Giustizia: nuove pene oltre il carcere, una sfida in chiave europea di Carlo Alberto Romano Corriere della Sera, 26 giugno 2014 Si è svolto nei giorni scorsi presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Brescia un convegno organizzato dalla Sezione distrettuale di Brescia della Associazione Nazionale Magistrati, dalla Camera Penale della Lombardia orientale e dallo stesso Dipartimento, dal titolo "Sfide e diffide: sentenza Torreggiani nuovo carcere nuove pene". L’evento ha consentito di fare il punto sulla situazione penitenziaria italiana, alla luce della Sentenza del Corte europea dei diritti dell’uomo, valutando gli interventi proposti dal legislatore e le ricadute sui detenuti. Il primo elemento sottolineato dagli esperti è che non siamo stati promossi. Meglio essere chiari, sul punto; alcuni giorni orsono sono apparsi alcuni commenti provenienti da Canton Mombello improntati a un compiacimento per lo sforzo compiuto localmente (innegabile ed evidente) cui era connessa una valutazione positiva delle misure intraprese a livello nazionale. In realtà il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa ha detto che qualcosa in Italia si sta facendo, riservandosi però il giudizio definitivo fra un anno. Non è una promozione ma una sospensione di giudizio, se vogliamo usare la terminologia scolastica coerente con questo periodo. E ciò vale per tutta Italia, Canton Mombello compreso. Il secondo elemento affermato è che non basta aumentare la superficie della cella (pur essendo questo un passaggio imprescindibile) per ritenere di aver adempiuto alle richieste provenienti dall’Europa. Occorre limitare il flusso di accesso al carcere, diminuendone la necessità di utilizzo. La recentissima legge sulla "messa alla prova" per gli adulti va in questa direzione, introducendo uno strumento cha ha dimostrato di funzionare per i minorenni e che offre un percorso alternativo al carcere, sfruttando la capacità risocializzativa dell’esecuzione esterna. Fondamentale il raccordo fra difensori, Servizi del territorio e Uffici giudiziari per far decollare proficuamente questa misura. È stata ribadita altresì la necessità di insistere su modalità innovative di gestione della detenzione inframuraria (la cosiddetta sorveglianza dinamica) anche se non basta aprire le celle, occorre anche riempire di contenuti trattamentali le giornate dei reclusi. Infine tutti i partecipanti hanno convenuto come qualsiasi soluzione non debba essere delegata al solo penitenziario. Occorre che la comunità se ne faccia carico consapevolmente, mediante un sempre maggior ricorso a misure riparative di utilità sociale: in questo Brescia con le sue esperienze (ad esempio il recente protocollo firmato da Comune, Direzioni penitenziarie, Tribunale di sorveglianza e volontariato, e gli altri percorsi da tempo avviati sul territorio provinciale come Agnosine, Monte Isola e Zone) può essere additata ad esempio nel panorama nazionale. Questa è la strada da proseguire con convinzione. Un convegno dunque utile, con un unico neo: la scarsa presenza in aula della Magistratura bresciana (con esclusione di quella di Sorveglianza, presente al completo). Il tema era attuale il dibattito coinvolgente: peccato aver perso un’occasione per ascoltare tutte le autorevoli voci del mondo della giustizia. Giustizia: la Cassazione frena sulla riforma messa in cantiere dal governo Renzi di Silvia Barocci Il Messaggero, 26 giugno 2014 Santacroce avverte l’esecutivo: "Non so cosa si nasconda dietro la riforma della giustizia sbandierata dal governo Renzi: il 30 giugno dovrebbe essere il giorno decisivo. Io non ho niente contro chi propone il cambiamento radicale, anzi le istanze che arrivano dalla società sono forti ed è il caso di dire: era ora. Ma se determinazione e rapidità sono essenziali, possono rivelarsi fragili" se non adeguatamente sostenute. Parole (non tenere) del primo presidente della Cassazione, Giorgio Santacroce. Mancano pochi giorni al Consiglio dei ministri con all’ordine del giorno le misure sulla giustizia. Si va dall’accelerazione delle cause civili che scontano il peso di 5 milioni di processi pendenti, all’introduzione nel penale del reato di auto-riciclaggio, passando attraverso l’innalzamento delle pene per il falso in bilancio, l’avvio della riforma della prescrizione, un nuovo sistema di voto disgiunto al Csm per depotenziare il sistema delle correnti tra le toghe, e nuove regole sulle intercettazioni per garantire la privacy. Come spiegare, allora, le frasi che mal celano lo scetticismo di Santacroce? Il malumore Archiviata l’età berlusconiana delle leggi ad personam in tema di giustizia (depenalizzazione del falso in bilancio, ex Cirielli sulla prescrizione, lodo Alfano, ddl intercettazioni etc.), ad alimentare un clima di non fiduciosa attesa sono le novità del decreto Pubblica Amministrazione sul taglio da 75 a 70 anni dell’età pensionabile dei magistrati. Il tentativo di un intervento più graduale per evitare pericolose scoperture di organico è fallito. Le grida di allarme - levatesi in particolar modo dalla Cassazione, dove il 50% delle "toghe" rischia di andar via per l’età avanzata - sono cadute nel vuoto. La magistratura è riuscita a strappare, al massimo, un’ estensione a tutti - e non solo a chi ricopre incarichi direttivi o semi direttivi - dell’entrata in vigore della riforma a partire dal 31 dicembre del 2015. Ma nessuno slittamento ulteriore della data. "Da anni - sottolinea Santacroce in occasione di un convegno organizzato dalla Corte di Appello di Roma - il tema giustizia è vissuto come scontro di poteri", mentre "sia la maggioranza che l’opposizione hanno mostrato completo disinteresse per il funzionamento della macchina giudiziaria" e spesso hanno optato per "ricette di comodo". I timori A quello di Santacroce si accompagna l’affondo del pg della Suprema Corte, Gianfranco Ciani, che invita a "non inseguire le contingenze" perché "le riforme devono essere ragionate e di lungo periodo". Alla luce dei recenti tagli agli stipendi e all’età pensionabile dei magistrati, non sono in pochi a temere pericolosi "coup de théàtre" di Renzi. Volgendo lo sguardo al passato, Ciani non esita a parlare di "legislazione sovrabbondante, caotica e spesso di basso livello". Poi cita la cifre: "Nessuna Corte suprema al mondo affronta 80mila ricorsi l’anno come la nostra". Un carico ormai insopportabile, di fronte al quale Santacroce torna ad invocare un filtro in entrata. Vuoti di organico Mentre il presidente della Suprema Corte non recede e reclama, in sede di conversione del decreto sulla Pubblica Amministrazione, una maggiore gradualità sui pensionamenti, l’Associazione nazionale del magistrati convoca per il 10 luglio un’assemblea in Cassazione alla quale invita il Guardasigilli Andrea Orlando. Il quale, in vista del prossimo Cdm, si limita a sollecitare la "cooperazione fattiva di tutti i vari interlocutori" del sistema giustizia per far arrivare in porto la riforma. Un terreno che - alla luce di quanto accaduto alla Camera sulla responsabilità civile dei magistrati - potrebbe rivelarsi minato per il governo. Giustizia: il problema delle prigioni è la carcerazione preventiva di Bruno Ferraro (Presidente Aggiunto Onorario Corte di Cassazione) Libero, 26 giugno 2014 Nello scorso mese di maggio è scaduto per l’Italia il termine imposto dall’Europa per "rimediare alle condizioni disumane in cui vivono quasi 65.000 persone, stipate in centri detentivi che possono ospitarne un massimo di 47.000". A fine aprile il Dap (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) ha fissato in 60.167 l’entità della popolazione carceraria a fronte di una capienza massima di 48.309. Sta di fatto, però, che l’Italia si colloca comunque al penultimo posto in Europa con una percentuale di 145,4 detenuti per ogni 100 posti disponibili. Parlamento e governo, in verità, si sono mossi realizzando di fatto una riduzione della popolazione carceraria malgrado la non apertura ad una concessione, in via straordinaria, di amnistia ed indulto. Non è stata sicuramente estranea a tale chiusura la necessità di riaffermare la "irrinunziabilità" della pena inflitta all’ex premier Silvio Berlusconi e la necessità di ribadire il concetto che le pene vanno eseguite. Perché ho citato tale fatto? Per sottolineare che il dibattito sulla pena torna ciclicamente sulla scena, senza per venire a conclusioni univoche. La nostra Costituzione del 1948 proclama nell’art. 27 che "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato". La frase ha un preciso significato. Al reato deve conseguire una pena, per sua natura afflittiva; la pena, però, non può corrispondere solo ad una esigenza punitiva o repressiva, ma deve preoccuparsi (anche) del recupero del condannato. Di conseguenza vanno abbandonate, come del tutto inappropriate, espressioni che circolano nei dibattiti culturali ma sono estranee a qualsiasi realistica strategia di lotta alla devianza ed all’illegalità. Ne cito alcune, scegliendole fra le tante: - Come rispondere ad un delitto senza commettere un altro delitto? Dovremmo per caso lasciare impuniti i reati e mandare in cassa integrazione i giudici? - Giustizia è punizione? Ma se non lo è, qualcuno ci può spiegare a cosa serve? - Compito principale non è quello di punire ma quello di "restaurare" le persone (cosiddetta giustizia riparativa), vittime e colpevoli, attraverso l’ascolto e la responsabilizzazione. Quindi, no alla punizione dei colpevoli perché è l’unico modo per "responsabilizzare" essi stessi e le loro vittime? - No alla vendetta, sì al perdono responsabile. Che significa? Con la pena ci si vendica forse per il male ricevuto, mentre il perdono è un moto dell’anima che può essere comandato a tavolino dalla società? - La libertà non può essere limitata salvo che in un unico caso, quando serve a consentire la libertà altrui. Strano che a ragionare così sia una persona che operando come magistrato ai tempi di Mani pulite non si fece certo lo stesso scrupolo quando le Procure furono "agevolate" con un uso generoso della custodia preventiva. - Il carcere non rispetta la dignità dei detenuti e dei loro figli che in tenera età sono privati delle figure paterne. Quindi, mandiamo in carcere solo i celibi e i coniugati senza prole? - Con il carcere non si aiuta la vittima a superare il trauma dell’aggressione. Provate a dirlo ad una vittima e ne riparleremo. - La pena non crea ma distrugge la responsabilità. Frase oscura, di cui non è dato capire il senso. Potrei continuare, ma affliggerei inutilmente i miei lettori. Una prima conclusione? Con una legge penale che concede al giudice un ampio potere discrezionale nell’adozione della custodia cautelare (cioè preventiva), il sovraffollamento non è certo dovuto al numero dei condannati in espiazione, bensì al numero dei ristretti per carcerazione preventiva e degli stranieri. Quanto ai condannati, mentre in Italia è costantemente disatteso l’obbligo del recluso di pagarsi il "soggiorno" in carcere, in altri Paesi non si fanno scrupolo di affermare il contrario: così in Olanda e così in Germania; l’uno e l’altro Paese, soprattutto il primo, con una popolazione carceraria nettamente inferiore all’Italia. I problemi, abbandonando la chimera di nuove carceri, sono quindi altrove e tutti risolvibili. Basta smetterla con slogan dettati in periodo di emergenza. Giustizia: "la sera mi chiudono a chiave"… la vicenda