Giustizia: carceri, il testo della decisione del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa (traduzione a cura di RadioCarcere) Ristretti Orizzonti, 7 giugno 2014 Il 5 giugno il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa, organo competente per verificare l'esecuzione delle sentenze emesse dalla Corte di Strasburgo, ha affermato che l'Italia sta rispettando le indicazione date nelle sentenza pilota "Torreggiani". Di seguito il testo integrale della decisione. "I delegati: Hanno apprezzato gli impegni presi dalle autorità per risolvere il problema del sovraffollamento carcerario in Italia e i significativi risultati raggiunti in questo campo, attraverso le diverse misure strutturali adottate allo scopo di adempiere alla sentenza pilota, incluso un importante e continuo calo della popolazione carceraria e un aumento dello spazio di vita di 3 mq per detenuto. Hanno apprezzato l’ulteriore previsione di un rimedio interno e affinché questa possa essere pienamente valutata...hanno invitato le autorità a fornire ulteriori informazioni sulla sua messa in atto, in particolare alla luce del monitoraggio che intraprenderanno in quest’ambito. Hanno accolto con interesse l’informazione fornita sui passi compiuti per stabilire un rimedio compensatorio, anch’esso richiesto dalla sentenza pilota, attraverso un decreto legge che prevedrà la possibilità di una riduzione di pena per i detenuti che sono ancora ristretti e un risarcimento pecuniario per coloro che sono stati rilasciati. Hanno altresì osservato che l’adozione di questo decreto legge è imminente e ha invitato le autorità a informare la Commissione non appena sia stato adottato. Hanno deciso di riprendere l’esame non più tardi della riunione che si terrà nel giugno 2015 per una piena valutazione dei progressi fatti in base ad un piano d’azione aggiornato che dovrà essere fornito". Giustizia: bozza del decreto-detenuti, sconto di pena per trattamenti inumani in carcere Public Policy, 7 giugno 2014 Per i detenuti che hanno subito atti di tortura, pene o trattamenti inumani o degradanti per più di 15 giorni, il magistrato di sorveglianza potrà disporre una riduzione della pena pari al 10% del periodo di maltrattamento. È quanto prevede una bozza di Decreto Detenuti, esaminato ieri nella riunione preparatoria del Consiglio dei ministri, che contiene alcune misure in favore del risarcimento dei carcerati che subiscono maltrattamenti. Il Dl è stato predisposto dal Governo a fronte del pronunciamento della Corte europea dei diritti dell’uomo che con la sentenza dell’8 gennaio 2013 (sentenza pilota Torreggiani e altri) ha accertato la violazione, da parte dell’Italia, dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cedu) che sotto la rubrica "proibizione della tortura" pone il divieto di pene disumane per colpa del sovraffollamento nelle carceri. "Si tratta di uno specifico rimedio - si legge nella relazione illustrativa al dl - che appare rispondente alle direttive emesse dai giudici europei e che la stessa Corte ha recentemente preso in considerazione". La Corte "ha ribadito come in molte pronunce sia stata riconosciuta l’adeguatezza del meccanismo di riduzione della pena apprestato da alcuni Stati come strumento riparativo per l’irragionevole durata del processo". Conseguentemente, si legge ancora, "la previsione di una riduzione percentuale di pena, configurata quale rimedio risarcitorio di tipo compensativo, appare conforme ai riassunti arresti dei giudici europei". Quindi, secondo quando previsto dall’articolo 1 della bozza di dl, sarà il magistrato di sorveglianza a disporre l’eventuale riduzione della pena. La richiesta dovrà essere avanzata dal detenuto tramite difensore. 8 euro per ogni giorno di trattamento degradante La prima parte dell’articolo 1 della bozza di dl stabilisce che il Magistrato di Sorveglianza potrà disporre per il detenuto una riduzione della pena pari al 10% del periodo di maltrattamento subito. E ancora: per coloro, invece, a cui non potrà essere applicato lo sconto (o perché il maltrattamento è inferiore a 15 giorni oppure il periodo di pena ancora da scontare non è tale da consentire l’applicazione della misura risarcitoria) il magistrato liquiderà al detenuto "una somma di denaro in una misura che viene forfetariamente fissata in 8 euro per ogni giornata" di maltrattamento in carcere. Inoltre, la bozza di dl prevede, per i detenuti che hanno finito di scontare la pena (o che non si trovino più sottoposti alla custodia cautelare), la possibilità di presentare ricorso al giudice entro 6 mesi dalla fine della detenzione. Anche a questi soggetti sarà riconosciuto un risarcimento di 8 euro per ogni giornata di maltrattamento subita. Stanziati 20 mln per sconti pene per maltrattamenti Stanziati in tre anni circa 20 milioni di euro per il risarcimento dei detenuti che hanno subito trattamenti inumani in carcere. Le risorse stanziate serviranno come copertura finanziare dei risarcimenti previsti dall’articolo 1. Magistrati potranno avvalersi di "assistenti volontari" I Magistrati di Sorveglianza, nell’accertamento di trattamenti inumani dei detenuti, potranno avvalersi di "assistenti volontari" presenti nelle carceri. La figura di assistente volontario è stata introdotta con la legge 354 del 26 luglio 1975: "L’amministrazione penitenziaria - si legge all’articolo 78 - può, su proposta del magistrato di sorveglianza, autorizzare persone idonee all’assistenza e all’educazione a frequentare gli istituti penitenziari allo scopo di partecipare all’opera rivolta al sostegno morale dei detenuti e degli internati, e al futuro reinserimento nella vita sociale". Estese a under 25 pene alternative per minori Estese ai minori di 25 anni (ma solo per motivi di studio, lavoro o famiglia) le misure cautelari, quelle alternative al carcere, le pene e le sanzioni previste per i minorenni. La bozza di dl prevede l’innalzamento dell’età di coloro che potranno accedere alle misure detentive previste per i minorenni. Al momento, infatti, il decreto legislativo 272 del 1989 prevede che le misure si applichino anche ai minori di 21 anni. Taglio di 703 posti da Commissario e aumento agenti Riduzione di 703 posti da Commissario di Polizia penitenziaria con rispettivo aumento del numero degli agenti e assistenti nelle carceri. La bozza di dl prevede la soppressione di 703 posti da Commissario e, contestualmente, a parità di copertura finanziaria, l’aumento della dotazione organica degli agenti e assistenti. La norma - si legge nella relazione illustrativa - è stata predisposta per "adeguare le piante organiche degli istituti penitenziari alle effettive esigenze degli stessi". Inoltre, la bozza del decreto modifica la durata del corso di formazione degli allievi vice ispettori del corpo di polizia penitenziaria, vincitori del concorso. Viene prevista una riduzione del corso da 18 a 12 mesi con una proporzionale riduzione del periodo massimo di assenze consentite. "La durata del corso - si legge nella relazione illustrativa al dl - appare comunque idonea a garantire un’adeguata formazione del personale". Consente inoltre "di ridurre gli oneri finanziari che lo svolgimento del corso comporta e rende più rapido l’impiego operativo dei nuovi assunti, particolarmente rilevante in presenza di organici che presentano rilevanti carenze". Infine, viene previsto che gli allievi possano essere destinati a impieghi operativi dopo un periodo di corso proporzionalmente ridotto a 8 mesi. Per due anni stop a personale in comando in altre carceri Il personale in servizio nelle carceri, per i prossimi due anni, non potrà essere destinatario di provvedimenti di comando o di distacco presso altre amministrazioni penitenziarie. Giustizia: una riforma organica, cominciando dal processo civile e da un nuovo Csm Intervista al ministro Andrea Orlando a cura di Giovanni Tizian L’Espresso, 7 giugno 2014 Una riforma globale della Giustizia, con un programma da presentare entro fine mese. Un piano che prevede di mettere mano alle regole del Csm, l’organo di autogoverno dei magistrati "perché merito e capacità personali dovranno contare più dell’appartenenza a una corrente". Non sarà facile. Ambizioni alte sono destinate a incontrare ostacoli insidiosi. L’approccio di Andrea Orlando è quello di un politico che cerca di dare forma organica a un settore stravolto da vent’anni di leggi ad personam, da conflitti dilaniami e dall’inefficienza del sistema. Il sogno di una Giustizia che "deve diventare una risorsa e non un freno alla competitività del Paese". Nelle parole del ministro, 45 anni, c’è voglia di normalità. La stessa che da ligure cerca di trasmettere cercando di parlare di cose concrete e non lasciandosi distrarre dalla maestosità dell’ufficio del guardasigilli, tanto che alla grande scrivania in legno che fu di Palmiro Togliatti, preferisce il tavolino accanto, sul quale sta a malapena il computer portatile. Basso profilo in tutto. Anche nella protezione. Ha chiesto infatti di ridurre gli uomini della scorta. Ma il prefetto non l’ha accontentato. Adesso che Berlusconi è uscito di scena, si può parlare di riforma in un clima più disteso, senza i toni esasperati degli ultimi anni? "Quel periodo lo stiamo superando. Il metro di misura delle riforme non deve più essere se giovano a Tizio o danneggiano Caio. Ci sono le condizioni per entrare in una fase in cui si possono vedere gli impatti sul sistema. Cosa che può emergere soltanto in un modo: se si rimettono al tavolo tutti gli interessati. Perché, mentre si consumava lo scontro su Berlusconi, se ne consumava un altro meno rumoroso, ma che nel pianeta giustizia ha contato molto: quello tra avvocatura e magistratura. Nel civile questa frattura è stata ricomposta. Abbiamo fatto sedere allo stesso tavolo avvocati e magistrati. Ecco, credo che quel periodo e quei toni si possano archiviare definitivamente solo se si supera il derby, meno visibile, tra avvocatura e magistratura". Presenterete un documento finale. Quando? "Entro fine mese illustreremo una road-map. Come è avvenuto per il documento sulla riforma della pubblica amministrazione. Alcuni punti saranno già articolati altri dovranno individueranno gli obiettivi". Dopo due anni e mezzo di ministri tecnici, un politico. Che tipo di impronta politica vuole dare alla Giustizia? "È necessario riportare l’attenzione sul quei lati oscuri del pianeta giustizia ancora poco esplorati perché meno interessanti dal punto di vista mediatico rispetto al rapporto politica-magistratura. Mi riferisco per esempio alla parte che riguarda l’efficienza del sistema e al processo civile. Tutti ambiti che hanno un forte impatto sul principio di legalità. Non solo codici, dunque, ma anche tecnologie, macchine fotocopiatrici, computer, personale, formazione e innovazione organizzativa. Questi sono concretamente gli ingranaggi su cui va avanti il processo penale e civile". Come pensa di procedere? "Faccio un esempio: il 30 giugno partirà il processo civile telematico. Passare dal cartaceo al telematico inciderà profondamente sul funzionamento del processo. Ma questo è un tema che attiene alla questione delle risorse, della formazione e dell’organico. Vorremmo che la Giustizia diventasse una risorsa per il Paese, che se funziona bene crea ricchezza e aumenta la competitività". Poi c’è il nodo del Csm. Intende proporre una riforma dell’organo di autogoverno delle toghe? "Raccolgo un bilancio: la legge approvata dal centrodestra che avrebbe dovuto ridurre le correnti all’intento del Consiglio superiore della magistratura non ha prodotto risultati. Dobbiamo fare in modo che nella scelta dei magistrati del Csm vengano valorizzate di più le capacità, le professionalità e le personalità, piuttosto che l’appartenenza a una o all’altra corrente. E questo lavoro va fatto confrontandosi con le stesse organizzazioni delle toglie. Che non considero un male in sé. Diventano un male quando l’appartenenza sopprime gli elementi di valutazione oggettiva". Non teme di sentirsi accusare di mettere a rischio il pluralismo all’interno del Consiglio? "Il nostro sistema presuppone un pluralismo. Ma non può essere tutto legato all’appartenenza. Bisogna trovare un sistema che tenga insieme l’esigenza del pluralismo e la valorizzazione delle persone, delle capacità. Premiare il merito più che l’appartenenza. Ogni giudice, ogni pm, è di per sé un manifesto programmatico, perché ha un vissuto, una carriera, un lavoro che ha svolto dirigendo questo o quello ufficio. Rappresenta cioè quello che ha fatto nella sua professione. Il pluralismo va coniugato con la scelta della persona e dell’individuo". Sa che non sarà immune da critiche e dovrà fare i conti con l’associazione nazionale magistrati e con le correnti? "Ho cercato sempre di enfatizzare l’esigenza del confronto. A mio avviso le leggi reggono l’impatto parlamentare e poi con la realtà se prima sono state oggetto di un adeguato dialogo e approfondimento. L’idea di far veloce può portare a norme che non tengono il campo. Mi ha colpito molto il fatto che quasi tutti gli interventi durante il plenum del Csm concordavano su una riforma del sistema elettorale dell’organo. Naturalmente so bene che essere d’accordo per cambiare la legge non vuol dire essere d’accordo su come cambiarla. Però questo fa cadere molti alibi. E dimostra che questo passaggio non è una volontà della politica di condizionare l’autogoverno, ma è il frutto di una riflessione che l’autogoverno stesso ha fatto in modo unitario. La sfida che abbiamo di fronte è cambiare mantenendo aperto il confronto". Che tempi si è dato? "Come ho detto, entro il mese di giugno presenteremo una serie di