Giustizia: i detenuti da risarcire e il caos dei ricorsi di Luigi Ferrarella Corriere della Sera, 22 giugno 2014 Chi è stato detenuto in celle così sovraffollate (meno di 3 mq a testa) da rientrare nella definizione di "trattamento disumano" per la quale la Corte europea dei diritti dell’uomo nel 2013 con la "sentenza Torreggiani" ha condannato l’Italia a risarcire 7 detenuti di Busto Arsizio e Piacenza con 23.500 euro per 3 anni e 3 mesi di prigionia, se oggi è in libertà potrà chiedere di essere risarcito dallo Stato con 8 euro al giorno; se invece è ancora in carcere, potrà chiedere di godere di uno sconto di 1 giorno di pena ogni 10 trascorsi in detenzione "degradante". Consiste in questo il "rimedio interno" promesso al Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, e ieri introdotto per decreto legge dal premier Renzi e dal Guardasigilli Orlando. In questo modo non verranno più decisi da Strasburgo i 6.829 ricorsi italiani lì già pendenti. Altri rimedi possibili Non era però questo l’unico rimedio interno possibile, anzi il coordinamento nazionale dei giudici di sorveglianza aveva già paventato che lo sconto di 1 giorno ogni 10, "con esplicite ed "eteronome" finalità risarcitorie per il detenuto", sarà "di difficile applicazione pratica e dal modesto effetto deflattivo". E che "il risarcimento pecuniario in misura forfettaria, a fronte dell’incommensurabilità del bene supremo della dignità umana che non conosce prezzo, percorre una via indennitaria diversa dalla strada maestra della garanzia giurisdizionale", che avrebbe piuttosto dovuto essere il "diritto al risarcimento integrale dei danni conseguenti ai trattamenti disumani e degradanti, di competenza del giudice civile" secondo quanto "indicato dalla Cassazione", e non dei giudici di sorveglianza. Per i giudici è un provvedimento "insufficiente" L’entità del risarcimento è peraltro meno della metà degli standard liquidati dalla Corte di Strasburgo. Sicché il rimedio scelto rischia di poter essere brutalmente riassumibile come quello di uno Stato che con un po’ di liberazione anticipata prima "tortura" uno, ma poi per compensarlo lo "tortura" un poco di meno; o che con una manciata di soldi massimizza pure i propri risparmi, giacché prima "tortura" uno e poi, per compensarlo, gli liquida un "trattamento di fine rapporto" da 8 euro al giorno, quando un giorno di carcere costa complessivamente allo Stato (stando alle tabelle ministeriali) circa 124 euro. Infine c’è da considerare che in questo modo si abbatteranno nuove migliaia di istanze sui giudici di sorveglianza, già sommersi da altri recenti interventi legislativi sul carcere: solo che questi giudici sono sempre e solo 153 in tutta Italia per 60.000 detenuti e 25.000 condannati in misure alternative. E ora i giudici di sorveglianza, nel definire "utile ma precaria, eventuale e del tutto insufficiente" la ieri prevista dal governo "autorizzazione all’impiego di volontari a supporto", sperano "in un supplemento di saggezza politico-istituzionale": prima che "le nuove competenze" producano "conseguenze disastrose su produttività e efficienza". Giustizia: Dap; tutti i detenuti "41-bis" in Sardegna, a Sassari e Cagliari reparti ad hoc Asca, 22 giugno 2014 Attualmente i detenuti sottoposti al regime del 41-bis si trovano in 12 istituti penitenziari con 12 sezioni maschili, una sezione femminile a l’Aquila (che ospita 7 detenute), e una sezione per internati che ospita una sola persona. Oltre a Nuoro, che già può ospitare detenuti sottoposti a questo regime, verranno aperti reparti negli istituti penitenziari di Sassari e Cagliari mentre le strutture di Cuneo e Novara verranno chiuse. A tracciare una panoramica dell’applicazione del regime del 41-bis è stato Roberto Piscitello, direttore generale dei detenuti e del trattamento presso il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria nel corso dell’audizione svolta il 18 giugno davanti alla Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato nell’ambito dell’indagine che la Commissione sta conducendo sul sistema penitenziario italiano e in particolare sul regime di detenzione relativo all’articolo 41-bis. Questo regime di detenzione ha introdotto una serie di limitazioni volte a ridurre la frequenza dei contatti con l’esterno degli esponenti di vertice delle organizzazioni criminali per evitare che vengano commessi nuovi reati. I detenuti sottoposti al 41-bis possono effettuare un colloquio al mese, in locali attrezzati, con un vetro divisorio che li separa dai visitatori tranne nel caso di figli minori di 12 anni. La durata del colloquio con i figli minori è di 10 minuti, un sesto del tempo totale se sono presenti altri familiari. Una circolare del 28 aprile scorso ha stabilito che il colloquio con il figlio minore possa svolgersi alla presenza contemporanea dei familiari adulti in modo da non sottrarre il tempo del colloquio da quello totale con la famiglia. Nessun limite, invece, ai colloqui con i difensori. Per applicare questo regime occorre un decreto motivato del ministro della Giustizia che può essere adottato in presenza di gravi motivi di ordine e sicurezza pubblici, sentito il parere del pubblico m ministero, della Direzione nazionale antimafia e degli organi di polizia centrali. Sulla possibilità che venga raddoppiato il tempo trascorso fuori della cella - come chiesto dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti del Consiglio d’Europa (Cpt) - Piscitello ha detto che verrà fatta una valutazione e che non vi sono particolari ragioni per non dare corso a quanto richiesto dal Cpt. Giustizia: l’Italia si prepara a rimpatriare i nigeriani detenuti nelle sue carceri? di Elodia Policarpio www.liberoreporter.it, 22 giugno 2014 Nei primi giorni del mese di luglio prossimo è previsto un incontro bilaterale Nigeria-Italia. L’incontro che è stato preceduto da numerosi altri avrà lo scopo di concordare il trasferimento dei cittadini nigeriani attualmente ospitati nelle carceri italiane. Un risultato questo che è frutto di una mediazione portata avanti da mesi tra i governi dei due Paesi. Di fatto, in seguito all’accordo, che si dovrebbe siglare, le pene detentive inflitte dalla giustizia italiana a questi cittadini nigeriani dovrebbero essere scontate nel loro Paese d’origine. La maggior parte dei 700 nigeriani detenuti in Italia sono stati condannati per traffico di droga. Un accordo simile è già stato siglato lo scorso mese di gennaio tra il Regno Unito e la Nigeria. Accordo che ha permesso il rimpatrio di oltre 500 nigeriani detenuti nelle carceri inglesi. Un modo questo, per rendere più vivibile la vita carceraria che è già sofferente e che lo diventa ancora di più quando si è detenuti in Paesi lontani dal proprio di origine. Una delle conseguenze primaria è l’impossibilità di poter vedere i propri cari. Si tratta quindi di un atto anche umanitario. Si stima che siano detenuti nel mondo oltre 15mila nigeriani. In Nigeria carceri e sistema giudiziario sono come un buco nero che inghiotta migliaia di persone anno dopo anno. Risultano casi di detenuti in attesa di giudizio anche da decenni. È il sovraffollamento però, il dramma più insormontabile. Per rendere possibile il trasferimento una delle condizione che è stata imposta dall’Italia è quella che il governo nigeriano si doveva impegnare nel rendere migliori le condizioni di vita nelle proprie carceri. Sembra che tale condizione sia stata soddisfatta e pertanto, è stato creato il presupposto per l’attuazione del trasferimento. L’incontro di luglio dovrebbe appunto suggellarlo dato che sono già stati stabiliti i parametri e