del bimbo cresciuto a Sollicciano di Antonella Mollica Corriere Fiorentino, 26 giugno 2014 Giacomo ha sei anni e mezzo, e da oltre cinque vive con la mamma in carcere. Secondo la legge non dovrebbe essere lì, ma in un centro che ancora non c’è. La legge 21 del 2011 stabilisce che le donne condannate a pene detentive con figli minori non devono stare in carcere fin quando il bambino non avrà compiuto il sesto anno di età (contro i 3 della vecchia legge) se non in casi eccezionali. In questo caso la detenzione sarà disposta presso un istituto a custodia attenuata per detenute madri. Quando è entrato in cella con la mamma detenuta aveva solo un anno e non sapeva né camminare, né parlare. Adesso Giacomo, nome di fantasia, ha quasi sette anni e continua a vivere nel reparto femminile di Sollicciano con la madre. Quella è l’unica casa che abbia mai conosciuto. In questi anni ha frequentato l’asilo nido, la scuola materna e da settembre andrà in prima elementare. Adesso che è grande comincia a fare domande, anche ai compagni: "Perché mi chiudono a chiave quando torno a casa?". Giacomo non ha colpe da espiare. Non ha commesso reati, eppure è un condannato senza che mai nessun giudice abbia scritto una sentenza. È il detenuto più piccolo del carcere di Sollicciano, appena sei anni e quattro mesi, ma anche il più grande tra quelli mai approdati nell’istituto fiorentino e forse anche nel resto d’Italia. A memoria, dicono quelli che conoscono la sua storia, un caso unico. Giacomo - il nome ovviamente è di fantasia - detiene un altro record: ha passato quasi tutta la sua "piccola" vita tra le sbarre: cinque anni e tre mesi, come dire un ergastolo. È arrivato nella sezione femminile di Sollicciano come "ospite" insieme alla mamma arrestata a Bari nel 2009 per reati legati allo sfruttamento della prostituzione. La madre, oggi 42 anni, nel novembre 2010 è arrivata a Firenze. All’epoca Giacomo aveva un anno, non camminava ancora e diceva solo due parole. La casa per lui è sempre stata quella cella della sezione femminile, l’unica che ha conosciuto. Lì ha iniziato a camminare, a parlare e lì ha imparato anche a riconoscere il suono dell’unica porta di ferro che segna il confine tra i dannati di un girone e l’altro mondo di Sollicciano, quello per le mamme e i "bambini-detenuti-senza condanna" che lì non dovrebbero starci. Fino a qualche mese fa Giacomo non era da solo. C’erano altre mamme ed altri due bambini a vivere lì. Poi gli altri sono andati via, in case famiglie, e lui è rimasto. Giorno dopo giorno, mese dopo mese, gli anni sono diventati cinque. Dietro le quinte della "sezione mamme" c’è il lavoro di tante persone. I volontari delle associazioni fanno tutti i giorni qualcosa per farla somigliare meno a un carcere: hanno sostituito i portoni blindati con porte di legno, hanno tolto le brande in ferro e messo letti in legno, hanno dipinto le pareti, hanno arredato le stanze per renderle il più possibile casa e non cella, hanno realizzato un piccolo parco giochi ma "un carcere resta sempre un carcere, anche se lo rendi più bello e lo dipingi con i colori dell’oro - dice un’agente della polizia penitenziaria - soprattutto per un bambino di quasi sette anni che adesso comincia a capire che la sua vita non è come quella di tutti gli altri bambini". La famiglia di Giacomo sono la madre - che ha una pena da scontare fino al gennaio 2019 - le agenti di polizia penitenziaria e le volontarie che tutti i giorni vanno a prenderlo per accompagnarlo all’asilo, lo riportano a casa, fanno i colloqui con le insegnanti e lo seguono nell’attività pomeridiana quando rientra dalla madre. Giacomo ha cominciato ad andare all’asilo nido, alla materna e a settembre comincerà la prima elementare. Quest’estate, grazie alla caparbietà di Silk Stegemann, psicologa e coordinatrice del progetto "Bambini e carcere" di Telefono Azzurro, Giacomo riuscirà anche a frequentare i centri estivi. Il che significa per lui una boccata di ossigeno per altri due mesi, dopo la fine della scuola. "È stata una grande conquista - spiega Silk Stegemann. Cerchiamo fargli avere una vita il più possibile normale visto che comunque i diritti di questi bambini che il destino ha portato in un carcere sono stati già compromessi". Un lavoro non facile quello dei volontari: "Dobbiamo stare attenti a non fare troppo - spiega ancora la psicologa - perché il nostro obiettivo è sempre quello di proteggere la relazione madre e figlio". Fino ad oggi Giacomo non si è reso conto di essere un bambino diverso. Ma adesso che è diventato più grande e si confronta con gli altri bambini diventa difficile rispondere alle sue domande. "Perché mi chiudono a chiave la sera quando torno a casa?", ha chiesto un giorno alle educatrici. E alla domanda di un compagno di scuola - "tu dove abiti?" - con il candore che solo un bambino può avere ha risposto: "Casa mia è in carcere". E adesso, quando non arrivano i volontari a portarlo fuori, ad esempio la domenica, lui protesta perché vuole uscire, e la sera, quando sente che chiudono a chiave la porta, piange e protesta. Ma perché un bambino è rimasto così tanto tempo a Sollicciano? La legge prevede che i bambini non vengano separati dalle madri detenute fino a tre anni. Una legge del 2011 ha aumentato fino a sei anni l’età dei bambini che possono stare con le madri a patto però che siano in un Icam, un istituto a custodia attenuata per le detenute madri, quello che Firenze aspetta da anni. Nel caso della madre di Giacomo qualsiasi percorso alternativo è stato impossibile: troppo alta la pena da scontare per reati gravi. E allora? "Allora Giacomo è rimasto qui, in questa specie di limbo, ad aspettare, colpa di una burocrazia che non guarda in faccia neppure un bambino", raccontano da Sollicciano. Hanno provato a cercare uno zio all’estero per affidarlo a lui quando anche il padre era in carcere ma dopo un anno di ricerche che non hanno dato alcun risultato sono stati costretti ad arrendersi. L’attaccamento della madre al bambino, e del bambino alla madre, ha fatto il resto. "Conosciamo questa vicenda e la stiamo seguendo da tempo - spiega Franco Corleone, garante regionale per i diritti dei detenuti - contiamo di arrivare a una soluzione entro settembre, quando il bambino comincerà ad andare a scuole". Adesso ai primi di luglio ci sarà un’udienza al tribunale dei minori nella speranza di arrivare prima possibile a un affidamento ad alcuni familiari del padre che si sono fatti avanti. "Se ci fosse stato a Firenze l’Icam questa storia avrebbe avuto una soluzione prima - spiega Grazia Sestini, garante per l’infanzia della Regione Toscana - speriamo che questa struttura veda la luce il prima possibile per evitare che un altro caso del genere si possa ripetere". Giustizia: protocolli, annunci… la casa famiglia per detenute-madri è in ritardo di 5 anni di Marzio Fatucchi Corriere Fiorentino, 26 giugno 2014 L’assessore Funaro: "Tutto è pronto, i lavori partiranno al più presto". "Per quelle già progettate i lavori sono già appaltati e i finanziamenti ci sono". Parola dell’ex guardasigilli Annamaria Cancellieri che, nell’ottobre 2013, dava anche una data di apertura per l’Icam di Firenze, il centro a custodia attenuata per madri detenute: giugno 2014. Se anche l’ultimo "tappo" burocratico cederà, l’Icam aprirà invece solo alla fine di quest’anno. Ma se si vuole essere ancora più precisi, bisognerebbe ricordare che se ne è cominciato a parlare già nel 2009 di questa "casa famiglia", perlomeno al suo interno, dove accogliere le madri che devono scontare una pena in carcere con i figli. Il primo protocollo d’intesa porta la data 21 gennaio 2010. Il secondo passaggio sarà una delibera del 2012 della Regione Toscana. Poi, di nuovo, un altro protocollo d’intesa sempre nel 2012. Infine, una delibera della Regione nel 2013. È l’anno in cui l’allora sindaco Matteo Renzi parla dell’Icam come cosa già fatta, o almeno dà questa impressione, "noi siamo stati i primi in Italia ad aver fatto l’Icam" prendendosi gli strali sia delle associazioni di assistenza di sinistra che del settimanale di Comunione e Liberazione "Tempi". L’allora assessore comunale Stefania Saccardi corre ai riparie e anticipa: l’Icam sarà pronto in primavera. In realtà, il cambio di destinazione d’uso arriverà dal Comune solo ad aprile 2014, il bando di gara per i lavori passa dalla Società della salute che però attende ancora il nulla osta del Prap, il provveditorato dell’autorità penitenziaria. "Tutto è pronto perché partano i lavori" assicura l’assessore fiorentino Sara Funaro. Se a luglio partirà la gara, i lavori (sotto il milione di euro) si concluderanno, forse, a fine anno. L’Icam, gestito dalla Madonnina del Grappa, sarà una struttura da 10-12 posti, una piccola comunità, dentro: fuori, dovrà essere "chiuso" come qualunque carcere. Giustizia: ministro Boschi; piano carceri, ripensamento su utilizzo metodo commissariale Ansa, 26 giugno 2014 "Nel corso di un’audizione in Commissione Giustizia alla Camera il 30 aprile il ministro della Giustizia Orlando ha già ricordato che i tempi sono maturi per un ripensamento sull’utilizzo del metodo commissariale nel piano carceri, tanto più a seguito del calo della popolazione detenuta". Lo ha detto nel corso del question time alla Camera il ministro per le Riforme, Maria Elena Boschi, rispondendo a un’interrogazione del M5S sulla gestione commissariale del piano carceri. Boschi ha risposto sulla base delle informazioni fornite da via Arenula, dal momento che il ministro Orlando è impegnato ad Atene alla riunione del Gai. Il commissario straordinario per il piano carceri, Angelo Sinesio, è attualmente indagato dalla procura di Roma in relazione ad alcuni dei lavori previsti dal piano. "Alla data del 23 giugno - ha riferito Boschi - nelle carceri risultavano 58.370 detenuti contro i 66.028 del 30 giugno 2013. L’ufficio del commissario straordinario ha comunicato che sono stati attivati 41 dei 48 interventi per cui il piano carceri prevede finanziamenti e che rispetto ai 468 milioni di euro circa assegnati alla contabilità speciale, sono stati impegnati 335 milioni. Dei posti carcerari inseriti nel piano, ne sono già stati consegnati e sono fruibili 4.215". Quanto alla secretazione dei lavori di completamento della casa circondariale di Arghillà (al centro degli accertamenti dei pm della Capitale), il provvedimento "è stato adottato per motivi di sicurezza dall’amministrazione penitenziaria, previo parere favorevole del capo di gabinetto dell’allora ministro della Giustizia Severino. Il ministro Cancellieri con nota del 16 gennaio 2014 alla presidente della commissione Giustizia della Camera, ha fornito i chiarimenti richiesti" dai Cinque Stelle, "confermando che sui lavori era stata disposta secretazione, trattandosi di opere del ministero della Giustizia". "L’attenzione del ministero della Giustizia sui fatti segnalati è costante" ha concluso Boschi, ricordando che "a seguito di relazione inviata dal Dap ove venivano segnalate anomalia nella gestione delle procedure di appalto è stata disposta la trasmissione della predetta relazione alla Procura della repubblica di Roma e si è provveduto a dare mandato all’Ispettorato generale per procedere con inchiesta amministrativa". Lega chiede commissione inchiesta su piano carceri "Visti gli scenari inquietanti emersi dall’indagine della Procura di Roma sull’ipotesi di corruzione legata agli appalti