Giustizia: ministro Orlando; emergenza sovraffollamento carceri verso soluzione Il Sole 24 Ore, 20 giugno 2014 Entro l'anno - assicura il ministro della Giustizia Andrea Orlando - "ci attesteremo attorno ai 55mila detenuti", una stima a legislazione invariata "perché l'approvazione definitiva della legge sulla custodia cautelare può produrre ulteriori effetti". In audizione davanti alla Commissione parlamentare Antimafia, il Guardasigilli fa anche i conti in tasca alla criminalità organizzata, che ogni anno può contare su ricavi tra i 18 e i 34 miliardi di euro, pari all'1,7% del Pil. Per il ministro, il fatturato del solo narcotraffico pesa quanto quello del comparto tessile manifatturiero, che è il primo settore industriale del paese. Nel ripercorrere l'agenda delle riforme su cui è al lavoro il ministero, Orlando conferma la volontà di introdurre nel nostro ordinamento la fattispecie di autoriciclaggio. "Sotto tale profilo, spiega, è precisa intenzione del governo quella di attribuire rilevanza sul piano penale alla condotta dell'autore del delitto che reintroduca nel circuito economico i relativi proventi". Per questo è allo studio una riforma dell'articolo 648-bis che "attribuisca rilevanza penale alla condotta di chi, avendo commesso un delitto non colposo, sostituisca, trasferisca o impieghi denaro, beni o altre utilità per finalità imprenditoriali o finanziarie, condotte ad oggi rientranti nell'ambito del post-factum non punibile". La fattispecie delineata nel disegno di legge governativo, conclude il ministro, "prevede la punibilità (con una pena autonoma e ridotta rispetto al mero riciclatore) dell'autore del reato". Il ministro affronta anche il tema delle intercettazioni, su cui via Arenula ha avviato un confronto con il Garante della privacy per aumentare il livello della riservatezza che accompagnano questo strumento d'indagine. In vista non tanto un intervento normativo, quanto il recepimento di direttive che l'Autorità per la riservatezza ha già dato agli Uffici giudiziari, "rispetto alle quali stiamo facendo un lavoro di monitoraggio, di valutazione dell'effettivo impatto e della praticabilità di alcune misure che possono avere un'incidenza molto importante". Confermata anche l'intenzione del governo di "correggere", nel passaggio al Senato, la responsabilità civile diretta dei magistrati passata a sorpresa alla Camera nell'ambito della Comunitaria 2013. "Non ritengo configurabile un'ipotesi di responsabilità diretta" delle toghe, spiega ai membri dell'Antimafia presieduta da Rosy Bindi, "non per un fatto di intoccabilità del magistrato" ma perché "credo che questo tipo di intervento rischi di comportare una riduzione delle garanzie all'interno del processo". Sul sovraffollamento in cella, sottolinea Orlando, "la febbre è scesa: attualmente i detenuti sono 58.500. Non siamo ancora alla massima capienza prevista per legge ma la forbice si è fortemente ridotta. Siamo a 58.500 con una tendenza di decremento significativa". La soluzione graduale del problema pone però nuove priorità al legislatore: "Se vogliamo evitare in futuro di dover tornare a provvedimenti di carattere emergenziale dobbiamo costruire un doppio sistema della pena: quello del carcere con un efficientamento del patrimonio disponibile e quello della creazione di un sistema della pena esterna, che nel nostro Paese è nelle fasi embrionali". Su norme decreto ci rimettiamo alla fantasia della Commissione "Ci rimettiamo alle fantasie della Commissione se nel corso del dibattito avrà altre idee". Lo ha detto il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, nel corso di una audizione davanti la commissione Giustizia della Camera sulle linee programmatiche del dicastero, riferendosi in particolare ai provvedimenti presenti del decreto Pa in tema di riduzione del sovraffollamento delle carceri. Subito dopo Orlando ha infatti spiegato i provvedimenti presenti nel dl varato dal Cdm che consentono, in sintesi, a chi subisce trattamenti disumani in carcere di avvalersi di uno sconto di pena o - se la pena è già stata scontata - un risarcimento in denaro. Rispetto alle norme contro il sovraffollamento delle carceri Orlando ha sottolineato che "se non le facciamo con provvedimenti interni questi saranno imposti da Strasburgo e io credo che questo sarebbe un