Giustizia: morire tutti i giorni non è da paese civile… la battaglia per abolire l’ergastolo di Gaia Bozza www.fanpage.it, 5 giugno 2014 Ci sono 1.600 persone condannate al carcere a vita, circa la metà ergastolani ostativi. Associazioni, politica e detenuti a confronto per immaginare un modo diverso di concepire la giustizia. Perché il "fine pena mai", per molti, significa solo essere già morti. Lettera anche al Papa: "Un pensiero per noi". "Si muore tutti i giorni per poi morire ancora/una lenta agonia senza rimedio/ che rende innocente chi è stato colpevole/ morire tutti i giorni/ esserne consapevole". Questi versi sono stati scritti da Carmelo Musumeci per il brano "Morire tutti i giorni" dei 99 Posse. Ma cosa significa morire tutti i giorni? Solo un ergastolano lo sa, solo le persone alle quali è stato tolto il bene più prezioso toccano questa sensazione: "pena di morte viva", così la chiamano. Carmelo Musumeci è un ergastolano ostativo, "un uomo ombra", come sempre si definisce. Uno dei 1.600 uomini ombra che sono sepolti vivi in Italia. Ma è uno che non si è arreso, non ha ceduto alla morsa infernale del morire o del lasciarsi morire. È un ergastolano ma è fondamentalmente uno scrittore e poeta che si batte in una battaglia difficile: abolire l’ergastolo. Abolire l’ergastolo è una battaglia di civiltà. Perché la pena deve essere rieducativa, lo dice anche la Costituzione. Perché il carcere non può essere tortura, lo ha detto anche la Corte Europea dei Diritti Umani, che ha condannato l’Italia per trattamenti disumani e degradanti concedendo al nostro Paese un anno di tempo per rimediare, e nei prossimi giorni dovrà decidere se l’Italia dovrà pagare tra i 60 e i 100 miliardi di euro di multe. Perché non è solo una questione di spazi, come se i detenuti fossero polli d’allevamento: spesso si ripete che i detenuti vivono in meno di 3 metri quadrati a testa, in condizioni senza dubbio disumane. Ma no, non è solo quello: in molte carceri italiane manca la rieducazione, manca l’assistenza sanitaria, in carcere ci si ammala di più di epatiti e Aids, in carcere ci si suicida, fioccano le denunce per maltrattamenti. Nel carcere di Poggioreale è scattata l’inchiesta sull’esistenza di una presunta "cella zero", cella o celle nelle quali si consumerebbero violenze ai danni dei reclusi. C’è poi la carcerazione preventiva: un detenuto su cinque è in carcere senza un processo, 10.389 detenuti in queste condizioni, il 17 per cento dei 59.693 ristretti. E poi c’è l’aspetto del carcere a vita: i condannati all’ergastolo sono circa 1.600, di cui circa la metà sono ergastolani ostativi, una misura particolarmente restrittiva che si applica ai detenuti condannati per appartenenza alla criminalità organizzata di tipo mafioso: ciò vuol dire, tra le altre cose, che molto probabilmente moriranno dietro le sbarre. E se lo stato pensava di sconfiggere la mafia con queste misure piuttosto che nei suoi rapporti con il potere economico e politico, il tempo ha dato ragione alle mafie, per il momento. Al contrario per molti, il "fine pena mai" equivale soltanto ad essere sepolti vivi: lo spiega bene Musumeci nei suoi libri e nelle sue poesie. Su questo tema ci sarà un importante evento, il 6 Giugno prossimo, a partire dalle 9.30, nella casa di reclusione di Padova: sarà dato spazio alle testimonianze degli uomini ombra, e tra essi anche Carmelo Musumeci, che diversi mesi fa ha lanciato una proposta di legge popolare per l’abolizione del carcere a vita. L’iniziativa ha per titolo "Senza ergastoli. Per una società non vendicativa", e vede coinvolte una serie di realtà: le università, la casa di reclusione di Padova, l’osservatorio Ristretti Orizzonti, personalità del mondo politico e istituzionale ma soprattutto detenuti, famiglie, studenti a confronto. Sarà dato spazio anche alle famiglie degli ergastolani, che vivono un grandissimo lutto: "È una pena che si infligge a tutta la famiglia - spiega Elton Kalica, giornalista della redazione di Ristretti Orizzonti. Queste persone vengono cancellate dalla vita. Non solo la loro vita, ma vengono cancellati dai propri cari, che vivono con l’idea che non li riavranno mai più". Ma una persona cambia nel tempo, si trasforma, ed Elton ci racconta questo aneddoto: "Un ergastolano ostativo mi disse che l’unica cosa bella di tutta la sua vita era che la sua famiglia si era trasferita, rifatta una vita fuori da quel contesto in cui temeva che sarebbero vissuti anche i suoi cari. Questo mi ha colpito molto, perché in quel modo questa persona aveva certificato la sua uscita, il rifiuto di quella mentalità, il suo distacco, pur non avendo scelto di collaborare. E la sua rassegnazione, essendo consapevole che questo distacco non avrebbe potuto influire in alcun modo sul suo futuro". Si tratta comunque di reati molto gravi. A descrivere bene l’aspetto umano è anche Yvonne, una volontaria e attivista: ci mostra una lettera di un ergastolano. "Scrive della speranza che loro non hanno più - racconta Yvonne. Ma anche dell’importanza di chi sta loro vicino nonostante tutto. Per loro siamo delle piccole rondini". E ci mostra il disegno realizzato dall’ergastolano. Carmelo Musumeci ha scritto anche al Papa: "Nel carcere di Padova ci sarà un convegno sull’abolizione dell’ergastolo - si legge nella sua lettera. Lo so non potrai essere presente, ma ti chiediamo un pensiero, una preghiera, un messaggio, un cenno per darci un po’ della tua voce e della tua luce. Francesco, devi sapere che da quando hai abolito la "Pena di Morte Viva" (come chiamiamo noi la pena dell’ergastolo) non c’è un uomo ombra (così si chiamano fra loro gli ergastolani) che non vorrebbe essere prigioniero nel carcere della Città del Vaticano perché qui viviamo nel nulla di nulla, destinati a marcire in una cella per tutta la vita. Francesco, devi sapere che l’ergastolano non vive, pensa di sopravvivere, ma in realtà non fa neppure quello, perché questa crudele pena ci tiene solo in vita, mentre una pena giusta dovrebbe avere un inizio e una fine". A chi crede che l’ergastolo sia il solo modo di ottenere giustizia, risponde Agnese Moro, figlia di Aldo Moro: "Solitamente, si sente parlare di ergastolo quando qualche fatto di cronaca, per la sua stessa natura oppure per una costruzione mediatica, fa inorridire l’opinione pubblica a tal punto, che la condanna è accolta con soddisfazione solo se cala sulla testa del colpevole la spada del carcere a vita. Ci domandiamo allora che cosa è la giustizia: "ottenere giustizia" può essere davvero una questione di anni di galera comminati?" Ecco la bellissima filastrocca scritta da un detenuto del carcere di Padova, sulla speranza-rondine e sulla libertà volata via per sempre: "La mia rondinina che vola e guarisce, facendo domande il mio cuore stupisce/Un giorno volando sul petto posò/ Quel giorno fu festa, v’era speranza, oggi quel dì è andato in vacanza/ Rimane un ricordo, fugace e remoto/ Quando chi spera arde nel fuoco/ Son lenti i giorni e lunga è la notte/ il cuore batte con tocchi e rintocchi/ Cercando che cosa? Ah sì! La speranza/ Quella vigliacca che è andata in vacanza/ Stai pure tranquilla, rondine mia/ Son certo ritorna, è lei che comanda/Senza l’inganno non si vive abbastanza". Giustizia: ministro Orlando; sentenza Fini-Giovanardi interesserà non più 3mila detenuti Public Policy, 5 giugno 2014 "Non è possibile, allo stato, stimare esattamente l’impatto dell’applicazione della sentenza della Cassazione (che ha dichiarato incostituzionale parte della legge Fini-Giovanardi; Ndr). Comunque si sta procedendo ad un’analisi delle posizioni giuridiche dei singoli detenuti: allo stato delle verifiche, la platea potenzialmente interessata dagli effetti della pronuncia potrebbe risultare non superiore alle 3.000 unità". Così il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha risposto, nell’Aula della Camera, a un’interrogazione della Lega su quali saranno gli effetti reali dell’applicazione della sentenza della Corte di cassazione. Nello specifico la Lega chiedeva "il numero di detenuti condannati per reati di spaccio che usciranno dal carcere, e se sia possibile stimare l’impatto che ciò avrà sul mercato dello spaccio di stupefacenti e sulla sicurezza della popolazione". Ad oggi, secondo gli ultimi dati trasmessi dall’amministrazione penitenziaria, i detenuti presenti in carcere per il reato di produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope, sono circa 8.500. Giovanardi (Ncd): Orlando smonta balle