per i lavori di ristrutturazione in alcune carceri, chiediamo di calendarizzare al più presto la nostra proposta di legge per la costituzione di una commissione parlamentare di inchiesta sullo stato di manutenzione della carceri italiane e sulla costruzione di nuove carceri". Lo ha annunciato il deputato della Lega Nord Angelo Attaguile, primo firmatario di una proposta di legge in merito già presentata alla Camera il 4 dicembre 2013. "L’obiettivo della commissione - ha spiegato - sarà di indagare sulle cause delle carenze delle strutture carcerarie, di migliorare lo stato di manutenzione ordinaria e straordinaria e di dare impulso alla costruzione di nuove strutture carcerarie cercando di analizzare anche il fenomeno delle cosiddette carceri fantasma, ossia delle carceri costruite e mai utilizzate. Non è con gli svuota carceri e gli indulti mascherati che si risolve il problema del sovraffollamento carcerario, ma attraverso la costruzione di nuove carceri e l’impiego di quello già esistenti e ancora inutilizzate". Carceri: Mauro Palma; il Consiglio d’Europa ha richiamato le autorità italiane sul 41-bis Ansa, 26 giugno 2014 "Nell’ultimo Rapporto pubblico il Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa richiama pressantemente le autorità italiane sul 41 bis, in merito ad alcuni punti critici: attività troppo limitate, poche ore fuori dalla cella, visite e contatti telefonici dei parenti". Lo ha sottolineato Mauro Palma, presidente del Consiglio europeo per la cooperazione nell’esecuzione penale, nel corso di un’audizione alla commissione Diritti umani del Senato sul regime di detenzione in 41-bis. Di fronte alla commissione presieduta dal senatore Luigi Manconi, Palma ha spiegato che non è in discussione l’istituto in sé del 41bis, ma dei singoli punti della sua applicazione. "È necessario proporre - ha spiegato Palma - un più ampio spettro di attività per i detenuti; bisogna far sì che le persone spendano almeno 4 ore fuori dalla cella e non 2 come stabilito ora; bisogna prevedere per le visite dei parenti, attualmente fissate nella misura di una al mese della durata di un’ora, la possibilità di cumularle perché nel caso in cui un mese salti si possa prevedere una visita più lunga il mese successivo; ed è necessario consentire che il familiare che in via eccezionale deve avere un contatto telefonico col detenuto in 41bis, possa farlo in maniera più agevole, sebbene con la comunicazione sotto controllo con i sistemi oggi a disposizione, mentre ora è obbligatorio telefonare presso una caserma o un posto di polizia. Questo per evitare che arrivino di fronte alla Corte dei diritto dell’Uomo di Strasburgo ricorsi in cui si lamenta un trattamento aggiuntivo non giustificato, rispetto al 41 bis". Giustizia: Sottosegretario Ferri a M5S; liberazione anticipata speciale non c’è per mafiosi Ansa, 26 giugno 2014 "Il decreto legge di cui parla il Movimento 5 Stelle, e che ha previsto l’istituto della liberazione anticipata speciale, non c’entra niente con il Governo Renzi. È stato emanato nello scorso mese di dicembre e convertito in legge a febbraio, prima che si insediasse il Governo attuale". È quanto afferma il sottosegretario alla Giustizia Cosimo Ferri in merito alle polemiche dei Cinque Stelle. "Comunque per quanto riguarda le modifiche fatte a questo decreto con la legge di conversione - aggiunge Ferri - si tratta di norme approvate in Parlamento con i voti di diverse forze politiche e con il consenso dello stesso Governo. E si è trattato di una modifica voluta dalla maggioranza che sosteneva il Governo e che aveva presentato emendamenti specifici in base ai quali oggi la liberazione anticipata speciale non si applica ai mafiosi. Invece, anche ai mafiosi si applica l’istituto della liberazione anticipata ordinaria, ma questo in base ad una legge che è in vigore dal 1975 e che è applicabile a qualsiasi tipo di reato, anche a reati più gravi della mafia, così come avviene anche in altri paesi europei. Ricordo, peraltro, che anche nel brevissimo periodo di circa 50 giorni durante il quale è stato in vigore il predetto decreto legge prima che venisse modificato dalla legge di conversione, la norma contenuta nel decreto specificava che la liberazione anticipata speciale poteva applicarsi anche ai mafiosi a condizione che il magistrato di sorveglianza avesse accertato che avevano dato prova, nel periodo di detenzione, di un concreto recupero sociale, desumibile da comportamenti rivelatori del positivo evolversi della loro personalità". M5S: 24 mafiosi escono grazie a indulto mascherato "In 25 giorni sono usciti 24 mafiosi grazie all’indulto mascherato voluto dal Pd di Renzi. Questi sono i numeri degli sconti di pena applicati grazie al decreto legge del 22 dicembre 2013. Solo grazie al nostro intervento i mafiosi liberati sono solo 24, e chiediamo al Governo di indicare i nomi di questi soggetti". Lo dicono i deputati M5s della commissione Giustizia della Camera. "Lo avevamo previsto, ancora una volta - aggiungono - ma almeno siamo riusciti a bloccare un decreto legge a dir poco vergognoso. La lotta alla mafia viene fatta solo a parole dai partiti, mentre con i fatti, come è dimostrato anche con l’abbassamento delle pene nel 416ter, la politica di questo Governo fanno la lotta a chi combatte la mafia. Oggi sono in libertà almeno 24 mafiosi, condannati per 416-bis. Chi sono? Questa domanda rimane ancora senza risposta. Noi abbiamo una sola linea politica nella lotta alla mafia, quella dei fatti concreti e senza leggi che favoriscano i mafiosi, opponendoci con forza ad ogni scambio politico mafioso". Giustizia: dal "salva-ladri" all’indulto, quando l’Italia gioca la politica tenta il colpo gobbo di Marco Pasciuti Il Fatto Quotidiano, 26 giugno 2014 Con la nazionale di calcio impegnata in kermesse internazionali, i governi hanno presentato o fatto approvare provvedimenti che è meglio varare quando l’opinione pubblica è concentrata su altre cose. Venerdì 20 giugno, giorno di Italia-Costarica, i relatori Finocchiaro e Calderoli hanno presentato l’emendamento al testo di riforma del Senato che reintroduce l’immunità per i futuri membri dell’Aula di Palazzo Madama. Il paese ne discute da giorni, ma non sempre è stato così: più volte, con la nazionale di calcio impegnata in kermesse internazionali, i governi hanno presentato o fatto approvare quel tipo di provvedimenti che è meglio varare quando l’opinione pubblica è concentrata su altre cose: dal decreto "salva-ladri" firmato dal ministro Biondi mentre gli uomini di Arrigo Sacchi volavano verso la finale di Usa 94, all’indulto licenziato dalle Camere pochi giorni dopo il trionfo mondiale di Germania 2006. Oggi, in attesa della firma di Giorgio Napolitano sui decreti di riforma della P.A., l’Italia di Prandelli si gioca con l’Uruguay la permanenza in Brasile. Con la nebbia che rimane fitta sui contenuti dei testi, tutti a tifare perché Balo&Co conquistino agli ottavi? L’esperienza insegna: tricolore tra le mani, dita incrociate e occhi puntati su Palazzo Chigi. Usa 94: il decreto Tremonti fa risparmiare 243 miliardi a Mediaset È il 10 giugno, manca poco più di una settimana all’esordio mondiale degli azzurri di Sacchi con l’Irlanda. Il governo Berlusconi I vara il decreto n. 357 ("Disposizioni tributarie urgenti per accelerare la ripresa dell’economia e dell’occupazione, nonché per ridurre gli adempimenti a carico del contribuente"), con il quale abbassa del 50% le tasse gli utili che le imprese reinvestono nell’"acquisto di beni strumentali nuovi", come stabilito dall’articolo 3. Il primo contribuente a beneficiarne è Silvio Berlusconi con la neonata Mediaset, che compra diritti per programmi tv e vecchi film per 2.100 miliardi e riesce a risparmiare 243 miliardi (come risulta dal prospetto informativo per la quotazione in Borsa del giugno 1996). Un escamotage che consente a Berlusconi di contenere il livello di debiti del proprio impero mediatico. Nel decreto (convertito dalla legge 489 dell’8 agosto), però, non si fa riferimento a beni "immateriali" come i diritti in questione ma solo a beni "materiali". Un problema cui il governo pone rimedio qualche mese dopo, con la circolare 181/E emessa dal ministero delle Finanze il 27 ottobre, in cui appare il riferimento anche ai beni "immateriali". E il gioco è fatto. Usa 94: arriva il decreto salva-ladri È il 13 luglio. Mentre al Giant Stadium di New York Roberto Baggio stende la Bulgaria in semifinale con due magie delle sue, il governo Berlusconi fa un’altra magia e vara il decreto Biondi, che abolisce la custodia cautelare per i reati finanziari (tra cui la corruzione e la concussione) e contro la Pubblica amministrazione, limitandola ai casi di omicidio e di reati associativi come mafia e terrorismo. Una legge fatta "per i poveri cristi", ricordava nel 1996 l’allora ministro Biondi in un’intervista al Corriere della Sera. Sarà, ma il decreto cade a fagiolo perché solo un paio di mesi prima, il 26 aprile, era scoppiato il caso Fiamme Sporche: il pool di Mani Pulite aveva scoperto che quasi tutte le grandi imprese di Milano pagavano tangenti ai finanzieri. Gli indagati erano arrivati a oltre 600, tra loro c’era anche Silvio Berlusconi. Potenza del provvidenziale decreto, i responsabili non possono essere arrestati e oltre 2.750 detenuti vengono rilasciati: in 350 erano finiti dentro per Tangentopoli. Gli italiani sono rapiti dal mondiale americano, ma qualcuno se ne accorge: il "popolo dei fax" s’infuria inondando di messaggi le redazioni di tv e giornali; per protesta il pool di Milano si scioglie; Lega e An, tremando all’idea di perdere consensi, minacciano di far cadere il governo. Il premier è all’angolo e il decreto viene lasciato decadere il 21 luglio. Quattro giorni dopo la coppa lasciata al Brasile a Pasadena, con l’Italia ancora in lacrime per l’ultimo rigore calciato da Divin Codino oltre la traversa. Germania 2006: Mastella vara l’indulto e Previti va ai servizi sociali Il governo di Romano Prodi muoveva i suoi primi incerti passi, mentre a Berlino Zinedine Zidane tentava di demolire a testate il petto di Marco Materazzi regalando all’Italia il suo quarto titolo mondiale e la corsa sotto la curva azzurra dopo l’ultimo rigore di Fabio Grosso. Al vertice del ministero della Giustizia c’era Clemente Mastella. Mentre l’ubriacatura collettiva rimediata il 9 luglio 2006 all’Olympiastadion di Berlino tardava a passare, una maggioranza trasversale portava a termine un lavoro cominciato l’8 maggio con la proposta di legge per la "Concessione di amnistia e di indulto" presentata alla Camera dall’onorevole Buemi della Rosa nel Pugno, costola dell’Unione del professore: approvava, cioè, il testo a tempo di record tra il 18 e il 29 luglio e il 31 seguente in Gazzetta Ufficiale veniva pubblicata la legge 241/2006: 3 anni di sconto di pena a chi ha commesso reati prima del 2 maggio di quell’anno. A beneficiarne fu, tra le altre decine di volti noti, anche Cesare Previti: i 6 anni di condanna appena rimediati dalla Cassazione nel processo Imi-Sir in virtù della legge Mastella diventavano 3 e l’anno successivo al ministro della Difesa nel primo governo Berlusconi veniva accordato l’affidamento ai servizi sociali. Austria-Svizzera 2008: spuntano ddl intercettazioni e lodo Alfano Più che di Antonio Cassano, quelli del 2008 sono gli Europei di Angelino Alfano. È il 13 giugno, gli italiani aspettano con l’orologio