pragmatiche - ha dedicato particolare attenzione alla questione dell’assistenza sanitaria per i reclusi. Si tratta di un problema gigantesco, che non sembra presentare differenze troppo acute tra gli standard di cura e di terapia garantiti nelle carceri del nostro Paese e quelli presenti, per esempio, nella prigione di Bata, città della Guinea equatoriale, dov’è rinchiuso Roberto Berardi, un prigioniero italiano che ho iniziato a conoscere. Da qui quel mio senso di smarrimento. A scanso di equivoci, il nostro è un Paese di solida democrazia pur afflitto da una grave crisi di rappresentanza politica e da un antico deficit di garanzie nel processo penale, mentre la Guinea equatoriale è dominata dal 1979 da un despota di nome Teodoro Obiang. Di conseguenza lo stato dei diritti nel nostro Paese e lo stato dei diritti in quella nazione dell’Africa centrale sono incomparabilmente diversi. Ci mancherebbe. Ma qui si verifica un atroce paradosso: la profonda differenza tra i due sistemi e la superiore qualità della vita sociale, dei diritti individuali e collettivi, delle tutele e delle libertà in Italia tendono via via ad attenuarsi se osserviamo alcuni particolari gruppi sociali e alcuni particolari luoghi. Per un verso le condizioni degli strati più vulnerabili di popolazione e, per l’altro, la debolezza delle garanzie negli istituti del controllo e della repressione sembrano rassomigliarsi qui e in Guinea. In altre parole, per quanto sia doloroso riconoscerlo, a un derelitto recluso in una cella dell’Ucciardone o internato nell’Opg di Aversa e affetto da una qualche patologia può accadere di non essere trattato in modo troppo diverso (ovvero migliore) di come viene trattato Berardi nella sua cella nel carcere di Bata dove la temperatura è stabilmente sui 40 gradi e dove le condizioni igienico-sanitarie determinano il cronicizzarsi della malaria. Berardi sta in quel carcere dal gennaio del 2013 e si trova in stato di isolamento da oltre sette mesi, sottoposto a percosse, violenze e sevizie, dopo una condanna a due anni e quattro mesi e al pagamento di un milione e 400mila euro. Gli è stata promessa la grazia dal presidente Obiang, ma l’atto di clemenza potrebbe sospendere l’esecuzione della pena senza rimetterlo in libertà, perché quella sanzione pecuniaria costituisce la vera merce di scambio. L’integrità del suo corpo (e la stessa possibilità di salvezza) "vale" oggi un milione e 400mila euro. E quanto vale la vita - e quanto valgono i corpi malati, febbricitanti, affetti dalle più diverse patologie, debilitati dalla cattiva alimentazione, scossi da infermità mentali o annichiliti dalla follia - di migliaia di detenuti italiani? Per questo Rita Bernardini ha intrapreso lo sciopero della fame finalizzato a interrompere la tragedia delle morti in carcere e a denunciare la carenza di cure che riguarda anche i reclusi incompatibili con la detenzione. Alla Bernardini si sono affiancati nel digiuno altri 200 cittadini: e condividono il suo allarme tantissimi giuristi, sindacati della polizia penitenziaria, cappellani e direttori di carcere, tutte le associazioni che operano nel sistema penitenziario, alcuni (purtroppo pochi, pochissimi) parlamentari e quel Giorgio Napolitano che, alla bella età di 89 anni, conserva tutta intera la capacità di scandalizzarsi. Le prime parole e i primi atti del ministro della Giustizia, Andrea Orlando, fanno ben sperare: e i provvedimenti presi dagli ultimi governi - che alcuni irresponsabilmente hanno annunciato come "svuota carceri" - hanno ridotto il sovraffollamento. Ma non in misura sufficiente: siamo ancora ben oltre la capienza regolamentare. E rimaniamo lontani dal garantire alla gran parte dei reclusi quelle otto ore di "celle aperte" che costituiscono una indispensabile opportunità di socializzazione e di libertà di movimento. Ciò comporta - oltre alla sofferenza di corpi ristretti in spazi angusti, addensati entro perimetri soffocanti, abbracciati loro malgrado e promiscui per necessità, allo stesso tempo intimi e ostili - anche la decadenza di tutti i servizi, a partire proprio da quelli della salute. Oggi i detenuti italiani che si trovano in questo stato sono oltre 58mila. A essi vanno sommati i 3.300 nostri connazionali reclusi in prigioni di Stati stranieri. Si tratta di Paesi che, fortunatamente, non assomigliano sempre alla Guinea equatoriale, ma ci sono anche quelli che ne rappresentano una versione ancora più feroce. Ciò che, invero, appare non troppo dissimile è, come si è detto, la condizione dei penitenziari. E di quei connazionali che si trovano detenuti all’estero nulla, o quasi nulla, sappiamo. Quanto ci viene raccontato a proposito di Roberto Berardi non può che inquietarci. E costituisce una ragione in più per sostenere l’iniziativa di Rita Bernardini e di quanti credono nella giustizia giusta. Giustizia: Viceministro Costa incontra Presidente gruppo lavoro detenzioni Nazioni Unite Il Velino, 10 luglio 2014 "La popolazione carceraria è passata dalle quasi 70mila presenze del 2009 alle attuali 56.590, mentre la capienza carceraria ad oggi risulta essere poco meno di 45mila posti disponibili contro i 40mila del 2009". Sono questi i dati che il viceministro della Giustizia, Enrico Costa, ha illustrato questa mattina durante l’incontro a via Arenula al presidente del gruppo di lavoro sulle detenzioni arbitrarie delle Nazioni Unite Mads Andenas, in visita nel nostro Paese per un monitoraggio sullo stato di attuazione delle raccomandazioni all’Italia sulla lunghezza dei procedimenti giudiziari, regime carcerario, 41 bis e ospedali psichiatrici. "Notevoli i passi avanti compiuti dal nostro Paese sul rispetto dei diritti umani" ha spiegato il viceministro Costa riferendosi soprattutto al sistema carcerario e alle condizioni dei detenuti in Italia. Al gruppo di lavoro è stato illustrato lo stato delle iniziative legislative in tema di custodia cautelare, di rimedi compensativi e relative all’introduzione nel nostro ordinamento del delitto di tortura. Particolare attenzione è stata poi dedicata alla situazione del 41 bis, al ricorso alla custodia cautelare e alla situazione dei detenuti, anche alla luce della lettera inviata dal Capo dello Stato alle Camere e delle posizioni della Cedu nei confronti del nostro Paese. Giustizia: riforma della custodia cautelare, nessuno sconto per stalker e rapinatori Il Messaggero, 10 luglio 2014 Modifiche in arrivo per le norme sulla custodia cautelare: niente sconti a stalker e rapinatori. Il governo è infatti pronto a intervenire con delle modifiche al testo del decreto carceri all’esame dell’Aula alla Camera per escludere che per una pena fino ai tre anni non venga prevista la possibilità dell’arresto. L’apertura alle correzioni al provvedimento, che sarà in Aula dal 21 luglio e che scade il 29 agosto, le annuncia il viceministro alla Giustizia Enrico Costa. Le modifiche alle nuove norme sulla custodia cautelare, inserite nel decreto per il risarcimento ai detenuti che hanno patito il sovraffollamento carcerario, aveva sollevato un vespaio di polemiche. Il governo si era affrettato a spiegare che l’obiettivo era la correzione di una norma, già criticata dalla magistratura, inserita nel ddl sulla custodia cautelare e che, essendo stata già approvata in modo conforme sia alla Camera che al Senato, sarebbe risultata immodificabile. Ma anche l’ultima formulazione sembra non aver convinto appieno i magistrati. L’Associazione nazionale magistrati, con il suo presidente Rodolfo Sabelli ascoltato ieri in commissione Giustizia alla Camera, non sembra digerire i "molti difetti" del decreto: dalla questione legata "all’automatismo", e cioè il fatto che non ci possa essere una valutazione discrezionale del giudice, "alla mancata esclusione dei recidivi", al "grave fenomeno dello stalker", oltre al mancato coordinamento con le norme sugli arresti domiciliari. Inoltre, l’allarme dell’Anni mette in guardia anche sui rischi che si creerebbero per i reati di mafia e di corruzione, oppure per finanziamento illecito dei partiti politici, che non hanno quasi mai una pena superiore ai tre anni. Poiché il divieto del carcere non ha né limiti soggettivi né oggettivi, "opera anche con riferimento ai reati di mafia, a quelli di rapina ed estorsione aggravata, furto in abitazione e con strappo, stalking aggravato e maltrattamento in famiglia aggravato e a tutti gli altri delitti previsti dai reati per i quali la sospensione dell’esecuzione è comunque esclusa", sottolinea il documento del sindacato delle toghe. Punto di vista opposto invece quello del presidente dell’Unione delle camere penali Valerio Spigarelli, per il quale non bisogna "abbandonare la filosofia di fondo", che "il carcere inutile va evitato, così come la pena anticipata". Per questo Spigarelli si augura che "il Parlamento resista" e non faccia marcia indietro. "Qualche difetto di coordinamento c’è, ma non va abbandonata la filosofia di fondo" del di sulla custodia cautelare e cioè il principio che "il carcere inutile va evitato, come l’anticipazione della pena". Ma rassicurano le parole del viceministro Costa: dall’applicazione della norma in questione, saranno esclusi tutti i reati per i quali non è consentita la sospensione dell’esecuzione della pena. Si va dallo stalking alla violenza sessuale, dall’estorsione e dalla rapina aggravate al furto in abitazione. Così, per questi reati e per tutti quelli per i quali non si può concedere la sospensione dell’esecuzione della pena rimane l’applicazione della custodia cautelare anche quando il giudice ritiene che la pena da applicare non sarà superiore a tre anni. Un risultato - osserva Costa - al quale si potrebbe giungere già con una determinata interpretazione da parte dei giudici, ma "siccome ci è stato chiesto di precisarlo, siamo favorevoli a farlo". Giustizia: deputati arrestati, lo stipendio resta di Alberto D’Argenio La Repubblica, 10 luglio 2014 Il M5S aveva chiesto di togliere l’indennità a Genovese, finito in carcere e ora ai domiciliari. No degli altri partiti: "È necessaria una legge". La protesta di Di Maio: "Per cosa lo