antiproibizionisti "La realtà ha ancora una volta ridimensionato gli allarmi demagogici del fronte antiproibizionista che con Franco Corleone aveva previsto un uscita dal carcere di circa 10.000 detenuti dopo la sentenza della Corte Costituzionale sulla Fini-Giovanardi". Lo dice il senatore Carlo Giovanardi (Ncd), che aggiunge: "Come abbiamo sempre detto si trattava di balle spacciate per condizionare l’opinione pubblica, mentre oggi il ministro della Giustizia Andrea Orlando valuta in circa 3000 i detenuti che potrebbero uscire dopo l’interpretazione della Cassazione, ma che, alla fine - conclude Giovanardi - saranno sicuramente meno perchè la scarcerazione può avvenire soltanto su domanda del detenuto e il giudice di sorveglianza deve vagliare se esistono le condizioni per ottenerla". Giustizia: audizione pm Gratteri in Senato "4 carceri specializzate per detenuti al 41-bis" www.reggiotv.it, 5 giugno 2014 Il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Nicola Gratteri, in audizione oggi alla Commissione Diritti umani del Senato, ha messo in evidenza il problema dei "41 bis che oggi sono 750, ma il sistema non ne può gestire più di 500. Limiterei il numero dei 41 bis, ma per quelli che sono in questo regime di detenzione, dovremmo stare più attenti. Dobbiamo pensare a un 41 bis che funzioni veramente, dobbiamo essere seri e severi sull’applicazione su chi è veramente pericoloso". E continua Gratteri, parlando alla Commissione, della mancanza di personale e, contemporaneamente, della necessità di potenziare i controlli anche durante i colloqui. Infatti "nel momento in cui c’è un colloquio bisogna guardare la mimica facciale, i segni che il detenuto fa ai parenti con braccia e mani. Ci vuole un Gom - Gruppo Operativo Mobile, reparto specializzato del Corpo di Polizia Penitenziaria - esperto, non è una cosa semplice. C’è sovrannumero di 20 mila militari nell’esercito. Potremmo istruire ogni mese 20 di loro per Gom. Diminuiamo poi la polizia penitenziaria a via Arenula, ce n’è assai". Uno dei problemi dei colloqui, ha concluso, riguarda anche il caso in cui "la moglie del detenuto è anche avvocato: quel colloquio non si registra. Il legislatore ha il dovere di intervenire su questo vuoto enorme di cui nessuno parla. In Calabria ci sono una decina di casi". Gratteri, sempre durante l’audizione ha espresso il suo punto di vista, la sua idea, per i detenuti sotto il regime 41 bis, affermando che "io sono per i campi di lavoro, non per guardare la tv. Chi è detenuto sotto il regime del 41 bis coltivi la terra se vuole mangiare. In carcere si lavori come terapia rieducativa". Il procuratore ha poi concluso il suo pensiero asserendo che "Il tossicodipendente deve lavorare otto ore al giorno, perché un altro può stare 10 ore davanti la tv? Occorre farli lavorare come rieducazione, non a pagamento. Se abbiamo il coraggio di fare questa modifica, allora ha senso la rieducazione. Ci sono capi mafia di 60 anni - conferma Gratteri - che non hanno mai lavorato in vita loro. Farli lavorare sarebbe terapeutico e ci sarebbe anche un recupero di immagine per il sistema" Lavoro sia terapia, alcuni capimafia non hanno mai lavorato "È ovvio che io non mi fermerei al 41-bis, io sono per i campi di lavoro, non voglio che il detenuto stia in carcere a vedere la televisione per 10 ore al giorno, sono a che i detenuti lavorino, a che coltivino la terra se vogliono mangiare, a che si lavori come terapia". A dirlo è stato Nicola Gratteri, procuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Reggio Calabria, in una audizione davanti la commissione straordinaria per la Tutela e la promozione dei diritti umani sul regime di detenzione relativo all’articolo 41-bis dell’ordinamento penitenziario. "Però dovremmo cambiare la norma, perché dovremmo dire il lavoro del detenuto come strumento rieducativo e come terapia perché se diciamo che il detenuto deve lavorare in carcere lo dobbiamo pagare e non abbiamo i soldi per pagarli - ha aggiunto Gratteri - se noi abbiamo il coraggio di fare questo tipo di modifica allora la detenzione in carcere e il lavoro avrebbe un senso, perché ci sono capimafia che non hanno mai lavorato in vita loro". Costruire 4 carceri specializzate per detenuti al 41 bis "I detenuti al 41 bis sono distribuiti su 12 carceri: questo significa avere 12 direttori che hanno interpretazioni diverse sul 41 bis. Si dovrebbero invece costruire 4 carceri e concentrare lì tutti i detenuti sottoposti a questo regime", potendo in tal modo contare "su 4 direttori specializzati". Così Nicola Gratteri, procuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Reggio Calabria, nella sua audizione al Senato, in commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani, sul regime di detenzione relativo all’articolo 41-bis dell’ordinamento penitenziario. "I 41-bis in Italia sono circa 750, e non possiamo gestirne più di 500 -prosegue il magistrato in prima linea nella lotta contro la ‘ndrangheta- limiterei perciò il numero dei 41 bis ma applichiamolo in modo serio a chi è veramente pericoloso. Occorre essere seri anche nella gestione di questa misura. Ancora nessuno ha spiegato perché nel 1994 è stata chiusa Pianosa e l’Asinara". Inoltre, rimarca Gratteri, "va applicato anche ai detenuti ad alta sicurezza il sistema delle video conferenze. Si otterrebbero incredibili risparmi di costi e di personale". Va poi aumentato anche "il numero di aree riservate" per i colloqui, "ossia strutture idonee a mantenere una logistica che non consenta la comunicazione tra tutti i detenuti presenti nell’istituto. Ai colloqui bisogna stare con gli occhi sgranati, e va assicurata una adeguata rotazione del personale Gom (Gruppo operativo mobile, ndr)". "Faccio un lavoro antidrangheta da 29 anni - sottolinea poi il magistrato nella sua audizione in commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani - e vi posso dire che essere ‘ndranghestista è un modo di essere. Oggi la camorra è sempre più criminalità organizzata comune; la mafia, invece, una filosofia criminale". "Ogni 100 camorristi che si pentono, solo uno della ‘ndrangheta si pente, ma è di Serie B o Serie C. Mai nessun capo si è pentito. Per loro il pentimento non esiste: un capo mafia finisce di esserlo solo quando muore". Per 41 bis riaprire Pianosa e l’Asinara "Attualmente i detenuti in regime di 41 bis sono distribuiti su 12 carceri e questo è già un’anomalia: avere 12 carceri, con 12 direttori e con 12 interpretazioni diverse sul 41 bis non va bene. Dovremo cercare di costruire 4 carceri per concentrare tutti i 41 bis, avere 4 direttori specializzati e studiare una tecnica per il 41 bis". Ne è convinto il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Nicola Gratteri. Parlando in audizione oggi alla Commissione Diritti umani del Senato, Gratteri ha sottolineato che per "far funzionare il 41 bis servono soldi e non ci sono, dovremo cercare di essere seri e fare tagli dove ci sono da fare, finora ci sono stati solo tagli lineari: servono 4 carceri nuove per i 41 bis". Gratteri ha quindi aggiunto: "Perché non si riaprono le carceri di Pianosa e dell’Asinara chiusi nel 1994? Quando si riparlerà di sovraffollamento, voglio vedere che partito politico parlerà della riapertura di queste carceri". Fuga notizie Riina indice malfunzionamento Se c’è stata una fuga di notizie dal carcere dell’Opera di Milano dove è detenuto Totò Riina in regime di 41 bis, "vuol dire che non si è lavorato bene. Nelle carceri entra molta gente". Lo ha affermato il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Nicola Gratteri, durante un’audizione in Commissione Diritti umani al Senato. Gratteri ha fatto riferimento alle minacce di morte ricevute dal pm Palermo Nino Di Matteo e ha invitato "a fare attenzione in futuro anche alla più innocente notizia perché i boss hanno un modo criptico di parlare". 