in mano che arrivino le 18: nel gruppo C l’Italia contro la Romania cerca il riscatto dopo i 3 gol rimediati all’esordio con l’Olanda. Lo stesso giorno, in mattinata, a Palazzo Chigi il Cdm aveva dato il via libera al ddl Intercettazioni, che limita all’estremo l’uso dello strumento stabilendo che "l’intercettazione può essere disposta quando sussistono gravi indizi di reato" e quando "è assolutamente indispensabile ai fini della prosecuzione delle indagini". Con il premier Berlusconi indagato dal dicembre 2007 per la corruzione di Agostino Saccà (secondo la procura di Napoli, il presidente di Rai Fiction avrebbe usato il suo ruolo per ricevere dal premier un aiuto per la futura attività privata, mentre per Berlusconi il fine ultimo sarebbe invece quello di convincere un politico di sinistra a passare al centrodestra e dare una spallata al governo Prodi), il testo viene presentato il 30 giugno alla Camera dal ministro della Giustizia: giusto 3 giorni prima l’Espresso aveva pubblicato nuove telefonate: "Agostino, ti contraccambierò quando sarai imprenditore", prometteva il premier. Il 17 aprile 2009 il caso sarà archiviato, il ddl verrà approvato l’11 giugno e si arenerà poi al Senato. Angelino è scatenato e due giorni dopo, il 2 luglio, presenta a Montecitorio un altro provvedimento che passerà alla storia: il lodo Alfano, disegno di legge C.1442, un solo articolo diviso in 8 commi che prevede la "sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato", ovvero dei presidenti della Repubblica, della Camera, del Senato e del Consiglio, e ripropone i contenuti del lodo Schifani, già bocciato dalla Corte Costituzionale nel 2004. L’intero iter di approvazione è fulmineo: alla Camera l’esame in commissione inizia l’8 e si conclude il 9 luglio; l’approvazione dell’Aula arriva il 10. Al Senato tutto si risolve tra il 14 e il 22. Berlusconi ha fretta: si avvicina a grandi falcate la conclusione del processo per corruzione dell’avvocato inglese Davis Mills (testimone corrotto), in cui Berlusconi (corruttore) è coimputato. L’anno successivo la Consulta, sentenza n. 262 del 2009, dichiarerà l’illegittimità costituzionale della legge. Ma un po’ di tempo è passato, lo scopo è raggiunto: Mills sarà condannato in primo grado e in appello a 4 anni e 6 mesi di carcere e quindi prescritto in Cassazione, il premier verrà prosciolto per prescrizione. Napoli: Caputo (Pd); nel Reparto detentivo dell’Ospedale Cardarelli situazione gravissima www.campanianotizie.com, 26 giugno 2014 "Abbiamo trovato una situazione gravissima al Reparto detentivo dell’Azienda Ospedaliera Cardarelli di Napoli. Dei 12 posti letto a disposizione solo 3 erano occupati mentre ci sono liste d’attesa lunghissime per i ricoveri". Lo ha dichiarato Nicola Caputo Consigliere regionale del Pd Presidente della Commissione Trasparenza e neoeletto al Parlamento europeo nel corso della sua visita al reparto detentivo del Cardarelli di Napoli. Si tratta dell’ultima tappa del lungo e articolato percorso di indagine sui livelli di assistenza sanitaria erogati negli istituti penitenziari della Regione Campania compiuto dalla Commissione presieduta da Caputo. "Il reparto Palermo del Cardarelli è un pezzo di carcere all’interno dell’ospedale. Sicuramente non è una struttura adeguata a svolgere appieno le funzioni per cui è preposta. Le liste d’attesa per i ricoveri sono lunghissime; 200 persone detenute e con patologie serie aspettano anche dal 2013 di essere ricoverate". "Il reparto è dotato di 5 medici, un primario ad interim, 12 unità di personale infermieristico e uno Osa. In media sono 6 gli agenti di Polizia Penitenziaria che presidiano il reparto, difficoltà permangono per i ricoveri che necessitano di particolari standard di sicurezza ma questo non può giustificare le spaventose liste d’attesa che si registrano". "Questa è l’ultima tappa di un lungo percorso nel dramma nella sanità penitenziaria campana - spiega Caputo - abbiamo visitato moltissimi istituti e Opg per finire con il reparto detentivo del Cardarelli. Una situazione complessivamente poco soddisfacente che pubblicheremo completa di dati al più presto" Il Presidente della Commissione, Nicola Caputo dichiara che lavorerà anche dal Parlamento Europeo per migliorare le condizioni carcerarie tenendo alta l’attenzione sulla garanzia dei livelli essenziali di assistenza. "Nonostante gli sforzi compiuti dall’Italia in questi ultimi mesi, per migliorare le condizioni carcerarie, conclude Caputo, ci sono ancora situazioni critiche. A queste si aggiungono la difficoltà di accesso ad un regime di assistenza sanitaria adeguato. Il fatto che il reparto detenuti del Cardarelli faccia registrare liste d’attesa lunghe e particolarmente penalizzante per chi è recluso. C’è ancora da lavorare, - conclude Caputo - nonostante i risultati ottenuti, tutti gli allarmi lanciati, a cominciare da quelli del capo dello Stato, rimangono drammaticamente attuali". Milano: quando il cameriere è un ex detenuto di Anna Zinola Corriere della Sera, 26 giugno 2014 Coniugare impresa commerciale e intenti sociali sembra impossibile. Eppure qualcuno ci prova. È il caso di Silvia Orazi e Gaetano Berni, che poco più di un anno fa hanno aperto a Milano il ristorante "28 posti". Un’impresa commerciale (ha lo statuto di srl), che, tuttavia, ha anche un chiaro intento sociale: favorire il reinserimento nel mondo del lavoro di alcuni detenuti del carcere di Bollate. In particolare in cucina, sotto la guida di uno chef e di un sous chef, operano 5 persone provenienti dal carcere. "In base all’articolo 21 hanno un permesso per il lavoro. Ovviamente, al termine, devono rientrare" spiega Silvia Orazi. I 5 sono regolarmente stipendiati e sono organizzati su turni, dal martedì alla domenica. In base a quanto previsto dalla legge Smuraglia, la società a cui fa capo il ristorante fruisce di sgravi contributivi e di agevolazioni fiscali. Più di recente sono entrati a far parte della brigata due rifugiati politici, provenienti dalla Somalia e dall’Egitto. "Uno sta in sala e l’altro in cucina. Il loro inserimento è avvenuto grazie a un progetto di formazione finanziato dal Comune". Nel ristorante lavorano, dunque, fianco a fianco persone estremamente diverse per formazione e storia personale. Non è mai emerso nessun problema? Orazi assicura di no: "tutti cercano di integrarsi. Quindi, per esempio, lo chef, che è docente in una scuola di cucina, è stato il primo ad aiutare i detenuti, contribuendo alla loro formazione. Le persone che arrivano dal carcere, a loro volta, sono molto motivate, perché per loro è un’occasione importante". E i clienti che dicono? "Molte persone non sanno nulla: vengono qui per mangiare e basta. Qualcuno, invece, ne ha sentito parlare e fa domande, è interessato". Anche gli interventi edili del ristorante sono stati eseguiti da un gruppo di detenuti di Bollate. Alcuni hanno partecipato attivamente al cantiere, mentre altri, impossibilitati a uscire, hanno collaborato al laboratorio di falegnameria interno al carcere. "Praticamente tutto quel che c’è nel ristorante - tavoli, armadiature, porte - è stato costruito nella falegnameria interna all’istituto penitenziario". Il laboratorio è permanente ed è attualmente impegnato nella realizzazione di una collezione di oggetti di arredo (Bolle) per le celle dei detenuti. Tutti i pezzi, disegnati da 7 designer, sono in vendita anche all’esterno, attraverso un sistema di ecommerce e una rete distributiva mirata. I proventi sono devoluti in parte al laboratorio e in parte ai detenuti, che li possono utilizzare per spese di prima necessità o per le proprie famiglie. Perugia: verso la conclusione il secondo corso di botanica per i detenuti di Capanne www.corrierenazionale.it, 26 giugno 2014 All’interno della struttura carceraria sarà realizzato un piccolo orto botanico. Con l’esame orale e relativo rilascio dell’attestato di partecipazione, in programma nelle prime due settimane di luglio, si conclude il 2° anno del "Corso di Botanica" per detenuti del "Nuovo Complesso Penitenziario di Perugia Capanne", che rientra nel Progetto formativo del "Laboratorio di Botanica" organizzato dall’Associazione perugina di volontariato promossa dalla Caritas diocesana, realità ecclesiale che opera da 30 anni e più nel mondo carcerario, ospedaliero della disabilità e degli anziani. Entusiasti i partecipanti (una decina dei quaranta detenuti che avevano fatto richiesta di ammissione al corso) e soddisfatti i volontari dell’Apv, in primis il docente, professor Mauro Roberto Cagiotti, e tutor-coordinatore del progetto, Feliciano Ballarani. "Nel periodo ottobre 2013 - giugno 2014 - spiegano Cagiotti e Ballarani, gli studenti hanno mostrato un vero interesse alla partecipazione del "Corso di Botanica". Durante lo svolgimento dello stesso sono emerse interessanti situazioni di comportamento solidale tra gli studenti. Molti di loro, seguendo alcuni programmi alla TV, riportavano le notizie e spesso ne scaturiva un dibattito stimolante per approfondimenti da vari punti di vista relativamente alle Scienze Botaniche". Sorprendente anche la costanza dei corsisti nel partecipare il martedì e il mercoledì, dalle ore 13 alle 15, alle lezioni che si svolgevano negli spazi messi a disposizione dalla Direzione del Carcere per l’attuazione di questo significativo progetto formativo. È un progetto rivolto alla risocializzazione-educazione del detenuto in attesa dell’espletamento della pena, che lo sostiene a riconquistare la sua dignità di uomo. In un’aula appositamente allestita con armadi per la collocazione dei campioni di erbario e di materiale didattico, libri ed appunti cartacei e con computer, videoproiettore, lezioni frontali e lavagna magnetica, si è tenuto questo 2° corso, che prevedeva anche delle esercitazioni. Queste si sono svolte in parte in aula, per quanto riguarda l’allestimento di preparati di erbario per la florula del carcere, e nel giardino della Sezione maschile del Carcere appositamente allestito per le prove di coltivazione e studio biologico ed auto-ecologico delle specie coltivate. Nella fase finale del corso, gli allievi sono riusciti realizzare sette poster che racchiudono le conoscenze delle principali famiglie botaniche trattate nell’anno di studio, che saranno anche i temi principali dell’esame di luglio: malvacee, labiate, umbellifere, leguminose, composite, graminacee, liliacee. La prima parte di questo secondo anno di corso è iniziata con la continuazione, in termini di approfondimento, del corso svolto l’anno precedente, con gli allievi che hanno superato il 1° corso, pronti ad iniziare la nuova attività riguardante, nello specifico, l’allestimento di preparati di erbario della flora del Carcere di Capanne e delle aree adiacenti. Questa attività ha impegnato gli studenti a trattare le piante scelte quali campioni da erbario, a sistemarle in appositi telai per l’essiccazione e poi il montaggio su fogli di carta rigida formato tipo "A3" e la relativa descrizione sistematica della specie riportata in apposite etichette. Inoltre, sottolineano Cagiotti e Ballarani, "si è avviata la realizzazione di un piccolo "Orto botanico" nell’aria prospiciente al Penale con il contributo del CesVol, in cui verranno poste a breve delle piante ricoverate in cassettoni seminterrati in cui sarà possibile effettuare delle operazioni di coltivazione, propagazione, taleaggio etc., nonché seguire il ciclo di sviluppo di varie specie prevalentemente aromatiche utilizzate sia nell’arte culinaria che di interesse apistico". Ad ottobre 2014 inizierà il 3° anno del corso, che prevede l’approfondimento delle conoscenze di utilizzo delle piante poste in vaso a riguardo delle loro proprietà alimentari, fitochimiche, fitoterapia e delle melissoflora. Sia per il 2° che per il 3° anno, l’Apv si avvale del finanziamento del CesVol. Mamone (Nu): Sdr; bando per vendita sughero ma ricavato non resta alla Colonia Penale Comunicato stampa, 26 giugno 2014 "Il prossimo 25 luglio nella Casa di Reclusione di Mamone (Nuoro) si terrà il pubblico incanto per l’estrazione e la vendita al migliore offerente di prodotti sughericoli dell’area del Ministero della Giustizia. Il ricavato però non resterà nella disponibilità della Colonia Penale ma, come avviene per tutti i prodotti, andrà allo Stato. È assurdo che non sia previsto un reinvestimento nel territorio del Comune di Onanì". Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione "Socialismo Diritti Riforme", sottolineando che l’importo a base d’asta è di oltre 78 mila euro. "La realtà delle Colonie Penali sarde - sottolinea - costituisce un unicum in Italia per l’ampiezza del territorio sottoposto a vincolo. Rappresenta, insieme ai dodici Istituti penitenziari isolani, un’autentica servitù che avrebbe necessità di una maggiore considerazione dal parte del Ministero. In realtà invece il Dipartimento spesso utilizza la Sardegna come luogo di trasferimento privilegiato di detenuti e non si preoccupa nemmeno di garantire un numero adeguato di direttori che a tutt’oggi sono meno della metà del necessario. È urgente una revisione dell’organizzazione e della funzione delle Colonie Penali. Meglio forse promuovere delle Cooperative sociali in modo da offrire opportunità di lavoro a chi ha terminato di scontare la pena ". Il pubblico incanto riguarda circa 2306 quintali di sughero gentile e di 387 quintali di sugherone in piante radicate nel territorio del comune di Onanì di alto livello qualitativo. L’estrazione, così come prevede la normativa, avverrà a distanza di dodici anni dall’ultima, a cura e spese dell’aggiudicatario. Nell’avviso d’asta, pubblicato nel sito del Ministero della Giustizia e negli albi pretori dei Comuni di Onanì e della Provincia di Nuoro, è altresì precisato che l’aggiudicatario dovrà sostenere anche le spese della perizia di stima nonché quelle contrattuali. L’incarico di responsabile del procedimento è del Direttore dell’Istituto Penitenziario Gianfranco Pala. Il termine ultimo per la ricezione delle offerte è fissato alle ore 12.00 del 24 luglio prossimo. Gli aspiranti all’asta potranno esaminare i luoghi di estrazione previo appuntamento telefonico al numero 0784-414524/414510-e.mail cr.lode@giustiziacert.it con visita dei siti di che trattasi dalle ore 9 alle ore 13 di ogni giorno feriale, escluso il sabato, accompagnati da personale della Direzione. Salerno: Sappe; carcere di Fuorni, detenuto salernitano picchiato da una gang napoletana www.salernotoday.it, 26 giugno 2014 Il segretario del Sappe: "In pochi giorni due episodi gravissimi nelle carceri campane. Nella nostra regionale mancano non meno di 700 poliziotti". Nei giorni scorsi il carcere di Salerno è stato teatro di una violenta aggressione che ha visto alcuni detenuti napoletani scagliarsi contro un salernitano. A denunciare le condizioni in cui si trovano le case circondariali campane è il sindacato della polizia penitenziaria: "La situazione resta allarmante, nonostante l’ingiustificato ottimismo di una amministrazione penitenziaria evidentemente distante dalla realtà. In pochi giorni - spiega Donato Capece, segretario generale sindacato autonomo polizia penitenziaria - sono accaduti episodi violenti gravissimi. A Benevento c’è stata una violenta rissa tra detenuti napoletani e casertani appartenenti al clan dei Casalesi: a Salerno addirittura una spedizione punitiva di un gruppo di ristretti napoletani contro un detenuto salernitano nella sezione a regime aperto, quella caratterizzata dal sistema della vigilanza dinamica che contestiamo da tempo per la sua attuale strutturazione. "Il Sappe - sottolinea Capece - esprime vicinanza e solidarietà ai poliziotti coinvolti loro malgrado in situazioni assai pericolose che sono comunque stati in grado di gestirle nel migliore dei modi. Altro che vigilanza dinamica e autogestione delle carceri che sembra essere l’unica risposta sterile dei vertici del Dap all’emergenza penitenziaria". Infine il responsabile Sappe evidenzia la carenza negli organici della Polizia Penitenziaria: "Mancano in Campania non meno di 700 poliziotti". Bologna: in carcere per violenza sessuale e poi assolti, risarciti per l’ingiusta detenzione Ansa, 26 giugno 2014 La terza sezione della Corte di appello di Bologna ha accolto la domanda di riparazione per ingiusta detenzione presentata dai legali di tre giovani della provincia di Brescia, processati e assolti dall’accusa di stupro di gruppo nei confronti di una ragazza, all’epoca minorenne. Il fatto risale all’aprile 2008 a Lido delle Nazioni (Ferrara) e i tre passarono 26 giorni in carcere. La ragazza, secondo la ricostruzione accusatoria portata al processo, era stata violentata la sera del 25 aprile 2008 in un appartamento, mentre il fidanzato dormiva in una camera a pochi metri di distanza, e anche la mattina dopo da due di loro. Ma in rito abbreviato il Gip di Ferrara Piera Tassoni a luglio 2010 pronunciò tre assoluzioni perché il fatto non sussiste. La sentenza non venne impugnata e ieri, informa l’avvocato Claudio Moruzzi, che assiste i tre insieme all’avvocato Andrea Frigo, è stata notificata la decisione della Corte d’Appello che ha accolto il loro ricorso, "quantificando l’indennizzo in misura di 12.262,64 euro per ciascun ricorrente, applicando una maggiorazione del doppio della tariffa standard di 235 euro al giorno per le conseguenze sul piano personale che ai ricorrenti erano derivate dalla ingiusta detenzione a causa del rilievo che aveva l’arresto per la loro giovane età, per la loro incensuratezza e per l’eco mediatico che aveva suscitato la vicenda nella località di residenza, piccolo Comune della provincia bresciana". Terni: Ugl Penitenziari; calci e pugni agli agenti di Polizia penitenziaria www.terninrete.it, 26 giugno 2014 Aggrediti due agenti e altri due colleghi giunti in loro soccorso. Momenti di tensione, ieri mattina, nel carcere di vocabolo Sabbione di Terni. Un detenuto nigeriano, durante una notifica dell’ufficio matricola nel nuovo padiglione del carcere ternano, ha dato in escandescenze aggredendo due assistenti capo della polizia penitenziaria. È scattato, immediato, l’allarme, sul posto sono intervenuti due colleghi che sono stati a loro volta aggrediti a calci, pugni e morsi. Solo l’intervento degli operatori sanitari , che hanno provveduto a sedare il detenuto, ha riportato la calma. I 4 agenti sono stati giudicati guaribili in 7 giorni. Soltanto pochi giorni fa il sottosegretario, Gianpiero Bocci, visitando il carcere di Terni, non aveva ravvisato lo stato di sovraffollamento della struttura, "sottovalutando i problemi del personale che passano sempre in secondo piano", afferma Francesco Petrelli, vice segretario regionale dell’Ugl polizia penitenziaria. "La struttura, aggiunge Petrelli , a fine mese e per inizio luglio vedrà completato l’arrivo di detenuti As3 ( detenuti per reati di associazione ) , che al momento sfiorano le duecento unità ma che, a pieno regime, raggiungeranno le 288 unità circa; il rispetto dei diritti umani per chi vive in una situazione di disagio è sacrosanta ma il rispetto per chi lavora in condizioni di sofferenza e cronica carenza di personale, è necessario; la struttura di Terni non è in grado di sopportare più una situazione del genere e di ospitare tutte le tipologie di detenuti". L'Ugl esprime solidarietà "ai colleghi coinvolti nella vicenda augurando loro una pronta guarigione non smettendo di affermare che le scelte optate per Terni sono sbagliate e scriteriate". Avellino: a Fontenovella di Lauro, ospiti "oltre le sbarre" www.ilmediano.it, 26 giugno 2014 "Se è possibile sbagliare, è possibile anche riparare": la vita di un carcere modello raccontata da chi ne fa quotidiana esperienza "oltre" le sbarre. Tra maschere di ceramica, presepi che evocano antichi ricordi, dolcissimi vasetti di miele e fiori di carta profumata, prodotti da giovani detenuti, si incontra una persona davvero speciale, Arb. Ciò che la rende particolare, tra tante figure indimenticabili presenti alla manifestazione culturale "C’era una volta al borgo" di Fontenovella di Lauro, una ripresentazione di antichi mestieri e sapori, tra folklore e tradizione, è la professione di Arb: guardia carceraria presso la Casa Circondariale di Lauro. Qualcuno potrebbe chiedersi: "E che ci fa una poliziotta, di moderna professione, tra gli antichi mestieri?". In realtà, se "nuovo" è il suo lavoro, di certo appartiene alla tradizione lauretana più antica e genuina lo spirito con cui lo esercita e la motivazione che lo sostiene: "se è possibile sbagliare, è possibile anche riparare". Arb è minuta, gentile, sorridente, accomodante, ma inflessibile in quanto al rispetto delle regole. La sua vita accanto ai detenuti, giovanissimi, come quelli dell’Istituto minorile di Nisida o giovani, come quelli dell’Istituto penitenziario di Lauro, dice una profonda sensibilità umana ed una grande, professionale abnegazione. AR racconta le sue giornate di lavoro, i luoghi, le persone. Scuotono le sue parole quando dice che le storie di tanti detenuti hanno lasciato tracce profonde nella sua anima - che dono lasciarsi attraversare dalla vita degli altri! - che negli anni ha ricevuto molto da essi, che il suo dialogo continuo è stato più ricco di sguardi e di silenzi che di parole. Arb esprime il suo attaccamento alla Legge con la testimonianza della sua vita: semplice, corretta, dignitosa. Ti parla del suo luogo di lavoro con serenità e una certa soddisfazione, "e sì, a Lauro esiste un carcere modello": ambienti chiusi, certo, ma non oppressivi, cancelli e sbarre/reti come monito all’errore, ma anche spazi verdi, giardini, panchine per riportare la pace dentro e intorno a chi le occupi. Laboratori per riappropriarsi dell’uso sapiente delle mani, una biblioteca per conoscere e una Cappella per riflettere e pregare. La cinquantina di detenuti circolano col solo limite della responsabilità nelle aree della Casa e tra le celle poste su due bracci o, forse, "braccia", tese sempre verso il mondo, da cui si proviene con qualche fardello di troppo, ma a cui si ritorna liberi e liberati per poter ancora dare. "Ma siamo sicuri che sia un carcere?" viene da pensare, soprattutto quando ogni giorno i media ci informano dei disagi, dei problemi, delle sofferenze patite nelle strutture obsolescenti e cadenti, che costituiscono gli Istituti di rieducazione italiani. Sì, è un carcere, ma strutturato e gestito secondo le esigenze di un’autentica "riabilitazione" civile e "reinserimento" nel tessuto sociale, umano e professionale. Arb è lieta di contribuire col suo lavoro a questo nobile e costituzionale intento, sentendosi per tanto una fiera cittadina lauretana e italiana. Accanto alla dignità del lavoro, espressa dalle tante antiche e nuove testimonianze rappresentate alla manifestazione, soprattutto la dignità della persona, per