Giustizia: via libera del Consiglio dei Ministri al Decreto sui risarcimenti ai detenuti Ansa, 21 giugno 2014 Via libera del Consiglio dei Ministri al Decreto sui risarcimenti ai detenuti che sono stati ristretti in celle o spazi sotto i tre metri e hanno per questo fatto ricorso alla Corte dei diritti dell’Uomo di Strasburgo. La misura rientra fra quelle che il Consiglio d’Europa ha vagliato e approvato a inizio giugno, quando ha esaminato le misure messe in campo contro il sovraffollamento per rispondere alle richieste imposte dalla stessa Corte di Strasburgo dopo la condanna pronunciata nei confronti dell’Italia nel gennaio 2013. La Lega, con il suo capogruppo alla Camera, Nicola Molteni, parla di "misura infame" riconosciuta a criminali. Anche il sindacato di polizia penitenziaria Sappe si dice contrario, mentre la Cisl approva ma aggiunge: questo non basta per superare i problemi delle carceri. Ma i risarcimenti, ossia delle misure compensative stabilite a livello nazionale, sono essenziali per rispondere agli oltre seimila ricorsi italiani che si sono accumulati alla Corte: nessun mini-indulto - ha ribadito più volte il ministro della Giustizia Andrea Orlando: se l’Italia non avesse stabilito tali rimedi, lo farebbe Strasburgo, con costi quasi doppi per l’Italia. In questo modo, ha rimarcato oggi il ministro dei Rapporti con il Parlamento Maria Elena Boschi, nella conferenza stampa dopo il Cdm, "abbiamo evitato procedure di infrazione". Il testo prevede per i soggetti ancora detenuti uno sconto di pena pari a un giorno ogni 10 vissuto in celle troppo piccole mentre per chi è già uscito dal carcere un risarcimento di 8 euro per ogni giornata di detenzione trascorsa in condizioni non conformi alle indicazioni della Corte dei diritti dell’Uomo e tali da determinare il "trattamento disumano e degradante". Se non fosse stato individuato questo rimedio interno e Strasburgo avesse dovuto procedere in maniera autonoma, la cifra da pagare sarebbe stata doppia. Basti dire che i giudici europei hanno condannato il nostro Stato al pagamento nei confronti dei ricorrenti di somme comprese tra 10.600 e i 23.500 euro, cifra quest’ultima quantificata per un periodo di detenzione di 3 anni e 3 mesi. Il decreto introduce anche norme che consentono ai detenuti più giovani di restare nelle carceri minorili fino a 25 anni, anziché fino a 25 come previsto ora. In materia di giustizia è attesa ora a fine mese la riforma più complessiva: andrà in Consiglio dei ministri il 30 giugno, ha assicurato Boschi. Il pacchetto è articolato. Comprenderà misure in campo civile per smaltire l’arretrato, con forme più rapide di risoluzione delle controversi tramite procedure arbitrali e negoziazione assistita da un avvocato. Un iter esteso anche a separazioni e divorzi consensuali, superando l’intervento di fronte al giudice con un accordo dei coniugi assistiti dai legali, tranne dove vi siano figli minori o portatori di handicap grave. Ci saranno poi misure in campo penale, con pene più dure per l’associazione mafiosa e i reati di corruzione. E forse anche l’arrivo del "daspo" ai politici. Su alcuni aspetti chiave, però, quali l’introduzione di falso in bilancio, auto riciclaggio, e modifica della prescrizione, non è ancora certo se il governo interverrà con un proprio ddl o apporterà emendamenti al testo già in discussione al Senato. Il comunicato del Governo Il Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente, Matteo Renzi, e del ministro della Giustizia, Andrea Orlando, ha approvato un decreto legge contenente disposizioni urgenti in materia di rimedi risarcitori in favore dei detenuti e degli internati che hanno subito un trattamento in violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nonché modifiche al codice di procedura penale e alle disposizioni di attuazione, all’ordinamento del Corpo di polizia penitenziaria e all’ordinamento penitenziario, anche minorile. Il provvedimento ha la finalità di adempiere alle direttive dettate da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo (Cedu) nei confronti dello Stato italiano nella sentenza "Torreggiani" del gennaio 2013, nella quale la Corte aveva imposto l’adozione di specifiche misure riparatorie in favore dei detenuti che hanno scontato la pena in una condizione di sovraffollamento, imponendo a tal fine il perentorio termine, appena decorso, di un anno dalla definitività della pronuncia. I giudici europei hanno condannato il nostro Stato al pagamento nei confronti dei ricorrenti di somme comprese tra euro 10.600 ed euro 23.500 (quantificata, in quest’ultimo caso, per un periodo di detenzione pari a tre anni e tre mesi). Occorre quindi adempiere a tale direttiva al fine di evitare le condanne dello Stato italiano e i conseguenti pesanti oneri per la finanza pubblica. Il provvedimento adempie a tali direttive prevedendo che i detenuti che hanno subito un trattamento non conforme al disposto della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo abbiano diritto a ottenere la riduzione di un giorno di pena per ogni dieci durante il quale è avvenuta la violazione del loro diritto a uno spazio e a condizioni adeguate, con contestuale previsione in favore di coloro che non si trovino più in stato di detenzione di un risarcimento pari a 8 euro per ciascuna giornata di detenzione trascorsa in condizioni non conformi alle indicazioni della Cedu. Modifiche in materia di codice di procedura penale e di rafforzamento del corpo di polizia penitenziaria Il decreto legge contiene altresì una serie di puntuali modifiche in materia di codice di procedura penale e di rafforzamento del corpo di polizia penitenziaria: - gli obblighi informativi nascenti dall’incardinazione di procedimenti incidenti sullo stato di libertà di soggetti condannati da corti penali internazionali; - le modalità di esecuzione delle ordinanze applicative degli arresti domiciliari, autorizzando l’imputato a recarsi senza scorta al luogo di esecuzione della misura, salvo particolari esigenze; - la modifica del comma 2-bis dell’art. 275 codice procedura penale con cui si prevede che, qualora il giudice procedente ritenga che la pena detentiva da irrogare possa essere contenuta in un massimo di tre anni, non possano essere disposte le misure della custodia cautelare o degli arresti domiciliari (in coerenza con le disposizioni contenute nell’art. 656 cod. proc. pen. in materia di sospensione dell’esecuzione della pena); - le modalità esecutive dei provvedimenti limitativi della libertà personale nei confronti degli imputati e condannati minorenni che, nel corso dell’esecuzione, siano divenuti maggiorenni non più sino a al compimento del ventunesimo anno, ma fino ai 25 anni: la norme consentirà di completare percorsi rieducativi modulati su specifiche esigenze rieducative; - alcune modifiche ordinamento della polizia penitenziaria, riguardanti, da un lato, la consistenza dell’organico (con aumento della dotazione del ruolo degli agenti e assistenti e diminuzione di quella degli ispettori) e, dall’altro, finalizzate a consentire una piu’ celere utilizzazione nei servizi di istituto a seguito dell’ingresso in ruolo e a impedire, per un biennio, l’adozione di atti di comando o di distacco presso altre pubbliche amministrazioni; - una specifica modifica all’ordinamento penitenziario in forza della quale il magistrato di sorveglianza può avvalersi dell’ausilio di assistenti volontari. Dichiarazione di Rita Bernardini, Segretaria Nazionale di Radicali italiani In merito al decreto legge sui risarcimenti ai detenuti, "l’ammuina" partitocratica italiana prevede da una parte la gazzarra fascio/leghista (con urli e strepiti di Sappe, Lega e compagnia bella) e, dall’altra, la fiacchezza democratica di un Governo che, piuttosto che seguire la strada obbligata dell’amnistia e dell’indulto per far cessare la tortura nelle carceri, stabilisce il prezzo dei "trattamenti inumani e degradanti" con cifre da "saldo": 8 euro al giorno per ogni giorno di umiliazione e disumanità subite oppure, per chi sta ancora in carcere, un giorno di sconto di prigionia ogni 10 giorni. Lo spettacolo trito e ritrito non riesce però a spossare l’iniziativa radicale che, forte delle sue ragioni a sostegno dei diritti umani fondamentali, si rivolge sempre di più alle giurisdizioni internazionali (non solo europee) affinché i principi scritti in Costituzioni, Convenzioni e Carte siano - nella concretezza - rispettati e fatti vivere. Bonafoni (Pl): Cdm approva risarcimento a detenuti, segno di civiltà "Trovo un segno di grande civiltà il via libera da parte del Consiglio dei ministri al decreto legge che prevede di risarcire i detenuti costretti a vivere in uno spazio inferiore ai tre metri quadrati, al contrario di quanto è invece sancito dai principi dettati dalla Corte di Strasburgo. Anche se non esiste risarcimento sufficiente a chi è stato costretto a vivere in condizioni inumane. Conosco la realtà carceraria essendo stata in visita in alcuni istituti di pena della nostra Regione e ho trovato delle situazioni drammatiche, difficili anche solo da raccontare e che un Paese che possa dirsi democratico non può assolutamente approvare e consentire". Lo dichiara in una nota Marta Bonafoni, consigliera e vice capogruppo di Per il Lazio al Consiglio regionale. "Esseri umani stipati in celle strettissime che vivono in condizioni impensabili anche sotto il profilo sanitario. Intendo proseguire nei prossimi mesi il mio percorso negli Istituti penitenziari del Lazio per valutare attraverso i miei occhi come vivono i detenuti e gli operatori carcerari e portare la presenza delle istituzioni in questi luoghi di sofferenza. Sono assolutamente convinta - conclude Bonafoni - però che si debba e possa fare di più: le carceri più che garantire che la pena tenda alla rieducazione del condannato, come prevede la nostra Costituzione, troppo spesso sono luoghi dove si alimenta la disperazione e il degrado e l’emarginazione mentale e sociale del detenuto". Molteni (Lega): risarcimenti a criminali misura infame "I risarcimenti ai criminali sono una misura infame, un affronto alle vittime e ai loro familiari. Sulla giustizia questo governo ha perso ogni dignità". Così il deputato leghista Nicola Molteni, capogruppo del Carroccio in commissione giustizia, definisce il decreto approvato oggi in consiglio dei ministri, che prevede indennizzi contro il sovraffollamento carcerario. "Il governo si lava la coscienza regalando uno stipendio ai criminali, mentre le vittime continuano ad essere dimenticate. Questo è un provvedimento folle e immorale, che grida vendetta e uccide due volte le vittime. Attendiamo al varco l’approdo in aula del decreto, pronti ad alzare le barricate contro questa abnorme oscenità". Sappe: indennizzo economico a detenuti è uno scandalo "Lo Stato taglia le risorse a favore della sicurezza e della Polizia Penitenziaria in particolare e poi prevede un indennizzo economico giornaliero per gli assassini, i ladri, i rapinatori, gli stupratori, i delinquenti che sono stati in celle sovraffollate! A noi poliziotti non pagano da anni gli avanzamenti di carriera, le indennità, addirittura ci fanno pagare l’affitto per l’uso delle stanze in caserma e poi stanziano soldi per chi le leggi le ha infranto