interventi complessivi. Si tratta poi di stabilire diverse velocità e il diverso grado di dettaglio con il quale portare avanti le proposte. Per quanto riguarda il Csm, è necessario, proprio perché frutto di un confronto, un disegno di legge. Comunque in tempi brevi, spero entro la fine dell’anno, si può arrivare a una riforma". A Milano, io scontro tra pm è una ferita aperta alla credibilità della magistratura. È possibile prevenire i contrasti interni alle procure? E perché nonostante un problema di efficienza e credibilità, che è sotto gli occhi di tutti, la magistratura non è in grado di autoriformarsi? "Ogni vicenda ha una sua dinamica diversa. Non ci sono ricette universali. Per questo vorrei, pur riservandomi tutte le prerogative che ha il ministro di intervento in questo campo, attendere la valutazione dell’organo di autogoverno. L’esercizio della generalizzazione rischia di portare altro discredito". C’è un problema però? "L’attività della sezione disciplinare del Csm è stata più intensa rispetto al passato. Ora si tratta di sistematizzare, insieme alla categoria, il lavoro fatto. E la riforma del sistema elettorale del Consiglio può essere l’occasione per distinguere meglio i ruoli e le funzioni all’interno dell’organo di autogoverno. Oggi chi giudica le toghe nomina anche i magistrati all’interno delle procure e dei tribunali. Su questo credo sia necessaria una riflessione. Devo anche dire però che la magistratura nel corso di questi anni ha sviluppato un sistema di anticorpi più forte". Il 70 per cento dei processi penali si prescrive. A Roma sono state stabilite corsie preferenziali per i reati di maggior importanza. Una soluzione che anche altre procure hanno adottato. Abolendo di fatto l’obbligatorietà dell’azione penale. Ma se l’obbligo di procedere è virtuale, ha senso ha lasciare tutto com’è? "Quando incontro i procuratori la prima questione che mi pongono è la scarsità del personale amministrativo. C’è una forte relazione, molto più di quanto non si dica, tra questo aspetto e la prescrizione dei processi. Va preservata e rafforzata l’obbligatorietà. Per questo si tratta di intervenire con un opera di razionalizzazione su questo fronte, e di rivedere l’istituto della prescrizione. Che non è una abnormità del nostro sistema, ma lo diventa a causa della inefficienza del processo. La prescrizione non esiste solo in Italia, negli altri paesi però i processi, nel loro sviluppo, sono maggiormente efficienti". D’accordo, ma da noi la situazione è drammatica. La macchina spesso gira a vuoto… "Si tratta di utilizzare altre forme di sanzioni per reati di minore allarme sociale. Da questo punto di vista c’è una delega sulla depenalizzazione che il Parlamento ha già dato, che va esercitata con intensità. E poi c’è un lavoro che dobbiamo fare di semplificazione e snellimento del processo sul quale si è intervenuti in modo disorganico e accidentale creando più problemi che non soluzioni. Dal 1987 in poi non si contano più gli interventi che il legislatore ha fatto per rimodificare le scelte che aveva già compiuto. Questo ha tolto organicità al sistema. E ha creato passaggi a vuoto, contraddizioni nel processo stesso. La questione è che le norme sostanziali sono importanti, ma altrettanto fondamentali sono le risorse. 1 processi non vanno avanti perché mancano i registratori per i verbali, mancano i cancellieri, oppure perché ci sono problemi nella trascrizione. Fatti concreti, materiali, frutto dell’organizzazione, che pesano tanto quanto le norme". Falso in bilancio. È l’anticamera della corruzione. Tanti chiedono che torni a essere reato. Qual è il suo piano? "Stiamo provando a costruire un impianto organico di misure per contrastare la criminalità economica. Tra queste c’è il falso in bilancio e l’introduzione di regole processuali che consentano di evitare la morte del processo per prescrizione. Noi abbiamo due falle - falso in bilancio e auto-riciclaggio - ma nel complesso un sistema molto evoluto di contrasto sia alla corruzione che alla criminalità mafiosa. La criminalità economica si colloca a cavallo tra corruzione e mafia. Abbiamo presentato il disegno di legge che prevede una sistematizzazione di questi strumenti. Ora si tratta di fare presto perché quei due mattoni ancora mancano. Le ipotesi sul falso in bilancio ci sono. Non c’è un accordo sul come farlo ma tutti concordano che è necessario. È già un punto di partenza". Il libro del professor Giovanni Fiandaca e dello storico Salvatore Lupo ha fatto discutere. In sintesi sostengono che la trattativa Stato-Mafia non esiste come reato. È stato letto come una diversa visione del modo di fare antimafia. Il Pd con la candidatura alle europee di Fiandaca ha sposato questa linea? "Non credo si tratti di sposare una tesi o una linea. Bisogna tenere assieme il fronte dell’antimafia. Senza affidare a nessuno il monopolio della verità. In questo senso mi batterei fino in fondo per difendere posizioni che hanno rivendicato il diritto a svelare le complicità istituzionali, non esaurirei a quello però la lotta alla mafia. Oggi non c’è bisogno di dividersi, ma di chiedere uno sforzo unitario a tutte le parti politiche. In passato abbiamo aspettato vicende luttuose per stare insieme. Invece per la prima volta abbiamo l’opportunità di restare uniti contro un nemico comune anche in assenza di sangue versato". Su "l’Espresso" della settimana scorsa, don Luigi Ciotti ha lanciato una provocazione: basta con l’antimafia delle etichette, meglio parlare di responsabilità. Di che antimafia abbiamo bisogno oggi? "Condivido l’idea di lasciare da parte le etichette. E il tema della responsabilità mi sembra cruciale nella storia del nostro Paese. Parlerei più in generale di senso dello Stato. Se ci pensiamo, la mafia ha proliferato di fronte a una debolezza dello Stato. Le organizzazioni non sono anti-Stato ma parassiti che si sviluppano nell’immobilità delle istituzioni. La mafia ha bisogno di uno Stato debole. Affermare il senso dello Stato, anche quando è retto da persone di cui non si condividono le idee, è la risposta migliore che si può dare alla mafia". Nei casi ripetuti di corruzione, non vede un’assenza della politica, che non riesce a prevenire? "La politica, intesa come legislatore, a mio avviso, ha fatto molto. Sulla vicenda di Milano Expo per esempio non vedo la corruzione dei partiti come avvenne negli anni Novanta ma l’assenza di trasparenza della pubblica amministrazione. Ci troviamo di fronte a un sistema economico che evita la strada della competizione, che sceglie la strada della raccomandazione, che usa ancora dei protagonisti della prima Repubblica, e li usa come mediatori tra interessi privati e pezzi della burocrazia". Quindi? "Forse è arrivato il momento di coinvolgere i cittadini nelle scelte che riguardano i territori. E questo lo devono fare le associazioni e i partiti. È un fenomeno che chiama le forze politiche a un diverso ruolo e a un diverso tipo di responsabilità. Devono organizzare la partecipazione. Mi spiego: sulle grandi scelte bisogna fare in modo che non ci sia soltanto la delibera o il decreto, ma anche la capacità delle forze politiche di chiamare i cittadini a discutere. Una vicenda come Expo o le grandi opere infrastrutturali possono diventare anche momenti di grande partecipazione democratica. E i partiti, secondo la Costituzione, dovrebbero fare questo. Così facendo consentirebbero di tenere molto di più i riflettori accesi su diversi passaggi che inevitabilmente deve svolgere la burocrazia. Questa partecipazione non è che risolve di per sé ogni cosa. Ma rende molto più difficile gli spazi di manovra di chi ha bisogno di opacità per muoversi. Se tutto invece viene fatto in via emergenziale e sulla base di una presunta neutralità tecnocratica allora gli interessi particolari e illegittimi troveranno sempre spazio". Giustizia: Bortolato (Anm); ok al rimedio compensativo ideato dal governo, ma prudenza Agi, 7 giugno 2014 In merito all’annunciato rimedio compensativo ideato dal governo alla luce della sentenza Torreggiani "come magistrato di sorveglianza esprimo qualche preoccupazione e attendo con prudenza e un cauto ottimismo gli sviluppi di questa questione". Lo ha detto Marcello Bortolato, Magistrato di Sorveglianza e componente della Giunta dell’Associazione Nazionale Magistrati, a margine dell’assemblea nazionale della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia, che si svolge oggi nel carcere romano di Rebibbia. "Si tratta comunque sia di un importantissimo annuncio - ha aggiunto Bortolato - anche perchè va a sanare il passato e non agisce soltanto sul presente. Esprimo tuttavia qualche preoccupazione - ha specificato il magistrato - sulla applicazione effettiva di questo rimedio soprattutto considerando le difficoltà oggettive, di tipo organizzativo in particolare, nell’applicazione di questo rimedio". Parlando poi della decisione di ieri del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, che ha dato un ulteriore anno di tempo all’Italia per risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri, "non me la sento di dire che siamo stati promossi - ha aggiunto Bortolato - direi piuttosto che siamo stati rinviati. Se fossimo stati promossi, infatti, oggi la Cedu avrebbe trasferito tutti i ricorsi che sono a Strasburgo all’Italia". Giustizia: carceri, l’Italia promossa dal Consiglio europeo è il primo passo verso la svolta di Paola Severino Il Messaggero, 7 giugno 2014 Talvolta dall’Europa arriva anche qualche buona notizia. È già accaduto, in materia di Giustizia, quando l’Ocse, qualche mese fa, "promosse" la nuova legge anticorruzione. È accaduto nuovamente ieri, sulla stessa materia, quando il Consiglio d’Europa ha promosso l’Italia valutando positivamente il modo con il quale è stato affrontato il problema del sovraffollamento nelle carceri. Si tratta di un risultato importante per il ministro della Giustizia, che si era fortemente impegnato nella sua ultima trasferta a Strasburgo illustrando riforme ed effetti delle riforme che hanno consentito una riduzione della popolazione carceraria da circa 68.000 unità, presenti nel 2011, a circa 59.000unità presenti nel2014. Si tratta di un implicito apprezzamento per l’infaticabile opera del Presidente Napolitano nel ricordare il tema del carcere come uno dei punti che qualificano il livello di civiltà di un Paese, e nel sollecitare costantemente l’attenzione del Parlamento e del Governo alla soluzione del problema. È una vittoria di idee per chi, come i ministri della Giustizia che si sono succeduti negli ultimi tre Governi, con una continuità raramente riscontrabile nel passato, ha ritenuto che solo interventi di carattere strutturale possano consentire di ottenere risultati stabili e non episodici. Si tratta della riaffermazione di un principio costante nella nostra cultura giuridica, dai tempi di Beccaria ad oggi, secondo il quale il carcere deve rappresentare una "extrema ratio". Si tratta di un risultato raggiunto con il succedersi, dal 2011 al 2014, di una serie di leggi volte ad escludere forme di detenzione inutilmente afflittive, preservando però la sicurezza sociale da un indiscriminato svuotamento degli istituti carcerari. L’abolizione del fenomeno delle cosiddette "porte girevoli" (cioè entrate-uscite dal carcere che si succedevano nell’arco di 1-3 giorni), l’innalzamento dei termini per godere dei "domiciliari" da 12 a 18 mesi, l’estensione dei limiti per l’affidamento in prova ai servizi sociali, l’ampliamento della liberazione anticipata, l’introduzione dell’istituto della messa alla prova per i maggiorenni, hanno certamente contribuito alla deflazione carceraria, pur consentendo di selezionare soggetti meritevoli di misure non detentive rispetto a soggetti pericolosi e quindi da mantenere in custodia. Il processo evolutivo continuerà con l’attuazione delle deleghe in materia di depenalizzazione, pene detentive non carcerarie ed irrilevanza del fatto, attesa entro i prossimi mesi. Si tratta di uno dei più corposi interventi degli ultimi anni nella materia penale, il cui itinerario dovrà essere attentamente monitorato anche attraverso nuovi interventi che riguardino i giudici di Sorveglianza. Ad essi è infatti affidato il delicato compito di selezionare i soggetti meritevoli di essere indirizzati verso percorsi alternativi al carcere rispetto a quelli che invece è opportuno permangano nel circuito penitenziario. Ad essi deve dunque essere dedicata particolare attenzione, mettendo loro a disposizione risorse finanziarie e organizzative adeguate e curandone la specializzazione affinché possano essere appieno valorizzate le potenzialità degli strumenti deflattivi disponibili. In conclusione, la strada è tracciata e il cammino intrapreso. Si tratta di mantenere elevato il livello di attenzione e proseguire nell’attuazione delle misure individuate per presentarsi al nuovo appuntamento con il Consiglio d’Europa avendo consolidato i risultati raggiunti. Giustizia: "messa alla prova" per i processi in corso, ok alla separazione dei procedimenti di Giovanni Negri Il Sole 24 Ore, 7 giugno 2014 La messa alla prova è retroattiva e si applica ai processi in corso. Inoltre è possibile chiedere la separazione dei procedimenti per potere usufruire del benefìcio per alcuni dei reati per i quali si stava invece procedendo in maniera cumulativa. L’importante precisazione, in una delle primissime applicazioni della legge n. 67 del 2014, arriva dal tribunale di Torino con ordinanza del 21 maggio 2014. H tribunale ritiene così che l’istituto della messa alla prova, dal momento che ha come effetto, in caso di esito positivo, l’estinzione del