raggiungere la quale ogni sforzo è benedetto. Arb ringrazia chi acquista i prodotti dei detenuti, a nome di tutti i suoi colleghi, con la consapevolezza che l’eroismo solitario fa notizia, mentre l’azione comune, seppure lenta e silenziosa, non solo costruisce il bene comune, ma fa la storia. Grazie a Arb e alla Polizia Penitenziaria. Ai Detenuti il nostro incoraggiamento. Velletri (Rm): i "grillini" in difesa delle condizioni di carcerati e Polizia penitenziaria di Stefano Cortelletti www.h24notizie.com, 26 giugno 2014 I grillini apriliani al carcere di Velletri hanno manifestato per denunciare il grave stato di degrado in cui vivono i detenuti ed il disagio in cui operano gli addetti ai lavori. Rappresentanti del Movimento 5 Stelle come Silvana Denicolò (Capogruppo alla Regione Lazio), Emanuele Menicocci (assistente della Senatrice Elena Fattori) e Paolo Trenta (Consigliere comunale a Velletri) hanno potuto avere accesso alla struttura per verificare di persona la situazione. Con i grillini, anche il sindacato Sippe, che tutela gli agenti di polizia penitenziaria. Contemporaneamente Papa Francesco, in visita al carcere di Castrovillari, ha sottolineato come "Il tema del rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo e l’esigenza di corrispondenti condizioni di espiazione della pena sia essenziale", spiegando che, quando la finalità del reinserimento dei detenuti "viene trascurata, l’esecuzione della pena degrada a uno strumento di sola punizione e ritorsione sociale, a sua volta dannoso per l’individuo e la società". "Il Signore - ha poi aggiunto il Pontefice - è un maestro di reinserimento: ci prende per mano e ci riporta nella comunità sociale". "Non credo che qualcuno abbia diffidato il Papa dal fare il suo dovere di uomo solidale con altri uomini, come noi abbiamo fatto, purtroppo per qualcuno, oggi come "Grillini Apriliani", domani, forse, come Movimento Cinque Stelle di Aprilia", concludono gli attivisti. Firenze: un detenuto 15enne dell’Ipm "Meucci" riceve la cresima in carcere di Carlo Torreggiani Tempi, 26 giugno 2014 Una lettera, il percorso di redenzione, una nuova consapevolezza. Intervista a don Fabio Marella, vicedirettore Caritas di Firenze, che ci racconta "una storia piccola, ma importante". "Voglio comportarmi bene e cambiar vita con l’aiuto del Signore perché non voglio più veder piangere la mia mamma quando va via dal carcere. La ringrazio e preghi per me". Don Fabio Marella, vicedirettore della Caritas di Firenze, si è trovato di fronte a queste poche righe in cui N., un ragazzo di 15 anni detenuto nel carcere minorile G. Meucci, chiedeva con semplicità di poter ricevere il sacramento della Cresima. Il primo incontro tra don Fabio e N. è avvenuto una domenica pomeriggio, in occasione della celebrazione della Messa per i detenuti. Il ragazzo, avendo ricevuto solamente il sacramento del battesimo, non poteva partecipare all’Eucarestia, e ha chiesto al sacerdote di potersi avvicinare alla Chiesa. È cominciato in questo modo, qualche mese fa, il rapporto tra padre Marella e il ragazzo, che, proprio la scorsa settimana, ha ricevuto la Cresima per mano del vescovo ausiliario di Firenze monsignor Claudio Maniago. Nello stesso periodo ha sostenuto l’esame di terza media. In seguito alla richiesta del ragazzo, don Fabio ha iniziato ad andare più spesso in carcere a trovare N., portandogli la Bibbia e leggendo con lui i passi più importanti. Così la vita di N. ha cominciato a cambiare: dopo essersi confessato, ha fatto la prima Comunione e ha iniziato, con l’aiuto dei volontari, a studiare per l’esame di terza media. "Per quanto riguarda il desiderio di ricevere la Cresima - racconta don Marella a tempi.it - io cercavo di capire cosa gli stesse dicendo il Signore. N. sentiva la necessità di essere guidato, lui chiedeva proprio questo: che il Signore gli indicasse la strada giusta. Mi ha chiesto un rosario per pregare e io gliel’ho portato. Considerando il contesto in cui è vissuto ed il fatto che anche il fratello è stato arrestato, ho visto che il ragazzo sereno; la sua era, ed è tutt’ora, una fede in crescita". Oltre alla figura di don Marella, nel corso di questi mesi N. si è affezionato a due ragazzi che lo hanno accompagnato e fatto da padrini: Luca, seminarista che inizialmente andava in carcere per giocare a calcio con i giovani, e Mattia, volontario che lo ha aiutato a sostenere gli esami. Due settimane fa, don Marella ha portato N. dal vescovo perché lo incontrasse prima della Cresima. La settimana scorsa poi, quasi nello stesso giorno, ha sostenuto l’esame di terza media ed ha ricevuto il sacramento all’interno del carcere, durante una celebrazione cui hanno partecipato tutti i suoi compagni, i seminaristi e anche sua madre. Durante l’omelia monsignor Maniago ha ricordato che "siamo qui oggi a ricevere un dono che non dipende da noi, ma soltanto dal Signore". "Il ragazzo - racconta ancora don Fabio a tempi.it - ha fatto domanda al giudice di poter essere trasferito all’interno di una comunità. Ieri mi hanno telefonato per dirmi che la richiesta è stata accolta, in maniera straordinaria, proprio a causa del suo cambiamento". Di esperienze come quella di N., don Fabio ne ha potute vedere diverse in tutti questi anni, "sono storie di ragazzi difficili, sono piccoli numeri, ma sono storie importanti". I ragazzi spesso non credono più nelle loro potenzialità e tendono a sottovalutarsi, facendo fatica persino ad accettare il perdono. "Bisogna valorizzare i ragazzi facendo assumere a ciascuno le proprie responsabilità ed esaltando le potenzialità di ciascuno. È la fede che per prima mostra come ogni essere umano ha un valore per ciò che è, perché il Signore tiene a ciascuno indipendentemente da quello che ha fatto. Nessuno può dirsi fallito, mai". Racconto: i miei sogni di detenuto fine pena 99/99/9999 di Valeria Parrella La Repubblica, 26 giugno 2014 Come ogni prigioniero degno di questo nome, sarebbe morto in cella. Gli altri nomi sono detenuto, come si dice di me, o carcerato, come avrebbe detto mio nonno, o galeotto, come sta scritto nei libri: siamo persone che usciamo, prima o poi, da qui. Lui no. Il primo giorno che sono riuscito a parlargli, cioè il primo giorno in cui ho capito davvero cosa mi stava succedendo, dopo cinque giorni e cinque notti chiuso qui dentro, tra la cella e la latrina, la latrina e la cella, lui mi ha fatto fare questo esperimento. Mi ha detto: "Conta dentro di te sessanta secondi. Sai come si fa?". Io lo sapevo, certo, sono un uomo di buone letture. Lui, piuttosto, mi sembrava rozzo, eppure mi proponeva un esperimento, non del tabacco. "D’accordo", ho detto. E siamo rimasti così, mentre io contavo. Sessanta secondi sono più o meno: Mississippi uno. Mississippi due. Mississippi tre... Mississippi cinquantanove. Mississippi Sessanta. "Ecco", mi ha detto, "sai quanti ce ne sono in un’ora? E in un giorno? E quanti giorni ci sono in un anno? Ogni porzione di questo tempo della mia vita io lo passerò qui dentro. Poi morirò, e solo dopo uscirò da qui. A volte penso a come dev’essere bella la mia bara, circondata dall’aria, dal sole, magari la porteranno a braccia fino a un carro e poi quel carro partirà e vedrà le nuvole, passerà con le ruote su una pozzanghera e schizzerà la gonna di una donna, attraverserà strade con palazzi alti che ne limitano la vista, oppure strade larghe, senza confini attorno, solo un fiume, l’argine di un fiume, magari… forse… No: il mare non credo, no, non lo vedrò, manco da morto". (...) Quando ebbi nostalgia di mia madre, gli chiesi di suo figlio. Mi raccontò così, che lo aveva visto molto poco quando era un bambino, e che il suo nome e la sua faccia andavano mutando nella testa del figlio al ritmo delle parole della madre. Egli cresceva, mi disse, dentro il bambino, nell’immagine e nella considerazione che il figlio aveva di un padre remoto, che l’aveva messo al mondo un giorno e poi dal mondo era stato segregato: il prigioniero sentiva propaggini della propria vita nei passi del bambino, nei suoi sguardi che non vedeva, ma poteva immaginare. Sentiva di crescere in quel corpo come crescono le idee quando non si abbandonano. Gli aveva parlato chiaro quando ebbe compiuti dodici anni, da solo, in un fugace incontro, piantonato dalle guardie. Gli aveva parlato sapendo di perderlo, gli aveva detto: "Ascolta: io da qui non uscirò mai". "Che significa mai? Mamma dice che un giorno uscirai". "E ti sei chiesto quando è quel giorno?". "Mamma mi dice che verrà un giudice nuovo, un giorno, e ti porterà fuori". "Non è così, io non uscirò mai". "Che significa mai? Cosa c’è scritto sulla condanna?". "C’è scritto: fine della pena: 99/99/9999. Morirò qua dentro, posso sperare di uscire solo se faccio il nome di qualcun altro". La sua infatti non era una pena che si scontava: si subiva e basta, come la pena di morte. Ma i condannati a morte si salutano e poi non sanno più. Qui invece la tortura era sapere, e contare fino a sessanta, e sapere che il tempo era costretto a scorrere e il prigioniero a restare. Chi vi era condannato, come lui, si trovava nella condizione di non avere alcuna speranza di uscire di prigione mai se non mandando in prigione qualcun altro al posto suo. (...) Io lo ammiravo, perché quello che credevo fosse un percorso di vita destinato alla pazzia - il carcere per sempre, la morte in vita, l’esistenza senza domani eppure con il domani - in lui, e per merito della sua sola volontà e, anzi, contro il desiderio dell’autorità che l’avrebbe preferito senz’altro pazzo, si era mutato in un percorso di consapevolezza, e virtù. Entrato che appena sapeva leggere e scrivere, aveva dedicato gli ultimi venti anni della sua vita allo studio, mi ripeteva sempre che ai libri, non al regime carcerario, doveva la sua determinazione nel prendere la laurea. Aveva scelto gli studi di legge, per incarnare al meglio la sua vita e la menzogna che essa promette, e ora stava iniziando a studiare filosofia. Così, se pure ci fosse stato qualcuno a ricordare perché era finito là dentro, bene: ora quell’uomo che avevo davanti era troppo dissimile dal ragazzo che vi era entrato, per essere possibile attribuire la stessa pena alla stessa persona. Ma tanto al mondo non interessava più conoscerlo: solo a lui interessava davvero e profondamente sapere chi era se stesso, e si cercava, uomo nuovo, senza sosta. Perché lui era il centro del mondo, come ognuno, e il mondo è prezioso poiché è pieno di tali centri. Io in ventitré anni ho fatto le elementari, le medie e il liceo, e quando ero a un passo dalla laurea ho fatto una sciocchezza, e mo’ devo stare un po’ di tempo qui dentro. Ma ventitré anni non sono solo il tempo in cui ci si dedica agli studi: accadono cose, in ventitré anni. È morto colui che fece il suo nome, il giudice che lo condannò è molto vecchio e vive in campagna, il capo del governo è cambiato quattordici volte, sono morti tre papi e 1.233.057.600 esseri umani. Ne sono nati 3.046. 377.600. (...) Il prigioniero stava qui dentro. Fermo. Ma la sua mente no, seguiva il ritmo del mondo senza potergli correre dietro, aveva scavato nell’unica direzione concessa, la galleria della fuga: dentro di sé. E aveva raggiunto e superato in profondità le scosse tettoniche, e poi si era frammentato, rimpicciolito, dilatato fino a muoversi alla velocità della particella di dio. Senza dover correre dietro alla vita il prigioniero era il più libero degli uomini, e soffriva come tutti gli uomini messi assieme. Oggi fa un anno che sono uscito, che è cominciata la mia nuova vita, la redenta condizione. E ogni giorno penso a lui. Quando penso a lui faccio l’esperimento. Conto. Sessanta secondi sono più o meno così. Mississippi 1. Mississippi 2, 3, 4... 