superati tutti i possibili scogli. Tra quelli che hanno reso possibile questo accordo figura l’Ambasciatore d’Italia in Nigeria, S.E. Fulvio Rustico. I detenuti stranieri nelle carceri italiane costituiscono oltre il 36% dell’intera popolazione carceraria. Oltre 10mila sono in attesa di giudizio. Giustizia: il Papa ai detenuti "il carcere aiuta a reinserirsi… o degrada" Radio Vaticana, 22 giugno 2014 Se il carcere non aiuta il detenuto a ritrovare una strada di reinserimento sociale, sarà stato solo un periodo di punizione spesso degradante per la dignità del recluso. È uno dei pensieri principali espressi da Papa Francesco nel suo incontro con i detenuti della Casa circondariale di Castrovillari, prima tappa della sua visita che lo ha poi portato nella citta di Cassano Ionio. L’incontro: "con voi detenuti e voi operatori della Casa circondariale di Castrovillari", ha detto all’inizio Papa Francesco, "vorrei esprimere la vicinanza del Papa e della Chiesa ad ogni uomo e ogni donna che si trova in carcere, in ogni parte del mondo. Gesù ha detto: ‘Ero in carcere e siete venuti a trovarmi’". "Nelle riflessioni che riguardano i detenuti, si sottolinea spesso - ha osservato il Papa - il tema del rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo e l’esigenza di corrispondenti condizioni di espiazione della pena. Questo aspetto della politica penitenziaria è certamente essenziale e l’attenzione in proposito deve rimanere sempre alta". "Ma tale prospettiva - ha affermato Papa Francesco - non è ancora sufficiente, se non è accompagnata e completata da un impegno concreto delle istituzioni in vista di un effettivo reinserimento nella società. Quando questa finalità viene trascurata, l’esecuzione della pena degrada a uno strumento di sola punizione e ritorsione sociale, a sua volta dannoso per l’individuo e per la società". E Dio, ha soggiunto a braccio, "non fa questo, con noi. Dio, quando ci perdona, ci accompagna e ci aiuta nella strada. Sempre. Anche nelle cose piccole, no? Quando noi andiamo a confessarci, il Signore ci dice: ‘Ma, io ti perdono. Ma adesso vieni con me. E Lui ci aiuta a riprendere la strada. Mai condanna. Mai perdona soltanto. Ma perdona e accompagna". Certo, ha riconosciuto il Papa, "siamo fragili e dobbiamo ritornare alla confessione, tutti". Ma "sempre", ha ribadito, Dio "non si stanca. Sempre dalla mano ci riconduce. E questo è l’amore di Dio, e noi dobbiamo imitarlo. La società deve imitarlo. Fare questa strada". Parlando quindi del "vero e pieno reinserimento della persona", questo ha sottolineato il Papa "non avviene come termine di un percorso solamente umano. In questo cammino entra anche l’incontro con Dio, la capacità di lasciarci guardare da Dio che ci ama. È più difficile lasciarsi guardare da Dio - ha detto - che guardare Dio. È più difficile lasciarsi incontrare da Dio che incontrare Dio, perché in noi sempre c’è una resistenza. E Lui ti aspetta, Lui ci guarda, Lui ci cerca sempre, no? E questo Dio che ci ama, che è capace di comprenderci, capace di perdonare i nostri errori". Papa Francesco ha definito il Signore "un maestro di reinserimento" perché "ci prende per mano e ci riporta nella comunità sociale. Il Signore sempre perdona, sempre accompagna, sempre comprende; a noi spetta lasciarci comprendere, lasciarci perdonare, lasciarci accompagnare". Il Papa ha concluso il suo intervento augurando a tutti che il tempo trascorso nella Casa Circondariale "non vada perduto, ma possa essere un tempo prezioso, durante il quale chiedere e ottenere da Dio questa grazia. Così facendo - ha terminato - contribuirete a rendere migliori prima di tutto voi stessi, ma nello stesso tempo anche la comunità, perché, nel bene e nel male, le nostre azioni influiscono sugli altri e su tutta la famiglia umana". "E per favore - ha soggiunto il Papa, come sovente usa alla fine di un incontro - vi chiedo di pregare per me, perché anche io ho i miei sbagli e devo fare penitenza". Giustizia: i magistrati, una casta intoccabile che vuole Silvio in galera di Piero Sansonetti Il Garantista, 22 giugno 2014 Berlusconi rischia grosso. Potrebbe finire in cella, nonostante i suoi 77 anni e nonostante il fatto che è il capo di uno dei tre grandi partiti italiani. E se così fosse, sarebbe il primo leader politico di tutta la storia della Repubblica ad andare in prigione per un reato d’opinione. L’ultima volta fu prima del 25 luglio del 1943. È successo, come avete letto ieri su questo giornale, che giovedì al Tribunale di Napoli si è verificato, in aula, uno scontro verbale tra l’ex primo ministro e il Presidente della Corte. Ora la Procura di Napoli sta valutando l’ipotesi che nel corso di quell’incidente, Berlusconi, con le sue parole aggressive verso la magistratura, abbia nientepopodimenoché commesso il reato di oltraggio all’ordine giudiziario. Deciderà lunedì se aprire o no un procedimento e se trasmettere le carte al tribunale di sorveglianza di Milano perché possa decidere se revocare il beneficio dei servizi sociali e spedirlo in galera. La scelta tra archiviare o procedere è affidata al Procuratore Giovanni Colangelo e a due Pm: Vincenzo Piscitelli e… Henry John Woodcock. C’è bisogno di scrivere qualche riga su Henry John Woodcock? È un giovane magistrato molto noto e del quale tutto si può dire ma non che non abbia qualche inimicizia verso Berlusconi. Naturalmente questa evidente incompatibilità potrebbe persino giovare a Berlusconi: Woodcock, sentendosi troppo esposto, potrebbe finire per evitare lo scontro frontale. Woodcock però non è un tipo che evita gli scontri frontali. Gli sono sempre piaciuti, li ha sempre cercati, generalmente senza un grande successo visto che moltissime delle sue inchieste più spettacolari, contro imputati famosi, si sono risolte con un flop. Cosa potrebbero decidere i giudici di Napoli? Di aprire un procedimento per oltraggio, e le voci di corridoio dicono che si stanno orientando in quel senso. E poi potrebbero decidere di trasmettere la registrazione dello scontro tra Berlusconi e la dottoressa Ceppaluni al tribunale di sorveglianza di Milano. A quel punto Berlusconi si troverebbe sotto due fuochi: a Napoli dovrebbe affrontare un nuovo processo per un nuovo reato (di opinione, ma che prevede pene severe); a Milano potrebbe aspettarsi che il tribunale gli revochi l’affidamento ai servizi e lo mandi in cella. Il Tribunale di sorveglianza, quando decise di assegnare Berlusconi ai servizi sociali ( e precisamente all’assistenza ai malati di Alzheimer) lo aveva ammonito: non parlare male della magistratura o ti sbattiamo dentro. Berlusconi si è fatto tutta la campagna elettorale tappandosi la bocca per evitare che gli sfuggisse qualche sciabolata contro i giudici. L’altra sera però non ha retto. Ci sono stati due minuti di scintille. La presidente della Corte, la dottoressa Ceppaluni, gli ha chiesto qualcosa sui suoi rapporti con il finanziere Ponzellini. Lui ha risposto: "Non capisco il senso di queste domande". E lei, gelida, ha replicato: "Non c’è nessun bisogno che lei capisca". A quel punto Berlusconi è sbottato e ha parlato di irresponsabilità e impunibilità della magistratura. Che un capo politico definisca irresponsabile e impunibile la magistratura, è un’offesa o è critica politica? Se avesse definito irresponsabile Grillo, o Renzi, o Obama nessuno avrebbe avuto niente da dire. La magistratura in Italia è un luogo sacro? Può criticare e anche condannare ma non può essere criticata né tantomeno giudicata? Eppure in qualunque paese libero è legittimo criticare la magistratura. Forse è meno legittimo che un giudice, in