20mila militari in sovrannumero, usiamoli in penitenziari "Siccome c’è un sovrannumero di 20mila militari nell’esercito, basterebbe prenderne mille al mese, fargli un corso accelerato di gom (gruppo operativo mobile; Ndr) o di polizia penitenziaria e portarli in carcere a lavorare. Mentre li prepariamo mettiamo i militari fuori le carceri e la polizia penitenziaria sui muri di cinta entra dentro e fa trattamento. Oppure diminuiamo il personale che c’è nel Dap o diminuiamo la polizia penitenziaria che c’è intorno o dentro il ministero della giustizia di via Arenula perché mi pare che sia assai". A dirlo è stato Nicola Gratteri, procuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Reggio Calabria, in una audizione davanti la commissione straordinaria per la Tutela e la promozione dei diritti umani sul regime di detenzione relativo all’articolo 41-bis dell’ordinamento penitenziario. Giustizia: pm Roberti; custodia cautelare, equilibrio garanzia indagato e tutela collettività Adnkronos, 5 giugno 2014 Nel testo sulla custodia cautelare "è importante e necessario mantenere un punto di equilibrio tra le esigenze di garanzia per l’indagato, rispetto al quale la custodia cautelare deve rimanere una extrema ratio, e la tutela della collettività". Lo ha detto il procuratore nazionale Antimafia Franco Roberti, sentito oggi in audizione dalla commissione Giustizia della Camera. Roberti ha ricordato in proposito che "questo intervento normativo arriva al termine di un percorso che ha già visto tre interventi deflattivi sulle carceri e c’è dunque la necessità di coordinare tra loro queste misure", tenendo presente che "lo scopo di ridurre il numero dei detenuti è già stato raggiunto dai provvedimenti precedenti". Roberti ha anche manifestato dubbi sull’introduzione nel testo del reato di voto di scambio, dal momento nelle modifiche che riguardano l’art. 275 del codice penale sulle misure cautelari il limite, già segnalato dalla corte Costituzionale, è quello rappresentato dai reati associativi e il reato di voto di scambio previsto dall’art. 416 ter "non è un reato associativo", ha spiegato Roberti. Giustizia: 3.422 detenuti italiani all’estero nel 2013, in aumento del 9,3% rispetto al 2012 il Velino, 5 giugno 2014 I detenuti italiani all’estero nel 2013 sono stati 3.422, in aumento del 9,3 per cento rispetto ai 3.103 del 2012. Di questi, 34 sono in attesa di estradizione, 2.696 in attesa di giudizio e 692 condannati. È quanto emerso nel corso della presentazione alla Farnesina dell’Annuario statistico 2014 del ministero degli Affari esteri, alla presenza della curatrice del report, Sabrina Ugolini, dell’ambasciatrice Cristina Ravaglia (direttore generale per gli italiani all’estero e le politiche migratorie), del vice segretario generale della Farnesina, Antonio Bernardini, e di Aldo Amati (capo del servizio stampa e comunicazione istituzionale). L’incremento registrato nel 2013, si legge nel report, "risulta concentrato principalmente in Europa (sia area Ue che extra Ue)". Nel dettaglio, i detenuti italiani nell’Ue sono 2.625 (1.218 in Germania), nei paesi extra Ue 161 (104 in Svizzera), nelle Americhe 490 (87 in Brasile), nella zona Mediterraneo e Medio Oriente 59 (21 negli Emirati Arabi), nell’Africa sub-sahariana 12, in Asia e Oceania 75 (28 in Australia). I casi di sottrazione internazionale di minori italiani sono stati 215 (di cui 71 nuovi), in flessione rispetto ai 286 casi del 2012 e ai 300 del 2011. Giustizia: caso Gugliotta, agenti condannati. Quattro anni ai poliziotti picchiatori di Valerio Renzi Il Manifesto, 5 giugno 2014 Era il 5 maggio del 2010 quando all’esterno dello Stadio Olimpico scoppiarono violenti incidenti al termine della finale di Coppa Italia tra Roma e Inter. All’epoca Stefano Gugliotta aveva 26 anni e, tirato giù dal suo motorino da un gruppo di agenti della celere nelle vicinanze dello stadio in Viale Pinturicchio, fu colpito a ripetizione fino a perdere i sensi. Poi venne arrestato per resistenza e passò una settimana in carcere. Gugliotta era completamente estraneo agli incidenti ed è stato fermato mentre andava ad una festa con un amico, colpevole solo di trovarsi al posto sbagliato nel momento sbagliato. Dopo quattro anni è arrivata la sentenza di primo grado che riconosce come responsabili delle violenze nove agenti della celere che sono stati condannati a quattro anni di reclusione e sono stati sospesi dal servizio per aver preso l’inerme Gugliotta a calci, pugni, manganellate. I giudici della decima sezione del tribunale di Roma sono andati anche oltre le richieste del pm Pierluigi Cipolla. "Non si può mai essere contenti quando vengono condannate delle persone, specie se, come in questo caso, agenti di polizia - ha commentato Cesare Piraino, avvocato di Gugliotta - Se l’impostazione accusatoria era corretta, la pena da infliggere non poteva essere di modesta entità come richiesto dal pm". La verità è venuta fuori grazie alle riprese video fatte da un balcone e condivise in rete dove appariva, inequivocabile, la violenza e l’insensatezza del pestaggio. "È una sentenza pesante e credo giusta - ha commentato col manifesto Stefano Gugliotta - aspettiamo di leggere le motivazioni ma oggi è un bel giorno per me e per i miei familiari dopo quattro anni di battaglia in aula". "È importante che queste persone siano state riconosciute colpevoli per le loro azioni - prosegue Stefano - colpire con quella violenza e ferocia, in maniera casuale e insensata, è inconcepibile, soprattutto per chi porta una divisa e ha abusato del suo potere". Gugliotta è un ragazzo normale trascinato in un incubo senza sapere perché. È consapevole che la battaglia è ancora lunga: "Questo è solo il primo grado di giudizio, ora affronteremo tutti gli altri con più forza. C’è poi un altro procedimento ancora in corso che vede imputati gli agenti che certificarono il mio arresto e le sue modalità". Chiediamo a Stefano se si è sentito solo in questa anni e la risposta è perentoria "no mai, io e la mia famiglia ci siamo sostenuti a vicenda e abbiamo incontrato la solidarietà e la vicinanza di tante persone". Ieri in aula si trovavano i volontari di Acad (Associazione contro gli abusi in divisa), oltre a Lucia Uva e Claudia Budroni, parenti di persone morte durante interventi delle forze dell’ordine. Giuseppe Uva ha perso la vita il 14 giugno 2008 dopo essere stato trattenuto nella caserma dei carabinieri di Varese. Dino Budroni è deceduto il 30 luglio 2011 dopo essere stato colpito da un proiettile sparato da un poliziotto durante un inseguimento. "A me non è andata di certo bene, ma poteva andare peggio", afferma Gugliotta". Per Acad la sentenza di ieri "è importante sotto molti punti di vista; innanzitutto perché raramente si sente odore di giustizia nei processi che vedono sul banco degli imputati gli agenti dei reparti celere che anche in questo processo hanno provato in tutti i modi a demolire la verità, prima attaccando la credibilità di Stefano (raccontando di fantomatici precedenti penali) e successivamente a mischiare le carte con la solita scusa che con il casco e il manganello non ci può essere una identificazione certa". Lettere: canale preferenziale per richieste dei detenuti in carcere per la Fini-Giovanardi di Riccardo Polidoro (Presidente "Il Carcere Possibile Onlus") Ristretti Orizzonti, 5 giugno 2014 Dopo la pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione, il Giudice dell’Esecuzione deve rideterminare la pena. Procure e Tribunali, in base ai criteri già adottati in altri provvedimenti, dovrebbero istituire un canale preferenziale per porre fine alle ingiuste detenzioni. Chi frequenta quotidianamente le aule penali dei Palazzi di Giustizia conosce bene l’assoluta inefficienza del sistema processuale e come venga, spesso, mortificato il ruolo svolto da avvocati e magistrati. Portare a conclusione un processo è operazione difficile, lunga, complessa, si potrebbe dire ad ostacoli. Del resto anche le indagini preliminari vengono svolte tra mille difficoltà, a causa dell’enorme numero dei procedimenti pendenti. Per fare fronte al disservizio Giustizia , la magistratura ha ritenuto d’intervenire, sostituendosi ancora una volta alla politica. Alcuni Procuratori della Repubblica hanno invitato i loro sostituti a dare la precedenza alle indagini su alcuni tipi di reato, tralasciando quelle di minore pericolosità sociale. Alcuni Presidenti di Tribunali hanno emanato circolari che sollecitano la definizione di certi processi, a discapito di altri, meno importanti o comunque destinati a sicura prescrizione. Certo è che qualunque processo, anche il più banale, è importante sia per colui che lo subisce, sia per colui che è persona offesa del reato in discussione. Tale punto di vista è consacrato nel principio di obbligatorietà dell’azione penale, ancora vigente in Italia. Ma siamo in continua e ormai cristallizzata emergenza e la discrezionalità, pur non condivisibile, voluta da coloro che l’azione penale gestiscono, potrebbe trovare delle ragioni nella necessità di garantire almeno alcuni risultati, ritenuti rilevanti rispetto ad altri. Tutto ciò