reato, ha natura anche sostanziale riguardando il trattamento sanzionatorio. In questa prospettiva, anche alla luce della giurisprudenza internazionale sul diritto alla retroattività delle misure più favorevoli con il limite della ragionevolezza, va affrontato il nodo dell’applicazione per i giudizi in corso. Una possibilità che, secondo i giudici torinesi, deve essere concessa agli imputati anche ammettendoli alla separazione dei procedimenti. È vero che la Corte di cassazione la esclude nel caso del patteggiamento parziale in caso di giudizio oggettivamente cumulativo, ma si tratta di una situazione diversa da quella prevista dalla messa alla prova: nel patteggiamento parziale si dà comunque corso all’applicazione della pena, anche se ridotta come contropartita dell’accettazione di una rinuncia al contraddittorio in una prospettiva di deflazione processuale. Per quanto riguarda invece la messa alla prova, non esiste solo un’esigenza di riduzione processuale, ma anche di risocializzazione dell’autore del reato oltre che di rinuncia alla pretesa punitiva da parte dello Stato in caso di esito positivo. In questa prospettiva allora, "si ritiene sia diritto dell’imputato, anche in assenza di un concreto beneficio deflattivo per il sistema giudiziario, quello di vedere estinto uno dei reati a lui contestati". Il tribunale di Torino si occupa poi di due ulteriori problemi: la previsione di soglie di decadenza per la formulazione della richiesta (soglie già superate nel caso esaminato) e la mancata previsione di una disciplina transitoria. L’ordinanza chiarisce così che il diritto di chiedere la sospensione del procedimento per messa alla prova deve trovare applicazione, sulla base dell’articolo 2 del Codice penale, anche ai fatti precedenti e per i procedimenti pendenti. Ancora, in assenza di norme transitorie, devono valere i principi generali e quindi l’applicabilità dell’istituto di favore anche ai processi in corso. Dal momento poi che effettivamente le soglie sono state superate e quindi la richiesta teoricamente non sarebbe più possibile, allora il diritto dell’imputato va garantito, a giudizio del tribunale torinese, attraverso l’istituto processuale della restituzione nel termine, secondo la disciplina dell’articolo 175 del Codice di procedura penale. Il rispetto del termine infatti non è stato possibile per cause di forza maggiora e l’imputato ha esercitato il diritto alla prima occasione possibile. Giustizia: Testa (Detenuto Ignoto); vergognoso torturare i detenuti e ricompensarli con 8 € www.radicali.it, 7 giugno 2014 Il segretario di Detenuto ignoto, Irene Testa, in riferimento allo schema di decreto preannunciato ieri dal ministro Orlando, e reso noto oggi dall’agenzia Public Policy, ha dichiarato: "L’obolo di otto euro al giorno è l’ultima trovata con cui il Governo italiano va cercando di evitare le condanne europee. Il percorso politico di Orlando, presso il Comitato dei ministri, ha segnato un finto progresso, mediante la sistematica falsificazione dei dati di capienza carceraria forniti al Consiglio d’Europa dal Governo italiano, come denunciato oggi sul tempo da Rita Bernardini. Ma questo non impediva che il percorso giudiziario presso la Corte europea dei diritti umani riprendesse. Ecco perché si ricorre al sistema di monetizzazione della sofferenza, introdotto nel nostro ordinamento dalla legge Pinto nel 2001 per l’eccessiva durata dei processi in Italia. Se però il ministro Orlando si fosse andato a rileggere la Relazione del suo Ministero sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2011, saprebbe che "il sistema Pinto concorre, ad oggi, ad incrementare l’eccessivo volume di affari trattati dalle Corti territoriali" che "di fatto sono generalmente non rispettose del termine legale di quattro mesi dal ricorso per il deposito del decreto" di liquidazione dell’equo indennizzo (pagina 95). In quel documento, il ministro Severino rivolgeva ai capi delle Corti "il fermo invito alla immediata fissazione e conclusione delle procedure per legge Pinto per evitare l’incremento degli interessi sugli indennizzi e l’intensificarsi del contenzioso internazionale, che sanziona lo Stato italiano non solo per il ritardo nei pagamenti degli indennizzi, ma anche per il ritardo nella trattazione". Il Ministero di via Arenula sa quindi benissimo che, ricorrendo a quel sistema, si limita a coprire con pannicelli caldi le vergogne di un sistema penitenziario, insostenibile per qualsivoglia criterio di civiltà e di rispetto dei diritti umani. Invece di pensare a soluzioni pecuniarie risibili per ammontare e per efficacia, Orlando si dedichi al più presto a dare seguito alla proposta finale contenuta nel messaggio del Capo dello Stato dell’anno scorso per risolvere il sistema, ossia la presentazione di un disegno di legge governativo di amnistia e di indulto". Giustizia: Manconi (Pd); bene ministro Orlando, ma serve ancora più audacia Italpress, 7 giugno 2014 "L’apprezzamento da parte del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa per le iniziative del governo italiano destinate a intervenire sulle indegne condizioni strutturali delle nostre carceri, è un fatto positivo". Così il senatore del Partito democratico Luigi Manconi, presidente della Commissione Diritti umani a Palazzo Madama. "Ancora non sappiamo che fine faranno i ricorsi pendenti davanti alla Corte - sottolinea Manconi - ma siamo certi che le persone che hanno subito trattamenti "inumani e degradanti", saranno risarcite del danno subito, com’è dovere ineludibile. Entro un anno il Comitato dei ministri tornerà a riunirsi e a valutare la situazione italiana. Non si giudicheranno più i primi passi o una tendenza, ma un risultato: un equilibrio effettivo del nostro sistema penitenziario tra capienza e presenze in carcere, tra pene detentive e misure alternative. Possiamo fare di più e raggiungere quell’equilibrio, attraverso riforme strutturali del sistema delle pene e rimedi straordinari al sovraffollamento ancora abnorme, come amnistia e indulto. E allora ripeto - conclude l’esponente Pd - bene, ministro Orlando, ma serve ancora più audacia". Ferri, adottate misure su spazio vitale detenuti "Sullo spazio vitale di tre metri per ogni detenuto abbiamo già preso le misure necessarie". Lo ha detto il sottosegretario alla Giustizia, Cosimo Ferri, durante l’assemblea nazionale della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia che si è svolta nel penitenziario romano di Rebibbia. Intervenuto sulla sentenza Torreggiani, dopo che aveva preso la parola, tra gli altri, Giovanna Di Rosa, magistrato e componente del Csm, a Ferri hanno replicato alcuni detenuti presenti, che hanno detto: "Venga a farsi un giro nelle nostre celle". Ferri si è mostrato disponibile al dialogo e, rivolgendosi al vice capo vicario dell’amministrazione penitenziaria, Luigi Pagano, ha detto: "Beh, allora occorre fare ancora qualcosa". La contestazione è avvenuta in modo molto pacato e civile e un rappresentante dei detenuti è stato invitato sul palco per far sentire la voce dei carcerati. Molteni: risarcimento misura criminale, pronti a Vietnam "L’indennizzo e i nuovi sconti di pena ai carcerati sono misure criminali, che premiano i delinquenti, mentre le vittime ancora aspettano i risarcimenti. Se la cosa passerà al vaglio del Consiglio dei ministri, scateneremo il Vietnam in aula". Lo annuncia il deputato leghista Nicola Molteni, capogruppo del Carroccio in commissione Giustizia, a proposito degli 8 euro di indennizzo per il sovraffollamento carcerario e degli ulteriori sconti di pena previsti. "Siamo pronti a occupare l’aula contro l’indennizzo della vergogna: il governo si è reso ostaggio dei delinquenti. È immorale e abominevole che ad essere risarciti siano i detenuti e non le loro vittime, che ancora aspettano un segnale da uno Stato assente - prosegue. Renzi e Orlando abbiano un sussulto di dignità: stanno dando i soldi dei cittadini ai criminali, mentre molti cassintegrati aspettano ancora i soldi del rifinanziamento". Giustizia: Riccardo Arena; l’Europa assolve l’Italia "presa in giro sulla pelle dei carcerati" di Francesco Amicone Tempi, 7 giugno 2014 Intervista a Riccardo Arena, direttore di Radio Carcere: "Il Consiglio d’Europa ha ignorato i rilievi della Corte di Strasburgo, la decisione è frutto di un inciucio politico". "È una presa in giro sulla pelle dei carcerati". Così Riccardo Arena, direttore di Radio Carcere, definisce a tempi.it la decisione del comitato europeo dei ministri di assolvere l’Italia per aver conseguito "significativi risultati" nel ripristinare la legalità nelle carceri. L’Italia avrebbe ricevuto una maxi-multa pari a centinaia di milioni di euro, questo giugno, se il Consiglio d’Europa non l’avesse assolta, almeno formalmente (il testo integrale della "assoluzione" lo trovate su radiocarcere.com). Ma come denuncia Arena (e insieme a lui operatori del settore, politici e autorità, compresi il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e papa Benedetto XVI) i detenuti italiani vivono ancora in condizioni disumane. "La realtà è ben diversa, la decisione del comitato dei ministri del Consiglio d’Europa è frutto di un inciucio politico". Arena, cosa c’è che non va nel testo con cui il Consiglio d’Europa non punisce le inadempienze dello Stato italiano? Basta leggerlo: è tragicomico. Secondo il Consiglio in Italia, dal 2013, ci sarebbe stato un "importante e continuo calo della popolazione carceraria" e "un aumento dello spazio di vita di 3 mq per detenuto". I dati ci dicono che si è passati da 67 mila a 60 mila detenuti. Sarebbe questo un grande risultato? Inoltre, scopriamo dal Consiglio che sarebbe "imminente" un decreto legge del Governo Renzi che prevede "una riduzione di pena per i detenuti che sono ancora ristretti e un risarcimento pecuniario per coloro che sono stati rilasciati". Futuri risarcimenti? Futuro decreto? Il comitato dei ministri del Consiglio d’Europa ha fatto uno scoop. Trovo assurdo che il comitato dei ministri abbia parlato di passi che l’Italia non ha ancora fatto e di cui nessuno ha sentito parlare. Pensa che su questa decisione abbiano pesato i problemi economici italiani? I membri del comitato dei ministri del Consiglio d’Europa sono ambasciatori degli Stati membri dell’Unione Europea e non giuristi indipendenti. Perciò è possibile che si siano messi d’accordo per fini politici, anche se in realtà il loro compito in questo caso sarebbe limitato a verificare l’attuazione delle sentenze della Corte di Strasburgo. Compito che non ha svolto? Purtroppo il comitato ha approvato un documento parziale, che non guarda alla realtà ma si limita a parlare di alcuni numeri. Così da una valutazione complessiva e approfondita della corte di Strasburgo si è arrivati a un documento parziale e superficiale. Basti dire che dei venti punti posti in rilievo dalla Corte dei diritti umani nella sentenza pilota Torreggiani contro l’Italia, il comitato dei ministri ne ha esaminato uno e mezzo. Poi ha concluso rinviando la questione all’anno prossimo. In pratica, ha chiuso gli occhi. Però, secondo alcuni organi di stampa, la decisione del Consiglio sarebbe una promozione europea delle politiche italiane sulle carceri. L’Europa non ha promosso l’Italia sulle condizioni in cui versano i carcerati in Italia, l’ha "rimandata a settembre" con un documento lacunoso. La situazione dei carcerati in Italia è ancora terribile. Continuo a ricevere centinaia di testimonianze che provano le condizioni disumane in cui vivono i detenuti in Italia. Però anche il Dap difende i passi in avanti fatti dal 2013. Sì, però è lo stesso Luigi Pagano (vicedirettore del Dap, ndr) a dire che c’è da fare ancora tantissimo per i carcerati. Quello che invece emerge nel documento europeo è ben diverso. Il Consiglio ha addirittura apprezzato presunte "riforme di sistema" che avrebbe varato l’Italia, facendo riferimento alle soluzioni "tampone", come i vari decreti svuota-carceri. Una assurdità che fa il paio con quella di esprimere apprezzamento per un futuro e ipotetico decreto legge che prevede la scarcerazione di un numero imprecisato di detenuti. È una presa in giro, no? Crede che il governo non voglia occuparsi delle condizioni dei carcerati? Da quando è diventato ministro della Giustizia, Orlando non ha mai messo un piede in carcere. Eppure i carcerati sono ancora trattati dallo Stato non come persone, ma peggio di animali. Si fanno grandi promesse, ma si nega la realtà. Al massimo si parla di cifre, come se le condizioni delle carceri dipendessero soltanto dai numeri e non anche, per esempio, dalla situazione delle celle, dalle condizioni igenico-sanitarie. Giustizia: Anm; ok superamento degli Opg, ma no a forzature sulla pericolosità sociale Agi, 7 giugno 2014 "Piena condivisione" della legge che prevede la sostituzione degli attuali ospedali psichiatrici giudiziari - "il cui complessivo sistema non appare in linea con le esigenze di cura e con i principi di rispetto della dignità degli internati" - con le cosiddette "Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza" (Rems), ma evitare "forzature e incrinature di fondamentali categorie", come quella della pericolosità sociale, "senza una generale e meditata rivisitazione della materia". Così l’Associazione nazionale magistrati, con il Coordinamento dei magistrati di sorveglianza (Conams), interviene nel dibattito sugli Opg. In particolare, le toghe esprimono "perplessità e preoccupazioni" su un punto del testo approvato dal Parlamento che ha ripercussioni in merito al giudizio di pericolosità sociale che "potrà pertanto essere desunto esclusivamente dalle qualità