tribunale, sbeffeggi e cerchi di umiliare un imputato. E affermi con protervia e arroganza la sua superiorità quasi divina. "Non c’è bisogno che lei capisca", che significa? Significa: qui c’è una sola persona che deve capire e comandare: io. Lei si sottoponga a me e obbedisca. Siamo sicuri che il Consiglio superiore della magistratura non debba valutare se l’atteggiamento assunto in aula dalla dottoressa Ceppaluni non fosse offensivo e violasse l’etica della magistratura? Se io ascoltassi un giudice rivolgersi con quella arroganza a un povero cristo (e temo che succeda molto spesso) mi indignerei parecchio. Per Berlusconi invece non bisogna indignarsi? La verità è che uno può anche indignarsi, ma poi non gli resta altro che abbozzare. La potenza assoluta e incontrollabile della magistratura è ormai fuori discussione e sembra inarrestabile. Il governo ha annunciato che giovedì presenterà la riforma della Giustizia. C’è da scommettere che in questa riforma non ci sarà di niente di sgradito ai magistrati: né la separazione delle carriere, né la responsabilità civile, né la riforma del carcere preventivo, né la limitazione delle intercettazioni, nè la riforma del processo. Giustizia: Dell’Utri in carcere a Parma "o mi danno più libri o faccio sciopero della fame" Ansa, 22 giugno 2014 L’ex senatore Marcello Dell’Utri, uomo forte di Forza Italia e braccio destro di Silvio Berlusconi, ora detenuto nell’infermeria del carcere di Parma in cui sconta la condanna a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa, è pronto a smettere di cibarsi per protestare contro il regolamento del penitenziario, che gli impedisce di avere in cella più di due libri alla volta. "È molto, molto, molto ma molto arrabbiato - dice il deputato di Fi Elio Massimo Palmizio - un conto è scontare la pena, un conto è subire tortura psicologica". Palmizio, coordinatore regionale di Forza Italia Emilia-Romagna e a sua volta fedelissimo di Berlusconi, fu il primo parlamentare a far visita al detenuto eccellente, arrivato venerdì scorso a Parma via Roma Fiumicino da Beirut dopo l’estradizione concessa dal Libano. Sabato mattina ci fu, tra i due, un abbraccio limitato dalle sbarre della cella rimasta chiusa e da due agenti di custodia sempre presenti. Poi Palmizio fece sapere quale fosse l’aspirazione di Dell’Utri per alleggerire la detenzione: "Vorrebbe fare il bibliotecario del penitenziario di via della Burla", per assecondare la sua più grande passione, i libri. Il bibliofilo Dell’Utri, in breve, ha capito che la situazione non sarebbe stata così favorevole. Palmizio, tornato a trovarlo, racconta così l’ira funesta di colui che ne fu il capo in Publitalia: "Ho fatto un’ispezione stamattina al carcere parmigiano. Prima ho visitato l’ala di massima sicurezza, verificando le condizioni dei carcerati. Poi sono passato all’infermeria, in cui Dell’Utri è detenuto in regime non di media ma di alta sicurezza. Un gradino solo sotto al 41 bis, il carcere duro. Se uscisse dall’infermeria avrebbe maggiori limiti a ricevere telefonate e visite, e al dialogo. Ho visitato la sua cella singola. Ha un bagno privato con doccia, una piccola televisione praticamente inguardabile, essendo inglobata in una sorta di scatolotto, concepito per evitare l’autolesionismo. L’ho trovato fisicamente bene, ma molto, molto, ma molto arrabbiato. Per un motivo semplice: per i libri. Può riceverne due alla volta. E il regolamento dice che anche un vocabolario è un libro. Per cui ha un vocabolario e un libro. Per Marcello, per un bibliofilo, è pochissimo. Per lui i libri sono come l’acqua per un assetato". Ed ecco l’annuncio: "Dell’Utri sarebbe disponibile a rinunciare alla tv, all’ora di socialità diurna pur di riavere i suoi libri. Se non riesce in qualche modo a ottenerne di più (tenendo conto che già riceve poca carta, e anche le sue penne non può usarle perché contengono alcol), per leggere, studiare e anche scrivere, farà lo sciopero della fame. Lui lo ha annunciato alle guardie. E io lo divulgo perché voglio che si sappia: un conto è accettare la condizione carceraria, un conto è scontare la pena, un conto è essere recluso con un caldo asfissiante anche se il reparto che lo detiene dovrebbe essere climatizzato. Ma non si capisce perché non debba avere i libri. Non dico una biblioteca, ma un numero più adatto, almeno cinque alla volta, perché possa fare quello che ama di più. Nelle carceri un problema grosso è la noia. Va bene espiare la pena. La tortura psicologica no, non è tollerabile". Giustizia: in campo e in galera, l’arte del tatuaggio di Patrizio Gonnella Il Manifesto, 22 giugno 2014 Gli amanti del "tattoing" devono guardare una partita o farsi un giro in un carcere per vederne di tutti i tipi e di tutti i colori. C’è chi si marchia immagini mitologiche, chi disegni di fantasia, chi nomi di mogli, madri, figli, chi i Teletubbies (De Rossi) e c’è chi evoca Dio (pare che Balotelli si sia tatuato sul pettorale la seguente frase: "Io sono la punizione di Dio. Se non aveste commesso grandi peccati, Dio non avrebbe mandato una punizione come me su di voi"). Il tatuaggio accomuna calciatori e detenuti. Gli amanti dell’arte del tattoing devono guardare una partita o farsi un giro in galera per vederne di tutti i tipi e di tutti i colori. Se un detenuto si è tatuato il numero 73 sul corpo vorrà dire che è andato a finire dentro per spaccio in quanto il 73 è l’articolo della legge sulle droghe da lui violato. Se un attaccante si tatua il numero 73 vorrà dire che il suo primo gol importante lo ha segnato al 73mo minuto, se è un difensore vorrà dire probabilmente che ha esordito al minuto 73. Capita nelle carceri che, pur di tatuarsi, i detenuti usino mezzi di fortuna e non sterili, rischiosissimi per la salute. Non sarebbe male far entrare una volta al mese in ogni carcere un tatuatore professionista. Diminuirebbero notevolmente i pericoli di contrarre epatiti o malattie infettive. Marco Materazzi, protagonista assoluto della finale vinta con la Francia nel 2006, nella quale segnò due goal (uno su rigore dopo i tempi supplementari) e provocò l’espulsione di Zidane autore di uno dei più famosi colpi di testa della storia dei Campionati del Mondo, pare abbia sul proprio corpo impressi circa venticinque tatuaggi. Quasi un record. Materazzi non c’è mai stato in galera, ce lo voleva però mandare Blatter, il boss indiscusso della Fifa. Nel settembre del 2006 annunciò che la pace tra Materazzi e Zidane si sarebbe fatta nella prigione di Robben Island in Sudafrica dove era stato recluso per tanti anni Nelson Mandela. Breno, invece, seppur a prima vista non tatuato, in carcere c’è stato eccome. Il fortissimo difensore brasiliano se non avesse avuto la disavventura giudiziaria forse ora starebbe giocando il Mondiale nella difesa carioca insieme al grande Thiago Silva. Nel 2008 aveva vinto la medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Pechino. Nel settembre del 2011 fu arrestato e nel luglio del 2012 venne condannato per incendio doloso. Pare dette fuoco alla sua villa. Di carcere vero e proprio se ne fece però poco più di un anno rispetto ai quasi quattro previsti. Fortunatamente anche in Germania, paese non accusabile di lassismo giudiziario, la pena è flessibile. Prima dell’arresto giocava nel Bayern Monaco; venne imprigionato nel carcere di Stadelheim. Mentre era in galera, lui che avrebbe dovuto andare alla Lazio, venne acquistato dal San Paolo. Non ha mai raccontato come si svolgesse la sua vita durante l’anno di detenzione. Sicuramente ha avuto modo di allenarsi, altrimenti dubito che il San Paolo lo avrebbe acquistato. Umanità