Giustizia: 60 Parlamentari al Ministro Orlando; interventi drammaticamente insufficienti Adnkronos, 4 giugno 2014 "È possibile che in queste ore, o comunque entro pochi giorni, il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa formuli la sua valutazione a proposito di quanto ha fatto il nostro paese per ripristinare condizioni di legalità e di tutela dei diritti nel sistema penitenziario. E per interrompere i trattamenti "inumani e degradanti" praticati nelle carceri italiane. Qualunque sia il giudizio che verrà dato su quanto il governo ha saputo realizzare, la situazione del sistema penitenziario italiano resta drammatica". Così il senatore Luigi Manconi, che rende noto che una sessantina di deputati e senatori di molti partiti (da Sel a Gal, dal Pd a Per l’Italia e a Scelta Civica, fino a esponenti del Gruppo misto) hanno sottoscritto una lettera al ministro della Giustizia da lui promossa. Nel testo si legge, tra l’altro che "gli interventi positivi realizzati nell’ultimo anno e le norme razionali introdotte, che pure riconosciamo e apprezziamo, si rivelano tuttora drammaticamente insufficienti". Da qui la richiesta al ministro di procedere sulla strada delle riforme con ancora maggiore determinazione; e di raccogliere l’invito del Capo dello Stato a "non precludersi la possibilità di ricorrere a un provvedimento generale di clemenza". Gratteri in audizione in commissione diritti umani su 41-bis La Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani ascolterà oggi in audizione al Senato, nell’ambito dell’indagine conoscitiva sui livelli e i meccanismi di tutela dei diritti in Italia, il procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria. Nicola Gratteri, sul regime di detenzione del 41-bis previsto dall’ordinamento penitenziario. La seduta, informa una nota, si terrà nell’aula della Commissione Finanze alle 13.30. Giustizia: Antigone, Dap autorizza nuovamente i direttori delle carceri a fornirci dati Ansa, 4 giugno 2014 L’Amministrazione penitenziaria autorizza nuovamente i direttori delle carceri a fornire dati all’associazione Antigone. Lo annuncia il presidente dell’associazione Patrizio Gonnella dopo che il Dap, nel marzo scorso, aveva vietato ai direttori degli istituti penitenziari di fornire informazioni ad Antigone " onde evitare incoerenze pregiudizievoli all’immagine esterna dell’amministrazione". "L’amministrazione penitenziaria - spiega Gonnella - ha diramato una circolare con la quale autorizza nuovamente i direttori degli istituti penitenziari a fornire all’associazione Antigone le informazioni richieste". "Nelle settimane scorse più volte c’eravamo sentiti e incontrati con i vertici del Dap - aggiunge - La circolare aiuta a risolvere tutti i dubbi e gli equivoci. Si tratta di una decisione che apprezziamo e che ci consente di proseguire serenamente nel nostro lavoro di osservazione". Giustizia: Cooperazione penale europea, l’Italia rischia una procedura d’infrazione di Marina Castellaneta Il Sole 24 Ore, 4 giugno 2014 L’Italia arranca nell’attuazione degli atti Ue in materia di cooperazione giudiziaria penale e corre il rischio, dal prossimo dicembre, di subire una procedura d’infrazione. Lo dice la Commissione europea in due rapporti pubblicati ieri, uno sullo stato di attuazione della decisione quadro 2008/675/Gai del 24 luglio 2008 relativa alla considerazione delle decisioni di condanna tra Stati membri dell’Unione europea in occasione di un nuovo procedimento penale e l’altro sulla decisione quadro 2009/948/Gai del 30 novembre 2009 sulla prevenzione e la risoluzione dei conflitti relativi all’esercizio della giurisdizione nei procedimenti penali. In entrambi gli atti l’Italia segna il passo. Eppure, la loro attuazione effettiva consente un rafforzamento nella protezione delle vittime, una più efficace lotta alla criminalità transfrontaliera e assicura maggiori garanzie agli stessi autori di reato, grazie alla concreta attuazione del principio del ne bis in idem riconosciuto dall’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Proprio con riguardo alla decisione quadro 2009/948 si sono verificati, nel complesso, i maggiori ritardi. Solo 15 Stati membri hanno recepito in modo completo l’atto Ue, mentre 13 Paesi, tra i quali l’Italia, non hanno ancora provveduto, frenando l’attuazione dello spazio giudiziario Ue. L’applicazione della decisione è una tappa importante per evitare doppi processi su stessi fatti e nei confronti degli stessi imputati. La Commissione lancia così agli Stati inadempienti un messaggio chiaro. È vero, infatti, che in base al Trattato Ue l’esecutivo non può ancora avviare una procedura per inadempimento dinanzi alla Corte di giustizia, ma dal 1° dicembre 2014 la Commissione potrà fare ricorso alla procedura d’infrazione. Con buona pace dei Paesi ritardatari come l’Italia. Tra l’altro, osserva la Commissione nel rapporto (Com(2014)213), la decisione quadro ha messo in campo un sistema che permette un dialogo continuo tra le autorità degli Stati membri, con risposte rapide tra gli organi nazionali competenti, evitando in via preventiva ogni problema sull’applicazione del principio del ne bis in idem. Ombre sull’Italia anche dal rapporto sulla decisione quadro 2008/675 (Com(2014)312). Se 22 Stati hanno già attuato la decisione (e ben 13 hanno ottenuto una promozione da Bruxelles), rimangono al palo Belgio, Spagna, Italia, Lettonia, Malta e Portogallo. È vero che questo non impedisce l’attuazione dei principi fissati nella decisione quadro negli altri Stati membri, ma è certo nell’interesse della giustizia che le condanne siano prese in considerazione nell’intero spazio Ue. Alcuni Stati membri hanno anche previsto che condanne già comminate in altri Paesi dell’Unione siano prese in considerazione durante la fase delle indagini. Non solo. In Austria, Paesi Bassi, Svezia, Grecia e Irlanda una condanna può influenzare le decisioni sulla custodia cautelare e anche le modalità di esecuzione della pena. Giustizia: Sappe; candidati scoperti con le risposte esatte dei quiz, annullare il concorso Comunicato stampa, 4 giugno 2014 Tre concorrenti al concorso pubblico per 208 posti di Agente di Polizia Penitenziaria scoperti con le risposte esatte ai quiz di selezioni dagli addetti alla vigilanza del concorso stesso. Segnalazioni alla Procura e possibili denunce per accertare i responsabili dell’accaduto. Ma oggi il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, il primo e più rappresentativo del Corpo, chiede al Ministro della Giustizia Andrea Orlando di annullare il concorso e rifare tutte le prove selettive. Spiega Donato Capece, segretario generale Sappe: "È lecito ipotizzare che gli episodi accaduti e la successiva trasmissione degli atti alla magistratura avranno delle ricadute sia sotto il profilo amministrativo che sotto quello penale, tanto da mettere a rischio la prosecuzione delle procedure concorsuale (o quantomeno ritardarle notevolmente). Il Sappe non può dimenticare quello che è successo in analoghe circostanze per il concorso pubblico vice ispettore del 2003 che, tra denunce, ricorsi, irregolarità e annullamenti si è trascinato avanti per più di dieci anni. La Polizia Penitenziaria, nelle condizioni di carenza organica nelle quali si trova, non può e non deve rischiare di allungare, neppure di un giorno, le procedure per l’assunzione di agenti. Per tale ragione, il Sappe ha chiesto al Ministro della Giustizia Orlando di annullare in autotutela la prova attitudinale espletata nello scorso mese di maggio o, quantomeno, congelarne le procedure a favore di un nuovo bando di concorso e, contestualmente, l’immediata assunzione degli idonei non vincitori delle graduatorie passate ancora in corso di validità". Capece denuncia inoltre come "non sia la prima volta che si verificano problemi di carattere amministrativo e gestionale al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. A puro titolo di esempio, e per citare soltanto i più recenti, si pensi all’ultimo corso da vice commissario, alla mobilità dei ruoli direttivi e agli ultimi corsi agenti che sono stati trattenuti per mesi nelle scuole senza far nulla. È innegabile che tutto ciò non può che essere ascritto alla dirigenza del dipartimento che, evidentemente, ha dimostrato impreparazione ed inadeguatezza per gli incarichi rivestiti. (In una sentenza del 2012 il Tar del Lazio mise nero su bianco: "Il riesame andrà inoltre affidato a funzionario, con qualifica dirigenziale, diverso