e le infrange. Mi sembra davvero una cosa pazzesca e e mi auguro che il Capo dello Stato ed il Parlamento rivedano questa norma assurda, tanto più se si considerano quanti milioni di famiglie italiane affrontano da tempo con difficoltà la grave crisi economica che ha colpito il Paese". Così commenta Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, il primo e più rappresentativo dei Baschi Azzurri, il provvedimento sui risarcimenti ai detenuti dopo le contestazioni della Corte di Giustizia europea deciso oggi nel Consiglio dei Ministri. Il sindacalista sottolinea che "negli ultimi 20 anni le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria hanno sventato, nelle carceri del Paese, più di 16mila tentati suicidi ed impedito che quasi 113mila atti di autolesionismo potessero avere nefaste conseguenze. Spesso un solo Agente di Polizia controlla 80/100 detenuti con grave pericolo anche per la sua stessa incolumità. Ma allo stesso Agente di Polizia Penitenziaria da anni non gli si pagano gli scatti stipendiali per avanzamento di grado, le rette degli asili nido, gli assegni una tantum e le indennità varie. I soldi li diamo invece ai ladri e agli assassini. È una vergona". Capece sottolinea che "il merito per essere riusciti a distribuire i quasi sessantamila detenuti d’Italia, in modo da allocarli nelle camere detentive, con almeno tre metri quadrati di spazio vivibile per ciascuna persona detenuta, va attribuito solo alle donne a agli uomini della Polizia Penitenziaria che, negli ultimi mesi, sono stati chiamati dal Dap a sopperire alle gravi lacune di capacità gestionali dei nostri Dirigenti dell’amministrazione penitenziaria. In tutti questi anni il Dap non è stato in grado di mettere in piedi un sistema informativo che consentisse di avere l’esatto monitoraggio di ogni singola cella degli Istituti penitenziari della Repubblica. Né la Direzione Generale dei detenuti e trattamento, né la Sala Situazioni, né l’Ufficio per lo sviluppo e la gestione del Sistema informativo automatizzato, avevano fino ad ora chiara la situazione di quante e quali fossero le camere detentive a disposizione dell’Amministrazione penitenziaria. La responsabilità di questa grave lacuna di informazione e gestione, va ascritta principalmente a tutti i Capi del Dap che si sono succeduti, soprattutto agli ultimi a cui, come Sappe, abbiamo sempre richiesto e sollecitato di intervenire nei settori delle Comunicazioni e delle tecnologie dell’informatica". Cisl: ok norme Cdm ma non bastano per risolvere emergenza "Positivi i contenuti delle norme sulle carceri italiane approvate oggi dal Consiglio dei Ministri, ma insufficienti per risolvere definitivamente le questioni alla base dell’emergenza carceraria". Lo dichiara in una nota il segretario generale della Federazione Nazionale della Sicurezza della Cisl, Pompeo Mannone. "I provvedimenti relativi alle compensazioni per i detenuti che hanno subito un trattamento non conforme a quanto previsto dalla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo - continua Mannone - appaiono misure inevitabili in linea con le Direttive Europee. La questione vera è quella che non si doveva arrivare a tali condizioni: le politiche sbagliate di diversi lustri hanno portato a tali sanzioni. Apprezziamo invece l’aumento della consistenza dell’organico nei ruoli degli agenti e la riduzione della durata dei corsi di formazione per ispettori di polizia penitenziaria". "Rimane aperta tuttavia - conclude Mannone - la questione del blocco contrattuale e delle retribuzioni ormai non più sopportabile da parte del personale". Giustizia: "piano carceri" col trucco… di Eleonora Martini Il Manifesto, 21 giugno 2014 Inchiesta per corruzione. Perquisito il Dap e la casa del Commissario straordinario Sinesio. La procura indaga sugli appalti di ristrutturazione dei penitenziari. Un altro commissario straordinario (nominato per fronteggiare una delle tante emergenze italiane) finisce in un’inchiesta giudiziaria. Questa volta non si tratta di ricostruzione post-terremoto a L’Aquila ma del Piano di edilizia carceraria. Quello che già nel novembre 2008 veniva presentato dall’allora Guardasigilli Angelino Alfano come la soluzione di tutti i mali, da realizzare "in 30 mesi". Ieri invece a finire nel mirino della Procura di Roma è stato il commissario straordinario per il piano carceri Angelo Sinesio, indagato per falso e abuso d’ufficio, la cui abitazione è stata perquisita dagli uomini del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza inviati dai pm Paolo Ielo e Mario Palazzi nell’ambito di un’inchiesta per corruzione legata ad appalti per i lavori di ristrutturazione in alcuni istituti di pena. Nove le persone indagate e perquisiti perfino anche gli uffici del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap). Le indagini, scaturite da un esposto-denuncia dello stesso Guardasigilli Andrea Orlando (già da un mese, riferiscono fonti ministeriali, erano in corso verifiche da parte dell’ufficio ispettivo di Via Arenula) e da un dettagliato dossier di 60 pagine affidato ai pm romani e redatto da Alfonso Sabella, già magistrato antimafia a Palermo e funzionario al ministero della Giustizia, si concentrerebbero in particolare ad accertare eventuali illeciti nei lavori di rinnovazione effettuati negli istituti di Voghera, Lodi e Frosinone. L’ex direttore generale della Direzione mezzi e servizi del Dap, Sabella, che il 21 novembre scorso contestò il piano carceri anche alla Camera, durante la presentazione di Sinesio, denunciando sprechi e anomalie, ha incentrato il suo dossier sui costi del Piano carceri che, secondo quanto ricostruito, sarebbero stati gonfiati includendo opere che erano invece progettate, realizzate e pagate dal Dap e dal ministero delle Infrastrutture. Inoltre, il criterio del prezzo più basso adottato per alcuni padiglioni mandati in gara avrebbe prodotto "ribassi palesemente fuori mercato: oltre il 48% in media con una punta di quasi il 54%". Dati e numeri che Sabella ha inviato anche ai vertici del Dap e trasmesso, oltre che alla magistratura ordinaria, anche a quella contabile e al ministero dell’Economia. Una denuncia dettagliata nata dopo l’audizione del prefetto Angelo Sinesio in commissione Giustizia alla Camera del 22 ottobre 2013. Il commissario straordinario sostenne allora che "il Piano carceri originario prevedeva anche completamenti di padiglioni già avviati dall’Amministrazione penitenziaria e ristrutturazioni di istituti - ricorda Sabella. In realtà il Piano carceri originario non prevedeva nulla di ciò ma i completamenti e le ristrutturazioni sono stati inseriti nel Piano, addirittura due anni dopo la dichiarazione dello stato di emergenza e ovvero il 31 gennaio 2012, dunque quando lo stesso Prefetto era, formalmente e sostanzialmente, il Commissario delegato". Si tratta però probabilmente, "di un involontario errore del Prefetto", precisa Sabella. Nella prima estensione del Piano, ricostruisce il funzionario del ministero, "si prevedeva di realizzare, con 696,5 milioni di euro, 9.050 posti. Con un costo, per singolo nuovo posto, pari a 77 mila euro. Dopo la, sostanzialmente fittizia, intestazione al Commissario di altri 4.600 posti realizzati con risorse altrui, il costo di un singolo posto del Piano carceri veniva a scendere ad appena 40 mila euro e, ovvero, a quasi la metà". Insomma, un "miracolo", un’operazione di "matematica creativa", ragiona Sabella. Così, nella denuncia, l’ex dirigente del Dap ipotizza possibili "danni per l’Erario, per il ministero della Giustizia e per l’intero sistema penitenziario" a causa della "attribuzione di incarichi a soggetti privati (che, in gran parte, potevano essere affidati a pubblici dipendenti a costo zero o a costi decisamente più contenuti) con procedure che possono anche apparire non perfettamente in linea con le relative disposizioni normative". E per la "designazioni di autorità di gara e presidenti e componenti di alcune commissioni di gara che, a norma di legge e per giurisprudenza costante, potrebbero essere invalidate". Infatti il bando per selezionare il responsabile degli uffici amministrativo-finanziari della struttura commissariale presenterebbero diverse anomalie: secondo il report di Sabella, l’annuncio "è stato pubblicato non sulla Gazzetta ufficiale, bensì solo sul link…, di un link…, di un link…, nel sito del Piano. Per trovare il bando bisogna cliccare su "trasparenza", poi "atti", poi "decreti commissariali", poi "decreti vari", poi "avviso pubblico di selezione"". Solo un mago avrebbe potuto far domanda in sette giorni. Oppure, sostiene Sabella, "solo gli autori". Giustizia: le carte che accusano il Commissario Sinesio "ecco come gonfiò ad arte i lavori" di Fabio Tonacci e Francesco Viviano La Repubblica, 21 giugno 2014 Se l’Italia vuole davvero convincere l’Europa dell’umanità e dell’equità con cui sta trattando i suoi detenuti, dovrà inventarsi qualcosa di meglio di questo asfittico scatolone in legno, con finestre minuscole, infissi blu e tetto in lamiera. Il nome tecnico è "modulo per attrezzare spazi dove trascorrere il tempo fuori dalle celle e dalle sezioni" ed l’unica struttura creata ex novo in quattro anni e tre mesi con i 675 milioni del Piano carceri, il cui Ufficio commissariale, alle dipendenze dirette della presidenza del Consiglio, è finito sotto inchiesta per abuso d’ufficio, falso e corruzione. Nella contabilità del Piano carceri ci sarebbero numeri che non tornano, appalti dati con ribassi "fuori mercato" "commissioni di gara composte in modo inopportuno" "scarsa trasparenza negli atti". Per dirla con le parole di Alfonso Sabella, ex direttore generale delle risorse del Dipartimento amministrazione penitenziaria e autore dell’esposto di 60 pagine che ha dato il la all’indagine, c’è molta "matematica creativa". Soprattutto nelle dichiarazioni ufficiali del Commissario straordinario, ora indagato, Angelo Sinesio. La "matematica creativa" Il j’accuse di Sabella, non proprio uno sprovveduto visti i suoi trascorsi da pm antimafia in Sicilia, demolisce parola per parola l’audizione di Sinesio alla commissione Giustizia della Camera il 22 ottobre 2013. In quella sede il prefetto sostenne che il Piano carceri originario, quello deliberato nel 2010, prevedeva il completamento di padiglioni già avviati dal Dap e ristrutturazioni di istituti. Per cui il computo dei posti detentivi, nonostante il taglio di 228 milioni di euro dai 675 iniziali, saliva da 9.150 a 11.573. "Matematica creativa" la definisce Sabella nel suo esposto. Argomentando così: "Sono state intestate al Piano carceri opere costruite e pagate dal ministero delle Infrastrutture o dal Dap, gonfiando i numeri". Gonfiati quanto? Almeno di 4 mila unità, stando all’esposto. "L’inclusione nel Piano dei nuovi padiglioni di Terni, Modena, S. Maria Capua Vetere, Livorno, Catanzaro e Nuoro, già avviati dal Dap, è stata virtuale. Per altri 11 padiglioni da 2.400 posti servivano opere minime, costate appena 5,1 milioni a fronte dei 150 investiti". Dettagli, questi, che Sinesio ha omesso davanti al Parlamento e anche alla Corte dei Conti, tanto da indurla in errore. Scrive Sabella: "Sulla base dei dati forniti dal Commissario, la Corte dei Conti ha attestato già nel settembre 2012 