paghiamo?". Grillini contro Montecitorio. L’Ufficio di presidenza della Camera boccia a maggioranza la richiesta del Movimento di sospendere lo stipendio da parlamentare ai deputati costretti agli arrestati domiciliari prima della sentenza definitiva e della decadenza dal seggio prevista dalla legge Severino. La richiesta dei Cinque Stelle era arrivata all’indomani dell’arresto del parlamentare democratico Francantonio Genovese con la motivazione che un deputato sottoposto a misure restrittive non può esercitare il proprio mandato. Per interrompere i pagamenti, ha sentenziato però l’Ufficio di presidenza della Camera con i soli voti contrari dei tre grillini e l’astensione di Edmondo Cirielli (Fdi), serve "una iniziativa legislativa", cioè una nuova legge che consenta all’amministrazione di Montecitorio di togliere la busta paga ai deputati che finiscono agli arresti. Ma i Cinque Stelle non ci stanno, e Luigi Di Maio attacca: "I partiti danno lo stipendio ai parlamentari in galera". Dal giorno dell’arresto di Genovese, lo scorso 15 maggio, la Camera paga al deputato eletto con il Pd - in attesa che si celebrino i tre gradi del processo - soltanto l’indennità connessa alla titolarità della carica, che è prevista in Costituzione ed ammonta a circa 5.200 euro netti. Il deputato siciliano, dal momento in cui ha perso la libertà personale, non riceve invece né la diaria né i rimborsi delle spese per l’esercizio del mandato (comprese quelle per il trasporto). Prendendo spunto da questa vicenda, i Cinque Stelle hanno chiesto di non limitarsi a togliere agli onorevoli arrestati le voci accessorie dello stipendio, ma di interrompere anche il pagamento dell’immunità vera e propria. I grillini chiedono anche di fermare l’erogazione del vitalizio e della pensione agli ex deputati condannati per reati particolarmente gravi, come quelli di mafia, corruzione e quelli contro la Pubblica amministrazione. La questione è stata ritenuta "meritevole di attenzione" dalla presidente della Camera. Laura Boldrini ha chiesto un’istruttoria ai questori, i quali si sono espressi contro le proposte del movimento di Grillo: una eventuale sospensione dello stipendio, è stato argomentato durante la riunione, può essere decisa solo con una legge e non con una semplice delibera dell’Ufficio di presidenza. Un orientamento a cui si è allineato a maggioranza lo stesso Ufficio di presidenza di Montecitorio. Gli unici contrari sono stati i tre rappresentanti M5S che ora tuonano contro la decisione. "I partiti - ha scritto su Facebook Di Maio - hanno dato un pessimo esempio al Paese. Gli stessi partiti che si riempiono la bocca con la lotta alla corruzione. Non quella intellettuale. Se Genovese è agli arresti domiciliari, i cittadini che lo pagano a fare?". Giustizia: il palazzo difende la paga degli onorevoli detenuti di Gabriele Fazio Il Fatto Quotidiano, 10 luglio 2014 Gabriele Fazio Francantonio Genovese, eletto in Parlamento col Partito Democratico, in questo momento agli arresti domiciliari nella sua enorme villa con vista sullo Stretto di Messina, continuerà a percepire regolarmente il suo stipendio da parlamentare di circa 10mila euro. Stipendio che poteva essere più alto ma a Genovese viene corrisposta soltanto l’indennità mentre non percepisce gli emulamenti accessori, a partire dalla diaria. Dopo il sì all’arresto dello scorso 15 maggio comunque la Camera fa un passo indietro e rigetta la proposta, arrivata dai tre parlamentari del Movimento 5 Stelle Luigi Di Maio, Riccardo Vaccaro e Claudia Mannino, di sospendere lo stipendio ai deputati in stato di arresto. "Serve una legge ad hoc", sarebbe questa la risposta dell’Ufficio di Presidenza della Camera. Di Maio non si ferma al rifiuto della Presidente Boldrini e la domanda che si pone dalla sua pagina Facebook appare perlomeno legittima: "Se Genovese è agli arresti domiciliari i cittadini che lo pagano a fare?". In effetti dalla sua reggia sul mare sarà difficoltoso adempiere al mandato per il quale è stato votato. Ma la Camera "a larga maggioranza" ha comunque bocciato la proposta. Una proposta portata in aula non in nome di una presunta caccia alle streghe e che prevedeva anche una sorta di clausola di salvaguardia; in caso di assoluzione in terzo grado di giudizio al parlamentare coinvolto sarebbe spettata la restituzione dell’intero ammontare della cifra non percepita a causa dell’arresto. A un altro siciliano eccellente, ex presidente della Regione Sicilia, Totò Cuffaro, venne sospeso il vitalizio dopo quasi tre anni di carcere e non perché quest’ultimo si trovasse dietro le sbarre per concorso esterno in associazione mafiosa, ma per i tagli all’Assemblea Regionale. Forse si è trattato di un pretesto ma la scelta è sembrata perlomeno sensata. Per Genovese invece "L’ufficio di presidenza della Camera, presieduto da Laura Boldrini, ha accolto il parere contrario alla richiesta dei grillini formato dal collegio dei questori. I quali sono giunti alla conclusione che una eventuale sospensione dello stipendio ai deputati arrestati o incompatibili causa condanne può essere decisa solo con apposita legge e non con delibera dell’ufficio di presidenza o a carattere regolamentare". Di Maio, sempre su Facebook, continua: "I cittadini italiani stanno pagando lo stipendio a un politico agli arresti domiciliari e a tutti quelli arrestati. I partiti danno lo stipendio ai parlamentari in galera. I partiti oggi hanno dato un pessimo esempio al Paese. Gli stessi partiti che si riempiono la bocca con la lotta alla corruzione. Non quella intellettuale. Chiedo agli elettori di Pd, Forza Italia, etc. cosa ne pensano…". Ed effettivamente sarebbe curioso conoscere il parere degli elettori delle altre forze politiche dato che proprio il tema dei privilegi della casta ha rappresentato la molla che ha fatto del Movimento 5 Stelle il secondo partito in Italia, e che ha condannato al declino le altre forze politiche, perlomeno fino alla discesa in campo di Renzi. Resta il fatto che Francantonio Genovese, ex sindaco di Messina e agli arresti domiciliari con l’accusa di truffa e peculato in un’inchiesta sui finanziamenti alla formazione professionale, riceve regolarmente il suo stipendio; e di fronte a questa situazione la politica torna a far scudo. Un garantismo che ormai rasenta l’illogicità e che protegge sempre e comunque, e da qualsiasi reato. Per quanto tempo ancora una persona agli arresti domiciliari con l’accusa di aver rubato i soldi dei cittadini dovrà ricevere uno stipendio dai cittadini? Ora i pentastellati vogliono trasferire in Aula la loro battaglia potendosi "vantare - a quanto dicono - di essere gli unici ad avere la motivazione per condurla". È questa l’unica vittoria che M5S porta a casa, contro un sistema che, da ciò che appare ormai evidente, tenterà sempre e comunque di autoassolversi. Lettere: la presunzione d’innocenza (e il "garantismo") non sono un lusso di Ottaviano Del Turco Il Tempo, 10 luglio 2014 Il "garantismo" è un lusso che la politica concede a pochi. Sorprende sempre la discussione che si attiva ogni volta che questa cultura, che è l’anima della Costituzione, conquista nuove ed autorevoli adesioni. Ci sono protagonisti che hanno deciso di muovere la guerra alle proposte di riforme che il governo sta discutendo nel Parlamento innalzando le bandiere della difesa dei principi fondamentali della Carta. Ma fate attenzione alle loro prese di posizione ogni volta che parlano dei diritti costituzionali dei cittadini imputati di reati vari. Quando esprimono il meglio del loro sforzo garantista, finiscono per dire una bestialità intollerabile. Se sono amici degli imputati inviano questo singolare messaggio: mi auguro che tu possa dimostrare la tua innocenza. A me è successo. In nessun paese democratico è consentita una disinvoltura di queste proporzioni: non è l’imputato che deve dimostrare la sua innocenza. Tocca all’accusa che ha costruito il processo, a far vivere le prove che giustificano la richiesta di pene, più o meno severe. Naturalmente questa enormità segue l’omaggio rituale ad uno dei Padri più autorevoli della carta Costituzionale: Piero Calamandrei. Guardate cosa è capitato in questi giorni con la sentenza che ha condannato Vasco Errani,dopo il processo di primo grado che lo aveva assolto. Le sue dimissioni, rese qualche istante dopo la lettura della sentenza, hanno aperto un delicato problema politico ed Istituzionale: Errani è, da anni, il presidente della Conferenza delle Regioni, un organismo delicatissimo che gestisce le relazioni con il Governo centrale e media i conflitti che possono insorgere tra le decisioni dell’esecutivo e le leggi, le delibere, che esprimono i poteri e l’autonomia delle Regioni. Lo fa (e per tre anni sono stato testimone diretto del ruolo svolto da Errani) con una misura, con una competenza, con un acume politico di assoluto rilievo. Le sue dimissioni alterano un equilibrio istituzionale delicato. Trovo normale che il problema che sorge chiami in causa il Governo, innanzitutto il Presidente del Consiglio Renzi. E la sua presa di posizione (Errani è innocente fino a che il suo processo non si concluda davanti alla Corte di Cassazione)suscita un vespaio di polemiche. Cosa c’è nelle parole di Renzi che confligge con le regole e con i poteri di altre istituzioni dello stato? Nulla, assolutamente nulla. La novità è quasi banale: avendo scelto di confermare la più ovvia delle regole garantiste della Costituzione, Renzi schiera il suo Governo, la sua maggioranza, sul versante liberale e democratico della lettura dei principi che regolano ruoli e funzioni dei Poteri dello Stato. Nulla di diverso da quelli che i Padri Costituenti misero alla base dei diritti fondamentali dei cittadini. Forse questo è il problema che ha dato il via alle polemiche: Renzi, ribadendo un principio liberale garantista affronta di petto l’insurrezione giustizialista che rischia di stravolgere le regole di uno Stato democratico e liberale: gli elettori scelgono chi deve governare ad ogni livello: solo una sentenza dell’ultimo grado di giudizio, può rimettere in discussione