premesso, volendo per un istante condividere il pensiero dei vertici della magistratura, appare evidente che gli stessi, oggi, in applicazione del principio posto alla base dei provvedimenti emanati, dovrebbero dare assoluta precedenza alle richieste avanzate da quei detenuti, che stanno scontando una pena, o parte di essa, dovuta ad una condanna prevista da una legge divenuta incostituzionale, la Fini-Giovanardi. Le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione hanno stabilito che i Giudici dell’Esecuzione dovranno rideterminare le pene e scarcerare coloro che sono detenuti ingiustamente. Piaccia o no tale decisione, vi è urgenza d’intervenire e nulla può essere più importante rispetto al dovere di far cessare una detenzione non più prevista da alcuna norma.. Il ministro della Giustizia ha dichiarato, con una buona dose di ottimismo, che la pronuncia delle Sezioni Unite contribuirà immediatamente a ridurre il numero di detenuti nei nostri istituti, consentendo all’Italia di adeguarsi ai parametri voluti dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Ma se non si creerà un canale preferenziale, come quello già voluto per altre esigenze, il Giudice dell’Esecuzione interverrà quando ormai la pena ingiusta sarà stata già scontata. Molise: Garante regionale dei detenuti, pdl delle Consigliere Fusco Perrella e Lattanzio Il Giornale del Molise, 5 giugno 2014 Riunire le funzioni di garanzia in capo ad un unico soggetto che sia nel contempo responsabile della tutela dei diritti dei cittadini nei confronti delle Istituzioni, custode e promotore dei diritti dei minori, nonché garante del rispetto dei diritti delle persone sottoposte a provvedimenti restrittivi della libertà personale. Questa, in sintesi, la proposta di legge presentata dalle consigliere regionali Angiolina Fusco Perrella e Nunzia Lattanzio. "Lo scopo - evidenziano le consigliere di minoranza a Palazzo Moffa - è quello di definire profilo e compiti del "Garante dei diritti della persona", nuova figura istituzionale che, attraverso gli strumenti della mediazione, della comunicazione, della partecipazione e della protezione, segni un nuovo percorso di intesa tra i cittadini e la pubblica amministrazione, ciò anche al fine di vigilare sulla corretta esplicazione ed attribuzione dei diritti costituzionalmente garantiti delle persone, dei minori e di coloro che sono sottoposti a misure restrittive della libertà personale. Il Garante dei diritti della persona è organo super partes, assume posizione neutrale con carattere d’indipendenza e terzietà. Il progetto di legge, pertanto, interviene con lo scopo di integrare e riproporre quanto già tracciato dal Tutore pubblico dei Minori e dal Difensore Civico regionali, attraverso il rafforzamento delle competenze pur nella consapevolezza di doverne razionalizzare l’organizzazione. E proprio nell’ottica di una richiamata riorganizzazione della spesa pubblica e del potenziamento delle garanzie a tutela del cittadino, soprattutto dei soggetti più deboli - proseguono - prende vita l’idea di riunire le funzioni di garanzia in capo ad un unico soggetto. Del resto la ridefinizione della sfera di competenze del garante e l’unificazione delle stesse in capo ad una unica struttura operativa accelera e semplifica il suo funzionamento. Un disegno di legge che dunque - concludono - garantisce in ambito regionale i diritti delle persone fisiche e giuridiche verso le pubbliche amministrazioni e nei confronti di gestori di servizi pubblici attraverso un’azione non giurisdizionale di promozione, di protezione e di mediazione, tutela dell’infanzia, e dell’adolescenza, attraverso azioni di sensibilizzazione, protezione, orientamento e sostegno, e facilitando il perseguimento dei diritti delle persone private della libertà personale e ristrette in Istituti Penitenziari". Sicilia: stop vitalizio per Cuffaro e 11 ex parlamentari regionali con condanne definitive di Duccio Gennaro www.corrierediragusa.it, 5 giugno 2014 Per l’ex presidente della Regione siciliana Salvatore Cuffaro, condannato per favoreggiamento aggravato di Cosa nostra e attualmente detenuto a Rebibbia, è stata avviata la procedura di sospensione dell’assegno vitalizio. Lo ha annunciato il presidente dell’Assemblea regionale siciliana, Giovanni Ardizzone, parlando dell’ex presidente Totò Cuffaro che ha finora percepito circa 4mila euro al mese come ex deputato regionale. I vitalizi, ha detto Ardizzone, saranno revocati anche ad altri 11 ex parlamentari regionali che hanno subito condanne definitive. "Deve partire dalla Sicilia un movimento di rivolta perchè tanti condannati non solo per mafia ma per reati contro la pubblica amministrazione in parlamento nazionale non perdono l’assegno vitalizio", ha sottolineato Ardizzone, e ha esortato: "La Sicilia si faccia promotrice verso lo Stato italiano di sollevare la questione". Ardizzone ha anche annunciato i nuovi tetti retributivi per i burocrati dell’Assemblea regionale siciliana. Il limite, per i consiglieri parlamentari, sarà quello di 240 mila euro lordi annui. A seguire gli stenografi (200 mila), i segretari (145 mila), i coadiutori (110 mila) e gli assistenti (92 mila euro). Quanto al tetto degli stipendi, l’unica eccezione dovrebbe essere fatta per il segretario generale, la figura di vertice dell’amministrazione, che percepirebbe un’indennità speciale pari al dieci per cento dello stipendio del "semplice" consigliere parlamentare. Quest’intesa comporterà una sensibile riduzione dei compensi dei dipendenti dell’Assemblea, oggi equiparati a quelli del Senato. Firenze: calci a poliziotta e protesta contro suicidi, per applicazione sentenza Torreggiani Ansa, 5 giugno 2014 Calci e pugni ad una agente della Polizia penitenziaria al carcere fiorentino di Sollicciano: è stata una detenuta cercare di chiudersi in bagno e poi a prendere a botte la agente che è stata costretta a ricorrere alle cure dei sanitari. Più o meno contemporaneamente i detenuti della 13/a sezione, dove ieri si era suicidato un detenuto maghrebino di 40 anni, si sono rifiutati di rientrare dal passeggio sostenendo che il suicidio è da attribuire alla mancata attuazione nel carcere fiorentino dei principi della sentenza della corte europea dei diritti dell’uomo dell’8 gennaio 2013, la cosiddetta "Torreggiani". A dare notizia di quanto avvenuto è Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp, l’Organizzazione sindacale autonoma di polizia penitenziaria, secondo il quale "le crescenti tensioni, l’aggressione e la protesta, come il suicidio di ieri, sono il frutto di errori gestionali e di una cattiva organizzazione propri non solo del carcere fiorentino, di cui da tempo il sindacato denuncia le precarie condizioni, ma interne anche ad altre strutture penitenziarie sul territorio, di cui fanno le spese dapprima gli appartenenti alla Polizia Penitenziaria e poi i comuni cittadini, a causa della crescente disfunzione della progressiva perdita di sicurezza delle carceri italiane". "Da oltre un anno mezzo e, purtroppo, proprio prendendo spunto dalla richiamata sentenza "Torreggiani" - conclude Beneduci - nel nostro Paese, mediante provvedimenti tampone e di carattere solo provvisorio, ci si è occupati solo di quello che del carcere traspare all’esterno più che di interventi che rendano le pene realmente rieducative e utili alla Società, né tantomeno la politica si è preoccupata del progressivo impoverimento e dello stato di abbandono organizzativo e istituzionale che affligge la Polizia Penitenziaria". Corleone: il carcere di Sollicciano è pentola a pressione "Il carcere di Sollicciano è complesso e difficile e resta una pentola a pressione. Inoltre siamo alla vigilia del cambio della direzione dell’istituto, che avverrà domani, e che crea sempre tensioni e riassetti". Questo il commento del garante toscano dei detenuti Franco Corleone sulla situazione del carcere fiorentino di Sollicciano dopo che ieri un detenuto magrebino si è suicidato e oggi ne sono seguite proteste all’interno dell’istituto mentre una detenuta ha preso a calci e pugni una poliziotta. "Anche se è diminuito il numero di detenuti - ha aggiunto - a Sollicciano c’è sempre una condizione intollerabile di presenze". Anche per questo, ha sottolineato, è necessario che il neo sindaco di Firenze Dario Nardella nomini al più presto il nuovo garante dei detenuti fiorentini. Secondo Corleone, "più in generale manca il nuovo vertice nazionale del dipartimento penitenziario ed è necessario che il ministro