Venerdì il convegno con la figlia di Moro su ergastolo e società senza vendette Il Mattino di Padova, 2 giugno 2014 "Senza l’ergastolo. Per una società non vendicativa". Venerdì 6 giugno 2014, ore 9.30-16.30. Casa di Reclusione Due Palazzi di Padova. In Italia ci sono più di 1600 persone condannate all’ergastolo: circa la metà di loro si trova nei circuiti differenziati, tra regime di Alta Sicurezza e 41 bis, quindi esclusa dalle misure alternative al carcere, il che significa che rischia molto seriamente di morire dietro le sbarre. Certo, si tratta di persone accusate di reati pesanti. Ma durante un incontro con i detenuti di Ristretti Orizzonti, Agnese Moro, figlia di Aldo Moro, lo statista ucciso dalle Brigate Rosse, ha detto: "L’ergastolo è come dire ad una persona "ti vogliamo buttare via", ma io non voglio buttare via nessuno". Una frase, questa, che ci spinge ancora di più, oggi, a impegnarci per un superamento della condanna a vita. Per questo abbiamo deciso di organizzare un incontro dal titolo "Senza l’ergastolo. Per una società non vendicativa", per avere la possibilità di ascoltare direttamente da persone condannate all’ergastolo cosa significa passare una vita senza speranza. Ci saranno allora tanti ergastolani a raccontarci la quotidianità di una condanna senza fine. Ascolteremo anche le testimonianze di alcuni familiari, per i quali la separazione dal proprio caro si rivela una condanna altrettanto drammatica. Interverranno docenti universitari, politici e intellettuali che ci offriranno il loro punto di vista per aiutarci a riflettere sui possibili percorsi per costruire un sistema penale più umano e, di conseguenza, una società più civile. Tra i relatori Agnese Moro (figlia dello statista Aldo Moro), Andrea Pugiotto (Università di Ferrara), Massimo Pavarini (Università di Bologna), Giuseppe Mosconi (Università di Padova), Luciano Eusebi (Università di Milano), Maurizio Turco (Partito Radicale italiano), Rita Bernardini (Partito Radicale italiano), Elton Kalica (Università di Padova). Coordina i lavori Francesca Vianello (Università di Padova). Nella giornata interverrà, con alcuni pezzi musicali, la pianista e compositrice Alessandra Celletti. Partecipano all’incontro anche alcuni studenti delle scuole che si sono confrontati con i detenuti della redazione di Ristretti Orizzonti grazie al progetto "Il carcere entra a scuola, le scuole entrano in carcere". Ci si può iscrivere tramite il sito www.ristretti. org. Appello dal carcere degli uomini ombra alla città di Padova Gli uomini ombra (così si chiamano fra loro gli ergastolani) lanciano un appello a tutti i cittadini di Padova, esponenti politici, associazioni, società civile, invitandoli a partecipare al convegno "Senza l’ergastolo. Per una società meno vendicativa". per informarsi e conoscere di più dell’esistenza in Italia della "Pena di Morte Viva" (così chiamiamo la pena dell’ergastolo). Per capire il dolore che provoca una condanna all’ergastolo e la poca umanità di questa pena, ecco le parole di una moglie di un uomo ombra che nel lontano 1995 ha scritto al marito per informarlo che la Suprema Corte di Cassazione gli aveva confermato la pena dell’ergastolo. Amore caro, non riesco a trovare le parole per descriverti la mia e la tua delusione e neanche per cercare di alleviare questa sofferenza, mi sento come svuotata. Tutti questi anni di ansia, di speranza non sono serviti a niente, è una condanna ingiusta e inaccettabile, sono troppo depressa e non riesco a pensare a niente di positivo. Guardo i bambini e penso a come farò a dare anche a loro un dolore così, ma non gli dirò niente finché non sarà assolutamente necessario. Non voglio che vivano con questo peso la loro infanzia, forse quando saranno più grandi saranno in grado di capire e di sopportarlo meglio, sono così sereni e spensierati che farei qualsiasi cosa perché restassero sempre così. Oggi per la festa della mamma, nostra figlia mi ha dato la tua poesia molto bella, ma non c’è nulla che riesca a scuotermi da quest’angoscia che mi sta opprimendo. Spero che tu sia abbastanza forte da sopportare un peso così tremendo, sono molto preoccupata per te, sono svanite anche tutte le tue speranze, ma possibile che non si poteva evitare tutto questo? Vorrei dirti che andrà tutto bene, ma ho bisogno di tranquillizzare prima me stessa, avrei voluto tanto darti una bella notizia, quel telegramma che ti ho mandato mi è sembrato una condanna a morte. Devo anche far finta di niente con i bambini e a volte proprio non ci riesco. Tu lo sai che ti siamo vicini e che potrai contare sempre sul nostro amore, cerca di essere forte amore mio, non può finire così, ci sarà un’altra soluzione, anche se ci vorrà un po’ di tempo, la troveremo. Cerca di scrivere non farmi stare in pensiero, ora ti lascio ma il mio pensiero è sempre dentro di te. Ti amo. Carmelo Musumeci La sofferenza e il peso dell’umiliazione dei nostri famigliari Oltre la sofferenza che un ergastolano subisce ogni giorno per la privazione della libertà e l’assenza di speranza nel futuro, è con il passare degli anni che un’altra sofferenza si fa veramente sentire, non perché siamo rinchiusi in un carcere da tanto tempo, ma perché percepiamo il dolore che sopportano i nostri famigliari quando vengono a colloquio, e a volte anche la vergogna che provano. Non c’è niente di peggio che umiliare una persona anziana, specialmente quando intorno ci sono decine di persone che vedono certi atteggiamenti, e abbassano la testa, non dicono niente, pensano che se si lamentano ci possa essere poi un accanimento nei confronti del marito, figlio, o parente, che è detenuto lì dentro da tanto tempo. Quasi la metà dei miei anni, ne ho 47, li ho vissuti in carcere, e non so quanti ne dovrò trascorrere ancora, perché non ho un fine pena, sono stato condannato all’ergastolo. In tutti questi anni, ho visto tanti ragazzi giovani qui dentro, alcuni al loro primo arresto, poi li incontravo nella sala colloqui e vedevo con loro tanti genitori delusi dal proprio figlio, ho visto mamme con lacrime agli occhi, padri incazzati, persone con tante difficoltà economiche, che dovevano far fronte anche alle conseguenze del reato commesso dal loro figlio Ho incontrato e conosciuto anche molte persone anziane, tanti di loro, parlando con me, mi raccontavano che i loro occhi sono anni che non fanno una lacrima, poiché ne hanno già fatte troppe. Quando vai a colloquio, e incontri la tua anziana madre, la guardi negli occhi, e percepisci che c’è qualcosa che la angoscia, e ti senti rispondere: "Figlio mio, questi posti non cambieranno mai!". E magari ti racconta che oggi, all’entrata, c’era l’agente con il cane antidroga che annusava le persone, e che quel pastore tedesco ha infilato due volte la testa sotto l’impermeabile di un’anziana signora, e dalla vergogna lei è sbiancata in viso e ha cominciato a guardarsi un po’ attorno agitata, mentre le dicevano che la dovevano perquisire di nuovo. E lei gli rispondeva: "Veda