il mandato popolare, libero e sovrano. Il "garantismo" è un lusso? Beati gli Stati che possono permettersi di elevare a regola civile questo lusso. Lettere: carceri, una petizione per il diritto alla sessualità di Susanna Marietti Il Fatto Quotidiano, 10 luglio 2014 La pena della reclusione consiste, teoricamente, nella limitazione della libertà di movimento. Nessun’altra privazione dovrebbe esserle aggiunta se non quelle strettamente dipendenti e inevitabilmente connesse a tale limitazione. Ovviamente non è così. In carcere si soffre il freddo, il caldo, il degrado, la sporcizia, la scarsità di cure mediche e tanto altro. Tra questo, l’ipocrita e sciocco divieto di avere rapporti sessuali con i propri partner. Per anni l’emergenza del sovraffollamento ha coperto qualsiasi altro tema che riguardasse le nostre carceri. La mancanza di spazio fisico, di aria da respirare, di risorse mediche, economiche, umane, sempre insufficienti rispetto alla massa di persone che si accalcava in galera, non permetteva di pensare ad altro. Adesso le cose vanno un po’ meglio dal punto di vista dei numeri. I detenuti vivono in spazi quantitativamente un po’ più vicini alla decenza. E allora finalmente possiamo ricordarci di quanti altri diritti violati, oltre a quelli connessi al sovraffollamento, si sperimentino in prigione. Carmelo Musumeci è detenuto da tanti anni e tantissimi ancora ne ha davanti. Se lo sarà meritato, direte voi. Certo. Ma non è di questo che volevo parlare. Musumeci in questi anni ha richiamato tante volte l’attenzione dell’opinione pubblica e delle istituzioni su storture più o meno gravi del sistema penitenziario. Lo ha fatto sempre pacificamente, utilizzando gli strumenti del diritto, della comunicazione, della convivenza civile. Da qualche settimana ha fatto proprio un nuovo strumento: la petizione digitale. Sulla piattaforma Change.org ha raccontato la sofferenza di una compagna che lo aspetta da anni e anni fuori dal carcere, madre dei suoi due figli, con la quale non può più avere rapporti sessuali. Ora vogliono pure fare sesso, direte voi. Sì. Datemi un motivo per cui non dovrebbero. In tanti paesi europei si possono avere colloqui riservati con i propri famigliari. In Italia no. Antigone ha appoggiato la petizione di Carmelo Musumeci, che ha contribuito a lanciare. Andate a firmarla. Dimostriamo che non vogliamo vendetta ma giustizia. Dimostriamo che non vogliamo ipocrisie. Dimostriamo che vogliamo essere una democrazia forte e sicura di sé, che non ha bisogno di punizioni corporali seppur da ventunesimo secolo. Lettere: in carcere la lettura non deve essere un premio per la buona condotta di Massimo Dadea La Nuova Sardegna, 10 luglio 2014 I libri rendono migliori le persone detenute e aiutano il processo di risocializzazione migliorando il sistema carcerario e la società. Nei giorni scorsi sono stato invitato a presentare un libro in un luogo insolito: un carcere. Un istituto di pena di ultima generazione, moderno, accogliente e, se non suonasse beffardo, a misura d’uomo: di detenuto, di guardia carceraria. Niente a che vedere con i vecchi e lugubri penitenziari che avevo visitato nel passato. Luoghi dove il tintinnio delle chiavi e il rumore sinistro del cancello che si chiude dietro le spalle provocano un senso di angoscia che fa dimenticare la transitorietà di quella presenza. L’incontro è stato organizzato da un libraio infaticabile che si divide tra l’impegno culturale e quello sociale a favore del reinserimento dei detenuti e da un direttore del carcere che interpreta la pena non come la vendetta dello Stato nei confronti di chi ha commesso un crimine, ma come lo strumento del ravvedimento, precondizione per ritrovare la strada di un reinserimento sociale. Tutto questo nella convinzione che fare giustizia non è solo punire l’autore di un reato, né vendicarsi di lui, ma aiutarlo a riabilitarsi dentro di sé e nella società. L’incontro si è svolto nella biblioteca del carcere dotata di un buon numero di libri debitamente catalogati dal "bibliotecario" che, con cura e passione, assicura il servizio agli altri detenuti. L’insolita presentazione si è rivelata un’esperienza unica, interessante, coinvolgente. Una platea abbastanza numerosa, variegata, attenta, che ha posto numerose domande, sempre pertinenti, documentate. Molti quesiti hanno riguardato il contenuto del libro ma alcuni hanno toccato, con garbo, il nervo scoperto della compatibilità, per un paese civile, della presenza nel proprio ordinamento giuridico di una pena, l’ergastolo, per molti indegna di un paese che ha dato i natali a Cesare Beccaria. Il "fine pena mai" è una barbarie che uccide la speranza e qualsiasi volontà di riscatto e di riabilitazione morale e civile. Ma l’ergastolo non è la sola iniquità. Non tutte le carceri offrono occasioni di crescita e sono capaci di alimentare e nutrire gli interessi culturali dei detenuti, di ridare dignità alle persone per quanto esse abbiamo sbagliato. Spesso si manifesta un accanimento contro il bisogno di cultura, la fame di lettura: i libri con la copertina rigida vengono vietati oppure le copertine vengono strappate, il loro numero limitato. Ancora oggi la lettura per i detenuti non è un diritto, ma una concessione. Perfino regalare libri alle biblioteche carcerarie diventa un’impresa. Spesso la lettura è un premio per la buona condotta e non si capisce che la lettura rende migliori e facilita il processo di risocializzazione. In Italia l’86% degli istituti carcerari ha un locale adibito a biblioteca, il 36% ha abbonamenti a quotidiani e mensili, un detenuto su tre legge almeno un libro al mese, nel 30% delle carceri l’accesso alle biblioteche è assicurato sia al mattino che al pomeriggio. Il carcere di Tempio Pausania è stata una piacevole sorpresa a dimostrazione che buonsenso, sensibilità sociale e culturale, rispetto della persona umana e dei suoi bisogni - specie di quella umanità sofferente costretta nell’ombra - sono ancora garanzia di crescita e di civiltà. Toscana: "Morire di carcere", nasce l’osservatorio sui suicidi nelle prigioni regionali Redattore Sociale, 10 luglio 2014 È curato dal giornalista Cristiano Lucchi dell’Altracittà e intende "ridare un nome e una dignità pubblica alle 92 persone che hanno perso la vita nelle carceri toscane dal 2002 ad oggi". Uno strumento "per ridare un nome e una dignità pubblica alle 92 persone che hanno perso la vita nelle carceri toscane dal 2002 ad oggi". Si tratta del progetto "Morire di carcere in Toscana" una time-line, cioè una cronologia multimediale, curata da Cristiano Lucchi e costruita sulla base dei dati contenuti nel meritorio Rapporto "Morire di carcere" curato da Ristretti Orizzonti, la rivista edita nel carcere di Padova, su fonti indipendenti e del ministero della giustizia. La prima vittima censita è Giovanni Bonomo, cittadino italiano di 40 anni deceduto nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino il 3 febbraio 2002, l’ultima Adil Eddyrhoussi, cittadino marocchino di 33 anni suicidatosi lo scorso 29 giugno a Sollicciano con il gas di una bomboletta da campeggio respirato all’interno di un sacchetto. Nei 18 istituiti di pena toscani al 31 maggio scorso si registravano 3.647 persone recluse di cui 3.507 uomini e 140 donne; gli stranieri (1.841) sono presenti in numero maggiore rispetto agli italiani (1806). Dal 2002 ad oggi 37 persone sono decedute negli istituiti di pena fiorentini, 22 in quelli livornesi e 11 a testa nelle province di Pisa e Prato; record positivo per Arezzo, nessun decesso. La time-line "Morire di Carcere in Toscana" è uno strumento consultabile e utilizzabile da tutti che le redazioni del portale l’Altracittà e della neonata rivista di perUnaltracittà "La Città invisibile" aggiorneranno e arricchiranno di informazioni, notizie, video, foto, articoli. Tra gli ultimi aggiornamenti la riapertura delle indagini sul caso di Marcello Lonzi, il giovane di 29 anni che ha perso la vita nel 2003 nel carcere di Livorno per una "causa naturale" a cui però nessuno ha mai creduto. A fine giugno il Gip ha respinto la richiesta di archiviazione della Procura e disposto che vengano svolti nuovi accertamenti. Lombardia: Orlando e Maroni siglano protocollo d’intesa per reinserimento dei detenuti Agenparl, 10 luglio 2014 Consolidare una proficua collaborazione da tempo esistente per realizzare in modo più puntuale le previsioni costituzionali in tema di reinserimento delle persone in esecuzione penale: è questa la finalità del Protocollo d’Intesa che Ministero della Giustizia, Regione Lombardia, Tribunale di Sorveglianza di Brescia e Milano sottoscrivono oggi alle ore 11.00 in Via Arenula. È l’ottavo protocollo di tale tipo sottoscritto dall’insediamento del nuovo Governo e segue quelli siglati con le Regioni Campania, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Umbria, Puglia e Sicilia. Una particolare attenzione è riservata a quei soggetti che, a causa della loro condizione di tossicodipendenti, necessitano di speciali percorsi riabilitativi, rieducativi e di reinserimento sociale e lavorativo. Alla firma del Protocollo d’Intesa interverranno il ministro della Giustizia Andrea Orlando, il presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni, il presidente del tribunale di sorveglianza di Brescia Monica Lazzaroni, il presidente del tribunale di sorveglianza di Milano Pasquale Nobile De Santis, il Provveditore Regionale per l’Amministrazione penitenziaria di Milano Aldo Fabozzi. Castelfranco Emilia (Mo): Garante regionale detenuti; insufficienti le possibilità di lavoro www.bologna2000.com, 10 luglio 2014 La Garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive o limitative della libertà personale, Desi Bruno, venerdì scorso si è recato in visita alla Casa di Reclusione-Casa di lavoro di Castelfranco Emilia (Mo). Nell’occasione sono stati effettuati colloqui con gli internati le cui vicende detentive erano state portate all’attenzione dell’Ufficio. Il numero delle presenze era di 91 (89 internati e 2 detenuti in custodia attenuata); non compresi nel dato, ma in carico alla struttura, 