dal direttore dell’ufficio, atteso che quest’ultimo, sottoscrivendo l’atto nullo, si è rilevato del tutto inidoneo al compito")". Giustizia: morto durante l’arresto, il pm chiede 7 anni di carcere per i poliziotti Corriere della Sera, 4 giugno 2014 Michele Ferrulli morì nell’estate 2011 per arresto cardiaco: "Subì violenza gratuita e non giustificabile, picchiato quando era già immobilizzato a terra". Il pm di Milano Gaetano Ruta ha chiesto una condanna a 7 anni di reclusione per i 4 poliziotti che il 30 giugno 2011 fermarono a Milano il 51enne Michele Ferrulli, morto per arresto cardiaco durante l’intervento delle forze dell’ordine. Gli agenti, che intervennero in via Varsavia dopo una segnalazione per schiamazzi in strada, sono imputati per omicidio preterintenzionale e falso in atto pubblico. Il pm, durante le requisitoria ha sostenuto che Ferrulli "ha subito una violenza gratuita non giustificabile". Il pm ha escluso che i poliziotti "volessero uccidere Ferrulli, come testimonia anche l’apprensione con cui hanno chiamato la centrale operativa quando si sono accorti delle condizioni" del manovale che di lì a poco sarebbe morto in seguito "a un attacco ipertensivo, che ha causato un arresto cardiocircolatorio seguito da edema polmonare, anche perché il cuore di Ferrulli, di 700 grammi, era troppo piccolo rispetto alla mole del suo corpo, che pesava 147 chilogrammi". Secondo il rappresentante della pubblica accusa, i quattro agenti erano in grado di comprendere che agire in quel modo avrebbe potuto provocare la morte di Ferrulli. Per dimostrarlo, il pm ha ricordato il "sonoro delle donne rom che, davanti alla scena dell’ammanettamento, dicono: "Così gli viene un infarto e muore". Non c’è bisogno di emeriti studiosi - ha detto il pm - per capire che se butto per terra una persona e infierisco su di lei le posso fare molto male e gli può venire un infarto. È una conseguenza che le persone che stavano lì intorno avevano previsto. "Lasciatelo, gli fate male", dice il suo amico che viene preso e portato via in un’auto della polizia. Non ci vuole Pico della Mirandola per dire che se si mette una persona a terra e lo si picchia può morire". Dal dibattimento è emerso che gli agenti hanno percosso "ripetutamente il signor Ferrulli in diverse parti del corpo, pur essendo in evidente superiorità numerica e hanno continuato a colpirlo probabilmente con l’uso di manganelli, come testimoniato da due amici della vittima e come evince il mio consulente tecnico incaricato di analizzare il video dell’aggressione, quando era immobilizzato a terra, in posizione prona, non era in grado di reagire e invocava aiuto". Ruta ha comunque chiesto per i poliziotti il minimo della pena previsto da questo reato e la concessione delle attenuanti generiche, "perché il fatto in sé è grave, ma va pur detto che si iscrive in una attività di servizio eseguita malissimo dagli imputati, che però sono persone che non hanno mai dato ragioni di critica o censura e dal punto di vista della correttezza processuale sono sempre stati presenti e hanno avuto un comportamento composto". I poliziotti sono poi accusati di aver falsificato l’annotazione redatta il giorno successivo sull’accaduto, dichiarando falsamente che dopo aver bloccato il 51enne "una successiva e inevitabile perdita di equilibrio di tutto il gruppetto faceva sì che il Ferrulli e tutti gli agenti intervenuti cadessero rovinosamente a terra, frangente che permetteva, grazie all’utilizzo di un terzo paio di manette, di bloccare definitivamente la sua resistenza. Poiché la precedente caduta aveva costretto il Ferrulli, prono a terra, si cercava, ormai assicurato, di riportarlo in una posizione a lui più comoda per avvicinarlo alla vettura di servizio, ma proprio in tale occasione il Ferrulli riferiva di sentirsi male, lamentando un forte dolore al petto". Secondo Ruta sono "circostanze false, poiché i poliziotti, nel mentre il Ferrulli si trovava a terra in posizione prona, era immobilizzato e invocava aiuto, lo colpivano ripetutamente anche con l’uso di corpi contundenti". "Non ci sentiamo più soli, ora sappiamo che lo Stato è dalla nostra parte", è stato il commento di Domenica Ferrulli, figlia della vittima. "È un processo difficile e doloroso - ha proseguito - la nostra speranza è che gli agenti vengano condannati e non indossino più la divisa, per rispetto di mio padre e anche di chi la indossa onestamente". Giustizia: Omicidio Gucci; Patrizia Reggiani "così sopravvissuta a 17 anni di carcere" Ansa, 4 giugno 2014 "Ho vissuto una vita al di sopra di tante altre, poi mi sono ritrovata dalle stelle alle stalle e mi sono dovuta adattare, per sopravvivere e per vivere". Lo afferma in una intervista a "Chi" che la pubblica domani e ne ha reso noto un sunto, Patrizia Reggiani, uscita da San Vittore, dove ha scontato 17 dei 26 anni di reclusione perché ritenuta la mandante dell’omicidio del marito Maurizio Gucci, ucciso da tre colpi di pistola in via Palestro, a Milano, il 27 marzo del 1995. Il magistrato di sorveglianza ha disposto il suo affidamento ai servizi sociali e fra qualche giorno dovrebbe cominciare a lavorare come consulente creativo della maison di bijoux di alta gamma "Bozart". "Per me è stata dura, ma credo che per le mie figlie sia stata ancora più dura che per me, perché tenere la testa alta con una madre in carcere è tremendo - ha detto ancora Patrizia, 66 anni - Ancora di più se è in galera quale mandante dell’omicidio del loro padre. Loro sono sempre state dalla mia parte e non hanno mai avuto dubbi sulla mia non colpevolezza. O, almeno, a me non hanno mai detto il contrario". Nell’intervista Patrizia, ha parlato degli anni in prigione. "Non ho mai rinunciato alla mia femminilità, io portavo i tacchi anche in carcere, poi, chiaramente tutte le mie compagne hanno cominciato a portare i tacchi - racconta. Ma a San Vittore vivevo in una normalità costruita. Alla normalità sono tornata la prima volta che ho dormito a casa mia". Per quanto riguarda il suo futuro che immagina "bellissimo", Reggiani ha ammesso che non sa se sarà "riassorbita" da quella Milano di cui era una delle protagoniste negli anni Settanta e Ottanta. "Ma so che se incontrerò le persone che additavano le mie figlie quando ero in carcere - ha aggiunto - mi dimostrerò superiore". E alla domanda se tiene ancora a essere chiamata Gucci ha risposto: "Sì, perché io penso di essere la più Gucci di tutte". Lettere: il carcere e la lingua prigioniera di Carla Chiappini Ristretti Orizzonti, 4 giugno 2014 Porte, chiavi, sbarre, volti, mani, rumori, caos. Poche informazioni, pochissime. E intorno un piccolo mondo di operatori che osservano, contengono, ascoltano. Mestiere oggettivamente difficile. E poi viene il linguaggio che è chiamato a dare una forma alle persone, a descriverne i tratti, a comporre una "sintesi". Fortuna che non tocca a me, penso sempre. Fortuna che non mi tocca sintetizzare gli altri o, peggio ancora, esserne sintetizzata. Il terrore di confrontarmi con un ritratto che non mi somiglia mi toglierebbe il sonno e forse anche la lucidità. Ma, per fortuna, finora non ho commesso reati e non ho intenzione di cominciare proprio adesso. Adesso che sono anche nonna. Posso stare tranquilla e tornare a riflettere su un tema che mi appassiona da sempre: il linguaggio, le parole, questa misteriosa potentissima combinazione di lettere. Che assemblata in un certo modo, apre le porte e in un altro le chiude. Riflettevo all’alba di stamattina sul fatto che, da quando lavoro in carcere - ma anche prima nelle comunità terapeutiche - ci sono due aggettivi che occupano tutti gli spazi della descrizione. Seduttivo e manipolatore. Manipolatore e seduttivo. Il carcere abbonda di esseri umani seduttivi e manipolatori. Immagino che sia proprio così ma, nella mia totale ignoranza di qualsiasi dottrina terapeutica, fatico a capire il problema. Mi guardo intorno, nel mondo libero, e osservo che la gran parte dell’umanità, quando desidera ottenere qualcosa tenta la carta della seduzione. In alternativa c’è la mediazione o la prepotenza. Ma, per entrambe, occorre avere o la capacità o la condizione. E in carcere non è così semplice. La seduzione è la via più facile, quella istintiva e meno rischiosa. Persino il mio nipotino di sette mesi dispensa sorrisi meravigliosi se si è stancato della noia del suo lettino e ha deciso che è il momento di stare in braccio. Confesso che io stessa, se devo tentare di evitare