danno anche per l’immagine del Paese". Per il ministro serve "un doppio sistema di pena, quello delle carceri e quello della creazione della pena esterna, che nel nostro Paese è ancora in una fase embrionale". Giustizia: emergenza carceri, lo sporco gioco dell’Europa per salvare l’Italia di Rita Bernardini (Segreteria dei Radicali Italiani) Il Garantista, 20 giugno 2014 E così l’Italia l’ha sfangata. Il 5 giugno scorso il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, chiamato a pronunciarsi sull’esecuzione della sentenza Torreggiani, ha riconosciuto "l’impegno che le autorità italiane hanno messo nel risolvere la questione del sovraffollamento carcerario e i risultati significativi già ottenuti attraverso l’introduzione di varie misure strutturali". In quell’occasione, il Comitato ha inoltre preso nota di come l’Italia abbia "introdotto, entro i limiti di tempo imposti dalla sentenza Torreggiani, un rimedio preventivo". Infine, il Comitato ha annunciato che riprenderà in esame la questione nella sua riunione del giugno 2015, quando farà un esame approfondito sui progressi fatti dal nostro Paese. Tutto bene, dunque? Niente affatto. Il partito Radicale e Radicali italiani sono state le uniche due organizzazioni ad inviare un dossier a Strasburgo secondo quanto previsto dall’art. 9 comma 2 del regolamento del Comitato dei Ministri. Lo abbiamo fatto per confutare le tesi del governo italiano e abbiamo fondati motivi per contestare oggi il pronunciamento del suddetto Comitato formato dai delegati (tutti ambasciatori) dei ministri degli Esteri dei 47 Paesi che fanno parte del Consiglio d’Europa. Il riconoscimento per gli sforzi fatti dall’Italia e il rinvio di un anno dell’esame costituiscono giudizi che nulla hanno a che vedere con il controllo dell’esecuzione della sentenza che l’8 gennaio 2013 aveva visto la Corte Europea dei diritti dell’uomo condannare l’Italia per violazione sistematica dell’art. 3 della Cedu, cioè per tortura e trattamenti inumani e degradanti dei detenuti ristretti nelle nostre carceri. Sono cessati questi trattamenti nelle nostre carceri come chiedevano anche il nostro presidente della Repubblica e la nostra Corte Costituzionale? È stato posto fine alla tortura? Il dossier preparato da me, dall’avvocato Debora Cianfanelli e dalla presidente del Movimento Laura Arconti, dimostrava, dati e tabelle alla mano, palesemente di noi numeri inventati dal ministero sulle capienze regolamentari degli istituti penitenziari, deportazioni di massa di migliaia di detenuti, cure negate, condizioni strutturali degli edifici e igienico-sanitarie disastrose, mancanza pressoché totale di attività trattamentali quali stadio e lavoro, impressionanti carenze di organico a tutti i livelli persino nei ruoli della magistratura di sorveglianza, percentuali elevatissime di detenuti in attesa dì giudizio. Ma sapete cosa è successo? È accaduto che qualche manina (leggasi: burocrazia europea) ha fatto in modo che la nostra documentazione spedita e ricevuta dagli uffici il 23 maggio non giungesse nelle mani dei 47 ambasciatori appositamente riuniti dal 3 al 5 giugno a Strasburgo. Lo abbiamo scoperto quando ci siamo rese conto che il nostro dossier non era stato pubblicato sul sito ufficiale del comitato dei Ministri assieme al resto della documentazione dì parte governativa che, invece, veniva riportata puntualmente. Abbiamo chiesto spiegazioni e, dopo qualche giorno, il 10 giugno - a sessione conclusa e a decisioni prese - il nostro fascicolo miracolosamente compariva fra i documenti con tanto di timbri di ricezione (23 maggio), di pubblicazione (10 giugno) e dì messa a disposizione dei delegati... ma per la prossima sessione del 23/25 settembre. Intanto, come scrivevo all’inizio, l’hanno sfangata, È lo stesso ministro della Giustizia a farsi scappare la frase "sulle carceri ci abbiamo messo una pezza" (Adnkronos del 10 giugno). Che la burocrazia europea giocasse sporco ne avevamo già avuto sentore il 22 maggio quando, la vice-segretaria generale del Consiglio d’Europa, l’italiana Gabriella Battami Dragoni, esprimeva - con largo anticipo sulla sessione del Comitato dei Ministri - il suo giudizio "politico" positivo sull’operato dell’Italia preannunciando il fausto verdetto con tanto di lodi per "l’impegno decisivo del ministro Orlando nel