l’avvenuta stipula dei contratti per alcuni padiglioni, quando ancora non si erano nemmeno concluse le gare". Lo scatolone di Rebibbia Un sudoku virtuale, dunque, che ha come risultato quello di celare i ritardi, questi sì reali, della realizzazione dei quattro penitenziari di San Vito al Tagliamento, Catania, Nola e Pianosa (per un totale di 2800 posti). Quattro anni e tre mesi sono trascorsi dall’inizio del Piano, e ancora sono in alto mare. Qualcosa di nuovo e di autonomo, oltre alle ristrutturazioni, è stato ultimato. Lo scatolone di Rebibbia. Partorito con i fondi del Piano carceri e subito contestato. "Esprimo tutto il mio dissenso in merito al modulo realizzato nella casa circondariale femminile - scrive nel febbraio scorso l’architetto Cesare Burdese, già componente della commissione presso l’Ufficio di Gabinetto del ministero della Giustizia - non ha i requisiti tecnico/architettonici ed estetici che simile struttura richiederebbe". Rilievi che, sostiene Burdese, erano stati indirizzati a Sinesio stesso, con una chiosa che una qualche attenzione la doveva destare: "Così continueremo a dare all’Europa l’immagine di un Paese inadempiente rispetto ai diritti umani". I ribassi "fuori mercato" La procura di Roma ora ha dei sospetti sui lavori fatti a Voghera, Lodi e Frosinone. Ma già nel suo dossier Sabella segnalava evidenti anomalie nell’assegnazione di cinque padiglioni, gli ultimi mandati a gara. "Sono stati aggiudicati con ribassi fuori mercato, oltre il 48 per cento con una punta di quasi il 54 per cento". Cifre così basse che ne suggeriscono all’ex pm il possibile esito: "Senza ulteriori e onerosi interventi, sarà impossibile che le relative opere vedano la luce". C’è anche un caso Arghillà, dal nome del penitenziario di Reggio Calabria. "Le gare si sono svolte in base a un decreto di secretazione che non è stato emesso dal soggetto competente, e cioè il dirigente generale", scrive Sabella. Oltretutto la motivazione, di due righe, è " "tautologica". Risibile. Altra stranezza: l’appalto è stato frazionato in due lotti, "in violazione al Codice dei contratti", con importi tali da scendere sotto la soglia comunitaria. Le imprese invitate, inoltre, sono state scelte "non per sorteggio o con altri criteri trasparenti, ma in maniera discrezionale e anti concorrenziale". E il ribasso, in questo caso, è stato più basso della media: appena il 10 per cento. Giustizia: piano-carceri, un dossier di 60 pagine su appalti, gare e "matematica creativa" di Eva Bosco Ansa, 21 giugno 2014 Possibili danni all’Erario e al ministero della Giustizia per la "attribuzione di incarichi a soggetti privati (che, in gran parte, potevano essere affidati a pubblici dipendenti a costo zero o a costi decisamente più contenuti) con procedure che possono anche apparire non perfettamente in linea con le relative disposizioni normative". Danni "per l’Erario e per l’intero sistema penitenziario" a causa della "designazioni di autorità di gara e presidenti e componenti di alcune commissioni di gara che, a norma di legge e per giurisprudenza costante, potrebbero essere invalidate". "Scarsa attendibilità dei dati" forniti alle istituzioni, a partire da Parlamento, governo e potere giudiziario. Sono pesanti le denunce che l’ex direttore generale della Direzione mezzi e servizi del Dap, Alfonso Sabella, affidò nei mesi scorsi a un documento inoltrato ai vertici del Dipartimento amministrazione penitenziaria e trasmesso anche alla magistratura ordinaria, a quella contabile e al ministero dell’Economia. Un dossier di 60 pagine che ha uno snodo centrale: secondo la ricostruzione, i costi del piano carceri sarebbero stati gonfiati includendo opere che erano in carico al Dap e al ministero delle Infrastrutture; e il criterio del prezzo più basso adottato per alcuni padiglioni mandati in gara ha prodotto "ribassi palesemente fuori mercato (oltre il 48% in media con una punta di quasi il 54%"). Quel dossier è stato uno degli elementi da cui è partita l’inchiesta della Procura di Roma sugli appalti del Dap e su possibili atti di corruzione. Nel documento Sabella, anch’egli magistrato, a lungo impegnato a Palermo in inchieste contro la mafia, prende le mosse da un’audizione che il commissario del piano carceri, prefetto Angelo Sinesio, oggi indagato, fece il 22 ottobre 2013 in commissione Giustizia alla Camera e la contesta duramente, confutandola punto per punto. A partire da uno, centrale. Sinesio - riferisce Sabella - sostenne in quell’audizione che "il Piano carceri originario prevedeva anche completamenti di padiglioni già avviati dall’Amministrazione penitenziaria e ristrutturazioni di istituti". "In realtà - contesta invece Sabella - il Piano carceri originario non prevedeva nulla di ciò ma i completamenti e le ristrutturazioni sono stati inseriti nel Piano, addirittura due anni dopo la dichiarazione dello stato di emergenza e ovvero il 31 gennaio 2012, dunque quando lo stesso Prefetto era, formalmente e sostanzialmente, il Commissario delegato". Probabilmente, si trattò di "un involontario errore del Prefetto", osserva Sabella, il quale riporta i dati sulla rimodulazione del piano, l’aumento dei posti e il taglio dei costi che Sinesio riferì in commissione. E si chiede, in sostanza, come sia possibile "una così consistente lievitazione di posti a risorse ridotte" dal momento che, a suo dire, nessuna logica progettuale diversa e nessun contenimento dei costi erano in realtà stati introdotti. "Bastava, molto più semplicemente, dire la verità - conclude Sabella: eccezion fatta per alcune ristrutturazioni, erano state intestate a Piano carceri opere, in concreto, progettate, realizzate e, ovviamente, pagate da Ministero delle Infrastrutture o Dap, così gonfiando, ma solo virtualmente, il numero dei posti che avrebbe formalmente realizzato il Commissario". E prima della rimodulazione del Piano "si prevedeva di realizzare, con 696,5 milioni di euro, 9.050 posti con un costo, per singolo nuovo posto, pari a 77 mila euro; dopo la, sostanzialmente fittizia, intestazione al Commissario di altri 4.600 posti realizzati con risorse altrui, il costo di un singolo posto di Piano carceri veniva a scendere ad appena 40 mila euro e, ovvero, a quasi la metà". Un "miracolo", un’operazione di "matematica creativa", afferma Sabella. Sinesio indagato anche per diffamazione Angelo Sinesio, Commissario delegato per il Piano carceri, già indagato per falso e abuso d’ufficio, è accusato anche di diffamazione in relazione a quanto dichiarato nell’audizione dell’ottobre 2013 davanti alla commissione Giustizia della Camera durante la quale presentò il piano. In quell’occasione, questa la contestazione, Sinesio, prefetto vicino all’ex guardasigilli Anna Maria Cancellieri, avrebbe accusato "ingiustamente di incapacità ed inefficienza Alfonso Sabella", l’ex pm antimafia all’epoca direttore generale delle risorse materiali al Dap. Sinesio avrebbe anche fornito "dati non veritieri, così da offendere" la reputazione dell’ex magistrato. È quanto riportato in uno dei due decreti di perquisizione firmati dai pubblici ministeri Paolo Ielo e Mario Palazzi che oggi hanno portato gli investigatori del nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza a controllare diversi uffici del Dap e alcune residenze private, in cerca di "documentazione, formato digitale e non, contabile ed extracontabile, inerente ai fatti per cui si procede, nonché agende, appunti, comunicazioni di altra natura e altro materiale di interesse". A carico di Sinesio è ipotizzato il reato di falso perché avrebbe ‘truccato’ le carte rispetto a un decreto per rifunzionalizzazione del carcere di Arghillà a Reggio Calabria. Il reato di abuso d’ufficio è invece contestato al prefetto perché avrebbe operato "un artificioso frazionamento delle opere relative" al penitenziario di Arghillà suddividendole in due distinte gare. La prima per le cosiddette opere interne, per circa 3,5 milioni di euro, la seconda per 4,5 milioni, "così eludendo la procedura obbligatoria per gli appalti sopra la soglia dei 5 milioni" prevista dalle norme e "così da scegliere le ditte da invitare". Molteni e Caparini (Lega): Orlando riferisca in aula "Il ministro Orlando riferisca in aula sul piano Carceri e sui presunti episodi di corruzione ai vertici’. Lo chiede la Lega Nord, con i deputati Nicola Molteni e Davide Caparini, a seguito dell’operazione di polizia tributaria che vede coinvolto, tra gli altri, il commissario straordinario al piano Carceri. "Scenari inquietanti", dicono i due parlamentari leghisti, che sottolineano: "La Lega da sempre chiede che fine abbiano fatto i soldi del piano Carceri. I sottoscritti hanno sollecitato, sul tema, tre ministri: Severino, Cancellieri e, ora, Orlando. È necessaria un’operazione verità. Tra svuota carceri e inchieste lo scenario della giustizia è allarmante". Giustizia: Papa visita carcere Castrovillari "resti alta l’attenzione sui diritti dei detenuti" Tm News, 21 giugno 2014 Il Santo Padre in visita al carcere di Castrovillari, paese del piccolo Cocò ucciso dalla ‘ndrangheta. "Nelle riflessioni che riguardano i detenuti, si sottolinea spesso il tema del rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo e l’esigenza di corrispondenti condizioni di espiazione della pena. Questo aspetto della politica penitenziaria è certamente essenziale e l’attenzione in proposito deve rimanere sempre alta. Ma tale prospettiva non è ancora sufficiente, se non è accompagnata e completata da un impegno concreto delle istituzioni in vista di un effettivo reinserimento nella società". È questo il messaggio che Papa Francesco ha rivolto ai detenuti, in occasione della sua visita al carcere di Castrovillari, in provincia di Cosenza. "Quando questa finalità viene trascurata - ha proseguito il Pontefice, l’esecuzione della pena degrada a uno strumento di sola punizione e ritorsione sociale, a sua volta dannoso per l’individuo e per la società". Quindi Papa Francesco ha sottolineato come "un vero e pieno reinserimento della persona non avviene come termine di un percorso solamente umano. In questo cammino entra anche l’incontro con Dio, la capacità di lasciarci guardare da Dio che ci ama, che è capace di comprenderci e di perdonare i nostri errori. Il Signore è un maestro di reinserimento: ci prende per mano e ci riporta nella comunità sociale". Tra i detenuti del carcere di Castrovillari, c’è anche Nicola Campolongo, il padre di Cocò, il bimbo di 3 anni ucciso e bruciato a Cassano all’Ionio insieme al nonno e alla sua compagna. Sebbene non siano previsti incontri privati tra il Santo Padre e i familiari del piccolo, non è escluso che possano incontrarsi per un saluto. Oltre a Campolongo, in carcere a Castrovillari è detenuto il rumeno che alcuni mesi fa uccise don Lazzaro, un parroco di Cassano all’Ionio. La pena non può essere pura ritorsione sociale, così è un danno Le istituzioni devono impegnarsi "all’effettivo reinserimento" nella società di chi sta espiando la pena perchè "quando questa finalità viene trascurata, l’esecuzione della pena degrada a uno strumento di sola punizione e ritorsione sociale, a sua volta dannoso per l’individuo e per la società". È il monito di papa Francesco nel corso della visita ai detenuti nel carcere di