soggettive della persona", tra cui "le sole condizioni biologiche, caratteriali e di salute psichica del soggetto" e "non anche da quelle di vita individuale, familiare e sociale". In tal modo, rilevano Anm e Conams, "la pericolosità sociale sarà legata in definitiva solo alla malattia". I magistrati, dunque, auspicano la "piena attuazione" della legge, il "rapido completamento delle Rems sull’intero territorio senza ulteriori rinvii", e, nel contempo, "l’avvio di una seria riflessione per una revisione complessiva della materia", anche sugli "istituti dell’imputabilità e della pericolosità sociale, senza affrettate, riduttive e regressive reinterpretazioni che rispondono - concludono Anm e Conams - più a impulsi contingenti che a una sana logica sistematica". Ferri: no allarmismo su Opg, internati non abbandonati "Sugli Ospedali Psichiatrici Giudiziari non bisogna fare allarmismo: gli internati non saranno abbandonati, ma verranno affidati a delle strutture sanitarie idonee e il giudice potrà applicare misure di sicurezza non detentive come la libertà vigilata, per cui questi soggetti resteranno controllati". Lo ha detto il sottosegretario alla Giustizia, Cosimo Ferri, commentando l’allarme lanciato dal giudice di Roma Paola Di Nicola su una disposizione della legge sul superamento degli Opg. Secondo il giudice Di Nicola, un comma della legge costringerebbe i giudici a revocare le misure di sicurezza per gli internati pericolosi che abbiano superato il limite massimo della pena con l’effetto di liberare dei soggetti socialmente pericolosi. "Si tratta di una polemica sterile - ha aggiunto Ferri a margine di un convegno sulla sentenza Torreggiani nel carcere di Rebibbia - questi soggetti non saranno abbandonati e potranno completare la loro terapia in strutture più adeguate degli Opg. Si tratta di un principio di civiltà che siamo riusciti ad affermare, per la prima volta, dopo anni e anni di discussioni. Mi dispiace che ad aver lanciato l’allarme sia stato un magistrato. Non c’è alcun motivo per farlo perchè ci sarà una collaborazione con le strutture sanitarie che accoglieranno questi soggetti". Giustizia: da Rebibbia alle carceri torinesi, i capi d’abbigliamento creati dalle detenute di Anna Franco Il Messaggero, 7 giugno 2014 L’articolo 27 della Costituzione italiana cita testualmente che le pene "devono tendere alla rieducazione del condannato". Una norma meritevole, ma che rischia di essere poco incisiva quando la condanna è detentiva e consiste in una sequenza di giorni uguali, nel buio di una cella anonima. I giudici sanno bene che quel principio sancito dalla nostra Carta rimane spesso un’utopia e forse anche per questo alcuni magistrati, soprattutto quelli di recente nomina, hanno deciso di ordinare le loro toghe non presso le normali boutique forensi, ma alla Sartoria San Vittore, fondata dalla cooperativa Alice per insegnare a cucire e avviare al lavoro dell’ago e del filo le detenute del carcere di San Vittore, appunto, e di Bollate. "Per me è divertente e interessante - racconta Maria, 48 anni, ucraina, ex detenuta nel carcere milanese per furto e ora sarta nel laboratorio esterno dell’associazione - creare toghe in fresco lana con rifiniture in raso nero per persone che reputo importanti per il Paese". Nessun rancore, quindi, per chi le Ha processate e condannate, ma anche tanto amore per la propria famiglia e il futuro: "È stata una gioia confezionare il completino per la mia nipotina - racconta sempre Maria, neo-nonna. Mi rende felice creare qualcosa dal nulla, solo con le mie mani e la mia esperienza". Le collezioni L’esercizio e l’apprendimento, del resto, sono una costante presso la Sartoria San Vittore, che produce su ordinazione anche abiti da sposa, oltre che collezioni stagionali di pret-a-porter e biancheria per la casa. "Chi lavora con noi deve essere sottoposta a una pena non troppo breve, avere predisposizione per il cucito, superare un esame pratico e, poi, un’ulteriore valutazione dopo un mese di insegnamento. Dopo altri sei mesi inizia la vera e propria attività", racconta Luisa Della Morte, presidente della cooperativa Alice, fondata nel 1992 in carcere e oggi presente anche con un laboratorio in città, dove lavorano ex detenute e chi è agli arresti domiciliari. Al reinserimento nella società pensa anche il progetto Fumne Independent, de La Casa di Pinocchio, associazione che opera nelle carceri torinesi. "Io e la mia socia Sara Battaglino - racconta la fondatrice Monica Cristina Gallo - cerchiamo di accompagnare le nostre donne nell’attività esterna, anche se la missione principale rimane ridare loro dignità già dietro le sbarre, dalle quali creatività e femminilità non devono essere frenate". Non è un caso, del resto, che le carcerate in questione, dopo l’inizio del corso abbiano preso a curarsi di più e a vestirsi meglio, anche in concomitanza degli incontri che la cooperativa crea periodicamente con donne libere, pronte a imparare come usare l’ago. I designer A una piccola boutique esterna punta anche il brand Neroluce, fondato dall’associazione Gruppo Idee con la collaborazione delle insegnanti della scuola di moda Accademia Altieri e della stilista Sabrina Micucci. "Ci piaceva l’idea di far sentire nuovamente donne le detenute del carcere di Rebibbia, costrette spesso in tute informi - racconta la presidente Zarina Chiarenza. Così, abbiamo portato i designer nel carcere e circa due anni fa le abbiamo trasformate in modelle, ma si trattava di un evento una tantum. Così abbiamo proposto un corso di sartoria, dove lavorano 10 donne dai 25 ai 60 anni, che sono riuscite a produrre anche tutti i capi per una sfilata". Il confronto La fiducia reciproca e un ambiente sereno fanno da sfondo alla voglia di produrre, ogni giorno, socializzando e confrontandosi. Un dialogo che spera di costruire anche la recente partnership tra l’associazione Made in Carcere, in forza a Lecce, e l’Accademia Italiana. Quest’ultima, sulla base di un’intuizione del suo direttore Vincenzo Giubba, proporrà ai laureandi in fashion design di dare suggerimenti e di ideare modelli di accessori, ma anche di abbigliamento, che possano essere realizzati dalle detenute, in un continuo scambio tra interno ed esterno. Emilia-Romagna: migliora la situazione del sovraffollamento nelle carceri della Regione Dire, 7 giugno 2014 Migliora la situazione del sovraffollamento nelle carceri in Emilia-Romagna e contribuisce in modo significativo al risultato dell’Italia, che il Consiglio d’Europa ieri ha promosso per l’impegno e i risultati ottenuti. "La decisione del Consiglio d’Europa - sottolinea l’assessore alle Politiche sociali Teresa Marzocchi - riconosce gli sforzi compiuti dal Governo e incoraggia anche noi a proseguire sulla strada intrapresa, che i dati confermano andare nella giusta direzione". In Emilia-Romagna la percentuale di sovraffollamento cala dal 167,08% del 2011 al 144,84% nel 2012, al 142% nel 2013, fino ad arrivare nei primi mesi del 2014 a 115%. Un risultato ottenuto anche grazie ad una seria progettazione di misure alternative alla detenzione elaborate in collaborazione tra la Regione e l’amministrazione penitenziaria. Proprio lo scorso gennaio la Regione ha siglato con il Ministero della Giustizia un protocollo d’intesa che, anche in attuazione del provvedimento di riordino del circuito penitenziario regionale denominato "Umanizzazione della pena", potenzia le misure volte al reinserimento sociale dei detenuti, soprattutto delle persone con caratteristiche di particolare fragilità. Il protocollo, di durata triennale, vede un impegno finanziario dell’Amministrazione centrale per tramite di Cassa Ammende per circa un milione di euro per dare continuità e consolidare il progetto di detenzione alternativa comunitaria "Acero" che nei due anni di sperimentazione ha reinserito 90 persone. La Regione garantisce un impegno economico annuale di 500 mila euro sul Fondo sociale europeo (per la formazione professionale dei detenuti) e di 550mila euro per le attività di carattere sociale. Liguria: stanziati da Giunta 250mila € per migliorare qualità della vita nelle carceri www.cittadigenova.com, 7 giugno 2014 Duecentocinquantamila euro per il sostegno a detenuti, persone in esecuzione penale esterna e minori sottoposti a provvedimenti penali, per migliorare la qualità della vita nelle carceri liguri di Genova Marassi, Genova Pontedecimo, Savona, Imperia, La Spezia, Sanremo. Sono stati stanziati oggi dalla Giunta regionale su proposta dell’assessore al welfare, Lorena Rambaudi. Il progetto prevede il miglioramento della qualità della vita in carcere, il sostegno alla genitorialità, la mediazione penale minorile tra la vittima e il minore autore del reato con il supporto di personale qualificato per accompagnare i detenuti e i minori in esecuzione penale al reinserimento nella società, l’accoglienza abitativa per consentire ai detenuti senza domicilio di avere a disposizione un alloggio per usufruire del permesso premio. Il progetto è gestito dalla "Rete che unisce", un’associazione temporanea di scopo che ha come capofila il consorzio Agorà di Genova. Nei prossimi giorni verrà avviato il procedimento amministrativo di tipo partecipato, attraverso un percorso ad evidenza pubblica, per individuare le realtà del terzo settore, in possesso di particolari requisiti, che parteciperanno alla realizzazione del progetto. La richiesta di partecipazione alla coprogettazione regionale deve essere inviata all’ufficio protocollo della regione Liguria entro e non oltre le ore 12.00 del 10 luglio 2014. "Dopo la positiva sperimentazione degli anni scorsi - ha spiegato l’assessore Rambaudi - proseguiamo l’offerta dei progetti sociali sulle carceri, attraverso i patti di sussidiarietà, un metodo per utilizzare al meglio le risorse economiche e professionali a disposizione, evitare sovrapposizioni e sostenere la collaborazione tra enti. Un’esperienza tutta ligure, seguita con attenzione anche a livello nazionale, che dimostra la ricchezza del rapporto tra pubblico e settore non profit nel nostro territorio". Milano: Garante Naldi; bene parere europeo su carceri, migliorano anche istituti milanesi Italpress, 7 giugno 2014 "Accogliamo con molto favore il parere positivo espresso dal Consiglio d’Europa sul sistema penitenziario italiano. E registriamo passi in avanti significativi anche per quanto riguarda le condizioni di vita negli istituti penitenziari milanesi. Non abbassiamo però la guardia perché la strada è ancora lunga ed è necessario che gli osservatori europei continuino a controllare le nostre carceri". Lo ha dichiarato la Garante dei Diritti dei Detenuti del Comune di Milano Alessandra Naldi. "Dal mio osservatorio milanese - ha spiegato Naldi - registro alcuni segnali positivi di cambiamento. Lo scorso 27 maggio ho visitato San Vittore, uno di quegli istituti da cui erano partiti molti dei ricorsi giacenti alla Corte Europea. Ho constatato che il numero delle persone ristrette è decisamente calato, soprattutto in termini di riduzione degli ingressi in carcere, in parte grazie alle nuove norme e alla bocciatura della Legge Fini-Giovanardi. Così, oggi rispetto a un anno fa, le celle di San Vittore non ospitano più detenuti stipati all’inverosimile, con un numero di letti a castello che impediva perfino di stare in piedi tutti insieme o di aprire la finestra. Il limite della capienza a San Vittore è comunque oltre quella prevista e le celle progettate come singole o al massimo per due persone ne ospitano di norma tre. Inoltre, in molti reparti dell’istituto le celle restano aperte durante il giorno. Questo vuole dire che i detenuti possono muoversi almeno lungo il corridoio. Purtroppo la giornata dei detenuti è ancora vuota di attività e le persone restano abbandonate a se stesse, con servizi carenti e una condizione inaccettabile dal punto di vista igienico e strutturale". "Ma i cambiamenti positivi - ha continuato la Garante - si registrano complessivamente nel sistema penitenziario cittadino. Per esempio, presso la casa circondariale di Opera molte sezioni a massima sicurezza ospitano detenuti comuni e la direzione si sta dimostrando disponibile ad aprire il carcere al territorio, a un volontariato nuovo e a progetti sperimentali, così come ha sempre fatto il carcere di Bollate. Ma sappiamo bene che le prassi consolidate non si cambiano in un giorno". "E poi - conclude Alessandra Naldi - c’è l’annoso problema delle risorse: un detenuto costa alla collettività circa 150 euro al giorno di puro mantenimento. Forse è venuto il momento di cominciare a chiedere che almeno una piccola quota di quella cifra possa essere reindirizzata verso l’esecuzione penale esterna, in modo da avere le risorse necessarie per costruire quei percorsi penali alternativi alla detenzione che soli garantiscono la riduzione della recidiva e una maggior sicurezza per la collettività. Così come è venuto il momento di cominciare a chiedere la destinazione di nuove risorse agli enti locali che per legge sono investiti dell’assistenza sociale delle persone in difficoltà e quindi di molte delle persone che escono dal carcere e che hanno bisogno di tutto per non tornare a delinquere: casa, lavoro, assistenza". Roma: "Gastone" grave in carcere, rischia l’amputazione di un piede, ma niente ospedale di Mauro Favale La Repubblica, 7 giugno 2014 Il tifoso romanista che ha esploso i colpi ed è stato picchiato rischia un piede Ciro Esposito dopo tre interventi è ancora in prognosi riservata. Uno ha un principio di cancrena e rischia di perdere un piede a Regina Coeli, l’altro, dopo 3 interventi, è ancora in terapia intensiva al Gemelli. Il primo, secondo