del sistema penitenziario tedesco? Più probabilmente occasione in più per chi non proviene del mondo dei reietti. Neanche il carcere riesce a essere a livella. Lettere: mi sono laureato per crepare in cella di Carmelo Musumeci Il Garantista, 22 giugno 2014 Una lettera di Carmelo Musumeci, detenuto nel carcere di Padova e condannato all’ergastolo. Caro "Il Garantista", ho saputo che da qualche giorno sei in edicola e siccome sono davvero pochissimi i quotidiani disposti a darci voce, voglio subito chiedervi luce e spazio per gli uomini ombra, come chiamo io noi condannati alla "pena di morte viva", l’ergastolo senza benefici penitenziari, vale a dire con un reale fine pena mai. Sono Carmelo Musumeci, attualmente detenuto nel carcere di Padova, condannato, in Italia - patria del diritto romano e di Cesare Beccaria - alla pena di morte viva: così viene chiamata tra di noi quella condanna che non ti dà nessuna possibilità, un giorno, di uscire. Ebbene è una vera condanna a morte, presa a gocce un po’ tutti i giorni e tutte le notti. Sul muro della mia cella ho scritto: "Io non sono né morto né vivo, sono solo un’ombra". Da tanti anni combatto contro l’ergastolo. In particolare combatto l’ergastolo ostativo, perché, allo stato attuale delle leggi, molti di noi ergastolani usciranno solo cadaveri dal carcere. Ma se la nostra Costituzione dice che "Le pene devono tendere alla rieducazione del condannato" (articolo 27) ai "buoni" che stanno fuori dal muro di cinta io continuo a chiedere che senso abbia rieducare qualcuno per portarlo rieducato alla tomba. L’ergastolo ostativo è una pena disumana. Ho una compagna che mi aspetta da 23 anni, ho 2 figli e 2 nipotini e so che la mia famiglia avrà di me soltanto il mio cadavere. Combattere contro la pena dell’ergastolo è un po’ come fare una partita a scacchi con la morte: non puoi vincere. Però io non posso nemmeno perdere, perché ho qualcuno che mi vuole bene e che mi aspetta, senza rassegnarsi. Anche tanti dei miei compagni non vogliono capire e molti di loro hanno scoperto che non usciranno mai solo dopo decenni di carcere. La legge dice che o collabori, cioè mandi in cella qualcun altro al posto tuo, o rimani dentro. Ma chi non se la sente di mettere in pericolo la vita dei propri cari, che dopo tanti anni ancora pagano per colpe che non sono loro? Per essere mogli, figli, nipoti di ergastolani? E chi vuol pagare la propria colpa senza farla pagare ad altri? A tanti che mi dicono: "non è possibile che una persona che viene condannata sia colpevole per sempre", io rispondo che siamo in Italia, non negli Stati Uniti o in altri paesi che, bene o male, non sono così crudeli: ti mettono a morte e basta. Qui vogliono ammazzarti un po’ alla volta, lentamente tutti i giorni, con la scusa di rieducarti, appunto, per l’aldilà. Quando scrivo di queste cose c’è sempre chi mi ricorda di parlare anche delle vittime. Lo faccio molto volentieri, perché ciò che mi fa star male più di tutto è che la mia sofferenza, e soprattutto quella della mia famiglia, non è di consolazione a nessuno, perché il mio reato è per una guerra tra bande, non ci sono "vittime innocenti". In realtà era così: io ammazzavo te o tu ammazzavi me. E questo vale per quasi tutti i condannati per reati associativi, cioè appunto quelli ostativi ai benefici penitenziari. Quello che mi fa più rabbia della mia sofferenza, e di quella della mia famiglia, è che non serve a nessuno. Se facesse bene a qualcuno, la accetterei, invece vedo che non ha alcuna utilità. Io sono entrato in carcere con la quinta elementare, poi ho preso la licenza media, mi sono diplomato, mi sono laureato in giurisprudenza e adesso mi sono iscritto alla facoltà di filosofia di Padova. Ma faccio tutto questo esclusivamente per passare il tempo, perché la società non mi darà mai la possibilità di rimediare al male che ho fatto facendo del bene. Eppure ci sarebbero tanti modi di scontare la pena Per esempio, preferirei spazzare le strade di qualche città, o fare volontariato in un Pronto Soccorso, perché credo che la pena si sconti quando esci dal carcere. Non chiuso in una cella senza far nulla. Io e altri 1.500 ergastolani dovremmo morire qui dentro per placare la sete di giustizia di una società che in realtà vuole vendetta? A chi giova tutto questo? Lettere: eppure il carcere continua ad essere un inferno Il Mattino di Padova, 22 giugno 2014 Un collegio giudicante riunito così si esprimeva: in nome del popolo italiano, visti gli articoli ecc. ecc., condanniamo il reo qui presente alla pena di...! Nulla da dire, il principio legislativo è stato applicato. Così non è per chi condannato ha la sventura di entrare nel pianeta carcere, dove dovrà affrontare una realtà ben diversa. Capita così che un codice penitenziario sia completamente e volutamente dimenticato. Capita che per sovraffollamento si debba vivere 22 ore al giorno in celle fatiscenti, su letti a castello e con spazio vitale minimo. Non c’è modo di reclamare diritti perché chi esegue tali ordini, spesso con notevoli sacrifici personali, è comandato da una brigata di persone in evidente stato di illegalità. Poi Bruxelles, in virtù di atti falsi forniti, si dichiara "soddisfatta". Capita che un detenuto che ha già dato segni di fragilità emotiva e abbia tentato il suicidio venga messo in una sezione assieme ad altri detenuti senza alcun criterio di scelta e obbedendo solo al principio di "sistemare" lo scomodo. Capita che tale detenuto sia totalmente abbandonato a se stesso senza alcuna figura di sostegno. Dove sono gli psicologi? Dove sono gli educatori? Dove è il comandante di tutto questo sfacelo di diritti e legalità? Ma già qui ci sono le cooperative come Giotto che regala 4.000 panettoni alla Caritas e vende nello stesso spazio di produzione fatta da detenuti, ai detenuti, panettoni a 18 euro, dimenticando che tanti familiari fanno fatica a lasciare 10 euro al congiunto in occasione delle loro visite. Sono care queste paste torte ecc. che sono fiore all’occhiello del carcere. Qui siamo 800 detenuti, chi fa una vita carceraria nello spirito rieducativo e riabilitativo sono circa 100. E gli altri 700 che fanno? Leggono solo di carcere aperto alla città, di convegni organizzati, di possibili aperture alla condizione della vita interna! Intanto aspettano, aspettano vivendo in condizioni di vera tortura, di annichilimento della personalità, di perdita di dignità personale e, allora, nella solitudine, nella disperazione, non vedendo via di uscita, si aggrappano ad una corda e la fanno finita. Basta! È ora di chiedersi perché proprio qui si cerchi di non vivere. Nessun magistrato di sorveglianza che ha potere di restrizione o di libertà è mai venuto a vedere le celle o a fare domande a chi è rinchiuso. È bene chiudere gli occhi, è bene nascondere la vergognosa realtà di uno stato di diritto che solo sulla carta, e a parole, ha la più aperta costituzione e un codice penitenziario che se fosse applicato farebbe dell’Italia uno stato da prendere ad esempio da tutti. Già il Dap non conteggia i detenuti morti in ospedale, fuori cioè dalle mura del carcere. Oggi un altro giovane 24enne arrivato da noi nella convinzione di trovare il paradiso terrestre e non invece, come è, l’inferno, ci ha lasciato. Non è morto un numero, è morto un uomo e noi con la rabbia nel cuore siamo i soli a piangerlo. Ora c’è solo il silenzio, il desiderio di affossare tutto ma è un silenzio complice che dovrebbe far vergognare molti. Il nostro gruppo di detenuti è soprattutto per voce di chi oggi non ha voce, siamo pochi ma cresceremo perché siamo stanchi. Il "Sindacato