Castrovillari, prima tappa del breve ma intenso viaggio a Cassano all’Jonio. "Il primo gesto della mia visita pastorale è l’incontro con voi detenuti e voi operatori della Casa circondariale di Castrovillari. In questo modo - dice Bergoglio - vorrei esprimere la vicinanza del Papa e della Chiesa ad ogni uomo e ogni donna che si trova in carcere, in ogni parte del mondo. Gesù ha detto: "ero in carcere e siete venuti a trovarmi". Il Papa ricorda che "nelle riflessioni che riguardano i detenuti, si sottolinea spesso il tema del rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo e l’esigenza di corrispondenti condizioni di espiazione della pena. Questo aspetto della politica penitenziaria è certamente essenziale e l’attenzione in proposito deve rimanere sempre alta. Ma tale prospettiva non è ancora sufficiente, se non è accompagnata e completata da un impegno concreto delle istituzioni in vista di un effettivo reinserimento nella società". Giustizia: legali Provenzano; revocare carcere duro per "gravissime condizioni di salute" Ansa, 21 giugno 2014 Questa mattina i legali di Bernardo Provenzano, Rosalba Di Gragorio e Maria Brucale, hanno reiterato la richiesta di revoca del 41 bis per il loro assistito davanti al tribunale di sorveglianza di Roma, competente su tutto il territorio nazionale sulle istanze di revoca del carcere duro. Ribadendo le gravissime condizioni di salute del boss, i legali hanno anche depositato la decisione del giudice tutelare di Milano che ha nominato il figlio di Provenzano, Angelo, "amministratore di sostegno del padre". Per i legali, questo atto ne certifica l’incapacità. La Procura generale, facendo riferimento ad alcune relazioni del Dap, ha invece sostenuto che il detenuto ha dei momenti, seppur rari, di lucidità. Il giudice si è riservato di decidere. Lettera: io, sorella di tanti Stefano Cucchi di Ilaria Cucchi Left, 21 giugno 2014 Ci si può sentire privilegiati perché tuo fratello è un morto di Stato famoso? Giuro, quando ho visto mio fratello su quel tavolo dell’obitorio prima dell’autopsia, dopo aver sentito urlare di dolore i miei genitori, non avrei mai pensato che un giorno sarei stata nelle condizioni di sentirmi privilegiata nei confronti di qualcun altro per questa sorte. Quando lo Stato uccide qualcuno, quando muore un detenuto, quando muore una persona nelle mani delle forze dell’ordine, ci viene chiesto e imposto di voltare subito pagina. Quando a una famiglia "normale" accade una tragedia come questa, è come se una bomba scoppiasse all’interno di una chiesa gremita di fedeli. Dove ti senti al sicuro e mai immagineresti che ti possa accadere qualcosa. Quando ho saputo che Stefano, dopo tutti i problemi e le vicissitudini che ci aveva fatto patire, era nelle mani delle forze dell’ordine mi sono sentita sollevata perché era al sicuro. Il resto è storia nota. Anzi arcinota. Mio fratello è diventato un simbolo, è diventato Stefano Cucchi. Potrà sembrare una magra consolazione, ma vi assicuro che non lo è. Perché se adesso è nella memoria della gente, io ho almeno l’illusione che la sua vita e la sua morte abbiano significato qualcosa. La mia quotidianità ha ripreso più o meno la sua dimensione originaria. Di donna normale, con una vita normale. E una splendida famiglia normale. Tranne in una cosa, essere la sorella di Stefano Cucchi. Questo ha fatto sì che tanti, troppi, altri fratelli o sorelle o madri, mi chiedessero aiuto perché un feroce destino aveva loro riservato una sorte uguale alla nostra. Vittime anonime, famiglie anonime, destini uguali. Qualcuno sono riuscito ad aiutarlo, a qualcuno è stata restituita dignità attraverso processi, denunce pubbliche, servizi giornalistici. Purtroppo non a tutti, anzi non alla stragrande maggioranza delle persone che mi hanno contattata. Vorrei che fossero famosi tutti come Stefano, vorrei che fossero amati tutti come Stefano, vorrei che fossero importanti tutti come Stefano. Vorrei questo per le loro famiglie, per restituire loro un minimo di serenità. Vorrei tutto questo perché finalmente lo Stato si vergognasse tanto da decidersi ad approvare una legge sulla tortura, affrontare seriamente il problema delle carceri e della negazione dei diritti umani. Ma più di ogni altra cosa vorrei riavere mio fratello. Vivo. Nella sua vita anonima di tutti i giorni. Per qualcuno la mia vita è diventata claustrofobia, perché mi occupo solo di questo. Ma come potrei non farlo, dopo aver visto quello che ho visto e dopo aver vissuto quello che ho vissuto. Lettere: misure di sicurezza detentive a tempo di Sergio Romice Ristretti Orizzonti, 21 giugno 2014 L’art. 1 comma 1 quater del decreto-legge 31 marzo 2014, n. 52 (disposizioni urgenti in materia di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari (G.U. n. 76 del 1.4.2014) Decreto-Legge convertito con modificazioni dalla L. 30 maggio 2014, n. 81 (in G.U. 31/05/2014, n. 125) interviene sulla delicata materia delle misure di sicurezza detentive con un innovazione di portata storica. Si afferma nella norma citata che "le misure di sicurezza detentive provvisorie o definitive, compreso il ricovero nelle residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza, non possono durare oltre il tempo stabilito per la pena detentiva prevista per il reato commesso, avuto riguardo alla previsione edittale massima. Per la determinazione della pena a tali effetti si applica l’articolo 278 del codice di procedura penale. Per i delitti puniti con la pena dell’ergastolo non si applica la disposizione di cui al primo periodo". Con tale norma la misura di sicurezza cessa di essere di durata indeterminata e collegata esclusivamente alla pericolosità del reo. La effettiva portata della norma sull’esecuzione delle misure di sicurezza sarà misurata nei prossimi giorni dopo che i competenti Magistrati di sorveglianza avranno fatto applicazione di tale disposto a fronte delle istanze di liberazione che saranno formulate dagli internati nelle Case di Lavoro o nelle Colonie Agricole della Repubblica Italiana. Preme però sottolineare come l’intervento del legislatore sembri snaturare radicalmente l’istituto della misura di sicurezza detentiva, finora legato esclusivamente alla pericolosità del reo e, finora, di durata tendenzialmente indeterminata o illimitata, in mancanza di una revisione della pericolosità. L’aver apposto un termine di durata alla misura di sicurezza detentiva, sembra infatti determinare un effettiva conversione anche legale (e non più solo di fatto) della misura di sicurezza nella pena della reclusione e generare un effettivo doppione della stessa la pena della reclusione, quanto meno nel caso del cd doppio binario, con possibili configurazioni di violazione del principio del ne bis in idem. In tal modo il nuovo volto della misura di sicurezza rischia di non giustificare più l’istituto stesso, che viene ad annullarsi da solo; se alla misura di sicurezza si attribuisce una durata limitata per legge e se un internato, deve essere liberato anche laddove alla scadenza risulti socialmente pericoloso, per aver scontato il periodo massimo della misura di sicurezza stabilito per legge, alla stessa misura di sicurezza detentiva viene affidata una funzione perniciosa e contraddittoria: dopo aver scontato la pena della reclusione il detenuto non viene liberato perché è pericoloso (deve scontare la misura di sicurezza) ma sarà liberato a tempo debito, anche se è o rimane pericoloso; così lo Stato avrà fallito due volte, una prima volta alla scadenza della pena della reclusione (perché non sarà stato in grado di annullare la pericolosità del reo attraverso l’esecuzione della pena della reclusione) e una seconda volta alla scadenza della misura di sicurezza detentiva a tempo, allorquando dovrà scarcerare l’internato anche se è socialmente pericoloso. Non si è avuto il coraggio di abrogare l’istituto delle misure di sicurezza (mi permetto di rimandare al mio "contributo per l’abolizione della casa di lavoro" in www.ristretti.it) ma sarà compito della Corte Costituzionale espungere definitivamente le misure di sicurezza dall’ordinamento, perlomeno quelle, così come configurate dalla legge sopra indicata. Lettere: basta silenzi sulle droghe di Marco Perduca (Rappresentante all’Onu del Partito Radicale) L’Unità, 21 giugno 2014 Una rapida ricerca tra le notizie di Google con la parola "droghe" fa emergere notizie relative a sequestri e arresti ma niente che assomigli a un dibattito in merito allo stato dell’arte del proibizionismo. Eppure è oltre mezzo secolo che il mondo insiste, senza successo, nel voler controllare la produzione, il consumo e il commercio della sostanze stupefacenti con leggi che proibiscono tutto e con sanzioni che puniscono severamente anche il mero possesso. Le vittime della "guerra alla droga" sono dappertutto. Vi sono casi eclatanti, come le esecuzioni di massa in Messico, dove ogni anno vengono uccise più persone che nella guerra in Siria, e meno noti, come le nuove rotte africane della cocaina, oppure la produzione di droghe fai da te in mezzo mondo. Certo è che dappertutto il proibizionismo ha fallito e che nessun governo s’azzarda ad ammetterlo e agendo di conseguenza. La pur meritoria e coraggiosa legalizzazione della marijuana in Uruguay è frutto di un ragionamento diverso dalla denuncia del proibizionismo. Già all’indomani del referendum del 1993, il Partito Radicale aveva lanciato una campagna globale per la riforma delle tre Convenzioni dell’Onu (1961, 1971 e 1988) in materia di droghe per denunciare che i danni delle "droghe" derivassero dal loro esser state arbitrariamente proibite e non esclusivamente dalla tossicità delle sostanze. Le leggi di adeguamento nazionale di quell’impianto proibizionista globale si son da subito rivelate criminogene e hanno creato un immenso valore aggiunto a prodotti della natura o dell’uomo che di per sé non ne avrebbero. L’Italia è in parte responsabile di questo stato di cose. Dalla sua fondazione, e fino al 2010, un italiano è sempre stato a capo dell’Ufficio Onu sulla droga e il crimine. In oltre 25 anni di reggenza non s’è mai tentato di proporre alle Nazioni unite il modello riformatore italiano del referendum del 1993 che ci aveva visti, primo e unico paese al mondo, depenalizzare il possesso personale di tutte le droghe con oltre 19 milioni di voti a favore di un referendum contro il carcere. Anzi, grazie a Pino Arlacchi, nella prima sessione speciale dell’Assemblea generale dell’Onu sulle droghe del 1998, si fece adottare una solenne dichiarazione intitolata Un mondo senza droghe è possibile in 10 anni cercando di coinvolgere i peggiori regimi, dalla giunta birmana ai talebani, come alleati privilegiati nella "guerra alla droga". L’Assemblea generale dell’Onu si riconvoca sulle "droghe" nel 2016. Dopo l’ampio riconoscimento dell’uso terapeutico della cannabis negli Usa, la discontinuità depenalizzatrice di Paesi come Uruguay, Portogallo, Spagna, Paesi bassi e Repubblica Ceca e i drammatici appelli degli ex presidenti di Messico, Colombia e Brasile per un approccio diverso in materia, non valutare gli stupefacenti effetti della guerra alla droga sarebbe esiziale. Il 26 giugno si celebra in tutto il mondo la giornata internazionale della lotta alla droga. L’agenda del