Papa Francesco, ti chiediamo un pensiero e un messaggio per gli uomini ombra di Carmelo Musumeci (detenuto nel carcere di Padova) Ristretti Orizzonti, 3 giugno 2014 Dio, lo so, non ti dovrei scrivere perché non sono credente, ma ho scritto un po’ a tutti e nessuno mi ha mai risposto e ho pensato di rivolgermi anche a te. (Frase trovata scritta sulla parere di una cella di un ergastolano) Francesco, venerdì, sei giugno 2014, qui nel carcere di Padova ci sarà un convegno sull’abolizione dell’ergastolo. Lo so non potrai essere presente, ma ti chiediamo un pensiero, una preghiera, un messaggio, un cenno per darci un po’ della tua voce e della tua luce. Francesco, devi sapere che da quando hai abolito la "Pena di Morte Viva" (come chiamiamo noi la pena dell’ergastolo) non c’è un uomo ombra (così si chiamano fra loro gli ergastolani) che non vorrebbe essere prigioniero nel carcere della Città del Vaticano perché qui viviamo nel nulla di nulla, destinati a marcire in una cella per tutta la vita. Francesco, devi sapere che l’ergastolano non vive, pensa di sopravvivere, ma in realtà non fa neppure quello, perché questa crudele pena ci tiene solo in vita, mentre una pena giusta dovrebbe avere un inizio e una fine. Francesco, nessun essere umano o disumano meriterebbe di vivere con una punizione senza fine, tutti dovrebbero avere diritto di sapere quando finisce la propria condanna. La pena dovrebbe essere buona e non cattiva. E dovrebbe risarcire e non vendicare. Una pena che ti prende il futuro per sempre ti leva il rimorso per qualsiasi male che uno abbia commesso. Una volta un mio compagno di cella mi ha raccontato che il più grande dolore non è stato la sofferenza della condanna alla pena dell’ergastolo, ma il momento del perdono che ha ricevuto dalla vittima del suo reato. Nessun’altra specie vivente tiene un animale dentro una gabbia per tutta la vita, una pena che non finisce mai non ha nulla di umano e ti fa passare la voglia di vivere. Come fa a rieducare una pena che non finisce mai? Molti ergastolani, dopo venti anni di carcere, camminano, respirano e sembrano vivi ma in realtà sono morti. Francesco, diglielo tu ai "buoni" che gli ergastolani non hanno paura della morte perché la loro vita non è poi cosa diversa dalla morte. Diglielo tu ai "buoni" che nelle carceri italiane ci sono uomini che sono ombre che vedono scorrere il tempo senza di loro e che vivono aspettando di morire. Diglielo tu ai "buoni" che solo il perdono fa nascere ai cattivi il senso di colpa mentre le punizioni crudeli e senza futuro fanno sentire innocenti anche i peggiori criminali. Diglielo tu ai "buoni" che la migliore difesa contro l’odio è 1’amore e la migliore vendetta è il perdono. Diglielo tu ai "buoni" che dopo tanti anni di carcere non si punisce più quella persona che ha commesso un crimine, ma si punisce un’altra persona che con quel crimine non c’entra più nulla. Diglielo tu ai "buoni" che 1’ergastolo ostativo è una vera e proprio tortura che umilia la vita e il suo creatore. Gli uomini ombra ti mandano un sorriso fra le sbarre. Giustizia: la situazione in cui versano le carceri è sempre disastrosa… di Valter Vecellio www.articolo21.org, 3 giugno 2014 Non se ne parla quasi più. Eppure la situazione in cui versano giustizia e carceri è sempre disastrosa, comatosa. Eppure il termine fissato dalla Corte di Giustizia Europea per sanare la situazione è abbondantemente scaduto. La situazione attuale: un detenuto su cinque è in carcere senza aver subito un processo. Sono in questa condizione 10.389 reclusi, il 17% dell’intera popolazione carceraria (59.683, secondo i dati aggiornati al 30 aprile scorso). Un fenomeno che incide sul sovraffollamento, ha costi umani ed anche economici per il Paese, visto che ogni giorno per la carcerazione preventiva l’Italia spende circa 1,3 milioni di euro. I dati emergono da un’analisi dell’Associazione italiana giovani avvocati. Per arrivare a stabilire quanto costa la carcerazione preventiva l’Aiga è partita dai dati del ministero della Giustizia, e ha poi moltiplicato il numero dei detenuti sottoposti al carcere preventivo a quello che lo Stato spende al giorno per ogni singolo recluso: una cifra pari nel 2013 a quasi 125 euro, in un anno 45.610 euro. Dal punto di vista numerico la situazione è migliorata da quando nel gennaio del 2013 fu pronunciata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo la sentenza Torreggiani, visto che allora i detenuti in attesa di giudizio erano circa 12.439 (18,87%) su un totale di 65.905 detenuti. Ma anche l’attuale numero di reclusi senza processo è "ancora troppo alto, considerato che si tratta di persone sottoposte ad una misura cautelare senza aver subito alcun processo". L’Aiga ricorda che il più recente dato sul sovraffollamento carcerario, quello elaborato dal Consiglio d’Europa e aggiornato al 1 settembre 2012, vede l’Italia posizionata al penultimo posto, "peggio di noi solo la Serbia". È facile prevedere -sostengono i giovani avvocati - che ai ricorsi pendenti si aggiungeranno quelli di nuova proposizione, con la conseguenza che l’Italia dovrà sborsare ulteriori ingenti somme relative ai risarcimenti: tra i 10 e i 20mila euro a detenuto, secondo quanto disposto dalla Corte nella sentenza. Una situazione di palese illegalità, una situazione che non può essere risolta dai provvedimenti tampone annunciati dal Governo; una situazione in contrasto con la Costituzione e la normativa europea, e che può essere sanata solo a partire da un provvedimento di amnistia e indulto. Lo ha ben detto, l’altro giorno, il Procuratore generale aggiunto che coordina i magistrati dell’esecuzione penale, dottoressa Nunzia Gatto: "Personalmente sono dell’idea che si sarebbe dovuto seguire la linea più volte indicata dal presidente della Repubblica per alleggerire il sovraffollamento carcerario: amnistia e indulto. In quel modo, per noi sarebbe stato possibile applicare automaticamente il condono ai detenuti che ne avessero avuto diritto". Il 28 maggio è il termine ultimo fissato dalla Cedu allo Stato italiano per porre fine alla tortura praticata nei confronti dei detenuti ristretti nelle nostre carceri è alle nostre spalle; eppure finora nulla è stato fatto. Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, con il suo messaggio alle Camere ha "gridato" il suo autorevolissimo "non si perda neanche un giorno", non è servito a nulla. Ci sono statele iniziative nonviolente che i radicali in questi mesi hanno messo in atto: dallo sciopero della fame e della sete di Marco Pannella a quello della segretaria di Radicali Italiani Rita Bernardini, fino agli appelli diffusi e sottoscritti da numerose personalità alle lettere inviate al Capo dello Stato. Da ultimo, ma non ultimo, gli incoraggiamenti e gli appelli di papa Francesco con le sue telefonate a Pannella… l’obiettivo non può essere più chiaro: chiedere alle nostre istituzioni di porre in atto tutti i provvedimenti legislativi volti ad eseguire quanto richiesto dalla Corte di Strasburgo con la sentenza Torreggiani e cioè a rimuovere le cause strutturali e sistemiche del sovraffollamento carcerario che generano i trattamenti disumani e degradanti nelle nostre carceri. La Cedu ci ha chiesto di rimuovere le cause strutturali che generano trattamenti inumani e degradanti, e tutto questo non si è realizzato. In realtà fin dall’emanazione della sentenza Torreggiani l’Italia avrebbe dovuto rimuovere subito i trattamenti inumani, per questo abbiamo proposto da anni un provvedimento di amnistia e indulto. Certo possiamo dire che ci sono meno detenuti, ma rimane la situazione di una pena illegale che continua a essere eseguita nelle nostre carceri, anche nella forma della custodia cautelare. Gli aspetti della pena illegale in Italia non riguardano solo gli spazi a disposizione di ciascun detenuto (e qui il sovraffollamento persiste) ma anche la possibilità di accesso alle cure. Su questo versante la situazione è disastrosa, perché oltre i tossicodipendenti, che sono il 32%, il 27% di detenuti ha un problema psichiatrico. Non solo: malattie infettive debellate all’esterno dietro le sbarre si diffondono sempre di più. Tra queste, l’epatite C è la più frequente (32,8%), seguita da Tbc (21,8%), epatite b (5,3%), Hiv (3,8%) e sifilide (2,3%). Con tutti i rischi di diffusione di queste malattie all’esterno. Per quel che riguarda inoltre le possibilità di accesso alle attività trattamentali, quali il lavoro e lo studio siamo ancora all’anno zero. C’è una percentuale bassissima di detenuti che può svolgere lavori poi spendibili all’esterno. Su quasi 60.000 detenuti, solo 2.278 solo quelli che svolgono attività per datori di lavoro esterni, mentre 12.268 fanno lavori poco qualificanti all’interno del carcere. Quanto agli interventi approvati per ridurre l’emergenza sovraffollamento, queste misure non sono tali da far uscire l’Italia dall’illegalità e farla rientrare nei parametri costituzionali italiani ed europei. In particolare va sottolineato che ancora una volta la politica ha scaricato le decisioni sui magistrati di sorveglianza. Questi ultimi non riuscivano a star dietro a tutte le istanze presentate dai detenuti in quanto la pianta organica, peraltro insufficiente, che prevede 173 unità, in realtà vede coperti soltanto 158 posti. A ciò si aggiunga il fatto che ancora più carente è il personale amministrativo e di cancelleria. Inoltre fra i compiti aggiuntivi per i magistrati di sorveglianza, c’è quello del cosiddetto "rimedio interno" che l’Italia ha dovuto prevedere viste le tantissime istanze presentate alla Corte Ue da parte di detenuti. In base a questa norma, il detenuto deve fare tutta la trafila interna e alla fine del procedimento, se ritiene che i suoi diritti siano stati violati, può fare ricorso alla Corte Europea. La democrazia e lo stato di diritto si possono realizzare solo difendendo i diritti umani fondamentali. Ne siamo, purtroppo, ben lontani. Giustizia: carceri italiane… a che punto è la notte? di Fabio Pizzi www.unimondo.org, 3 giugno 2014 È appena scaduto l’ultimatum della Corte Europea dei diritti dell’uomo che un anno e mezzo fa, in seguito a controlli in sette carceri nazionali, aveva condannato il nostro paese per le condizioni disumane in cui erano costretti a vivere i detenuti e aveva imposto una revisione dei regimi carcerari entro 15 mesi. Missione compiuta, quindi? Immaginate di vivere in un paese dove le prigioni somigliano alle segrete dei peggiori film di serie zeta, con detenuti obbligati a vivere quasi senza lavarsi, dormendo per terra, spesso ammassati come bestie, senza nemmeno lo spazio per respirare e dimenticati in carcere senza la possibilità di compiere attività formative o di recupero di alcuni tipo. Indovinato! Ci vivete già. Nel gennaio 2013 la Corte Europea ha sanzionato lo Stato Italiano per aver violato l’articolo 3 della Convezione Europea dei diritti dell’uomo, per intenderci quello che proibisce la tortura e i trattamenti inumani e degradanti, e ci ha concesso un anno e mezzo per trovare una soluzione al sovraffollamento e alla condizione dei carcerati, onde evitare di dover pagare ai detenuti maltrattati che presentino ricorso per la loro condizione multe che cumulate arriverebbero a svariati milioni di Euro. Qualcosa si è mosso, e il recente decreto svuota carceri, appena divenuto legge, aveva esattamente lo scopo, con il suo corollario di sconti di pena, depenalizzazioni di reati, utilizzo di braccialetti elettronici e le immancabili polemiche ad uso e consumo dei teatrini delle varie fazioni politiche, di liberare il maggior numero di celle possibili ed evitare di venire obbligati ad aprire le già prosciugate casse pubbliche. Niente umanità o rinascita della passione per i diritti civili, dunque, ma semplice e pura contabilità. Per fare un esempio: la chiusura degli Opg, gli ospedali psichiatrici giudiziari, vere "carceri per matti pericolosi", è ancora una volta rimandata, perché non ci sono risorse o forse perché interessa a pochissimi. Ma vediamo la questione nel dettaglio grazie ai dati resi noti da Mauro Palma, fondatore e presidente onorario di Antigone e nel 2013 nominato Presidente della Commissione del Ministero della Giustizia italiano per l’elaborazione degli interventi in materia penitenziaria. Il dott. Palma, profondo conoscitore della materia, comincia con il definire il nostro modello detentivo completamente sbagliato se rapportato alle principali normative europee "si tratta di un modello totalmente reclusivo, passivizzante e chiaramente dal punto di vista della rieducazione sociale non serve a niente, non ti abitua a gestire la tua giornata, non ti abitua a metterti in gioco. La commissione voluta dal ministero ha analizzato tutta una serie di misure che impostavano il mutamento del modello detentivo italiano per portarlo in linea con le regole penitenziarie europee" I numeri post decreto parlano chiaro: in poco più di un anno l’Italia è passata dall’avere più di 67.000 detenuti a fronte di 46.000 spazi detentivi disponibili a contare 60.000 incarcerati con un incremento dei posti a 49.000, con una media di messa in libertà di circa 350 persone ogni mese. Ed il numero dei rilasciati potrebbe ulteriormente aumentare data la recentissima incostituzionalità legata alla legge Fini Giovanardi la quale equiparando droghe leggere e pesanti aveva portato ad un aumento delle carcerazioni legate alla detenzione di droghe leggere. La sentenza della Corte Costituzionale ha causato la rideterminazione (al ribasso) della pena per molti detenuti a causa di piccoli reati legati alla droga: con le nuove regole, che in realtà ripristinano le vecchie, molte usciranno. Certamente la strada da compiere è ancora lunghissima e la risposta non può prendere la forma di una sentenza libera tutti. È necessario rafforzare i percorsi riabilitativi all’interno delle prigioni dove presenti e approntarne dove ancora non ve ne sono, in modo da tentare il recupero di chi ha sbagliato. Proprio per