che ho più di ottant’anni, faccio fatica a muovermi a causa dei reumatismi, e indosso anche un busto per la schiena". Tutte le persone presenti, in attesa dell’ingresso ai colloqui, osservavano la scena e abbassavano la testa dalla vergogna per l’umiliazione che la signora stava subendo. Sono cose che succedono spesso nei vari carceri d’Italia, e ti fanno venire in mente quei racconti di quando esistevano i campi di concentramento, dove i nazisti con i loro cani pastori tenevano a bada e controllavano tutte quelle persone destinate alla morte. In questi anni, da detenuto, quando succedono queste cose sento dire sempre la solita frase, da parte di chi rappresenta e gestisce questi luoghi: "Problemi di sicurezza". Ma certi metodi senza umanità, rivolti a persone con un’età avanzata, che vivono con la vergogna perché hanno un famigliare rinchiuso in carcere, sono davvero umilianti. Dovrebbero tutti rendersi conto che questi atteggiamenti fanno perdere quel senso di protezione e sicurezza, che persone, che non hanno nessuna colpa del reato commesso da un loro famigliare, dovrebbero provare verso le autorità e chi porta la divisa. Forse troppo spesso ci si dimentica che il confine tra il bene e il male è sottile e potrebbe capitare anche a loro di oltrepassarlo. Angelo Meneghetti Giustizia: Orlando; riorganizzare sistema detenzione, che ora è costoso e poco efficiente L’Unità, 2 giugno 2014 "Dobbiamo rendere più competitiva l’Italia. I poteri che contrasteranno le riforme sono già ben organizzati". Quando vedremo la riforma della giustizia? "Entro fine mese daremo una risposta che aggredirà la giustizia civile". E quella penale? "La riforma della giustizia penale è anch’essa una priorità, ma fin qui ha monopolizzato l’attenzione di tutti producendo indirettamente la rimozione del problema della giustizia civile". C’è chi lo considera uno dei punti deboli della competitività del sistema Italia. È così? "C’è chi calcola che ci costi un punto di Pil all’anno. Dato credibile visto che c’è chi deve attendere 7-8 anni per vedersi pagare un credito. Tante aziende hanno la sede legale all’estero proprio per non doversi confrontare col contenzioso italiano. Snelliremo il processo e garantiremo corsie preferenziali per le domande di giustizia di imprese e famiglie. A fine giugno poi avvieremo l’informatizzazione del processo civile. Intanto ho chiamato a capo dell’organizzazione giudiziaria Mario Barbuto, già presidente della Corte d’appello di Torino che vanta tra i risultati migliori nell’azzeramento dell’arretrato". In Europa siamo sotto esame anche per la situazione delle carceri. Che farà? "Stiamo riorganizzando tutto il sistema della detenzione, ci sono varie misure, passi da fare uno dopo l’altro e li stiamo facendo. Abbiamo fatto accordi con Paesi esteri per il rimpatrio dei detenuti, intese con le Regioni per trasferire i tossicodipendenti nelle comunità di recupero, col ministro dell’Ambiente ci siamo accordati per utilizzare i detenuti nei parchi. E poi ci sono gli effetti del decreto sulle pene alternative e della sentenza della Corte Costituzionale sulle droghe. I risultati fin qui sono incoraggianti: dai quasi 70mila detenuti del 2011, siamo a 59mila. Però il problema non è solo del rapporto fra detenuti e metri quadri, ma di un sistema che è costoso e poco efficiente perché tutto incentrato appunto esclusivamente sul carcere con l’effetto che abbiamo tassi di recidiva altissimi". Giustizia: il ministro Orlando sulle carceri "non trionfalista, ma cautamente ottimista" www.clandestinoweb.com, 2 giugno 2014 Nel gennaio 2013, la Corte Europea per i diritti umani, accogliendo la denuncia di Mino Torreggiani e altri sei detenuti costretti a vivere in meno di tre metri quadrati, ha dato all’Italia un anno di tempo per risolvere il dramma del sovraffollamento nelle carceri ma l’ultimatum è scaduto il 28 maggio scorso e il nostro paese rischia ora l’ennesima sanzione. La decisione arriverà fra il 3 e il 5 giugno e l’inadempienza potrebbe costare all’Italia fino a 100 milioni di euro per la violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea, che vieta i trattamenti inumani e degradanti. Ma c’è di più, se le misure attuate non saranno giudicate sufficienti, lo Stato dovrà risarcire anche migliaia di detenuti che hanno presentato ricorso in questi mesi. In questo contesto, a dir poco drammatico, il ministro della Giustizia Andrea Orlando però si dice "non trionfalista, ma cautamente ottimista". Il guardasigilli ha infatti dichiarato che "abbiamo colto apprezzamento a Strasburgo per il rispetto della tabella di marcia. Ho la consapevolezza che la situazione è difficile e ci sono punti critici, ma anche la coscienza di aver fatto tutto il possibile". I detenuti nelle carceri italiane sono al momento 59.061 e, secondo il Dap, i posti regolamentari sono 44 mila. Da mesi l’associazione Antigone e i Radicali però contestano questo dato sostenendo che la capienza non vada oltre i 40 mila posti. Per Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, "il numero dei detenuti è diminuito di 6mila unità rispetto a un anno fa, ma la distanza da recuperare è ancora grande e ora è importante che ci sia un periodo di osservazione per uscire dai rischi che il sovraffollamento comporta". In tutto ciò non si esclude, per l’Italia, la possibilità di una proroga. Il Consiglio d’Europa potrebbe infatti riconoscere i passi avanti fatti e decidere per una nuova dilazione dei tempi previsti. Giustizia: Spigarelli (Ucpi); i giudici sono troppo vicini ai pm, è ora di separare le carriere di Giancarlo Perna Il Giornale, 2 giugno 2014 Il presidente nazionale delle Camere penali accusa anche la politica: "Si inseguono gli umori della piazza invece di fare una vera riforma". "Se fosse lei il difensore di Claudio Scajola si strapperebbe i capelli?", chiedo all’avvocato Valerio Spigarelli, presidente nazionale delle Camere penali e massimo esperto degli umori che serpeggiano tra i penalisti italiani. Le Camere penali sono 120, nelle maggiori città. Volendo parlare di una cosa avvilente come la giustizia penale in questo Paese, consola avere di fronte uno come Spigarelli. Ha lo sguardo fermo, folti capelli da strappare in caso di necessità e la giusta foga per affrontare il pantano. Covava fin da giovanetto la passione per i diritti dell’imputato. Ora ha 57 anni e un grosso studio nel centro di Roma, la sua città. "Diciassettenne, digiuno di diritto, già manifestavo contro la legge Reale (dura legge antiterrorismo del 1975, ndr)", dice, mentre in cravatta e maniche di camicia cerca di capire con chi ha a che fare prima di rispondere alla domanda su Scajola. Profitto, per sondarlo anch’io: "La peggiore malagiustizia in cui si è imbattuto?". "Non una, cento", risponde e si capisce che considera il mestiere di difensore un campo minato con una trappola al giorno. Poi, per dire che tipo è Spigarelli, improvvisamente si stufa dei preamboli e sbotta: "Le dico il punto debole della