galeotti" del carcere Due Palazzi Voghera (Pv): la nuova ala del carcere sotto inchiesta, dubbi sulla regolarità degli appalti di Roberto Lodigiani La Provincia Pavese, 22 giugno 2014 I lavori di ampliamento del carcere di Voghera, con la realizzazione tra il 2011 e il 2013 del nuovo padiglione di massima sicurezza capace di ospitare fino a duecento detenuti, sono al centro dell’inchiesta per corruzione, falso e abuso d’ufficio, coordinata dai pm della procura di Roma, Paolo Ielo e Mario Palazzi, riguardante anche i cantieri ai penitenziari di Lodi e Frosinone. Nove gli indagati, tra i quali il commissario governativo per il piano carceri, Angelo Sinesio (accusato di falso e abuso, non di corruzione). Secondo la magistratura inquirente, Sergio Minotti, 50 anni, direttore dei lavori e direttore operativo per la costruzione del padiglione della casa circondariale vogherese di via Prati Nuovi avrebbe agito con Raffaella Melchionna, funzionaria del Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria (Prap): ai due è contestata la corruzione in concorso, "perchè - scrivono i pm - per lo svolgimento delle loro funzioni di controllo nell’esecuzione dei lavori in violazione dei doveri di imparzialità della pubblica amministrazione, ricevevano dalla ditta aggiudicataria Devi Impianti, riconducibile a Gino e Davide Pino, utilità consistenti nell’attribuzione di contratti di forniture in relazione all’esecuzione dell’appalto alla Me.Ta. Costruzioni della quale è amministratore e socio unico Marco Melchionna, padre di Raffaella, e responsabile tecnico Antonio Melchionna, fratello della stessa e figlio di Marco Melchionna". Quanto al prefetto Sinesio avrebbe tenuto nascosto degli atti, anticipando le gare di appalto per l’assegnazione dei lavori di ristrutturazione e impedendo così ad alcune ditte di partecipare; l’alto dirigente dello Stato, sempre stando alle ipotesi accusatorie, avrebbe fatto in modo che alcuni bandi non superassero la soglia dei 5 milioni di euro, limite che in base alla normativa europea consente di affidare le opere a più di una impresa. L’indagine per abuso e falso è partita dall’esame di un dossier di 60 pagine consegnato alla procura della capitale da Alfonso Sabella, ex magistrato antimafia a Palermo e funzionario del ministero della Giustizia: Sabella, lo scorso 21 novembre, aveva contestato il piano carceri presentato da Sinesio alla Camera, denunciando sprechi, anomalie e costi gonfiati; il filone relativo alla corruzione è invece scaturito da un esposto presentato dall’attuale ministro Guardasigilli, Andrea Orlando. Perquisizioni sono state eseguite, ieri mattina, da militari del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza negli uffici del commissario straordinario a Roma, nella sede del Dipartimento di amministrazione penitenziaria (Dap) e nelle abitazioni di alcuni indagati. Può ospitare fino a 200 detenuti Il nuovo padiglione della casa circondariale di Voghera è stato al centro di polemiche sia per la lentezza dei lavori - ci sono voluti due anni per completarlo - sia per le carenze di organico della polizia penitenziaria, non rafforzato a sufficienza - secondo le organizzazioni sindacali di categoria - dopo il notevole aumento della popolazione carceraria. "Attualmente i detenuti della nuova ala di massima sicurezza sono circa 190, rispetto a una capienza complessiva di duecento, quindi siamo vicini alla saturazione - spiega Fabio Catalano, Cgil - si tratta di soggetti che si trovano in carcere per reati gravi, come l’associazione di stampo mafioso e camorristico, alcuni stanno scontando la condanna all’ergastolano, ma tra loro non ci sono dei pentiti". Mancano almeno venti agenti, rispetto alla dotazione ottimale, la carenza del personale di custodia ha imposto una diversa organizzazione dei turni di servizio. La situazione è migliorata, ma ancora non è ritenuta del tutto soddisfacente dai sindacati. I lavori del padiglione di massima sicurezza sono iniziati quando direttore del carcere vogherese era Paolo Sanna, trasferito nell’estate 2011 a Porto Azzurro, nell’isola d’Elba, dove subentrava a Carlo Mazzerbo, a sua volta spostato alla guida dell’istituto di pena di Massa Marittima; al suo posto è arrivata Maria Gabriella Lusi, tuttora alle redini della casa circondariale cittadina. Mantova: dismissione dell’Opg di Castiglione delle Stiviere, liberate le prime due detenute La Gazzetta di Mantova, 22 giugno 2014 La Giunta regionale ha approvato l’altro ieri la delibera per la realizzazione in Lombardia di nuove strutture sanitarie per persone con disagi psichici soggetti a misure di sicurezza. "In base a quanto stabilito a livello nazionale - ha spiegato l’assessore alla salute della Regione, Mario Mantovani - anche in Lombardia andiamo ad approvare in via definitiva il progetto per la creazione di due nuovi centri sul territorio lombardo. Si tratta di un prezioso servizio di supporto al disagio psichico dei detenuti - ha aggiunto - anche rispetto a tematiche particolarmente delicate riguardanti il processo di risocializzazione e riabilitazione di questi soggetti". Per quanto riguarda Castiglione delle Stiviere la Regione Lombardia provvederà alla riqualificazione dell’ospedale psichiatrico giudiziario, in gestione all’azienda ospedaliera Carlo Poma di Mantova, con uno stanziamento di quasi 17 milioni di euro. La struttura dovrebbe disporre di 120 posti letto. L’altro intervento della Regione riguarda il recupero dei padiglioni Forlanini e Ronzoni, all’interno dell’ex ospedale psichiatrico di Limbiate dell’azienda ospedaliera Guido Salvini di Garbagnate Milanese. Il progetto, che punta a creare 40 posti letto invece degli iniziali 120, impegnerà le casse lombarde per un importo di oltre 9 milioni di euro: sono stati così accolti dall’assessorato le richieste della comunità locale che chiedeva una decisa razionalizzazione del progetto iniziale. di Giancarlo Oliani Due donne detenute all’ospedale psichiatrico di Castiglione delle Stiviere, per effetto della nuova legge, sono state rimesse in libertà. La prima rimane nel centro di cura al quale era già stata affidata. La seconda, invece, è stata presa in carico dal centro di salute mentale di Castiglione fino al momento in cui gli operatori del comune di residenza la verranno a prendere. "Come la Procura - commenta il capo dipartimento Andrea Pinotti - stiamo seguendo caso per caso e non lasceremo che i pazienti dimessi dall’Opg se ne vadano senza che una struttura sanitaria li accolga. Oltrettutto - si legge in una nota inviata dall’azienda ospedaliera Carlo Poma, nessuno dei pazienti ai quali verrà applicata la nuova norma vive in provincia di Mantova. Nel giro di pochi mesi comunque quasi trecento detenuti dell’ospedale psichiatrico giudiziario, internati perché considerati socialmente pericolosi, saranno liberi. Lo prevede la legge entrata in vigore il primo giugno, che sancisce l’impossibilità del protrarsi sia delle misure di sicurezza che detentive, provvisorie o definitive, per una durata superiore al tempo stabilito dalla pena per il reato commesso. In questo modo verrebbe eliminata la piaga dei cosiddetti "ergastoli bianchi" con la quale gli internati, a forza di proroghe, passano la loro vita in Opg. In questi giorni la procura sta valutando ogni singola posizione ed emetterà un provvedimento che, come prevede la legge, sancirà la liberazione dei detenuti. Per ognuno di loro, a seconda della residenza, sarà indicato il centro di salute mentale al quale dovrà fare riferimento. Ma non è automatico. Il detenuto-paziente potrebbe decidere di andarsene per i fatti suoi. Non