Parlamento non segnala un dibattito sul tema né il servizio pubblico prevede trasmissioni di approfondimento. I silenzi istituzionali non finiscono qui. Dopo le risibili modifiche alla legge ex-Fini-Giovanardi, il governo non ha nominato un sottosegretario competente per gli stupefacenti né ha sostituto il dottor Serpelloni a capo del Dipartimento sulle politiche sulle droghe. Il presidente Renzi non ha fatto sapere alcunché circa la convocazione della sesta Conferenza nazionale sulle droghe né se ritiene la riduzione dei danni del proibizionismo sulle droghe una priorità della presidenza italiana dell’Unione europea. In vista del 26 giugno qualche chiarimento in effetti sarebbe necessario, se non urgente. Campania: delegazione dell’Ucpi in visita agli Opg di Aversa e di Napoli Secondigliano www.camerepenali.it, 21 giugno 2014 Napoli. Antonella Calcaterra e Annamaria Alborghetti, per l’Osservatorio carcere Ucpi, insieme a Domenico Ciruzzi e a Sabina Coppola, per la Camera Penale di Napoli, sono entrati ieri nella struttura di Napoli adiacente alla Casa circondariale di Sollicciano. Ancora una volta colpiscono i numeri, in particolare quelli relativi alle presenze non necessarie sotto il profilo della gravità dei reati commessi e dell’effettiva pericolosità delle persone internate che, al contrario, avrebbero necessità di essere prese in carico, come previsto dalla legge, dai servizi di cura territoriali. La professionalità degli operatori interni e i loro sforzi anche sotto il profilo umano non può e non deve farci scordare quello che il dettato normativo oggi ci impone, e cioè la rigorosa ed esclusiva applicazione delle misure di sicurezza non detentive. Dopo Napoli, la delegazione dell’Osservatorio carcere si è spostata all’Opg di Aversa. Bruno Botti, componete di Giunta, Annamaria Alborghetti e Antonella Calcaterra dell’Osservatorio, Maria Lampitella e Anna Gargiulo della Camera Penale di Santa Maria Capua Vetere sono stati ricevuti dalla direttrice e dal personale e condotti attraverso quei luoghi le cui immagini di orrore e di dolore avevano scosso e richiamato l’attenzione della politica negli anni 2011 e 2012. Molto è stato fatto da allora, il reparto "La Staccata" è stato chiuso, resta tuttavia la percezione di vuoto e quindi di percorsi di cura non finalizzati al trattamento e a favorire il reinserimento sociale e territoriale dei pazienti. Ancora una volta constatiamo che la maggior parte degli ospiti non dovrebbero essere lì. L’auspicio anche degli operatori è che le nuove disposizioni di legge favoriscano misure differenti e più rispettose della dignità umana. Teramo: si toglie la vita in carcere 50enne originaria della Bulgaria arrestata per un furto di Edoardo Amato Il Centro, 21 giugno 2014 Una 50enne bulgara era a Castrogno da un mese in attesa di giudizio. Ma non ha sopportato la detenzione e si è impiccata alle sbarre della cella Era stata arrestata un mese all’Aquila per un furto ed era stata rinchiusa nel carcere teramano di Castrogno in attesa di giudizio. Ma non ce l’ha fatta a sopportare la detenzione e si è impiccata alle sbarre della sua cella. Una donna di 50 anni, Stoycheva Slavska, di nazionalità bulgara, si è tolta la vita ieri pomeriggio e non è stato possibile soccorrerla. Quando una compagna di cella ha visto il corpo penzoloni la cinquantenne era già morta. Nella sezione femminile del carcere teramano per regolamento le celle restano aperte dalle 9 del mattino fino al pomeriggio e le detenute possono circolare liberamente all’interno della sezione i cui ingressi ovviamente restano chiusi. Nessuno si è accorto di niente, anche perché le agenti della polizia penitenziaria addette alla sezione, dove ci sono attualmente quaranta detenute, sono in numero ridotto, la metà dell’organico previsto. Secondo il sindacato della polizia penitenziaria Sappe, nel carcere di Teramo il problema attualmente non è tanto il sovraffollamento dei detenuti - che pure si è verificato nei mesi scorsi - quanto la carenza di personale, circostanza che rende particolarmente gravoso il lavoro degli agenti. Il sindacato fa inoltre sapere che in questo mese di detenzione il comportamento della cinquantenne bulgara era stato del tutto tranquillo e niente faceva presagire che potesse arrivare al suicidio. Il segretario nazionale del Sappe Donato Capece, dopo aver ricordato che "negli ultimi 20 anni le donne e gli uomini della Polizia penitenziaria hanno sventato, nelle carceri del Paese, più di 16mila tentati suicidi ed impedito che quasi 113mila atti di autolesionismo potessero avere nefaste conseguenze", sottolinea i problemi del carcere di Teramo: "Manca il personale di Polizia penitenziaria e ogni giorno c’è una nuova criticità. Stamane, ad esempio, è stato accertato un caso di tubercolosi e questo è sintomo di preoccupazione. Il nostro organico è sotto di 7mila unità. La spending review e la legge di stabilità hanno cancellato le assunzioni, nonostante l’età media dei poliziotti si aggira sui 37 anni. Altissima, considerato il lavoro usurante che svolgiamo". Nel carcere di Castrogno ci sono stati diversi tentativi di suicidio nei mesi scorsi, tutti sventati dagli agenti. L’ultimo caso riguarda Luca Varani, l’uomo che sfregiò con l’acido l’ex fidanzata Lucia Annibali, divenuta suo malgrado un simbolo della lotta alla violenza sulle donne. Varani il mese scorso ha tento di impiccarsi ed è stato salvato dagli agenti. Pochi giorni fa è stato trasferito a Milano. Rossano (Cs): detenuto si dà fuoco, versa in gravi condizioni, ma non è in pericolo di vita Ansa, 21 giugno 2014 Un detenuto di etnia curda si è dato fuoco ieri sera, nel carcere di Rossano, usando la piccola bomboletta di gas del fornellino usato per cucinare ed un accendino. L’uomo ha riportato ustioni di terzo grado al volto ed al petto ed è stato trasportato nell’ospedale di Rossano. Il gesto del detenuto è avvenuto mentre il compagno, di cella stava seguendo in tv la partita dell’Italia ai Mondiali. Immediatamente è stato soccorso dall’altro detenuto e dagli agenti della polizia penitenziaria che hanno spento le fiamme e poi lo hanno affidato alle cure dei medici. Al momento non è chiaro il motivo del gesto. Sassari: la Garante; carcere Bancali, struttura promossa ma servono nuovi interventi www.notizie.alguer.it, 21 giugno 2014 Cecilia Sechi, garante dei diritti delle persone private della libertà personale, ha evidenziato la necessità di nuovi interventi per migliorare la situazione delle carceri. La struttura è nuova ma ci sono ancora problemi da risolvere per il carcere di Bancali. A partire dalla necessità di avere un maggior numero di educatori, attualmente sono 4 per 340 detenuti, un maggior numero di agenti e il completamento di alcuni spazi interni. Il quadro è sicuramente più rassicurante e migliore del vecchio carcere di San Sebastiano ma c’è la necessità di fare qualche passo in avanti. A fare una panoramica sulla situazione della nuova struttura e dello stato dei detenuti sono stati Cecilia Sechi, garante dei diritti delle persone private della libertà personale, Giuseppe Conti, vicepresidente della camere penali italiane, Maria Claudia Pinna, della camera penale di Sassari e Gabriele Satta, presidente della Camera penale di Sassari. La situazione delle carceri italiane e dei detenuti è migliorata in questo ultimo anno? È stata questa la domanda che ha scaturito l’incontro di ieri a Palazzo Ducale. E la risposta è affermativa, stando a un recente pronunciamento del Consiglio d’Europa sui diritti dell’uomo che ha deciso di non sanzionare l’Italia perché nell’ultimo periodo ha conseguito significativi risultati nel ripristinare la legalità nelle carceri. Non tutti gli operatori del settore però sono d’accordo. Il dibattito nasce dalla sentenza Torreggiani di un anno fa in cui la Corte europea dei diritti umani aveva condannato l’Italia al risarcimento di 10600 euro per le condizioni in cui era costretto il detenuto a causa del sovraffollamento carcerario; una sentenza a cui ne seguirono altre sette. Pochi giorni fa il Consiglio d’Europa ha stabilito che l’Italia ha compiuto in questo anno significativi miglioramenti e per questo ha deciso di rinviare la decisione finale al 2015, dando così tempo al Paese di completare la politica adottata in merito. "Si dice che l’Italia sia stata promossa ma Strasburgo ci ha dato un altro anno di tempo per metterci al passo con le normative europee. Siamo preoccupati per la situazione nelle carceri" ha detto Cecilia Sechi che ha elencato alcuni dati sul carcere di Bancali in cui ci sono 340 detenuti, di cui oltre un quarto in attesa di giudizio, 227 definitivi, 57 in attesa di giudizio di primo grado, 15 ricorrenti, 16 appellanti, 27 giovani-adulti. "La struttura di Bancali è promossa ma servono più educatori e maggior numero di agenti per rendere migliore la vita al suo interno" ha continuato Sechi. "Queste carenze si ripercuotono sull’anello più fragile, i detenuti" "C’è stata un’apertura del governo verso il problema delle carceri ed è stato fatto qualche passo in avanti ma non si può dire che l’Italia sia stata promossa, mancano ancora molte misure, tra queste soprattutto provvedimenti di clemenza" ha detto Giuseppe Conti. "Tante leggi tampone nell’ultimo periodo ma senza affrontare definitivamente i problemi delle carceri" ha aggiunto Sechi. "In Italia i ricorsi pendenti presso la Corte europea dei diritti dell’uomo sono circa 4mila e in caso di condanna per il Paese sarebbe un duro colpo sotto il profilo economico". Lodi: un’altra tegola sul carcere, i lavori di ristrutturazione sotto la lente della Procura di Tiziano Troianello Il Giorno, 21 giugno 2014 Le Fiamme gialle hanno perquisito la sede romana del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. L’ultima maxi ristrutturazione del carcere di Lodi è terminata all’inizio del 2013. Non bastavano le contestazioni alla direttrice da parte degli agenti di Polizia penitenziaria e le scarcerazioni sbagliate. Un’altra tegola si è abbattuta ieri sulla Casa circondariale di Lodi, finita insieme a quelle di Voghera e Frosinone, nel bel mezzo di una inchiesta finalizzata ad accertare eventuali episodi di corruzione legata ad appalti per lavori di ristrutturazione. A indagare è la Procura di Roma sotto la guida dei pubblici ministeri Paolo Ielo e Mario Palazzi. Ieri non sono trapelati molti elementi sull’inchiesta. Di certo si sa che ci sono state perquisizioni, da parte del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza, al Dap (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria) di Roma, in alcune direzioni e nelle sedi di aziende indagate. Nove sarebbero gli indagati. Tra le persone coinvolte c’è il commissario straordinario al piano carceri Angelo Sinesio, accusato di falso e abuso d’ufficio: i pm ritengono che nell’assegnazione delle gare d’appalto Sinesio abbia compiuto irregolarità anticipando le gare stesse e impedendo che a queste potessero partecipare altre ditte oltre a quelle prescelte. Un’altra contestazione è quella d’aver fatto in modo che il valore delle gare non superasse i 5 milioni di euro, limite che secondo la normativa europea consente di affidare i lavori a più di una impresa. Le indagini sono partite da un dossier firmato da Alfonso Sabella, già