Giustizia: abuso cautelare, il carcere preventivo ci costa 1,3 milioni di euro al giorno di Claudia Osmetti Libero, 6 giugno 2014 Un milione e 300mila euro al giorno. Ecco quanto costa, complessivamente, la carcerazione preventiva allo Stato. A dirlo è l’Associazione Italiana Giovani Avvocati (Aiga), che denuncia: oggi un detenuto su cinque è rinchiuso in cella senza neanche aver subito una sentenza di primo grado. Un problema, quello delle "manette facili", che incide notevolmente anche sulle casse pubbliche. Al 30 aprile scorso, secondo i dati del ministero della Giustizia, su 59.683 detenuti, ben 10.389 persone (cioè il 17.40% dell’intera popolazione carceraria italiana) risultavano in attesa di giudizio. "Presunti innocenti" dice la Costituzione, "reali carcerati" risponde il sistema giustizia. E i calcoli sono presto fatti: basta moltiplicare il prezzo giornaliero che ciascun detenuto costa allo Stato (nel 2013 la cifra era 124,96 euro) per il numero dei carcerati in regime di custodia cautelare e il gioco è fatto. Un milione e 300mila euro, appunto. Non certo bruscolini. Anzi. Certo, i giovani avvocati del Belpaese rilevano anche che quest’anno il numero dei detenuti in attesa di un giudizio è calato rispetto ai 12.439 del gennaio 2013, mese in cui è stata emanata la sentenza Torreggiani che ha condannato l’Italia a risarcire i detenuti per le condizioni disumane e degradanti che erano costretti a subire nelle patrie galere. Tant’è, il numero dei detenuti che non hanno ancora sentito una pronuncia del giudice rimane alto e poco rassicurante. Senza contare che queste cifre lievitano se allarghiamo lo sguardo anche agli altri gradi di giudizio e non ci fermiamo al primo. A fare il conto è stato, questa volta, il Centro Studi di Ristretti Orizzonti: il totale dei detenuti che aspettano dietro le sbarre una sentenza definitiva è pari a 21.324 persone, di cui 5.589 ancora alle prese con la Corte d’Appello mentre 3.877 attendono una pronuncia della Cassazione. Una situazione a dir poco imbarazzante. Anche perché, stando alle statistiche, circa la metà dei detenuti in custodia cautelare, una volta pronunciata sentenza, viene giudicata innocente. Tante scuse e arrivederci. Ma come funziona la custodia cautelare in carcere? L’articolo 275 del codice di procedura penale prevede che sia applicata solamente quando le altre misure si rendono inadeguate al caso di specie: insomma, è una sorta di extrema ratio. Sulla carta, almeno. Si può applicare solo in tre casi, specifica il codice: pericolo di fuga, di reiterazione del reato e di turbamento delle indagini. In realtà la custodia cautelare può durare fino a 6 anni e, nella pratica, viene oramai percepita come una sorta di anticipazione della pena. In barba a qualsiasi principio costituzionalmente garantito in tema di presunzione d’innocenza. C’è da dire che a gennaio la Camera ha approvato una riforma per ridurre l’uso (cioè l’abuso) che in questi anni se ne è fatto proprio del carcere preventivo. Ora il testo deve passare al Senato, completo di un emendamento che obbliga a una relazione governativa da presentare, ogni anno, davanti al Parlamento: statistiche dettagliate, tipologie di reato per cui è stato varato il ricorso alla misura, andamento dei procedimenti. Giustizia: intervista a Maisto "Pene illegittime, urge decreto. I tribunali non ce la fanno" di Eleonora Martini Il Manifesto, 6 giugno 2014 Franco Maisto, Presidente del Tribunale di Sorveglianza dell’Emilia Romagna. "Il governo intervenga sui condannati con la legge Fini-Giovanardi, dopo la sentenza delle Sezioni unite della Cassazione" "Serve un decreto legge, i tribunali da soli non ce la fanno a eliminare l’ingiustizia di pene illegittime comminate sulla base di norme dichiarate incostituzionali, come quelle contenute nella Fini-Giovanardi e nell’ex Cirielli". Ora che Strasburgo ha promosso a pieni voti i provvedimenti governativi di contrasto al sovraffollamento carcerario, Francesco Maisto, presidente del Tribunale di sorveglianza dell’Emilia Romagna, lancia l’allarme sull’altro versante dell’emergenza giudiziaria: l’intasamento delle aule di tribunale. L’avvertimento riguarda gli effetti negativi della sentenza della Cassazione con la quale, il 29 maggio scorso, le Sezioni unite hanno autorizzato il ricalcolo al ribasso delle pene inflitte ai piccoli spacciatori, anche se recidivi. "Nessun corporativismo", assicura il magistrato. D’altra parte "c’è già il precedente del decreto Martinazzoli, nel 1985, con Pertini presidente". "Un intervento governativo è necessario, altrimenti - aggiunge Maisto - si può dire che siamo all’emergenza dichiarata ma non praticata". Presidente, dopo l’intervento della Corte costituzionale, la Cassazione ha dato il via libera ad un ridimensionamento delle pene per i condannati con la Fini-Giovanardi. Però l’incidente di esecuzione deve essere richiesto dai singoli detenuti direttamente al giudice dell’esecuzione. Con quali tempi si potrà procedere al ripristino della legalità giuridica? La stessa Corte di Cassazione indica qual è la strada per ricalcolare la pena: bisogna fissare l’udienza - e ci vogliono dieci giorni - poi si deve riunire la camera di consiglio e le parti vengono chiamate a comparire… È un meccanismo del tutto legittimo ma farraginoso che ricade sui giudici dell’esecuzione, cioè sulle Corti d’Appello se a curare l’esecuzione della sentenza è la procura generale, o su giudici monocratici o collegiali se la sentenza è eseguita dalla procura della Repubblica. Si è posto anche il problema della rideterminazione della pena quando le sentenze sono ancora in Cassazione. Insomma, si è affermato certamente un principio di grande civiltà, quello che applica il lex mitior, il trattamento più favorevole al condannato, anche di fronte a sentenze passate in giudicato. Ma il rischio di non riuscire a rimuovere in tempo le pene illegittime c’è. D’altronde quando la Consulta ha dichiarato l’incostituzionale della Fini-Giovanardi ha parlato di "manifesta irragionevolezza e arbitrio del legislatore": parole pesanti. E ora si riperpetua paradossalmente, in materia di stupefacenti, l’incertezza della ragione giuridica. Quindi la soluzione sarebbe un intervento del legislatore? In prima battuta potrebbe essere un intervento governativo, trattandosi di una situazione che si verifica nel corso della dichiarata emergenza penitenziaria - che non è stata revocata - e di un problema che investe migliaia di condannati in esecuzione di pena. La soluzione potrebbe essere il decreto legge che spiega come rideterminare la pena, oppure addirittura una sorta di condono solo per i casi di persone detenute in violazione dell’articolo 73 comma 5 della legge sulle droghe. L’antenato di un provvedimento di questo tipo è il decreto legge 144 del 22 aprile 1985 convertito nella legge 297 il 21 giugno 1985. L’allora Guardasigilli Martinazzoli risolse così il problema di un forte aumento di tossicodipendenti in carcere perché non era previsto alcun trattamento alternativo e terapeutico. I tossicodipendenti che erano già in carcere avrebbero comunque dovuto attendere almeno tre mesi di osservazione della personalità per accedere alle misure alternative. Allora Martinazzoli creò un binario più veloce e moltissimi tossicodipendenti furono scarcerati o non andarono in carcere ottenendo direttamente l’affidamento ai servizi. Non si farebbe prima con un’amnistia mirata e un indulto? Non è la misura più congeniale al sistema ma certamente potrebbe essere necessario ricorrervi se ci fosse ancora bisogno, dopo aver preso tutte le misure necessarie a ridurre l’eccesso sanzionatorio degli anni scorsi. Nel caso, occorre però anche preparare un programma per il reinserimento delle persone scarcerate, come fece nell’ultimo indulto del 2006 l’allora sottosegretario Luigi Manconi. E infatti la recidiva degli indultati fu molto bassa. Invece ora di forme di inserimento e accompagnamento non se ne parla proprio. Ho l’impressione che nelle casse dello Stato non ci siano i soldi per fare queste cose. Lei chiede l’intervento del governo. Ma non sarà un atteggiamento un tantino corporativo? Perché non chiedete maggiori risorse per i tribunali? Perché c’è anche il problema del lungo tempo necessario per mettere a frutto le eventuali risorse stanziate. Per aumentare gli organici occorre un decreto ministeriale e un bando di concorso che il Consiglio superiore della magistratura potrebbe emettere non prima di ottobre o novembre, dopo le elezioni interne di luglio. Ma se le pene sono illegittime, le scarcerazioni devono avvenire subito. D’altronde, nei miei uffici mancano il 38% del personale di cancelleria e due magistrati. In queste condizioni, dopo che il secondo decreto Cancellieri ha previsto per la prima volta il reclamo giurisdizionale davanti al giudice di sorveglianza, come richiesto dalla corte di Strasburgo come rimedio preventivo, ho dovuto indicare i casi a cui dare priorità, i detenuti, mettendo da parte purtroppo i liberi sospesi, le riabilitazioni e l’estinzione delle pene. Anche se devo