una multa, esercito una gentilezza senza limiti. A volte persino zuccherosa. E so già che, finché potrò, cadrò e ricadrò nel peccato della seduzione. Rischio molto basso; se funziona, tutto bene. In caso contrario il sorriso si spegne e non c’è problema, non è successo niente. Ma questo nella società libera. In carcere, invece, essere seduttivi e manipolatori è un peccato gravissimo che indispone gli operatori, li mette in guardia. Li innervosisce. E qui mi trovo davvero in difficoltà a capire l’entità della questione. Penso - ma posso sbagliarmi - che il problema della seduzione sia nel ricettore non nell’attore. La seduzione si può bloccare in un piccolo breve momento. Senza danno per nessuno. Molto più facile da gestire di uno scatto di rabbia o di uno sfogo verboso e ripetitivo. Spesso basta uno sguardo. O pochissime parole. E, guarda caso, questa certezza l’ho raggiunta proprio in un ambito carcerario. Ricordo qualche anno fa, durante un intervento del Gruppo della Trasgressione del mio carissimo amico Aparo, una ragazza molto bella e attraente, una studentessa del gruppo che interveniva per raccontare la sua esperienza. Un giovane detenuto la interrompe con un commento molto macho e un po’ inutile. Lei si gira seria: Non fare il cretino!. Fine della seduzione. Semplice, composta, geniale. Da imitarsi. Così penso, ma potrei anche sbagliare nella mia totale ignoranza di dottrine terapeutiche di qualsiasi tipo e scuola. Non ho certezze, solo tanti, tantissimi dubbi. Lettere: carceri, perché qualcosa cambi davvero… di Gemma Brandi (Responsabile Salute Mentale Adulti Firenze 1-4 e IIPP Firenze) Ristretti Orizzonti, 4 giugno 2014 Sono di queste ore il cambiamento al vertice del Dap e l’annuncio, da parte del Guardasigilli, della intenzione di rinnovare il sistema che di fatto esegue le pene comminate. Vorrei partire dalla mia esperienza per segnalare il rilievo che qualcosa muti sul serio. Se è vero come è vero che il carcere anticipa, distillandoli e concentrandoli, i problemi in fieri di ogni popolo, l’affermazione di principio circa il fatto che la civiltà di una nazione la si misuri dal tenore esistenziale dei suoi reclusori, acquista un senso più pratico: affrontando per tempo le questioni emergenti in carcere, si potrà tentare di ridurre l’impatto sismico di difficoltà inattese sul mondo degli uomini liberi e dunque si darà prova di senso dello Stato. Nel corso degli ultimi venti anni le prigioni sono progressivamente diventate autentici colabrodo, lasciate al degrado strutturale e organizzativo del quale chi vi opera diventa la sventurata e impotente vittima ombra: ebbene, come non trovare il riverbero di questo annunciato sfacelo nelle condizioni delle strade, delle scuole, dei tribunali del pur Bel Paese? Intorno al carcere, dunque, ben al di qua di ogni condanna europea, occorre che si concentri la volontà di restauro istituzionale. Da seccatura a risorsa, da cenerentola a principessa, da zucca a carrozza il passo non è breve, ma neppure impossibile, come la favola insegna alla sua maniera, pretendendo cioè che la cosa accada all’istante, grazie a un colpo di bacchetta magica. Servono invece un deciso giro di boa, quindi un alacre e paziente lavoro per condizionare le sfide del domani, che indistinte affiorano all’orizzonte, e misurarsi con quelle dell’oggi. Quali dunque le sfide sul tappeto? Sarebbe miope ridurre il presente alla storia già passata, in cui rientra la riduzione dello spazio vitale concesso ai detenuti. Infatti, le modifiche legislative approvate consentiranno, con ogni probabilità, alle carceri italiane di superare in tempo breve il sovrannumero di ospiti. Ma cosa riserva alla istituzione della pena il prossimo futuro? La percentuale altissima di stranieri nelle prigioni italiane è un dato di fatto, che in alcune realtà metropolitane ha superato da un pezzo e di molto quella degli italiani. Se solo in queste ore quasi tremila disperati dal Sud del mondo si apprestano a raggiungere il suolo del Paese, come potremo confidare in una inversione di tendenza del tasso di individui destinati a entrare in carcere? Sono i numeri a parlare in nome di un realtà planetaria in evoluzione e talora in fuga, ben al di là della inclinazione farisaica a scotomizzare le difficoltà per timore di criminalizzare intere categorie di uomini. Quando Firenze era considerata la città ospitale per eccellenza, dove trovavano asilo, nei suoi "ospitali", gli "uomini senza padrone" provenienti da tutta Europa, i numeri erano ben diversi. La migrazione in corso verso l’Italia talora -non neghiamolo ipocritamente- da parte di chi attraversa il mare con più o meno definiti scopi trasgressivi, e comunque da quanti portano un carico di bisogni che è improbabile essere in grado di soddisfare, rischia di riempire all’inverosimile i nuovi "ospitali" del 2000, vale a dire le carceri. E poi, da oltre un decennio la grande stampa statunitense segnala il numero altissimo di malati di mente che si concentrano nelle patrie galere anche colà, un dato che viene messo in immediata relazione con il progressivo ridursi degli ospedali psichiatrici. In Italia, dove abbiamo superato da trentasei anni la necessità dell’ospedale psichiatrico, è nota in maniera esatta dal 2002 la prevalenza del problema psicopatologico riguardante i nuovi giunti in carcere: si tratta di percentuali di poco inferiori al 50%. A questi numeri va sommato quello delle persone che sfidano le onde per approdare sul nostro suolo, benché o forse perché pazienti affetti da turbe psichiche gravissime. Le cifre sono tutt’altro che trascurabili, come potrebbero attestare gli enti pubblici e caritatevoli che si stanno attrezzando alla rinfusa per fronteggiare il problema nel vano tentativo di svuotare il mare con il secchiello. Molti di costoro finiscono e rifiniscono dietro le sbarre e talvolta lì pongono termine a una vita amara, diventata insostenibile anche per via del difficile accesso a una possibilità di scambio linguistico e culturologico: la emigrazione non aiuta, d’abitudine, il folle. Vi è una ulteriore popolazione che qualcuno pretende di incarcerare attraverso accese campagne ascoltate nel Paese, campagne in cui si proclama il diritto alla pena del malato di mente autore di reato, cui restituire la responsabilità piena dei suoi gesti, recludendolo anziché ospitandolo in apposite strutture terapeutiche. Questa popolazione si trasferirebbe -in gran parte si è già trasferita attraverso l’istituto della osservazione psichiatrica, la marcata riduzione degli accertamenti peritali sulle condizioni psichiche dell’imputato e il sempre più desueto riconoscimento di sopravvenuta malattia nel condannato- dagli Ospedali Psichiatrici Giudiziari ai reclusori ordinari. Ecco alcuni degli tsunami che potrebbero travolgere il sistema delle pene. Affinché ciò non accada, occorre evitare l’evitabile e prepararsi in maniera lucida, organica e consapevole al cambiamento. Una cosa non vorrei dimenticare in questo mio ragionamento sull’utile/necessario, a partire dalla affermazione che il numero dei suicidi tra i reclusi è di fatto diminuito nell’ultimo decennio, se non in assoluto, almeno percentualmente. La cosa conferma, peraltro, il clima di guerra che nelle carceri si respira, visto che proprio durante i conflitti le morti per auto soppressione si riducono. Se questa inferenza vale per i detenuti, alcuni dei quali hanno trovato nel carcere un paradossale estremo asilo, non è altrettanto fondata relativamente al personale che vi opera, vittima piuttosto di una sindrome da teoria delle finestre rotte: in un luogo dove non si presti attenzione al degrado, dove la manutenzione sia pressoché azzerata, dove il verticismo abbia ceduto il passo a una complicazione organizzativa che non permetta di rispondere adeguatamente ai complessi problemi della realtà intra moenia, cui servono risposte composite e non complicate, si moltiplicheranno e si aggraveranno crimini e misfatti, quale è l’omicidio di sé medesimi. Questo crimine è senza dubbio in crescita e colpisce soprattutto la Polizia Penitenziaria e, con un dato epidemiologico che inspiegabilmente non risulta essere stato preso ad oggi in esame nonostante le segnalazioni fatte pervenire, gli Assistenti e gli Assistenti Capo intorno ai quarant’anni. È uno stillicidio del grido di aiuto e denuncia che si eleva non contraffatto a segnalare come ogni tentativo di strumentalizzazione, di semplificazione della causa o della risposta