la ricostruzione della Questura, ha sparato al secondo nel pomeriggio di follia prima della finale di Coppa Italia tra Napoli e Fiorentina il 3 maggio scorso. Poi, è stato raggiunto e massacrato da un gruppo di tifosi partenopei che lo hanno "punito" per quello che aveva appena fatto al loro compagno. Poco più di un mese dopo gli scontri fuori dallo stadio Olimpico, al di là della vicenda processuale che dovrà stabilire con precisione la dinamica di quanto avvenuto in viale Tor di Quinto, i due principali protagonisti di questa storia restano legati a distanza anche dalle gravissime condizioni di salute in cui versano. Ciro Esposito, il tifoso napoletano colpito da un proiettile al torace, è tuttora in prognosi riservata al policlinico Gemelli, dopo che qualche giorno fa è stato sottoposto a una tracheotomia per consentirgli una migliore respirazione. Daniele "Gastone" De Santis, invece, non si è mai mosso dal Cdt di Regina Coeli, il centro diagnostico e terapeutico del carcere romano. L’ex ultrà romanista, vicino agli ambienti della destra estrema, è arrivato lì nel pomeriggio di domenica 4 maggio, dopo essere stato operato anche lui al Gemelli. Le sue condizioni non sono mai migliorate. Anzi, un mese dopo il violentissimo pestaggio ricevuto subito dopo gli spari davanti al Ciak Village, in zona Tor di Quinto, la frattura esposta al piede destro si è infettata. "Cancrena" è la diagnosi che circola con insistenza. Ne parla il suo avvocato, Tommaso Politi, lo sussurrano da Regina Coeli, lo ipotizza il garante dei detenuti Angiolo Marroni. De Santis avrebbe bisogno di un altro intervento per evitare di perdere il piede.Lo dicono i sanitari di Regina Coeli, gli unici che hanno visitato in queste settimane "Gastone": già il 10 maggio, una settimana dopo gli scontri, hanno scritto all’autorità giudiziaria segnalando le sue condizioni e la necessità di un ricovero in una struttura ospedaliera. Dieci giorni dopo hanno ribadito la richiesta "in quanto - scrivono - le condizioni cliniche generali e in particolare la ferita del piede destro operato sono peggiorate notevolmente". Nella lettera, i medici di Regina Coeli fanno anche riferimento ai due ospedali interpellati per il trasferimento di De Santis: "Ad oggi né il Policlinico Gemelli (in cui è stato operato), né il Centro di medicina penitenziaria del Pertini ci hanno dato risposta alla nostra richiesta di ricovero". Passano altri 10 giorni e, finalmente, arriva una risposta del gip: "Vista la certificazione sanitaria e vista l’urgenza rappresentata dai sanitari si invita la direzione sanitaria del Gemelli a prendere contatti con la direzione sanitaria di Regina Coeli". Qui, però, qualcosa si blocca. Perché, cinque giorni dopo, De Santis è ancora in carcere. Dietro l’impasse ci sono motivi di sicurezza legati al trasferimento di De Santis al Gemelli. Perché nel policlinico dell’università Cattolica è ricoverato Ciro Esposito. E nessuno se la sente di autorizzare un intervento proprio lì, dove fino a pochi giorni fa hanno stazionato diversi supporter del Napoli. Si temono vendette, questa è la versione ufficiale, anche dopo le numerose minacce ricevute da De Santis. Qualche giorno fa, a Napoli, sono apparsi un paio di striscioni sulla facciata di un palazzo: "Ciro, non faremo festa finché di Gastone non avremo la testa. Romano infame". Tra i lenzuoli con le scritte offensive penzolava un manichino giallorosso, "impiccato" con una corda. Un particolare macabro che non è sfuggito ai magistrati. Al di là delle minacce, però, la situazione di De Santis resta grave. Marroni ieri ha scritto di nuovo al gip sollecitando "un ulteriore e tempestivo intervento al fine di tutelare il diritto alla salute del detenuto che rischia di essere leso". "Non c’è un motivo al mondo che giustifichi questo comportamento", accusa il garante. Un allarme e una pressione che, alla fine, potrebbe portare a uno sblocco della situazione: la soluzione più semplice potrebbe essere un via libera dei giudici a un ricovero presso il Pertini. Napoli: Caputo; al carcere femminile di Pozzuoli situazione di grave sovraffollamento www.campanianotizie.com, 7 giugno 2014 "Abbiamo trovato una situazione di grave sovraffollamento, la struttura può ospitare 100 recluse e ne contiene attualmente circa il doppio. Inoltre ci sono tempi lunghi per i ricoveri in ospedale, tempi che possono durare anche molti mesi a causa della endemica difficoltà ricettiva del reparto detentivo del Cardarelli". Lo ha dichiarato Nicola Caputo, consigliere regionale del Pd e presidente della Commissione Trasparenza nel corso della sua visita all’istituto penitenziario femminile di Pozzuoli. Ancora una tappa nel percorso di indagine sui livelli di assistenza sanitaria erogati negli istituti penitenziari della Regione Campania. Ad accogliere Caputo, sono stati la direttrice dell’Istituto Stella Scialpi e Antonio Caiafa, Usd Medicina Penitenziaria. "Per la precisione - ha spiegato Caputo - in questo momento sono recluse 192 persone, la struttura ne sopporterebbe 100. Le recluse sono divise per tre piani e controllate da 112 agenti di Polizia penitenziaria. Per loro ci sono un medico incaricato e altri 10 che lavorano in turnazioni ed assicurano una unità di guardia medica h 24, oltre a 5 psichiatri. L’istituto è dotato di un poliambulatorio che garantisce alcune visite specialistiche. Il ginecologo è presente solo una volta a s settimana, che è decisamente poco per un istituto femminile". "Il sovraffollamento, si deve dire, è compensato da alcune iniziative lodevoli come il sistema delle celle aperte che consente alle detenute di muoversi anche al di fuori delle stanze. All’interno dell’istituto sono attive una serie di iniziative gestite da volontari e associazioni come la "Boutique Rosa" dove le recluse possono trovare alcuni prodotti di necessità e una torrefazione il "Caffè Lazzarelle" gestita dall’omonima cooperativa che con il contributo delle recluse produce una miscela di caffè già commercializzata". "Nonostante gli sforzi dall’Italia in questi ultimi mesi, per diminuire il sovraffollamento carcerario, ci sono ancora situazioni critiche. A queste si aggiungono la difficoltà di accesso ad un regime di assistenza sanitaria adeguato. Il fatto che il reparto detenuti del Cardarelli faccia registrare liste d’attesa lunghe e particolarmente penalizzanti per le donne aggrava la situazione dell’Istituto di Pozzuoli. C’è ancora da lavorare, - conclude Caputo - nonostante i risultati ottenuti, tutti gli allarmi lanciati, a cominciare da quelli del capo dello Stato, rimangono drammaticamente attuali". Teramo: chiusa la mensa del carcere per la presenza di scarafaggi Il Tempo, 7 giugno 2014 Quando sono entrate in cucina hanno trovato una vera e propria invasione di scarafaggi. Tanto da avvertire subito la direzione del carcere, che ha immediatamente disposto la chiusura della mensa del personale. Una chiusura improvvisa di cui gli agenti non sarebbero nemmeno stati messi a conoscenza, tanto da accorgersene solo al momento di andare a pranzo. Una situazione al limite del paradossale, a fronte di una disinfestazione effettuata appena una settimana fa. Tanto che i sindacati di categoria tornano nuovamente sul piede di guerra, denunciando come ad oggi i problemi del carcere non solo non hanno trovato soluzione ma sono addirittura aumentati. A lanciare quello che suona come un vero e proprio grido di dolore sono il segretario provinciale del Sinappe Nevio Liberatori e quello del Sappe Giuseppe Pallini che sottolineano come la situazione sia ormai diventata insostenibile. Perché adesso al sovraffollamento, alle difficili condizioni di vita dei detenuti e a quelle quasi impossibili di lavoro degli agenti, costretti a lavorare sempre sotto la soglia di sicurezza, si sarebbero aggiunte le pessime condizioni in cui versa la struttura. Perché l’invasione di scarafaggi non sarebbe certo la sola emergenza estiva che l’istituto penitenziario si trova ad affrontare. "Come sindacato già una settimana fa avevamo chiesto un sopralluogo della Asl per gli odori nauseabondi che arrivavano dai bagni e dai reparti detentivi - ha sottolineato Pallini - adesso è arrivata anche l’invasione di scarafaggi. Un disagio in più per gli agenti che anche nei prossimi giorni dovranno arrangiarsi". Il tutto nel silenzio della direzione del carcere e delle istituzioni. "Purtroppo la situazione è quella che è - ha concluso Pallini - le risorse economiche non ci sono, la qualità e la sicurezza dell’ambiente di lavoro non vengono garantite e il direttore pensa più ai progetti per i colloqui dei detenuti in carcere". Una situazione che potrebbe esplodere da un momento dall’altro e che i sindacati denunciano ormai inascoltati da anni, con il carcere considerato come un corpo estranei e con gli agenti di polizia penitenziaria considerati ormai figli di un dio minore. Vigevano (Pv): detenuti in calo però mancano agenti di Anna Mangiarotti La Provincia Pavese, 7 giugno 2014 Carcere dei Piccolini: ridimensionato il sovraffollamento di detenuti, resta la carenza di organico del personale. Il carcere di via Gravellona, consegnato nel 1993, un anno e mezzo fa ospitava 505 detenuti, il picco è stato 514 ospiti. Attualmente i detenuti sono 370, di cui 300 uomini. Quattrocento reclusi è ritenuto il tetto massimo di tollerabilità di una struttura concepita comunque per 236 persone. La casa circondariale diretta da Davide Pisapia occupa una superficie di15mila metri quadri, di cui 10mila coperti. "Il sovraffollamento grave si è risolto, in primo luogo perché il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha ridefinito la tipologia delle carceri", dice Davide Pisapia. In parole povere, a Vigevano non esiste più la sezione maschile di alta sicurezza e quella "protetti": è rimasta la sezione alta sicurezza per le donne, "ma al femminile non ci sono mai stati problemi di sovraffollamento". Le normative che potenziano il ricorso alle misure di limitazione della libertà alternative, e anche la chiusura della procura di Vigevano "hanno ulteriormente contribuito a ridurre i nostri ospiti - aggiunge Pisapia - Chi viene arrestato va direttamente in carcere a Pavia". Un problema resta però: mancano gli agenti di polizia penitenziaria. Attualmente sulla carta figurano 180 divise in servizio, su un organico teorico di 285 agenti. "In realtà poi gli agenti disponibili sono meno ancora alcuni sono "applicati" altrove. E siamo costretti a programmare turni di otto re al giorni invece di sei". Altra nota dolente: il personale amministrativo, anch’esso insufficiente Piacenza: l’Ugl scrive all’Ausl, condizioni igieniche critiche alle Novate www.piacenzasera.it, 7 giugno 2014 In diversi ambienti lavorativi del carcere delle Novate si segnala ormai da diverso tempo la soppressione dei servizi igienici. A denunciare la situazione a dir poco scandalosa è il Segretario Regionale della Ugl Polizia Penitenziaria Gennaro Narducci. L’Ugl a tutela della salute dei lavoratori si è dovuta costretta a denunciare alla Direzione Generale della Asl di Piacenza , al Servizio prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro e al servizio di Igiene, Epidemiologia e Sanità Pubblica , le condizioni " critiche" in cui versano i servizi igienici per tutto il Personale di Polizia e civile che operano all’interno delle Novate. Da qualche mese, i bagni allocati tra lo spaccio Agenti e la Mensa di servizio sono fuori uso. Mancano in tutti i posti di servizio dispensatori di sapone , gli urinatoi da anni fuori uso sono in pessime condizioni (muffa, insetti), vi sono esalazioni fognarie che escono dai bagni, l’aria è divenuta irrespirabile e questo proprio in prossimità dello spaccio Agenti e della mensa. Il personale non può usufruire dei servizi igienici neanche in alcuni posti di servizio del "vecchio padiglione" come portineria Agenti, Box smistamento sinistro, passeggi box Agenti e, il ridicolo arriva anche dal Corpo di guardia degli Agenti che si trovano alla vigilanza dei passeggi detenuti nuovo padiglione, dove li stranamente qualche geometra di alto livello, ha pensato bene di non metterci proprio il bagno quindi, l’agente per poter usufruire del servizio igienico o aspetta il fine turno (circa 2 ore) oppure deve chiedere la cortesia di un cambio sul posto di servizio. Un altro particolare arriva dalla mensa Agenti dove, malgrado varie richieste per l’installazione di un lavabo per le mani, la Direzione non abbia mai risposto. La salute pubblica del personale è sacrosanta sui luoghi di lavoro la Direzione non può continuare a far finta di niente, ci sono palesi violazioni di Legge a cui chiediamo alla Asl di intervenire sperando che questa volta la nostra denuncia non cadrà nel vuoto e si accerti da vicino quanto denunciato. Ovviamente in caso contrario, ci rivolgeremo agli uffici di Organo Superiore, l’Ugl si dice pronta anche ad una interrogazione parlamentare a riguardo. Reggio Calabria: donna di 80 anni detenuta in carcere, incontro con il Senatore Barani Ansa, 7 giugno 2014 Maria ha festeggiato il suo ottantesimo compleanno nel carcere di Arghillà di Reggio Calabria. Oggi l’anziana donna ha ricevuto la visita del senatore Lucio Barani, membro della II commissione giustizia del Senato, il quale le ha regalato un garofano. Nel carcere di Reggio Calabria si trovano 27 detenute donne ed oltre a Maria c’è anche una donna di 75 anni. Il senatore Barani si è intrattenuto con tutte le detenute ed ha voluto ascoltare le loro storie. Genova: la ginecologa delle carcerate diventata "Cavaliere della Repubblica" di Emanuela Zuccalà Io Donna, 7 giugno 2014 Una cella per ambulatorio, un ecografo