ringraziare il ministro Orlando che negli ultimi dieci giorni mi ha mandato 6 agenti di polizia penitenziaria. Il problema è che io li avevo chiesti due anni fa. E due ministri fa. Giustizia: Dipartimento per Minori; più collocamenti in Comunità e meno carcere Tm News, 6 giugno 2014 Tra il 2008 e il 2012 aumentano i minori in carico agli Uffici di servizio sociale per i minorenni (Ussm), mentre per quanto riguarda i minori che costituiscono l’utenza dei Servizi minorili residenziali diminuiscono gli ingressi nei Centri di prima accoglienza, aumentano i minori collocati in comunità (in termini di ingressi ma soprattutto di presenza giornaliera) e calano gli ingressi negli Istituti penali per i minorenni. È la "fotografia" della giustizia minorile italiana che emerge dal "Secondo Rapporto sulla devianza minorile in Italia", curato dall’Ufficio Studi, ricerche e attività internazionali e del Servizio Statistica del Dipartimento per la Giustizia Minorile del Ministero della Giustizia e presentato oggi a Roma in collaborazione con Unicef Italia. Il Secondo Rapporto sulla Giustizia Minorile, a cinque anni di distanza dal primo, prende in esame gli anni dal 2008 al 2012 e presenta il risultato delle rilevazioni statistiche curate dal Dipartimento per la Giustizia Minorile relative ai minori che costituiscono l`utenza dei Servizi della Giustizia Minorile. L’analisi dei dati evidenzia che la maggior parte dei minori autori di reato è in carico agli Uffici di servizio sociale per i minorenni nell’ambito di misure all’esterno. Nel periodo preso in esame i dati degli USSM evidenziano un aumento del numero dei minori in carico (da 17.814 nel 2008 a 20.407 nel 2012, +14,5%), un dato che comprende i minori in carico da periodi precedenti (è proprio questa componente dell’utenza ad aver registrato un incremento degno di nota: da 8.480 nel 2008 a 12.636 nel 2012, confermando che il lavoro sociale diventa sempre più complesso). Per i minori che costituiscono l’utenza dei Servizi minorili residenziali si registra la diminuzione degli ingressi nei Centri di prima accoglienza (da 2.908 nel 2008 a 2.193 nel 2012: -24,5%); l’aumento dei minori collocati in comunità in termini di ingressi (da 1.965 nel 2008 a 2.038 nel 2012: +3,7%), ma soprattutto di presenza giornaliera (dai 677 minori presenti in media in comunità ogni giorno del 2008 ai 958 del 2012: +41,5%); la diminuzione degli ingressi negli Istituti penali per i minorenni (da 1.347 nel 2008 a 1.252 nel 2012: -7%) a cui si è contrapposto l’aumento del numero dei detenuti presenti (dai 468 minori e giovani adulti presenti in media ogni giorno del 2008 ai 508 del 2012: +8,5%). Per quanto riguarda le tipologie di reato, i minori dell’area penale sono coinvolti prevalentemente nei reati contro il patrimonio, stupefacenti, uso e detenzione delle armi. Secondo Caterina Chinnici, capo del Dipartimento per la Giustizia Minorile del Ministero della Giustizia, "dalle analisi qualitative contenute in questo rapporto si rileva come i bisogni manifestati dai ragazzi siano sempre più complessi e richiedano interventi diversificati, specializzati e integrati. Inoltre la professionalizzazione dell`intervento viene considerata un criterio fondamentale e trasversale per tutte le tipologie di servizio laddove gli operatori della Giustizia minorile rappresentano uno strumento forte dell`intervento". "La collaborazione con il Dipartimento per la Giustizia Minorile è molto importante e significativa per l’Unicef - ha detto il presidente dell’Unicef Italia Giacomo Guerrera - garantire i diritti dell’infanzia concretamente vuole dire sia prevenire l’ingresso dei minorenni nel circuito penale minorile mediante il ricorso, ogniqualvolta possibile, a misure alternative alla detenzione, sia accompagnare i bambini e gli adolescenti più vulnerabili che sono entrati nel circuito penale minorile in percorsi che ne incoraggino un ruolo attivo e costruttivo all’interno della società, tenuto conto del ruolo rieducativo della pena. La nostra gratitudine va a tutti gli operatori, che a diverso titolo, lavorano con i minori in conflitto con la legge, per promuovere il pieno sviluppo della loro personalità". Giustizia: "Bernardo Provenzano sarà curato in carcere", respinta la richiesta della difesa www.blogsicilia.it, 6 giugno 2014 Le più recenti relazioni sanitarie sulle condizioni di Bernardo Provenzano, detenuto nel carcere di Parma con più condanne all’ergastolo, sono state "debitamente valutate" dal Tribunale di Sorveglianza di Bologna che ha respinto la richiesta di uscire di prigione. Lo sottolinea la Cassazione nelle motivazioni depositate oggi e relative all’udienza dello scorso quattro aprile al termine della quale ha confermato il "no" al differimento della pena. Ad avviso dei supremi giudici, con sentenza 23657 della Prima sezione penale, in maniera corretta la magistratura di sorveglianza "ha ritenuto che il complesso quadro clinico del detenuto risulta da ultimo stazionario e stabilizzato, e che pertanto non sussistono le condizioni previste per il richiesto differimento obbligatorio o facoltativo dell’esecuzione della pena". Sottolinea inoltre la Suprema Corte che, lo scorso 27 agosto, nel rigettare la richiesta di Provenzano il Tribunale "con riguardo alle vicende sanitarie successive a quelle già esaminate con la precedente ordinanza del tre maggio 2013 di rigetto di analoghe istanze, ha osservato che, sulla scorta delle relazioni sanitarie pervenute, le condizioni di salute del detenuto risultano adeguatamente monitorate e le terapie necessarie sono somministrate anche in ambiente carcerario, con ricorso all’occorrenza a ricoveri ospedalieri". Senza successo, dunque, la difesa di Provenzano ha sostenuto che non è stato tenuto in adeguata considerazione "il pericolo di vita a cui è esposto" continuando a rimanere "in ambiente carcerario", e che illogicamente il Tribunale "ipotizza la simulazione del proprio stato di soggetto incapace". Lettere: "no" ai Rems... ovvero "no" ai nuovi manicomi di Psichiatria Democratica Ristretti Orizzonti, 6 giugno 2014 La Camera dei Deputati ha definitivamente approvata la legge che, ci auguriamo, metterà, finalmente, la parola fine agli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (Opg) nel nostro Paese: drastica riduzione dei posti letto, adozione di misure alternative alle strutture asilari, mai più ergastoli bianchi. Ora si apre una nuova fase, assai delicata perché occorrerà governare il processo di dismissione dei sei Opg per chiudere - così come ripetiamo da troppo tempo - presto e bene questi luoghi di afflizione. Per raggiungere questi obiettivi l’Associazione Psichiatria Democratica (Pd), fondata da Franco Basaglia, che si è da sempre battuta per la chiusura degli Opg, continuerà a impegnarsi, senza risparmio perché da parte delle Regioni, attraverso le articolazioni funzionali delle Asl (Salute Mentale, Dipendenze, Anziani ed Handicap) si provveda, con tutta urgente e con grande scrupolo e attenzione a: 1) Redigere programmi personalizzati per ciascun utente garantendo, così, una risposta adeguata ai bisogni dei singoli; 2) Le ingenti risorse economiche stanziate dalle Regioni per costruire nuove strutture, assolutamente sovradimensionate, e quelle stanziate per il personale individuato per la gestione delle Rems, siano investite nei Dipartimenti territoriali rilanciando e sostanziando, nei fatti, le pratiche territoriali - sempre più penalizzate e strangolate dalla crisi - così come richiedono con forza gli utenti, i loro familiari e tutte le figure professionali impegnate; 3) I progetti terapeutico - riabilitativi, individuali, dovranno riportare in dettaglio le risorse ad essi destinate e i tempi di attuazione del progetto stesso, insomma i soldi "seguano" i pazienti e il loro progetto di vita, e non servano a finanziare surrettiziamente nuove strutture; 4) Psichiatria Democratica, inoltre, mette sin da ora, le proprie competenze a disposizione del coordinamento per il superamento degli OPG, che si dovrà attivare entro presso il Ministero della Salute. 