non ne arginerà la escalation, potendo anzi produrre l’effetto contrario. Occorre rispondere non tanto aprendo centri di ascolto all’interno del sistema, destinati a un insuccesso annunciato, bensì prestando una maggiore attenzione al reclutamento del personale e alla sua formazione da una parte - una formazione che tenga conto della qualità e della quantità dei problemi attuali e futuri da trattare oltre le sbarre, in modo da contenere la mortificazione del confronto con la inefficacia della propria risposta funzionale - alla cura della istituzione dall’altra, una cura dei luoghi e degli apparati. Basterebbe cominciare da una analisi accurata del dato epidemiologico appena citato e dalla disamina tecnica e approfondita, perché rispettosa, delle storie dei singoli operatori penitenziari che nell’ultimo decennio si sono tolti la vita, evitando quella diffusa superficialità che l’Oscar Wilde reduce dalla prigioni non mancò di segnalare a noialtri come il vizio supremo e che impietosa rivela la impostura dei falsi paladini. Molise: i Sindacati; carceri in condizioni pietose, Campobasso sarebbe da chiudere di Maurizio Cavaliere www.primonumero.it, 4 giugno 2014 Ieri mattina il Segretario generale aggiunto del Sindacato di polizia penitenziaria, Pasquale Montesano, ha denunciato i gravi disagi in cui sono costretti a lavorare gli Agenti e le cattive condizioni vivono i detenuti. Negli ultimi mesi sono aumentate le proteste e le aggressioni all’interno della struttura. "A Campobasso la situazione è pietosa. L’amministrazione centrale deve farsi carico di un problema che riguarda anche gli istituti penitenziari di Larino e Isernia". Una visita che ha gli ha lasciato un segno profondamente negativo. Pasquale Montesano, Segretario generale aggiunto del Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria, non usa mezzi termini di fronte ai giornalisti: "Il carcere di Campobasso è in condizioni disastrose, per i detenuti e per chi ci lavora. Sarebbe da chiudere, non ci sono dubbi". Montesano conosce come pochi la realtà delle carceri italiane, soprattutto quelle del Sud: "Ospitiamo una persona di spessore - ha detto l’Ispettore di Polizia penitenziaria, Mauro Moffa, che è anche Segretario regionale dell’Osapp - Montesano vanta un’esperienza quarantennale nell’amministrazione, anche come Comandante di reparto. Con lui abbiamo appena terminato una visita del carcere". Il Segretario generale aggiunto, da parte sua, è andato subito al dunque: "Il problema carcerario e penitenziario in Molise è grave. Le condizioni di questi istituti sono disastrose. L’amministrazione centrale deve avere il coraggio di dire qual è il futuro delle strutture molisane. I disagi in cui sono costretti a vivere i detenuti e chi lavora all’interno del carcere, principalmente il personale di Polizia penitenziaria, sono continui. Noi, come Osapp, stiamo cercando di costruire un dialogo con l’attuale Ministro (Andrea Orlando, ndr). I problemi sono tanti, a cominciare dalla mancanza di fondi. Vogliamo parlare anche della vita negli istituti? Ebbene, le condizioni strutturali sono indecenti per precise responsabilità dell’amministrazione centrale e anche della politica. Sono realmente disgustato: fa male vedere una struttura come quella di Campobasso in condizioni pietose. Il personale di Polizia penitenziaria, così. non può lavorare". Il fuoco cova sotto la cenere. Negli ultimi mesi, a Campobasso, si sono verificate aggressioni e proteste plateali dei detenuti. Gli episodi sarebbero in aumento. Un problema serio che si accompagna agli altri pesanti disagi: "Carenze organizzative, mancanza di mezzi, mancanza di fondi per il pagamento delle missioni straordinarie del personale e poi c’è la questione della promiscuità di alcune attività. Noi diciamo basta. C’è bisogno di far capire alla gente che cosa significhi lavorare con gli esseri umani" ha concluso Montesano. In sostanza, gli agenti non sono più in grado di garantire l’assistenza necessaria ai detenuti. A Campobasso e, secondo il sindacato, anche a Larino e Isernia. Isernia: la proposta dei sindacati I segretari regionali delle sigle sindacali di Fp-Cgil, Fp-Cisl, Cisl-Fns e Uil-Pa tornano a farsi sentire sulla situazione del carcere di Ponte San Leonardo ad Isernia e lo fanno in una nota congiunta. "Dei tre istituti penitenziari esistenti in regione - scrivono - in termini di capienza quello pentro è quello che può ospitare meno detenuti, ma, pur facendo registrare una presenza di 54 detenuti al 27 maggio 2014, la Direzione dell’Istituto deve garantire, rispetto alla gestione dei detenuti, tutte le previsioni della normativa di settore (ordinamento penitenziario) alla stessa stregua di un Istituto con capienza maggiore". "Le piante organiche non sono comunque attuali - denunciano i sindacati - perché non rispondono ad una adeguata rilevazione dei carichi di lavoro degli operatori dei due comparti (sicurezza e ministeri) che molto spesso non sono contestualizzati alla normativa sia nazionale che comunitaria. Ciò significa che il complesso dei diritti e dei doveri del personale previsto nei contratti diventa poco compatibile con l’obbligo di garantire i compiti istituzionali (esecuzione misure privative della libertà personale, ordine e sicurezza degli istituti, osservazione e trattamento, traduzioni e piantonamenti dei detenuti)". "Per rilanciare l’Istituto di Isernia - spiegano dalle sigle sindacali - potrebbe essere importante l’opportunità di utilizzo di un repartino composto da quattro celle che potrebbe ospitare, anche secondo il progetto dei circuiti regionali predisposto dal Prap di Pescara, almeno otto detenuti affetti da patologie psichiatriche e ciò potrebbe costituire il polo regionale in tal senso, alla stessa maniera in cui gli istituti di Teramo e Pescara costituiscono analogo riferimento per la Regione Abruzzo. Inoltre, non potrà procedersi all’apertura del repartino se prima non sarà prevista l’assegnazione di personale di polizia penitenziaria da destinare alla sorveglianza. Parallelamente dovrà essere previsto il potenziamento del personale dell’area pedagogica e l’aumento delle ore destinate agli esperti". Veneto: Zaia, "piccoli spacciatori"?, qui si liberano delinquenti con anni di condanne Ansa, 4 giugno 2014 "Non sono abituato a discutere le sentenze, ma di fronte alla scarcerazione di migliaia di detenuti credo che un civile e pacato confronto su una materia così delicata sia necessario". Lo sottolinea il Presidente della Regione del Veneto Luca Zaia riferendosi alla decisione delle sezioni unite penali della Cassazione in materia di detenzione per piccolo spaccio. "Premesso che spacciare droga è comunque un reato - aggiunge Zaia - non occorre essere dei fondamentalisti per comprendere che quanto accadrà per effetto della decisione della Cassazione non riguarda gente beccata con una canna o uno spinello. Per andare in galera in questo Paese, infatti, non bisogna aver commesso un solo reato per piccolo spaccio, come lo definisce la Cassazione, bensì avere alle spalle o un reato ben più grave o una sommatoria di piccoli spacci che rendono il soggetto più che recidivo". "Trovo quindi farisaico che si continui a parlare di messa in libertà di detenuti per un piccolo reato - incalza Zaia. Per entrare e restare in carcere non dico che bisogna essere delinquenti incalliti, ma sicuramente avere sulla fedina penale ben di più di una singola e piccola macchia, quindi la sommatoria di più anni di condanna". "Credo - conclude Zaia - che dobbiamo uscire dal luogo comune e dire a chiare lettere alla società che chiede ordine e sicurezza che si stanno liberando dei delinquenti che minano la nostra gioventù e la convivenza civile". Sardegna: nessun cambio in vita al vertice del Provveditorato regionale alle carceri La Nuova Sardegna, 4 giugno 2014 Il provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria in Sardegna è e resta Gianfranco De Gesu. È vero che ricopre temporaneamente anche l’incarico ad interim recentemente affidatogli di dirigente generale della direzione Risorse materiali, beni e servizi del Dap, a Roma, ma è anche vero che continua e continuerà a mantenere il ruolo di provveditore regionale, a tutti gli effetti. La precisazione arriva dallo stesso numero uno dell’amministrazione penitenziaria sarda, dopo la notizia circolata nei giorni scorsi di un suo saluto definitivo all’isola, dove era arrivato nel giugno del 2011. Nato a Cosenza il 1 marzo 1958, laurea