trovare delle soluzioni adeguate per risolvere il problema del sovraffollamento carcerario". C’è di più. Non è vero che l’Italia abbia introdotto, entro i limiti di tempo imposti dalla sentenza Torreggiani (28 maggio), un rimedio compensativo per i trattamenti inumani e degradanti. Il Comitato dei Ministri si è fidato delle promesse italiane sia su questo aspetto che sulla riforma della custodia cautelare in carcere. Il "risarcimento" che sì preannuncia dalle indiscrezioni di stampa sull’imminente decreto ha il carattere della beffa: sconto di un giorno per ogni 10 giorni di tortura subiti o, nel caso si sia già stati scarcerati, 8 euro al giorno. Per essere però tra i "fortunati" ricompensati occorre aver patito almeno 15 giorni di disumanità e di umiliazione, altrimenti, niente. Che in tutto ciò il presidente del Consiglio Matteo Renzi non intravveda nemmeno lontanamente il rischio del ritorno di orrori antidemocratici che con immatura spavalderia si pensa siano stati debellati per sempre, preoccupa e continua ad occupare Marco Pannella e noi pochi, troppo pochi, radicali cancellati con meticolosità scientifica dai mezzi di informazione di massa. Da pochi giorni però c’è "Il Garantista" e questo ci fa sentire meno soli. Grazie a Piero Sansonetti e a chi sta sostenendo la sua non facile scommessa editoriale. Giustizia: oggi in CdM un Decreto Legge sui "rimedi risarcitori in favore dei detenuti" Asca, 20 giugno 2014 Il Consiglio dei Ministri è convocato per oggi, 20 giugno alle ore 10 a Palazzo Chigi. Tra i provvedimenti in esame all’ordine del giorno il Decreto-Legge: "Disposizioni urgenti in materia di rimedi risarcitori in favore dei detenuti e degli internati che hanno subito un trattamento in violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nonché modifiche al codice di procedura penale e alle disposizioni di attuazione, all’ordinamento del Corpo di Polizia Penitenziaria e all’ordinamento penitenziario, anche minorile". Approda oggi in Consiglio dei Ministri il decreto legge annunciato dal Governo che prevede misure risarcitorie per i detenuti che hanno vissuto in carcere in condizioni "inumane", ossia sotto lo spazio "vitale" dei tre metri quadrati, violando così i principi dettati dalla Corte di Strasburgo. Il provvedimento, messo a punto dalla Presidenza del Consiglio dei ministri e dal Guardasigilli Andrea Orlando, prevede misure sia di carattere economico - un risarcimento al detenuto pari a 8-10 euro per ogni giorno vissuto in tali situazioni degradanti - sia, per coloro che ancora non hanno finito di scontare la loro condanna in cella, uno ‘sconto’ pari al 10% di pena residua (un giorno ogni 10). Questo provvedimento era stato citato esplicitamente dall’Europa tra i motivi che hanno portato, lo scorso 5 giugno, alla "promozione" del nostro Paese in relazione alle misure prese per contrastare l’emergenza carceraria, rinviando al prossimo anno un ulteriore vaglio della situazione dei penitenziari italiani. Il decreto legge, infine, prevede anche che coloro che devono scontare una condanna per reati compiuti da minorenni possano restare reclusi negli istituti di pena minorili fino a 25 anni (e non più fino a 21): anche questa misura è rivolta ad "alleggerire" il numero dei detenuti nelle carceri ordinarie, dato che negli istituti per minori non vi è sovraffollamento. Giustizia: indagine sugli appalti per le carceri, la Guardia di Finanzia negli uffici del Dap Tm News, 20 giugno 2014 Un’indagine per una presunta opera di corruzione nell’ambito di appalti del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria per la ristrutturazione delle carceri, ha portato stamattina gli investigatori del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Roma ad effettuare nella capitale una serie di perquisizioni in uffici e residenze. Gli accertamenti sono coordinati dai pm capitolini Mario Palazzi e Paolo Ielo. Le verifiche riguardano una serie di commesse per la ristrutturazione di alcuni penitenziari. I finanzieri hanno anche perquisito la struttura del commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria (il Commissario al Piano Carceri) Angelo Sinesio. Secondo quanto si è appreso da piazzale Clodio le ipotesi di reato sono falso e abuso d’ufficio. Perquisizioni sono in corso anche presso le abitazioni di alcuni