preso a rate e una vocazione da volontaria. A Genova Adele Teodoro guida un progetto unico. Perché la prevenzione eviti altre condanne. "Un paio di orecchini in plastica gialla, grandi e a clip, di un vistoso gusto anni Ottanta. Uscendo dalla cella adibita a studio medico, una giovane marocchina se li sfilava posandoli fra le mani di un’altra donna, che li indossava rapidamente sistemandosi i lunghi capelli biondi prima di entrare per la visita. Adele osservava dalla sua scrivania, e la scena le è rimasta negli occhi come improvvisa rivelazione del senso del suo ingresso in questo mondo parallelo scandito da sbarre e da destini spezzati: "Per le detenute, la visita ginecologica del sabato si era trasformata in un appuntamento speciale, al quale presentarsi in ordine, curate, con vezzi femminili che stavano dimenticando". Pontedecimo è un edificio chiaro consumato dal tempo, a una quindicina di chilometri a nord dal centro di Genova. Un corridoio interminabile sospeso nel vuoto conduce al blocco delle celle. I panni lavati penzolano alle finestre. In questa casa circondariale che contiene 159 detenuti, fra cui 77 donne in gran parte non italiane, Adele Teodoro è arrivata per caso nel 2011. Ginecologa napoletana trapiantata a Milano, seppure innamorata della sua professione e della sua bimba di nove anni, Gaia, da tempo avvertiva un vuoto al quale non riusciva ad attribuire un nome: "Volevo dare di più, fare qualcosa di utile per puro volontariato, ma non sapevo in che modo". L’idea si accende quando incontra l’allora direttrice di Pontedecimo, Maria Milano d’Aragona, che la invita a visitare il carcere. E insieme s’inventano un progetto pilota di prevenzione sanitaria unico in Italia: un ciclo di visite ginecologiche alle detenute, con screening, pap-test, ecografia transvaginale e diagnosi precoce. Adele acquista a rate, di tasca sua, un apparecchio ecografico portatile, e due sabati al mese va a Pontedecimo. Perché se per i detenuti c’è la possibilità di curarsi, manca del tutto la prevenzione, che pure concederebbe alla sanità penitenziaria un risparmio di risorse pubbliche: un altro tassello mancante del nostro sistema carcerario che nel 2013 è stato condannato dalla Corte europea dei diritti umani "per trattamento inumano e degradante" dei reclusi, con multe che potrebbero costarci centinaia di milioni. "la prevenzione serve, poiché la popolazione carceraria è a rischio sanitario" spiega la dottoressa. "Io ho incontrato ex prostitute, tossicodipendenti... Durante le primissime visite, ho diagnosticato ben tre tumori alla cervice dell’utero, che sono stati asportati con interventi in day hospital. E poi vaginiti, cisti ovariche ed endometriosiche: disturbi facilmente curabili se scoperti in uno stadio pre-clinico ma che, se trascurati, possono diventare emergenze ginecologiche". Per esercitare in carcere da volontaria, Adele Teodoro fonda un’associazione e la chiama Gravidanza Gaia: un omaggio alla sua professione e, insieme, alla sua bambina. Intanto le detenute di Genova si passano parola, le nuove entrate chiedono subito di essere visitate dalla "dottoressa di Milano" e a poco a poco ci si accorge che il valore del progetto va oltre la visita ginecologica nella stanzetta al secondo piano. "È un percorso di conoscenza e cura di sé" osserva Maria Milano d’Aragona, che oggi è Provveditore alle carceri della Regione Liguria. "Il carcere è mortificazione del corpo e ancora di più per le donne, che rappresentano una percentuale minima dei detenuti italiani (2.524 su 59.683 al 30 aprile scorso, ndr) e dunque si ritrovano dentro un sistema pensato al maschile. Le donne non instaurano dinamiche di cameratismo: hanno bisogno della propria privacy, dei loro oggetti, e dietro le sbarre tutto questo è negato. Ma abbiamo constatato che l’appuntamento del sabato giova a loro e alla vita del carcere: le detenute si sono sentite prese in cura, ascoltate, e questo ha smussato le tensioni e le ha distratte dai soliti discorsi ossessivi da cella su processi e reati. E poi era importante, per me, presentare loro un modello in carne e ossa di donna colta, professionista e impegnata nel sociale, distante dai loro cliché di femminilità legata a sfruttamento e violenza". Oggi che, insieme a Io donna, Adele è tornata a Pontedecimo per incontrare le nuove detenute e invitarle alla visita, la riabbracciano alcune già conosciute e ascoltate. Sono quelle con le pene più lunghe: una splendida ragazza egiziana che ha ucciso il compagno per gelosia; un’italiana dagli occhi azzurri e tristi che ha provocato una lesione spinale al figlio neonato, scuotendolo per farlo smettere di piangere, mentre il marito minacciava di uccidere lei e il piccolo. "Non chiedo mai dei reati" precisa la dottoressa "sono loro a volersi aprire con me, per essere accolte completamente. In tutte ho incontrato la sofferenza di aver lasciato fuori i propri figli e ho pensato che, forse, una madre che commette un delitto ha visto un baratro davanti a sé. Forse se qualcuno l’avesse aiutata...". Per il suo impegno in carcere, Adele Teodoro ha ricevuto l’onorificenza di Cavaliere della Repubblica, e ora si prepara a portare il suo progetto anche nel carcere milanese di San Vittore. "È una buona pratica potenzialmente esportabile ovunque" chiarisce. "Bastano un direttore e una Asl disponibili, altre ginecologhe desiderose di dedicare un po’ di tempo al volontariato, e dei benefattori che ci aiutino ad acquistare i necessari apparecchi ecografici". L’entusiasmo delle detenute, di certo, non mancherà. E forse, quando usciranno, avranno in corpo meno rabbia. Verona: studenti a lezione in carcere e detenuti pronti alla maturità L’Arena di Verona, 7 giugno 2014 Dall’inizio dell’anno 750 ragazzi accompagnati da 74 docenti dietro le sbarre. Laura Dona: "L’obiettivo è scardinare i pregiudizi e gli stereotipi". Quasi 750 studenti accompagnati da 74 insegnanti in rappresentanza di 24 istituti scolastici. Sono i giovani che hanno vissuto una giornata insieme ai detenuti della casa circondariale di Montorio nell’ambito del progetto "Carcere e scuola" 2014. Un binomio, quello della realtà vissuta dai detenuti e del mondo dell’istruzione, che ha diversi punti di contatto "perché il carcere", ricordano gli operatori che vi lavorano, "non è un mondo a sé, ma fa parte della comunità". E se da 25 anni era l’associazione Progetto Carcere 663 a proporre ai detenuti momenti di svago e confronto, tra cui tornei sportivi proprio con gli studenti, lo stesso presidente Maurizio Ruzzenenti, nei giorni scorsi, ha annunciato la sospensione delle attività con la Casa circondariale la cui direzione, da quest’anno, ha affidato alle associazioni Archimede e Microcosmo il compito di fare da Cicerone agli studenti all’interno delle mura della struttura. Anziché lo sport come momento di confronto e condivisione, dunque, una giornata intera per i ragazzi fra colloqui con la direttrice del carcere Mariagrazia Bregoli, visita alle celle e agli spazi comuni e di lavoro, pausa pranzo a base di prodotti preparati nel forno dell’istituto penitenziario e tavole rotonde con i detenuti. "L’obiettivo è scardinare i pregiudizi e gli stereotipi che nella mente dei giovani possono esistere a proposito del carcere attraverso una conoscenza diretta di questa realtà", spiega Laura Dona, neo ispettrice del ministero dell’Istruzione che, già responsabile degli Interventi educativi per l’Ufficio scolastico territoriale, ha seguito negli anni scorsi il progetto. "Ma la scuola all’interno del carcere non è solo questo". E infatti l’Ufficio scolastico XII di Verona ha approfittato della conclusione dell’anno scolastico per presentare, ieri, gli esiti dell’offerta formativa per i detenuti della casa circondariale. Si tratta della possibilità di frequentare percorsi di alfabetizzazione alla lingua italiana per stranieri, con ben 90 iscritti, e corsi per prepararsi a sostenere gli esami di terza media, in collaborazione con il Centro territoriale permanente Carducci, attivato all’interno dell’istituto comprensivo 15 Borgo Venezia diretto da Luciana Marconcini: un’occasione colta al volo da 42 detenuti che nei prossimi giorni sosterranno la prova Per le superiori, 21 detenuti hanno invece iniziato il percorso per ottenere il diploma di maturità dell’indirizzo alberghiero, attivato dall’istituto Berti di retto da Antonio Benetti. " E da settembre", conclude Dona, "sarà introdotto un corso di liceo artistico in collaborazione con l’istituto Nani-Boccioni". Milano: a Bollate l’isola felice delle carceri che ospita l’esperienza di monaci tibetani di Stefano Pasta La Repubblica, 7 giugno 2014 Sono entrati per realizzare e distruggere un mandala, simbolo della loro tradizione e rappresentazione della "impermanenza": tutto passa e niente è eterno, esiste solo il presente. Era la prima volta che succedeva in un istituto di detenzione italiano, uno dei pochissimi casi al mondo. Cosa c’entrano i monaci tibetani con le carceri italiane? Da febbraio a maggio 2013, sono entrati in quello di Bollate, alle porte di Milano, per realizzare e distruggere un mandala, simbolo fondamentale della loro tradizione, e rappresentazione della "impermanenza": tutto passa e niente è eterno, esiste solo il presente. Era la prima volta che succedeva in un istituto di detenzione italiano, uno dei pochissimi casi al mondo. Grazie all’artista italiana Ciriaca+Erre, ne è nato il video "Epoché - Sospensione del Giudizio", presentato all’interno del carcere milanese il 28 maggio scorso ed esposto nel Padiglione Tibet alla Biennale di Venezia. Monaci tibetani e prigioni italiane. Il Tibet e i detenuti di un carcere italiano possono sembrare due realtà molto distanti, socialmente e geograficamente, ma per Ciriaca+Erre esiste un filo conduttore molto forte. "In Tibet i monaci muoiono "di carcere", mentre a Bollate sono gli stessi monaci che si recano in carcere. Al tempo stesso, alcuni detenuti fanno un percorso di autoconsapevolezza, di cui a tratti, durante le interviste, intuiamo la vicinanza alla filosofia buddista, cercando di raggiungere un nuovo equilibrio, di dare ordine e senso alle cose, che nel mondo fuori dalle sbarre non avevano". Nelle sequenze, si alternano immagini di giardini, corpi costretti, fluire di sabbie colorate, cavalli, monaci tibetani, poliziotti, scorci d’interviste. Uno sparo conduce l’osservatore in un labirinto di sensazioni scandite da voci che sussurrano, respiri, preghiere, cigolii e passi. L’artista cerca di far sospendere il giudizio di chi guarda affinché viva da inconsapevole un viaggio tra le mura del carcere, descrivendo realtà vicine quanto lontane e suggerendoci di abbandonare le nostre paure e i pregiudizi. A Bollate la recidiva è del 20%, in Italia del 70%. I detenuti raccontano il loro cambiamento, anche grazie al percorso con i monaci tibetani: "Più credevo negli altri - dice Gualtiero - più riuscivo a credere in me stesso. Solo dando fiducia, riesci ad averne". Gianluca, che in altri carceri aveva dormito per terra tra gli scarafaggi, spiega che "all’inizio facevo fatica anche a respirare, guardarsi dentro è molto difficile". Ma il mandala è uno dei tanti esempi di come Bollate sia da tempo diventato un modello di carcere, che mira alla rieducazione, alla legalità e al rispetto della dignità, per restituire alla società persone libere e responsabili. Per produrre, in definitiva, più sicurezza. Lo spiega bene l’agente Francesco Mondello, intervistato nel video: "Qui la porta la lasciamo aperta. Ho visto persone che venivano da carceri bui e avevano paura della luce. Educare vuol dire tirar fuori". Per permettere ad alcuni detenuti di cantare e suonare, Mondello ha addirittura creato una sala musica: insonorizzata con scatole delle uova e con luci create dalle latte del pomodoro. I risultati si vedono: a Bollate la recidiva è del 20%, in Italia del 70%. Il cimitero dei vivi. Eppure, rapporti e fatti di cronaca parlano invece di un sistema carcere italiano che sembra considerare la chiave da buttare via come il simbolo della sicurezza. Un carcere chiuso, con pochi progetti di recupero sociale, che Lucia Castellano, ex direttrice di Bollate, ha chiamato "cimitero dei vivi". Tra le ultime notizie, il 28 maggio un ventinovenne si è impiccato nella sua cella a Bari, mentre il giorno prima Giovanni Aireti, 64 anni, ha scelto la stessa fine nel carcere di Ancona. Tortura e trattamento inumano. Proprio in questi giorni, è attesa la sentenza sul sovraffollamento nelle carceri che potrebbe costare all’Italia fino a 100 milioni di euro. Un anno fa, infatti, la Corte Europea dei Diritti umani ha condannato l’Italia per aver detenuto persone in meno di tre metri quadri per "violazione dei diritti umani, tortura e trattamento inumano e degradante" secondo l’articolo 3 della Convenzione Europea. "Gli stessi diritti - conclude Ciriaca+Erre - che vengono da anni violati in Tibet e per cui molti monaci si danno fuoco nella speranza di rompere un terribile silenzio". Potenza: manifestazione Sindacati Polizia penitenziaria, chiedono un aumento di organico Ansa, 7 giugno 2014 I rappresentanti delle organizzazioni sindacali della Polizia penitenziaria hanno organizzato stamani a Potenza un corteo - dal carcere del capoluogo lucano alla sede del Provveditorato dell’amministrazione penitenziaria - per chiedere "un aumento di organico, a fronte di un aumento dei detenuti" e "maggiori condizioni di sicurezza nelle strutture della Basilicata". Al corteo ha partecipato anche il segretario dei Radicali lucani, Maurizio Bolognetti: i rappresentanti dei sindacati di settore hanno spiegato che "questa iniziativa segna il disagio delle