5) Pd si adopererà, infine, affinché si metta mano, al più presto, alla revisione degli articoli del codice penale relativamente alla cosiddetta pericolosità sociale. Toscana: Rossi (Presidente Giunta); l’Opg Montelupo Fiorentino sarà chiuso entro 2015 Dire, 6 giugno 2014 "Rispetteremo l’impegno di chiudere la pagina dolorosa dell’istituzione manicomiale-criminale per realizzare un modello che abbia al centro il riconoscimento e il rispetto della dignità personale e la tutela del diritto della salute delle persone internate. È una sfida che vogliamo al più presto vincere". Lo dichiara il presidente della giunta regionale, Enrico Rossi, in un messaggio divulgato in apertura dei lavori del convegno sul superamento dell’ospedale psichiatrico giudiziario (Opg) di Montelupo Fiorentino, in corso nella sala Pegaso di palazzo Strozzi Sacrati. "Confermiamo l’impegno della Regione Toscana nell’attuazione del programma per il superamento dell’Opg da completare nel 2015 con gli interventi necessari per l’attuazione di percorsi terapeutici-riabilitativi di pazienti internati con percorsi assistenziali individuali. Il programma si svolge in continuità con le azioni avviate dal 2012 che ad oggi hanno consentito di dimettere 56 pazienti toscani, mediante percorsi terapeutici assistenziali presentati dalle aziende Usl di riferimento e finanziati con fondi regionali". Attualmente dei 100 pazienti internati solo 36 sono residenti in Toscana, 39 provengono dalle altre Regioni di bacino (18 dalla Liguria, 17 dalla Sardegna e 4 dall’Umbria) 13 da altre Regioni italiane, 12 da altri paesi e senza fissa dimora. "Il potenziamento dei servizi territoriali, la formazione e l’aggiornamento degli operatori, l’adeguamento della dotazione del personale sanitario, i percorsi di dimissione dei pazienti residenti e la presa in carico dei pazienti senza fissa dimora, l’adeguamento delle strutture destinate ad accogliere le persone ad oggi internate- aggiunge il presidente della giunta regionale- sono le tappe del percorso di superamento dell’Opg messo in atto dalla Toscana in attuazione della legge 9 del 2012". Del messaggio ne ha dato lettura Franco Corleone, garante dei diritti dei detenuti della Toscana che ha ulteriormente chiosato: "Non ragioneremo se chiudere gli Opg, ma come chiuderli, tenendo conto di un tempo limitato, magari con dei percorsi di sperimentazione anche attraverso la capacità di provare e di riprovare senza la pretesa di avere la soluzione magica- ha affermato-. Abbiamo rischiato molto con l’ultimo decreto di rinvio, perché il club delle Regioni aveva proposto di far slittare la chiusura al 2017. Il rischio sarebbe stato di dare il messaggio che si era scherzato, ma soprattutto c’era l’idea da parte delle Regioni che sostenevano di poter arrivare al traguardo tutte insieme. Io penso, invece, che una visione adeguata sia quella di andare a velocità diverse. Anzitutto, perché c’è una differenza fra le Regioni che hanno gli Opg e coloro che non li hanno. Fra coloro che devono chiudere un istituto- conclude Corleone- e coloro che devono individuare solo un percorso riabilitativo nuovo". Uno dei prossimi appuntamenti potrebbe essere proprio un convegno-sopralluogo nella struttura di Montelupo. Direttrice Opg Montelupo: speriamo sia ultima proroga "Speriamo che sia l’ultima proroga". Lo ha detto Antonella Tuoni, direttrice dell’Opg di Montelupo fiorentino, in merito al decreto che proroga al marzo 2015 il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari. Tuoni è intervenuta oggi a Firenze a un convegno sulla chiusura dell’istituto di Montelupo Fiorentino, organizzato dal garante regionale dei detenuti Franco Corleone. La direttrice ha quindi auspicato che "nel 2015 si possa finalmente chiudere l’Opg di Montelupo". Toscana: il Garante Corleone, ogni Regione si faccia carico dei propri internati in Opg Adnkronos, 6 giugno 2014 Ogni Regione si faccia carico dei propri internati. L’invito è emerso questa mattina nel corso del convegno "La chiusura dell’Opg di Montelupo Fiorentino". Solo 36 dei 100 pazienti internati all’ospedale psichiatrico di Montelupo Fiorentino sono residenti in Toscana, 39 provengono da altre regioni di bacino (Liguria, Sardegna e Umbria), 13 da altre regioni e 12 da altri paesi e senza fissa dimora. Il Garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive, Franco Corleone, coordinatore dell’incontro che si è tenuto a palazzo Sacrati Strozzi, ha parlato di sperimentazione nella ricerca di possibili percorsi terapeutici e di inserimento per gli internati che usciranno dall’Opg, attraverso misure alternative come case famiglia, strutture protette e controllate e sul territorio a salvaguardia del loro diritto alla salute. Stefano Cecconi, coordinatore della campagna "Stop Opg" ha parlato delle Rems (residenze per l’esecuzione della misura di sicurezza sanitaria), la cui mancata realizzazione è alla base del rinvio della chiusura degli Opg e della necessità di stabilire durata e consistenza del mandato custodiale. Corleone si è soffermato poi sul futuro di Villa Ambrogiana, fatta caposaldo del paesaggio dell’esclusione ma che adesso è da restituire alla collettività e agli utilizzi civili e culturali. Il Garante regionale ha ricordato che il Parlamento ha approvato la proroga di un anno del termine per la chiusura dei sei ospedali psichiatrici giudiziari e che adesso che è stata sventata la pericolosa richiesta della conferenza delle Regioni che chiedeva una proroga fino al 2017, la sfida della Toscana è quella di essere la prima in Italia a chiudere l’ospedale psichiatrico di Montelupo Fiorentino. Al convegno sono intervenuti anche Carmelo Cantone, provveditore dell’amministrazione penitenziaria e Antonella Tuoni, direttrice dell’Opg. La direttrice Tuoni ha voluto sottolineare che dal 2012 nella struttura di Montelupo è stata fatta una scelta di civiltà, abolendo la contenzione, i detenuti cioè non vengono più legati ai letti. Il presidente del Consiglio regionale Alberto Monaci ha inviato un messaggio di apprezzamento per un’inziativa che rispecchia la vocazione della Toscana, all’avanguardia sul tema dei diritti e della civiltà. Il presidente Enrico Rossi ha scritto, confermando l’impegno della Regione per il superamento dell’Opg, da completare nel 2015 con gli interventi necessari per l’attuazione dei percorsi terapeutici riabilitativi per gli internati. Lazio: Fns-Cisl; i detenuti presenti nei 14 istituti della Regione continuano a diminuire Ansa, 6 giugno 2014 Secondo il dato ufficiale continuano a diminuire i detenuti nelle carceri del Lazio, alla data odierna, si rappresenta che i reclusi presenti nei 14 istituti della Regione Lazio risultano essere 6.487 (1.649 in più rispetto ai 4.838 posti disponibili). La Fns Cisl Lazio, nel prendere atto dei numeri sopra citati, auspica che detta diminuzione di detenuti produca una migliore condizione detentiva ma allo stesso tempo e, non meno importante, quella lavorativa del personale di Polizia Penitenziaria tale da permettere di esercitare al meglio il fine istituzionale previsto dal legislatore. Roma: Sappe; suicida agente di polizia penitenziaria, sesto caso dall’inizio dell’anno Ansa, 6 giugno 2014 Sembra davvero non avere fine il mal di vivere che caratterizza gli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria, uno dei cinque Corpi di Polizia dello Stato italiano. Il nuovo suicidio di un poliziotto, presso la sua abitazione nella serata di ieri a Roma, fa salire a sei il numero degli appartenenti alla Polizia Penitenziaria che si sono tolti la vita dall’inizio dell’anno. "È una tragedia senza fine. Siamo sgomenti, sconvolti e impietriti per questa nuova immane tragedia, anche perché avviene a brevissima distanza di tempo dal suicidio di altri appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria, in servizio a Vibo Valentia, a Padova, Siena, Volterra e Novara. Massimo C., 40 anni, in servizio presso l’Ufficio Ispettivo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria di Roma, ieri sera, nella propria abitazione, si è tolto la vita rivolgendo verso di sé la pistola avvolta in un asciugamano. Lascia moglie e un figlio ed ancora non si conoscono le cause dell’estremo gesto. A loro, ai familiari, agli amici e colleghi va il nostro pensiero e la nostra vicinanza", comunica un commosso ed affranto Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe. Capece sottolinea che "negli ultimi 3 anni si sono suicidati più di 30 poliziotti e dal 2000 ad oggi sono stati complessivamente più di 100, ai quali sono da aggiungere anche i suicidi di un direttore di istituto (Armida Miserere, nel 2003 a Sulmona) e di un dirigente generale (Paolino Quattrone, nel 2010 a Cosenza). Lo ripetiamo da tempo: bisogna intervenire con soluzioni concrete, con forme di aiuto e sostegno per quei colleghi che sono in difficoltà. E, anche se nel caso specifico non si tratta di un poliziotto che lavorava in carcere, bisogna comprendere e accertare quanto hanno eventualmente inciso l’attività lavorativa e le difficili condizioni lavorative nel tragico gesto estremo posto in essere. Ma il Dap non fa nulla di concreto per favorire il benessere dei nostri poliziotti: neppure fornisce i dati ufficiali sul numero degli agenti suicidi, che raccogliamo noi attraverso i nostri dirigenti sindacali presenti in tutte le sedi d’Italia!". Cagliari: Sdr; detenuto ancora in rianimazione dopo tentativo suicidio a Buoncammino Ristretti Orizzonti, 6 giugno 2014 "Il tempestivo intervento del medico Mohamed Malak, allertato dagli Agenti della Polizia Penitenziaria, è stato determinante per salvare la vita di un giovane detenuto che ieri notte ha tentato il suicidio nel carcere cagliaritano di Buoncammino. Il ragazzo, E.M., 30 anni, cagliaritano, attualmente in coma farmacologico, resterà in osservazione per le prossime 36/48 ore nell’Ospedale SS. Trinità dove viene monitorato costantemente. Un nuovo drammatico episodio, registratosi a Cagliari, che testimonia la fragilità della condizione psicologica di molti ristretti, spesso incapaci di sopportare