faccia in fretta questa nomina". "È un momento di incertezza - ha concluso - di tutta l’amministrazione penitenziaria e anche per questo come garanti abbiamo chiesto di poter incontrare al più presto il ministro Orlando". Melfi (Pz): protesta dei detenuti contro "aumento" dei posti… senza interventi strutturali Ansa, 5 giugno 2014 Una rumorosa protesta dei detenuti è in atto da alcune ore nel carcere di Melfi. A darne notizia è il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, il primo e più rappresentativo del Corpo, il cui segretario regionale della Basilicata Saverio Brienza sta seguendo davanti al carcere lucano l’evolversi della situazione. Spiega Donato Capece, segretario generale Sappe: "I detenuti stanno battendo sulle inferriate delle celle oggetti di metallo da alcune ore per protestare contro l’allargamento di 100 posti dell’attuale sezione detentiva, che passerebbe da 200 a più di 300 posti letto senza alcun intervento strutturale. Gli agenti di Polizia Penitenziaria saranno in piazza tra poche ore contro una organizzazione del lavoro assai precaria e insoddisfacente, che non tiene conto delle gravi condizioni di lavoro dei Baschi Azzurri del Corpo. Si tratta di una protesta assai rumorosa ma pacifica. In sostanza, in Basilicata in questi giorni stanno protestando poliziotti e detenuti: l’Amministrazione penitenziaria non può restare insensibile e inerme di fronte a questo diffuso e traversale disagio". Capece sottolinea che "se il bilancio di queste proteste non si aggrava ulteriormente è grazie alle donne e agli uomini del Corpo di Polizia Penitenziaria in servizio nelle carceri lucani. Poliziotti, è bene ricordarlo, i cui organici sono carenti di circa 7mila unità e che mantengono l’ordine e la sicurezza negli oltre duecento istituti penitenziari a costo di enormi sacrifici personali, mettendo a rischio la propria incolumità fisica, senza perdere il senso del dovere e dello Stato, lavorando ogni giorno, ogni ora, nel difficile contesto penitenziario con professionalità, senso del dovere, spirito di abnegazione e, soprattutto, umanità". Continua protesta detenuti I detenuti del carcere di Melfi (Potenza) hanno protestato di nuovo stamani colpendo con le stoviglie le sbarre delle celle, per protestare - ha spiegato il Sindacato autonomo di polizia penitenziaria - "contro l’allargamento di 100 posti dell’attuale sezione detentiva, che passerebbe da 200 a più di 300 posti letto senza alcun intervento strutturale". La protesta è avvenuta per la prima volta ieri sera: per circa un’ora le stoviglie sono state sbattute contro le sbarre delle celle. Il segretario generale del Sappe, Donato Capace, ha ricordato la protesta di oggi degli agenti della polizia penitenziaria, "contro un’organizzazione del lavoro assai precaria e insoddisfacente". Capece ha detto che "l’amministrazione penitenziaria non può restare insensibile e inerme di fronte a questo diffuso e trasversale disagio". Ragusa: continua la protesta dei detenuti che incendiano celle, due poliziotti all’ospedale di Salvo Martorana Giornale di Sicilia, 5 giugno 2014 Un ispettore e un recluso hanno dovuto ricorrere alle cure mediche dell’infermeria e del pronto soccorso dell’ospedale Civile. Entrambi sono rimasti intossicati dal fumo generato dall’incendio causato dai fornellini a gas da campeggio utilizzati dai carcerati per prepararsi caffè e pasti caldi. Ancora emergenza all’interno della Casa circondariale di contrada Pendente. Dopo una protesta dei detenuti, infatti, un ispettore ed un detenuto hanno dovuto ricorrere alle cure mediche dell’infermeria e del pronto soccorso dell’ospedale Civile. Entrambi sono rimasti intossicati dal fumo generato dall’incendio causato dai fornellini a gas da campeggio utilizzati dai detenuti per prepararsi caffè e pasti caldi. L’ispettrice, in attesa di altri accertamenti, è stata giudicata guaribile in 10 giorni, il detenuto dopo le cure in ospedale è stato dimesso. I fatti si sono registrati tra le 19,30 e le 23,30 di martedì. La calma è tornata dopo l’arrivo dei rinforzi. Il solo personale in servizio, infatti, ha avuto difficoltà a controllare la protesta improvvisa. Cagliari: detenuto al Buoncammino tenta il suicidio, salvato dagli agenti ma è gravissimo L’Unione Sarda, 5 giugno 2014 Un detenuto con problemi psichici ha tentato il suicidio ieri sera nel carcere cagliaritano di Buoncammino ed è stato salvato dagli agenti della Polizia penitenziaria. L’episodio è avvenuto in serata. Ne dà notizia il coordinatore della Uil penitenziaria di Cagliari, Marco Sanna. L’intervento degli agenti è stato immediato, ma la situazione era gravissima: è arrivato il personale medico del 118 che ha portato il detenuto italiano in ambulanza in uno degli ospedali cagliaritani. L’uomo è ricoverato in gravissime condizioni in rianimazione. "La tempestività e la grande capacità operativa degli agenti in servizio, ha scongiurato un epilogo tragico per il detenuto che soffre di problemi psichiatrici, così come altri, troppi, detenuti di Buoncammino", spiega Marco Sanna. "La Uil ha sollecitato i vertici ministeriali e del dipartimento affinché trovino istituti idonei per i detenuti che soffrono di gravi patologie mentali". Livorno: Marcello Lonzi morì in carcere a 29 anni, chiesta l’archiviazione per tre medici di Federico Lazzotti Il Tirreno, 5 giugno 2014 L’indagine tris sul decesso di Marcello Lonzi è partita da un esposto della madre: è stato picchiato, altro che malore. Il giudice si è riservato. Marcellino Lonzi aveva 29 anni quando venne trovato morto nella sua cella del carcere di Livorno, era l’11 luglio 2003. A distanza di quasi 11 anni, dopo due inchieste già archiviate, mercoledì mattina è andato in scena l’ennesimo capitolo della battaglia della madre del ragazzo, Maria Ciuffi, di convincere la giustizia a prendere in considerazione un’ipotesi diversa da quella del malore per spiegare il decesso del figlio. Davanti al giudice Beatrice Dani è andata in scena l’udienza nella quale il legale della donna, l’avvocato Erminia Donnarumma, ha presentato opposizione alla richiesta di archiviazione presentata dal pubblico ministero Antonio Di Pugno in seguito all’esposto firmato dalla madre della vittima nell’ottobre 2013. Al centro della denuncia compaiono i due medici del carcere che tentarono invano di rianimare Lonzi, Enrico Martellini e Gaspare Orlando, e il medico legale Alessandro Bassi Luciani che ha effettuato l’autopsia sul corpo del detenuto. L’accusa nei confronti dei tre, per i quali è stato ipotizzato il concorso in omicidio colposo, è quello di non avere "svolto bene il loro dovere". Alla querela contro l’anatomopatologo e i medici in servizio all’epoca dei fatti presso l’infermeria del carcere, erano stata allegati ampi stralci della relazione medico legale eseguita dal consulente nominato dalla procura, quando fu riesumata la salma del giovane per effettuare una nuova autopsia, nella quale si evidenziavano "condotte non idonee". Si rileva inoltre, nella denuncia, la presenza nella parte addominale del cadavere di numerose fratture non evidenziate prima, "l’infossamento corticale dell’osso di 2 millimetri in corrispondenza di una ferita lacero contusa all’arcata sopracciliare non compatibile con morte naturale". Un quadro che non ha però convinto il pubblico ministero Antonio Di Bugno a chiedere il rinvio a giudizio nei confronti dei tre indagati. "L’ipotesi del concorso in omicidio colposo - spiega fuori dall’aula l’avvocato Alberto Uccelli, che difende Bassi Luciani - non è assolutamente plausibile". Dopo aver ascoltato tutte le parti, il giudice al termine dell’udienza si è riservato e la decisione è attesa nei prossimi giorni. Se anche questa inchiesta dovesse essere archiviata sarebbe molto probabilmente la fine del caso Lonzi. "Basta vedere queste foto - spiega la madre del ragazzo sfogliando il raccoglitore che porta con sé - per capire che mio figlio non è stato ucciso da un infarto ma è stato picchiato e lasciato morire". Sassari: detenuto ritrovato morto, riprende il processo per il "giallo" di San Sebastiano La Nuova Sardegna, 5 giugno 2014 Oggi riprenderà il processo in corte d’assise per il giallo di San Sebastiano: nel 2007 il detenuto Marco Erittu fu trovato morto nella sua cella e mentre in un primo momento la vicenda fu archiviata come un suicidio, a distanza di anni la Procura ha riaperto le indagini. Lo ha fatto in seguito alle dichiarazioni di Giuseppe Bigella, reo confesso del delitto. Il pentito ha chiamato