pm antimafia a Palermo e funzionario al ministero della Giustizia, che contestò il piano carceri, presentato da Sinesio alla Camera il 21 novembre 2013, parlando di anomalie, costi gonfiati e dati alterati. La parte dell’inchiesta legata all’ipotesi di corruzione è invece legata a un esposto-denuncia del ministro della Giustizia Andrea Orlando. L’ultimo intervento massiccio di riqualificazione a cui è stato sottoposto il carcere di Lodi risale al 2012 e si è concluso all’inizio del 2013, quando si è provveduto a creare un terzo reparto detentivo e a ristrutturare i due già esistenti. I lavori avevano riguardato anche la facciata esterna, il muro di cinta e le garitte. Era stato anche un reparto di infermeria all’avanguardia in cui personale dell’Asl visita regolarmente i detenuti. Erano state realizzate inoltre docce e bagni elettrici e una sala regia da cui si può controllare attraverso telecamere e monitor la situazione nella struttura e all’esterno e si può anche parlare con i detenuti, tramite interfono, sia quando si trovano nei corridoi che quando sono nelle celle. Impossibile al momento dire se questi o alcuni di questi lavori sono finiti sotto la lente di ingrandimento dell’inchiesta romana. Di certo la Cagnola negli ultimi tempi sta subendo una "notorietà" forse non ricercata. Da gennaio gli agenti della polizia penitenziaria hanno avviato una protesta ad oltranza contro la direttrice elencando una lunga serie di problemi sia di natura sindacale che dal punto di vista organizzativo del lavoro e della struttura. Da febbraio poi, dal carcere lodigiano, sono state fatte uscire per errore tre persone. Poi fortunatamente tutte rientrate in cella, chi in un modo chi nell’altro. Nello stesso mese il provveditorato regionale aveva anche compiuto una ispezione dietro sollecitazione dei sindacati. Lunedì scorso inoltre il penitenziario era stato visitato da una commissione regionale che aveva osservato però esclusivamente lo stato di salute e di lavoro dei carcerati. "Abbiamo trovato Abbiamo trovato un carcere pulitissimo con spazi ben recuperati" avevano dichiarato all’uscita. Castiglione delle Stiviere (Mn): nuova legge sugli Opg, 300 internati verso la dimissione di Giancarlo Oliani Gazzetta di Mantova, 21 giugno 2014 Nel giro di pochi mesi quasi trecento detenuti dell’ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere, internati perché considerati socialmente pericolosi, saranno liberi. Lo prevede la legge entrata in vigore il primo giugno, che sancisce l’impossibilità del protrarsi sia delle misure di sicurezza che detentive, provvisorie o definitive, per una durata superiore al tempo stabilito dalla pena per il reato commesso. In questo modo verrebbe eliminata la piaga dei cosiddetti "ergastoli bianchi" con la quale gli internati, a forza di proroghe, passano la loro vita in Opg, ma apre un altro grosso problema: una volta fuori, queste persone dove andranno a finire? In questi giorni la procura sta valutando ogni singola posizione ed emetterà un provvedimento che, come prevede la legge, sancirà la liberazione dei detenuti. Per ognuno di loro, a seconda della residenza, sarà indicato il centro di salute mentale al quale dovrà fare riferimento. Ma non è automatico. Il detenuto-paziente potrebbe decidere di andarsene per i fatti suoi. Non sono previsti controlli. Una carenza organizzativa, che potrebbe preludere a situazioni difficili da gestire. Al momento tra quelli che a giorni guadagneranno la libertà non ci sono soggetti responsabili di omicidi. Ma arriverà anche il loro turno, e dovranno essere liberati come tutti gli altri. In queste ore la procura ha già autorizzato la messa in libertà di cinque detenuti che hanno finito di scontare la pena. La preoccupazione è altissima, proprio perché queste persone torneranno libere senza alcun paracadute. Il timore che possano ripetere i reati per i quali sono stati internati esiste. Il testo prevede che, salvo quando sono acquisiti elementi dai quali risulta che ogni altra misura diversa dal ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario non sia idonea ad assicurare cure adeguate, il giudice disponga nei confronti dell’infermo o del seminfermo di mente l’applicazione di una misura di sicurezza - anche provvisoria - diversa dal ricovero in Opg o in una casa di cura e di custodia. Poi è previsto maggior rigore nell’accertamento della pericolosità sociale che giustifica il ricovero in Opg. L’accertamento va effettuato solo in base alle qualità soggettive della persona e senza tener conto delle sue condizioni di vita individuali, familiari e sociali. Non si può, inoltre, basare la pericolosità sociale sulla sola mancanza di programmi terapeutici individuali. Non sarà inoltre possibile disporre la custodia cautelare provvisoria in Opg dell’infermo e seminfermo di mente. La misura ora prevista è il ricovero in specifiche strutture ospedaliere. Modica (Rg): "anni di lavoro al vento…", l’amaro sfogo della direttrice del carcere di Concetta Bonini La Sicilia, 21 giugno 2014 "Il lavoro di anni, che abbiamo condotto con grande fatica, soprattutto sul fronte della rieducazione dei detenuti, sembra essere stato spazzato via con un colpo di spugna: mi sento, e con me tutti coloro che operano in carcere, come se mi fosse crollato il mondo addosso". La direttrice del carcere di Modica, Giovanna Maltese, non si ritrae dal commentare l’operazione dei carabinieri di Ragusa che ha portato all’arresto di due assistenti capo di polizia penitenziaria, accusati di violenza sessuale aggravata nei confronti di alcuni detenuti stranieri, e di spaccio di sostanze stupefacenti. La notizia, che allunga oscure e insopportabili ombre sulla storia di un carcere da sempre considerato "modello", si è abbattuta come un macigno nella vita e nel lavoro di chi questo carcere lo ha diretto e di chi qui ha lavorato e lavora. "Mi sento mortificata - commenta Maltese, chiaramente allo scuro di quanto, secondo gli inquirenti, accadeva all’interno dell’istituto penitenziario - perché mi sembra che proprio questo lavoro sia stato mortificato. La mia profonda amarezza è soprattutto per la parte buona di questo carcere, la parte onesta, che ogni giorno con me ha creduto nel grande valore della rieducazione dei detenuti". Sono stati molti, nel corso degli anni, i progetti destinati a questo scopo che, insieme alle condizioni in cui è stata tenuta la struttura, ne hanno fatto un fiore all’occhiello per l’amministrazione penitenziaria regionale, fornendo anche fondati argomenti contro la soppressione prevista dal governo. "Tanto lavoro, oggi viene travolto da tutto questo", commenta ancora Maltese, che comunque non vuole entrare nel merito dell’indagine: "Tutto dovrà, naturalmente, essere approfondito dall’autorità giudiziaria e riscontrato con un processo". E a tal proposito, mentre i due agenti, entrambi 45enni, si trovano agli arresti domiciliari in attesa dell’interrogatorio di garanzia da parte del giudice per le indagini preliminari, emergono nuovi dettagli sull’indagine, fondata sulle dichiarazioni di cinque testimoni chiave, tra cui alcune delle vittime. Pare comunque che i due agissero separatamente e che i rapporti sessuali con i detenuti, in cambio dei quali questi ultimi ricevevano hashish, scorte di sigarette e cibo, avvenissero solo nei momenti in cui si creavano le condizioni per appartarsi: durante i trasferimenti tra i vari ambienti della casa circondariale, ad esempio, o in palestra. L’indagine, condotta dalla Procura della Repubblica e in parte delegata alla Compagnia dei carabinieri di Modica, diretti dal capitano Edoardo Cetola, è scaturita proprio dalla confessione di un detenuto poi trasferito al carcere di Ragusa ed è stata condotta nel periodo tra novembre 2013 e maggio 2014 con le testimonianze rese anche da altri agenti di polizia penitenziaria. Libri: "Carceri. I confini della dignità" di Patrizio Gonnella… la condanna rispettosa di Cecilia D’Elia Il Manifesto, 21 giugno 2014 Scaffale. "Carceri. I confini della dignità" di Patrizio Gonnella, per Jaca Book. Non c’è rieducazione possibile senza spazi vitali negli istituti penitenziari. La dignità umana appartiene a tutti, nessuno escluso. A chi sta nelle regole e a chi le viola. Questo nucleo essenziale, che fa di ogni uomo e donna un essere umano e lo rende un soggetto titolare di diritti è il cuore della riflessione di Patrizio Gonnella nel libro "Carceri. I confini della dignità" (Jaca Book, 2014, pp. 136, euro 12; il volume verrà presentato con Erri De Luca, Eleonora Martini, Eligio Resta, Marco Ruotolo lunedì, alle 18, presso la libreria-bistrot di Roma). L’autore, conosciuto ai lettori de il manifesto, è presidente dell’associazione Antigone, collabora con la cattedra di filosofia del diritto di Roma Tre, ha avuto incarichi di direzione di istituti penitenziari. Anche questo saggio, come la biografia di chi lo scrive, si muove tra riflessione sui diritti, funzione della pena, dettato costituzionale e suo concreto riconoscimento, tra norma e pratiche penitenziarie, tra diritti proclamati e diritti riconosciuti. A cominciare dall’analisi di come sia mutata quella grande conquista della modernità che è la pena come reclusione, porzione di spazio e tempo definita che avrebbe dovuto far giustizia di tutte le pratiche di degradazione del corpo, dei supplizi e delle segregazioni fino ad allora conosciute. Da questo processo prende corpo il carcere come pena e, nelle società democratiche, la dignità umana come limite insuperabile della pena carceraria. In Italia, questo si processo ha trovato riconoscimento nel terzo comma dell’articolo 27 della Costituzione: le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. I due obiettivi costituzionali, rispetto della dignità e funzione rieducativa, hanno conosciuto destini diversi. Mentre il secondo è stato oggetto dell’interesse degli studiosi e delle ipotesi di riforme, è rimasto sullo sfondo il primo, il richiamo al rispetto della dignità umana. Ma la rieducazione senza riconoscimento della dignità può facilmente scivolare nel paternalismo autoritario del correzionalismo. Oggi l’esplosione del sovraffollamento penitenziario, frutto delle pulsioni securitarie di società segnate dagli esiti del trentennio neoliberista e dalla crisi del welfare, rende urgente colmare questa lacuna. Il saggio di Gonnella nasce esattamente attorno a questa urgenza. Ripercorre velocemente la storia sociale del carcere italiano dall’unità ai nostri giorni per arrivare alla durezza della realtà di oggi e all’impossibilità di ogni rieducazione in un carcere in cui mancano essenziali spazi vitali. Muovendosi sempre tra concretezza delle condizioni carcerarie e riflessione teorico-giuridica sulla compatibilità del sistema penitenziario con il sistema del diritto viene così mostrata la debolezza di un riformismo che non abbia a suo fondamento la tutela della dignità umana. La popolazione carceraria italiana mostra, rispetto agli altri paesi europei, una maggiore presenza di stranieri, di persone detenute per aver violato la legge sulle droghe e di detenuti in attesa di giudizio. Incapace di autoriformarsi, il sistema carcerario italiano può essere aiutato a fare ciò dalle condanne della Corte europea dei diritti umani, motivate