in Giurisprudenza all’università di Modena, De Gesu ha partecipato giovedì scorso nella Colonia penale di Mamone alle celebrazioni per il 197° annuale di fondazione del corpo di polizia penitenziaria. Festa istituzionale, celebrata con sobrietà in linea con le disposizioni della presidenza del Consiglio, che si è svolta oltre che con De Gesu, con il direttore Gianfranco Pala, il comandante di reparto vice commissario Ferdinando Stazzone, il vice commissario Massimo Carollo, il vice commissario Girolamo Frenda insieme al personale dell’Istituto di penitenziario. Con la sua partecipazione, De Gesu ha voluto testimoniare la vicinanza dell’amministrazione penitenziaria a un territorio recentemente colpito dall’alluvione e in cui la stessa struttura penitenziaria, colpita anch’essa dalla calamità naturale, ha operato a fronte dell’emergenza con i propri mezzi e il proprio personale, in soccorso e in supporto dei Comuni del territorio. Dopo aver letto il messaggio augurale del presidente della Repubblica e gli interventi del capo del Dipartimento e del Guardasigilli Andrea Orlando, la cerimonia è proseguita con la consegna delle ricompense concesse ai poliziotti che si sono particolarmente distinti in attività di servizio. Firenze: detenuto suicida con gas bomboletta, è 61esimo morto in carcere da inizio anno Ansa, 4 giugno 2014 Un detenuto magrebino di 40 anni si è suicidato oggi pomeriggio nella sua cella nella 13/a sezione del carcere fiorentino di Sollicciano. A renderlo noto è il segretario generale dell’Osapp, Organizzazione sindacale autonoma di polizia penitenziaria, Leo Beneduci, il quale sottolinea che si tratta del "61esimo morto in carcere dall’inizio dell’anno e il 17esimo per suicidio". L’uomo si è barricato nel bagno della cella che condivideva con altri due detenuti ed ha inalato il gas di una bomboletta che serviva ad alimentare un fornellino. A nulla è servito il tentativo degli agenti di polizia penitenziaria e del medico del carcere che hanno cercato di rianimarlo. "Il suicidio - dice Beneduci - si è verificato in una sezione protetta, nella quale doveva anche realizzarsi la cosiddetta sorveglianza dinamica, a riprova di un modello detentivo destinato a fallire prima di realizzarsi". Padova: detenuto morì per una peritonite, interrogazione di Tancredi Turco (M5S) Ristretti Orizzonti, 4 giugno 2014 Al Ministro della Giustizia, al Ministro della Salute. Per sapere - premesso che: secondo quanto riportato dai quotidiani locali del 16 maggio 2014, un detenuto, Francesco A., di 45 anni originario di Crotone, dal 2006 recluso nel carcere Due Palazzi di Padova, è morto in ospedale a Padova l’8 marzo scorso a causa di una peritonite stercoracea con perforazione del passaggio retto-pelvico; il detenuto Francesco A., era arrivato in ospedale la mattina del 7 marzo in stato di shock ipovolemico e dopo essere stato visitato in carcere per cinque volte e da tre medici diversi che però, fino alla visita del 7 marzo, non avevano ritenuto di fare approfondimenti, nonostante fosse diversi giorni che il detenuto lamentava dolori all’addome. L’operazione, nonostante sia andata a buon fine e l’impegno dei medici dell’ospedale, non è servita però a salvargli la vita; i chirurghi hanno trasmesso una segnalazione alla direzione sanitaria dell’Azienda ospedaliera che è stata inviata alla procura e alla direzione del carcere Due Palazzi. Sul caso è stata aperta un’inchiesta dal pubblico ministero Francesco Tonon; il trattamento sanitario riservato al detenuto in questione secondo gli interroganti appare non conforme alle leggi dello Stato e, soprattutto, a quanto previsto dagli articoli 3, 13 (comma 4), 27 (comma 3), 32 della Costituzione; secondo i dati rilevati da Ristretti Orizzonti dal 2010 al 2014 i morti per malattia nel Veneto sono stati 2, quelli per suicidio 14, mentre le morti per cause da accertare sono 9. I detenuti ristretti nei penitenziari del Veneto alla data del 30 aprile 2014, sono 2.826. Gli stranieri sono 1.605. La capienza regolamentare dei 10 istituti veneti è di 2.019 -: di quali informazioni i Ministri dispongano in ordine ai fatti esposti in premessa; se, negli ambiti di rispettiva competenza, ed indipendentemente dalle indagini della magistratura sulla vicenda, i Ministri non intendano promuovere una indagine amministrativa interna al fine di verificare, per quanto di competenza, l’esistenza di eventuali responsabilità sul piano amministrativo o disciplinare nella morte del detenuto in questione; se sia noto se nel corso della sua detenzione l’uomo abbia usufruito di tutte le cure necessarie che il suo precario stato di salute richiedeva; più in generale, quali iniziative urgenti il Governo intenda adottare al fine di garantire ai detenuti una non effimera attività di cura e sostegno, nonché i livelli essenziali di assistenza sanitaria all’interno degli istituti di pena. Genova: caso tubercolosi al carceri Marassi, riscontrata a detenuto nordafricano Agi, 4 giugno 2014 Un detenuto origini nordafricane è stato isolato da poche ore fa nel carcere Marassi di Genova perchè presenta sintomi di tubercolosi polmonare. Ne dà notizia in un comunicato il segretario regionale della Uil penitenziari, Fabio Pagani, secondo il quale il recluso, B.M., al momento è curato in isolamento nel reparto della sesta sezione a piano terra dell'istituto. Da tempo, "la Uil Penitenziari denuncia l'emergenza sanitaria nel carcere del capoluogo temendo simili casi" ricorda Pagani e riferisce che "altri tre detenuti risultano essere isolati precauzionalmente mentre il detenuto magrebino, affetto da tale grave malattia infettiva, era precedentemente ubicato in altra sezione, in camera con altri detenuti". A Marassi ci sono oggi 790 persone recluse su una capienza regolamentare di 430, con una situazione sanitaria che il sindacalista definisce "disastrosa". Oristano: detenuti in protesta, notte di urla dietro le grate del carcere di Massama La Nuova Sardegna, 4 giugno 2014 Urla fischi e qualche pentola che viene battuta sulle grate. Anche la notte scorsa una parte dei detenuti del carcere di Massama ha protestato. Non vogliono che si abbassi la guardia sulle attuali condizioni di vita all’interno del carcere. Dopo la lettera della scorsa settimana, nella quale venivano denunciati i disagi di una ferrea detenzione, la notte scorsa hanno fatto il bis protestando a modo loro contro queste disposizioni imposte proprio dal tipo di detenzione alla quale sono sottoposti i carcerati in regime di alta sicurezza. I fischi e le urla messi in atto nel cuore della notte per alcune ore si sono sentiti anche a notevole distanza, amplificati dal silenzio irreale della zona periferica della frazione. Come avevano ribadito nella lettera inviata alla Nuova e a Maria Grazia Caligaris, presidentessa dell’associazione Socialismo, diritti e riforme, i detenuti hanno ribadito anche la notte scorsa le difficoltà a vivere una detenzione civile condizionata ancora una volta dalle normative volte dallo Stato. Nel lungo elenco delle rivendicazioni, ribadiscono la carenza di corsi di formazione, la riduzione dei compensi per i lavori svolti, l’affollamento delle celle e le carenze di attività culturali e sportive. I detenuti sostengono che ci sono distorsioni sostanziali sulle disposizioni previste dalle normative. Secondo quanto è trapelato dalla direzione della Casa circondariale di Massama, un terzo circa dei 270 detenuti ha promosso la nuova manifestazione di protesta. La maggior parte di loro, infatti è stata trasferita in Sardegna in regime di Alta sicurezza, tra la fine dell’anno scorso e l’inizio di del 2013 dalle carceri del nord Italia. Quasi tutti sono meridionali, soprattutto pugliesi e siciliani. Le poche informazioni della direzione del carcere confermano la nuova protesta, ma è stato ribadito che si sta facendo il possibile per venire in contro alle richieste dei detenuti. Rispetto allo scorso anno molte cose sono cambiare in meglio, ma è quasi impossibile assecondare tutte le richieste. Ad iniziare dalla presenza di due o anche tre detenuti per cella, inevitabile quando il loro numero è cresciuto oltre misura. Così come sono stati limitate, solo per la carenza di risorse, le attività lavorative. Anche per le attività ricreative la Direzione deve fare i conti con i pochi spazi disponibili e con il numero delle richieste. Si deve quindi optare o per il campo da calcetto o per la saletta dove si svolgono le altre attività culturali