giurisdizione penale e potrei anche finire l’intervista. Tutto discende da lì". "Prego", gli dico incuriosito da questa prodigiosa capacità di sintesi. "Il sistema giudiziario è squilibrato. Il giudice non è equidistante tra accusa e difesa". Il giudice parteggia? "È più vicino al pm, per ciò che l’accusa rappresenta: la pretesa punitiva dello Stato; piuttosto che al diritto di libertà dell’imputato". Partito preso? "Dato culturale. Giudice e pm sono contigui e hanno la stessa formazione. Ecco perché è necessario separare le carriere. I pm si oppongono, sentendosi sminuiti. La separazione serve ad avere un giudice libero, non un pm a metà". Torniamo a Scajola: da difensore tremerebbe? "Non penso proprio. Poi è ben assistito". Intanto è in galera e non si intravede la fine. "La magistratura intende la custodia cautelare, non come una cautela per ragioni processuali, ma come un’anticipazione di pena". Maramaldeggiano? "Temono che l’imputato sfugga alla condanna e presentano subito il conto: pochi, maledetti e subito. Che però è un detto di commercianti". Su Scajola, arrestato per vicinanza a Matacena, ora piovono accuse su accuse. Dal solito concorso esterno, all’inedito "omicidio per omissione" di Marco Biagi... "Un classico per chi è in carcere. Ricordi accuse e pentiti che si moltiplicarono per l’innocente Enzo Tortora". Vale ancora il detto "male non fare, paura non avere"? "Realisticamente, no. La legge impone al pm di non portare in giudizio un imputato se non sia convinto che ne otterrà la condanna. Poiché assoluzioni e condanne in uno stesso processo si accavallano, è chiaro che la norma è disattesa". In più, la gogna delle intercettazioni di cui è vittima anche l’incolpevole. "Pratica da Stato autoritario. Contraria alla legge che le regola e alla sentenza della Consulta che, nel ‘74, fissò i casi in cui sono ammesse". Il "reato" di concorso esterno in associazione mafiosa è illegale. "Invenzione giurisprudenziale, sconosciuta al Codice penale". Ha fondamento questa invenzione per persone come Totò Cuffaro e Marcello Dell’Utri? "Questo ?reato? è spesso una forzatura: permette di criminalizzare i comportamenti più vari. La contiguità con la mafia può andare da uno a cento e si penalizza uno come cento". Chi è responsabile di tanta illegalità nella Giustizia? "I politici. Hanno l’enorme colpa di non avere fatto una vera riforma della Giustizia in questi vent’anni, inseguendo invece gli umori della piazza". E le toghe sono dilagate. "Un magistrato che fa un comizio politico contro il presidente della Repubblica (Ingroia, ndr). Quattro pm che vanno in tv per ammonire il governo a non fare una legge (pool di Milano ai tempi di Mani pulite, ndr). Settanta pm che mandano un fax al Parlamento ingiungendogli di bloccare la riforma della Giustizia (ai tempi della Bicamerale, ndr). Abbastanza per dire che c’è un enorme problema di separazione dei poteri che la politica non affronta". Il Guardasigilli, Orlando, è all’altezza? "Di buono ha che è un politico. Loro, prima o poi, capiscono. Se alla Giustizia mettiamo un giurista, è peggio. Il problema è quello manzoniano (?Il coraggio, uno non se lo può dare?, ndr). Il Parlamento autorizza addirittura il carcere preventivo dei suoi, come con Genovese del Pd. "Che quattro giorni dopo era ai domiciliari perché il giudice non ha ritenuto necessario il carcere. Che penseranno di sé i parlamentari che ce lo hanno spedito?". Per dire il Paese: la sera delle manette, Crozza in tv ha fatto il pirla su Genovese (e mesi prima su Cosentino). "Facile fare dello spirito sulla pelle degli altri. Ma se tocca a noi, cambiamo registro. Mai visto nessuno con tanta sfiducia nei giudici, quanto i magistrati che incappano nelle attenzioni dei colleghi". Il carcere duro si concilia con lo Stato di diritto? "Il 41 bis è una tortura democratica. Un trattamento disumano vietato dalla Costituzione". La trattativa Stato-mafia, cara alla Procura di Palermo, attiene alla sfera giudiziaria o politica? "Il reato di trattativa non esiste. Ci sono arrivati anche anti-mafiosi doc, come Marcelle Padovani, biografa di Falcone, e Giovanni Fiandaca, studioso pd del fenomeno. Pur di evitare che mettano una bomba all’Olimpico, io parlo anche con Belzebù". Come se ne esce? "Con la ventilazione della magistratura". Frullarla via? "Aprire ad altri l’accesso in magistratura: professori e avvocati. Aria fresca in una corporazione chiusa. E...". E? "Dopo la laurea, una Scuola superiore delle tre professioni giudiziarie per una comune cultura della giurisdizione. Poi si sceglie: chi avvocato, chi giudice, chi pm. Prima però, quindici giorni di carcere per tutti. Bugliolo, pane e acqua, ispezioni corporali". Giustizia: la denuncia dei detenuti di Firenze "tagliato quasi il 50% del lavoro in carcere" di Eleonora Camilli Redattore Sociale, 2 giugno 2014 Interviste multiple ai detenuti di Sollicciano in "Sbarre" il film documentario realizzato dagli studenti del Centro sperimentale di cinematografia, con la supervisione del regista Daniele Segre. "Quando entri non sai mai cosa ti succede, vorresti solo dormire ma non ce la fai. Senti un rumore, pensi di essere a casa, e invece sei in una cella piccola come un bagno. Quando ti svegli, dopo la prima notte, sembra siano passati vent’anni". È una lenta discesa dentro la sofferenza umana quella che ci porta dentro il carcere fiorentino di Sollicciano, nel documentario Sbarre, realizzato dagli studenti del Centro sperimentale di cinematografia con la supervisione del regista Daniele Segre. Un racconto dall’interno di uno dei drammi italiani, tristemente noto e costato al nostro paese la condanna da parte della Corte europea per i diritti dell’uomo (sentenza diventata esecutiva il 28 maggio scorso). Ma a dirci quello che in parte sapevamo già sullo stato malsano del nostro sistema carcerario sono, questa volta, gli stessi detenuti, attraverso le interviste realizzate dagli studenti del laboratorio tenuto da Segre. E così con una voce sola, che parla anche per gli altri 60 mila detenuti sparsi nel resto del paese, ci raccontano le condizioni igieniche disumane in ci si trovano a vivere: "i bagni sono un metro per tre, non c’è neanche il bidet. E nel materasso ci trovi spesso le tarme". Quello che manca, però, non è solo un posto decoroso in cui scontare la pena, ma anche il lavoro, a cui la maggior parte ambisce per distrarsi e per avere un’opportunità di reinserimento una volta fuori. "Ormai hanno tagliato quasi il 50 per cento del lavoro in carcere, e ci scanniamo tra di noi per avere qualcosa da fare. Ma se mi tieni qui senza fare niente per vent’anni, una volta fuori che vuoi che faccia? Tornerò a delinquere perché altro non so fare". E mente i giorni passano troppo lentamente e in modo ripetitivo, si perdono a mano a mano anche le parole. "Il vocabolario per tutti si restringe, subiamo un’omologazione nel linguaggio e nel pensiero perché facciamo e diciamo sempre le stesse cose". Quello che emerge, dunque, è una