18 internati in licenza (di cui 2 con rientro in struttura previsto a breve e 16 in licenza finale di esperimento); quest’ultimo istituto può essere concesso dal magistrato di sorveglianza, anche al fine di favorirne il riadattamento sociale, per una durata di 6 mesi nel periodo immediatamente precedente alla scadenza fissata per il riesame della pericolosità sociale. Nella struttura si trovano per la quasi totalità persone che hanno commesso reati, e hanno già scontato la pena in carcere, a cui il magistrato ha applicato questa ulteriore misura di sicurezza (l’internamento nella casa di lavoro) perché considerate socialmente pericolose. Si tratta per lo più di persone in condizione di fortissimo disagio sociale, raramente residenti sul territorio, molte delle quali con problemi psichiatrici, senza riferimenti sociali, abitativi, di lavoro, che spesso hanno perduto anche i legami familiari dopo una vita trascorsa in carcere. Ciò è ancora più vero se si tratta di stranieri, spesso privi di documenti, sforniti di una rete di relazioni che possa supportarli all’esterno. La criticità più rilevante riguarda la "scarsissima possibilità di lavorare", nonostante il fatto che proprio il lavoro dovrebbe rappresentare il contenuto caratterizzante di questa misura di sicurezza. Senza progetti specifici orientati al reinserimento sociale, il magistrato di sorveglianza non viene messo nelle condizioni di esprimere un giudizio di cessata pericolosità sociale, così spesso procedendo alla proroga della misura. Secondo la Garante, "sarebbe opportuno attuare forme di riorganizzazione tese alla territorializzazione delle misure di sicurezza (in questo senso potrebbero essere utilizzati gli appositi spazi degli istituti penitenziari, soluzione consentita dall’ordinamento penitenziario), consentendo il rientro e/o l’avvicinamento, ove possibile, degli internati ai luoghi di residenza o comunque di frequentazione abituale, e agevolando così la presa in carico da parte dei servizi territoriali, incidendo così sui casi di proroga". L’ufficio del Garante, da diverso tempo, ha posto la questione all’Amministrazione penitenziaria, che ha già manifestato un orientamento favorevole. In questo contesto, stante l’attuale vacanza del magistrato di sorveglianza di Modena, che si occupa anche delle questioni che attengono agli internati di Castelfranco Emilia, l’auspicio è che possa presto insediarsi un magistrato a tempo pieno che abbia la titolarità della funzione. In questo periodo, sono stati segnalati ritardi nella concessione delle licenze per l’ingresso in comunità terapeutiche. Merita un approfondimento la recente novità legislativa nell’ambito del superamento degli Opg (Ospedali Psichiatrici Giudiziari): la Legge 81/2014, ha introdotto un nuovo principio, secondo il quale le misure di sicurezza detentive provvisorie o definitive, compreso il ricovero nelle residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza, non possono durare oltre il tempo stabilito per la pena detentiva prevista per il reato commesso, avuto riguardo alla previsione edittale massima. La nuova regola del tetto massimo di durata viene prevista per le "misure di sicurezza detentive", operando però all’interno di un testo normativo dedicato specificamente alle sole misure di sicurezza dell’Opg e della casa di cura e custodia, ma secondo autorevoli interventi la previsione deve intendersi estesa anche agli internati nelle Case di lavoro. A parere della Garante, questa interpretazione si muove in coerenza con il principio di ragionevolezza di cui all’articolo 3 della Costituzione, aprendo nuovi scenari per le persone internate nelle Case di lavoro, ma è comunque auspicabile un intervento del legislatore volto ad armonizzare la nuova disposizione con quelle pregresse contenute nel Codice penale. Avellino: l’Osservatorio Carcere dell’Ucpi in visita alla Casa circondariale di Bellizzi www.irpiniafocus.it, 10 luglio 2014 La presenza dei rappresentanti dell’Osservatorio Carcere consentirà di segnalare le "eventuali" criticità dell’Istituto nonché la presenza di violazioni. L’Unione delle Camere Penali Italiane da sempre pone particolare attenzione alla situazione delle carceri e negli ultimi anni ha avuto la possibilità di visitare moltissimi istituti penitenziari e verificare la reale situazione di vita dei detenuti e di lavoro del personale amministrativo e della polizia penitenziaria. Tale verifica è demandata all’Osservatorio Carcere dell’Unione delle Camere Penali Italiane che ha un proprio referente su ogni territorio dove è presente la Camera Penale. Da circa 2 anni la Camera Penale Irpina ha individuato un referente nella persona dell’avv. Giovanna Perna del Foro di Avellino, che si è attivata per la raccolta dei dati che hanno consentito di quantificare sul territorio distrettuale della Corte di Appello di Napoli, le misure alternative alla custodia cautelare in carcere negli anni di riferimento concesse e rigettate. "Dal lavoro di statistica è risultato un dato sconfortate - scrive l’avvocato Gaetano Aufiero, il numero dei detenuti che hanno avuto accesso alle richieste misure alternative è di gran lunga inferiore rispetto a quello dei detenuti internati nelle varie strutture carcerarie. Vogliamo partire da questo dato per lavorare ad un progetto ambizioso, portare alla attenzione di tutti (privati cittadini, operatori del diritto ed istituzioni) la problematica carceraria presente anche sul territorio di Avellino e Provincia". La Camera Penale Irpina ha, quindi, ritenuto opportuno organizzare una visita programmata presso la Casa Circondariale di Bellizzi Irpino per il giorno 11.07.2014 alle ore 11.30 a seguire, con una delegazione dell’Unione delle Camere Penali Italiane, rappresentata dagli avv.ti Alessandro De Federicis, Michele Passione dell’Osservatorio Carcere e Claudio Botti della Giunta dell’Unione delle Camere Penali Italiane. All’incontro prenderà parte anche il Garante dei diritti delle persone private della libertà personale della Provincia di Avellino, nella persona di Carlo Mele che subito dopo il suo insediamento ha intrattenuto contatti epistolari e colloqui diretti con le persone ristrette negli Istituti penitenziari, con particolare riferimento in quello di Bellizzi Irpino, che hanno fatto emergere delle doglianze circa l’operato della Magistratura di Sorveglianza. La presenza dei rappresentanti dell’Osservatorio Carcere consentirà di segnalare le "eventuali" criticità dell’Istituto nonché la presenza di violazioni, più volte censurate dalla sentenza Torreggiani in una conferenza stampa che sarà indetta immediatamente dopo l’incontro programmato alle ore 15 presso la sede della Camera Penale Irpina. Ferrara: cento detenuti in meno all’Arginone, ieri mattina la visita del segretario Sappe www.telestense.it, 10 luglio 2014 Ci sono cento detenuti in meno nel carcere di Ferrara e - nella media della qualità delle case circondariali italiane - l’Arginone tutto sommato per le condizioni in cui vivono i detenuti si slava. C’è solo da migliorare la vigilanza quando le persone sono fuori dalle celle nei vari reparti. Il quadro sulle carceri di via Arginone lo fa il sindacato della Polizia penitenziaria Sappe che ieri mattina ha effettuato una visita per accertare le condizioni di vita e di lavoro all’interno della struttura con il segretario nazionale, Donato Capece. Da tempo - e soprattutto dopo che il dipartimento di giustizia a livello nazionale ha subito le sanzioni dall’Europa per le condizioni delle carceri italiane - i detenuti infatti per otto ore al giorno possono trascorrere il loro tempo fuori dalle celle. Una libera circolazione all’interno di un perimetro, il reparto, che ha reso necessario da parte del dipartimento di rivedere la vigilanza della polizia penitenziaria che ora prevede un’ organizzazione in cui per ogni 50 detenuti c’è un poliziotto che controlla. "Una situazione lavorativa da tenere sotto controllo" ha detto a caldo, dopo la visita il segretario nazionale Capece . All’Arginone infatti per ogni cella, circa 10metri quadrati di spazio, vengono posizionate tre persone. Un rapporto che sta dentro a quanto prevedono le norme europee che pretendono che un detenuto abbia almeno uno spazio di tre metri per cella. "Un parametro - aggiunge infine il segretario provinciale del Sappe, Roberto Tronca - che oggi è stato reso possibile con lo stop degli effetti della legge Bossi -Fini e Giovanardi" precisa Tronca, commentando: "Un fenomeno che a noi permette di lavorare in condizioni migliori ma che ritengo, soprattutto come cittadino, faccia correre il rischio di lasciare fuori dalle carceri un numero superiore di persone che potenzialmente possono delinquere". Enna: inserire il carcere di Nicosia nel decreto correttivo, questa la richiesta di Giulia Martorana La Sicilia, 10 luglio 2014 La minoranza sta organizzando una delegazione congiunta con l'amministrazione di Mistretta, per incontrare il ministro della Giustizia Andrea Orlando che venerdì sarà ad Acicastello, nell'ambito del convegno "La riforma della Giustizia per la crescita dell'Italia". Al convegno sarà presente anche Giuseppe Berretta deputato Pd alla Camera e componente della Commissione Giustizia della Camera, che ben conosce la vicenda legata alla soppressione del tribunale di Nicosia e della chiusura del carcere cittadino, chiusure che hanno interessato anche Mistretta. Un incontro al quale comunque sarà presente sicuramente l'ex sindaco e attuale segretario del Pd Antonello Catania oltre agli rappresentanti dell'opposizione consiliare che sono Primavera democratica, Fi e Idv. L'obiettivo è sollecitare un esame della situazione che si è creata nel vasto territorio interno che comprende Nicosia e Mistretta a causa della chiusura dei due tribunali e dei due istituti penitenziari, e sollecitare l'inserimento del tribunale di Nicosia nei decreti correttivi che dovranno essere emanati entro il 13 settembre per riaprire il tribunale inserendo anche l'ex circondario di quello di Mistretta. Ovviamente si faranno presenti anche i disagi causati dalla chiusura delle