sono previsti controlli. Il testo di legge prevede che, salvo quando sono acquisiti elementi dai quali risulta che ogni altra misura diversa dal ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario non sia idonea ad assicurare cure adeguate, il giudice disponga nei confronti dell’infermo o del seminfermo di mente l’applicazione di una misura di sicurezza - anche provvisoria - diversa dal ricovero in Opg o in una casa di cura e di custodia. Poi è previsto maggior rigore nell’accertamento della pericolosità sociale che giustifica il ricovero in Opg. L’accertamento va effettuato solo in base alle qualità soggettive della persona e senza tener conto delle sue condizioni di vita individuali, familiari e sociali. Non si può, inoltre, basare la pericolosità sociale sulla sola mancanza di programmi terapeutici individuali. Non sarà inoltre possibile disporre la custodia cautelare provvisoria in Opg dell’infermo e seminfermo di mente. Genova: Uil-Pa; a Marassi sovraffollamento e carenza organici della Polizia penitenziaria www.genova24.it, 22 giugno 2014 È la fotografia del carcere genovese di Marassi, nel reportage "Lo scatto dentro", a cura della Uil Penitenziari. "Abbiamo ispezionato e fotografato i luoghi di lavoro dell’intero Istituto Penitenziario - riferisce dopo la visita Fabio Pagani, segretario regionale Uil-pa Penitenziari - La Casa Circondariale di Marassi, risulta essere non adeguata in merito alla salubrità ed efficienza dei posti di servizio della Polizia Penitenziaria: posti di lavoro che richiedono un totale rifacimento e una manutenzione ordinaria che purtroppo al momento non è sufficiente. Va meglio, invece, sul fronte detenuti: "oggi a Marassi erano presenti 703 detenuti su una capienza di 450, di solito non scende sotto gli 800 - afferma ancora il sindacalista della Uil - male malissimo invece la Polizia Penitenziaria che su un organico di 450 poliziotti Penitenziari, ne presenta appena 350, con una carenza di 100 unità". "Insomma - conclude Pagani - abbiamo fotografato la realtà nuda e cruda di un Istituto che merita più attenzione e soprattutto urgenti interventi di manutenzione". E al Ministro Orlando lancia l’ennesimo appello: "la situazione carcere in Liguria e soprattutto a Marassi, merita immediate risposte sia dal punto di vista della carenza in organico della Polizia penitenziaria, del sovraffollamento, ma soprattutto dal punto di vista di fondi da destinare alla manutenzione e ristrutturazione. Si rischia di consegnare le strutture al degrado e quanto documentato rischia di ledere, senza il costante monitoraggio, la dignità dell’uomo che lavora o che sconta la sua pena in carcere", conclude il sindacalista. Lecco: Edlira Copa uccise le sue tre bimbe, andrà in Ospedale Psichiatrico Giudiziario Ansa, 22 giugno 2014 Edlira Copa, la donna di origine albanese che aveva ucciso le sue tre bambine, sarà trasferita all’ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere (Mantova). Lo ha deciso il giudice delle indagini preliminari del tribunale di Lecco, Paolo Salvatore, accogliendo la richiesta avanzata dal perito nominato per far luce sulle mente della mamma di 37 anni che, lo scorso 9 marzo, nell’appartamento di Chiuso di Lecco, uccise a coltellate le sue bimbe. L’iter sulla decisione era stato avviato a seguito del tentativo di suicidio messo in atto un paio di settimane fa nel carcere di Como, il secondo dopo il triplice infanticidio. Quando avverrà il trasferimento non lo si sa ancora con esattezza: l’avvocato difensore di Edlira Copa si aspettava avvenisse già ieri, cosa che invece non è accaduta, è probabile che si vada a uno dei primi giorni della prossima settimana. Sassari: Sdr; 2 bimbi nel carcere di Bancali, adottare braccialetto elettronico per madri Ristretti Orizzonti, 22 giugno 2014 "Due bimbi, un maschietto di un anno e una bambina di un anno e mezzo vivono da alcune settimane dietro le sbarre nel Penitenziario di Sassari-Bancali con le rispettive madri. Una situazione che genera sconforto e incredulità. Ancora una volta le parole spese dai Ministri purtroppo non hanno riscontro nella realtà". Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione "Socialismo Diritti Riforme", avendo appreso che "i piccoli innocenti sono figli di due donne di etnia Rom processate per furti". "La presenza dei piccoli, anche se costantemente monitorata e alleviata dal clima di affetto delle Agenti donna, determina conseguenze negative sulla psiche in evoluzione. Genera inoltre apprensione tra gli operatori e determina la necessità di costanti visite pediatriche. Ma aldilà di questi aspetti sorprende - sottolinea - che non sia stato adottato l’impiego del braccialetto elettronico. Il suo impiego rappresenta una novità nell’ambito dell’esecuzione penale sperimentato in Sardegna in più occasioni. In casi come questo può essere un’utile soluzione anche perché le due giovani donne vivono nel campo Rom di Fertilia dove possono essere accudite dai familiari". "I piccoli in carcere - conclude la presidente di Sdr - sono un’aberrazione del sistema detentivo. L’auspicio è che si provveda in tempi strettissimi a restituire ai bambini una condizione di normalità perché nonostante gli sforzi di tutti gli operatori la condizione detentiva non è l’ideale per la crescita dei neonati". Lucca: più collaborazione tra l’Azienda Usl2 e l’amministrazione penitenziaria www.luccaindiretta.it, 22 giugno 2014 Una collaborazione sempre più stretta su tutti i temi che legano l’Azienda Usl2 e l’amministrazione della struttura penitenziaria di Lucca. È la volontà comune emersa nel corso di un incontro tra il direttore generale dell’azienda Usl2 Joseph Polimeni e il direttore della Casa Circondariale di Lucca Francesco Ruello, che si è svolto in occasione di un sopralluogo alla sezione di degenza riservata ai detenuti all’interno del nuovo ospedale San Luca, già attiva da una settimana: "Per la realizzazione di questi locali - ha evidenziato il dottor Polimeni - abbiamo seguito le indicazioni fornite dal dottor Ruello e dai suoi collaboratori. Sono state quindi adottate tutte le misure necessarie per garantire un sufficiente livello di comfort alle persone ricoverate e contemporaneamente ottemperare alle esigenze di sorveglianza del personale della polizia penitenziaria". "La sezione di degenza - prosegue Polimeni, dotata di bagno, comprende infatti un locale dove il personale di vigilanza può sorvegliare il detenuto o i detenuti. Sono presenti inoltre porte blindate e telecamere, il controsoffitto è completamente allarmato, i supporti sono tutti incassati e non ci sono elementi sporgenti per scongiurare eventuali gesti di autolesionismo. Anche nel bagno, infine, dove sono stati installati tutti sanitari e accessori in acciaio, viene contemperato il diritto alla privacy della persona con le necessità di sorveglianza. Credo che il nostro ufficio tecnico e la direzione sanitaria ospedaliera, insieme all’amministrazione della Casa Circondariale, abbiano fatto un buon lavoro. Rispetto al Campo di Marte, con i suoi limiti strutturali e organizzativi, il miglioramento è evidente sia dal punto di vista della sicurezza che da quello della gestione sanitaria dei detenuti". "Ringrazio per la disponibilità - ha sottolineato il dottor Ruello - la direzione aziendale e la direzione dell’ospedale. Sono stati infatti adottati i provvedimenti necessari per una gestione sempre più adeguata dei pazienti detenuti. In generale siamo soddisfatti di questa nuova struttura presente nel San Luca e in questi primi giorni di attività abbiamo potuto vedere, sul campo, come funziona. Dal nostro