critica feroce a un sistema, che di fatto non riabilita, e dove è quasi impossibile vivere senza impazzire, l’unico modo - spiegano - "è non pensare al tempo che devi scontare qui dentro. Alla fine, però, in ogni cella abbiamo due o tre calendari". Ma in questo racconto corale di una pena che sembra non finire mai, c’è anche uno spiraglio di speranza, negli affetti che sono fuori ( figli, madri, compagni) e in quelli incontrati proprio dentro. Nel carcere di Sollicciano, infatti, non sono rari gli amori tra le sbarre, perché il penitenziario maschile e quello femminile si trovano l’uno di fronte all’altro. E così uno sguardo dalla finestra diventa il presagio di una storia, che si sviluppa con la tecnica del "panneggio". Attraverso i panni fatti volteggiare fuori dalle finestre, infatti, i detenuti si parlano in un linguaggio d’amore in codice che solo loro conoscono e conservano gelosamente. Per il documentario, gli autori hanno scelto la tecnica dell’intervista multipla. I detenuti appaiono allo spettatore senza alcun artificio estetico e senza che si sappia che tipo di storia hanno alle spalle. "Abbiamo voluto rappresentarli solo come persone - spiega Daniele Segre - senza nessuna volontà di mistificare la realtà, perché quello che intendevamo realizzare era un viaggio di verità e condivisione. Usare artifici estetici per questi volti già così interessanti e belli sarebbe stata un’inutile strumentalizzazione". Gli incontri tra gli studenti e i detenuti si sono svolti in quattro giorni. "Siamo riusciti a tirar fuori un racconto così reale - aggiunge - perché abbiamo ottenuto di intervistarli da soli. Si è trattato di un incontro vero tra persone che avevano voglia di raccontarsi". Il progetto iniziale, però, era un altro - spiega una delle autrici del film, Francesca Mazzoleni: "Avremmo dovuto raccontare un concorso di band emergenti che si è svolto nel carcere. Ma quell’occasione è stata piuttosto il nostro cavallo di Troia, perché una volta dentro abbiamo realizzato queste interviste così cariche di umanità. E così la forza delle parole dei detenuti ci ha convinto a fare un lavoro diverso. Un flusso di racconti dove non ci sono nomi né storie personali, ma dall’interno si narra una condizione che unisce tante persone in tutto il paese". Lettere: la classe dei detenuti va in paradiso… di Aldo Mucci www.lavalledeitempli.net, 2 giugno 2014 Per stare in galera, vuol dire che se lo meritano. Una frase "secca", senza pensare ad altro, ne come vivono, ne se fanno la doccia con acqua calda tutti i giorni. Nessuno ha mai pensato se al detenuto basta un’ora d’aria, se nelle celle vi è luce sufficiente. Il carcerato è carcerato e basta. È trascorso un anno dalla sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo dell’8 gennaio 2013, Causa Torreggiani e altri c. Italia. Sintesi della sentenza: "Il signor Torreggiani fu detenuto nel carcere di Busto Arsizio dal 13 novembre 2006 al 7 maggio 2011, il sig. Bamba dal 20 marzo 2008 al 23 giugno 2011 e il sig. Biondi dal 29 giugno 2009 al 21 giugno 2011. Ciascuno di loro occupava una cella di 9 m² con altre due persone e disponeva quindi di uno spazio personale di 3 m². Nei loro ricorsi i ricorrenti sostenevano inoltre che l’accesso alla doccia nel carcere di Busto Arsizio era limitato a causa della penuria di acqua calda nell’istituto penitenziario. Il sig. Sela fu detenuto a Piacenza dal 14 febbraio 2009 al 19 aprile 2010, il sig. El Haili dal 15 febbraio 2008 all’8 luglio 2010 e il sig. Hajjoubi dal 19 ottobre 2009 al 30 marzo 2011. Il sig. Ghisoni incarcerato il 13 settembre 2007, è tuttora detenuto in questo istituto. I quattro ricorrenti affermarono di aver occupato delle celle di 9 m² con altri due detenuti. L’articolo 6 della legge n. 354 del 26 luglio 1975 recita: "I locali nei quali si svolge la vita dei detenuti e degli internati devono essere di ampiezza sufficiente, illuminati con luce naturale e artificiale in modo da permettere il lavoro e la lettura; aerati, riscaldati ove le condizioni climatiche lo esigono, e dotati di servizi igienici riservati, decenti e di tipo razionale. I detti locali devono essere tenuti in buono stato di conservazione e di pulizia. I locali destinati al pernottamento consistono in camere dotate di uno o più posti". Il Governo di allora (Monti) fece ricorso contro la sentenza, ma solo per prendere tempo. Oggi, l’Italia, viene condannata per non avere rispettato l’art. 3 della convenzione Europea dei diritti dell’uomo, voluta da tutti i 47 paesi dell’unione. Certamente metteremo mano al portafoglio per pagare la multa di cento milioni di euro relativa all’ultimatum della Corte Europea. Ma cosa chiede l’Ue di tanto difficile da realizzare? Semplicemente garantire a ogni detenuto uno spazio minimo di 4 mq, un po’ di luce in più, qualche intervento di pulizia in più e qualche ora in più fuori dalla cella per attività sociali". In attesa di attuare tutte le richieste, la "classe dei detenuti va in paradiso". Diceva Mahatama Gandhi: "tutti i criminali dovranno essere trattati come pazienti e le prigioni diventare degli ospedali riservati al trattamento e alla cura di questo particolare tipo di ammalati". Torino: in carcere la prigionia è anche nella mente… aspettando la chiusura degli Opg di Caterina Clerici La Stampa, 2 giugno 2014 Alle Vallette un reparto per malati psichici colpevoli di reato. I detenuti con problemi psichiatrici devono essere monitorati giorno e notte attraverso telecamere e monitor a circuito chiuso: "Basta un secondo di disattenzione perché succeda qualcosa". È un pomeriggio come tanti altri, forse solo un po’ più tranquillo, nel reparto d’osservazione psichiatrica "Il Sestante", nel carcere di Torino. Alcuni detenuti gironzolano, fumano, rientrano indolenti in cella, altri invece sono riuniti in biblioteca, una saletta stretta e luminosa con uno scaffale pieno di libri. Non si sentono urla, nemmeno dalla sezione di 23 celle singole con bagno a vista dove stanno i detenuti con un disagio psichico più acuto, ancora in fase di scompenso. "Loro li dobbiamo monitorare 24 ore su 24. Basta un secondo perché succeda qualcosa", spiega l’assistente responsabile Alessandro Colangelo da una stanzetta tappezzata di schermi su cui appaiono in bianco e nero i detenuti ripresi dalle telecamere. "Qui arrivano persone che hanno ogni tipo di disturbo psichico. Con ognuno di loro bisogna lavorare in modo diverso". Colangelo è uno dei diciotto agenti di polizia penitenziaria specializzati del Sestante. Ne ha - letteralmente - aperto le porte nel 2002, quando dalla collaborazione tra la Casa Circondariale Lorusso e Cutugno e il dipartimento di Salute Mentale Maccacaro dell’Asl To2 è nato il progetto per trasformare la preesistente "sezione degli agitati" nell’attuale reparto psichiatrico a due sezioni, una d’osservazione e una di trattamento. "Doveva servire a favorire la specializzazione dell’attività psichiatrica in carcere, diventata sempre più necessaria negli ultimi