indagati e nelle sedi di alcune società coinvolte. Alla base dell'operazione che ha portato alle perquisizioni negli uffici del Dap - a quanto si apprende - ci sarebbero le segnalazioni effettuate nei mesi scorsi dall'ex direttore generale della sezione mezzi e servizi del Dap, Alfonso Sabella, ad integrazione della quale sarebbero giunte anche altre segnalazioni. L'inchiesta della procura di Roma sul Dap si concentra, in particolare, ad accertare eventuali illeciti nel lavori effettuati presso le carceri di Voghera, Lodi e Frosinone. Sabella contestò il piano carceri presentato alla Camera da Sinesio, il 21 novembre scorso denunciando sprechi e anomalie. Indagine corruzione partita da esposto Guardasigilli L'indagine della Procura che ha portato stamani gli uomini della GdF ad effettuare una serie di perquisizioni negli uffici del Dap per il reato di corruzione è scaturita, in base a quanto si apprende, da un esposto-denuncia dell'attuale ministro della Giustizia, Andrea Orlando. 9 indagati, c'è anche commissario Sinesio Sono nove gli indagati, tra cui il commissario straordinario al piano carceri Angelo Sinesio, coinvolti negli accertamenti della procura di Roma che questa mattina ha disposto alcune perquisizioni al Dap e presso l'ufficio dello stesso commissario. L'inchiesta dei pm Mario Palazzi e Paolo Ielo trae spunto da un dossier firmato da Alfonso Sabella, già pm antimafia a Palermo e funzionario al ministero della Giustizia, che contestò il piano carceri, presentato da Sinesio alla Camera il 21 novembre 2013, parlando di anomalie, costi gonfiati e dati alterati. I pm della capitale, che ipotizzano il falso e l'abuso d'ufficio, sospettano che Sinesio abbia tenuto nascosti alcuni atti anticipando le gare di appalto (e impedendo così alle altre ditte interessate di potervi partecipare) e abbia fatto in modo che alcuni dei lavori dati in appalto non superassero la soglia dei cinque milioni di euro, limite che secondo la normativa europea consente di affidare i lavori a più di una impresa. M5S: sulle carceri vi avevamo avvisato Il capogruppo della Commissione Giustizia del M5s chiede che si faccia piena luce sulla nuova vicenda oscura che riguarda il mondo delle carceri italiane. E ricorda che al Ministro Orlando il problema era già stato sottoposto dai grillini, ben prima che se ne occupasse la magistratura. "Il problema vero è che cosa sia stato fatto sulle carceri dal Commissario straordinario. Forse dovreste controllare meglio il lavoro che è stato realizzato dalla struttura commissariale, considerando anche che c'è un'indagine della procura di Roma. La politica dovrebbe, teoricamente, arrivare prima della magistratura, perché dovrebbe prevenire certe cose. Io vi invito a fare un controllo sugli appalti e su tutto ciò che gira all'interno della struttura commissariale, almeno per dire che l'avete visto". Così Andrea Colletti, capogruppo della commissione Giustizia M5S, poneva la questione degli appalti nelle carceri direttamente al ministro Orlando, durante l'audizione dello scorso mercoledì. "La notizia di stamattina che vede la perquisizione degli uffici del Dap e del Commissario Straordinario da parte della Guardia di Finanza non ci sorprende", affermano oggi i deputati della commissione Giustizia del M5S. "Ancora una volta - aggiungono - abbiamo anticipato i tempi, cioè facciamo quello che dovrebbe fare una politica seria. Non lasciare che sia sempre e solo la magistratura a trovare i problemi della politica stessa. Ci auguriamo che adesso si faccia piena luce su questa nuova vicenda molto oscura che riguarda il mondo delle carceri". Giustizia: l’imputato straniero ha diritto a traduzione scritta atti processuali di Enrico Bronzo Il Sole 24 Ore, 20 giugno 2014 L’imputato straniero che non conosce l’italiano ha diritto alla traduzione scritta degli atti processuali in quanto previsto dal Dlgs 32/2014, entrato in vigore il 2 aprile scorso, in recepimento della direttiva 2010/ 64/Ue sul diritto dell’interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali. Con la sentenza n. 26416, pubblicata ieri, la Corte di cassazione si è anche soffermata sulla disciplina precedente il 2 aprile scorso, dato che per il principio di irretroattività delle norme processuali l’obbligo di traduzione scritta non si poteva applicare al caso