questo, tutte le associazioni italiane impegnate nel mondo carcerario si sono unite in un cartello comune inviando una precisa richiesta di riforma del sistema penitenziario italiano non solo al premier Renzi e al presidente Napolitano ma anche al presidente del Consiglio Europeo Hermann Van Rompuy e al presidente della commissione Libertà civili del Parlamento Europeo Juan Fernando Lòpez Aguilar. Viene in mente Il famoso versetto di Isaia: sentinella quanto resta della notte? Giustizia: carceri, il ministro Orlando ottimista sulla Corte europea di Francesco Grignetti La Stampa, 3 giugno 2014 Vigilia di sentenze per l’Italia: la corte di Strasburgo valuterà tra oggi e domani le nostre politiche sul carcere. E deciderà se, un anno dopo la sentenza Torreggiani, negli istituti penitenziari d’Italia si conducono tuttora "pratiche inumane e degradanti". Se così fosse, oltre al marchio di ignominia sul Paese che si appresta a guidare il Semestre europeo, vi sarebbe anche la beffa di dover pagare milioni di euro (cento, secondo alcune stime) in risarcimenti ai detenuti. Quantomeno ai primi 700 che hanno presentato ricorso a Strasburgo. Il sovraffollamento dei detenuti è certamente il primo dei parametri che verrà osservato, ma non solo. Tra le prescrizioni di Strasburgo vi era anche il lavoro per i detenuti, le ore di cella e le ore d’aria, la socialità, la possibilità per i tossicodipendenti di accedere alle comunità di recupero, la possibilità di reclami. Da allora, molte cose sono state fatte, molte altre sono da fare, tanto che il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, si dice "moderatamente ottimista". I numeri dicono che si è scesi nel giro di un anno da 66 a 59 mila ristretti nelle carceri. Nel frattempo, però, causa lavori di ristrutturazione, i posti regolamentari sono passati da 48 a circa 44 mila. L’indice di sovraffollamento è ancora elevato. "Però - spiegava ieri il ministro in un’intervista all’Unità - il problema non è solo il rapporto fra detenuti e metri quadri, ma di un sistema costoso e poco efficiente, incentrato solo sul carcere, con l’effetto di tassi di recidiva altissimi". Orlando conta nelle pene alternative e nella detenzione domiciliare. Con accordi bilaterali, poi, mira a far scontare la pena nel proprio Paese a 5000 detenuti stranieri. Ma ora la parola va a Strasburgo. Giustizia: è legge la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari www.leggioggi.it, 3 giugno 2014 Entro il 31 marzo 2015 aboliti gli Opg in Italia. È ufficiale la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari. Dopo un lunghissimo tira e molla, una serie di rinvii per una decisione tanto attesa, ma più volte rimandata, ora finalmente c’è una data certa: il 31 marzo 2015, grazie al voto dei 294 deputati favorevoli a Montecitorio, che hanno confermato il testo uscito da palazzo Madama. I contrari sono stati 109. Entro quella data, dunque, il decreto 52/2014 ha stabilito che andranno sbarrate le strutture di ricovero per condannati a cui siano stati riscontrati problemi psichici permanenti e si trovino internati per il bisogno di cure di tipo continuativo. Secondo quanto stabilisce la legge appena approvata, i magistrati dovranno adottare misure alternative al confinamento negli ospedali psichiatrici giudiziari, fino al termine ultimo della loro chiusura definitiva. Eccezioni saranno consentite solo in rari casi di conclamata pericolosità sociale dell’individuo, oppure qualora le cure non siano sufficienti a limitare il rischio per la comunità che il soggetto può detenere. Ciò nonostante, potranno essere sufficienti condizioni di emarginazione particolari a dichiarare la pericolosità sociale della persona sottoposta alle cure in ospedale psichiatrico giudiziario, o, in aggiunta, anche alla latenza di un adeguato progetto di recupero e di assistenza terapeutica. Entro 30 giorni verrà istituito un tavolo ad hoc per il superamento degli Ospedali psichiatrici giudiziari, che avrà il compito di presentare una relazione sull’avanzamento dell’iter di chiusura delle strutture degli "ergastoli bianchi". Dopo l’approvazione, ci sarà tempo 45 per le regioni sul cui territorio sia presente almeno un Ospedale psichiatrico giudiziario, per presentare i progetti alternativi di riabilitazione alle persone internate, per favorire le dimissioni dalle strutture di ricovero. Giustizia: dal recupero di materie prime nasce lavoro e dignità nelle carceri di Adriano Moraglio Il Sole 24 Ore, 3 giugno 2014 Materie prime recuperate da lavatrici, piccoli elettrodomestici, vecchi pc e varie altre apparecchiature elettriche ed elettroniche (Raee): dal 2009 a oggi 2.500 tonnellate di materiali sono state trattate da 60 detenuti, occupati con borse lavoro, tirocini e con contratti a tempo determinato. Una sola recidiva. Accade nelle carceri di Bologna, Forlì e Ferrara presso laboratori interni all’istituto, ma anche esterni, gestiti da cooperative. Nel 2013 i detenuti hanno trattato un quinto di tutto il materiale raccolto dai consorzi. Nei giorni scorsi questo progetto è stato premiato come il migliore in Italia alla Settimana europea per la riduzione dei rifiuti. Ma non ci sono solo ì Raee: con il progetto "Sigillo" una decina di coop in Italia sta impiegando una cinquantina di detenute il cui lavoro vale un fatturato stimato intorno ai 500mila euro, una buona parte dì questo proveniente da prodotti (soprattutto borse e accessori) realizzati con scarti (e tanta dignità ritrovata). Nelle carceri italiane il lavoro con materiali dì recupero realizzato dalle detenute si sta diffondendo. A Milano, a San Vittore, la cooperativa Alice, con il marchio "Gatti galeotti" fa grembiuli, shopper e cappelli con rimanenze di tessuti. Mentre col brand " Sartoria San Vittore" fa collezioni con stoffe di "prima mano". Del resto è la moda (abbigliamento e accessori) il principale ambito di riutilizzo di tessuti, pvc, oppure iuta, per dare lavoro alle carcerate. A Roma, a Rebibbia, la cooperativa sociale Ora d’aria dà lavoro a cinque detenute contrattualizzate che trattano pvc ricavato da striscioni pubblicitari, stoffe e anche bottoni, riferisce la presidente Daniela Arronenzi. Un’attività che si finanzia con la commercializzazione (in particolare in due negozi a Roma) dei suoi prodotti, tra cui borse e cartelle per congressi di organizzazione dai sindacati alla Fao a un recente convegno della Conferenza episcopale italiana) e gadget come cappellini (per le Olimpiadi di Sochi). Lavorando con i materiali di recupero la cooperativa si è fatta conoscere e ad essa è stata affidata dai cappellani delle carceri la realizzazione dell’ormai famosa borsa in pelle di papa Francesco. Spesso i materiali di lavoro arrivano da campionari, come è accaduto con la stoffa fornita da Ikea. Alla Casa circondariale di Torino opera "Uno di due" presieduta da Silvia Braga e che occupa a tempo determinato tre detenute. I materiali per borse, shopper, pochette, contenitori, cestini e gadget provengono da pezze di