anche un dissapore". "Nonostante la buona volontà di quanti operano all’interno della Casa Circondariale, la realtà socio-culturale dei cittadini privati della libertà risulta - sottolinea Caligaris - sempre più caratterizzata da un profondo malessere. Il disagio, spesso dissimulato, esplode in circostanze imprevedibili rendendo difficile la prevenzione. Ecco perché sta diventando determinante il ricorso alle pene alternative e la promozione di iniziative sociali". "Le scarse opportunità di lavoro e di risocializzazione all’esterno - conclude la presidente di Sdr - devono indurre le Istituzioni a una maggiore attenzione nei riguardi della condizione carceraria e impegnano il Ministero a rafforzare le figure di supporto psicologico e culturale". Firenze: il Provveditore alle carceri Cantone; verso fase miglioramento per Sollicciano Ansa, 6 giugno 2014 "Il suicidio dell’altro giorno a Sollicciano è stato il primo dall’inizio dell’anno in Toscana. Lo scorso anno abbiamo avuto un solo caso ed è significativa la flessione rispetto ai 6-7 suicidi del 2012. Sono situazioni in cui bisogna fare attività di sentinella ma Sollicciano , che è l’istituto più grande e problematico della Regione, sta attraversando una fase di cambiamento e miglioramento che confidiamo di registrare nei prossimi mesi". Lo ha detto il provveditore dell’amministrazione penitenziaria toscana Carmelo Cantone, a margine di un convegno a Firenze sulla chiusura degli Opg. "La diminuzione del sovraffollamento - ha aggiunto - è ormai strutturale. È lenta ma progressiva, grazie ad alcune modifiche normative. Ci aspettiamo ulteriori novità grazie alla riforma della custodia cautelare. In Toscana siamo passati da 4150 detenuti di 12 mesi fa, a 3650 presenze con un continuo ma lento calare. A Sollicciano questo lo si avverte ancora di più dove si è passati da 1050 presenze a 830, migliorando i livelli di vivibilità di questo istituto". Corleone: Sollicciano è ancora sovraffollato "A Sollicciano ancora il doppio dei detenuti", così il garante Corleone nel giorno della promozione dell’Italia da parte Ue sul sovraffollamento. Ancora tensione nel carcere di Sollicciano a Firenze, dove martedì scorso un detenuto magrebino si è tolto la vita e dove ieri un’agente della Polizia Penitenziaria è stata colpita ripetutamente da una detenuta con calci e pugni, fatti questi avvenuti quasi in contemporanea rispetto ad una accesa protesta dei detenuti della 13/a sezione, la stessa alla quale apparteneva il suicida. Le condizioni in cui versano i detenuti nelle carceri italiane sono già ampiamente note all’Unione Europea la cui Corte dei diritti umani ci aveva condannato un anno fa proprio a causa della mancata gestione dell’emergenza del sovraffollamento. L’Italia però sta andando nella giusta direzione. Lo dice il primo esame del comitato dei ministri del Consiglio d’Europa che passa a pieni voti il nostro paese. Nella decisione adottata oggi il comitato dei ministri riconosce i "significativi risultati" già ottenuti e rinvia al giugno 2015 un’ulteriore valutazione sull’attuazione delle misure decise dal governo per affrontare il problema del sovraffollamento. Una tendenza al miglioramento che è di carattere nazionale, ma almeno in Toscana con notevoli contraddizioni nella gestione dell’edilizia delle case circondariali, definito un autentico "buco nero" nel territorio. "In Italia i detenuti, ieri, erano 58.000, quindi c’è stato un abbattimento consistente rispetto al dato degli ultimi anni. Ma anche qua il problema non è solo numerico, di metri quadri, ma è un problema di cosa debba essere il carcere, come deve essere utilizzato, per quali soggetti e per quali finalità. Quindi, è un problema politico-culturale enorme che è stato messo da parte dall’emergenza della mancanza di carta igienica e del fatto che in una stanza per un detenuto ce ne fossero 3". "In Italia i detenuti, ieri, erano 58.000 quindi c’è stato un abbattimento consistente rispetto al dato degli ultimi anni-aggiunge. Ma anche qua il problema non è solo numerico, di metri quadri ma è riguarda cosa debba essere il carcere, come deve essere utilizzato, per quali soggetti e per quali finalità. Quindi, è un problema politico-culturale enorme che è stato messo da parte dall’emergenza della mancanza di carta igienica e del fatto che in una stanza per un detenuto ce ne fossero 3". Far diventare Sollicciano come Volterra "Oggi è entrata in servizio la nuova direttrice del carcere di Sollicciano, la dottoressa Giampiccolo che proviene da Volterra. Penso che questo darà un grande impulso alla vita di Sollicciano che ha molte complessità. Se il numero di detenuti continuerà a diminuire e se riuscissimo a valorizzare il "Giardino degli incontri", che è una vera e propria opera d’arte sottoutilizzata, potremmo farlo diventare un luogo ponte tra il carcere e la città". Lo ha detto il garante toscano dei detenuti Franco Corleone a margine di un convegno a Firenze sulla chiusura degli Opg. "Potremmo far diventare Sollicciano come Volterra - ha aggiunto - il carcere del teatro, della vita, luogo di incontro, di dibattiti e perché no di cene". Melfi (Pz): protesta dei detenuti contro l’allargamento di 100 posti della sezione detentiva Ansa, 6 giugno 2014 I detenuti del carcere di Melfi (Potenza) hanno protestato di nuovo stamani colpendo con le stoviglie le sbarre delle celle, per protestare - ha spiegato il Sindacato autonomo di polizia penitenziaria - "contro l’allargamento di 100 posti dell’attuale sezione detentiva, che passerebbe da 200 a più di 300 posti letto senza alcun intervento strutturale". La protesta è avvenuta per la prima volta ieri sera: per circa un’ora le stoviglie sono state sbattute contro le sbarre delle celle. Il segretario generale del Sappe, Donato Capace, ha ricordato la protesta di oggi degli agenti della polizia penitenziaria, "contro un’organizzazione del lavoro assai precaria e insoddisfacente". Capece ha detto che "l’amministrazione penitenziaria non può restare insensibile e inerme di fronte a questo diffuso e trasversale disagio". In una nota, l’Ugl Polizia penitenziaria si è detta "preoccupata" per il significato della protesta nel carcere di Melfi. L’organizzazione sindacale ha detto di aver "percepito un’aria di pericolo per l’implosione, che sarebbe accaduta, viste le condizioni di vivibilità dei ristretti, nonché del personale che vi opera". L’Ugl polizia penitenziaria ha definito "assurda, perché non vi sono gli spazi idonei previsti", l’intenzione dell’amministrazione penitenziaria di "collocare altri cento detenuti di una certa pericolosità sociale" nel carcere melfitano. Perugia: i detenuti aumentano, gli agenti non bastano, polizia penitenziaria in agitazione www.umbria24.it, 6 giugno 2014 Denuncia del sindacato Osapp: "Mancano 70 poliziotti in base alla pianta organica, costretti a rivedere anche le ferie". Troppi detenuti, che addirittura aumentano invece di calare, come sarebbe dovuto accadere. E, quindi, si fa più sentire la carenza di personale a Capanne. La denuncia è del segretario generale dell’Osapp (Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria) Leo Beneduci, che proclama lo stato d agitazione non escludendo forme eclatanti di protesta davanti al carcere. In una nota viene sottolineato come la cui forza presente attuale ammonta a 215 agenti a fronte della pianta organica di un anno fa che prevedeva 286 unità tra i vari ruoli. In questa situazione si è visto "il Dap assegnare ulteriori unità agli istituti di Spoleto e Terni, per una prevedibile apertura di nuovi reparti detentivi" e niente a Perugia, dove "il numero dei detenuti che aumenta arrivando ai 450 odierni". "Tutto ciò - spiega Beneduci - sta creando malcontento tra il personale di polizia penitenziaria, anche in considerazione che, tale carenza di personale, andrà ad inficiare negativamente sul piano ferie estivo e sulla sicurezza sia del personale stesso che della struttura, in considerazione che, vari posti di servizio, ad oggi, non possono essere coperti. Questa situazione che, ormai, è denunciata da mesi, sembra non interessare né al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, tantomeno al Provveditore regionale dell’Umbria". "Per questi gravissimi problemi dell’istituto perugino - conclude Beneduci - e nell’attesa di conoscere i provvedimenti da parte dell’Amministrazione penitenziaria, proclamiamo lo stato di agitazione del personale di polizia penitenziaria e ci riserviamo ulteriori forme di protesta anche ad oltranza presso l’istituto di Perugia". Ragusa: dopo i casi di scabbia tra i detenuti protesta per la mancanza di acqua corrente www.corrierediragusa.it, 6 giugno 2014 Detenuti protestano con i fornelli al carcere di Ragusa: una ispettrice e un carcerato sono finiti al pronto soccorso. Intanto gli agenti di Polizia penitenziaria attraverso i loro rappresentanti sindacali denunciano l’insufficienza degli organici Non c’è pace nel carcere di Ragusa. Dopo i casi di scabbia verificatisi la scorsa settimana è scoppiata una violenta protesta all’interno della casa