59. Mississippi 60. Chi di noi vedrà l’anno 9999? Sono stato un uomo fortunato. Quasi nessuno più riesce a conoscere gli immortali: in carne, intendo. Perché il significato che si dà a questa parola riguarda le opere che gli uomini compiono in vita, i loro atti politici, o le gesta eroiche. E va bene, quelli sono immortali in morte. Il prigioniero invece è immortale in vita, in carne, la sua condizione è estesa fuori dalla vita, quindi, a quello che ho conosciuto io, anche fuori dalla morte. Ma è il tempo che fa la differenza: perfino il limbo che ha immaginato il poeta si scioglierà nel giorno del giudizio universale. Solo il prigioniero resterà prigioniero, dunque solo egli resterà. L’autrice Valeria Parrella. Fra i suoi romanzi: Ma quale amore (Rizzoli), Lo spazio bianco e Tempo d’imparare (Einaudi) Droghe: il fallimento è in cella di Eleonora Martini Il Manifesto, 26 giugno 2014 Giornata internazionale. Il bilancio nel "Quinto libro bianco sulla legge Fini-Giovanardi". Incostituzionale per la Consulta, è responsabile del 38,6% dei detenuti in carcere. Dal 2006 a oggi una persona su tre che ha varcato le porte del carcere lo ha fatto per aver violato le norme sugli stupefacenti, quella famigerata legge Fini-Giovanardi che la Corte costituzionale nel febbraio scorso ha disinnescato, dichiarando illegittimo il suo core business, l’equiparazione tra droghe pesanti e leggere. Dando poi uno sguardo dentro le celle sovraffollate che sono costate all’Italia una condanna da parte del Consiglio d’Europa, ci si accorge che per problemi di droghe giacciono oltre le sbarre quattro detenuti su dieci (imputati o condannati che siano), di cui il 74% per il solo reato di detenzione e spaccio (art. 73), il 23,7% è tossicodipendente e solo il 3,3% sconta una pena o la carcerazione preventiva per associazione finalizzata al narcotraffico. In sostanza, il 30-40% dei reati di droga è di "lieve entità", e su sette persone che li commette sei sono stranieri. Dunque una bella retata di pesci piccoli, un bel risultato per una legge che viaggiava sulla scia proibizionista della war on drugs che in un decennio avrebbe ripulito il mondo della droga, come prometteva nel 1998 il democratico Pino Arlacchi, allora capo dell’apposita agenzia Onu. Inoltre, non va meglio fuori la cinta muraria degli istituti di pena: quasi l’80% di chi si ritrova nell’elenco dei segnalati alla prefetture per uso personale di stupefacenti è un "onesto" consumatore di cannabis. E sul totale delle denunce, il 45% è per cannabinoidi. Le sanzioni amministrative sono poi aumentate di un terzo ed è diminuito il numero di tossicodipendenti affidati ai servizi sociali. Di più: "prima del 2006 la maggioranza delle misure alternative al carcere era concessa dalla libertà, dopo invece la maggioranza delle persone che ottengono l’affidamento passano prima dal carcere". A stilare questo impietoso bilancio di una delle normative più carcerogene della Repubblica - l’ultimo grazie alla Consulta - è il "Quinto libro Bianco sulla legge Fini-Giovanardi" pubblicato da La Società della Ragione, il Forum Droghe, Antigone e il Cnca, con l’adesione della Cgil, della Comunità di San Benedetto al Porto, del Gruppo Abele, di Itaca, Itardd, Lila, Magistratura Democratica e l’Unione delle camere penali italiane. "È il ritorno alla centralità del carcere", sintetizzano gli autori del dossier. L’occasione la dà la Giornata internazionale della lotta alla droga che si celebra in tutto il mondo oggi. Ma nel mondo, come ha sottolineato la segretaria dei Radicali italiani, Rita Bernardini, in una lettera aperta inviata a Matteo Renzi, al Guardasigilli Orlando e alla ministra della Salute Beatrice Lorenzin, le politiche e l’ideologia proibizionista hanno dato e danno tuttora un contributo pesantissimo all’applicazione della pena di morte. Per questo Bernardini, tra le altre cose, ha chiesto nella sua lettera di indire per il prossimo autunno la sesta Conferenza nazionale sulla droga, come prevede - disattesa - la stessa legge, il testo unico 309/90. "Un appuntamento da utilizzare anche per una riflessione senza paraocchi sul fallimento delle politiche proibizioniste, in Italia come nel resto del mondo". Si uniscono alla richiesta anche sei deputati del Pd, compreso il capogruppo in commissione Giustizia Valter Verini, che in un’interrogazione parlamentare presentata alla Camera pongono a Renzi dieci interrogativi in materia di droghe e penalità, e al governo chiedono di "provvedere alla nomina del sottosegretario competente del Dipartimento per le politiche sulle droghe e del direttore scientifico dello stesso Dipartimento", dopo la non definitiva destituzione dell’attuale capo, Giovanni Serpelloni. Per gli autori del "Libro Bianco sulla Fini-Giovanardi", "è necessario il superamento dell’attuale e fallimentare modello autocratico del Dipartimento anti-droga, da sostituirsi con una cabina di regia che veda coinvolti tutti gli enti e tutte le istituzioni (nazionali, regionali e locali) competenti per una nuova politica sulle droghe, ivi comprese le associazioni del privato-sociale e quelle rappresentative delle persone che usano sostanze, i cui saperi e le cui esperienze costituiscono risorse collettive che i policy makers e i servizi rivolti alle dipendenze devono riconoscere e valorizzare". Convocare entro l’anno la Conferenza nazionale "dimenticata dall’ultimo zar anti-droga" è fondamentale perché anche dopo la sentenza della Corte Costituzionale, "la strage continua", come hanno sottolineato ieri Stefano Anastasia e Franco Corleone presentando il Libro bianco. Infatti, i consumatori continuano ad essere criminalizzati in quella sorta di delirio "correzionalista" che Patrizio Gonnella, nel suo recente bel saggio intitolato "Carcere, i confini della dignità", descrive come "l’idea secondo la quale attraverso la pena carceraria il detenuto vada corretto nella sua indole deviante". E "la strage continua" anche a causa della "scandalosa detenzione di condannati a pene giudicate illegittime dalla Corte costituzionale - aggiungono Corleone e Anastasia - e che meriterebbero, secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, di vedersi rideterminata la pena dal giudice dell’esecuzione". Si sarebbe dovuto "intervenire per decreto", ragionano i curatori del dossier di bilancio sulla Fini-Giovanardi, "o addirittura approvare un indulto ad hoc, e invece i singoli detenuti sono stati lasciati a se stessi, con il risultato che o gli uffici giudiziari saranno intasati dal ricalcolo delle pene o molte persone finiranno di scontare in carcere la loro pena ingiusta". A questo punto, spiegano gli autori del Libro bianco, "serve una compiuta depenalizzazione del possesso e della cessione gratuita di piccoli quantitativi di sostanze destinati all’uso personale, anche di gruppo" e "una regolamentazione legale della produzione e della circolazione dei derivati della cannabis", infine "il rilancio dei servizi per le dipendenze". Sì, perché se le operazioni delle forze dell’ordine contro la diffusione di marijuana e hashish sono aumentate del 35% rispetto al 2005 mentre si sono ridotte quelle di contrasto allo spaccio di cocaina, eroina e droghe sintetiche, di contro c’è stato il crollo delle richieste dei programmi terapeutici, passati da 6.713 nel 2006 a 214 nel 2013. E pensare che un detenuto costa allo Stato 124 euro al giorno (tutto compreso), mentre una persona in trattamento in una comunità semiresidenziale ne costa 25 (tutto compreso). Droghe: Rapporto su Legge Fini-Giovanardi, 38,6% detenuti in carcere per stupefacenti Tm News, 26 giugno 2014 Presentato 5° Libro Bianco sulla legge Fini-Giovanardi. Il 38,6% dei detenuti presenti nelle carceri italiane sono imputati-condannati per reati di droga. È quanto emerge dal 5° Libro Bianco sulla legge Fini-Giovanardi presentato oggi al Senato da La Società della Ragione Onlus, Forum Droghe, Antigone, Cnca e con l’adesione di Cgil, Comunità di San Benedetto al Porto, Gruppo Abele, Itaca, Itardd, Lila, Magistratura Democratica, Unione Camere Penali Italiane. Nel rapporto - sottolineano le associazioni - sono confermati gli effetti nefasti di 8 anni illegittimi di legge Fini-Giovanardi. Nel 2013, su un totale di 59.390 ingressi negli istituti penitenziari, il 30,56% era per violazione dell’art. 73 Dpr 309/90 mentre quasi il 40% delle presenze in carcere al 31.12.2013 sono dovute direttamente alla legge sulle droghe. Nonostante i ripetuti proclami gli affidamenti terapeutici dei tossicodipendenti restano al di sotto del dato precedente all’approvazione della legge, ed oggi avvengono perlopiù dopo un periodo di detenzione. Secondo le associazioni, resta irrisolto il grave problema dei detenuti che stanno scontando pene ritenute illegittime dalla Corte Costituzionale: in assenza di un intervento legislativo si rischia il collasso dei Tribunali, costretti ad esaminare una per una le richieste di ricalcolo delle pene o peggio si rischia di lasciare scontare alle persone pene ingiuste. Per quanto riguarda il sistema di repressione se si sommano le denunce per hashish, per marijuana e per le piante si raggiunge la cifra di 15.347 casi (45,37% del totale). La "predilezione" del sistema repressivo per la cannabis è confermata dal numero di operazioni che aumentano, in controtendenza con tutte le altre sostanze, del 35,24% rispetto al 2005, sottolinea il Libro Bianco. Per quanto riguarda le sanzioni amministrative, il 78,56% di segnalazioni pervenute alla Prefettura è per cannabis, le sanzioni quasi raddoppiano percentualmente rispetto al 2006 mentre crollano le richieste di programmi terapeutici (da 6713 nel 2006 si passa a 214 nel 2013), si legge ancora nel rapporto. Nel testo vengono proposti inoltre approfondimenti sul ruolo dei servizi pubblici e privati, sul consumo giovanile, sul controllo dei lavoratori e sui controlli alla guida. Il documento contiene poi un’analisi sull’attendibilità dei dati del Dipartimento Antidroga in merito ai consumi di sostanze e sulla "variabilità" dei livelli di thc presente nelle piante di cannabis. In chiusura, in assenza di fonti ufficiali, viene proposta una puntuale ricostruzione della normativa penale vigente del testo unico sulle sostanze stupefacenti. Per i promotori, in uno scenario internazionale profondamente mutato sulle politiche sulle droghe (con Uruguay, Colorado e Washington in testa), e dopo la sentenza della Corte Costituzionale è necessario un radicale mutamento di rotta nel nostro Paese che distingua nettamente le politiche sociali e sanitarie da quelle penali. Serve una compiuta depenalizzazione del possesso e della cessione gratuita di piccoli quantitativi di sostanze destinati all’uso personale, anche di gruppo. Serve poi una regolamentazione legale della produzione e della circolazione dei derivati della cannabis e della libera coltivazione a uso personale. Serve il rilancio dei servizi per le dipendenze e delle politiche di "riduzione del danno". Serve il superamento del fallimentare modello autocratico del Dipartimento Antidroga, con una cabina di regia che veda coinvolti tutti: enti, istituzioni, privato