in correità Pino Vandi quale mandante dell’omicidio, l’agente di polizia penitenziaria Mario Sanna come colui che aprì la cella al commando, e Nicolino Pinna come la persona che tenne ferma la vittima mentre Bigella la soffocava e che in seguito simulò il suicidio stringendo al collo di Erittu la striscia di una coperta. Il pubblico ministero Giovanni Porcheddu, al termine di una lunghissima requisitoria ha chiesto per i tre imputati la pena dell’ergastolo. Ma nel processo sono finite anche altre due persone accusate di favoreggiamento. Si tratta dei due agenti di polizia penitenziaria Gianfranco Faedda e Giuseppe Soggiu. E oggi saranno proprio i loro avvocati difensori - Gabriele Satta e Giulio Fais - a tentare di smantellare le accuse. Nei giorni scorsi hanno discusso gli avvocati di parte civile - che tutelano i familiari di Marco Erittu - Nicola Satta, Marco Costa e Lorenzo Galisai. Il primo a prendere la parola è stato proprio Costa che ha attaccato duramente la perizia di Francesco Maria Avato che a suo dire si sarebbe contraddetto sostenendo nella sua relazione che non ci fosse cianosi sul cadavere e che quindi non fosse plausibile una morte per confinamento "anche se aveva scritto l’esatto contrario tre pagine prima". Avato, che si è pronunciato a favore della tesi suicidaria, si sarebbe rifiutato di prendere in considerazione l’ipotesi del soffocamento con un sacchetto di plastica per il "semplice" fatto di non avere a disposizione quell’oggetto. Costa ha anche sottolineato le carenze dell’autopsia del medico legale Lorenzoni che avrebbe preso in esame i primissimi elementi di cui era in possesso anche se poi ne subentrarono degli altri che di fatto avrebbero smentito i precedenti. Sulla voglia di vivere della vittima - annotata anche nei diari - ha invece insistito l’avvocato Galisai che ha anche ricordato come Erittu si barricò in cella proprio in concomitanza dell’arrivo a San Sebastiano di Pino Vandi. Un uomo che lui temeva moltissimo. Nicola Satta ha invece incentrato la sua discussione sulla personalità del pentito Bigella e sull’estrema coerenza della sua confessione: "Non è mai caduto in contraddizione, ha raccontato particolari che hanno poi trovato riscontro e che nessuno ha mai smentito. Lucido e determinato sino alla fine". Cagliari: Sdr, sconcerta ritorno nel carcere di Buoncammino di grave disabile russo Ristretti Orizzonti, 5 giugno 2014 "Il ritorno a Buoncammino di Roman Antonov, il 40enne cittadino russo affetto da una grave disabilità sta creando sconcerto nel carcere cagliaritano. Il Centro Clinico infatti non è in grado di garantire un’assistenza adeguata al detenuto". Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione "Socialismo Diritti Riforme", avendo appreso che da ieri "per volontà del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria il detenuto è stato trasferito dall’Istituto di Penitenziario di Milano Opera". "Il Dap - sottolinea Caligaris - non può trasferire i detenuti disabili senza prima verificare le oggettive condizioni delle strutture penitenziarie. La Casa Circondariale di Cagliari, dove peraltro Roman Antonov aveva trascorso precedentemente alcuni mesi, non è infatti adeguata per offrire un’assistenza ad un detenuto con un complesso quadro sanitario che comprende anche un particolare disturbo della personalità. L’uomo, che ha necessità di un costante monitoraggio, aveva incontrato difficoltà ad adattarsi alla struttura cagliaritana anche per le note condizioni strutturali dell’edificio ottocentesco". Affetto da celiachia e con valori di emoglobina sempre molto bassi, Roman Antonov, in assenza di una cella per disabili, è stato collocato nel Cdt. L’uomo, che si muove su una sedia a rotelle, desta particolare preoccupazione tra gli Agenti per le tendenze autolesioniste. Forti perplessità sono state espresse dal Direttore Sanitario del Centro Diagnostico Antonio Piras. Cagliari: Sdr; appello dei familiari dei detenuti contro la chiusura del carcere di Iglesias Ristretti Orizzonti, 5 giugno 2014 "La chiusura di Iglesias avrà conseguenze deleterie per le nostre famiglie. Un trasferimento a Sassari comporterebbe infatti dover affrontare ogni volta un viaggio di 400 chilometri, tra andata e ritorno, costringendoci a ridurre drasticamente i colloqui. La situazione è destinata a peggiorare nell’eventualità che venga scelto il carcere di Lanusei. Non possiamo rinunciare ad incontrare i nostri cari. Aiutateci a trovare un’alternativa". Lo hanno scritto in un appello raccolto dall’associazione "Socialismo Diritti Riforme" alcuni familiari dei detenuti sex offender attualmente ristretti a Iglesias dopo aver ripetutamente chiesto di scongiurare la chiusura della struttura penitenziaria. "Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e il Ministero della Giustizia - afferma Maria Grazia Caligaris, presidente di Sdr - devono rivedere la dislocazione dei detenuti per tipologia di reato e pena. Il buon senso dovrebbe prevalere sulla logica di concentrare i sex offender a Bancali (Sassari) e Lanusei (Ogliastra). Oltre al problema della distanza, che impedisce alle famiglie di poter agevolmente raggiungere i parenti, c’è anche quello della prosecuzione dei progetti di recupero già avviati. Una considerazione inoltre deve essere fatta relativamente alla situazione del carcere San Daniele. È inaccettabile che resti in piedi una struttura penitenziaria ricavata da un antico convento e riadattata a partire dal 1870 e venga invece dismesso un edificio decisamente nuovo qual è quello di Iglesias. Non sono condivisibili neppure le motivazioni di carattere economico riferite esclusivamente a sostegno della chiusura di Sa Stoia proprio perché il fine della pena consiste nella riabilitazione, unico reale strumento di sicurezza per i cittadini. C’è il rischio insomma che allontanati dai familiari, certo concreto apporto risocializzante, i sex offender - conclude la presidente di Sdr - si ritrovino a vivere in quasi totale isolamento". Corato (Bt): "Verde speranza"… 39 ex detenuti lavoreranno per curare aiuole e giardini www.coratolive.it, 5 giugno 2014 Con il sorteggio pubblico effettuato ieri mattina, è stata stilata la graduatoria di "Verde speranza", il progetto che mira a reinserire in società ex detenuti e sottoposti a regime di sorveglianza speciale. Con il sorteggio pubblico effettuato ieri mattina, è stata stilata la graduatoria di "Verde speranza", il progetto che mira a reinserire in società ex detenuti e sottoposti a regime di sorveglianza speciale facendo prestare loro servizio per la manutenzione del verde urbano. Il dirigente del settore servizi sociali Vitantonio Patruno ha reso nota una lista di 39 nominativi: per loro l’impegno non è quello di un lavoro subordinato, a tempo determinato o indeterminato. Secondo la denominazione del codice civile si tratta di un rapporto di locazione d’opera, come spiegato dall’articolo 2222. Solo due domande sono state respinte per incompletezza o errori di forma. Nel gruppo dei sorteggiati c’è anche una donna. Per i primi quattro estratti il prossimo passo sono le visite mediche per verificarne l’idoneità allo svolgimento dei compiti. A fronte di una spesa di 30mila euro per le casse comunali si prevede un compenso di circa 192 euro settimanali per i beneficiari. Il dato non fa riferimento ad un corrispettivo mensile poiché il contratto prevede un rinnovo ogni sette giorni. Il prolungamento dipenderà dalla professionalità manifestata durante il periodo di collaborazione con l’Asipu. Al termine del periodo lavorativo dei primi estratti, subentreranno nell’ordine tutti gli altri, sempre secondo le esigenze dell’Asipu, azienda ospitante. Nell’arco di un anno, comunque, tutti dovrebbero avere spazio per mettere le proprie competenze al servizio della collettività. I futuri operatori del decoro pubblico sono stati catechizzati dai responsabili del progetto sulle norme da osservare: rispetto delle gerarchie, delle attrezzature utilizzate, degli orari di lavoro e dei passanti sono le regole da seguire con assoluto rigore. A margine una nota di colore: al sorteggio era presente la consorte di un uomo inserito in graduatoria. Alla lettura dei nomi di ogni estratto ha trovato un modo originale per sdrammatizzare la situazione citando in vernacolo i soprannomi di ognuno scatenando l’ilarità generale e avvicinando due parti spesso contrapposte: i rappresentanti delle istituzioni e i soggetti sfavoriti. Nuoro: avvocati in carcere, a lezione di garantismo con