forze di polizia nel loro lavoro quotidiano: c’è una forte carenza di organico, e al contempo dobbiamo far fronte a un aumento dei detenuti, anche di quelli socialmente più pericolosi". Vigevano (Pv): Sappe, due poliziotte aggredite, eventi sempre più all’ordine del giorno Adnkronos, 7 giugno 2014 Aggressione nel carcere di Vigevano dove due agenti della polizia penitenziaria sono state aggredite da una detenuta. È quanto denuncia in una nota il segretario generale del sindacato autonomo della Polizia penitenziaria, Donato Capece. Secondo la ricostruzione fornita, l’aggressione è avvenuta nel corso di una normale operazione di apertura e chiusura della camera detentiva della detenuta che, per futili motivi, si è scagliata contro le due agenti di servizio. Le agenti, soccorse in ospedale, sono state dimesse entrambe con una prognosi di 5 giorni Eventi del genere, sottolinea il sindacato "sono sempre più all’ordine del giorno e a rimetterci è sempre e solo il personale di Polizia Penitenziaria. Il Sappe esprime solidarietà al Personale coinvolto e augura una veloce ripresa e ritorno in servizio. Queste aggressioni sono intollerabili. Noi non siamo carne da macello ed anche la nostra pazienza ha un limite". "La situazione, a Vigevano e nelle carceri italiane, resta grave e questo determina difficili, pericolose e stressanti condizioni di lavoro per gli Agenti di Polizia Penitenziaria", prosegue il sindacalista dei baschi azzurri. "E sebbene l’Italia risulti di fatto inadempiente rispetto alla sentenza Torreggiani della Corte europea per i diritti dell’uomo, il rinvio al giugno 2015 per un’ulteriore valutazione sull’attuazione delle misure decise dal governo per affrontare il problema del sovraffollamento segna il fallimento delle politiche penitenziarie adottate dal Dap". Roma: Fns-Cisl Lazio, evaso da Rebibbia detenuto in semilibertà Adnkronos, 7 giugno 2014 Un detenuto in semilibertà è evaso da Rebibbia. A darne notizia è il segretario regionale di Fns Cisl Lazio, Massimo Costantino. Oggi "un detenuto semilibero, italiano, romano, T.S. di 45 anni, con fine pena novembre 2014, risulta evaso poiché non ha fatto rientro presso la terza casa circondariale Rebibbia-Roma", sottolinea Costantino. "Sembrerebbe che il detenuto in semilibertà non avrebbe rispettato le prescrizioni previste - conclude. L’istituto ospita detenuti ex tossicodipendenti ed è lo stesso dove nel febbraio scorso erano evasi due detenuti che avevano segato le sbarre calandosi con un lenzuolo". Chieti: detenuti in scena con la commedia di De Filippo "Uomo e Galantuomo" Ristretti Orizzonti, 7 giugno 2014 Il sipario si aprirà alle 20:30 di lunedì prossimo 9 giugno. Il carcere si apre alla città: le detenute e i detenuti della Casa Circondariale di Chieti, il prossimo 9 giugno 2014, alle ore 20:30, portano in scena la commedia di Eduardo De Filippo "Uomo e Galantuomo". Sotto la guida sicura e sperimentata della Regista Paola Capone, impegnata da anni nel settore e con una specifica professionalità nella conduzione di Compagnie Teatro nate e vissute in carcere, ogni detenuto-attore, attraverso un laboratorio didattico durato 7 mesi, è riuscito a costruire il personaggio a partire dal proprio sé individuale, ponendo in gioco esperienze passate, problematicità attuali e prospettive per un nuovo (e migliore) percorso di vita. Spiega la Regista: "La commedia è ambientata nel mondo, ben noto a Eduardo, di una compagnia di guitti, abituati a provare le «parti» durante lo svolgimento delle quotidiane faccende domestiche, con evidenti spunti comici cui non è estraneo il gioco sottile della confusione tra vita e funzione scenica. Sul motivo del "teatro nel teatro" si innesta, con spunto tipicamente pirandelliano, quello della finta pazzia come espediente per sfuggire alle proprie responsabilità; espediente malriuscito che si trasforma, alla fine, in una eterna condanna ad esercitare il ruolo del folle per salvare le convenzioni sociali e l’onorabilità altrui. Ma, pur sullo sfondo di situazioni comiche e malintesi farseschi, non mancano spunti di profonde riflessioni esistenziali che invitano lo spettatore attento ad andare oltre l’apparenza della finzione per cercare la realtà". L’evento è stato fortemente voluto dalla Direttrice della Casa Circondariale, la Dottoressa Giuseppina Ruggero, e dal Comandante di Reparto, il Commissario Capo Valentino Di Bartolomeo, con condivisione di interessi e scopi da parte dell’Area Educativa. L’aspetto che merita maggiore valorizzazione è lo straordinario coinvolgimento delle detenute e dei detenuti: le ragazze impegnate nel laboratorio interno di cucito "Officina Creativa" hanno assonto spontaneamente l’impegno di seguire la produzione dei costumi di scena, questa volta guidate dalla volontaria Maria Luigia Prosperi. Un evento importante, perciò, per gli importanti risvolti trattamentali e risocializzativi che si auspica possano essere attestati da un felice reinserimento in società dei detenuti-attori. Padova: "Coristi per caso", volontari e detenuti cantano la libertà nel carcere Due Palazzi Il Mattino di Padova, 7 giugno 2014 Testimonianze che rimangono impresse nel cuore. Sospese fra arte e umanità. Qualcuno con un pizzico di ironia l’ha definito "il mio canto libero", ma lo spettacolo che l’associazione "Coristi per caso" di Padova ha realizzato nel carcere penale Due Palazzi insieme ad un gruppo di detenuti merita davvero l’autorevole citazione battistiana. La merita perché la musica libera davvero, consente di volare. Anche ben oltre le sbarre di un carcere. È bastato ascoltare con quanta partecipazione emotiva i detenuti hanno risposto all’insolito invito per cogliere l’essenza di questa bella iniziativa, che ha coinvolto i detenuti e i Coristi per caso. Uniti in un unico grande coro, plasmato dall’esperienza di Chiara Pagnin. L’iniziativa ha goduto del pieno appoggio degli insegnanti del Ctp Parini di Camposampiero che in carcere assicurano (in forma del tutto volontaria) regolari lezioni ai detenuti. Livia e Daniela hanno "reclutato" una dozzina di detenuti dall’ugola buona e hanno seguito ogni lunedì le prove. Vi si sono affiancati 15 componenti dei Coristi per caso diretti da Alberta. I brani sono stati tratti da "Nel mare ci sono i coccodrilli" di Fabio Geda che racconta la storia toccante di Enaiatollah Akbari, bambino afghano fuggito dal suo paese, nascosto nella stiva di un camion e ora finalmente libero di vivere la sua vita in Italia, portando una testimonianza sul prezzo doloroso della libertà. Le canzoni originali sono state scritte dal musicista e compositore argentino Alejandro Saorin Martinez. Alla fine un video del laboratorio di poesia in carcere tenuto da Marina Agostinacchio. Lo spettacolo è stato applaudito da detenuti, insegnanti e dal gruppo di detenuti-attori di Maria Cinzia Zanellato. Grande la disponibilità delle guardie carcerarie del settore scuola. I detenuti coristi sono Slavica, Fation, Gazmir, Ismet, Mark, Odeon, Collins, Ismail, Peter e Adriatik. Piu Iovan e Leonardo. Milano: oggi al Parco Sempione "Biblioteca vivente", incontro con 20 detenuti di Bollate Il Giorno, 7 giugno 2014 Oggi tra le 15 e le 19 alla biblioteca del Parco Sempione di Via Cervantes, 20 detenuti di Bollate svolgeranno la funzione di "libri viventi". Sarà possibile parlare con loro per massimo mezz’ora proprio come nei giorni normali è possibile consultare un libro. Questa la presentazione dell’evento da parte della responsabile della Biblioteca del Parco Sempione Patrizia Camarsa: "Valgono le stesse regole: i libri non vanno maltrattati ma tenuti con cura, devono essere rispettati. Questa è un’occasione unica per posare lo sguardo oltre il muro di un carcere e parlare delle vite di chi lo abita ascoltandole dalla viva voce dei protagonisti". L’Italia negli ultimi anni è stata impregnata da una cultura giustizialista portata avanti dai mass media di sinistra. Dietro le sbarre non ci sono solo gli assassini, i pedofili, i mafiosi, i terroristi, per i quali bisognerebbe giustamente buttare le chiavi. In carcere c’è anche gente condannata per futili o in attesa di giudizio. Questi ultimi secondo la nostra Costituzione sono innocenti fino a sentenza definitiva passata in giudicato. Deve, quindi, essere chiaro a tutti che in carcere ci sono anche tanti innocenti. Inoltre molti protagonisti di reati minori vivono la detenzione come strumento di riparazione ad un errore compiuto e di rinascita. Iniziative come queste utili a tale scopo meritano soltanto di essere elogiate e di essere riproposte quanto più spesso possibile. Immigrazione: Napoli; "pestato dalla Guardia di finanza", la denuncia di un senegalese di Adriana Pollice Il Manifesto, 7 giugno 2014 Picchiato fino a perdere i sensi quando era già ammanettato nella caserma della Guardia di finanza di Gianturco, a Napoli. Questo ha raccontato Magnane Niane, 47 anni, da circa 10 in città, all’avvocato Liana Nesta quando finalmente è stato portato all’ospedale Loreto Mare. Il ragazzo senegalese si trovava ieri mattina alla Duchesca, la zona tra la Stazione centrale e il corso Umberto in cui si tiene un mercato popolare. Lavora per un italiano che ha uno stand con regolare licenza. I finanzieri arrivano in forze per un blitz contro la vendita di merce contraffatta, Magnane esce dal bar e si ritrova nel mezzo della retata. "Mi ha riferito - racconta l’avvocato - che lo hanno ammanettato con le mani avanti e portato in caserma. Mentre era in attesa di essere identificato è squillato il cellulare, quando ha cercato di prenderlo per rispondere è arrivato il primo schiaffone forte sul viso. Il telefono gli è caduto di mano e, quando ha cercato di afferrarlo da terra, è arrivato il secondo". A Magnane, secondo quanto riportato nella denuncia redatta dal suo avvocato, liberano le mani per ammanettarlo sulla schiena e, in base anche al racconto dei testimoni, i finanzieri si avventano su di lui, continuano a picchiarlo con calci e pugni fino a fargli perdere i sensi. Sono 24 gli immigrati fermati, uno di loro riesce ad avvisare con il cellulare il rappresentante dell’area sociale della comunità senegalese, Pierre Preira, che li raggiunge in caserma. Intanto Magnane è a terra svenuto. L’ambulanza del 118 sarebbe stata chiamata dopo molto tempo e solo per le pressioni degli altri ragazzi spaventati dalla stato di Magnane. "Mi ha chiamato uno dei fermati - spiega Preira, era terrorizzato, mi diceva "corri, lo stanno picchiando, lo mettono a testa in giù". Quando sono arrivato era ancora immobile sul pavimento. Quando lo hanno caricato sulla barella era talmente ridotto male che è riuscito a dirmi come si chiama solo dopo un quarto d’ora". Al Loreto Mare Magnane arriva gonfio, molto dolorante, con ecchimosi ovunque, graffi alle braccia e un taglio alla testa. È stato necessario fare molti esami e una tac al petto per escludere lesioni interne, dieci giorni la prognosi. "Per avere un referto accurato ho dovuto fare una battaglia - spiega l’avvocato - sempre sotto lo sguardo di due finanzieri. Ad esempio non avevano riportato le numerose lesioni alle gambe e al gomito e la ferita al capo. Addirittura avevano scritto "paziente non collaborativo" quando semplicemente, non parlando italiano, non capiva cosa gli venisse chiesto. Eppure dietro la porta c’erano diverse persone pronte a fare da interprete". Ora Magnane è in stato di fermo accusato di resistenza, la Guardia di finanza sostiene che ha morso uno di loro. A fargli compagnia in ospedale sei senegalesi che erano a Gianturco con lui, arrivati in ambulanza con lesioni minori. La versione delle forze dell’ordine è tutta diversa: tre uomini della Guardia di Finanza colpiti da calci, pugni e morsi durante le operazioni anti contraffazione, momenti di tensione e caos avrebbero complicata l’attività dei finanzieri aggrediti dagli abusivi. Ventiquattro i denunciati, uno in stato di fermo. Versione accompagnata dalle immancabili foto di buste di plastica piene di merce da pochi soldi. "Ieri pomeriggio Magnane era ancora in stato di choc - spiega Liana Nesta. Probabilmente lo processeranno per direttissima. Ha contusioni multiple, per giustificarle i finanzieri sostengono che è caduto. Li denunceremo per violenza privata. È successo lo stesso alla caserma Raniero di Napoli per il Global forum del 2001: ragazzi ammanettati picchiati senza motivo. Naturalmente poi ti accusano di resistenza ma all’interno di una caserma e con le mani ristrette è un’accusa che non regge". Con i migranti è peggio: chi non ha i documenti in regola o è stato trovato con merce falsa è quasi impossibile che denunci. "Basta molto poco perché un fermato venga aggredito - conclude l’avvocato - ad esempio una semplice rivendicazione di un diritto invece di stare fermo e zitto. La parola di un pubblico ufficiale fa fede fino a prova di fatto e in queste situazioni è difficile avere testimoni". Questa volta però è diverso, Magnane ha assistenza legale, il referto medico, le foto alle ferite scattate in ospedale e ragazzi senegalesi disposti a testimoniare. Stati Uniti: dietro il caso Bergdahl la battaglia di Obama per la chiusura di Guantánamo Adnkronos, 7 giugno 2014 Dietro le polemiche e le proteste dei repubblicani per lo scambio tra il sergente Bowe Bergdahl ed i cinque talebani, c’è la battaglia, ormai in corso da cinque anni, tra Barack Obama ed il Congresso per la chiusura di Guantánamo. L’ostinazione con cui i repubblicani continuano, anche a costo di apparire contrari al ritorno a casa del sergente da cinque anni prigioniero in Afghanistan, a denunciare l’amministrazione Obama per non aver avvisato il Congresso dello scambio, nasconde