industrie tessili, da campionari (come quelli di BasicNet) o da striscioni in pvc di grandi eventi Dalle Olimpiadi al Settembre Musica di "Mito". Al Museo Egizio di Torino fanno bella mostra i gatti-pupazzetti in tessuto, che compaiono disegnati anche su borse a tracolla e shopper. I prodotti sono commercializzati per gli eventi di riferimento, tramite contatti diretti e col sito internet. In Puglia, nel laboratorio della Casa circondariale Borgo San Nicola di Lecce e a Trani, la cooperativa Officina creativa fondata da Luciana Delle Donne ha creato i marchi "Made in carcere" e "Second chance". Vi lavorano venti donne e 15 uomini, questi ultimi attualmente in formazione. Realizzano borsette, borse per convegni, shopper, porta-Ipad, porta-chiavi, braccialetti, sciarpe e gadget etici personalizzati. "Scopo principale di "Made in carcere" - spiega l’ideatrice - è diffondere la filosofia della "seconda opportunità" per i detenuti e della "doppia vita" dei tessuti". Il marchio è presente con i suoi prodotti anche all’estero tramite la catena di Eataly e, in altra forma, in punti vendita a Parigi e Toronto e presto a Barcellona. Borse e portafogli in pelle di recupero (con l’impiego anche di sacchi del caffè in alluminio plastificato) e una linea dì abbigliamento per bambini in tessuto di scarto proveniente da seterie locali sono i materiali utilizzati dai tredici detenuti (8 uomini e cinque donne) occupati in due distinti laboratori da "Impronte di libertà", nella Casa circondariale di Como. La cooperativa, come spiega la presidente Antonella Baldo Capilvenere, si sta attrezzando per portare questi prodotti di "economia carceraria" anche nella Gdo. Attività che ha attirato l’attenzione di Intesa-San Paolo che ha commissionato alla cooperativa i grembiulini da cucina che saranno utilizzati all’Expo di Milano. Ma in questo caso i tessuti sono "di prima mano". La cooperazione sociale è oggi insostituibile nell’aprire opportunità dì lavoro in carcere, ma non solo. Come insegnano le esperienze delle coop del progetto Raee, Gulliver, It2 e Il Germoglio: "Qualcuno una volta divenuto ex detenuto - spiegano Barbara Bovelacci e Paolo D’Acunti, del progetto Raee - è rimasto a lavorare nel laboratorio e nella coop". Giustizia: Sappe; potenziare controlli a detenuti domiciliari con braccialetto elettronico Adnkronos, 3 giugno 2014 "È del tutto evidente che sconcerta noi per primi la notizia che due persone che scontano una pena sul territorio e non in carcere possano commettere un nuovo reato durante un permesso. I dati statistici ci dicono che la stragrande maggioranza di loro fruiscono di permessi con regolarità e senza infrangere la legge. Ma serve un potenziamento dei controlli e assumere personale di polizia". Lo dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, dopo la rapina di sabato al market di Quallano che ha visto coinvolti due detenuti. "La prima: conosciamo bene come opera la magistratura di sorveglianza in Italia. I magistrati accertano con scrupolo e zelo, carte e relazioni alla mano, se il detenuto che chiede un permesso è nelle condizioni di poterne fruire, se è pericoloso o meno, se è avviato o no verso un concreto percorso di riabilitazione. Ma nessuno può poi sapere davvero cosa gira nella testa delle persone, e se quindi il diretto interessato vuole vanificare la fiducia che le istituzioni ripongono in lui - come la legge prevede, articolo 27 della Costituzione in primis -". "Seconda questione - sottolinea Capece - è quella dei controlli: mi auguro che la drammatica rapina di sabato al market di Quallano che ha visto coinvolti due detenuti sensibilizzi le Autorità competenti a prevedere che ai detenuti in permesso, ai domiciliari o in altra misura detentiva extracarceraria venga applicato il braccialetto elettronico di controllo, costato peraltro decine di milioni di euro pubblici e ancora poco utilizzato, e che il controllo possa avvenire mediante una centrale unica interforze in cui concorrano tutte le Forze di Polizia, i cui organici - tutti - sono carenti e devono essere necessariamente aumentati per garantire sicurezza ai cittadini. Altro che tagli ed assunzioni col contagocce". Giustizia: caso Dell’Utri, il carcere può attendere di Sandra Amurri Il Fatto Quotidiano, 3 giugno 2014 Il Libano ha emesso il decreto di estradizione il 23 maggio e il governo di Beirut aveva promesso che in dieci giorni avrebbe risolto la pratica. ma è ancora tutto fermo. Dell’Utri: biglietto Milano-Beirut solo andata? Il biglietto di ritorno del cofondatore di Forza Italia, condannato in via definitiva a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa, cioè il decreto di estradizione non è ancora stato emesso. O meglio è stato emesso il 23 maggio con la firma del ministro della Giustizia, del premier e del presidente della Repubblica libanese e subito inviato informalmente, come atto di cortesia all’ambasciatore italiano a Beirut, ma non ufficialmente. Il governo libanese, come ci confermano dalla Farnesina, aveva assicurato all’ambasciatore che ci sarebbero voluti al massimo 10 giorni, tempo necessario per le dovute ulteriori procedure burocratiche. Dieci giorni sono trascorsi, ma il decreto non è ancora pervenuto né al ministero della Giustizia né alla Farnesina. Così come a nessuna autorità italiana è arrivata la richiesta inoltrata dall’avvocato libanese al ministro della Giustizia Ashraf Rifi di una sorta di "sospensione" delle procedure per il rimpatrio fino a quando l’Italia non assicurerà a Dell’Utri che verrà trasferito in un ospedale idoneo, diverso da quello del carcere. Richiesta supportata da un certificato dei cardiologi che lo hanno in cura all’ospedale privato Al Hayat dove è stato ricoverato pochi giorni dopo l’arresto, avvenuto il 12 aprile nel lussuoso hotel Phoenicia. Il cofondatore di Forza Italia, come si ricorderà, il mese prima di rifugiarsi in Libano aveva subito un intervento di quattro bypass al San Raffaele e poco dopo l’arresto aveva avuto un malore. Una pretesa, comunque, quella di usufruire di una sorta di arresti domiciliari ospedalieri identica a quella di cui gode di fatto da oltre un mese a Beirut, irricevibile per le autorità italiane in quanto Dell’Utri, non essendo un libero cittadino ma un condannato in stato di arresto nel momento in cui metterà piede sul sorveglianza potrà deciderne il trasferimento sulla basa delle condizioni di salute, a esclusione della pena detentiva domiciliare negata dalla condanna per mafia. Ma una nostra fonte accreditata libanese ci spiega che le operazioni di estradizione, concordate tra i funzionari dell’Interpol dei due Paesi, verranno svolte nella massima garanzia delle condizioni di salute del detenuto che è sotto la protezione del Paese dei cedri dove nessuno vuole rischiare che possa accadergli qualcosa durante il volo per l’Italia. Tant’è che starebbero valutando l’ipotesi di un aereo Cai attrezzato per l’assistenza medica. "Sì sta male, così mi ha detto mia cognata (Miranda Ratti, ndr) Spero