i detenuti di Badu ‘e Carros La Nuova Sardegna, 5 giugno 2014 Un venerdì speciale, quello passato qualche settimana fa con i detenuti di Badu ‘e Carros per il reading multimediale "Quello che i fiori non dicono", in occasione del Maggio dei libri. Un venerdì così speciale che uno degli ospiti del carcere nuorese ha scritto una lettera per ringraziare dell’occasione data loro con l’iniziativa messa in piedi dal Ministero e soprattutto dalle volontarie. "I fiori di Badu ‘e Carros. No, i fiori di Nuoro - scrive Enzo D’Alessandro. Ancora una volta la gente di Nuoro ha dato lezioni di vita. Ancora una volta semplici "persone speciali" hanno realizzato un progetto che, è il caso di dirlo, ha piantato un seme nuovo. Francesca (Franchi) Cadeddu e Sabrina Murru, attraverso una dolce "provocazione" ci hanno regalato un’emozione. Ci hanno rimesso in contatto con la natura, che prima di ogni parola, ci ha regalato sogni. La natura che ci ha sempre circondati con educato silenzio e che a volte quasi non notiamo, ma che appartiene a tutti. Chi non ha sfogliato una margherita, chi non ha mai corso a perdifiato in un prato, chi non ha scritto (almeno col pensiero) sul tronco di un albero, il nome della propria amata? Abbiamo ritrovato i ricordi, ne abbiamo costruito di nuovi, cui riporremo nel domani. Grazie". Il titolo del convegno racconta già tutto: "Il garantismo penale alla luce del principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio", ma l’incontro sarà anche l’occasione per ricordare ancora una volta uno dei decani dei penalisti nuoresi scomparso diversi mesi fa: Antonio Busia. Sarà, insomma, un incontro dai molteplici aspetti, quello che si terrà dopodomani, venerdì 6, a partire dalle 16, nell’auditorium della Camera di commercio nuorese, in via Papandrea. L’incontro è uno dei tanti appuntamenti promossi dall’ordine degli avvocati barbaricini con la scuola di formazione forense e il contributo della fondazione Banco di Sardegna. E i relatori sono tutti professionisti del settore penale. Tra i relatori, infatti, ci sono Rocco Blaiotta, consigliere di Cassazione, Giacomo Fumu, del direttivo della scuola superiore di magistratura, Enrico Marzaduri, ordinario di Procedura penale all’università di Pisa. Uno dei relatori all’incontro sarà anche l’avvocato Gianni Sannio, che in tanti anni di onorata carriera tra le aule dei tribunali barbaricini e isolani, ha raccolto una esperienza sterminata. I lavori del convegno saranno introdotti da Gianluigi Mastio, avvocato penalista del foro di Nuoro, e coordinati dall’avvocato Basilio Brodu. Chi parteciperà all’evento di venerdì avrà accreditati quattro crediti formativi, secondo quanto è stato stabilito dal regolamento per la formazione continua del consiglio nazionale forense. Il convegno, dunque, sarà anche l’occasione per ricordare Antonio Busia, l’avvocato nuorese scomparso alcuni mesi fa. Firenze: il Garante regionale Corleone, domani a un convegno sul futuro dell’Opg Ristretti Orizzonti, 5 giugno 2014 Oggi, giovedì 5 giugno dalle 9.30 a palazzo Sacrati Strozzi, istituzioni ed esperti a confronto sul destino di Villa Ambrogiana e degli internati dell’ospedale di Montelupo Fiorentino. Nessuna proroga per la chiusura dell’Ospedale Psichiatrico di Montelupo Fiorentino e la Toscana sia la prima regione a chiudere il monumento più duro dell’istituzione totale. Questo l’auspicio di Franco Corleone, Garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive che domani, giovedì 5 giugno, interverrà al convegno "La chiusura dell’Opg di Montelupo Fiorentino". L’incontro che si terrà nella sala Pegaso, dalle 9.30, a palazzo Sacrati Strozzi, sarà un appuntamento operativo e servirà per parlare delle modalità di chiusura dell’ospedale, delle misure alternative per gli internati e del futuro di Villa Ambrogiana. Previsti i saluti istituzionali del presidente del Consiglio regionale Alberto Monaci. Tra le relazioni: "Il senso dell’ultimo decreto di proroga" della senatrice Nerina Dirindin e del vicecapo dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Francesco Cascini. Su "L’attuale situazione dell’Opg di Montelupo" interverrà la direttrice della struttura Antonella Tuoni. L’assessore regionale alla sanità Luigi Marroni e il garante Corleone parleranno di "La Regione Toscana: dalla delibera regionale del 26/8/2013 alla prova della svolta". La sessione pomeridiana che si aprirà alle 15 sarà dedicata ad una riflessione sul superamento delle misure di sicurezza e del doppio binario e al destino di Villa Ambrogiana. Caserta: un dibattitto sulle condizioni disumane nel carcere di Santa Maria Capua Vetere www.interno18.it, 5 giugno 2014 "Non fatemi vedere i vostri palazzi ma le vostre carceri, poiché è da esse che si misura il grado di civiltà di una nazione". Con queste sagge parole il filosofo Voltaire, sin dalla metà del Settecento, indicava nello stato delle carceri il più utile parametro per la misurazione del valore di un Popolo. Le stesse parole, al giorno d’oggi, suscitano turbamento e vengono percepite come un monito se per un istante si volge lo sguardo verso una realtà, quella carceraria, dai tratti disumanizzanti e troppo spesso dimenticata. Una triste situazione, questa, del tutto nostrana, propriamente italiana, dai risvolti sovranazionali e già percettibile a livello locale: è il caso della casa circondariale di Santa Maria Capua Vetere. A seguito delle numerose visite ispettive svolte presso il carcere sammaritano dall’Associazione Radicale "Legalità e Trasparenza" di Caserta, da alcuni parlamentari nazionali, da diversi consiglieri regionali, nonché successivamente ad alcuni sit-in svolti nel 2014 dai Radicali casertani unitamente al Psi ed alla Figs, è stato possibile ricavare dati drammaticamente allarmanti sulla situazione carceraria locale. In particolare, il grave problema del sovraffollamento all’interno della struttura, ad oggi del tutto irrisolto e che vede la presenza di un numero di detenuti superiore alla ordinaria capienza, non è l’unico. Altra inaccettabile carenza riguarda l’indisponibilità da parte dei reclusi di acqua corrente, accessibile soltanto in limitate ore del giorno ovvero completamente mancante. Ad ulteriore aggravio del grigio panorama descritto sembrerebbero registrarsi problemi nell’approvvigionamento di alcune tipologie di farmaci, in minaccia allo stesso diritto alla salute dei detenuti. La poco gradita compagnia di api nonché la presenza di nidi di vespe all’interno di alcune celle della struttura carceraria, è apparso il minore dei problemi da risolvere. La pena della detenzione presso il carcere, che si sostanzia nella privazione di un fondamentale diritto dell’uomo ossia quello della libertà personale, non può né deve tradursi in una violazione degli altri diritti dell’individuo, del detenuto, costituzionalmente garantiti e riconosciuti all’essere umano in quanto tale, soprattutto alla luce della finalità rieducativa della sanzione penale. Appaiono necessari pertanto un vivo interessamento ed un significativo intervento da parte di tutte le forze politiche casertane che, mettendo anche da parte i propri colori e bandiere, avviino un confronto serio e sereno su un tema che riguarda ciascun individuo, sia in quanto uomo che in quanto membro di una società che si professa civile, al fine di delineare obiettivi comuni nella risoluzione dei gravi problemi che affliggono la struttura carceraria sammaritana. Si invitano pertanto tutte le forze politiche interessate, all’incontro indetto dal P.S.I. e dalla F.I.G.S. per venerdì 6 Giugno, alle ore 19.00, presso la propria sede provinciale sita in Via Roma n. 7, Caserta. Augusta (Sr): detenuti e studenti liceali in scena con "Settimo ruba un po’ meno" www.siracusanews.it, 5 giugno 2014 Nella mattinata odierna si è tenuto nella sala teatro della Casa reclusione Augusta il debutto del lavoro teatrale "Settimo ruba un po’ meno" di Dario Fo, messo in scena dalla compagnia teatrale "Voci dal palcoscenico" composta da detenuti e studenti del Liceo Arangio Ruiz di Augusta. Spettatori i detenuti del carcere, presenti numerosissimi, autorità, e la Banda Osiris, attualmente in scena ne "Le Vespe" di Aristofane, che ha omaggiato pubblico ed attori cantando a cappella, il brano di Renato Carosone "Caravan Petrol". L’iniziativa, giunta al termine di un laboratorio iniziato nel mese di Novembre e riproposto per il quarto anno consecutivo, rappresenta un momento di integrazione fra carcere e società esterna e verrà replicato