due carceri e si chiederà una soluzione. Ieri la Uil Penitenziari ha diffuso una nota nella quale si fanno rilevare le conseguenze della scomparsa dei penitenziari di Nicosia e Mistretta, in un'area interna dove mancano altre occasioni di sviluppo e occupazione. "Prendiamo atto dell'annullamento del settore penitenziario nel triangolo che va da Barcellona, a Termini Imerese ed Enna - scrive il componente della segreteria provinciale Peppe Trapani - dal momento che, con la soppressione degli Istituti Penitenziari di Mistretta e Nicosia, non ne esistono altri per centinaia di chilometri. Sono state annullate le aspirazione di chi nel penitenziario lavora, le aspettative di chi con esso movimentava commercio ed economia, e di chi purtroppo nel penitenziario viene recluso che adesso finisce in strutture lontanissime dalle famiglie. Se non passa la riconversione dell'Opg di Barcellona in Istituto penitenziario, la forbice si allargherebbe ulteriormente, spostandola da Barcellona a Messina, riducendo ad uno solo l'Istituto su tutta la ex Provincia di Messina. Una tragedia per le comunità locali che si vedono sottrarre centinaia di posti di lavoro, perdono popolazione e si impoveriscono sempre più, senza contare l'impoverimento delle famiglie degli agenti penitenziari, costretti a vivere da pendolari e a farlo a proprie spese ". La delegazione punta ad incontrare il ministro Orlando per sottolineare che sussistono parametri e motivazioni per un decreto correttivo per riaprire il tribunale a Nicosia. Catania: tenta di suicidarsi in cella, detenuto 31enne salvato dalla Polizia penitenziaria www.ctzen.it, 10 luglio 2014 Ha tentato di togliersi la vita impiccandosi con un lenzuolo, approfittando dell’assenza del compagno di cella. È accaduto nel carcere catanese, e l’uomo, 31 anni, è stato salvato da un agente di polizia penitenziaria, che si è accorto di tutto durante un giro di controllo. La vicenda è stata resa pubblica da Domenico Nicotra, dell’organizzazione sindacale Osapp Un detenuto di 31 anni stamattina ha tentato di togliersi la vita impiccandosi con un lenzuolo nel carcere di Bicocca a Catania. L’uomo, che aveva approfittato della momentanea assenza del suo compagno di cella, è stato salvato da un agente della polizia penitenziaria. La vicenda è stata resa pubblica dal segretario generale aggiunto dell’Organizzazione sindacale autonoma di polizia penitenziaria Osapp, Domenico Nicotra. "L’agente in servizio nella sezione - spiega il sindacalista - mentre faceva un giro di controllo ha visto il detenuto impiccato, e ha aperto la cella per prestargli il primo soccorso". Il detenuto è stato subito dopo trasportato in un pronto soccorso, e "sembra che non sia in pericolo di vita anche se è ancora privo di coscienza", continua Nicotra. "Purtroppo la carenza del personale di polizia penitenziaria del carcere di Bicocca di Catania è grave, e il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria sembra essersi dimenticato del carcere catanese", conclude il sindacalista. Firenze: il bimbo resta in cella, respinta la richiesta della madre di consegnarlo a uno zio di Roberto Procaccini Libero, 10 luglio 2014 Da un lato c’è la giustizia, con le sue procedure e, soprattutto, i suoi tempi. Dall’altro c’è una donna che sconta in carcere una condanna per sfruttamento della prostituzione minorile che alla voce "fine pena" recita: 2019. Nel mezzo c’è lui, Giacomo, il bimbo di 6 anni che da cinque vive con la mamma in una cella del carcere femminile di Sollicciano. E dietto le sbarre, dove ha mosso i primi passi e imparato a parlare, rimarrà ancora per un po’, in attesa di capire se sarà dato in affidamento a uno zio o, tramite i servizi sociali, a una nuova famiglia. La cronaca. Ieri la Corte d’Appello ha rigettato il ricorso della madre contro la sentenza del Tribunale dei Minori che dispone l’affidamento di Giacomo ai servizi sociali. A far cadere l’istanza è un vizio formale: la donna si è opposta all’ultimo provvedimento del tribunale, datato 2014. Ma questo era solo una ripetizione di un precedente giudizio del 2011, quindi la detenuta (che per la gravità della condanna non può accedere alle misure alternative) avrebbe dovuto indirizzare il proprio ricorso alla fonte originale. La donna può ora presentare (come il suo legale già annuncia di voler fare) una nuova istanza. A questo punto emerge un problema sostanziale (e non formale): la strategia della madre per evitare che le sia portato via il suo bambino è quella di affidarlo a un cognato che vive a Genova. Ma c’è un problema: "Questo zio per ora per noi non esiste. È un perfetto sconosciuto" ha detto a Repubblica Firenze il giudice del Tribunale dei Minori, Rosario Lupo. "Siamo favorevoli a affidare il bambino a persone di famiglia. Ma solo dopo un’attenta verifica che dimostrasse che la cosa sarebbe davvero nell’interesse del minore". Si attende allora che i servizi sociali facciano i dovuti accertamenti sullo zio. Già in passato il padre di Giacomo, disoccupato, con precedenti e senza fissa dimora che vive a Brescia, aveva indicato per l’affidamento un parente all’estero, poi risultato irreperibile. E non è detto che quando la macchina pubblica avrà fatto il suo corso il bambino sia ancora con la madre. Nel tourbillon burocratico, l’ultima sentenza della Corte d’Appello riattiva quella del Tribunale dei Minori del 2011, finora sospesa. Giacomo va affidato a una struttura d’accoglienza: "Ce ne sono due disponibili" afferma Sara Funaro, assessore al Welfare di Firenze. "Aspettiamo comunicazioni ufficiali". "Ora, però, non bisogna prendere decisioni avventate" è il commento di Franco Corleone, garante regionale dei detenuti, "un bambino non è un pacco". Appunto. Nel mezzo, si diceva, c’è Giacomo. Le materne, che per lui rappresentavano un’occasione per uscire dalla cella, stare all’aperto e incontrare altri bambini, sono finite da un pezzo. L’appuntamento con la scuola torna a settembre, quando comincerà la prima elementare. L’unica ancora di salvezza da una stagione dietro le sbarre sono i centri estivi, che lo tengono distratto dal martedì al venerdì. Per il resto, nelle lunghe sere e nei fine settimana rimane "in gabbia". E dire che la sua storia ha commosso l’opinione pubblica e parte importante della politica. Di lui si sono interessati il ministro alla Giustizia Andrea Orlando, due deputati di Pd e Sel, il segretario dei Radicali Rita Bernardini. Ma il presente di Giacomo (suo malgrado) è ancora in carcere. Firenze: caso bimbo in cella; respinto il ricorso della madre, sarà affidato a servizi sociali Ansa, 10 luglio 2014 La sezione minori della Corte d’appello di Firenze ha respinto il ricorso presentato da una detenuta contro l’affidamento a una struttura del figlio di sei anni che da cinque vive con lei nel carcere fiorentino di Sollicciano. La decisione riapre quindi le porte del carcere per il bimbo che, secondo quanto disposto a gennaio dal giudice del tribunale dei minori di Firenze Rosario Lupo, potrà ora essere affidato dai servizi sociali del Comune a una struttura e, successivamente, affidato a una famiglia. La notizia è stata pubblicata oggi su alcuni quotidiani locali. La donna, che deve scontare una condanna per sfruttamento della prostituzione fino al 2019, si era detta favorevole all’affidamento del piccolo a uno zio, un fratello del padre. Anche se la strada dovesse essere questa il bimbo, comunque, prima dovrà passare da una struttura mentre la famiglia dello zio, eventualmente, sarà valutata dal tribunale al pari delle altre famiglie disponibili per l’affidamento. Treviso: botte in cella di sicurezza a un detenuto albanese, carabiniere assolto in aula di Fabiana Pesci La Tribuna di Treviso, 10 luglio 2014 Niente pugni, niente calci, nessuna aggressione. Secondo il tribunale di Treviso il brigadiere capo Enzo Turcato, 55 anni, originario di Cittadella e in servizio alla stazione di Castelfranco al momento della denuncia, è innocente. La Procura (che aveva chiesto una condanna a un anno di reclusione) lo accusava di aver picchiato un uomo detenuto nella cella di sicurezza della caserma. Turcato, secondo la ricostruzione eseguita dal pubblico ministero, avrebbe picchiato Baiken Hoxa fino a provocargli un danno irreversibile alla vista. Il pestaggio sarebbe avvenuto il 9 luglio del 2010, dopo l’arresto del giovane, accusato di aver rubato una moto da cross al legittimo proprietario. Da quel giorno per Turcato ha avuto inizio un’odissea giudiziaria che si è conclusa ieri dopo oltre due ore di camera di consiglio: "Assolto perché il fatto non sussiste". È questa la frase che ha messo fine a oltre tre anni di udienze, perizie e colpi di scena. Il brigadiere (ora in servizio a Riese Pio X), difeso dall’avvocato Ivana Taschin, del foro di Treviso, era accusato di abuso di autorità contro i detenuti, lesioni semplici e abuso d’ufficio. A pesare sulla decisione del giudice è stato con ogni probabilità il risultato della perizia disposta dal tribunale. Secondo il Ctu infatti la lesione all’occhio riportata da Hoxa era compatibile sia con un pugno che con un atto di autolesionismo. In altre parole le prove del pestaggio affondavano le radici sulle dichiarazioni della presunta vittima. Il venticinquenne, nel corso del procedimento, tramite l’avvocato Andrea Furlan, aveva chiesto un risarcimento di 158 mila euro. "Sono stato preso a botte e insultato. Ora sono qui per chiedere giustizia", aveva detto dal banco dei testimoni. L’aggressione, secondo il suo racconto, sarebbe avvenuta dopo l’arresto, mentre era chiuso in cella di sicurezza, poco prima dell’arrivo della madre del giovane, arrivata in caserma per portargli alcuni farmaci. Era stata proprio lei a denunciare l’aggressione subita dal figlio. Le condizioni fisiche del giovane erano serie tanto che la direzione del carcere rifiutò di riceverlo e lo mandò al pronto soccorso per la medicazione. A seguito di quella visita gli fu prescritta una visita oculistica. Secondo la ricostruzione dell’accusa, alla base dell’aggressione ci sarebbero stati motivi personali: uno sgarro fatto dal giovane a