vent’anni con l’aumentare di problemi sociali che lo hanno trasformato in un contenitore per tanti tipi di patologie", spiega il dottor Elvezio Pirfo, direttore del Dipartimento Salute Mentale dell’Asl To2 e ideatore del progetto insieme all’allora direttore del carcere Pietro Buffa. "Se il numero degli internati nei sei ospedali psichiatrici giudiziari al momento oscilla tra gli 800 e i 900, quello dei detenuti con disturbi psichici è almeno 10 volte superiore", puntualizza. Mentre gli internati arrivano in Opg dopo un percorso, i detenuti entrano in carcere da un giorno all’altro. Ma possono essere comunque pazienti psichiatrici. E molti di loro passano da qui. "Non abbiamo solo i nostri pazienti, ma anche quelli degli altri istituti di pena", aggiunge l’educatrice Simona Botto. Con un’équipe di quindici fra psichiatri, psicologi, infermieri ed educatori presenti dal lunedì al sabato, e con dieci delle 23 celle singole - il più alto numero in Italia - destinate a detenuti inviati dal ministero per un accertamento della condizione psichica, il reparto è unico nel suo genere. Oltre ai detenuti interni in fase di scompenso arrivano in osservazione anche quelli con un’assegnazione temporanea da altri istituti, in media 150 l’anno. La permanenza di chi arriva da altri istituti ha un limite di 30 giorni, poi possono passare in sezione di trattamento con sedici celle doppie per la terapia e la riabilitazione, o tornare al carcere di provenienza o essere mandati in Opg, qualora la loro infermità psichica sia decretata incompatibile con il regime carcerario. I detenuti in assegnazione temporanea al carcere di Torino invece arrivano in sezione comune e possono anche aspettare lì il "miglioramento del quadro clinico", la loro unica scadenza. "La sofferenza psichica dei nuovi giunti talvolta è dovuta solo a una difficoltà di adattamento in altre carceri. Non tutti hanno bisogno di diagnosi e cure specifiche, ma giungono comunque alle Vallette", spiega la psichiatra Carlotta Berra. E la loro presenza finisce per creare una maggiore fatica anche nelle altre sezioni: "I detenuti spesso si lamentano dicendo che se non ci fosse il Sestante non ci sarebbero quelli che disturbano". Con l’avvicinarsi - almeno in termini legislativi - del loro superamento, previsto per l’aprile 2015, è grande il timore che reparti come il Sestante finiscano a rimpiazzare gli Opg nella funzione di contenitori per qualsiasi situazione a cavallo fra l’ambito psichiatrico e quello detentivo. "Si è già presa l’abitudine di assegnare a noi persone la cui capacità di intendere e volere è ancora in fase di giudizio", osserva la psichiatra. E la zona grigia non può che estendersi: "Con un minor numero di posti nelle "Residenze per esecuzione di misure di sicurezza", il flusso d’uscita dal carcere per i detenuti sarà rallentato e il Sestante rischia di essere visto come un’alternativa". "Se un paziente è ritenuto colpevole di reato deve avere la possibilità di scontare la pena con la stessa dignità di una persona normale, e se sta male all’interno del carcere deve poter essere curato in un reparto come il Sestante", dice Sara Cassin, presidente della Federazione delle strutture comunitarie psico-socio-terapeutiche: "Chi invece è dichiarato non imputabile non deve essere detenuto, ma contenuto in una struttura di tipo sanitario". Novara: Uil-Pa; al carcere di Via Sforzesca più agenti in servizio che detenuti nelle celle di Roberto Lodigiani La Stampa, 2 giugno 2014 Ispezione di una delegazione Uil in via Sforzesca per verificare le condizioni di vivibilità della casa circondariale secondo le norme segnalate dal Consiglio d’Europa. Ispezione in carcere ieri mattina per verificare il rispetto delle osservazioni segnalate dal Consiglio d’Europa in merito alle condizioni di detenzione. È stata una delegazione della "Uil" a visitare la casa circondariale di via Sforzesca. Il segretario nazionale Angelo Urso con il collega regionale Salvatore Calvone e il massimo dirigente provinciale Erberto Cappiello sono stati ricevuti dalla direttrice Rosalia Marino, di recente rientrata a tempo pieno a Novara dopo la parentesi dell’incarico a Torino. "A Novara non c’è sovraffollamento dei detenuti - dice Erberto Cappiello. Sono 120 gli incarcerati "comuni" e 70 sottoposti al regime 41 bis. Gli agenti sono addirittura in soprannumero". Le celle potrebbero ospitare anche sei brande ma "le condizioni ambientali - dice Cappiello - permettono di prevederne in media 4". Tra le anomalie si è distinta la condizione della ex sezione femminile: "La palazzina è stata dichiara inagibile da anni - sottolinea Cappiello -. Le richieste per procedere con la trasformazione in infermeria non si contano più". L’affidamento della gestione dello spaccio-bar interno ad una cooperativa per il recupero dei detenuti dal luglio scorso ha creato un’impasse: "Gli agenti della polizia penitenziaria - conclude Cappiello - se in servizio per oltre 6 ore e 10 minuti mangiano a spese dell’amministrazione carceraria. Se invece sono fuori servizio devono pagarsi il pasto. Ma la cooperativa non è abilitata al rilascio degli scontrini fiscali così il personale in riposo deve forzatamente uscire dai locali carcerari. Una soluzione va trovata senza ulteriori ritardi". Modica (Rg): imminente la chiusura del carcere... ma non è ancora tutto perduto di Valentina Raffa La Sicilia, 2 giugno 2014 La Casa circondariale di Modica è alle ultime battute. Si rincorrono voci sull’imminente chiusura, c’è chi ritiene che il dado sia ormai tratto malgrado gli appelli di questi giorni alle istituzioni perché intervengano per impedire che un carcere piccolo ma anche modello possa chiudere battenti, mentre un barlume di speranza si riaccende alle dichiarazioni della senatrice del Pd Venera Padua dopo uno scambio con il ministro della Giustizia Andrea Orlando e con il presidente della Regione siciliana, Rosario Crocetta. "Da entrambi ho ricevuto rassicurazioni sul fatto che è possibile, assieme, e quindi anche con l’impegno del Governo regionale, trovare delle soluzioni. Ovviamente spingeremo in questa direzione - dice la Padua con riferimento non solo alla situazione del carcere, ma anche alla revisione della geografia giudiziaria in Italia, che ha cancellato con un colpo di spugna il palazzo di giustizia di Modica accorpandolo a quello di Ragusa". Non si è trattato dell’incontro richiesto più volte al ministro dalla senatrice, in quanto la Padua ha colto al volo l’occasione dei lavori della direzione nazionale del partito, a Roma, per potere illustrare la situazione del tribunale e del carcere. Poco importa - anche se la dice lunga sulla posizione del Governo nazionale in merito alla chiusura del tribunale e al decreto ministeriale del 1° febbraio 2013 sulla riorganizzazione del sistema penitenziario in Italia - perché quel che conta è il risultato finale, ovvero l’interlocuzione che c’è stata. Come si ricorderà, per quanto concerne il tribunale, la data X che sancirà