in oggetto, conclusosi con una sentenza della Corte d’appello di Salerno del luglio 2013. Una vicenda riguardante un cittadino di lingua romena, condannato in secondo grado per furto e possesso di armi, che lamentava la mancata traduzione nella propria lingua della sentenza di primo grado e, in sede di appello, del decreto di citazione, della sentenza e dell’estratto contumaciale. Il punto è che l’imputato avrebbe comunque potuto ottenere la traduzione, purché - attenzione -dietro esplicita richiesta, perchè la giurisprudenza sia della Corte costituzionale sia della Comunità europea da anni ha operato un’estensione dell’obbligo di traduzione degli atti processuali. Da ultimo con la sentenza di Cassazione n. 5846 del 17 dicembre 2012 la quale ha stabilito che "ferma restando l’insussistenza di un obbligo di traduzione della sentenza in via preventiva, a detta traduzione devi farsi obbligatoriamente luogo in presenza di espressa richiesta dell’imputato "alloglotta". Lettere: a proposito degli psicologi "esperti ex art. 80" nelle carceri italiane di Maria Giovanna Medau (ex esperta psicologa nella Casa Circondariale di Cagliari) Ristretti Orizzonti, 20 giugno 2014 La lettera della collega Antonella Lettieri (ex esperta psicologa Opg Montelupo Fiorentino) riapre la "questione carcere" da un punto di vista "interno", per così dire, e spiega, a chi in questi quindici-venti anni, nella classe politica e nell’Amministrazione penitenziaria, non ha capito, ha visto, ma ha capito tardi (cfr. lettera d’addio del dott. Tamburino) cosa succedeva e succede ancora nelle carceri italiane. Andiamo con ordine partendo dalla denuncia della Lettieri: contratti esperti di cui alla circolare del Dap a firma Tamburino dell’12 di giugno 2013.La circolare, dopo 35 anni di ininterrotti rinnovi ai contratti degli esperti ex art. 80 legge 354, dichiarava, senza motivo, chiuso il contratto dei circa 400 esperti operanti nelle carceri italiane al 31 dicembre 2013 e annullate tutte le circolari precedenti relative al loro lavoro. Una più approfondita indagine faceva scoprire che la decisione era motivata da un rilievo della Corte dei conti che, dopo 35 anni, scopriva che il contratto degli esperti si configurava come un contratto da dipendente a tempo determinato, anziché "libero professionale come prevedeva la legge" e che andava cambiato il capitolo delle competenze ( per chi non lo sapesse, le vacazioni degli esperti si trovavano nello stesso capitolo di bilancio delle attività ricreative dei detenuti!). Più precisamente le vacazioni orarie previste per l’intervento dello psicologo o criminologo esperto, facevano il paio con le palline da ping-pong o il calcio balilla per i detenuti. Ciò che sorprende e che ci si sia accorti di questa anomalia dopo 35 anni. La domanda che viene spontanea è se i bilanci dell’Amministrazione penitenziaria siano stati letti con la dovuta attenzione nei decenni precedenti. La presenza delle vacazioni degli esperti con i palloni per attività di svago spiegherebbe la diminuzione delle ore attribuite agli esperti negli ultimi 15 anni, sino a raggiungere la risibile cifra di 8 ore ad esperto nella Casa circondariale di Cagliari nel 2013. Ci auguriamo che almeno i detenuti si siano divertiti di più e abbiano trascorso piacevoli ore di svago, seppure abbiano avuto meno ore di trattamento rieducativo. Unico caso in Italia il titolo di "esperto" (il termine fu usato dal legislatore perché in Italia non esisteva, nel 1975, la facoltà di psicologia negli ordinamenti universitari, né alcun ordine degli psicologi, seppure erano presenti alcune scuole di specializzazione in Psicologia e vari insegnamenti attinenti la psicologia nelle facoltà umanistiche) allora giuridicamente obbligato, comprendeva in sé il riconoscimento della qualità professionale degli operatori necessaria per lavorare in carcere, fu acquisito previo concorso pubblico, nazionale per i più anziani e regionale per i più giovani, viene annullato con una circolare del responsabile del Dap. È come se ad un docente di ruolo togliessero il titolo di professore, ad un medico quello di dottore, e gli si dicesse contemporaneamente: devi rifarlo perché i tuoi titoli sono antecedenti al 2005! Quanti di coloro che oggi occupano posti di responsabilità nel nostro paese, potrebbero mantenere