infatti la paura che forse Obama abbia deciso di assumere una strategia più aggressiva per il rilascio dei prigionieri ancora detenuti nel campo di prigionia. Una preoccupazione, ed un nervosismo, che è evidente nelle dichiarazioni rilasciate dal senatore Lindsay Graham - ed in effetti definite esagerate dal collega di partito Marco Rubio - che ha minacciato l’impeachment nel caso che Obama rilasci altri detenuti di Guantánamo senza l’approvazione del Congresso. "Sarà impossibile trasferire altri prigionieri da Gitmo senza una reazione, ci saranno persone che chiederanno l’impeachment", ha detto Graham che nel 1998 fu uno dei deputati che istruirono l’atto d’accusa contro Bill Clinton per aver mentito riguardo al Sexgate. Nel campo di prigionia creato da George Bush nella base militare americana a Cuba per rinchiudere, senza nessuna incriminazione formale e diritti, i ‘combattenti nemici’ catturati durante la guerra al terrorismo, sono rimasti in tutto 149 detenuti. Secondo i dati pubblicati dal Pentagono nel 2006 - quando l’amministrazione Bush cominciò ad avviare una timida politica di rilascio dei detenuti - sono stati in tutto 759 i prigionieri detenuti nel campo. I cinque talebani trasferiti, nell’ambito dell’accordo di scambio, in Qatar appartenevano al gruppo di 71 considerati troppo pericolosi per essere destinati al rilascio, e condannati a rimanere nella situazione di detenzione a tempo indeterminato in cui alcuni si trovano da oltre 12 anni. Come loro altri otto dei 12 detenuti afghani che ancora si trovano a Guantánamo. Gli altri quattro sono un insegnante, un negoziante, un contadino e persino un soldato che lavorava con le forze Usa finiti per sbaglio, o perchè incastrati da nemici, nell’incubo di Guantánamo. Appartengono al gruppo di 78 detenuti per i quali la Guantánamo Review Task Force - la commissione creata da Obama per verificare la situazione di tutti i prigionieri rinchiusi a Camp Delta - ha dato l’ok per il rilascio, ma che ancora rimangono rinchiusi a Guantánamo. Questo è dovuto anche al fatto che dal 2010 il Congresso, che in questi anni ha fatto muro in tutti i modi contro il reiterato impegno di Obama a chiudere Guantánamo, ha opposto più restrizioni ed ostacoli ai trasferimenti. Contro questa situazione da oltre un anno decine di detenuti di Guantánamo hanno deciso l’atto di protesta più estremo, lo sciopero della fame che ha la scorsa estate ha riacceso i riflettori sulla loro condizione, spinto a nuove critiche e condanne da parte della comunità internazionale. Tanto che lo scorso maggio Obama è tornato a confermare la volontà di chiudere Guantánamo. Lo scorso dicembre il Congresso sembrava essere stato persuaso ad allentare le restrizioni imposte ai trasferimenti, ma prima dello scambio solo 12 detenuti sono stati rilasciati. Finora Obama non ha mai cercato di aggirare la misura che prescrive che il Congresso sia informato del rilascio, anche se, come ha ricordato lo stesso presidente lo scorso dicembre, l’autorità esecutiva glielo permetterebbe. E quindi il fatto che per questo scambio la Casa Bianca lo abbia fatto - con la sacrosanta giustificazione di dover agire in fretta per salvare la vita del sergente - costituisce per i repubblicani un pericoloso precedente. Intanto, mentre Obama dall’Europa manda un messaggio chiaro ai repubblicani dicendo di non doversi assolutamente "scusare per aver riportato a casa un prigioniero di guerra", l’amministrazione democratica fa sapere che "un numero significativo" verrà presto trasferito. In realtà dei 78 da rilasciare la stragrande maggioranza, 58, sono yemeniti e il loro rimpatrio è bloccato dalle preoccupazioni di Washington per la situazione della sicurezza nello Yemen, diventato uno dei principali fronti di al Qaeda. Anche tra gli altri 20 vi sono quattro siriani, per i quali per stesse ragioni è impossibile il rimpatrio, anche se recentemente il presidente ex guerrigliero dell’Uruguay, Jose Mujica, si è offerto di accoglierli, insieme ad un palestinese ed un tunisino. Inspiegabilmente rimane ancora nelle gabbie di Camp Delta Shaker Aamer, l’ultimo cittadino britannico ancora detenuto anche se già Bush aveva dato la luce verde al suo rilascio. Israele: Onu preoccupato per la salute dei detenuti palestinesi in sciopero della fame Ansa, 7 giugno 2014 "Il segretario generale è preoccupato per le notizie riguardanti il deterioramento della salute dei detenuti amministrativi palestinesi che sono in sciopero della fame da oltre un mese", ha detto il portavoce dell'Onu Stephane Dujarric ai giornalisti. Il Servizio penitenziario di Israele ha detto che 65 prigionieri in sciopero della fame palestinesi sono in ospedale, ma nessuno in condizioni critiche e tutti sono coscienti. Brasile: contro sovraffollamento carcerario più di 150mila detenuti agli arresti domiciliari Agi, 7 giugno 2014 Il Brasile ha una popolazione carceraria di 567.655 detenuti, ospitate in strutture penali costruite per contenerne solo 357.219, secondo i dati diffusi il 5 giugno dal Consiglio Nazionale di Giustizia del Brasile. Il Consiglio ha riconosciuto che la situazione sarebbe ancora più grave se i 146.936 brasiliani che attualmente stanno scontando condanne agli arresti domiciliari dovessero essere inviati in galera; parte di questi hanno ricevuto il beneficio dei domiciliari specificamente a causa della mancanza di spazio nelle carceri. "Considerando i casi di arresti domiciliari, il deficit nelle carceri brasiliane sale a 358.000. Se contiamo il numero di mandati d’arresto non eseguiti, ben 373.991, la popolazione carceraria del paese schizza a 1.08 milioni di persone e il deficit a 731.781 unità", ha detto il supervisore del dipartimento carcerario del Consiglio, Guilherme Calmon. Il consiglio ha spiegato che lo studio senza precedenti sul numero di detenuti in Brasile è stato preparato sulla base delle consultazioni effettuate a maggio 2014 con tutti i tribunali penali dei 27 Stati del Paese. "Fino ad ora, la questione carceraria è stata discussa con riferimenti statistici che dovevano essere rivisti. Dobbiamo considerare il numero di persone agli arresti domiciliari nel calcolo della popolazione carceraria" ha proseguito Calmon, in un comunicato rilasciato dal ministero. Gli arresti domiciliari possono essere concessi a qualsiasi prigioniero, principalmente per problemi di salute che non possono essere trattati in carcere. Siria: dopo rielezione Assad rilasciati centinaia di detenuti dalle carceri di Adra e Aleppo Tm News, 7 giugno 2014 Le autorità siriane hanno rilasciato centinaia di prigionieri detenuti nelle carceri di Aleppo ed Adra, in seguito ad un decreto di amnistia approvato dopo la rielezione di Bashar al-Assad alla presidenza della Repubblica: lo hanno reso noto fonti delle organizzazioni siriane per la difesa dei diritti umani. Secondo le fonti si tratta di 400 uomini e 80 donne detenuti ad Adra con l’accusa di terrorismo e di 320 che si trovavano in carcere ad Aleppo; i detenuti nelle carceri del regime sarebbero decine di migliaia. Sudan: cristiana condannata a morte, per fratello va giustiziata "è un affare di famiglia" Adnkronos, 7 giugno 2014 "Deve essere giustiziata" Meriam Yahia Ibrahim, la 27enne cristiana condannata a morte in Sudan per apostasia. A sostenerlo è il maggiore dei suoi tre fratelli, al-Samani al-Hadi Mohamed Abdullah, l’uomo che l’ha consegnata alle autorità perché la sua è una famiglia di "persone musulmane" e lei avrebbe dovuto "pentirsi" della decisione di convertirsi al cristianesimo. In un’intervista esclusiva alla Cnn, il fratello di Meriam ritiene che "delle due, una: se lei si pente e torna all’Islam e all’abbraccio della sua famiglia, allora noi siamo la sua famiglia e lei è dei nostri. Ma se lei rifiuta deve essere giustiziata". Si tratta comunque di "un affare di famiglia", sostiene al-Samani al-Hadi, mentre la comunità internazionale si mobilita per salvare la donna. Nel 2011 Ibrahim ha spostato un uomo di fede cristiana, Daniel Wani, proveniente dal Sud Sudan. I due hanno un bambino, Martin di 20 mesi, e Maya, nata la scorsa settimana in carcere. In base alla legge sudanese, i figli devono seguire la religione del padre. Egitto: stretta contro estremismo, carcere per predicatori non autorizzati Aki, 7 giugno 2014 Giro di vite contro l’estremismo religioso in Egitto. Il presidente uscente Adly Mansour, prima di passare il testimone al neo eletto ex capo delle forze armate Abdel Fattah Mansour, ha messo al bando da moschee e dagli spazi usati come luoghi di culto tutti i predicatori islamici non autorizzati dal governo. Chiaro l’intento di impedire ai Fratelli Musulmani, organizzazione inserita dal governo nella lista nera dei movimenti terroristici, di tornare a radicarsi nelle moschee come negli anni quando era al potere l’ex rais Hosni Mubarak. La legge - ha spiegato il portavoce del presidente Ihab Badawi - stabilisce che solo il personale del ministero degli Affari Religiosi o gli esperti di Islam che si sono formati presso Al-Azhar, la massima istituzione religiosa del mondo sunniti, potranno guidare la preghiera o insegnare religione. L’autorizzazione - si legge sul sito del quotidiano Ahram - sarà concessa solo dal Grande Imam di Al-Azhar o dal ministro degli Affari Religiosi. Saranno permesse eccezioni, ma chiunque voglia predicare in una moschea dovrà seguire le regole stabilite dal ministero. Dure le pene previste per chi violerà la legge. L’imam non autorizzato rischia da tre mesi a un anno di carcere e una multa tra 2mila e 5mila euro. La pena è raddoppiata nel caso di reiterazione del reato. Il decreto prevede, inoltre, che solo il personale di Al-Azhar e del ministero degli Affari Religiosi possa indossare abiti religiosi. Anche in questo caso pene dure per chi viola la legge: da un mese a un anno di carcere più una multa. Tailandia: arrestato leader anti-golpista, cresce intolleranza dell’esercito verso i dissidenti di Luca Lampugnani www.ibtimes.com A qualche settimana dal colpo di Stato, il pugno duro dell’Esercito thailandese nei confronti dei dissidenti non accenna ad allentarsi. Stando a quanto scrive Reuters durante la giornata di giovedì uno dei leader della protesta anti-golpista, Sombat Boonngamanong, già attivo sul fronte delle "camicie rosse" - sostenitori del tandem Shinawatra, è stato catturato e arrestato. "I soldati e la polizia sono stati informati dell’indirizzo IP utilizzato da Sombat, così è stato possibile risalire ad una casa di Chonburi (ad est di Bangkok, ndr) dove è stato trovato. Al momento è in stato di fermo, trattenuto nella base militare della città", ha detto all’agenzia di stampa Pisit Pao-in, generale dell’Esercito a capo di una unità investigativa che fa capo all’Information and Communication Technology Ministry. Boonngamanong, solo l’ultimo di una lunga schiera di attivisti arrestati dalle Forze Armate in seguito alla presa del potere e all’introduzione della legge marziale, ha contribuito ad organizzare nei giorni scorsi quelle manifestazioni flash mob che vedevano la partecipazione massima di un centinaio di persone, divenute particolarmente famose per il gesto di protesta usato dai thailandesi che richiama a quello utilizzato dai rivoltosi dei "blocchi" nella saga Hunger Games. Manifestazioni, queste, in piena violazione delle disposizioni militari che hanno bandito ogni raggruppamento o raduno politico che veda coinvolti più di cinque individui, misura repressiva in vigore dal 20 maggio insieme ad una censura dei media senza precedenti - tra coloro che sono stati convocati dall’Esercito o detenuti ci sono anche alcuni giornalisti, al coprifuoco (sollevato nelle zone più turistiche, rimasto attivo da mezzanotte alle quattro del mattino in altre aree) e all’impossibilità con ogni mezzo, anche quello più pacifico, di dimostrare la propria contrarietà al colpo di Stato. Intanto, mentre sembra che alcuni degli arrestati siano stati rilasciati con l’obbligo di firmare un documento dove è scritto nero su bianco che rinunceranno all’attività anti-golpista, tra cui l’ex primo ministro dimissionario Yingluck Shinawatra costretta al passo indietro dopo un’accusa per abuso di potere, le associazioni per i diritti umani condannano apertamente l’Esercito che, nella delicata situazione thailandese - risultato di mesi e mesi di tumulti politici e sociali particolarmente sentiti nella capitale, Bangkok, si rifiuta di tenere dei registri pubblici dove rendere note l’identità e il numero delle persone detenute. E ancora, alla fine di ogni giorno le Forze Armate trasmettono in diretta televisiva i nomi di coloro che devono presentarsi ai soldati, persone che vengono convocate e spesso, conseguentemente, arrestate. Tra i detenuti si troverebbero sia i sostenitori dell’ex premier (e quindi del fratello Thaksin, ex primo ministro in esilio dal 2008 in seguito ad un’accusa per abuso di potere), sia membri e fedeli del Partito Democratico, rappresentazione politica della medio alta borghesia di Bangkok. Tuttavia, è da sottolineare come quest’ultimi, almeno una fetta di loro, abbiano sorriso al Golpe, conviti che possa essere l’occasione per liberarsi definitivamente dell’influenza Shinawatra sulla Tailandia. Al contrario, le già citate "camicie rosse" si sono scagliate senza remore sul colpo di Stato, organizzando e facendosi leader della protesta. Per questo motivo, infatti, gli arrestati sono in larga parte fedelissimi del Pheu Thai, partito dell’ex primo ministro. In questo clima, riporta il New York Times, non sono pochi i dissidenti al Golpe che fuggono o che stanno fuggendo verso la vicina Cambogia, intenzionati a continuare da li le loro campagne di protesta.