un’amica del carabiniere, che si è sempre dichiarato innocente. E il tribunale gli ha dato ragione. Genova: droga sintetica in carcere, 8 pastiglie di Subutex nelle mutande di un detenuto www.genova24.it, 10 luglio 2014 Si era presentata al carcere di Genova Pontedecimo per sostenere il colloquio con il convivente detenuto, ma il suo comportamento ha insospettito il responsabile dell’Ufficio Colloqui del carcere. Terminato l’incontro, il Sovrintendente di Polizia Penitenziaria ha perquisito il detenuto e gli ha trovato, abilmente occultate nelle parti intime, ben 8 pastiglie di sostanza stupefacente nota come Subutex. La donna è stata denunciata all’Autorità Giudiziaria. A darne notizia è Michele Lorenzo, segretario regionale ligure del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, che lancia un allarme e un appello: "Il rinvenimento di stupefacente in carcere ad opera del Personale di Polizia Penitenziaria segue di pochi giorni il ritrovamento di altra droga in un altro istituto di pena ligure, quello genovese di Marassi. E allora riteniamo che la costituzione di un Nucleo Cinofili della Polizia Penitenziaria in Liguria non possa essere rinviato ulteriormente ma debba invece essere prioritario". Da Roma, il segretario generale del Sappe, Donato Capece, aggiunge: "Questi episodi, oltre a confermare il grado di maturità raggiunto e le elevate doti professionali del Personale di Polizia Penitenziaria in servizio nel carcere di Genova Pontedecimo, ci ricordano che il primo compito della Polizia Penitenziaria è e rimane quello di garantire la sicurezza dei luoghi di pena e impongono oggi più che mai una seria riflessione sul bilanciamento tra necessità di sicurezza e bisogno di trattamento dei detenuti. Tutti possono immaginare quali e quante conseguenze avrebbe potuto causare l’introduzione di droga in Istituto. Vi è la necessità di riformare il sistema di giustizia criminale nei confronti delle persone tossicodipendenti (e cioè affetti da una vera e propria malattia quale è la dipendenza da sostanze stupefacenti) che abbiamo commesso reati in relazione al loro stato di malattia. Questo per evitare la carcerazione attraverso interventi alternativi, da attivare già durante la fase del processo per direttissima, di cura e riabilitazione "controllate e gestite" in regime extracarcerario con l’ausilio dei servizi pubblici e delle comunità terapeutiche". Velletri (Rm): Sippe; rifiuti sanitari speciali lasciati nei corridoi del carcere, poliziotto ferito Ristretti Orizzonti, 10 luglio 2014 Assistente capo di polizia penitenziaria si sarebbe ferito il 7 luglio scorso con una siringa lasciata all’interno di un sacchetto abbandonato nell’area antistante l’infermeria del carcere. Il poliziotto penitenziario, a quanto pare, avrebbe accertato all’interno del sacchetto la presenza di varie tipologie di rifiuti sanitari, tra cui la siringa, prodotte, qualche ora prima, nell’espletamento delle attività sanitarie dal personale medico ed infermieristico del carcere. Il poliziotto, nell’effettuare l’operazione di controllo, si sarebbe ferito con la siringa e pertanto è stato inviato al pronto soccorso per un’immediata profilassi primaria. Dura la reazione del Segretario Generale del Si.P.Pe. Alessandro De Pasquale che trasmette immediatamente un esposto al Visag (Servizio di vigilanza sull’igiene e la sicurezza dell’amministrazione della giustizia). Nelle Strutture sanitarie - dichiara De Pasquale - la gestione dei rifiuti riveste notevole importanza in ragione della diversità e complessità della composizione dei rifiuti prodotti e dei rischi potenziali che la loro manipolazione implica per la salute e la sicurezza degli operatori sanitari, dei pazienti e per l’ambiente". Il personale infermieristico, tecnico e ausiliario, direttamente coinvolto nel complesso processo di gestione dei rifiuti - continua il Segretario Generale del Si.P.Pe. - ha l’obbligo di confezionare i rifiuti sanitari secondo la loro tipologia nei contenitori/imballaggi messi a disposizione, chiudere ermeticamente i contenitori, scrivere sull’imballaggio la data di chiusura , il luogo di produzione e la struttura di provenienza, mentre i direttori, i dirigenti responsabili, (caposala, capotecnici, Coordinatore, ecc.) ed i preposti devono invece vigilare sul personale da loro dipendente affinché le disposizioni di legge non vengano disattese e segnalare immediatamente per iscritto tutte le "non conformità" riscontrate. Il Si.P.Pe. ha chiesto quindi l’intervento del nucleo territoriale Visag al fine di accertare eventuali responsabilità. Imperia: detenuto aggredisce con una lametta un agente della Polizia penitenziaria di Mattia Mangraviti www.imperiapost.it, 10 luglio 2014 Un detenuto marocchino di 38 anni ha aggredito, durante un normale controllo, un sovrintendente della Polizia Penitenziaria di Imperia, ferendolo lievemente a una mano con una lametta. Un detenuto marocchino di 38 anni ha aggredito, durante un normale controllo, un sovrintendente della Polizia Penitenziaria di Imperia, ferendolo lievemente a una mano con una lametta. Subito dopo la colluttazione il carcerato è stato immobilizzato e riportato alla calma. Poco dopo, però, il 38enne ha iniziato lui stesso a tagliuzzarsi con una seconda lametta, richiedendo nuovamente l’intervento degli agenti. Il sovrintendente ferito si è recato al Pronto Soccorso per una visita medita precauzionale. Il 38enne marocchino, arrestato per la terza volta, è in carcere con l’accusa di spaccio di sostanze stupefacenti ed è stato detenuto anche presso il carcere di Sanremo. Pavia: cassaforte carcere rubata, due detenuti in permesso-premio ritenuti autori furto La Provincia Pavese, 10 luglio 2014 Detenuti in permesso premio ritenuti gli autori del furto di settembre, incastrati dalle intercettazioni. I frammenti di intonaco, trovati sui pavimenti dei sotterranei, avevano permesso agli agenti di ricostruire il percorso fatto dai ladri durante la fuga. Ma nelle indagini sul furto della cassaforte all’interno del carcere di Torre del Gallo, che a settembre dello scorso anno suscitò clamore e preoccupazione tra il personale della struttura, hanno avuto il loro peso soprattutto le intercettazioni telefoniche e il ritrovamento di un guanto di lattice, con tracce di Dna, vicino alla cassaforte vuota (all’interno c’erano circa 5mila euro), abbandonata oltre la recinzione di Torre del Gallo. A distanza di quasi un anno da quell’episodio, che aveva spinto anche il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ad aprire un’inchiesta interna, sono stati individuati i responsabili: due detenuti in regime di semi libertà che, secondo le indagini eseguite dalla polizia penitenziaria e coordinate dal sostituto procuratore Paolo Mazza, avrebbero approfittato della conoscenza dei locali del carcere per fare sparire la cassaforte dall’ufficio "Conti correnti". Gianfranco Diroma, 43 anni, di Voghera, e Romeo Tonelli, un 56enne di origini australiane, sono stati arrestati con l’accusa di furto. Diroma era in permesso premio quando fu commesso il furto, mentre Tonelli, detenuto, aveva ottenuto l’affidamento in prova ai servizi sociali. Entrambi, secondo quanto ricostruito dalla polizia penitenziaria, avevano svolto all’interno del carcere lavori come addetti alle pulizie e alla manutenzione. E quindi conoscevano bene i luoghi. "La stessa dinamica dei fatti ci aveva permesso di individuare subito la pista giusta - commenta la direttrice del carcere, Iolanda Vitale. A questo risultato si è arrivati grazie a un lavoro intenso e di gruppo, portato avanti in silenzio e coordinato dal comandante di reparto Angelo Napolitano". Roma: a Rebibbia primi 3 laureati del progetto "Università in carcere con Teledidattica" Ristretti Orizzonti, 10 luglio 2014 Il progetto ideato dal Garante dei detenuti del Lazio e dall’Università di Tor Vergata in collaborazione con Laziodisu e la direzione del carcere. Ieri mattina, nel Teatro del carcere di Rebibbia Nuovo Complesso, si sono laureati i primi tre studenti/detenuti, reclusi nel reparto di Alta Sicurezza del carcere romano, iscritti al progetto "Università in Carcere con Teledidattica". Il progetto "Università in Carcere con Teledidattica" è stato ideato, nel 2006, dal Garante dei detenuti del Lazio e dall’Università di Roma Tor Vergata, in collaborazione con Laziodisu e la direzione della Casa Circondariale di Rebibbia Nuovo Complesso. I tre studenti si sono laureati in Lettere, con indirizzo in Scienze del Turismo, Beni Culturali e Operatori del Turismo. Gli studenti-detenuti iscritti nelle facoltà che aderiscono al progetto "Teleuniversità in carcere" (Economia, Giurisprudenza e Lettere e Filosofia) sono circa 40. I detenuti hanno la possibilità di seguire i vari corsi a distanza: le lezioni universitarie vengono registrate e riversate su una rete dedicata. Gli esami sono invece svolti in presenza, grazie ai docenti che si recano direttamente in carcere. In presenza viene svolta anche una costante attività di tutorato, grazie alla quale gli studenti sono seguiti nella programmazione degli esami e nello studio. Il progetto Teledidattica è stato indicato quale best practices dal Ministero della Giustizia, che ha previsto che i reclusi di Alta Sicurezza, in tutta Italia, possano essere trasferiti a Rebibbia N.C. se decidono di iscriversi all’Università. Negli anni la collaborazione tra Università, Garante ed Amministrazione carceraria - afferma la prof.ssa Marina Formica, docente di Storia Moderna all’Università Roma "Tor Vergata" e coordinatrice didattica del progetto - è diventata più intensa e proficua, e ha visto nascere nel reparto dell'Alta Sicurezza del carcere di Rebibbia un vero polo universitario, in cui gli studenti hanno creato una comunità di apprendimento. La laurea rappresenta un grande traguardo per gli studenti, ma anche un successo per tutte le istituzioni e le persone che hanno creduto nel progetto e lo hanno portato avanti negli anni nonostante le difficoltà. In molte occasioni - ha detto il Garante dei detenuti Angiolo Marroni - in carcere lo studio diventa strumento