il loro lavoro ? Ebbene, senza che il capo dipartimento se ne accorgesse, almeno così appare dalla sua lettera di addio, nei vari Provveditorati regionali una febbrile, immediata e veloce risposta veniva data alla circolare: si devono bandire nuove selezioni per contratti quadriennali, poi fuori. Il detenuto ergastolano o quello condannato a 20 30 anni, se ha la fortuna di rimanere nello stesso istituto, cambierà almeno 5-6 psicologhe nel corso della sua detenzione, altrimenti farà i colloqui con tutte le esperte dell’amministrazione penitenziaria. I Provveditorati regionali più ligi hanno indetto i bandi e "consigliato" anche ai vecchi esperti di rifare il concorso, non si sa mai !Peccato che nel bando non fosse previsto nessun punteggio per l’esperienza o per titoli, nel frattempo acquisiti negli anni dai vecchi esperti, quali lauree in psicologia o specializzazioni in psicoterapia iscrizioni agli ordini regionali previsti dalla legge, specializzazioni universitarie perché anteriori al 2005, considerato, evidentemente un anno di grazia per selezionare super esperti. In concreto, si rifanno gli elenchi da cui attingere i nuovi esperti, si rottamano i vecchi esperti e largo ai giovani (in)esperti per carceri al passo con i tempi !Le commissioni, come denuncia la dottoressa Lettieri sono state fatte "in famiglia" anche in Sardegna, con funzionari con qualifiche varie, che sono diventati, (in un concorso pubblico dove dovevano essere valutate le capacità professionali di psicologi e criminologi ai quali viene richiesta dalla legge una competenza clinica per fare una diagnosi di personalità e pericolosità sociale), esperti nel valutare capacità professionali complesse, semplicemente chiedendo alcuni articoli dell’Ordinamento penitenziario, perché nessuno, in commissione aveva titolo per chiedere altro, come se un medico venisse valutato per la citazione di articoli della legge sanitaria e non per le sua capacità di fare diagnosi, curare o operare un paziente. Il risultato di tali selezioni è ormai oggetto di denunce nei tribunali. In ogni regione ci sono esperti scomodi che non hanno taciuto di fronte alla realtà delle carceri italiane perché quotidianamente si scontravano con la carenza del personale di custodia stressato da turni massacranti, da ferie non godute, la cui carenza limitava, di fatto, le stesse attività rieducative, esperti che vedevano ridotto e ridimensionato il ruolo dato dalla costituzione e dalla legge: quello di rieducare e risocializzare attraverso un trattamento individualizzato, esperti a cui venivano affidati i casi arrivati ormai, per termini di legge, in prossimità di richiesta di misura alternativa e quindi di obbligo di relazione sull’osservazione, trascurando tutti gli altri, a meno che fossero "fuori di testa". Tutto questo ha reso le carceri italiane invivibili per molti detenuti, sovraffollate per leggi approvate da una classe politica che ha fomentato l’allarme sociale e la conseguente richiesta di leggi severe per i soliti detenuti comuni, per gli emarginati, gli immigrati clandestini i tossicodipendenti, ma molte blande per i propri pari o i colletti bianchi. Spendendo briciole per la prevenzione, a partire dalla scuola. La stessa classe politica così dura e attenta alla sicurezza sociale - ha cancellato o reso risibili le pene per i reati di falso in bilancio o sul conflitto di interessi, della corruzione, di quel familismo amorale nell’assegnazione degli incarichi, del non controllo del buon funzionamento della pubblica amministrazione, mortificando il merito e la competenza e promuovendo gli yes man e le yes women di cui abbonda, purtroppo, la macchina burocratica dello Stato. Non sappiamo se i cambiamenti in atto, oggi, nella Amministrazione penitenziaria sortiranno l’effetto di uno tsunami capace di spazzare via una concezione del carcere, così come si è affermata nell’ultimo quindicennio così poco vicina ai dettami della Costituzione, tanto da mettere il nostro Paese sotto la lente dell’Ue per violazione dei diritti umani. Certamente il cambiamento del carcere si misurerà anche dalla capacità di cambiare l’Italia che il popolo chiede e ci auguriamo veramente che il Ministro Orlando ce la faccia noi (ex)esperti siamo con lui. Lettere: Provenzano è mio padre, ma non posso toccarlo di Angelo