che rientri presto, vorrebbe dire che ha recuperato la salute, meglio in carcere che malato". Ci dice al telefono il gemello Alberto che stando alle conversazioni con l’imprenditore catanese Vincenzo Mancuso intercettate al ristorante romano Assunta Madre stava progettando la latitanza libanese del fratello Marcello grazie all’appoggio di Gennaro Mokbel, originario del Paese dei cedri, condanna solo italiano verrà consegnato dai funzionari dell’Interpol agli agenti della Dia che, dopo avergli notificato l’ordine di detenzione nell’ufficio di polizia di frontiera, presumibilmente aeroporto di Fiumicino, lo accompagneranno nel carcere più vicino. Mentre nulla sa lo storico avvocato di Dell’Utri, Giuseppe Di Peri, di lui tornerà a occuparsi quando verrà estradato, fino ad allora, l’ex senatore resterà nelle mani esperte dell’avvocato Akram Azouri ,difensore dell’ex dittatore tunisino Zine El Abidine Ben Ali fuggito in esilio a Jedda in Arabia saudita. Mentre quelle dell’ex presidente libanese Amin Gemayel, possibile ricandidato alle prossime elezioni presidenziali, lo hanno abbandonato dopo essere finito sui giornali, notizia rimbalzata con forza a Beirut, con l’accusa di aver provato a tessere la rete di salvataggio per il deputato condannato Amedeo Matacena su richiesta di Speziali per il tramite di Scajola. L’aria è cambiata e Matacena dice: io resto a Dubai. Lettere: Petrilli "Sanzioni Ue giuste per le carceri affollate" Il Centro, 3 giugno 2014 "La Corte Europea dei diritti dell’uomo", scrive Giulio Petrilli, ex presidente Aret, "fa bene a sanzionare l’Italia sul sovraffollamento delle carceri e spero che mantenga questa posizione e dopo il 28 maggio imponga all’Italia il pagamento delle sanzioni adottate per l’invivibilità negli istituti di pena". "Dopo questo provvedimento", aggiunge, "spero anche che la Corte Europea abbia il coraggio di sanzionare l’isolamento totale in carcere e affronti la spinosa questione del mancato risarcimento per molte persone che seppur assolte nel nostro Paese si vedono respingere le domande di riparazione visto che avevano cattive frequentazioni. Finora la Corte Europea, a chi pur assolto e non è stato risarcito e pone il problema dell’illegittimità dell’articolo che prevede il non risarcimento per dolo o colpa grave dell’assolto, risponde considerando inammissibili le domande. Fece questo con Enzo Tortora e prosegue oggi. Il mese scorso anche a me ha risposto allo stesso modo, ho subito anch’io una detenzione ingiusta per tanti anni. Ecco, spero che un giorno la Corte Europea riveda questa sua posizione". Como: appalto per l’assistenza sanitaria scaduto, carcere del Bassone senza infermieri di Paola Pioppi Il Giorno, 3 giugno 2014 "Per tutto giugno, il medico sarà da solo al Bassone, senza infermieri, ad affrontare il turno dalle 22 alle 6, a causa della scadenza dell’appalto del servizio infermieristico. Dovrà farsi carico della gestione di 445 persone che potenzialmente necessitano tutte di assistenza medica". Una situazione tutt’altro che ottimale, ma che, in termini di sovraffollamento, sembra essere meno peggio rispetto ad altri momenti. Il carcere Bassone di Como ospita oggi 445 detenuti, di cui 46 donne - una delle quali sottoposta a regime di sorveglianza a vista - distribuiti tra tutte le sezioni detentive, ormai completamente funzionati. Ogni cella ospita dalle due alle quattro persone, in uno spazio di quattro metri e mezzo per due e mezzo, a cui si aggiunge un bagno grande la metà. Tuttavia, l’adeguamento alla normativa europea che impone l’apertura delle celle negli orari diurni, e la libera circolazione dei detenuti all’interno delle sezioni, ha abbassato la pressione psicologica, e reso più vivibile la permanenza in carcere. Un indicatore di questo risultato, è la netta diminuzione di risse, pestaggi, aggressioni e altri fenomeni di nervosismo che in passato avvenivano con frequenza. Un agente sorveglia una sezione con 50 detenuti, a volte anche due, a cui si aggiunge una pattuglia di due agenti incaricata della "vigilanza dinamica", quindi svincolata da un presidio fisso, che si sposta attraverso le sezioni. "Oggi il Bassone deve fare i conti con altri problemi - sottolinea Davide Brienza, segretario regionale del Cnpp, Coordinamento Nazionale di Polizia Penitenziaria - tra cui, il più imminente, è l’assistenza medica: per tutto giugno, il medico sarà da solo, senza infermieri, ad affrontare il turno dalle 22 alle 6, a causa della scadenza dell’appalto del servizio infermieristico. Dovrà farsi carico della gestione di 445 persone che potenzialmente necessitano tutte di assistenza medica, perché il livello di utilizzo di farmaci e di prestazioni sanitarie all’interno del carcere è elevatissimo. È come se ci fosse un solo medico ad assistere i pazienti di un intero ospedale. Inoltre noi continuiamo a richiamare l’attenzione sulla gestione dell’infermeria, dieci celle nelle quali finiscono anche detenuti che avrebbero necessità di assistenza psichiatrica, a volte con problemi di pericolosità: non possono essere gli agenti di penitenziaria ad affrontare situazioni di questo genere". A questo, si aggiunge il problema dei mezzi di trasporto: "Ci stanno lasciando - commenta Brienza - sono in numero insufficiente e ci stanno lasciando. La manutenzione è carente, l’autoparco ha bisogno di un totale svecchiamento che sembra destinato a non arrivare". Infine si pone un problema di sottodimensionamento della pianta organica degli agenti di polizia "almeno una trentina di unità in meno" stima Brienza, e di "assenza di funzionari: ne sono stati assegnati tre a Como, ma uno solo ha preso effettivamente servizio". Tuttavia, nel panorama generale, nelle ultime settimane una serie di provvedimenti sembrano aver giocato a favore di un alleggerimento del cronico sovraffollamento patito dal Bassone: tra queste, l’adozione del braccialetto elettronico come misura domiciliare alternativa al carcere, che costituisce anche un forte abbassamento die costi per l’ente pubblico, e una riorganizzazione della popolazione penitenziaria in virtù della quale i condannati in via definitiva vengono dirottati verso le strutture carcerarie, cercando di lasciare nelle case circondariali, come Como, solo chi è in custodia cautelare. Ivrea (To): per trasferimento vicino alla famiglia detenuto deve minacciare suicidio La Sentinella, 3 giugno 2014 È stato trasferito nel carcere di Alba il detenuto di 50 anni che, giovedì pomeriggio, si è arrampicato al terzo piano del carcere di Ivrea, minacciando di buttarsi giù. Cinque ore passate su un muretto fino all’arrivo del magistrato di Sorveglianza del tribunale di Vercelli. L’uomo, italiano, fine pena 2016, durante l’ora d’aria si era arrampicato lungo l’inferriata che circonda il terrazzo dove i detenuti passeggiano. Si era avvolto degli asciugamani attorno al collo: "Se non mi trasferite mi impicco o mi butto giù. Voglio avvicinarmi alla mia famiglia; non ce la faccio più a stare qui". Venerdì mattina