circondariale. Un’ispettrice della polizia penitenziaria ed un detenuto sono stati portati al Pronto soccorso dell’Ospedale Civile per essere medicati. L’ispettrice ha avuto una prognosi di dieci giorni ed il detenuto dopo essere stato curato è stato dimesso. Per entrambi è stata riscontrata una grave intossicazione per l’inalazione di fumo. I fatti si sono verificati nella serata di martedì quando i detenuti hanno riscontrato mancanza di acqua nei rubinetti. Nonostante le rassicurazioni della direzione che annunciava l’arrivo di lì a poco delle autobotti tutti i detenuti hanno inscenato una protesta prima sbattendo le loro gavette contro le grate delle celle e poi accendendo i loro fornellini a gas da campeggio utilizzati per i pasti caldi lanciandoli nei corridoi utilizzando le feritoie utilizzate per il passaggio dei pasti. La situazione è diventata molto delicata e gli agenti in servizio non sono riusciti a tamponare la clamorosa protesta per cui in via Di Vittorio sono arrivati i rinforzi che con fatica hanno riportato la situazione alla normalità. Se i detenuti lamentano condizioni di sovraffollamento ed una condizione di vivibilità precaria all’interno della struttura carceraria gli agenti di Polizia penitenziaria attraverso i loro rappresentanti sindacali denunciano l’insufficienza degli organici e la continua tensione. Mancano infatti almeno trenta unità di personale e gli agenti sono costretti a turni pesanti con tutte le conseguenze del caso. Due casi di scabbia Due casi di scabbia sono stati accertati nel carcere di Ragusa. Interessati due detenuti stranieri che sono stati isolati dopo che i medici hanno accertato la natura del forte prurito lamentato dai due soggetti. Per il sindacato autonomo della Polizia Penitenziaria, Sappe, il caso è sintomatico di una situazione difficile all’interno del carcere ragusano. Negli ultimi mesi si sono verificati infatti alcuni tentativi di suicidio e di tensione all’interno della struttura. I detenuti sono 160 e gli agenti 66, undici dei quali distaccati da altri istituti di pena. Un numero ritenuto insufficiente anche perché alcuni devono essere adibiti al servizio di traduzione dei detenuti in quanto l’organico di questa branca è anche esso insufficiente. L’amministrazione penitenziaria ha già dato in appalto i lavori di ristrutturazione per un importo di due milioni e mezzo di euro. I lavori dovranno essere conclusi entro un anno e mezzo ma nel frattempo bisognerà tamponare una situazione logistica ed organizzativa che presenta delle criticità. Altri casi di scabbia, circa una cinquantina, si erano manifestati nelle scorse settimane nel centro di prima accoglienza del porto di Pozzallo per quanto riguarda gli immigrati giunti con gli ultimi sbarchi. La situazione sanitaria è definita sotto controllo dai responsabili. Sassari: caso Erittu; detenuto morto in carcere, da ieri la parola ai legali della difesa La Nuova Sardegna, 6 giugno 2014 Nuove discussioni nel processo per la morte sospetta del detenuto Marco Erittu, trovato senza vita nella sua cella il 18 novembre del 2007. Ieri hanno la preso la parola gli avvocati Luca Sciaccaluga (che difende Nicolino Pinna, l’uomo che avrebbe aiutato Bigella a commettere il delitto), Giulio Fais (che assiste l’agente di polizia penitenziaria Gianfranco Faedda accusato di favoreggiamento) e i legali Gabriele Satta e Gerolamo Pala (difensori di Giuseppe Soggiu, anche lui imputato di favoreggiamento). La difesa Pinna. L’avvocato Sciaccaluga ha tentato di smontare il castello accusatorio costruito dal pm sulla base delle dichiarazioni del reo confesso Bigella ricordando come "contrariamente a Bigella che stava già scontando una condanna a 30 anni per l’omicidio della gioielliera di Porto Torres e che quindi eventualmente non avrebbe avuto da perdere con una nuova condanna, Pinna a breve sarebbe invece uscito dal carcere per tornare dalla sua famiglia". Secondo Sciaccaluga la posizione di Erittu descritta da Bigella "ossia sdraiato con la testa rivolta verso la finestra, quindi dandole spalle all’ingresso della cella, non è compatibile con il terrore, da sempre manifestato dalla vittima, di essere ucciso". Il pentito racconta poi di aver soffocato Erittu con un sacchetto "ma le lesioni vitali riscontrate dal perito sono compatibili solo con la striscia di coperta e quindi con il suicidio". La difesa Faedda. Faedda e il collega Soggiu "persone stimate e benvolute da tutti" - hanno sottolineato i difensori - secondo l’accusa avrebbero manomesso la cella e inquinato le prove. "È stata stravolta una frase in dialetto logudorese - ha detto Fais - su come fu ritrovato il corpo di Erittu, intercettata durante una conversazione di Sanna, e su questa errata interpretazione è stata costruita l’ossatura del processo". La difesa Soggiu. "Bigella è un uomo avvezzo alla menzogna, alla calunnia, alla mistificazione " ha esordito Gerolamo Pala definendo "assurda e inverosimile " la ricostruzione dell’omicidio fornita da Bigella. Tra le altre cose: "Che senso aveva che Soggiu facesse sparire dalla cella il taglierino, ossia l’unica prova che avrebbe fatto propendere per un suicidio?". L’avvocato Gabriele Satta si è invece concentrato sulle intercettazioni. Soggiu - riferendosi a Erittu - dice sempre "quello che si è ammazzato": "Perché mai lo sfiora il dubbio che le cose siano andate diversamente". E quando mente dicendo di non essersi allontanato dal braccio promiscui quel giorno, lo fa "perché sa di non aver vigilato come avrebbe dovuto e ha il terrore di perdere il posto di lavoro". Ma a un certo punto "vuole liberarsi da quel peso, vuole dire la verità. Sa che si sta indagando per un’ipotesi diversa dal suicidio e ha paura, lui che ha commesso l’unica colpa di essersi allontanato dal braccio promiscui, di rischiare condanne pesanti come gli avevano fatto presente i carabinieri di Nuoro". Per tutti è stata chiesta l’assoluzione con formula ampia. Padova: Giornata di studi "contro l’ergastolo", partecipa anche la moglie di Vallanzasca Ansa, 6 giugno 2014 Anche la moglie di Renato Vallanzasca, Antonella D’Agostino, parteciperà domani a Padova alla Giornata nazionale di studi "Senza ergastoli", promossa da Ristretti Orizzonti, Centro di Documentazione Due Palazzi, dalla Casa di Reclusione di Padova e dall’Università di Padova nel carcere della città veneta. Antonella D’Agostino, moglie del Bel Renè, ex capo della "mala" milanese, condannato a quattro ergastoli e 260 anni di reclusione, è da tempo attiva nel volontariato nelle carceri italiane. "In Italia gli ergastolani condannati in via definitiva al 31 dicembre del 2013 erano 1.583 - spiegano i promotori del convegno -. Circa la metà si trova nei circuiti differenziati, tra regime di Alta Sicurezza e 41 bis. Questo significa che una buona parte di loro è esclusa dalle misure alternative al carcere". "In nome della sicurezza - sottolineano - le emergenze non hanno mai una fine e le continue richieste di inasprimenti delle pene hanno portato all’aumento delle condanne all’ergastolo. Ormai, le condanne considerate esemplari non vengono date solo per reati legati al crimine organizzato, ma anche per reati in famiglia, dove le storie ci insegnano come la funzione deterrente della pena non ha alcuna efficacia. Ma si può ancora sognare una società che si rifiuta di condannare a vita i suoi membri?". Sulmona (Aq): Uil-Pa; reperti archeologici fermano lavori nuovo padiglione del carcere Il Centro, 6 giugno 2014 Sospesi da dieci i giorni i lavori nel supercarcere sulmonese per il nuovo padiglione. È il segretario della Uil provinciale, Mauro Nardella, ad annunciare lo stop agli interventi, cominciati poco tempo fa. All’origine della sospensione dovrebbero esserci dei resti archeologici di una casa romana rinvenuti durante gli scavi per la realizzazione delle fondamenta. "Sono stati sospesi i lavori nel carcere peligno" afferma l’agente e sindacalista "tra le varie ipotesi vi è il rinvenimento di un sito archeologico. Non dovrebbe essere una coincidenza, infatti, l’arresto dei lavori in coincidenza del ritrovamento, durante le fasi di scavo, di quello che sembrerebbe essere un muro perimetrale di una casa". La Uil torna a chiedere un intervento del ministro della Giustizia, Andrea Orlando, sulle carenze della struttura. "Avere un cantiere aperto in un carcere necessita il rafforzamento della sicurezza" aggiunge Nardella "ciò induce la direzione a distogliere agenti da altri servizi". Udine: club dell’Acat in carcere, volontari tra i detenuti per combattere l’alcolismo Messaggero Veneto, 6 giugno 2014 Nelle loro pagine, lette davanti ai familiari, le parole di chi ha provato a parlare della sua lenta risalita e si è sentito respingere, chi per superficialità si è giocato gli arresti domiciliari ed è tornato in carcere e chi ancora, in carcere, ha imparato a leggere e scrivere. C’è stato questo, e altro, ieri durante l’Interclub organizzato alla Casa circondariale di via Spalato, dove operano due club dell’Acat coordinati da Carlo Disnan e Stefano Fontanini. Per una quindicina di detenuti, è