dalla mancanza nelle nostre galere di spazi sufficienti a ospitare degnamente la popolazione detenuta. Di straordinaria importanza sono le sentenze Sulejmanovic (2009) e Torregiani (2013), l’ultima delle quali ha imposto al nostro paese provvedimenti per decongestionare un sistema penitenziario che, a causa del sovraffollamento, infligge trattamenti penali inumani o degradanti. In un paese che ha mostrato di non saper cambiare le proprie politiche carcerarie, dove a poco è servito il richiamo alla funzione rieducativa della pena da parte dei giudici costituzionali, Gonnella confida molto sullo spazio che lo sguardo esterno dell’Europa apre. Si delinea un’occasione più forte di cambiamento, che però deve fare i conti con le pulsioni profonde della società italiana, pervasa da un principio di discriminazione - tra cittadini e stranieri, tra vittime e autori di reati, tra chi ha e chi non ha - opposto a quello della dignità umana. Televisione: nella fiction "Gomorra" quante menzogne sulle carceri di Emilia Rossi Il Garantista, 21 giugno 2014 La serie "Gomorra", andata in onda su Sky con la regìa di Stefano Sollima, ha fatto una caricatura insopportabile della figura dell’avvocato penalista. Sei bravo solo se difendi i buoni. Chi difende gli accusati di mafia è come loro, un corrotto, un mafioso. Un pregiudizio che non solo falsa l’idea di giustizia, tutti hanno diritto a essere difesi, ma non racconta l’orrore vero delle carceri. Invece di mostrare la realtà, la fiction descrive un mondo ideale: celle larghe e pulite e fa passare per positivo anche il regime del 41 bis. Ma scusate, non doveva essere un’opera di denuncia? Io sono un tecnico. Quello che vi sto dicendo sono soluzioni tecniche, teoriche", dice l’avvocato della famiglia Savastano a donna Imma dopo averle suggerito di far sparire tutti i soldi depositati su conti svizzeri magari insieme con il commercialista che li ha imprudentemente investiti. Fino a quella frase, pronunciata verso la fine della quinta puntata, la figura dell’avvocato del clan si poteva persino sopportare: rientrava nel quadro del Male Assoluto che permea tutta la storia di Gomorra, in cui non c’è un buono, un eroe del Bene, un giustiziere, un cattivo che si converte. In cui tutta la società, tutta, privata, pubblica e, ovviamente, politica, è intrisa e vive di questo Male. Avvocato compreso, naturalmente. Ma quella frase no. Quella è insopportabile. Lei non è un tecnico, caro avvocato gomorrista, viene da dire. Lei è chiaramente un associato, uno che balbetta improbabili promesse di libertà al boss in galera, che obbedisce agli ordini del capo cosca come l’ultimo degli scagnozzi arruolati per lo spaccio, che trasmette alla famiglia le direttive criminali che il cliente impartisce nell’intimità del colloquio con il difensore. Quella frase suggerisce allo spettatore che non esiste una difesa tecnica, quando si tratta di camorristi o mafiosi. L’avvocato del clan è uno del clan, per forza. Si presenta bene, ha faccia, vestiti, eloquio perfettamente consoni al decoro che la deontologia impone: apparenze fatte apposta per ingannare. La suggestione viene anche dal fatto che di giustizia in senso tecnico non c’è nulla, in Gomorra. Non compare un giudice, un pm, un processo, un reato contestato al boss che entra in carcere e dopo poco viene sottoposto al regime speciale del 41 bis. L’economia della storia non comprende queste cose, chiaramente e comprensibilmente: non può soffermarsi su capi di imputazione, udienze, esigenze cautelari, durata della custodia preventiva e così via. E allora non si spiega per quale ragione, in una dinamica così ficcante e serrata da escludere dettagli da soli addetti a lavori processuali, si sia ricavato uno spazio per una figura tecnica e una sola, quella del difensore del boss, rappresentato come il consiglieri che è. La cosa non è nuova, va detto. Anzi, si inserisce perfettamente nella tradizione della fiction italiana in cui i soli avvocati competenti, coraggiosi, stimabili, insomma buoni, sono quelli che difendono i buoni, cioè le vittime o gli innocenti: tutti come Tasca, per intenderci, l’eroe in toga del noto legai thriller Un caso di coscienza. Gli unici che hanno la coscienza, oltre al resto, naturalmente. Tutti gli altri sono favoreggiatori, fiancheggiatori del crimine, generalmente cialtroni e maldestri, quando va bene, se non del tutto complici e partecipi delle trame criminali, come nel caso del legale gomorrista. Però in una fiction ben costruita e meritatamente di successo come Gomorra, che ha chiari propositi di rappresentazione realistica, se non proprio di denuncia, l’adesione alla tradizione suona stonata. A meno che non si considerino altri indici di suggestione: le celle del carcere così ampie e confortevoli da farci stare un bel tavolone per i pranzi in compagnia di tutti gli ospiti, con il bagno munito di porta che si può pure chiudere a chiave, qualora uno volesse magari suicidarsi con riservatezza, per esempio. O l’applicazione salvifica del carcere duro, quel 41 bis "da cui non si può più comandare", che, quindi, arriva più che meritatamente dopo che il boss ne ha combinate dietro le sbarre più di quante non ne facesse fuori ma che consente, al tempo stesso, tutti i colloqui che donna Imma vuole fare con l’amato consorte. Cose, insomma, che inducono lo spettatore a porsi qualche dubbio, nel migliore dei casi, sulle effettive condizioni delle carceri italiane, dove forse allora, non si sta così male come dicono la Cedu, i radicali di Pannella, il presidente della Repubblica e pure il Papa. O sulla sostanziale giustizia del 41 bis che alcuni estremisti delle garanzie, come gli avvocati dell’Unione delle Camere penali italiane, definiscono una "tortura democratica" e invece, Gomorra docet, è utile, necessario e, alla fine, non così afflittivo. E allora, a che serve la difesa, la difesa in senso tecnico poi, quando appare chiaro che il difensore non può che essere uno che cerca di mettersi di traverso per ostacolare il cammino della Giustizia che è giusta per definizione? Su questo lo spettatore di Gomorra può liberarsi da ogni dubbio: non serve a niente e, quindi, non esiste. Gli avvocati dei cattivi non possono che essere dei cattivi. Immigrazione: Garante detenuti Lazio; serve politica comune Ue su rifugiati Adnkronos, 21 giugno 2014 "La mia speranza è che, con il semestre europeo a guida italiana, si riesca a definire una politica comune europea sui temi dell'immigrazione, dell'integrazione e dell'accoglienza, anche attraverso misure straordinarie come l'apertura di canali umanitari per la concessione dello status di rifugiato nei paesi di transito, prima che i migranti si avventurino nel Mediterraneo". Lo dichiara, in una nota, il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni in occasione della Giornata mondiale del Rifugiato. Nel corso della sua attività nelle 14 carceri della Regione e nel Centro di Identificazione ed Espulsione di Ponte Galeria, il Garante ritiene che "le politiche migratorie abbiano fallito, perché non solo non riescono ad intercettare le complessità del fenomeno, ma comportano la crescita dell'economia sommersa e del crimine (il 37% dei reclusi in Italia è straniero)". "Il sistema in vigore nel nostro ordinamento e la procedura per il riconoscimento della protezione internazionale - ha continuato Marroni - sono caratterizzati da lungaggini e burocrazia e le 10 Commissioni Territoriali preposte sono sottodimensionate rispetto ai grandi numeri che si trovano a gestire". Droghe: Papa Bergoglio; legalizzare le sostanze "leggere" non è solo discutibile ma inutile Adnkronos, 21 giugno 2014 "Le legalizzazioni, anche parziali, delle cosiddette droghe leggere, oltre a essere quanto meno discutibili sul piano legislativo, non producono gli effetti prefissi". Papa Francesco lo sottolinea ricevendo i partecipanti alla International Drug Enforcement Conference. Osserva ancora il Papa: "Le droghe sostitutive non sono una terapia sufficiente, ma un modo velato di arrendersi al fenomeno". Per questo motivo, Francesco ribadisce il suo "no ad ogni tipo di droga. Semplicemente, no ad ogni tipo di droga", ripete con forza. "Ma per dire questo no - avverte il Papa - bisogna dire sì alla vita, sì all’amore, sì agli altri, sì all’educazione, sì al lavoro, sì a più fonti di lavoro. Se si realizzano questi sì - assicura - non c’è posto per la droga, per l’abuso di alcol, per le altre dipendenze". Droghe: Radicali; caro Papa Francesco, la proibizione ha aumentato il "mercato turpe" Adnkronos "Caro Papa, è la proibizione che ha aumentato il mercato turpe. Col controllo legale sarebbe tutto più facile". È quanto afferma Marco Perduca, rappresentante all’Onu del Partito Radicale, dopo "no" di Bergoglio "a ogni tipo di droga". "Mi permetto di segnalare a Papa Francesco - afferma Perduca in una nota - che in nessuna parte del mondo le campagne di prevenzione del consumo di droghe sono riuscite ad avere un impatto efficace sul controllo del fenomeno. Il mercato turpe denunciato dal Papa è frutto del proibizionismo e non delle caratteristiche intrinseche delle sostanze stupefacenti illecite". "Sono oltre 40 anni - ricorda - che il Partito Radicale denuncia che i danni relativi alle droghe non derivano da esse, ma dalla proibizione. E il mero fatto che ogni anno aumentino la produzione, il consumo e il commercio di tutte le sostanze proibite e che ogni giorno vengono scoperte nuove droghe dovrebbe insinuare il dubbio, anche nei meno addentro alla materia, che il proibizionismo abbia abbondantemente manifestato i suoi fallimenti". "Non solo. A un pontefice molto attento agli ultimi, ai poveri e ai diseredati, non dovrebbero sfuggire le violazioni dei diritti umani che vengono portate avanti in nome della guerra alla droga: le carceri son piene di spacciatori trattati in modo disumano e degradante, i contadini andini o afgani sono schiavizzati e sfruttati, le donne usate come "mule", i bambini ridotti a spacciatori e maltrattati e, cosa forse ancor più grave, l’80% del mondo non conosce analgesici in virtù della guerra all’oppio". L’esponente Radicale ricorda infine che "il 26 giugno sarà la giornata mondiale per la lotta alla droga; se nei prossimi giorni si riuscisse ad aprire un dibattito non ideologico in materia, sono convinto che anche in Vaticano, dove certi temi fortunatamente non son più ossessioni, si propagherebbe il buon senso del controllo legale delle sostanze stupefacenti", conclude. Droghe: pm Torino Borgna; creare strutture "semiaperte" per pusher ai domiciliari Ansa, 21 giugno 2014 Creare delle strutture "semiaperte ma in ogni caso controllabili" in cui sistemare agli arresti domiciliari i piccoli spacciatori. È una delle soluzioni proposte dal procuratore aggiunto Paolo Borgna, coordinatore del pool sicurezza urbana della Procura di Torino, per risolvere gli inconvenienti causati dalla cosiddetta legge "svuota carceri" dello scorso maggio, che non permette la custodia cautelare in carcere per i pusher arrestati in flagranza con lievi quantità di sostanze stupefacenti. "La riforma - osserva il magistrato - era necessaria, vista anche la super multa che l’Europa minacciava di infliggere all’Italia, per il sovraffollamento delle carceri. Ma con questa