la chiusura definitiva senza possibilità di ritorno è il 13 settembre prossimo, mentre per il carcere lo scorso aprile il Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria di Palermo ne ha dichiarata imminente la chiusura, salvo poi sospendere l’esecutività del provvedimento per un mese a decorrere dal 15 maggio. "Non voglio suscitare false speranze - dice la senatrice Padua - ma al ministro Orlando e al presidente Crocetta ho chiesto, in maniera congiunta, di assumere un impegno, pur prendendo atto della complessità della situazione, in relazione alle problematiche di entrambi i presidi e, come anzidetto, ho ricevuto rassicurazioni sulla ricerca di soluzioni". In tutta questa situazione c’è chi si chiede dove stiano alcuni parlamentari iblei che non si sono mai fatti vivi durante gli incontri. "La sen. Padua si sta spendendo, ma se si facesse sinergia con gli altri rappresentanti politici, forse il territorio ne trarrebbe dei benefici e il distacco tra la politica e la gente comincerebbe a diminuire - commenta Salvatore Rando, presidente del Comitato via Loreto -. La politica finalmente si appropria della rappresentatività del territorio e ogni passaggio istituzionale rappresenta un momento fondamentale per comunicare, trattare e poi decidere con serenità quei passaggi correttivi spesso utili per raggiungere gli obiettivi di una riforma. Il buon senso può senz’altro prevalere e fare raggiungere risultati di efficienza ed efficacia al servizio dei cittadini. Il territorio va ascoltato". Lodi: le sviste del carcere che libera i detenuti sbagliati di Salvatore Garzillo Libero, 2 giugno 2014 Nel carcere di Lodi c’è qualcosa che non va. Lo avevano annunciato le sigle sindacali della polizia penitenziaria già mesi fa, ma per capirlo davvero c’è stato bisogno di un inciampo dell’amministrazione, che il 30 maggio ha scarcerato per sbaglio un detenuto. Il terzo dallo scorso febbraio, per la precisione. L’uomo, un 40enne italiano, ha ricevuto la notifica di una misura di sorveglianza (la libertà vigilata) prevista al termine della sua condanna, ma l’atto è stato interpretato male dai dipendenti dell’ufficio matricola che hanno vidimato la sua immediata scarcerazione. Al detenuto è stato consegnato un atto pieno di tecnicismi giuridici che ha letto senza capirci molto. Incredulo, ma per niente interessato a chiedere dettagli, il 40enne è uscito dal carcere, ha subito telefonato al suo avvocato per congratularsi del miracolo e in quel momento ha ricevuto la brutta sorpresa. È stato un errore, pardon, costituisciti e torna in cella. Qualche ora dopo si è presentato in questura col proprio difensore per spiegare cosa era successo, scatenando involontariamente un uragano sul penitenziario già in tempesta. "È il terzo episodio di scarcerazione sbagliata da febbraio - ha ricordato il segretario provinciale Ugl Enzo Tinnirello. Auspico che non sia il personale di polizia penitenziaria a pagare questo errore che è riconducibile al clima di tensione e di stress che si vive all’interno da troppo tempo. Appare quanto mai necessario e urgente l’avvicendamento dell’attuale direttrice Stefania Mussio onde smantellare l’attuale assetto dell’istituto e ridare respiro alla polizia penitenziaria". La Mussio è al centro delle polemiche da tempo e qualcuno sospetta che i gravi errori registrati negli ultimi quattro mesi siano un modo per mandarla via. L’unica cosa certa è che i sottoposti non apprezzano la sua gestione del carcere, dove gli agenti denunciano una grave situazione organizzativa, mancanze sindacali, carenza di sicurezza e igiene, la mancata considerazione dell’aggiornamento professionale e una sbagliata ripartizione dei carichi di lavoro. E poi ci sono le scarcerazioni sbagliate. Della prima, avvenuta a febbraio, si ha solo notizia e neppure i sindacati hanno voluto fornire dettagli, ma la seconda è spettacolare. Ruota attorno a uno scambio di persona causato da errore nella lettura dell’età del destinatario del provvedimento. Protagonista è Hicham Ennakagh, marocchino di 28 anni che era stato arrestato dai carabinieri di San Giuliano Milanese nell’ambito di un’operazione che aveva permesso di individuare un traffico di eroina e cocaina nelle campagne di Pedriano. All’inizio di marzo Ennakagh riceve un’inaspettata notifica di scarcerazione che invece era destinata al suo compagno di cella, il nordafricano Mahjub Echakraoui, che di anni ne ha 48 e non 28. Il marocchino ritira i propri effetti personali e mentre si avvia all’uscita si accorge di aver ricevuto per sbaglio il portafogli del compagno. Allora chiama il suo avvocato Debora Piazza, la ringrazia per il lavoro svolto e le racconta anche del portafogli, aggiungendo quel dettaglio come fosse trascurabile. Il difensore, che non aveva in calendario la liberazione del suo cliente, gli chiede un paio di volte di ripetere il nome temendo che la persona al telefono avesse sbagliato numero. Alla terza volta è partita per Lodi e ha convinto l’extracomunitario a fare rientro nella struttura di via Cagnola. A sua discolpa ha detto di non aver capito cosa c’era scritto sull’atto perché non era stato tradotto in arabo. Il detenuto, a differenza degli addetti del carcere, non parla e non legge l’italiano. Padova: giovedì la presentazione del libro "Ergazomai, testimonianze dal carcere" Il Mattino di Padova, 2 giugno 2014 Quella del carcere è una realtà invisibile, di cui non ci si cura; eppure anch’essa è fatta di uomini e donne, di paura e sconforto amplificate da una porta che si chiude e non si riaprirà. Spiegare un così complesso mondo non è cosa da poco, ma ce ne dà un quadro il libro "Ergazomai", edito dalla Aracne, che sarà presentato giovedì alle 21 alla Parrocchia di Santa Rita, via Santa Rita. Nato da un progetto patrocinato dal Ctp dell’Istituto Comprensivo di Camposampiero e curato da Daniela Lucchesi, insegnante di italiano presso il carcere Due Palazzi, "Ergazomai", parola greca da cui deriva "Ergastolo, raccoglie testimonianze, racconti, fumetti e fotografie di alcuni reclusi della casa circondariale cittadina che illustrano la vita nel carcere, i giorni, mesi e anni di attesa del nulla, la "non vita" nel "non luogo" del carcere, restituendo dignità a chi la vive. Alla serata parteciperanno la curatrice, l’educatrice Cinzia Sattin, la docente di diritto costituzionale Rosanna Tosi e Mario Pace, uno degli autori del libro e detenuto nel carcere Due Palazzi. Ingresso libero. Verona: i ragazzi del Liceo Sportivo "Seghetti" propongono attività motorie ai detenuti di Manuela Trevisani L’Arena, 2 giugno 2014 Un gruppo di studenti dell’istituto Seghetti si è trasformato in istruttore per i detenuti di Montorio. I ragazzi del liceo sportivo hanno proposto attività motorie sotto la supervisione di un docente "Esperienza di grande umanità". Lo sport come momento di svago e condivisione tra i detenuti del carcere di Montorio e gli studenti delle scuole veronesi. Un modo per abbattere le barriere tra chi sta