o formative. Per quel che riguarda la carenza delle visite mediche, è lo stesso servizio sanitario che ricorda la media di oltre mille visite al mese effettuate. Potenza: sette poliziotti penitenziari sono rimasti feriti in colluttazione con un detenuto Ansa, 4 giugno 2014 Sette poliziotti penitenziari sono rimasti feriti (ma una solo in modo più grave) ieri, nel carcere di Potenza, perché aggredite e colpite da un detenuto extracomunitario. Secondo quanto reso noto da Sappe, Uil penitenziari, Osapp, Sinappe, Ugl polizia penitenziaria, Fns-Cisl e Funzione pubblico-Cgil, il detenuto ha prima provocato danni con uno sgabello; poi ha aggredito un agente e il responsabile del reparto con calci e pugni; infine, dopo aver rotto un tavolo per procurarsi dei bastoni, ha colpito gli altri. Gli agenti hanno avuto prognosi da due a quattro giorni, ma solo un assistente capo ha dovuto essere curato al pronto soccorso dell’ospedale e ha avuto una prognosi di dieci giorni. Secondo i sindacati, il personale in servizio nel carcere di Potenza "è chiamato quasi quotidianamente a fronteggiare numerose criticità" a causa del numero dei detenuti e della "grave carenza di organico". Bologna: quei detenuti col pollice verde… di Lorenza Pleuteri La Repubblica, 4 giugno 2014 Braccia, e menti, ridate all’agricoltura. Sudore e fatica. Impegno e soddisfazioni. Mirko e Romeo, un ex assaltatore di bancomat e un ex ladro, per quattro giorni la settimana escono dalla Dozza, prendono il treno per Monteveglio e raggiungono uno dei tre poderi gestiti dagli "Streccapogn" dell’omonima associazione, anime e motori del progetto di reinserimento sociale "Coltivare cittadinanza". Dalle nove del mattino alle 16 dissodano i campi della Faggiola di Oliveto, seminano, badano alle vigne che daranno Barbera e Trebbiano, raccolgono frutti e verdure da trasformare in marmellate o da vendere al mercato, macinano il grano figlio di semi antichi. Danno da mangiare agli animali della fattoria didattica, aperta alle scolaresche. Tecnicamente i due detenuti contadini sono in quel che in gergo si sintetizza in "articolo 21", il "lavoro esterno" al carcere declinato nella forma della "pubblica utilità in favore della collettività". Ma prestano le loro braccia gratuitamente e per adesione volontaria, per quanto lo possa essere un assenso nato dietro le sbarre. Il rimborso che ricevono basta a pagare spese di viaggio e sigarette. "Lavorare la terra - dice Mirko, 35 anni, fine pena nel 2018 - è duro, impegnativo. Però si impara in fretta. Vale la fatica. E ho la possibilità di incontrare mia figlia, in un ambiente totalmente diverso da via Del Gomito". Si apprende un mestiere. Ci si confronta con altri ragazzi, con uomini maturi, le esperienze più disparate. Si torna a contatto con odori, suoni, spazi aperti, scansione delle ore e delle giornate, riadattando i sensi, i gesti e le parole a un mondo senza sbarre, senza muraglioni, senza pregiudizi. "Fare il volontario e senza stipendio - sottolinea Romeo, 28 anni, pochi mesi di condanna ancora da scontare - è sempre meglio che consumare le giornate in cella, nella totale inattività. Io a sgobbare sono abituato. Avevo la partita Iva. Finché ho trovato clienti, sono andato avanti onestamente. Poi è arrivata la crisi e le richieste si sono esaurite. Anche alla Dozza non mi sono mai tirato indietro. Ero scopino, addetto alle pulizie. Non mi sento un privilegiato, anche se so che qualcuno lo pensa. Mi hanno offerta questa cosa, ho accettato". Entrambi, Mirko e Romeo, hanno avuto una ulteriore occasione, grazie a "Chiusi fuori". Nei week end ripuliscono giardini e angoli sporchi di Bologna. Il mercoledì, invece, è giorno di riposo. E dentro non passa mai. "Streccapogn - ricorda uno dei fondatori del gruppo, Paolo Degli Esposti - è il radicchio selvatico, quello che si chiude come un pugno quando viene raccolto. Ci siamo dati questo nome perché vogliamo avere le sue qualità. La tenacia. L’attaccamento alla terra. La nostra esperienza - racconta - nasce dall’intrecciarsi delle storie e dei sogni di amici impegnati da tempo in esperienze legate al sociale, ai movimenti ambientalisti e al consumo critico. Con l’appoggio della cooperativa bolognese "Accaparlante" e di "Monteveglio Città di transizione" siamo partiti tre anni fa con la scommessa di ricostruire una comunità attorno a un modello di relazioni inclusive e solidali tra le persone e la propria terra. Ora nella nostra attività sono coinvolti una ventina tra soci, educatori, tirocinanti, soggetti con borse lavoro, disabili, altri volontari, un ex finanziere". E in questo scenario sono stati accolti anche i due detenuti, risultato raggiunto con la collaborazione e l’apporto dell’associazione Poggeschi per il carcere, della direzione della Dozza e del Comune di Bologna. Dalla Casa circondariale però arrivano anche voci critiche e spunti di dibattito: "Progetti come questi devono far riflettere. Il confine tra lavori volontari e "lavori forzati" e sfruttamento, in un contesto come quello penitenziario, è sottile, fragile. Ai detenuti contadini andrebbero pagati almeno i contributi. E bisognerebbe ragionare sui criteri di selezione di chi viene ammesso al lavoro esterno, creando graduatorie tra tutti gli aventi diritto, per superare il sistema di reclutamento ad personam e il rischio di creare privilegi". Vicenza: furti nella Basilica Palladiana?... a sorvegliarla saranno (anche) i detenuti Giornale di Vicenza, 4 giugno 2014 Anche i detenuti, tra quelli ormai prossimi al fine pena, saranno utilizzati a Vicenza per il servizio di vigilanza della Basilica Palladiana. Lo ha annunciato oggi il vicesindaco Jacopo Bulgarini d’Elci, durante la presentazione del programma di riapertura estiva del gioiello dell’architetto Andrea Palladio. Le logge e la terrazza della Basilica saranno infatti aperte al pubblico anche nelle ore serali estive. "Impiegheremo sei detenuti - ha precisato Bulgarini d’Elci - che affiancheranno il personale di sorveglianza nei diversi turni di servizio. Si tratta di una soluzione che innanzitutto ci consente di contenere i costi, perché prevede a carico del Comune una compartecipazione al progetto di soli seimila euro, con un risparmio netto di circa 40 mila euro rispetto all’affidamento di un servizio tradizionale". "A noi però - ha aggiunto - sta più a cuore il significato sociale dell’ iniziativa. Offriamo infatti un’opportunità a persone che stanno vivendo la delicata fase del reinserimento nella società alla vigilia del termine della detenzione e che, selezionate sulla base della motivazione e della competenza linguistica e avviate a uno specifico periodo di formazione, vorranno certamente dare il meglio di sé". Porto Azzurro (Li): conferenza stampa presentazione attività nella Casa di Reclusione Ristretti Orizzonti, 4 giugno 2014 "C’è del buono!", conferenza stampa convocata per lunedì 9 giugno, alle ore 10:00. Panorama delle attività in corso e in progetto della Casa di Reclusione di Porto Azzurro Con la presente si invitano le SS.VV. ad un incontro di informazione e confronto sulla più grande Casa di reclusione della Toscana (la terza in termini di detenuti presenti). Il carcere non è un semplice contenitore di condannati ma una realtà viva di operatori sociali che lavora con persone che nell’interesse di tutti devono trovare un percorso per rientrare in società e non ricadere nelle scelte delinquenziali. Questo chiede la Costituzione, questo disciplina l’ordinamento penitenziario. Tra tante difficoltà, ogni giorno nella Casa di Reclusione di Porto Azzurro si muove un mondo di attività, iniziative, lavori in corso, progetti. In questo mondo, assieme agli operatori penitenziari, vivono anche insegnanti, sanitari, volontari, professionisti, datori di lavoro. Di questo si vuole dare per una volta l’occasione per un racconto, con la speranza di far cadere qualche luogo comune e di far crescere delle curiosità positive. Un penitenziario, come una scuola, un ospedale o un centro anziani, fa parte del nostro territorio e non può e non deve essere nascosto sotto il tappeto, perché rappresenta anche una risorsa reale e potenziale in termini economici e sociali. Durante l’incontro, a cui seguirà un assaggio dei prodotti del forno della coop. Nesos, verranno presentate tra le altre, con la presenza di referenti di vari progetti, le seguenti iniziative: il laboratorio artigianale "Le valige di Napoleone"; l’attività delle associazioni di volontariato