il magistrato ha disposto il suo trasferimento. Ragusa: due casi di scabbia accertati nella Casa circondariale, i detenuti sono stati isolati di Duccio Gennaro www.corrierediragusa.it, 3 giugno 2014 Altri casi, circa una cinquantina, si erano manifestati nelle scorse settimane nel centro di prima accoglienza del porto di Pozzallo. Due casi di scabbia sono stati accertati nel carcere di Ragusa (foto). Interessati due detenuti stranieri che sono stati isolati dopo che i medici hanno accertato la natura del forte prurito lamentato dai due soggetti. Per il sindacato autonomo della Polizia Penitenziaria, Sappe, il caso è sintomatico di una situazione difficile all´interno del carcere ragusano. Negli ultimi mesi si sono verificati infatti alcuni tentativi di suicidio e di tensione all´interno della struttura. I detenuti sono 160 e gli agenti 66, undici dei quali distaccati da altri istituti di pena. Un numero ritenuto insufficiente anche perchè alcuni devono essere adibiti al servizio di traduzione dei detenuti in quanto l’organico di questa branca è anche esso insufficiente. L´amministrazione penitenziaria ha già dato in appalto i lavori di ristrutturazione per un importo di due milioni e mezzo di euro. I lavori dovranno essere conclusi entro un anno e mezzo ma nel frattempo bisognerà tamponare una situazione logistica ed organizzativa che presenta delle criticità. Altri casi di scabbia, circa una cinquantina, si erano manifestati nelle scorse settimane nel centro di prima accoglienza del porto di Pozzallo per quanto riguarda gli immigrati giunti con gli ultimi sbarchi. La situazione sanitaria è definita sotto controllo dai responsabili. Castrovillari (Cs): le "Occasioni" che possono decidere il corso degli eventi di Domenico Donato www.sibarinet.it, 3 giugno 2014 "Occasioni", un viaggio dentro la poesia, è il libro scritto dagli alunni detenuti dell’IPSSAR "Karol Wojtyla", della sezione Casa circondariale di Castrovillari, realizzato con il patrocinio e il sostegno della Diocesi di Cassano all’Ionio, nella persona di mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, e la Caritas Diocesana diretta da Raffaele Vidiri. Novantacinque pagine ricche di emozioni, pregne di sentimenti e di voglia di libertà, questo è "Occasioni", a cura della prof.ssa Anna Maria Rubino, presentato giorni fa da un gruppo di detenuti, nell’aula magna dell’Istituto, tra la calorosa accoglienza del dirigente scolastico Bruno Barreca, dei docenti che li hanno seguiti nel percorso di studi e del direttore del penitenziario Fedele Rizzo. Nel volume, arricchito da disegni dai colori vivissimi, c’è un pullulare di continue emozioni, che vanno al di là del banale, qui il lettore viaggia verso un mondo inesplorato, quasi come se vivesse un’esperienza reale, ogni parola è ben calibrata, usata nella giusta misura, quasi a voler trasmettere un messaggio di riscatto, e a voler esser un’attestazione dell’avvenuta catarsi. Cosi nella cella, come recita qualche verso: "Il rumore è padrone del silenzio", è in questo luogo dimenticato che il "Sole del mattino dissipa i pensieri". Non passano inosservati i versi scritti da Giuseppe Campolongo, che definisce i detenuti "prigionieri dello sconforto" e poi, quasi con un fare esortativo si rivolge ai suoi compagni dicendo: "Tu, che vivi tra le sbarre / non crearne con la tua penna / non cancellare le parole / lascia che sgorghino"….. Molto toccante è la poesia dal titolo "Crudeltà", dedicata al piccolo Cocò. Il suo verseggiare produce emozioni tali da travolgere e avviluppare l’animo del lettore fino a farlo rabbrividire. Nel medesimo componimento abbonda un accentuarsi continuo di negazioni, ogni parola è un grido di dolore: "Non c’è giustizia nel mondo / non c’è giustizia nell’uomo"… "un angelo di soli tre anni/ il suo sorriso bellissimo e dolce/ spento in un lampo/ da un proiettile in testa (…) non c’è limite alla crudeltà". Qui, ogni verso poetico è testimonianza della crescita interiore di ciascun allievo, ed è attraverso questi versi che ognuno racconta se stesso, la propria vita, una vita fatta di lunghe attese, ma di continue speranze e grandi insegnamenti. "Sono versi che evitando la trappola del banale di tanto minimalismo contemporaneo e diffuso, conducono il lettore a fare reale esperienza di un’acutizzazione dei sensi con un’attenzione portata allo spasmo. - si legge nella prefazione curata da Don Nicola Arcuri, cappellano della casa circondariale - L’amore, il dolore, la mancanza di libertà diventano allora sensazioni fisiche che travolgono fino al brivido, che dobbiamo imparare a veicolare per tutto il corpo". Nel corso della manifestazione, gli studenti hanno recitato e rappresentato i versi dei loro componimenti poetici, suscitando forti emozioni e tanta commozione tra i presenti. Il dirigente scolastico Bruno Barreca si è detto soddisfatto del percorso formativo e degli obiettivi raggiunti dagli allievi. "Un uomo che trascorre troppo tempo in solitudine - dichiara Barreca - non perde solo la libertà, ma cede alla monotonia rischiando di cadere nell’oblio di una vita faticosa e disperata, così nell’impegno e nello studio, nella poesia, egli trova spazi liberi, dove esprimendo le proprie emozioni valorizza se stesso in un processo di crescita, anche interiore, indispensabile per il riscatto della sua condizione personale". Bari: teatro, i "Pagliacci" di Bellocchio… figure disperate fuori e dentro la cella L’Unità, 3 giugno 2014 Marco Bellocchio aveva pensato a un film sulla rappresentazione dei Pagliacci di Leoncavallo all’interno di un carcere o di un manicomio. Il progetto, per ora, non si è realizzato; ma Bellocchio ha curato la regia di quest’opera al Teatro Petruzzelli di Bari, lasciandola isolata, pur nella sua brevità, e ambientandola in una prigione, dove alla fine la donna e l’uomo accoltellati dal folle protagonista si rialzano e tornano nelle loro celle, come i carcerati spettatori. Si può immaginare che il direttore del luogo di pena abbia fatto recitare a tutti una storia simile a quella che avevano vissuto: Bellocchio aggiunge così un terzo livello al gioco del teatro nel teatro che caratterizza la concezione dei Pagliacci, dove la finzione scenica dello spettacolo di una compagnia girovaga, tra maschere e buffonerie, si intreccia alla fine con la tragedia reale. E una significativa componente filmica si aggiunge in diversi momenti attraverso le proiezioni dei volti dei protagonisti ripresi nelle loro celle, quello tormentato di Canio, sempre dall’espressione folle e disperata, e quello di Nedda che continua ossessivamente a truccarsi. L’ambientazione contribuisce a togliere ogni aura romantica alla folle violenza possessiva del protagonista, e a sottolineare la sinistra attualità della storia in tempi in cui la parola femminicidio è divenuta di uso corrente nelle cronache. Inoltre la festa popolare, i contadini, tutti gli elementi di colore locale scompaiono: nel cupo ambiente unico sapientemente evocato dalle belle scene di