di riscatto sociale e un'occasione per dimostrare a sé stessi e agli altri che nella vita si possono ottenere dei successi anche senza ricorrere al reato. È per questo che abbiamo investito molto sui percorsi di istruzione all’interno delle carceri. Quello della "Teledidattica" è un ambito importante ed originale del Sistema Universitario Penitenziario (Sup), un modello da noi ideato costituito da una rete istituzionale che mette insieme la Conferenza dei Rettori delle Università del Lazio, Laziodisu, Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria, le carceri, il Dap, la Regione Lazio e le Università Roma Tre, Tor Vergata, Cassino, La Tuscia e La Sapienza. Grazie a questo Modello, oggi sono 113 i detenuti che, nel Lazio, frequentano l’Università. Nel 2005, i detenuti universitari nel Lazio erano appena 17. Foggia: progetto "Innocenti Evasioni" promosso da Centro Studi Diomede e Ce.Se.Vo.Ca. www.immediato.net, 10 luglio 2014 Un gruppo di lettura per promuovere il piacere e la consuetudine del leggere e per dare valore a giorni sempre uguali. Ma anche un’occasione di scambio, per stimolare la capacità di analisi e confronto con sé e con gli altri. Tutto questo e molto altro è stato il Progetto "Innocenti Evasioni", realizzato dall’associazione di volontariato Centro Studi Diomede di Castelluccio dei Sauri e dal Ce.Se.Vo.Ca. (Centro Servizi per il Volontariato di Capitanata) presso l’Istituto Penitenziario di Foggia. L’attività che si conclude oggi ha coinvolto 15 detenuti della sezione AS-Alta Sicurezza della Casa Circondariale. A partire dal mese di maggio, nel corso di sei incontri, Michele Paglia, presidente del Centro Studi Diomede e Annalisa Graziano, responsabile dell’Area Comunicazione e Promozione del Volontariato del Ce.Se.Vo.Ca. hanno incontrato i detenuti per discutere insieme di due libri precedentemente acquistati e donati a ciascuno dei partecipanti, grazie al sostegno della Fondazione Banca del Monte di Foggia: "Se ti abbraccio non aver paura" di Fulvio Ervas e "Io ci sono: la mia storia di non amore" di Lucia Annibali. "È stata un’esperienza davvero interessante - sottolineano Michele Paglia e il presidente del Ce.Se.Vo.Ca., Pasquale Marchese - per la quale ringraziamo il direttore della Casa Circondariale, Mariella Affatato e la responsabile dell’area educativa, Eleonora Arena, che hanno dimostrato grande disponibilità e accolto il progetto positivamente, sostenendoci lungo tutto il percorso". Il progetto comprendeva anche due cineforum tematici, realizzati direttamente nella sezione AS, con la proiezione dei film "Mi chiamo Sam" e "Stalking-la storia di Casey", che hanno destato grande interesse tra i partecipanti. "In questi giorni -continuano i promotori - stiamo già pensando ad una seconda edizione, che speriamo si possa realizzare, a partire dal prossimo settembre". Proprio in vista della possibile nuova progettualità di "Innocenti Evasioni", nel corso del conclusivo incontro che ha coinciso con la consegna degli attestati di partecipazione, il Centro Studi Diomede ha donato alla sezione AS dell’Istituto otto volumi di generi e autori diversi, invitando i detenuti alla lettura estiva e chiedendo un parere, in vista della selezione dei nuovi testi da commentare nell’ambito del Gruppo di lettura. "Innocenti Evasioni - sottolinea Roberto Lavanna, direttore del Ce.Se.Vo.Ca. - fa parte di un progetto più ampio, quello del Tavolo Carcere e Volontariato, che è stato istituito quest’anno grazie alla disponibilità delle direzioni delle Case Circondariali di Foggia, San Severo e Lucera e che, grazie al sostegno della Fondazione Banca del Monte di Foggia, vedrà la partecipazione di altre associazioni di volontariato del territorio in attività interne al carcere". Spoleto (Pg): "Il migliore dei mondi possibili"… il Festival dei Due Mondi entra in carcere di Paola Cintio Giornale dell’Umbria, 10 luglio 2014 Quarantacinque anni di storia letti negli occhi dei detenuti e nelle loro aspettative, compiendo un tour realistico dentro tanti di loro, finiti in carcere per aver seguito il male e l’illusione che quella fosse la strada perfetta, pagandone però le conseguenze, anche in giovane età. Oltre 70 sono i reclusi nel penitenziario di Maiano, diretti dal professor Giorgio Flamini, protagonisti dello spettacolo "Il migliore dei mondi possibili 1980-2025", in scena per il Festival dei Due Mondi, che verrà replicato nella inusuale location della casa di reclusione venerdì (ore 21). Alla prima hanno partecipato tantissimi curiosi che hanno molto apprezzato la pièce, come il sindaco Fabrizio Cardarelli e l’onorevole Walter Verini, constatando anche la rarità di uno spettacolo che si tiene all’interno di un carcere di massima sicurezza. L’ambientazione fa già entrare nel cuore dello spettacolo, dato che addentrandosi nel cortile del penitenziario non si distinguono più i colori: tutto appare nelle tonalità del grigio. Una sensazione particolare, che fa percepire le emozioni provate dai detenuti-attori. Si parte dal 2 maggio 1980 quando l’architetto Sergio Lenci, che stava progettando il super carcere spoletino, fu ucciso da tre terroristi di Prima Linea. Dal pentimento di uno di loro si arriva ad altri reati, legati a droga e spaccio, a rapine, soldi facili, agli spari dei giorni nostri, con le confessioni di chi dice di essersi illuso di questo stile di vita proposto dai boss, che garantiscono "il rispetto nascosto dalla prepotenza". Ma nonostante la loro tristezza, le loro pene, le sbarre, l’isolamento dal mondo "vivo", c’è ancora una visione vivida del futuro e la speranza che tra dieci anni con una legge le carceri verranno aperte, cioè chiuse ed adibite ad altro. Insomma la fine dei crimini, per dare appunto "il migliore dei mondi possibili" ai propri figli. Un’innovazione unica al mondo. "È un rapporto nuovo quello che si sta creando tra il liceo "Pontano Sansi Leonardi Volta" ed il penitenziario - ha spiegato il professor Flamini, che ha creato la compagnia teatrale Sine nomine - grazie al direttore Luca Sardella ed al comandante Marco Piersigilli. Portate fuori - è stato il suo appello al pubblico - questa esperienza e pensate all’energia e al loro desiderio quando passate qua davanti". Un augurio fatto anche dalla dirigente scolastica Roberta Galassi e tutti coloro che hanno contribuito alla messa in scena. "Voi tutti - hanno detto i componenti di Sine nomine - siete per noi un inno alla vita, la nostra invece è cumulata nel cemento, ma i sogni sono vivi e il migliore dei mondi possibili non finisce quando siamo qui dentro, perché tutti abbiamo la speranza". Sulmona (Aq): dal Teatro Stabile d’Abruzzo progetto di mediazione culturale in carcere www.rete5.tv, 10 luglio 2014 Il Teatro Stabile d’Abruzzo partecipa al progetto di mediazione culturale svolto all’interno della Casa di Reclusione di Sulmona finalizzato, attraverso un percorso di laboratorio teatrale, alla formazione e rieducazione dei detenuti, in collaborazione con l’Amministrazione Penitenziaria della Casa di Reclusione stessa, diretta dalla dottoressa Luisa Pesante, e con la Asl n.1 Avezzano, Sulmona, L’Aquila. Il lavoro si è svolto su un tema di drammatica attualità. "La violenza domestica sulla donna", esplorato utilizzando una lettura multiculturale del problema, il gruppo di lavoro è formato da dieci detenuti del reparto alta sicurezza guidati, per l’impianto scenico, dalla regia di Vilma De Santis Coppola. Il laboratorio è inserito all’interno di un ampio progetto di rieducazione sotto la responsabilità di Fiorella Ranalli. L’evento finale del laboratorio è un allestimento teatrale che sarà rappresentato giovedì 10 luglio alle ore 18,00 nella Sala polivalente del Carcere di Sulmona, aperto anche a pubblico esterno costituito da rappresentanti di Istituzioni, Organizzazioni culturali, Associazioni ed Enti Locali. Lo spettacolo dal titolo "Storie di donne, voci di uomini, tra gli echi del tempo" - si legge in una nota del Tsa - saprà emozionare e far riflettere, sarà accompagnato da musica dal vivo grazie a musicisti provenienti da diverse tradizioni e si avvarrà anche dell’interpretazione dell’attrice Lea Di Carlo e della speciale partecipazione del maestro Piero Mazzocchetti. La sequenza scenografica per immagini è stata realizzata da Mariangela Colasante. Tempio Pausania: al torneo di calcio nel carcere di Nuchis la vittoria… è di tutti di Angelo Mavuli La Nuova Sardegna, 10 luglio 2014 Dopo i dibattiti, le tavole rotonde, gli incontri culturali, i concerti, la musica, i laboratori di composizione poetica e di recitazione, e mille altre iniziative, la casa di reclusione di Nuchis ha ospitato, durante gli ultimi due mesi, il "Torneo dell’amicizia-Enti e Mestieri". Un lungo torneo di calcetto che ha visto coinvolti sul territorio gallurese rappresentanti dell’ordine degli avvocati, dei commercialisti, della polizia di Stato, dei carabinieri, della guardia di finanza, del corpo forestale, della polizia penitenziaria, di studenti luresi, di medici, farmacisti, operatori sanitari, e infine di due squadre di detenuti, una della quali, I Frades, è giunta, ieri, a disputare, sull’attrezzatissimo campo delle struttura nuchese, la finalissima, mentre la seconda, Istella, ha perso ai rigori la semifinale. Il torneo, nato grazie alla sinergia di diverse forze, ha avuto il suo motore propulsore in Ramon Mariotti, un giovane carabiniere che presta servizio ad Aggius e che ha coinvolto nell’iniziativa, assieme ad altri, una marea di persone. Una iniziativa (favorita dalla direzione della casa di reclusione) che, travalicando il momento ludico e sportivo, ha ancora una volta evidenziato il profondo legame che sta nascendo fra l’istituto di Nuchis e il resto del territorio. Lo stesso titolo, "Torneo dell’amicizia", la dice lunga su come i giudizi positivi a favore dell’Istituto stiano prosperando fra la gente. "Il torneo - dice Mario Careddu, uno degli organizzatori - vuole essere una risposta concreta e positiva ad esempi meno edificanti. Speriamo di poter raggiungere ulteriori "traguardi" per i quali non si corre uno davanti all’altro