una possibilità di uscire dal tunnel della dipendenza. L’incontro di ieri nel cortile del carcere ha visto anche la presenza di tre studentesse del Liceo Percoto e della nuova presidente dell’Acat, Aidi Pasut che ha voluto ringraziare i volontari per l’importante lavoro che stanno facendo e spronarli a continuare. Sentito l’intervento del sindaco Furio Honsell e dell’assessore Antonella Nonino che hanno affrontato il tema dell’inclusione sociale e delle strategie per fermare il meccanismo delle porte girevoli che imprigiona spesso chi entra nel circuito penitenziario costringendolo a rimanervi. Presente il giudice Roberto Venditti, solitamente chiamato a emettere sentenze, non senza una personale sofferenza e chiamato, stavolta, a condividere percorsi di riabilitazione all’interno del carcere. Quindi è toccato al direttore generale dell’Ass4 Medio Friuli Giorgio Ros e al direttore del Distretto Gianna Zamaro affrontare i problemi della sanità penitenziaria, competenza dell’azienda sanitaria dal gennaio scorso. "Il tema dell’interclub di quest’anno - ha osservato il direttore del Dipartimento delle dipendenze Francesco Piani - era un richiamo alla responsabilità personale e quello che si fa all’interno dei club è un percorso di presa di coscienza oltre che un impegno a cambiare stile di vita che dà forza al percorso di riabilitazione". Un aiuto in questo senso dovrebbe venire dal protocollo firmato tra Regione, ministero della Giustizia e tribunale di sorveglianza di Trieste pochi giorni fa per il recupero e il reinserimento dei detenuti con problemi di tossicodipendenza. "L’importante - sottolinea Piani - è che vengano messe a disposizione le risorse economiche necessarie". Terni: il Sottosegretario all’Interno, Gianpiero Bocci, in visita al carcere di Sabbione Ansa, 6 giugno 2014 Visita del sottosegretario all’Interno, Gianpiero Bocci, e del prefetto di Terni, Gianfelice Bellesini, ieri mattina nel carcere di Sabbione. Accolti dal direttore dell’istituto, Chiara Pellegrini, e dal comandante della penitenziaria, Fabio Gallo, dopo aver visitato la struttura, sottosegretario e prefetto hanno incontrato il personale in servizio nell’istituto, sia quello di polizia penitenziaria sia quello amministrativo. Nel corso dell’incontro - riferisce una nota della prefettura - Bocci ha confermato "la massima attenzione delle istituzioni di governo rispetto ai temi del mondo carcerario", esprimendo il proprio apprezzamento per l’attività svolta. È stato quindi evidenziato dal personale il cospicuo numero di distacchi di agenti ed assistenti, oltre alla carenza di organico per quanto riguarda i sovrintendenti e gli ispettori. Ã stata inoltre segnalata la necessità di un maggiore utilizzo delle videoconferenze per limitare gli spostamenti dei detenuti, oltre all’esigenza di un ampliamento del reparto detentivo nell’ospedale Santa Maria di Terni, per garantire maggiori livelli di sicurezza. Al momento - è stato sottolineato - l’istituto di Sabbione non presenta problemi particolari sotto il profilo del sovraffollamento: infatti, a fronte di una capienza ottimale di 526 detenuti, gli ospiti presenti nella struttura sono ad oggi 410. Cosenza: Papa a Cassano Ionio; appello Corbelli (Diritti Civili), "incontri mamma Cocò" Ansa, 6 giugno 2014 "Santità, la mamma del piccolo Cocò desidera con tutto il cuore incontrarla, in occasione della sua visita a Cassano. Esaudisca questo desiderio e porti, quel giorno, insieme a questa giovane e sfortunata ragazza, un fiore sulla tomba del piccolo Cocò". È l’appello che Franco Corbelli, del Movimento Diritti Civili, rivolge a Papa Francesco. Antonia Iannicelli, la mamma del piccolo Cocò, il bambino di 3 anni ucciso e bruciato insieme al nonno e ad alla compagna di quest’ultimo, è scritto in una nota, "ha espresso più volte, in questi mesi, il desiderio di poter incontrare, insieme al marito, Nicola Campolongo (detenuto a Castrovillari) e le loro due bambine, in occasione della sua visita a Cassano, Papa Francesco per abbracciarlo e ringraziarlo per quello che ha detto e fatto domenica 26 gennaio, durante l’Angelus in Piazza San Pietro". Corbelli, che da oltre un anno e mezzo continua ad aiutare la famiglia del piccolo Cocò ricorda che i genitori del bambino ucciso avevano già manifestato e scritto questo loro desiderio in una lettera indirizzata al Santo Padre, che avevano consegnato al leader di Diritti Civili il 28 gennaio. Adesso a 15 giorni dalla visita del Santo Padre, la mamma di Cocò torna a chiedere di poter incontrare Papa Francesco. "Perché questo incontro possa avvenire - afferma Corbelli - occorre naturalmente che ci sia la volontà del Santo Padre e una comunicazione ufficiale del Vaticano perché Antonia Iannicelli, essendo ai domiciliari in una casa famiglia insieme alle sue due bambine, alla sorella Simona e al fratello Giuseppe, deve essere autorizzata in tempo dai giudici di Catanzaro per potersi recare a Cassano e incontrare il Papa e far visita e portare un fiore sulla tomba del suo piccolo angelo. Per questo rivolgo oggi, attraverso la stampa, un accorato appello a Papa Francesco". Roma: "Open the Door" dell’iraniano Shahram Karimi, in anteprima a Rebibbia femminile Agi, 6 giugno 2014 Grande emozione al carcere di Rebibbia femminile per l’anteprima della seconda parte di "Open the Door", il documentario diretto dall’artista iraniano Shahram Karimi. Prodotto da "Senza Frontiere Film Festival", la pellicola è stata girata all’interno dell’istituto penitenziario da Karimi con la collaborazione di Luca Lancise e il coinvolgimento delle detenute, che raccontano le loro emozioni attraverso immagini e testimonianze dirette estratte dalla loro realtà quotidiana. Dopo il primo video realizzato nel 2013 nel carcere maschile di massima sicurezza di Spoleto, quest’anno "Apri la Porta - Open the Door part II" ha permesso a Karimi di proseguire il suo viaggio negli istituti di detenzione, facendolo entrare nel carcere di Rebibbia femminile. Alla proiezione ha assistito un pubblico d’eccezione, composto dalle detenute che hanno lavorato al video con il regista, un piccolo gruppo di loro compagne di reclusione, il direttore dell’istituto Ida Del Grosso, l’educatrice Cristina Dimitri e Fiamma Arditi, organizzatrice del festival. "Non vorrei parlare del mio lavoro perché è il mio lavoro che parla", ha detto prima della proiezione il regista, sottolineando l’arricchimento personale che l’esperienza gli ha consentito di acquisire. Luca Lancise, che ha affiancato Karimi nella regia, ha ricordato che questo cortometraggio oggi può rappresentare "la prima porta che si apre, la prima barriera che si abbatte". Ida Del Grosso si è dichiarata soddisfatta del lavoro realizzato definendolo "un’opera d’arte, ma anche una sfida perché il carcere non limiti mai la speranza". Il video parte da immagini che ritraggono la vita delle detenute nel giardino del carcere, a forte contrasto con le scene successive in cui la reclusione è rappresentata da sole immagini di lunghi corridoi e di sbarre alle finestre e dallo sbattere rumoroso e metallico dei cancelli. Il concetto di libertà mentale e morale esula dalla condizione delle detenute, e accanto alla nostalgia per la famiglia, i figli, la casa emerge il desiderio di raggiungere una vera autonomia e libertà. Il documentario verrà presentato al pubblico alla Casa del Cinema il 5 giugno, la prima delle tre giornate della settima edizione del festival "Senza Frontiere / Without Borders" che proseguirà fino a sabato 7 giugno. L’ideatrice, Fiamma Arditi, parla di "un film festival dedicato agli esseri umani, dove gli esseri umani raccontano le loro storie". Il "Senza Frontiere" quest’anno si fa portavoce di racconti unici tutti al femminile che esaltano la forza, l’energia e la sensibilità delle donne emozionando il cuore dello spettatore. Trento: l’Associazione Apas sarà presente alla IV° Edizione del Trentino Book Festival di Fabio Tognotti (Direttore Apas) Ristretti Orizzonti, 6 giugno 2014 L’Associazione Apas di Trento, quest’anno sarà presente alla IV° edizione del Trentino Book Festival con un proprio stand. L’evento, fra i più apprezzati nel panorama culturale locale, prevede la presenza di autori importanti nel campo culturale e artistico quali ad esempio, Simone Cristicchi, Dario Fo, Gian Enrico Rusconi. Inoltre, ospiterà un approfondimento sul tema "carcere" con la presenza di Rita e Giovanni Cucchi e con la testimonianza di Roberta Bruzzone sul caso Chico Forti. Per l’Apas sarà quindi occasione di incontro e confronto con tutti coloro che desidereranno riflettere sulle tematiche penitenziarie ma anche, un’opportunità per promuovere un’azione di solidarietà nei confronti di una persona detenuta, ora accolta in esecuzione penale esterna, e impegnata nella realizzazione di alcune T-shirt volute per sensibilizzare la comunità sul mondo del carcere. Il Trentino Book Festival si terrà a Caldonazzo (Tn) nei giorni: venerdì 13, sabato 14 e domenica 15 giugno 2014. Per ogni approfondimento sul programma, si prega di consultare il seguente sito internet: www.trentinobookfestival.it. Ragusa: carceri tra emergenza e quotidianità… ad Augusta spazio anche allo spettacolo di Marina Bonifacio www.sicilia24news.it, 6 giugno 2014 Emergenza carceri a Ragusa. Martedì scorso un ispettore e un detenuto hanno dovuto ricorrere alle cure mediche a seguito di una lite scaturita da una protesta dei carcerati. I due uomini, al pronto soccorso dell’ospedale Civile, sono rimasti intossicati dal fumo generato da un incendio. A causare l’incidente dei fornellini a gas da campeggio, utilizzati dai detenuti per prepararsi caffè e pasti caldi. Ricoverata in ospedale, l’ispettrice è in attesa di accertamenti; dimesso invece il detenuto. La casa circondariale di Augusta, in provincia di Siracusa, è stata invece protagonista di uno spettacolo teatrale. Con "Settimo ruba un pò meno", di Dario Fo, i detenuti egli studenti del Liceo Arangio Ruiz di Augusta si sono esibiti nella sala teatro del carcere. Tra gli spettatori, oltre i detenuti e le autorità anche la Banda musicale Osiris. L’iniziativa, giunta al termine di un laboratorio iniziato a novembre e riproposto per il quarto anno consecutivo, rappresenta un momento di integrazione fra carcere e società esterna. Lo spettacolo verrà replicato per altri quattro giorni per pubblico interamente esterno. Libri: "Il mare quadrato", sul tema dei bambini che vivono in carcere con le madri di Anna Fusaro Il Centro, 6 giugno 2014 Scritto da una coppia di teramani, affronta in modo intelligente e sensibile il tema dei bambini che vivono in carcere con le madri detenute. "Il mare quadrato" è un piccolo grande libro, scritto per i bimbi ma rivolto anche ai grandi, perché affronta il tema poco frequentato dei bambini che vivono in carcere con le madri detenute. Detenuti loro stessi, fino a tre anni, e poi avviati, in assenza di familiari che se ne prendano cura, verso istituti o case/famiglia. "Il mare quadrato" è opera di una coppia di scrittori, coppia anche nella vita, Igor De Amicis e Paola Luciani. Lui, romano di nascita ma cresciuto a Montorio al Vomano, è un commissario di Polizia penitenziaria, vice comandante della Casa circondariale di Castrogno a Teramo. Lei, pescarese, è insegnante di sostegno nelle scuole primarie. Vivono a Teramo e sono prossimi alle nozze. Entrambi avevano già pubblicato, lui storie noir e thriller, lei un saggio sulla condizione delle maestre nell’800. Poi hanno deciso di incontrarsi letterariamente su un terreno comune, frutto delle rispettive esperienze professionali. Pubblicato da Coccole Books, illustrato da Silvia Crocicchi, "Il mare quadrato" è stato presentato al Book Children’s Fair di Bologna, dove ha riscosso molto interesse, ottenendo la distribuzione nazionale con Feltrinelli. Nelle cento pagine di questo avvincente romanzo per bambini si racconta l’avventura di Giacomo, un piccolo di 8 anni in fuga per due giorni dall’istituto di suore dove vive, spinto dalla coraggiosa compagna di classe Carla, che organizza per l’amichetto il viaggio alla ricerca della mamma lontana. Unico indizio quel mare quadrato che il bimbo conserva nei suoi ricordi, visto dalla finestra della cella del carcere. "Giacomo non esiste, ma è un personaggio verosimile" spiega De Amicis "Ci sono tanti Giacomo in Italia. Attualmente 60 bambini vivono in carcere con le madri. Inoltre ogni anno in Italia 110mila minori entrano in carcere per i colloqui con un genitore ". "Giacomo soffre di mutismo selettivo, uno dei disturbi che questi bambini sviluppano" aggiunge Paola Luciani. "Vivono un rapporto molto stretto con le madri, un attaccamento quasi morboso. Non hanno contatti con coetanei, non possono esplorare altri luoghi". "Il libro affronta il tema della genitorialità in carcere" prosegue Luciani "Oggi di genitorialità particolari ne abbiamo tante, ma questa è pressoché sconosciuta". "Mi confronto quotidianamente con questa situazione", spiega De Amicis. "A Chieti e Teramo ci sono le sezioni detentive femminili più grandi di Abruzzo e Molise, ma solo Teramo ha la ludoteca, così le detenute con figli vengono inviate da noi. Mediamente un paio di bimbi ci sono sempre. A Milano è stato aperto un Icam, un Istituto di custodia attenuata per madri, che ho avuto modo di visitare. È una struttura separata dal carcere, che a un bambino può sembrare una casa con asilo. Anche a Teramo stiamo cercando di creare una sezione a misura di bambino, che non sembri un carcere". Libri: "Fuori dalla Gabbia. Il paradigma di una giustizia capace di uccidere" di C. Scardella Ristretti Orizzonti, 6 giugno 2014 "Fuori dalla Gabbia. Il paradigma di una giustizia capace di uccidere" è il titolo del libro scritto da Cristiano Scardella che ripercorre, con dovizia di particolari e documenti inediti, la tragica vicenda del fratello Aldo, impiccatosi in cella, 28 anni fa, dopo sei mesi di isolamento. La pubblicazione di Bonfirraro Editore sarà presentata a Cagliari lunedì 9 giugno alle ore 17 nella Sala Biblioteca dell’Ordine degli Avvocati, al quarto piano dell’ala nuova del Palazzo di Giustizia, in piazza Repubblica. Promossa dall’associazione "Socialismo Diritti Riforme" e dalla sezione cagliaritana dell’Associazione Nazionale Forense, l’iniziativa sarà un’occasione per riflettere sul tema dei diritti dei cittadini privati della libertà. Il "Caso Scardella", che ha profondamente segnato un’intera famiglia, ha messo in luce le distorsioni di un’epoca quando era arduo esercitare il diritto alla difesa per un uso massiccio, spesso ingiustificato, della "carcerazione preventiva". All’appuntamento interverranno con l’autore il giornalista Giorgio Pisano, Francesco Mulas, segretario dirigente della sezione di Cagliari dell’Anf, Maria Grazia Caligaris, presidente di Sdr, e l’artista Tatjana Goex. L’evento è accreditato dall’Ordine degli Avvocati ai fini della formazione permanente. Stati Uniti: Rapporto Intelligence; 170 detenuti liberati Guantanámo tornati al terrorismo Ansa, 6 giugno 2014 Dei circa 600 detenuti che hanno lasciato Guantánamo dal 2002 al mese di luglio dell’anno scorso, 170 sono tornati o sono sospettati di essere tornati al terrorismo. Lo afferma la Cnn, citando un rapporto dell’intelligence Usa. Per 100 prigionieri è stato "confermato" il ritorno ad attività terroristiche (17 di questi sono morti, mentre 27 sono in carcere) e per gli altri 70 si parla di "sospetti". Mentre il Wall Street Journal afferma che, al mese di gennaio 2014, circa il 29% dei detenuti liberati sono tornati a combattere. Tra questi - riporta il quotidiano - ci sono tre militanti marocchini, rilasciati un decennio fa dal carcere cubano, e che ora sono a capo di uno dei più violenti gruppi di estremisti islamici nella guerra civile siriana. I dati emergono mentre montano le polemiche sulla controversa liberazione del sergente americano Bowe Bergdahl in cambio di cinque prigionieri talebani di alto profilo dal carcere di Guantánamo. Stati Uniti: il ritorno di Bergdahl è diventato l’incubo peggiore di Obama di Mattia Ferraresi Il Foglio, 6 giugno 2014 Da testimonial della fine della guerra a sospetto traditore. La sciagurata strategia della Casa Bianca. "Was he worth it?", valeva la pena? Il titolo sulla copertina del Time schiocca come una scudisciata per via di quel pronome personale: non è un "ne valeva la pena?" impersonale, l’oggetto della domanda retorica è "he", lui, il sergente Bowe Bergdahl, 28enne dell’Idaho strappato dalla prigionia dopo cinque anni dietro il pagamento di una lauta contropartita, il rilascio di cinque talebani detenuti a Guantánamo. Lui ne valeva la pena? Il soldato umbratile e disilluso sospettato di diserzione, addirittura di intelligenza con il nemico, valeva cinque terroristi rimessi in circolazione e un implicito invito al rapimento di americani, attività improvvisamente diventata redditizia? Il sacro codice che impone di non lasciare nessun compagno d’armi sul campo "prescinde dalle circostanze", come ha detto Barack Obama, ma per vendere all’opinione pubblica e all’arena politica uno scambio del genere occorre un eroe conclamato e senza ombre, altrimenti diventa difficile prescindere dalle circostanze. Dopo l’annuncio ad alto coefficiente emotivo di Obama assieme ai genitori del ragazzo, la fase eroica di Bergdahl è durata lo spazio di alcuni giorni, poi le ombre hanno preso ad allargarsi a dismisura, prima ancora che iniziassero a volare le accuse di diserzione da parte dei commilitoni. Si capisce che la faccenda è tragicamente sfuggita di mano agli uomini dell’Amministrazione quando illustri ex membri del governo, dunque coinvolti nelle discussioni sul caso, si smarcano dalla decisione della Casa Bianca. Leon Panetta, ex direttore della Cia e segretario della Difesa, mette "in discussione il fatto che ci siano le condizioni per cui questi terroristi non torneranno a combattere". Più prudente ma non meno chiara Hillary Clinton, la quale ha fatto sapere attraverso i suoi molti canali che quand’era segretario di stato aveva molti dubbi sullo scambio di prigionieri. Molti tweet di giubilo di deputati e senatori per il ritorno dell’eroe