Gianni Carluccio si instaura un clima claustrofobico che appare congeniale al carattere dell’opera ed esalta i caratteri di intensità tragica perseguiti dal compositore. Tutti vestono una grigia divisa carceraria; ma all’interno del cortile della prigione lo spettacolo viene montato secondo la tradizione e in generale la regia si attiene ad una linea molto sobria, perfino severa. Bella la prova dell’orchestra e del coro del Teatro Petruzzelli, diretti con chiarezza ed energia da Paolo Carignani. Bene anche la compagnia di canto: si apprezzano senza riserve il solido professionismo di Stuart Neill (un Canio che nel contesto ideato da Bellocchio appare giustamente poco incline a trasfigurazioni romantiche del violento personaggio), la freschezza di Maria Katzarava (Nedda), la sicurezza e misura di Alberto Gazale (Tonio) e Dario Solari (Silvio). India: caso marò; parata del 2 giugno con bandiere e striscione per Latorre e Girone Adnkronos, 3 giugno 2014 "Prima i nostri marò". È il testo di uno striscione esposto oggi durante la parata del 2 giugno a Roma al passaggio del Battaglione San Marco dallo stesso comitato "Prima i nostri marò". Nel corso dell’azione, sono state esposte bandiere tricolore e scritte in favore di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. "In questa giornata - dichiarano gli esponenti del Comitato Gloria Pasquali e Brian Carelli - abbiamo voluto testimoniare vicinanza ai nostri marò, vergognosamente ancora detenuti in India e mantenere viva l’attenzione su questa delicata vicenda, fin troppo trascurata da tutti i governi che si sono succeduti in questi due anni e mezzo. Della stessa opinione i numerosi italiani presenti alla parata che, spontaneamente, hanno aderito alla nostra iniziativa". Cesa (Udc): oggi più che mai un dovere stargli vicino "In questa giornata di onore e di orgoglio per la nostra Repubblica, durante la quale le nostre forze armate e tutti i reparti del nostro Paese sfilano dinanzi alle istituzioni e al popolo italiano, ritengo sia un dovere rivolgere un pensiero ai nostri due marò detenuti ingiustamente in India, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, e alle loro famiglie. All’attuale governo va il merito di aver dato il via ad un processo di internazionalizzazione del caso, ma fino a quando i nostri due militari non saranno a rientrati casa le coscienze di molti - giustamente - continueranno a pesare". Lo afferma in una nota il segretario dell’Udc Lorenzo Cesa. India: i marò italiani al governo "abbiamo obbedito agli ordini… e siamo ancora qui" www.globalist.it, 3 giugno 2014 Quello che possiamo fare è comportarci da militari e italiani. Questo il commento dei due marò in video conferenza con l’Italia. "Abbiamo ubbidito ad un ordine, abbiamo mantenuto una parola, quella che ci era stata chiesta, e oggi siamo ancora qui". Così il fuciliere Salvatore Girone interviene in videoconferenza da Delhi per la festa del 2 Giugno, con voce decisa senza nascondere la sua irritazione. E l’altro fuciliere aggiunge: "Quello che noi possiamo fare è comportarci da militari e italiani: soffrire con dignità nell’attesa che questa storia abbia termine". Mogherini, condivido loro dolore - "Condivido il loro dolore e delle loro famiglie, con le quali siamo costantemente in contatto", ha commentato il ministro degli Esteri, Federica Mogherini da Vienna. La caratteristica italiana "è di avere un grande cuore: l’affetto con cui ci state coinvolgendo ne è la prova diretta. Quello che noi possiamo fare è comportarci da militari e italiani: soffrire con dignità nell’attesa che questa storia abbia termine". Così il marò, Massimiliano Latorre, in video collegamento da Delhi nel corso di una videoconferenza organizzata dalle Commissioni riunite Esteri e Difesa di Camera e Senato". Sono onorato e felice di aver avuto la possibilità di fare gli auguri e sono felice di avere le nostre famiglie coinvolte lì a Roma, prima alla parata, poi in commissione: loro sono il loro punto di forza insieme a tutti gli italiani", ha sottolineato Latorre in collegamento da Delhi con le commissioni riunite Esteri-Difesa di Camera e Senato a Montecitorio. "Chiedo scusa per l’emozione ma non sono solito avere questo onore e voglio approfittare per estendere gli auguri al comandante delle Forze Armate, al Presidente e a tutti i nostri colleghi attualmente impegnati all’estero e a quelli che operano in Italia. E a tutti gli italiani", ha proseguito il fuciliere di Marina sottolineando che "l’affetto con cui ci state coinvolgendo è la prova diretta" della caratteristica italiana: quella di "un gran cuore". "Quello che possiamo fare è comportarci da militari, da italiani" e "soffrire con dignità nell’attesa che questa storia abbia termine", ha ribadito prima di passare la parola al collega Salvatore Girone, seduto accanto a lui e all’ambasciatore italiano a Delhi, Daniele Mancini. Le dichiarazioni di Giorgia Meloni: "Per protestare contro l’immobilismo del governo italiano sul caso dei nostri due marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, Fratelli d’Italia-Alleanza Nazionale ha deciso di non partecipare alla videoconferenza. Per il grande rispetto che nutriamo per le nostre Forze Armate - dice il presidente di Fdi, Giorgia Meloni - che ogni giorno ci rendono orgogliosi di essere italiani, non possiamo restare in silenzio: da oltre due anni tutti i presidenti del Consiglio che si sono succeduti ci hanno chiesto di tenere i toni bassi sulla vicenda per non indispettire gli indiani. Grazie a questa disarmante timidezza delle Istituzioni italiane e della nostra diplomazia abbiamo consentito all’India di fare la campagna elettorale sulla pelle dei nostri due militari, illecitamente detenuti in India da oltre due anni in piena violazione del diritto internazionale. Non intendiamo essere complici di questo scempio e far finta che tutto vada bene", continua Meloni. "Nel giorno della Festa della Repubblica chiediamo al Governo e al premier Renzi di internazionalizzare la crisi non solo a parole ma con azioni decise lanciando l’ultimatum a Nato, Onu e Unione Europea: se i marò non rientreranno in Patria immediatamente l’Italia ritiri i suoi contingenti militari da tutte le missioni di pace già dalla prossima settimana. FdI-An renderà omaggio alle nostre Forze Armate raccogliendo le firme per la petizione che abbiamo lanciato nelle scorse settimane per riportarli a casa", conclude il presidente di Fratelli d’Italia-Alleanza Nazionale. Stati Uniti: 500 detenuti minorenni condannati all’ergastolo mandano lettere al Papa Ansa, 3 giugno 2014 Cinquecento ragazzi detenuti in alcune carceri degli Stati Uniti e condannati all’ergastolo senza possibilità della condizionale, hanno scritto al Papa, e Francesco ha risposto loro, dicendo tra l’altro di essere stato "commosso profondamente" dai racconti dei giovani detenuti, assicurando la sua preghiera, e chiedendo a sua volta loro che preghino per lui. La vicenda è riferita dal periodico dei gesuiti statunitensi