sociale e consumatori e che convochi entro l’anno la Conferenza nazionale prevista dal testo unico e dimenticata da troppi anni. Dopo Consulta serve indulto ad hoc Anastasia e Corleone:uUffici saranno intasati per ricalco pene. Anche dopo la sentenza della Corte Costituzionale, che ha dichiarato illegittima l’equiparazione tra droghe pesanti e leggere, "la strage continua". Lo sottolineano Stefano Anastasia e Franco Corleone, autori del "Libro Bianco sulla legge Fini-Giovanardi" de La Società della Ragione, Forum Droghe, Antigone e Cnca, "una valutazione finale - sottolineano i curatori - sui risultati dell’inasprimento introdotto nel 2006 dall’allora governo Berlusconi", che continua ad avere effetti sul sistema penale anche dopo la dichiarazione di incostituzionalità. La strage continua - evidenziano - con "la criminalizzazione dei consumatori (solo attenuata dal ritorno a pene più miti per la detenzione di droghe leggere)" e "la scandalosa detenzione di condannati a pene giudicate illegittime dalla Corte costituzionale e che meriterebbero, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, di vedersi rideterminata la pena dal giudice dell’esecuzione". Si sarebbe dovuto intervenire per decreto - secondo Corleone e Anastasia - "o addirittura approvare un indulto ad hoc, e invece i singoli detenuti sono stati lasciati a se stessi, con il risultato che o gli uffici giudiziari saranno intasati dal ricalcolo delle pene o molte persone finiranno di scontare in carcere la loro pena ingiusta". Dopo la sentenze della Consulta e il ritorno alla Jervolino-Vassalli, è la richiesta che emerge dal dossier, "serve una compiuta depenalizzazione del possesso e della cessione gratuita di piccoli quantitativi di sostanze destinati all’uso personale, anche di gruppo" e "una regolamentazione legale della produzione e della circolazione dei derivati della cannabis", infine "il rilancio dei servizi per le dipendenze". Droghe: 78% delle segnalazioni alle Prefetture è per cannabis, in carcere i "pesci piccoli" Ansa, 26 giugno 2014 La mancata distinzione tra droghe "pesanti" e "leggere", abrogata poi dalla Consulta, e il carcere anche per il piccolo spaccio: questa la combinazione che in sette anni di applicazione della Fini-Giovanardi ha ingolfato il sistema carcerario di "pesci piccoli", pusher tossicodipendenti a loro volta, che vendono droga per procurarsi la dose. Sono 18mila i detenuti per il solo articolo 73 delle legge sulle droghe, che punisce la coltivazione, la detenzione e lo spaccio, mentre pochi, solo 810, scontano la pena o sono imputati del ben più grave articolo 74, l’associazione finalizzata al traffico; circa 5.400 rispondono di entrambe le imputazioni. I numeri, forniti dal Dap, sono riportati nel "Libro Bianco sulla legge Fini-Giovanardi" che La Società della Ragione, Forum Droghe, Antigone e Cnca stilano ogni anno, e che in quest’edizione è "una valutazione finale sui risultati dell’inasprimento introdotto nel 2006 dall’allora governo Berlusconi". Negli anni di applicazione della Fini-Giovanardi, viene sottolineato nel dossier, c’è stato un aumento continuo degli ingressi in carceri per droga, passati in percentuale dal 28 al 30,6% tra il 2006 e il 2013, e delle presenze, aumentate nello stesso periodo da 14.640 a 23.346, annullando rapidamente l’effetto dell’indulto. C’è stata pure - viene aggiunto nel rapporto, presentato in Senato alla vigilia della giornata internazionale per la lotta alla droga - una "criminalizzazione" dei consumatori di droghe leggere. Il 78,56% delle segnalazioni delle forze dell’ordine alle Prefetture per uso personale riguardano la cannabis. Le operazioni delle forze dell’ordine per la sola canapa indiana - riporta il Libro Bianco - sono state 15.347, un terzo in più che nel 2005: "Una enorme mole di attività delle forze di polizia per il solo consumo di cannabis. Un grosso spreco di capacità", dice Stefano Anastasia, che con Franco Corleone ha curato il dossier. "Anche l’argomento retorico dell’estensione dell’affidamento terapeutico dei tossicodipendenti con condanne fino a sei anni non ha funzionato per contrastare il sovraffollamento - osserva Anastasia - se si pensa all’elevato numero di tossicodipendenti presenti in carcere", in pratica un detenuto su quattro. Anzi, spiega il dossier, l’affidamento terapeutico ha visto un crollo. Al 1 gennaio 2006, risultavano in affidamento 3.852 tossicodipendenti, mentre al 31 dicembre 2013 erano "affidati" in 3.328. Pd: Renzi nomini sottosegretario e direttore dipartimento "Convocare entro l’anno la conferenza nazionale sui problemi relativi alle sostanze stupefacenti e provvedere alla nomina del sottosegretario competente del Dipartimento per le politiche sulle droghe e del direttore scientifico dello stesso Dipartimento". Lo chiedono i deputati del Pd Valter Verini, capogruppo in commissione Giustizia, Micaela Campana, Fausto Raciti, Giuditta Pini e Fabio Porta in una interrogazione al presidente del Consiglio, Matteo Renzi, in vista della giornata mondiale dedicata alla lotta alle droghe di domani 26 giugno. "Sono molteplici - dichiarano i deputati - le fonti che mostrano l’inefficacia e i danni delle politiche proibizioniste. È importante invece parlare di droghe, dare informazioni, agire sulla consapevolezza delle persone. Il proibizionismo genera tabù, impedisce di parlare liberamente ed è causa di tragedie. Non è secondario poi l’effetto drammatico che ha prodotto privando della libertà e sottoponendo a quella vera e propria tortura che sono le carceri italiane, persone che non hanno alcuna ragione di essere detenute: addirittura uno su quattro. Per questo è necessario depenalizzare i reati di lieve entità, per i quali la previsione di una sanzione diversa da quella penale può avere una efficacia di prevenzione generale. Su questo argomento il Parlamento ha iniziato ad invertire la rotta, affrontando questo tema in modo non ideologico, facendo tesoro delle esperienze positive di altri Paesi". Giovanardi (Ncd): Forum droghe manipola i dati "Come sempre il Forum droghe si distingue nella manipolazione dei dati relativi alle tossicodipendenze in Italia, non volendo accettare la realtà testimoniata dai dati del Dap che ha certificato un calo e non un aumento dei detenuti tossicodipendenti in carcere dopo l’entrata in vigore nel 2006 della legge Fini-Giovanardi". Lo dice il senatore dl Ncd Carlo Giovanardi. "Franco Corleone & c., dopo aver gridato ai quattro venti che la cancellazione da parte della Corte Costituzionale della Fini-Giovanardi avrebbe finalmente svuotato le carceri sparando cifre a casaccio, davanti a numeri così ridotti di scarcerazione oggi - osserva Giovanardi - cambiano registro e invocano amnistie e indulti per gli spacciatori". Secondo Giovanardi "la realtà è che chi sta in carcere ha frequentemente non solo spacciato droga ma ha anche commesso altri gravi reati, che impediscono la scarcerazione". "Non a caso gli anti proibizionisti sono furiosi anche nei confronti della nuova legge, licenziata solo il mese scorso da questo Parlamento, perché il loro vero obiettivo - conclude il senatore di Ncd - non è né la prevenzione né il recupero dei tossicodipendenti ma, per ragioni ideologiche, arrivare alla liberalizzazione dell’uso di ogni tipo di droga". Stati Uniti: peggiora salute del pilota russo condannato a 20 anni per traffico di droga www.italian.ruvr.ru, 26 giugno 2014 Il pilota russo Konstantin Yaroshenko, che sta scontando una condanna a 20 anni negli Stati Uniti con l’accusa di traffico di droga, non può mangiare e ha urgente bisogno di cure mediche. Così ha dichiarato il suo avvocato Alexei Tarasov. "I suoi denti si stanno sgretolando, ha sottolineato l’avvocato, e non può assolutamente masticare." L’amministrazione della prigione di Fort Dix nel New Jersey, dove è rinchiuso il pilota, ignora le sue richieste di assistenza medica. Yaroshenko è stato arrestato in Liberia nel 2010, dopo le operazioni di intelligence degli Stati Uniti. Il pilota è stato estradato negli Stati Uniti, dove è stato accusato di cospirazione e contrabbando di droga. Medio Oriente: Ong; sono 23 i deputati palestinesi detenuti nelle carceri di Israele Aki, 26 giugno 2014 Lo riferisce la Società dei prigionieri palestinesi precisando che la maggior parte di loro è stata arrestata nelle ultime due settimane durante la rappresaglia condotta da Israele in Cisgiordania in risposta al rapimento di tre ragazzi israeliani che, secondo il premier Benjamin Netanyah, sono nelle mani di Hamas. Solo undici dei 23 membri del Consiglio legislativo palestinese sono in carcere da prima dell’avvio dell’ultima campagna di arresti, tra cui Marwan Barghouthi dal 2002. Medio Oriente: accordo con Israele per interrompere sciopero della fame "non è vittoria" Nova, 26 giugno 2014 L’accordo raggiunto con le autorità carcerarie israeliane per porre fine allo sciopero della fame iniziato il 24 aprile scorso da decine di detenuti palestinesi "non è una vittoria": lo ha detto oggi il rappresentante dell’Associazione dei prigionieri, Qadura Fares, nel corso di una conferenza stampa a Ramallah. "Se l’accordo di riconciliazione tra Hamas e Fatah aveva riportato in primo piano la questione dei prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane - ha spiegato Fares - gli avvenimenti delle ultime due settimane (il rapimento dei giovani di Tel Aviv in Cisgiordania, ndr) hanno fatto sì che il problema venisse messo nuovamente da parte dalla politica e dalla comunità internazionale". I termini dell’accordo, tra i rappresentanti dei detenuti e le autorità israeliane, saranno resi pubblici nei prossimi giorni tramite un comunicato degli stessi detenuti. Questa mattina circa 80 prigionieri palestinesi hanno deciso di sospendere lo sciopero della fame iniziato lo scorso 24 aprile a seguito dell’accordo raggiunto con i funzionari delle carceri israeliane. Inizialmente erano 125 i detenuti in protesta per denunciare la loro situazione detentiva, riconosciuta come illegale dal diritto internazionale ma ad oggi rimasta irrisolta. Il provvedimento della detenzione amministrativa è autorizzato dalla legge militare israeliana e dalla legge interna a Israele, che si applicano rispettivamente ai palestinesi in Cisgiordania e ai cittadini israeliani che vivono nei territori occupati. Gli ordini di reclusione variano da uno a sei mesi e sono rinnovabili a tempo indeterminato. L’incriminazione è basata su informazioni segrete alle quali né i detenuti né i loro avvocati hanno accesso, ed è perciò spesso sfruttata quando le prove sono insufficienti per una condanna definitiva. Non prevede né la liberazione né un processo. Circa cinquemila palestinesi occupano ad oggi più di venti centri di detenzione israeliani. Tra loro anche 200 minorenni e 19 donne. Giappone: eseguita condanna a morte per impiccagione, la nona sotto Abe La Presse, 26 giugno 2014 In Giappone è stata eseguita oggi la condanna a morte per impiccagione a carico di un detenuto 68enne, Masanori Kawasaki. Lo riferisce il ministero della Giustizia giapponese e lo riporta l’agenzia di stampa giapponese Kyodo. Questa esecuzione porta a nove il totale delle condanne a morte eseguite in Giappone dal lancio del governo guidato dal primo ministro Shinzo Abe a dicembre del 2012. L’uomo era stato condannato con l’accusa di avere accoltellato e ucciso la cognata 58enne e le due nipoti di lei a novembre del 2007.