monitoraggio emerge la convinzione che sia stato già raggiunto un livello elevato di sicurezza. Restano da fare solo alcuni piccoli aggiustamenti legati all’esperienza di questa prima settimana, in cui nella sezione sono stati accolti anche due detenuti contemporaneamente. Proprio questo raddoppio di permanenza ci ha fornito utili indicazioni su ulteriori miglioramenti da attuare". Si è quindi svolto un incontro operativo, a cui hanno partecipato anche i clinici, in particolare il direttore del Dipartimento Medico dell’Azienda sanitaria lucchese Monica Mazzoni e il direttore della Salute Mentale Adulti di Lucca Roberto Sarlo, in cui sono stati presi in esame alcuni aspetti specifici legati all’assistenza sanitaria dei detenuti. È stata quindi evidenziata l’importanza di una collaborazione sempre più stretta tra gli operatori della Casa Circondariale e i professionisti dell’Azienda Usl2. Milano: campagna tassisti per collega detenuto. Comune: stop o vi multiamo di Ilaria Carra La Repubblica Il conducente è stato condannato per aver volutamente investito e ferito un uomo. Una cinquantina di auto bianche stanno circolando in città con la scritta "Firenze 41 libero". E Palazzo Marino interviene. La nuova protesta di una frangia di tassisti milanesi viaggia sul lunotto. "Firenze 41 libero" è la scritta che compare da qualche settimana sul vetro posteriore di una cinquantina di auto del turno notturno, i più riottosi della categoria. Il richiamo è a un ex collega condannato di recente in via definitiva per tentato omicidio volontario ai danni di un extracomunitario, un episodio di sei anni fa. L’ufficio Auto pubbliche del Comune ha dato l’ordine ai vigili di farle togliere perché violano il regolamento. Ma anche perché, per dirla con l’assessore alla Sicurezza e polizia locale, Marco Granelli, questi cartelli riportano "un messaggio molto grave. Posso capire da un punto di vista umano i colleghi, ma se c’è una decisione della giustizia che conferma un tentato omicidio volontario non è per niente opportuno esporre un cartello del genere". Capita di incrociarli la sera, questi manifesti. Dalle 20, dalle 21 in avanti, perché a esporli sono per lo più auto bianche del turno notturno. Sono loro, soprattutto, che nei mesi scorsi hanno lanciato le manifestazioni più vivaci contro "tutte le forme di abusivismo". Da domani, dunque, i vigili hanno il mandato ufficiale di multare i tassisti che ancora espongono il cartello, anche dopo una sollecitazione arrivata dagli assessorati competenti. Si faranno pattugliamenti anche notturni, dalle 20 in avanti. Gli interessati rischiano un procedimento disciplinare e la multa per infrazione al regolamento dei taxi: 110 euro, per "scritte non autorizzate". Un servizio pubblico non può circolare con messaggi e pubblicità che non hanno un timbro ufficiale. E questo sarebbe il caso, perché quel messaggio è una sorta di solidarietà a un ex collega, condannato per un reato. L’episodio in questione risale al 2008. Via Sammartini, zona stazione Centrale, 4.40 del mattino. Due marocchini regolari chiedono a Firenze 41, la sigla del conducente dell’8585, di essere portati a Monza, ma il tassista si rifiuta perché, a suo dire, la via era imprecisata. I due si incamminano lungo via Tonale e a quel punto, come accertato dalle telecamere comunali, con una manovra volontaria Francesco G., ai tempi trentenne, investe uno dei due. Lo punta, così dimostrano le immagini, e gli spezza due gambe, oltre a procurargli un trauma cranico. "Firenze 41" da anni non è più tassista, ha ceduto la licenza ad altri. Ma ora che la sua condanna è definitiva i colleghi dell’8585 hanno iniziato questa campagna in suo favore. A sentire le voci dei tassisti solidali con lui, per protesta contro pene ritenute troppo miti per altri fatti: si citano i 16 anni inflitti a Michael Morris Ciavarella e i 13 a Pietro Citterio per l’omicidio a calci e pugni nell’ottobre del 2010 in largo Caccia Dominioni del tassista Luca Massari, "colpevole" di aver investito mortalmente - pur non avendo alcuna colpa - un cucciolo di cocker. Una presunta sproporzione con l’episodio di "Firenze 41", ritengono loro. Ma i cartelli sono anche un messaggio di ribellione che, ancora una volta, c’entra con il sistema Uber, l’applicazione che da mesi sta facendo dannare tutta la categoria: l’autista prenotabile via smartphone che, in certi casi, viola le norme perché aspetta il cliente su strada, come i tassisti, anziché partire dall’autorimessa. Uber non rispetta le regole, denunciano loro, e allora anche noi in un altro modo facciamo lo stesso, è il senso che dà qualcuno alla protesta. "Stanno esaltando uno che si è fatto giustizia da sé, come fossimo nel Far West", riporta un addetto ai lavori in Comune. Un gesto che divide anche la categoria. Tantissimi i colleghi che si dissociano: "Non è questo il modo di farsi sentire, inneggiando a uno che ha investito volontariamente una persona", dice un tassista. "Sono pochi - aggiunge un altro collega - e non condividiamo i loro cartelli". Catanzaro: il 27 giugno si terrà un’iniziativa teatrale in favore dei detenuti di Siano www.soveratiamo.com, 22 giugno 2014 Il 27 giugno prossimo, la Parrocchia S. Maria della Pace di Satriano Marina, insieme al gruppo di amici-attori guidato dal Prof. Nicola Valentino, si esibiranno presso la casa circondariale di Siano (Catanzaro), con uno spettacolo in favore dei detenuti. Lo spettacolo, in cui si cimenterà l’oramai rodato gruppo artistico, è la commedia "Non è vero ma ci credo". Con un’intesa, nata tra Don Michele Fontana, parroco di Satriano Marina, il regista Nicola Valentino, e la casa circondariale, diretta dalla Dott.ssa Angela Paravati, si è voluto così regalare ai detenuti un momento di solidarietà, vicinanza, spensieratezza e allegria. Allo stesso tempo però la rappresentazione vuole essere un monito, e fungere da cassa di risonanza per mettere, ancora una volta, in risalto le precarie condizioni di detenzione di tutti i rei interni alla struttura. Il gruppo di attori che andranno in scena a Siano è composto da: Filomena Cutruzzulà, Generoso Scicchitano, Rosanna Talarico, Nicola Valentino, Marisa Pesola, Rosanna Corradini, Domenico La Torre, Menotti Ranieri, Mimma Remondo, Franco Misdea, Antonio Facciolo e Pasquale Rotundo. Lecce: con la Cooperativa "Piano di fuga" nasce "sBARra", il bar a tema carcerario www.leccesette.it, 22 giugno 2014 Un bar a tema carcerario proprio a due passi dal carcere. È questo, ma non solo, "sBARra", il chiosco inaugurato oggi a Borgo San Nicola. É difatti anche una scommessa per chi sta pagando il suo prezzo alla società e tenta di rimettersi in gioco. Nato da un’idea della comunità Speranza, impiega i soci della cooperativa di detenuti "Piano di fuga" reimmettendoli nel mondo del lavoro e facendo dell’esperienza di reclusione un valore aggiunto. C’è tanta voglia di riscatto difatti in questa impresa, che anziché omettere o nascondere il background dei lavoratori, ne fa invece un punto di forza e di attrattiva. Rendere visibili gli invisibili è d’altra parte uno degli obiettivi del progetto, che punta ad abbattere simbolicamente le alte mura del carcere per rispondere così alle esigenze occupazionali e di reintegro nella società dei detenuti. La reclusione, da esclusiva pena, può così finalmente assolvere alla sua funzione rieducativa, preparando davvero i detenuti al momento in cui si apriranno definitivamente le porte del carcere. Gran Bretagna: il Garante dei detenuti del Lazio visita il carcere di Wormwood Scrubs Ristretti Orizzonti, 22 giugno 2014 Osservare da vicino la realtà carceraria