formula il piccolo spaccio di strada non può avere, penalmente, alcuna risposta immediata. E il fenomeno può destare reazioni devastanti soprattutto nei quartieri popolari della città, dove lo spaccio, al di là del giudizio che si vuole dare sulla pericolosità del fatto in sé, è avvertito come fattore di insicurezza, come il sintomo di uno Stato che abbandona il cittadino e il territorio". Borgna è del parere che, nell’allestire queste nuove strutture, si potrebbe chiedere la collaborazione di privati e associazioni. Un’altra proposta è una modifica alla norma che consenta ai giudici di applicare la custodia cautelare anche nei casi di lieve entità. In ogni caso, la Procura è orientata, nei casi di fermo in flagranza dei pusher, a seguire una linea già tracciata dalla Cassazione: lo spaccio non è un fatto di "lieve entità quando è abituale e ripetuto nel tempo". Arrestato e liberato due volte in 36 ore Arrestato per spaccio di cocaina e scarcerato due volte nel giro di 36 ore per effetto della legge svuota carceri. Il caso, che riguarda un immigrato di vent’anni appena compiuti che ha già al suo attivo altri nove arresti per stupefacenti, secondo la Procura simboleggia i problemi provocati dalla riforma. "Una riforma - sottolineano i magistrati - che era doverosa e necessaria. Ma che rende difficilissimo combattere il piccolo spaccio di strada. E il fenomeno, socialmente, può avere reazioni devastanti". In base alla nuova normativa, che ha previsto per lo spaccio di droghe eleggere e pesanti la reclusione da 6 mesi a 4 anni, l’arresto in flagranza dei pusher è possibile, mentre non prevede più la custodia cautelare in carcere: il giudice può disporre, al massimo, gli arresti domiciliari o l’obbligo di firma. Il giovane immigrato era stato fermato dalla polizia il 7 giugno perché trovato in possesso di 44 dosi di cocaina. Nonostante il parere della Procura secondo cui non si trattava di "lieve entità", il tribunale dispose l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. Scarcerato la sera del 10 giugno, il ragazzo è stato arrestato 36 ore dopo: questa volta aveva 9 ovuli di cocaina, pari a meno di 4 grammi lordi, e in questo caso il fatto che si trattasse di "lieve entità" non è stato messo in discussione. Il giovane, così, è tornato ancora una volta a piede libero con il solo obbligo di firma. Il suo primo arresto risale al 2009. Prima di compiere i 18 anni era entrato e uscito dal carcere altre otto volte. A suo carico figura una condanna per spaccio diventata definitiva nel 2011. Ma con la stessa sentenza, applicando un principio previsto per i minorenni, gli fu concesso il perdono giudiziale. Medioriente: medici Israele; no a legge su alimentazione forzata detenuti in sciopero fame La Presse, 21 giugno 2014 I medici israeliani "rifiutano assolutamente", per motivi etici, di procedere all’alimentazione forzata sui detenuti palestinesi in sciopero della fame. Lo ha detto il dottor Leonid Eidelman, direttore dell’associazione dei medici israeliana in un’intervista prima della votazione con cui il Parlamento deciderà se dare il via libera alla pratica. L’alimentazione forzata "è un tipo di tortura", ha detto Eidelman ad Associated Press. "Questa legge non è necessaria, può essere dannosa e credo che non verrà messa in pratica perchè penso che i medici israeliani non collaboreranno", ha aggiunto. I 22mila medici dell’associazione israeliana, ha detto Eidelman, appoggiano la sua posizione. "Ci rifiutiamo assolutamente di cooperare su questa legge. Non esiste dibattito sulla questione. Non ho ricevuto, a eccezione di forse un caso, alcuna lettera da medici che siano a favore della legge", ha dichiarato. L’approvazione della legge potrebbe arrivare al più presto lunedì, mentre la protesta da parte delle decine di detenuti in sciopero della fame entra nel terzo mese. Ottanta dei prigionieri in protesta sono stati ricoverati. L’alimentazione forzata dei detenuti prevede che i prigionieri ricevano il nutrimento tramite un tubo nasale. Eidelman afferma che la procedura potrebbe essere traumatica, dannosa e anche mortale poiché il tubo potrebbe perforare degli organi o causare emorragie interne. Per la loro opposizione alla legge i medici israeliani hanno ottenuto il sostegno dell’Associazione medica mondiale, che ha rivolto un appello al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu affinché riconsideri la legge. Il testo prevede l’alimentazione forzata per un detenuto se le autorità ritengono che la sua vita sia in pericolo. Il governo israeliano teme che un decesso in cella possa innescare dei disordini nelle prigioni e nei territori palestinesi, danneggiando così la sicurezza del Paese. Finora gli ospedali israeliani hanno tenuto in vita i detenuti in sciopero della fame evitando questo metodo e ricorrendo alla somministrazione di glucosio, vitamine ed elettroliti. "Questi prigionieri non vogliono morire, ma esprimere i loro desideri", ha detto Eidelman. La legge non obbliga i medici ospedalieri a mettere in atto l’alimentazione forzata e per il momento non è chiaro chi se ne occuperà se il testo verrà approvato. Stati Uniti: detenuto ucciso da un colpo di pistola per mano del poliziotto, c’è un video Leggo, 21 giugno 2014 Ucciso da un colpo di pistola in carcere per mano del poliziotto. Daniel Saenz, un detenuto della El Paso Country Jail, in Texas, è stato ammazzato da due poliziotti per motivi ancora da chiarire. In rete è stato diffuso lo scioccante video con l’intento di individuare e rintracciare la guardia artefice dell’omicidio. Dopo essere arrivato nella prigione della contea, l’uomo aveva bisogno di cure mediche che gli sarebbero state negate. Il detenuto è stato inizialmente picchiato e ferito al cranio, poi è stato denudato parzialmente, immobilizzato e freddato da un colpo di pistola. Saenz, raccontano gli agenti della prigione, era stato colpito con il taser cinque volte durante il corso della giornata e d aveva continuato a resistere. Stati Uniti: 8 anni di carcere da innocenti, un maxi risarcimento ai "5 di Central Park" di Federico Rampini La Repubblica, 21 giugno 2014 Neri e ispanici, nel 1989 furono accusati di aver stuprato e picchiato a sangue una giovane top manager Rimasero otto anni in carcere prima della confessione del vero colpevole. Ora riceveranno 40 milioni di dollari. Quaranta milioni di dollari, un risarcimento-record nel suo genere, un milione di dollari per ogni anno passato in carcere. Ma la giustizia arriva con 25 anni di ritardo. E solo perché a New York oggi c’è un sindaco progressista, Bill de Blasio, che vuole rompere con i metodi del passato, ha promesso di voltare pagina rispetto a un’era di razzismo e discriminazioni da parte della polizia. Il maxi-risarcimento va ai "cinque di Central Park". Allora erano adolescenti, fra i 14 e i 16 anni, tutti neri e ispanici. Si trovavano nel posto sbagliato al momento sbagliato quella sera terribile del 19 aprile 1989. La sera dello "stupro di Central Park", un crimine così feroce da sconvolgere perfino una metropoli abituata a quei tempi a dei livelli di violenza record. La vittima, Trisha Meili, lavorava come top manager in una banca d’affari di Wall Street. Era andata a fare jogging come sempre, alle nove di sera, nel più grande parco pubblico di Manhattan. La ritrovarono in fin di vita, col cranio quasi fracassato e i segni della violenza sessuale. In un città coi nervi a fior di pelle, traversata allora da tensioni razziali acute, la notizia creò una psicosi. I politici e i media ne fecero un caso da risolvere subito, a tutti i costi. E la polizia non li fece attendere troppo. Acchiappati e sbattuti in carcere cinque ragazzi che importunavano i passanti a Central Park, non fu difficile estorcergli le confessioni: con la tortura psicologica, e il classico metodo dei "finti tradimenti", i poliziotti convinsero ciascuno di loro che gli altri quattro lo avevano denunciato. Gli avvocati difensori denunciarono quegli abusi, chiesero la cancellazione delle confessioni ottenute con metodi illeciti. Ma i cinque "mostri" ormai erano stati dati in pasto all’opinione pubblica, condannati e sbattuti in carcere. La vittima miracolosamente riuscì a salvarsi dopo un lungo coma, Trisha Meili raccontò la propria tragedia in un’autobiografia. Sui dettagli dell’aggressione non ricordava nulla, un’amnesia totale avvolgeva quella sera, quindi non poteva essere lei a scagionare i cinque. Solo nel dicembre 2002, improvvisamente un altro carcerato confessò. Matias Reyes, già condannato per stupro e omicidio, ammise di essere stato lui, poi i test del Dna confermarono la sua colpevolezza. Era l’inizio della fine di un incubo per Kharey Wise, Kevin Richardson, Antron McCray, Ysef Salaam, Raymond Santana Jr. Ma un conto fu uscire dal carcere, altra cosa ottenere il riconoscimento del torto subito. Michael Bloomberg, pur essendo diventato sindaco 12 anni dopo la condanna dei "cinque", s’impuntò nel rifiutare l’ammissione di colpevolezza della polizia, non volle mai accettare un patteggiamento che includesse la condanna dei metodi usati per estorcere quelle false confessioni. Bloomberg non voleva rimettere in discussione i "filtri razziali" che secondo lui avevano contribuito a ristabilire l’ordine in città. La svolta in questa vicenda è avvenuta grazie a un film. Il documentario "The Central Park Five", realizzato nel 2012 con materiali d’epoca e interviste ai cinque innocenti, ha avuto ampia diffusione nelle sale e poi in tv. Ha ricordato alla città, quasi immemore, quello che era stato il terribile errore giudiziario. Ha convinto Bill de Blasio, nella sua campagna elettorale dell’autunno scorso, a impegnarsi per una giustizia vera e un risarcimento adeguato. Il merito del documentario è anche un altro, ha ricordato ai newyorchesi un’era di insicurezza, criminalità dilagante, che veniva alimentata anche dalla diffidenza tra le comunità etniche. Tra le immagini di quel film ci sono spezzoni di tg dell’epoca che restituiscono quartieri con una povertà da Terzo mondo, e dilaniati da una larvata guerra civile: un passato che oggi sembra lontanissimo. Stati Uniti: "liberatelo, è troppo bello"… Jeremy un criminale da 360 mila like Apcom, 21 giugno 2014 Un criminale da 360 mila like. Jeremy Meeks, 30 anni, è stato arrestato dalla polizia di Stockton, in California, insieme ad altri tre complici in un blitz contro una gang. Non un criminale famoso o pluriricercato, solo un gran bel ragazzo la cui foto, postata su Facebook dalla polizia della California, ha raccolto un gran numero di "Mi piace". Occhi di ghiccio, labbra carnose e sguardo sexy la foto del criminale è stata retwittata e condivisa fino a divenire un caso mondiale. Il criminale bello e affascinante, il bad boy, è stato adorato dalle donne sul sociale che sembra non si siano minimamente curata dei suoi problemi con la legge. A tal punto la sua bellezza ha conquistato il web che su Facebook sono nati numerosi gruppi in cui viene chiesto di liberarlo. La madre dell’uomo ha anche aperto un gruppo per raccogliere soldi per pagare la cauzione al figlio. "Jeremy ha un lavoro, una moglie e due figli - scrive sulla pagina web dove ha postato anche alcune foto del figlio - è mio figlio ed è dolcissimo. Aiutatemi a pagare la cauzione".