dentro e chi sta fuori, in grado di mettere tutti sullo stesso piano, senza disparità o forme di imbarazzo. Quest’anno l’istituto Seghetti ha sperimentato il nuovo progetto "Percorsi didattici nella scuola", finanziato dal Centro servizio per il volontariato (Csv) e sostenuto dall’Ufficio scolastico: gli studenti delle classi quinte del liceo sportivo si sono trasformati in veri e propri istruttori, proponendo attività motorie ai detenuti, sotto la supervisione del docente Zaccaria Tommasi. "Quest’esperienza ha permesso ai ragazzi non solo di mettere in pratica le proprie competenze disciplinari, ma anche di crescere sul piano umano e relazionale", ha spiegato il preside dell’istituto Seghetti, Mauro Pavoni, nel corso di un convegno in cui sono stati illustrati i risultati del progetto. "Per gli studenti l’iniziativa è stata molto arricchente dal punto di vista personale, perché ha permesso loro di capire che ognuno ha la propria storia: incontrare chi è distante da noi permette di smuovere dimensioni umane, che ci rendono più aperti e disponibili verso gli altri". A sottolineare la funzione che può svolgere lo sport è stato anche Federico Schena, presidente del Collegio didattico di Scienze motorie dell’ateneo veronese: "Trasmettere l’educazione attraverso lo sport, è una sfida importante soprattutto in contesti difficili come il carcere o la disabilità e può dare grande valore al movimento". Non poteva mancare Damiano Tommasi, presidente dell’ Associazione calciatori, sempre sensibile ai temi sociali. "Madre Teresa diceva di aver visto molta più povertà nelle strade di Londra che a Calcutta, perché parlava di un tipo di povertà diversa da quella che si intende comunemente", ha detto Tommasi agli studenti presenti in aula "Molti ragazzi che sono in carcere sono più "avanti" di tanti altri, perché si sono posti delle domande e hanno riflettuto: è importante, quando si entra in contatto con queste persone, cercare anche di capire la storia di chi arriva a delinquere". Di storie ne ha conosciute certamente molte Maurizio Ruzzenenti, presidente di Progetto Carcere 663, associazione che dal 1985 promuove tornei sportivi, attività e corsi di formazione a favore dei detenuti. Presentando la quarta edizione del volume "Studenti in carcere", che raccoglie le testimonianze di ragazzi che hanno partecipato all’iniziativa, ha deciso di togliersi qualche sassolino. "La ventiseiesima edizione di Carcere e Scuola quella del 2014, purtroppo non si è fatta per esplicita volontà della direzione della casa circondariale di Montorio, che ha preferito far entrare un numero esiguo di scuole per effettuare una visita guidata", ha fatto sapere Ruzzenenti, come già anticipato nei giorni scorsi su L’Arena. "Noi ogni anno organizzavamo peri detenuti un’ottantina di incontri con persone esterne, come momenti di svago e confronto per chi è rinchiuso dietro le sbarre: da quest’anno, però, abbiamo deciso di sospendere la nostra collaborazione con il carcere veronese. Continueremo comunque a portare avanti le attività in altre strutture penitenziarie e nelle scuole, attraverso i corsi di educazione alla legalità". Belluno: "Alice nel paese delle domandine" e "Alice, la guardia e l’asino bianco" www.bellunopress.it, 2 giugno 2014 Monica Sarsini conversa con Angelo Pauletti sulla condizione femminile nelle carceri italiane. Venerdì 6 giugno la Sala Bianchi ospiterà un importante approfondimento sulla condizione femminile nelle carceri italiane, patrocinato dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Belluno. Il tema verrà esplorato, conversando con Angelo Pauletto, sullo spunto di due libri della scrittrice Monica Sarsini: "Alice nel paese delle domandine" e "Alice, la guardia e l’asino bianco", editi da Le Lettere. Si tratta della raccolta delle testimonianze dirette delle detenute nel carcere fiorentino di Sollicciano, alle quali l’autrice ha prestato la sua penna nell’ambito di un corso di scrittura proprio rivolto alle detenute. I racconti, narrati con efficace schiettezza, offrono un ritratto accurato della vita all’interno delle mura del penitenziario. Un mondo a sé popolato di "Donne dall’andatura sicura o indecisa, ricurve su se stesse per difendersi, oppure spavalde, che camminano guardando in terra o dallo sguardo rivolto lontano. Che parlano sempre, che urlano, altre che sono silenziose. Donne dimenticate, donne attese fuori dal cancello, che amano e non sono amate, che sono amate e che non amano. Donne che litigano, che si rispettano, che si vogliono bene" (tratto da "Alice nel paese delle domandine"). Un mondo inedito, raccontato ora per la prima volta: perché anche se molti e illustri scrittori hanno narrato della condizione maschile (Casanova, Pellico, Dostoevskij, Genet, Solzenicyn solo per citarne alcuni), la dimensione femminile è rimasta purtroppo non rappresentata. La cittadinanza tutta è invitata a partecipare all’incontro, che si terrà in Sala Bianchi alle ore 18.00. Cosenza: teatro-carcere, anticipata al 5 giugno la messa in scena di "Amore sbarrato" www.quicosenza.it, 2 giugno 2014 È stato anticipata a giovedì prossimo, 5 giugno (anziché venerdì 6 giugno) la messa in scena da parte dei detenuti della Casa circondariale di via Popilia al Teatro Rendano di "Amore sbarrato" per la regia dell’attore Adolfo Adamo. Per la prima volta un gruppo di detenuti della casa circondariale "Sergio Cosmai" di via Popilia varcherà la soglia dell’istituto di pena per recarsi al teatro cosentino per recitare, da attori, nell’atto unico "Amore sbarrato", scritto e diretto dall’attore cosentino Adolfo Adamo. L’allestimento giunge a conclusione del laboratorio teatrale che lo stesso Adamo ha tenuto nella casa circondariale di Cosenza dallo scorso mese di marzo. La singolare iniziativa, che ricalca in qualche misura un modello già sperimentato con successo in altre città italiane dove analoghe esperienze hanno così attecchito da dar vita a vere e proprie compagnie teatrali interamente formate da detenuti (l’esempio più significativo è la Compagnia della Fortezza del carcere di Volterra, fondata da Armando Punzo e al suo venticinquesimo anno di vita), è stata voluta dall’Amministrazione comunale di Cosenza, segnatamente dall’Assessore al teatro e allo spettacolo Rosaria Succurro, e dalla Casa Circondariale "Sergio Cosmai". L’appuntamento dunque è per giovedì 5 giugno alle ore 18,30, al Teatro "Rendano" con ingresso libero. "Amore Sbarrato", prodotto dal Comune di Cosenza - spiega nelle note di regia, l’autore Adolfo Adamo - nasce dall’incontro dei detenuti della Casa Circondariale "Sergio Cosmai" con il teatro. Nell’atto unico ho cercato di riassumere il percorso laboratoriale che i ragazzi hanno affrontato. Da un approccio iniziale al non facile compito di poter recitare ed interpretare un ruolo che rimanda al classico dualismo persona/personaggio. Un viaggio metaforico in cui realtà e fantasia si intrecciano continuamente. Il palcoscenico rappresenta per tutti loro - dice ancora Adolfo Adamo - un mezzo per poter scrutare la vita con una lente d’ingrandimento. Fare teatro, anche e soprattutto nelle case circondariali, è fondamentale, perché è importante sia come opportunità che come esperienza artistica. Abbattere uno stato d’invisibilità consente così alla persona di ritrovare il filo della propria storia e di poterla raccontare". "L’Amministrazione comunale - sottolinea l’Assessore Rosaria Succurro - è grata al Direttore della Casa circondariale Filiberto Benevento per l’opportunità che ha offerto ai detenuti impegnati nel progetto teatrale. Ciò significa che l’istituto di pena "Sergio Cosmai" rappresenta realmente un modello all’interno del quale i percorsi di riabilitazione siano non solo possibili, ma possano sostanziarsi di contenuti". L’iniziativa che avrà come conclusione la messa in scena di "Amore sbarrato" sarà presentata in una conferenza stampa in programma martedì 3 giugno, alle ore 11,30, nel salone di rappresentanza di Palazzo dei Bruzi. Prevista la partecipazione del Sindaco Mario Occhiuto, dell’Assessore Rosaria Succurro, del direttore della casa circondariale di Cosenza Filiberto Benevento e dell’attore e regista Adolfo Adamo. Libri: "Il maestro dentro. Trent’anni tra i banchi di un carcere minorile", di M. Tagliani www.letteratura.rai.it, 2 giugno 2014 Mario Tagliani è autore e protagonista in prima persona di "Il maestro dentro. Trent’anni tra i banchi di un carcere minorile" (Add editore), una lunga storia ambientata nell’Istituto penale per minori di Torino, il Ferrante Aporti, dove più che insegnare è necessario educare nel senso etimologico del termine, aiutando a far uscire la parte viva di sé che i ragazzi credono dimenticata o inesistente. Questo libro, nelle intenzioni dell’autore, è infatti rivolto anzitutto ai suoi studenti, a quei ragazzi che provengono da paesi sempre più lontani con cui il maestro deve trovare una lingua comune per riprendere un dialogo, ma anche a molti italiani persi, ragazzi senza punti di riferimento, incapaci da soli di uscire dalla loro condizione di carcerati. La storia di Mario Tagliani e dei suoi ragazzi è scritta con tutta la passione e l’amore che un maestro deve mettere nel suo lavoro, con la dolcezza e la libertà che ogni giorno va portata in classe. Come testimoniano anche le parole di Fabio Geda, amico e autore della prefazione del libro di Tagliani: "Un maestro in carcere deve accogliere rabbia, disagio, dolore; deve credere comunque nella bellezza: nella bellezza, nonostante tutto". India: caso marò; Fdi-An non partecipa a videoconferenza "è l’ennesima presa in giro" Adnkronos, 2 giugno 2014 "Fratelli d’Italia-Alleanza Nazionale non parteciperà all’audizione per videoconferenza dei fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, organizzata dalle commissioni riunite Esteri e Difesa di Camera e Senato, in occasione del 2 giugno, Festa della Repubblica". È quanto dichiarano Edmondo Cirielli e Ignazio La Russa, deputati di Fratelli d’Italia-Alleanza Nazionale. "Non critichiamo l’intenzione lodevole di testimoniare ai marò la vicinanza e la solidarietà delle commissioni - spiegano - ma abbiamo l’impressione di essere, ancora una volta, di fronte alla solita propaganda e all’ennesima presa in giro nei confronti di due servitori dello Stato, detenuti illegalmente e in palese violazione del diritto internazionale in India da oltre due anni". "Il tempo delle parole è finito - concludono Cirielli e La Russa - Sono trascorsi più di tre mesi ormai dalla famosa telefonata di Renzi nella quale disse che avrebbe fatto semplicemente di tutto per i nostri marò. Finora, invece, nulla di concreto è stato fatto per riportare a casa Massimiliano e Salvatore. I ministri competenti vengano immediatamente in Aula a riferire cosa intendono fare. Non si indugi più. Il Governo metta la parola fine a questa vergognosa vicenda". Iran: Amnesty International; giustiziato prigioniero politico che capeggiò rivolta carcere Agi, 2 giugno 2014 In Iran è stato giustiziato un prigioniero politico per il quale Amnesty International aveva chiesto clemenza. Gholamreza Khosravi Savadjani era stato condannato a morte per aver "scatenato una guerra contro Dio" con il sostegno dato ai Mujahedeen del Popolo, organizzazione nata prima per cacciare lo Shah e poi repressa dal regime khomeinista quando i Mujahedeen vi avevano visto un nuovo avversario. L’organizzazione afferma che le autorità lo ritenevano il responsabile della rivolta che il 17 aprile scorso mise a soqquadro la prigione di Evin, una delle più dure e crudeli del paese. "L’esecuzione di Savadjani è avvenuta nell’ambito di una vendetta contro i detenuti della sezione 350 di Evin e contro coloro che intendono resistere al fascismo religioso anche all’interno del carcere", si legge in una comunicato. Nella prigione, che si trova nella parte nord di Teheran, i detenuti sarebbero stati picchiati, mentre la versione delle autorità è che Savadjani avrebbe ingaggiato una lite fisica con le guardie che volevano perquisirlo. Secondo Amnesty, in base a una legge il detenuto, in cella dal 2008, godeva di una serie benefici concessi da una legge che aveva stabilito pene più leggere per i reati dei quali Savadjani era stato accusato. Sudan: marito Meriam; non so nulla di imminente liberazione, ho sentito notizia da media Ansa, 2 giugno 2014 Il marito di Meriam Ibrahim, la donna sudanese condannata a morte per apostasia e in carcere da febbraio, ha detto di non sapere nulla dell’imminente liberazione della moglie annunciata ieri dal ministero degli Esteri. "Non mi ha contattato nessun funzionario", ha detto Daniel Ibrahim alla Bbc, "ho sentito la notizia dai media. Forse ci sono stati contatti tra il governo sudanese e mediatori stranieri di cui io non sono a conoscenza", ha aggiunto. Intanto, dopo aver dato la notizia di un rilascio di Meriam "a giorni", oggi il ministero degli Esteri ha parzialmente corretto il tiro precisando che la scarcerazione della donna deve comunque essere sancita da una sentenza della Corte d’appello, ipotesi questa anticipata anche dagli avvocati della difesa. Ucraina: i ribelli "tutti gli osservatori sono stati rilasciati", ma l’Osce non conferma Ansa, 2 giugno 2014 "Tutti gli osservatori Osce arrestati nella regione di Donetsk sono stati rilasciati". Lo afferma il sindaco dei ribelli della città di Sloviansk, senza precisare se si tratti di entrambi i team in stato di arresto. L’Osce tuttavia afferma di "non avere preso contatti" con nessuno degli osservatori e di "non poterlo confermare". "È possibile che la notizia sia vera ma aspettiamo che ci contattino e siano in sicurezza" affermano all’Ansa fonti qualificate occidentali a Donetsk. Nel complesso sono otto gli osservatori detenuti dai ribelli: un primo team è agli arresti già dal 26 maggio, mentre l’altro team, sempre di quattro osservatori, è detenuto in un luogo non precisato, sempre nella regione dell’autoproclamata Repubblica popolare separatista.