America Magazine. L’insieme delle 500 lettere è stato raccolto da padre Michael Kennedy, direttore esecutivo del Jesuit Restorative Justice Initiative. "Ho letto - ha risposto il Pontefice - le lettere che lei mi ha fatto recapitare gentilmente da ogni angolo degli Stati Uniti d’America, da parte di centinaia di ragazzi condannati in così giovane età all’ergastolo senza condizionale. Le loro storie e la loro richiesta che questa forma di sentenza venga rivista alla luce della giustizia e della possibilità di una riforma e riabilitazione mi hanno commosso profondamente". Papa Francesco ha subito fatto sapere di aver ricevuto le lettere e ha stabilito che ogni detenuto che ha scritto una lettera riceverà una copia della sua risposta a padre Kennedy. L’esistenza degli ergastolani minorenni è nota alle associazioni dei diritti umani come Amnesty International, secondo cui l’America è l’unico paese al mondo che infligge questa pena per reati diversi dall’omicidio. Grazie a loro inoltre negli ultimi anni alcuni stati come la California hanno vietato l’ergastolo per i minori. Stati Uniti: scambio prigionieri, Obama sotto attacco per aver trattato con i terroristi Il Tirreno, 3 giugno 2014 Ha violato la legge. Ha fornito un incentivo per catturare gli americani. Ha trattato con i terroristi. Ha rilasciato cinque detenuti di Guantánamo che hanno le mani sporche di sangue americano e afghano. Barack Obama è finito ieri sotto il fuoco di fila dei repubblicani per il rilascio dei cinque talebani rinchiusi nel supercarcere americano in cambio della liberazione del sergente Usa Bowe Bergdahl. Polemiche rinfocolate dal mullah Omar, capo dei talebani afghani, che ha cantato vittoria per la trattativa e la scarcerazione dei suoi uomini, ringraziando il Qatar per la mediazione e l’accoglienza. A difendere la scelta di Obama sono scesi in campo il segretario alla Difesa Chuck Hagel e il consigliere alla Sicurezza nazionale Susan Rice. Il presidente, hanno insistito, ha salvato la vita a Bergdhal e ha mostrato l’impegno degli Stati Uniti a non lasciare nessuno uomo in uniforme sul campo di battaglia. Siria: attivisti; nelle carceri in maggio 334 persone sono state torturate fino alla morte Aki, 3 giugno 2014 Almeno 334 persone sono state torturate fino alla morte nelle carceri siriane nel solo mese di maggio. È il dato diffuso dagli attivisti della Rete siriana per i diritti umani, secondo i quali tra le vittime della tortura del regime c’è anche una ragazza di 17 anni, Nimet al-Kaidiri. Secondo gli attivisti, la maggior parte dei casi di tortura riguarda prigioni gestite dal regime, ma non mancano alcuni casi che si sono verificati in centri di detenzione allestiti nel nord della Siria dai curdi del Partito dell’Unione democratica (Pyd). Secondo il rapporto della Rete siriana per i diritti umani, la tortura è una pratica a cui il regime fa ricorso "sistematicamente" contro i suoi oppositori, nonostante sia riconosciuta come crimine contro l’umanità dai trattati internazionali. Secondo dati delle Nazioni Unite, oltre 100mila persone sono state uccise in Siria in piu’ di tre anni di guerra civile. Si contano inoltre 6,5 milioni di profughi, due milioni dei quali sono registrati in Turchia, Libano, Giordania e Iraq. Egitto: detenuti di Wadi Natrun in rivolta dopo la morte di un prigioniero Nova, 3 giugno 2014 Una nuova rivolta è esplosa questa mattina nel carcere di Wadi Natrun, a nord del Cairo, dove sono detenuti diversi esponenti dei Fratelli musulmani. I tumulti sono iniziati in seguito alla morte di un prigioniero, Mohammed Abdullah, deceduto lo scorso 30 maggio. Le autorità del carcere assicurano che l’uomo è morto in seguito a un attacco d’asma, ma per i detenuti il decesso sarebbe dovuto alle torture. Secondo il responsabile della sicurezza del governatorato di Monofiya (Delta del Nilo), Saed Tawfik, i prigionieri si sono barricati nelle loro celle, lanciando slogan contro polizia e militari e minacciando di aggredire chiunque tenti di fermare la protesta. Ieri, nello stesso carcere, le forze di sicurezza egiziane avevano domato un’altra rivolta inscenata da 68 Fratelli musulmani detenuti. Prima della rivolta, su Facebook si sono moltiplicati gli appelli di membri della Fratellanza che esortavano a dare l’assalto al carcere per liberare i membri del gruppo prigionieri. La rivolta è iniziata quando un gruppo di detenuti ha aggredito un agente di polizia gridando slogan contro l’esercito e le forze dell’ordine, secondo quanto detto dal capo della sicurezza nella contea di Monofiya, nel Delta del Nilo. Gli appelli su Facebook alla ribellione sono iniziati poco dopo l’incitamento da parte della Fratellanza ad intensificare le proteste contro la vittoria dell’ex capo delle forze armate Abdul Fatah al Sisi alle presidenziali. Egitto: nuove condanne all’ergastolo per esponenti dei Fratelli Musulmani Nova, 3 giugno 2014 Una corte egiziana ha condannato 31 esponenti dei Fratelli Musulmani all’ergastolo e altri 12 a tre anni di carcere. Per i giudici i 43 imputati sono responsabili di attacchi contro edifici governativi, sabotaggio di vie di comunicazione e assalto a treni e trasporti pubblici. La polizia aveva arrestato gli estremisti lo scorso 9 marzo durante una manifestazione in favore dell’ex presidente Mohamed Morsi. I militanti avevano fatto irruzione in un edificio governativo utilizzando pistole, mitragliatrici e armi da taglio. Dopo l’inserimento del movimento islamista nella lista dei gruppi terroristi, i tribunali egiziani hanno condannato a morte e all’ergastolo numerosi affiliati al gruppo, compreso il loro leader e guida spirituale Mohamed Badie. Cina: anniversario Tienanmen, altri 3 attivisti presi in custodia dalla polizia La Presse, 3 giugno 2014 Sono almeno tre gli attivisti cinesi presi in custodia o messi agli arresti domiciliari nelle ultime ore nell'ambito della campagna del governo per impedire le commemorazioni delle proteste di piazza Tienanmen del 1989, il cui 25esimo anniversario ricorre domani. L'artista Guo Jian è stato prelevato ieri notte, poco dopo che il Financial Times aveva pubblicato un suo profilo in relazione all'anniversario degli eventi di 25 anni fa. Mentre veniva portato via, Guo, cittadino australiano, ha detto a un giornalista di Associated Press che sarà detenuto fino al 15 giugno. Intanto Ye Du, scrittore e membro dell'Independent Chinese Pen Center, ha fatto sapere di essere stato prelevato dalla sua casa nella città meridionale di Canton e costretto a fare "un viaggio forzato" insieme alla moglie, Wang Haitao. Simili viaggi sono un metodo spesso utilizzato dalle autorità per controllare i dissidenti 24 ore su 24 senza dover avviare una procedura legale. Infine Wu Lihong, ambientalista della provincia di Jiangsu, è stato messo agli arresti domiciliari. "Il 4 giugno è arrivato di nuovo e gli agenti in borghese sono qui per proteggerci; non posso lasciare la casa per viaggiare o tenere conferenze", ha fatto sapere l'uomo in un sms.