penitenziario II Dialogo e San Vincenzo De Paoli; il percorso sull’alcolismo Acat; le attività culturali dell’associazione "Unitre"; le attività della coop. San Giacomo a Pianosa e sull’Elba; il panificio della coop. Nesos; il contributo dell’Unicoop Tirreno; Il progetto europeo sul cibo "Taste of Freedom" della coop. Beniamino; il premio "Strega" e i concorsi letterari; l’attività del rugby dell’Elba Rugby e altre attività sportive sostenute dal Coni; il liceo scientifico e le attività scolastiche del Ctp Portoferraio; la partecipazione di detenuti agli eventi esterni come il Giro podistico o la colletta alimentare; il progetto "Trio" di formazione a distanza; il laboratorio teatrale e musicale; tante altre iniziative culturali, musicali, lavorative e di solidarietà. L’incontro si terrà nella Sala convegno esterna all’area detentiva, nella cittadella penitenziaria. Saranno presenti anche alcuni detenuti con autorizzazione al lavoro esterno. Sarà possibile effettuare fotografie e riprese televisive. Si prega di comunicare i nomi dei partecipanti per telefono o posta elettronica entro il 6 giugno. Torino: proteste anti-sfratti, disposte 29 misure cautelari, 11 persone finiscono in carcere Adnkronos, 4 giugno 2014 Sono 29 le misure cautelari che Digos e Carabinieri hanno eseguito dall’alba di ieri in tutta Italia nei confronti di esponenti di area anarchica per vari episodi legati alle proteste contro gli sfratti avvenuti tra il settembre 2012 e il gennaio 2014. L’inchiesta è coordinata dai pm torinesi Antonio Rinaudo e Andrea Padalino. In particolare sono 11 gli arresti in carcere, 6 i domiciliari e 12 gli esponenti anarchici raggiunti da altre misure tra divieti o obblighi di dimora e obblighi di firma alla polizia giudiziaria. I reati contestati vanno dal danneggiamento, alla resistenza e violenza aggravata a pubblico ufficiale, violenza privata, sequestro di persona e invasione di edifici. Secondo le indagini le persone colpite dai provvedimenti, in maniera organizzata e ripetuta, hanno posto in essere una serie di reati volti ad impedire che gli ufficiali giudiziari potessero eseguire gli sfratti, creando situazioni di conflitto con le forze dell’ordine presenti con ricadute sul piano dell’ordine e della sicurezza pubblica come minacce, blocchi stradali e assalti a caserme. I destinatari delle misure sono in prevalenza appartenenti al movimento anarchico che fa capo al centro sociale "Asilo Principe di Napoli" di via Alessandria 12 ed al posto occupato di via Lanino 2, in cui gravitano anche soggetti provenienti da altre province. Contestualmente le forze dell’ordine hanno eseguito diverse perquisizioni a carico degli indagati sequestrando materiale che ora è al vaglio degli investigatori. Milano: "Ma i sogni li ho presi?", storia di un carcerato salvato dal teatro La Repubblica, 4 giugno 2014 Il teatro del carcere esce fuori dal carcere. Debutta oggi e domani in prima nazionale ai Frigoriferi Milanesi "Ma i sogni li ho presi?", prima produzione "esterna" della compagnia Stabile in Opera, costola teatrale dell’associazione Opera Liquida che dal 2009 lavora con i detenuti all’interno della casa di reclusione di Opera. Tappa finale del festival "Prova a sollevarti dal suolo", che ha ospitato in carcere tre compagnie di ricerca, la pièce è legata al percorso che tanti attori detenuti vivono sulla loro pelle. È infatti la storia di un ragazzo di buona famiglia scappato di casa a sedici anni e vissuto tra strada e prigione, finché l’incontro dietro le sbarre con il teatro lo avvia a un cambiamento vero. Non fiction, ma vita vissuta: quella di Roger Mazzaro, anche interprete (con l’attrice Maria Rosa Carniti) e autore del testo, che ha la drammaturgia e la regia di Ivana Trettel. In scena, Mazzaro ripercorre la sua storia procedendo per salti emotivi, narrazioni e flashback, dall’infanzia alla caduta in una spirale di violenza, furti e droga, dalle incursioni con la Crew16k, gruppo di writer e rapper della Barona, alle ripetute carcerazioni, fino ad arrivare alla soglia dei quarant’anni alla decisione di riprendere in mano il proprio destino. Via Piranesi 10, ore 21, 15 euro con prenotazione obbligatoria all’e-mail prenotazionistabileinopera@gmail.com. Droghe: un decreto per le pene illegittime di Stefano Anastasia Il Manifesto, 4 giugno 2014 Al decreto-legge promesso a Strasburgo sulle carceri si aggiunga un articolo, semplice semplice, con cui si stabilisce che il giudice dell’esecuzione provvede d’ufficio alla rideterminazione della pena illegittima nella misura in cui essa è stata ridotta in astratto (dei due terzi, nel caso della dichiarazione di incostituzionalità della Fini-Giovanardi). Dunque anche su questo avevamo ragione: non è possibile eseguire pene illegittime. Come la Corte costituzionale ci ha dato ragione sulla illegittimità della legge Fini-Giovanardi, così le sezioni unite della Cassazione ci hanno dato ragione sull’impossibilità di continuare l’esecuzione di pene determinate sulla base di norme giudicate costituzionalmente illegittime. Il caso all’esame della Suprema Corte riguardava l’esecuzione di pene viziate dalle norme incostituzionali della legge Cirielli, la "Three Strikes Law" dè noaltri, ma c’erano precedenti sull’aggravante di immigrazione clandestina (anch’essa giudicata incostituzionale dalla Consulta) e gli effetti della decisione inevitabilmente si riflettono sulle pene spropositate volute dalla Fini-Giovanardi. Eccole qua, le tre leggi del sovraffollamento penitenziario italiano riunite nel comune giudizio di illegittimità costituzionale. Non si poteva far di meglio per rendere chiaro al colto e all’inclita che quella vergogna nazionale non è il frutto di una congiunzione astrale, ma di precise scelte politiche di cui qualcuno porta la responsabilità. Vedremo se Governo e Parlamento saranno capaci di "cambiare verso" in queste delicate materie. Intanto, però, bisogna affrontare il destino di quelle migliaia di detenuti che stanno scontando una pena illegittima. Quello affermato dalla Cassazione è un principio di diritto che vale nel caso concreto. I singoli giudici di merito potranno richiamarvisi per decidere quelli che verranno loro sottoposti. Ma quanti delle migliaia di detenuti condannati sulla base di pene illegittime sanno che stanno scontando una pena cui non dovrebbero essere tenuti? E quanti sanno che possono rivolgersi a un giudice per farsela rideterminare? E quanti sono i giudici che, come a Milano qualche settimana fa, potrebbero confermare una pena minima in base alla Fini-Giovanardi per il solo fatto che rientra nei nuovi limiti di pena, senza considerare che ora sarebbe una pena massima? Il campo delle ingiustizie potrebbe allargarsi fino a includere la maggioranza di quei detenuti in esecuzione di pene illegittime. All’indomani della sentenza della Corte costituzionale avevamo chiesto al Governo un decreto ad hoc, affinché fosse fissata per legge la rideterminazione delle pene illegittime. L’amministrazione penitenziaria avrebbe potuto almeno informare i detenuti interessati della possibilità di ricorrere al giudice dell’esecuzione. Nulla di tutto ciò è successo, salvo qualche modifica migliorativa del discutibile decreto Lorenzin. Ora però la pronuncia della Cassazione ripropone il problema e in alcune procure si comincia a paventare il collasso degli uffici di esecuzione. Bene, sarà dunque il momento per recuperare il tempo perduto: nel decreto-legge promesso a Strasburgo per sanare la mancanza di rimedi compensativi alla violazione dei diritti dei detenuti in Italia, si aggiunga un articolo, semplice semplice, con cui si stabilisca che il giudice dell’esecuzione provvede d’ufficio alla rideterminazione della pena illegittima nella misura in cui essa è stata ridotta in astratto (dei due terzi, nel caso della dichiarazione di incostituzionalità della Fini-Giovanardi). Non è la riforma organica che ci vorrebbe sulle droghe, non è un provvedimento di clemenza ad hoc come quello che Obama sta mettendo in opera negli Usa, non è il generale provvedimento di clemenza che servirebbe per ricondurre alla piena legalità le carceri italiane, ma - almeno - cancellerebbe l’ulteriore vergogna di migliaia di detenuti trattenuti in carcere sulla base di una legge dichiarata incostituzionale. India: caso marò; esposto a magistrati per far luce su responsabilità in Italia 9Colonne, 4 giugno 2014 Un esposto alla magistratura che ripercorre i fatti che hanno portato i due fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone ad essere detenuti in India da oltre 2 anni. È questa l’iniziativa annunciata in una conferenza stampa a Montecitorio dal generale Fernando Termentini e che verrà messa in atto probabilmente in coincidenza con la manifestazione del 14 giugno a Roma in sostegno dei due marò. Un atto al quale "siamo giunti ora per un motivo preciso", spiega Termentini, "perché viviamo un momento a dir poco di ‘oscurantismo’, siamo all’oscuro di tutto e andiamo avanti per illazioni". L’iniziativa è appoggiata anche dall’ambasciatore Giulio Terzi di Sant’Agata, ex ministro degli Esteri all’epoca dei fatti che hanno portato al fermo dei due militari italiani e oggi membro di Fratelli d’Italia-Alleanza Nazionale. "Ieri è stato il terzo 2 giugno che ha visto i due marò Latorre e Girone illecitamente trattenuti in India - sottolinea Terzi - e il percorso internazionale dell’azione di un arbitrato obbligatorio è stato quello affermato dal governo come l’unica vera strada che può risolvere questo caso". "Sono favorevole alla presentazione di questo esposto - dice l’ex ministro - così come alla proposta portata avanti da Fdi di istituire una commissione parlamentare d’inchiesta sulla vicenda", perché "non sono tra quelli che pensano che le cortine fumogene giovino alla situazione dei due militari italiani". "La nostra iniziativa - spiega il generale Termentini - consiste in un esposto alla magistratura affinché venga fatta chiarezza sulle responsabilità iniziali, in corso d’opera e attuali sul fatto che ancora il problema dei due marò non si sia risolto e rimangano ostaggio di uno Stato terzo sottoposti a un giudizio indebito". Secondo Termentini "è venuto il momento per lo stato di diritto di riguadagnare qualche punto" e questo "non vuol dire affermare che sono innocenti, ma gli deve essere riconosciuta l’indennità funzionale e hanno diritto di essere giudicati dal loro giudice naturale, che è quello italiano". "Durante questi due anni - ribadisce Terzi - c’è sempre stato un forte dialogo con le autorità indiane che purtroppo non ha portato l’unico esito soddisfacente che è quello di restituire i due marò al loro giudice naturale. Continuiamo a chiederci perché alla politica degli annunci non faccia seguito quella dei fatti e l’atteggiamento continui ad essere assolutamente interlocutorio". "Non mi risulta infatti - sottolinea il presidente Fdi Ignazio La Russa, arrivato in conferenza stampa a testimoniare la sua "vicinanza" all’iniziativa - che nonostante gli annunci del governo Renzi sia stata ancora avviata la procedura per l’arbitrato internazionale". Stati Uniti: Corte Ohio esaminerà l'appello di un sopravvissuto all'iniezione letale La Presse, 4 giugno 2014 La Corte suprema dell'Ohio, negli Stati Uniti, ha deciso di ascoltare il caso di Romell Broom, unico uomo a essere scampato all'iniezione letale mentre era già sul lettino e che sostiene che sarebbe sottoposto a una punizione ingiusta se venisse nuovamente messo a morte. "Qualunque tentativo di uccidere Broom per una seconda volta costituirà necessariamente la ripetizione di almeno una parte del dolore che ha già provato e che può essere inflitto una sola volta, perciò eseguire la condanna a morte equivarrebbe a punirlo due volte per lo stesso reato", affermano gli avvocati del detenuto. L'esecuzione di Broom, nel 2009, venne fermata dall'allora governatore Ted Strickland dopo che gli addetti all'iniezione tentarono senza successo per due ore di trovare una vena. Il detenuto sostiene di avere subito almeno 18 tentativi di iniezione in quel periodo di tempo, fatto che gli procurò un dolore tale da farlo scoppiare in lacrime e urla. L'appello in sede federale di Broom è al momento sospeso, in attesa del verdetto della Corte suprema dello Stato. Dal giorno della tentata esecuzione, Broom è tornato nel braccio della morte, senza che venisse stabilita una nuova data per l'iniezione letale. Un caso del 1947 potrebbe costituire un precedente nel caso di Broom. Uzbekistan: 70mila amnistiati per celebrare Costituzione, in 3mila escono dalle carceri Tm News, 4 giugno 2014 L’Uzbekistan ha liberato dalle sue carceri più di 3.000 prigionieri sulla base di un’amnistia che ha riguardato quasi 70mila persone. Lo ha annunciato la procura generale dello stato più popoloso dell’Asia centrale. L’amnistia si è applicata a 69.497 persone, ha precisato la procura. Di queste 43.082 si sono viste cancellare le condanne, di cui 3.237 sono state liberate dalle prigioni e dai centri di detenzione. Il resto è ancora in attesa di processo. L’amnistia viene annunciata ogni dicembre per celebrare l’anniversario della Costituzione del 1992 dell’ex repubblica sovietica e si applica solitamente alle donne, ai condannati minorenni e di età superiore a 60 anni, agli stranieri. L’Uzbekistan, paese laico a maggioranza musulmana di 30 milioni di abitanti, non ha mai rivelati l’ampiezza della sua popolazione carceraria. Lo scorso anno la Croce rossa internazionale ha smesso le visite ai prigionieri uzbeki perché non in condizione di seguire le procedure di lavoro standard. Germania: ex presidente Bayern Monaco Hoeness in carcere "qui sei come tutti gli altri" www.globalist.it, 4 giugno 2014 L’ex presidente del Bayern Monaco, colpevole di un’evasione da 28,5 milioni di euro, ha varcato la soglia del penitenziario per scontare la condanna di 3 anni e mezzo. "Qui sei come tutti gli altri". È questo, più o meno, il benvenuto che Uli Hoeness ha ricevuto nel carcere di Landsberg am Lech. L’ex presidente del Bayern Monaco, colpevole di un’evasione fiscale da almeno 28,5 milioni di euro, ha varcato la soglia del penitenziario per scontare la condanna di 3 anni e mezzo. "Ulrich Hoeness si è presentato oggi nel carcere di Landsberg per scontare la pena comminata nei suoi confronti", hanno reso noto i legali del 62enne. Il neodetenuto, senz’altro l’ospite più illustre del carcere bavarese, non potrà contare su nessun trattamento di favore. "Le condizioni sono uguali per tutti", ha spiegato Anton Bachl, capo del sindacato dei funzionari dei penitenziari, all’agenzia Dpa. "In carcere, è come stare in un altro mondo. È la stessa cosa per un milionario o per un contadino", ha aggiunto. Il rituale, quindi, è sempre il solito. Oggi, nella prima giornata, Hoeness ha dovuto spogliarsi e consegnare i suoi effetti personali, tranne un orologio e la fede nuziale. Successivamente, appuntamenti con il medico e con lo psicologo per le visite. Quindi, al lavoro per delineare un "piano di reclusione" che tenga conto delle sue attitudini e capacità. Con il kit ricevuto dopo l’immatricolazione, Hoeness si attrezzerà per la prima notte nella cella di 8-10 metri quadrati arredata con un letto, un armadio e un tavolo. La doccia, invece, è in locali che vanno condivisi con gli altri detenuti. Da domani, Hoeness seguirà il programma standard delle carceri bavaresi. Sveglia alle 6 e primi controlli, colazione e poi al lavoro, obbligatorio. Hoeness, imprenditore nel settore alimentare, potrebbe ritrovarsi in cucina. Dalla maglia rossa del Bayern, passerà alla divisa formata da pantaloni blu e maglietta verde. Formalmente, avrà a disposizione almeno un’ora al mese per le visite ma potrà chiedere appuntamenti supplementari per incontrare il proprio legale. Nel penitenziario è possibile guardare la televisione, ma non i programmi delle pay-tv che trasmettono le partite della Bundesliga. Questa sarà la routine per almeno 10 mesi, quando potrebbero scattare condizioni più soft con la concessione di permessi. Dopo un anno e mezzo, inoltre, Hoeness potrà chiedere una revisione della pena. In caso di buona condotta, potrebbe usufruire di permessi e uscire dal carcere dopo 2 anni e 4 mesi. Iran: incerta la sorte di sei cristiani detenuti a Tehran www.ncr-iran.org, 4 giugno 2014 Sei cristiani, arrestati mentre celebravano la Pasqua, vengono ancora trattenuti in una località sconosciuta, secondo Mohabat News. Dopo che agenti in borghese del regime iraniano hanno fatto irruzione in una casa, a Pasqua, durante una cerimonia religiosa privata, sono stati arrestati Ehsan Sadeghi, Nazi Irani, Maryam Assadi, Ali Arfàe, Vahid Safi ed Amin Mazloomi che poi sono stati trasportati in tutta fretta in posti sconosciuti. Più di un mese dopo il raid, questi prigionieri cristiani non sono stati ufficialmente accusati di alcun reato e i funzionari si sono rifiutati di fornire qualunque motivazione del loro arresto.