Provenzano Il Garantista, 20 giugno 2014 "Il 20 giugno discuteremo, davanti al Tribunale di Sorveglianza di Roma, se è legittimo che Bernardo Provenzano sia ancora ristretto in regime detentivo di 41 bis", scrivono sul Garantista gli avvocati difensori Rosalba Di Gregorio e Maria Brucale. "E se il cattivo non fa più paura? - si chiedono i difensori. Se il suo corpo è immobilizzato da una lunga, gravissima malattia? Se non può più articolare una parola, neppure un pensiero? Se tutte le sue funzioni vitali vengono prodotte da macchine, tubi, sondini? Ha ancora senso tenerlo in un regime carcerario di estreme cautela e afflizione il cui solo senso normativo è impedire al capo di una organizzazione criminale ancora attiva di veicolare ordini o messaggi all’esterno?". Pubblichiamo qui di seguito la pagina di diario di Angelo Provenzano. Siamo al S. Paolo a Milano. Nuova, ennesima, dimensione e realtà. Sono abituato a fare "visite" (non colloqui, perché non interagisce dal gennaio 2013) separato dal letto, con un banco di scuola, ma non posso toccarlo. A Milano (S. Paolo) non c’è il banco fra me ed il letto, come all’ospedale di Parma: c’è il vetro del 41 bis. Ti viene detto che, per portarlo lì, devono staccare la spina del materasso antidecubito: al mio buon cuore far durare la visita mensile anche meno dell’ora prevista. Sono dietro il vetro e gli infermieri lo portano dall’altro lato della stanza. Entrano con lui due guardie del GOM: una a lato del letto, l’altra gli regge la cornetta del citofono. Lo chiamo tante volte, ma non riesco neppure ad attrarre il suo sguardo, perché guarda il soffitto. Io sono osservato e sento, dopo un quarto d’ora di sforzi e di pugni battuti sul vetro (nel tentativo vano di farmi guardare) di essere ormai arrivato. Interrompo il colloquio, dico che va bene così. Rientrano gli infermieri e lo portano via. Poi le guardie mi "liberano", mi aprono la porta. Devo rimuovere, per adesso, tutti il turbinio di emozioni: devo parlare col medico. È un medico diverso da quello di Parma, ma la diagnosi e la prognosi non cambiano. Se lo portiamo fuori dall’ospedale può vivere 48 ore… grazie. Abbiamo parlato di un essere "vivente" solo per tubi, macchine e terapie. Se è così incapace, come è, ho il dovere di tutelarlo. Vengo nominato, dal giudice tutelare di Milano, amministratore di sostegno dell’incapace. Era mio padre! Le mie nuove funzioni (compresa la richiesta di cartella clinica), mi spiega il Gom presente, non potrò esercitarle, se non con il consenso del Ministero. Sono, credo, l’unico Amministratore di sostegno "incapace". Sicilia: intesa Regione-Ministero Giustizia per reinserimento detenuti tossicodipendenti Agi, 20 giugno 2014 Un protocollo d’intesa per promuovere il reinserimento sociale e lavorativo delle persone in esecuzione penale mediante misure alternative al carcere, con particolare attenzione al recupero terapeutico dei tossicodipendenti che necessitano di speciali percorsi riabilitativi e rieducativi. Lo hanno sottoscritto questa mattina, nella sede di via Arenula a Roma, Ministero della Giustizia, Regione Sicilia e Anci Sicilia. L’accordo, firmato dal guardasigilli Andrea Orlando e dall’assessore regionale per la Salute Lucia Borsellino, fa seguito a quelli già siglati con le regioni Campania, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Lazio, Umbria, Puglia, e precede quello analogo che verrà sottoscritto a breve con la Lombardia. Dunque si tratta "dell’ulteriore tappa di un percorso, particolarmente importante per la grande rilevanza della Sicilia per numero di popolazione detenuta", ha sottolineato Orlando, spiegando che la regione "si impegna a definire interventi di potenziamento delle attuali strutture accreditate per programmi residenziali terapeutico-riabilitativi, idonee a ospitare soggetti in misura alternativa alla detenzione o agli arresti domiciliari". Mentre il Ministero, ha continuato il Guardasigilli, "si impegna a individuare i soggetti in esecuzione di pena potenzialmente idonei a essere avviati alle comunità residenziali e a potenziare, tramite progetti condivisi con la regione e gli enti locali e con il contributo della cassa delle Ammende, percorsi di reinserimento e di recupero sociale e lavorativo dei soggetti individuati". Secondo i dati diffusi oggi, la Sicilia conta 