inglese e, in particolare, il funzionamento delle Authority locali per la tutela dei diritti dei detenuti e il sistema delle misure alternative al carcere, sono stati questi gli scopi del viaggio a Londra compiuto, nei giorni scorsi, dal Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni. Quello inglese è il secondo appuntamento europeo del Garante che, lo scorso aprile, aveva ricevuto una delegazione del Servizio per la sicurezza e l’educazione del Ministero della giustizia norvegese. "Oggi l’Europa - ha detto Marroni - è un’Unione economica che, per crescere, deve diventare un’Unione di popoli con gli stessi diritti. I pronunciamenti della Corte di Strasburgo sulle carceri, che riguardano l’Italia, dimostrano che l’Ue, in tema di tutela dei diritti dei detenuti, marcia ancora a velocità diverse. Per questo, come Authority per i detenuti della Regione Lazio, abbiamo avviato un giro di orizzonte per studiare i sistemi detentivi europei per comprendere limiti ed opportunità di ciascuno e per registrare le buone pratiche adottate". Il Garante, accompagnato da due suoi collaboratori, è arrivato a Londra su invito del vice presidente dell’Independent Monitoring Board (IMB) del carcere di Wormwood Scrubs, uno dei 14 della Greater London (12 pubblici e 2 privati). L’IMB, presente in ogni carcere, è un organismo indipendente composto da volontari nominati dal Ministero hanno accesso in carcere in ogni momento della giornata e, almeno una volta l’anno, devono della giustizia deputato a vigilare che i detenuti siano trattati secondo le leggi. I componenti relazionare sullo stato del carcere al ministro della giustizia. In Inghilterra i detenuti sono circa 80.000. A Wormwood Scrubs (il carcere visitato dal Garante) sono reclusi 1.272 detenuti a fronte di una capienza massima di 1.279 posti. Costruito in età vittoriana, la struttura ricorda Regina Coeli. È strutturato su quattro piani, con celle sul corridoio docce. La sicurezza interna è assicurata da 110 guardie (dipendenti da una ditta privata e metà delle quali donne). I trasferimenti e le espulsioni sono, invece, gestite da compagnie private. Ciò che ha colpito il Garante nel corso della sua visita fra sezioni e padiglioni, è stato il silenzio e l’assenza di odori. Le celle, da 1 o 2 posti, sono spoglie e grigie. Nelle sezioni detentive il Garante ha incontrato due detenuti italiani in carcere per motivi di droga. I detenuti hanno a disposizione un’ora d’aria al giorno; il resto del tempo lo passano in cella. L’ora serve complessivamente per incontrare le famiglie (i colloqui sono prenotati dai parenti dall’esterno), per telefonare, per la pulizia personale o per fare attività fisica. Il lavoro e la scuola impegnano meno della metà dei detenuti. Al momento dell’ingresso ai detenuti viene sottoposto un questionario per valutare i rischi di gesti autolesivi o eterolesivi legati a pregiudizi di natura religiosa, razziale, omofobia. Per il vitto lo Stato spende poco più di 2 sterline al giorno a detenuto. Il pasto è costituito da un panino a pranzo e dalla cena. Quando si distribuisce il pasto serale, i detenuti prendono il pane/latte per la colazione. Il cibo è surgelato e sono previste delle diete per vegetariani e musulmani In pessime condizioni, invece, l’infermeria, dove il Garante ha trovato detenuti nudi e sporchi, con escrementi in terra e sui muri ed avanzi del cibo non consumato. "Pur con tutte le difficoltà che lo caratterizzano - ha detto Marroni al termine della visita - il sistema italiano è senza dubbio migliore di quello inglese soprattutto per quanto riguarda la funzione rieducativa della pena e il reinserimento sociale del detenuto. In Inghilterra manca totalmente la funzione rieducativa della pena. In carcere non esiste la figura dell’educatore e, all’esterno, quella della magistratura di sorveglianza. La durata della pena è per la metà in carcere e, per il resto, all’esterno sotto la tutela e i programmi predisposti dal servizio sociale penitenziario, chiamato a monitorare la condotta del soggetto ma non a garantire il trattamento. In caso di comportamenti illeciti, il servizio sociale ha il diritto di inviare il detenuto in carcere per la totale espiazione della pena". Egitto: confermata condanna a morte Badie e oltre 180 pro-Morsi, protesta di Amnesty La Presse, 22 giugno 2014 Il tribunale egiziano di Minya ha confermato le condanne a morte di oltre 180 islamisti, incluso il leader dei Fratelli musulmani Mohammed Badie. La decisione della Corte penale di Minya è la più grande sentenza di condanna a morte di massa comminata in Egitto in anni recenti, e arriva dal giudice Judge Said Youssef, che in precedenza aveva presieduto il processo. Si tratta della seconda condanna a morte per Badie, guida suprema dei Fratelli musulmani, da quando è cominciata la repressione contro il suo gruppo. La corte ha assolto altri 400 imputati. Il caso è nato da un attacco a una stazione di polizia nella città di el-Adwa vicino alla città meridionale di Minya, lo scorso 14 agosto, che ha causato la morte di un poliziotto e di un civile. Le accuse variavano da omicidio, partecipazione a organizzazione terroristica, sabotaggio, possesso di armi. Inizialmente, Youssef ha condannato a morte 683 persone per l’attacco, poi ha inviato il caso al Gran Muftì, leader spirituale del Paese. Il Gran Muftì ha espresso il suo parere, poi ha inviato il caso di nuovo a Youssef per confermare la sua sentenza. Gli avvocati degli accusati hanno fatto sapere che ricorreranno in appello. Degli iniziali 683 imputati, solo 110 non sono stati processati in contumacia. Ciò significa che nel caso in cui venissero catturati, affronteranno un nuovo processo. L’udienza di oggi è durata meno di 15 minuti, secondo quanto reso noto da un funzionario della sicurezza. Solo 75 prigionieri sono stati portati in una prigione attaccata alla corte, ma non hanno partecipato alla sessione. Badie, che viene detenuto in una prigione del Cairo, non era presente. Youssef è arrivato in tribunale con un veicolo blindato ed è stato scortato all’interno da funzionari della sicurezza. Alcune parenti degli imputati assolti hanno esultato e cantato slogan filomilitari. I familiari dei condannati a morte hanno espresso il loro dolore e urlato insulti al fratello del poliziotto ucciso nell’attacco del 14 agosto. I parenti ritengono che la polizia abbia colpito l’agente come parte di una cospirazione contro i loro cari. Ashour Qaddab, fratello del poliziotto ucciso, dopo il verdetto è scoppiato in lacrime. "Questa è la giustizia di Dio...per i cinque orfani di mio fratello", ha detto Qaddab. Sentendolo, i familiari degli altri imputati hanno urlato: "Tuo fratello è stato ucciso dalla polizia". Amnesty: annullare condanne a morte sostenitori Morsi Amnesty International ha chiesto oggi alle autorità egiziane di annullare la condanna a morte di 183 presunti sostenitori del presidente islamico deposto Mohamed Morsi. "Le autorità egiziane devono annullare queste condanne e ordinare un nuovo processo, equo e senza ricorso alla pena di morte", ha sottolineato Hassiba Hadj Sahraui, vice direttore dell’ong per il Medio Oriente e l’Africa del Nord. "Il sistema giudiziario egiziano è chiaramente guasto e non è più in grado di rendere giustizia. La pena di morte è spietatamente usata come arma per eliminare gli avversari politici", ha insistito Amnesty International. "Il sistema ha perso imparzialità e credibilità nel momento in cui le forze di sicurezza, accusate di gravi violazioni dei diritti umani, sono libere e migliaia di dissidenti sono in stato di fermo", ha insistito l’ong.