ma l’uno accanto all’altro". "Siamo felici di essere riusciti a far vivere una esperienza speciale agli ospiti dell’istituto - dice Rosario Menconi, assessore allo Sport a Luras. Ognuno di noi porterà per tutta la vita il senso di avere vissuto una meravigliosa esperienza". Un grazie agli organizzatori, alla direzione carceraria di Nuchis e a tutto il personale della struttura per aver permesso lo svolgimento del Torneo arriva da Pier Luigi Caria (squadra dei commercialisti): "È stata per tutti una grande esperienza di sport e soprattutto di amicizia. Rimarrà per sempre nel nostro cuore". Per la cronaca, i commercialisti hanno vinto contro i Frades per 4 ad 1. Questo però è solo un particolare secondario. Milano: Cristiano De Andrè canta per i detenuti del carcere di Bollate www.milanopost.info, 10 luglio 2014 Continua con grandi ospiti il calendario delle iniziative a scopo benefico solidale per i detenuti, all’interno del Carcere di Bollate a Milano, con una presenza d’eccezione, il cantautore musicista Cristiano De André, che terrà una conferenza in stile autobiografico dal titolo "De André’ si racconta tra musica e parole" in data Venerdì 11 Luglio 2014. Ad affiancarlo in qualità di relatore sarà il manager Salvo Nugnes, organizzatore dell’evento, che rientra nel corposo programma del Festival Artistico Letterario "Cultura Milano" da lui ideato, per rendere la cultura accessibile a tutti. Nel novero degli illustri personaggi si sono avvicendati nomi di spicco, tra cui Bruno Vespa, Francesco Alberoni, Margaret Mazzantini, Toni Capuozzo, Corrado Augias, Vittorio Sgarbi, Umberto Veronesi, Roberto Gervaso, Paolo Crepet, Piero Chiambretti, Katia Ricciarelli, Silvana Giacobini, l’indimenticabile Margherita Hack e molti altri. De André nell’occasione farà ascoltare alcuni pezzi celebri, accompagnandosi con la chitarra e racconterà il suo percorso nel mondo della musica, la sua recente esperienza sanremese di merito successo, gli aneddoti del suo rapporto con il padre, il mitico Fabrizio De André. Sulla tournée "De André canta De André" spiega "La tournée per me è stata come una terapia. Mi ha fatto fare pace con certi vecchi fantasmi del passato. Cantare le canzoni di mio padre è stato un po’ come sentirmi lui, quasi un esorcismo". Sul nuovo disco dichiara "È un disco, che mi corrisponde completamente, perché dentro ci sono io, le mie convinzioni più intime, il mio modo di essere anarchico, ma anche uno sguardo sulla nostra società e verso la politica. Invito a non essere silenziosi, a farsi sentire, a prendere coraggio e a fare delle scelta precise. Ognuno di noi dovrebbe cercare di tirare fuori la sua anima e di combattere per dare senso e per colorare il proprio cielo. L’importante è non restare in silenzio a farsi governare dai primi che passano. Credo sia ora di tirare fuori la grinta e di non delegare più nessuno. Immigrazione: Chaouki (Pd): bene apertura Alfano riduzione tempi permanenza nei Cie Dire, 10 luglio 2014 "Accogliamo con grande favore l’apertura del ministro dell’Interno Angelino Alfano ad una ulteriore riduzione dei tempi di permanenza nei Cie. Il suo impegno segnala un approccio di sano pragmatismo dopo l’evidente inefficacia dell’inasprimento delle misure sotto la bandiera del cattivismo di maroniana memoria. Siamo assolutamente disponibili a una soluzione condivisa volta a ridurre i tempi di permanenza in questi centri rafforzando tuttavia gli strumenti di dialogo e cooperazione con i Paesi di origine degli stranieri detenuti per agevolare la loro identificazione. Serve comunque mantenere alta la vigilanza sulle condizioni di vita all’interno dei Cie a partire dalla garanzia dei servizi fondamentali come l’assistenza sanitaria e legale". Così Khalid Chaouki, deputato Pd e coordinatore Intergruppo Immigrazione. Filippine: libertà su cauzione per diplomatico italiano Daniele Bosio, in carcere da tre mesi di Stefano Carrer Il Sole 24 Ore, 10 luglio 2014 Il giudice del tribunale di Binan (nei pressi di Manila) ha concesso la libertà su cauzione al diplomatico italiano detenuto nelle Filippine dal 5 aprile scorso con l’accusa di violazioni della legge sui minori. Daniele Bosio, 46 anni, potrà quindi trascorrere in libertà il periodo del processo, con l’obbligo di rimanere nelle Filippine. Bosio, ambasciatore in Turkmenistan, in vacanza nelle Filippine, aveva portato tre bambini di strada in un parco di divertimenti acquatico, dove era stato notato da due attiviste di una Ong che gli avevano ingiunto di recarsi dalle autorità di polizia. Era stato fermato e successivamente arrestato dopo aver firmato la rinuncia ai diritti di indagato, con l’accusa di "traffico e abuso" di minori in quanto la normativa filippina presume il reato di abuso quando i minori vengono spostati senza il permesso esplicito di genitori o tutori. Bosio si trovava da ieri nell’ospedale di Binan, dopo un periodo trascorso prima presso la stazione di polizia di Binan e poi in un ospedale di Manila per problemi renali. Raggiunto al telefono, Bosio si dichiara "felice dell’arrivo della prima decisione positiva" e "fiducioso che la vicenda sarà chiarita con il riconoscimento della inconsistenza delle accuse". "Avevo solo voluto regalare una giornata di divertimento a dei bambini che non hanno nulla", aggiunge. In suo favore si era mobilitato un comitato internazionale su Facebook di oltre mille persone, che avevano "postato" molte dichiarazioni e immagini delle sue attività precedenti in favore di minori disagiati. Australia: detenuti su nave 153 richiedenti asilo della minoranza Tamil dello Sri Lanka Ansa, 10 luglio 2014 Un gruppo di 153 richiedenti asilo della minoranza Tamil dello Sri Lanka fra cui 40 minori, intercettati nell’Oceano Indiano, potranno essere trattenuti per settimane a bordo di una nave della dogana australiana mentre il loro destino è deciso dall’Alta Corte d’Australia. Ieri gli avvocati del governo e dei richiedenti asilo hanno concordato un calendario per le udienze in Corte, dopo che il governo ha promesso di dare un preavviso scritto di almeno 72 ore se intende consegnarli alle autorità di Sri Lanka, dove secondo i loro legali subirebbero persecuzioni, arresti e torture. La prossima udienza sarà tenuta entro tre settimane. Gli avvocati dei profughi, che contestano la legalità delle azioni del governo, sostengono che il loro rimpatrio forzato sarebbe in violazione dell’obbligo della convenzione sui profughi di ‘non respingimento’ verso territori in cui la loro vita o libertà sarebbero minacciate per motivi di razza, religione o opinioni politiche. Lunedì il governo ha rivelato di aver respinto verso Sri Lanka 41 richiedenti asilo, prelevati da un altro barcone, consegnandoli in mare aperto alla marina di quel paese. Le autorità di Colombo hanno confermato che sono stati arrestati e saranno processati per aver lasciato illegalmente il paese, un reato punibile con due anni di carcere duro e una multa. Intanto la Commissione Onu per i profughi ha esortato l’Australia a condurre un’ampia revisione giudiziaria del trattamento dei richiedenti asilo provenienti dallo Sri Lanka, che esamini se sono rispettati il principio di "non respingimento" e le convenzioni contro la tortura e per i diritti dei minori. Egitto: procura avvia inchiesta su presunte torture detenuti in stazioni polizia del Cairo Nova, 10 luglio 2014 Il procuratore generale egiziano Hisham Barakat ha deciso oggi di avviare un’inchiesta sulle presunte torture contro i detenuti nella stazione di polizia di Marg, nella zona orientale della capitale il Cairo. L’avvocato Tamer Seif, che ha sporto la denuncia, ha presentato le foto delle violazioni perpetrate all’interno della stazione di polizia, dove si presume che alcuni agenti abbiamo torturato dei detenuti. Il ministero dell’Interno nega ogni maltrattamento o aggressione nei confronti dei prigionieri, affermando che le carceri del paese sono sottoposte a severi controlli. La procura ha iniziato le indagini nel mese di febbraio, in seguito alle denunce presentate dalle organizzazioni internazionale "Amnesty International" e Human Rights Watch" sulle torture di alcuni prigionieri. Stati Uniti: mazzette in cambio di appalti, 10 anni di carcere a ex sindaco New Orleans Adnkronos, 10 luglio 2014 Ray Nagin, l’ex sindaco di New Orleans che a febbraio era stato riconosciuto colpevole di corruzione, è stato a condannato a 10 anni di carcere dal tribunale federale della città. Nagin, riportano i media Usa, è stato ritenuto colpevole di avere accettato mazzette e favori da una serie di imprese che in cambio chiedevano appalti pubblici. Gran parte dei reati si sono consumati in occasione dei lavori di ricostruzione della città, dopo i danni provocati dall’Uragano Katrina. Nagin, democratico, era stato arrestato nel gennaio del 2013, tre anni dopo aver lasciato il suo incarico. Tunisia: scoperta rete di comunicazione tra cellule islamiche e detenuti per terrorismo Nova, 10 luglio 2014 Le forze di sicurezza tunisine hanno scoperto una rete di persone che riuscivano a mettere in comunicazione i detenuti in carcere per reati legati al terrorismo con le cellule islamiche all’esterno. Secondo quanto riferisce l’emittente radiofonica tunisina "Mosaique Fm", sono stati fermati cinque lavoratori che prestavano servizio nel carcere di al Marnaqiya i quali avevano formato una rete che passava informazioni ai detenuti. Mauritania: detenuti salafiti in pessime condizioni di salute nel carcere di Nouakchott Nova, 10 luglio 2014 Versano in pessime condizioni di salute i 14 detenuti salafiti, cui quali pendono condanne all’ergastolo e a morte per terrorismo, trasferiti di recente dalla base militare di Salahuddin al carcere centrale di Nouakchott. Secondo quanto ha rivelato la portavoce dell’associazione dei familiari dei detenuti salafiti, Mariam Bint al Sebti, all’agenzia di stampa mauritana "Ani", "la base militare di Salahuddin per questi detenuti è stata peggio di Guantánamo e la loro condizione lì era pessima". Il trasferimento è avvenuto dopo la morte di un detenuto salafita deceduto in circostanze misteriose.