per altri quattro giorni per pubblico interamente esterno. Attesi fra gli altri, attori de Le coefore, Agamennone, Le vespe. Stati Uniti: Mauro Ottobre (Patt) incontra Chico Forti nel carcere di Dade in Florida Il Velino, 5 giugno 2014 "Ho fatto visita ieri in carcere in Florida a Chico Forti detenuto dal giugno 2000 nel Dade Corretional Institute di Florida city". È quanto afferma Mauro Ottobre, deputato del Patt che si è recato in visita negli Stati Uniti per incontrare il cittadino trentino "ingiustamente detenuto". Nella sua visita in carcere il deputato trentino è stato accompagnato dal Console italiano Adolfo Barattolo e dal funzionario del consolato Roberto Tagliero: "ringrazio il Console per l’attenzione che ha nei confronti di Chico Forti e in particolare il dottor Tagliero che da quattordici anni segue il caso". Successivamente Ottobre ha incontrato presso il consolato italiano a Miami l’avvocato statunitense di Chico Forti, Joe Tacopina, con il quale ha fatto il punto sulle iniziative che sul piano legale e politico debbano essere ritenute prioritarie e più efficaci ai fini della riapertura del caso. "Avevo promesso a Chico Forti che sarei andato a trovarlo in carcere in occasione della Festa della Repubblica del 2 giugno - ha spiegato. Non è stato un incontro soltanto privato ma un’ulteriore opportunità di valutazione delle iniziative intraprese e da sostenere in sede internazionale e in Italia, in particolare di quelle assunte o da prendere in sede parlamentare e di governo. Ho sollecitato al governo ed ai gruppi parlamentari la immediata iscrizione nel calendario dell’aula della Camera della mozione parlamentare da me presentata per impegnare il Governo italiano ad assumere ogni iniziativa al fine di arrivare al rientro in Italia di Chico Forti e ad una revisione del processo che, senza prove e in violazione di ogni procedura e principio giuridici, ha condannato Chico Forti per un delitto mai commesso. A tale riguardo al mio ritorno in Italia il mio impegno sarà chiedere un incontro urgente al Presidente del Consiglio Renzi ed ai Ministri degli Esteri e della Giustizia, Mogherini e Orlando, per informarli dei miei colloqui negli Usa e dello stato della situazione. "Ho informato Chico Forti dell’attenzione espressa dal governo italiano al fine di ottenere la revisione del processo e ho rinnovato a lui la solidarietà e la vicinanza nei suoi confronti da parte della comunità civile e delle istituzioni del Trentino. Occorre ora - ha affermato Ottobre - che Parlamento italiano e governo operino in modo congiunto affinché il caso di Forti abbia maggiore voce in Europa e negli Usa. Il mio abbraccio di oggi è un gesto che non è stato esclusivamente personale ma un atto che vuole essere pubblico, di denuncia e di impegno per restituire a Forti la sua dignità e la sua libertà". Israele: detenuti in sciopero della fame, questa è l’Intifada del cibo che divide il Paese di Fabio Scuto La Repubblica, 5 giugno 2014 Netanyahu ordina di nutrire i detenuti palestinesi in sciopero della fame, ma i sanitari si rifiutano: "Così è una tortura". Nessuno vuole un Bobby Sands palestinese. Se solo uno dei duecento prigionieri palestinesi in "detenzione amministrativa" in sciopero della fame dal 24 aprile dovesse morire, un’ondata di proteste travolgerebbe la Cisgiordania, scatenerebbe la violenza dei più estremisti, innescando una terza intifada dagli esiti disastrosi. Ormai, al 42esimo giorno di digiuno, sono più di ottanta i prigionieri palestinesi ricoverati negli ospedali israeliani che però continuano a rifiutare il cibo. Il premier Benjamin Netanyahu, allarmato da questa protesta, spinge perché la Knesset approvi rapidamente una legge che impone l’alimentazione forzata ai detenuti, ma si sta scontrando con la principale Associazione dei medici d’Israele contraria alla legge perché "l’alimentazione forzata è una forma di tortura" e i suoi dottori non si presteranno a questa pratica. I prigionieri che rifiutano il cibo sono tutti "detenuti amministrativi", in cella da mesi o anni, senza accuse e senza aver mai visto un giudice. I palestinesi della Cisgiordania sono sottomessi alle autorità militari israeliane: basta l’ordine scritto di un ufficiale per finire in carcere senza possibilità di appello, con gli arresti che vengono rinnovati ogni sei mesi. Un retaggio del Mandato britannico, che nonostante le proteste interne e internazionali, Israele ha mantenuto: è la famigerata disposizione 1651. Nelle carceri dello Stato ebraico, dati dell’Israel Prison Service, ci sono 5.330 palestinesi, fra loro oltre 200 in "detenzione amministrativa". Ci sono quotidiane dimostrazioni in appoggio alla protesta, le famiglie dei detenuti sostengono questo digiuno nonostante i rischi. "Mio marito è in carcere senza sapere perché e questo incubo deve finire", dice Lamees Faraj del marito Abdel Razeq, militante di un piccolo gruppo dell’Olp, che ha passato in detenzione amministrativa 8 degli ultimi 20 anni. "È contro il Dna dei sanitari forzare il trattamento su un paziente", spiega la portavoce Ziva Miral dei medici israeliani, "l’alimentazione forzata è una tortura, e non possiamo avere dottori che partecipano a una tortura". Dello stesso avviso il Consiglio Nazionale di Bioetica israeliano e la World Medical Association, il coordinamento mondiale delle associazioni mediche nazionali. Nonostante questo coro di critiche, Netanyahu avrebbe detto ai suoi ministri che sarà lui a fare in modo di trovare i medici disponibili per alimentazione forzata. Un po’ come fanno, ha osservato il premier, gli americani a Guantánamo Bay con i detenuti jihadisti. Fares Qadoura, uno degli avvocati dei prigionieri, annuncia che se la legge passerà alla Knesset i palestinesi sono pronti a ricorrere prima all’Onu e poi alla Corte di Giustizia dell’Aja. Le famiglie intanto aspettano e temono. Mahmoud, il marito di Amani Ramahi, eletto deputato con Hamas nel 2006, è in cella senza un’accusa da 4 anni. La Ramahi racconta che suo marito gli fatto arrivare un messaggio dal carcere: "l’intifada della fame" sarà a oltranza perché "vogliono mettere fine una volta per tutte alla loro sofferenza". Marocco: attivisti chiedono liberazione detenuti politici davanti a sede ministero giustizia Nova, 5 giugno 2014 Un gruppo di attivisti ha manifestato ieri davanti alla sede del ministero della Giustizia di Rabat per chiedere la liberazione dei detenuti politici in Marocco. Si tratta degli attivisti del movimento 20 febbraio i quali chiedono la scarcerazione di un gruppo di attivisti arrestati durante gli scontri con la polizia avvenuti il 6 aprile scorso, nel corso di un corte organizzato dai sindacati a Casablanca. In quell’occasione è stato arrestato anche un rapper noto come "al Haqed" che canta contro le autorità del suo paese. Brasile: al termine di Mondiali di Calcio l’Arena da Amazonia diventerà un carcere? www.sportxpress.it, 5 giugno 2014 Per il momento è solo una bizzarra idea ma dopo i Mondiali potrebbe diventare realtà: trasformare l’Arena da Amazonia di Manaus - che ospiterà quattro incontri della kermesse iridata, tra cui la partita d’esordio dell’Italia contro l’Inghilterra - in centro di detenzione temporaneo, in modo da alleviare il problema del sovraffollamento delle carceri dello Stato di Amazonas (il più esteso del Paese). Situato nel cuore dell’Amazzonia, a oltre 2.400 km da Rio de Janeiro, l’impianto sportivo ha 44.456 posti a sedere e potrebbe servire come prima fermata per i detenuti in attesa di essere trasferiti nel penitenziario Raimundo Vidal Pessoa, che ha una capacità massima di 300 persone ma ora ne ospita almeno 1.000. Una delle argomentazioni su cui l’ideatore della proposta, il giudice Sabino Marques, fa leva per sostenere la sua tesi è l’inutilità della struttura sportiva dopo Brasile 2014. Lo stadio, costato 699 milioni di dollari (ne erano inizialmente previsti 240), sorge infatti in una città che conta 2,5 milioni di abitanti circa e non vanta certo una tradizione calcistica particolarmente forte. A riprova di ciò il fatto che non ha alcuna squadra di calcio, neppure in Serie D. Insomma, il rischio che l’Arena da Amazonia venga abbandonata a sé stessa e si trasformi in una cattedrale nel deserto per poi morire nel degrado, è veramente elevato. La trovata non piace però all’Ordine degli Avvocati dell’Amazzonia, secondo cui il problema del sovraffollamento delle carceri va risolto in altri modi, soprattutto con la creazione di un piano carcerario nazionale.