sono stati surrettiziamente cancellati - gli interessati probabilmente credevano di poter lavare via le tracce con il tasto "delete", ingenuità condivisa anche da Bob Bergdahl, il padre del soldato - ed è stata cancellata anche la festa per il ritorno del sergente nella sua cittadina, Hailey. Il sindaco ha detto che il municipio è stato inondato di messaggi e telefonate minatorie. La gestione di un evento apparentemente lieto e latore di sentimenti di unità nazionale si è trasformata per la Casa Bianca in una delle peggiori prestazioni in fatto di comunicazione politica nella storia recente. La liberazione di Bergdahl era una calcolata manovra per promuovere la fine della guerra in Afghanistan. Tecnicamente i soldati americani saranno ancora lì quando gli elettori avranno scelto il successore di Obama, ma il presidente vuole intestarsi i meriti storici, e cosa c’è di più potente e didascalico dell’immagine dell’unico prigioniero di guerra che torna a casa? Con lui torna a casa simbolicamente tutta l’America. Allo stesso tempo Obama dà una sforbiciata alla popolazione di Guantánamo. Forse gli strateghi di Obama credevano che gli americani non si sarebbero accorti delle falle nella storia di Bergdahl, delle accuse a suo carico, della rabbia che il soldato covava verso il suo paese ("mi vergogno di essere americano"), dei sei soldati morti nelle missioni per cercarlo, del fatto che non è mai stato considerato né Pow, prigioniero di guerra, né Mia, "missing in action", categorie che non descrivono la fattispecie di un soldato che abbandona la base disarmato e in abiti civili. Da questa leggerezza, o forse presunzione, comunicativa sono discesi tutti gli errori nella gestione pubblica del caso. L’Amministrazione credeva che l’America avrebbe provato empatia verso il padre barbuto e il suo "bismillah al rahman al rahim" pronunciato nel Giardino delle rose; credeva che avrebbe ritenuto l’Emiro del Qatar un garante affidabile. Ora gli agenti dell’intelligence temono che i cinque spariscano durante l’anno di custodia in Qatar, altro che "tenere d’occhio", come dice il presidente. La Casa Bianca pensava forse che il paese avrebbe ascoltato docile e commosso la storia del soldato che ha servito "con onore", come ha detto Susan Rice, che deve avere una cattiva stella che la guida a tenere pubblicamente linee politiche intenibili. Ieri, all’apice della sua fase difensiva, Obama ha detto che "non chiede scusa" per quello che ha fatto: "Abbiamo visto una possibilità e l’abbiamo sfruttata". Fa parte del disastro comunicativo anche la querelle legislativa e costituzionale: perché Obama non ha avvertito il Congresso trenta giorni prima dello scambio, come prevede la legge? La Casa Bianca dice che nulla di illegale è stato commesso, perché le "circostanze eccezionali" - e fra queste la salute precaria del soldato - imponevano un’azione tempestiva e segreta del commander in chief. Ma non era l’odiato George W. Bush che estendeva i poteri presidenziali in nome delle circostanze eccezionali? La giustificazione della Casa Bianca ha finito per dare munizioni ideologiche anche a chi non aveva obiezioni sulla circostanza specifica. "Se il presidente fa una cosa, significa che non è illegale": il motto di Nixon potrebbe campeggiare in esergo a un compendio della filosofia giuridica di Obama. Il video (talebano) dello scambio Infine, il video. Lo scambio dei prigionieri è stato filmato dai talebani e diffuso online, ennesimo aspetto di questa vicenda che la Casa Bianca non è stata in grado di controllare. Lo scambio è rapidissimo - i talebani avrebbero voluto un cerimoniale più arzigogolato - ma tutti i dettagli della scena, dalla bandiera bianca ai cecchini che controllano la valle, tendono a rappresentare i talebani come interlocutori legittimi che controllano il territorio e trattano con il nemico. L’immagine degli americani che perquisiscono il loro uomo prima di caricarlo sull’elicottero trasmette l’ansia del momento. E poi si vede Bergdahl, magro, rasato da poco, certamente non in forma ma in grado di parlare e camminare. Di solito gli eroi che ritornano in patria stringono mani e fanno discorsi ispirati alla nazione, non vengono sigillati in un ospedale tedesco per una settimana senza comunicazioni con il mondo esterno. Stati Uniti: "Assassini nati?", scoperto il gene che dà ragione a Lombroso di Giuseppe Pollicelli Libero, 6 giugno 2014 Se non proprio assassini nati, come quelli del film di Oliver Stone, sembra che si possa essere quantomeno delinquenti nati. Secondo uno studio appena pubblicato dalla rivista statunitense Psychiatric Genetics, infatti, esisterebbe una caratteristica genetica correlabile a un più elevato rischio di adottare comportamenti criminali tra coloro che hanno vissuto un’infanzia difficile. Effettuata sulla base di campioni prelevati da detenuti americani, la ricerca è la prima di una serie che si prefigge di esaminare i potenziali contributi sia genetici sia ambientali alla propensione al delitto. L’indagine si è incentrata essenzialmente sul ruolo di un enzima denominato Monoamminoossidasi A (abbreviato con la sigla Maoa), che da tempo viene associato all’aggressività, alle abitudini violente e ad altre condotte devianti, e i risultati pare abbiano confermato che il genotipo Maoa costituisca un "fattore predittivo efficace" (per adottare la terminologia degli specialisti) della tendenza al crimine. "I nostri dati dimostrano che le interazioni gene-ambiente sono importanti nel determinare le differenti inclinazioni al crimine", ha spiegato il professor Todd Armstrong della Sam Houston State University, l’ateneo presso cui si è svolta la ricerca, "e in futuro potranno aiutarci a sviluppare migliori programmi di intervento per i bimbi a rischio". Ricapitolando, le cose starebbero nel modo seguente: a parità di infanzia disastrata, c’è chi, per motivi genetici, matura un’indole criminale più facilmente di altri. Non sappiamo se, al riguardo, si potrà mai arrivare a una risposta certa, ma una cosa è sicura: sulle origini delle attitudini delinquenziali gli uomini si interrogano praticamente da sempre. Perché in fondo investigare su cosa renda un uomo un criminale o anche solo una persona crudele, dato che tali si può essere anche senza infrangere le leggi - significa investigare su quella misteriosa entità a cui diamo il nome di male. Viene il dubbio che i ricercatori texani siano degli inconfessati (o forse solo inconsapevoli) estimatori del massimo assertore del concetto di "criminale per nascita", lo scienziato italiano Cesare Lombroso, controverso esponente del positivismo ottocentesco il quale riteneva addirittura di poter risalire alle inclinazioni criminali di un individuo semplicemente esaminandone i tratti anatomici. Gli studiosi della Sam Houston State University hanno dalla loro oltre un secolo di progressi scientifici, ma le conclusioni a cui per ora sono giunti possono legittimamente essere tacciate di avere un che di lombrosiano. Appare preferibile, a ben vedere, la spiegazione che della presenza del male nel mondo danno tante tradizioni religiose, le quali rinviano al principio del libero arbitrio, ossia alla facoltà di scegliere tra il bene e il male che Dio ha concesso agli esseri umani. Di sicuro si tratta di una teoria molto più responsabilizzante di quella dei ricercatori texani, per i quali la cattiveria non sarebbe che la conseguenza di un disegno genetico. A prenderla per buona, tutti i malfattori potrebbero d’ora in poi giustificarsi parafrasando la famosa frase di Jessica Rabbit: "Non sono cattivo, è che mi disegnano così…". Svizzera: detenuto evaso domenica scorsa si è ripresentato in carcere spontaneamente Ansa, 6 giugno 2014 Il detenuto francese di 38 anni in fuga da domenica sera si è consegnato spontaneamente ai secondini del carcere di semi-libertà di Ginevra. L’uomo si è presentato giovedì, un po’ prima di mezzanotte. Lo ha annunciato il Dipartimento della sicurezza in una nota stampa diffusa venerdì. Il carcerato era stato condannato per l’assassinio di una prostituta. All’inizio di quest’anno aveva chiesto, invano, la libertà condizionale. Aveva comunicato attraverso una lettera scritta dal suo avvocato che sarebbe tornato in prigione dopo qualche giorno di libertà. Prometteva inoltre di comportarsi bene. Nei suoi confronti era stato spiccato un mandato d’arresto internazionale. Congo: maxievasione 301 detenuti, due vittime e caccia agli evasi per le strade della città Tm News, 6 giugno 2014 Almeno due persone sono rimaste uccise oggi all’alba nel corso della spettacolare evasione di 301 detenuti dalla prigione centrale di Bukavu, metropoli nell’Est della Repubblica democratica del Congo. "35 evasi sono stati catturati", ha dichiarato un portavoce della polizia. Le vittime sono un civile e un militare, altre 7 persone sono state ferite, di cui tre civili e quattro militari. Tutta la zona della città attorno alla prigione ha subìto le ripercussioni dell’evasione, con centinaia di poliziotti e militari dispiegati alla caccia degli evasi per le strade del quartiere.