6.450 detenuti: 237 sono i tossicodipendenti in affidamento (ma potenzialmente potrebbero essere almeno il doppio), di cui 81 risiedono in comunità. Il protocollo rappresenta "un modello da attuare nei rapporti tra le pubbliche amministrazioni per mettere insieme risorse e sinergie", ha affermato l’assessore Borsellino, parlando di "un intervento che si inserisce nel solco del processo di trasferimento della sanità penitenziaria nel sistema sanitario regionale, per il quale i tempi sono ormai molto ristretti". Anci: accordo significativo e con grandi potenzialità "Un accordo significativo e con grandi potenzialità che assicura un concreto reinserimento sociale e lavorativo dei soggetti reclusi negli istituti penitenziari". Così il presidente di Anci Sicilia, Leoluca Orlando, commenta il protocollo d’intesa, firmato oggi a Roma, tra il ministero della Giustizia, la Regione siciliana e l’Associazione dei comuni siciliani. L’accordo mira al miglioramento delle condizioni del sistema penitenziario regionale e al monitoraggio delle condizioni delle persone recluse negli istituti dell’Isola. L’obiettivo è attuare azioni urgenti a sostegno dei programmi di reinserimento dei detenuti per favorirne l’integrazione nel contesto territoriale di riferimento, migliorando il sistema carcerario. Una particolare attenzione è riservata a quei soggetti che, a causa della loro condizione di tossicodipendenti, necessitano di speciali percorsi riabilitativi, rieducativi e di reinserimento sociale e lavorativo. "Tutto questo nasce dalla piena convinzione - aggiunge Orlando - che il lavoro abbia un ruolo centrale per il percorso riabilitativo dei detenuti e che è proprio attraverso questo impegno che essi sperimentano l’opportunità concreta di individuare percorsi alternativi al crimine". Alla firma del protocollo ha preso parte Luca Cannata, vice presidente vicario dell’Anci Sicilia. Campania: Giunta regionale stanzia 9 milioni di euro per interventi edilizia penitenziaria Corriere dell’Irpinia, 20 giugno 2014 Si è riunita a palazzo Santa Lucia la Giunta regionale della Campania, presieduta da Stefano Caldoro. Su proposta del presidente, sono stati approvati due protocolli di intesa. Il primo, con il ministero dell’Interno, è volto a potenziare e a razionalizzare gli strumenti di prevenzione amministrativa della corruzione e dell’infiltrazione della criminalità organizzata nel settore della bonifiche ambientali in Campania. Il secondo, con il ministero della Giustizia, l’Anci e i Tribunali di Sorveglianza di Napoli e Salerno, punta a migliorare le condizioni del sistema carcerario regionale. A tal fine, per la realizzazione degli interventi di edilizia penitenziaria vengono stanziati 9 milioni di euro. Puglia: "Portami via", progetto Regione-Legambiente per l’inclusione sociale dei detenuti Ansa, 20 giugno 2014 L’ambiente come "risorsa preziosa e terreno su cui far fiorire iniziative volte all’inclusione sociale dei detenuti". È l’idea da cui sono partiti i responsabili dei circoli di Legambiente Puglia d’accordo con l’amministrazione penitenziaria pugliese e la Regione Puglia utilizzando il bando di sostegno a programmi e reti di volontariato nel progetto "Portami via" presentato oggi a Bari. "Ci troviamo oggi dinanzi a una questione ambientale diventata prioritaria e dunque in grado - ha sottolineato Maria Maugeri assessore uscente all’ambiente del Comune di Bari - di far germogliare iniziative anche in luoghi oscuri come le carceri o la stessa Fibronit divenuta a Bari luogo simbolo della rinascita dopo l’inquinamento e tanti lutti". Il progetto "Portami via" infatti ha "messo in rete detenuti, istituzioni e volontari organizzando percorsi formativi incentrati sulle problematiche ambientali connesse ai rifiuti - ha ricordato il responsabile del progetto, Pierluigi Colangelo - per approdare ad una metodologia teatrale ispirata al romanzo "Pane e amianto" del giornalista Giuseppe Armenise". Da questo lavoro infatti è nata la produzione teatrale "Altrove" della regista Alessandra Lanzillotti che verrà rappresentata mercoledì 25 giugno al teatro Bravò di Bari. "In Puglia ci sono 11 istituti di pena con 35mila detenuti per i quali occorre pensare costantemente - ha riferito Rosa Musito della Casa circondariale di Bari - a un lavoro inizialmente intramurario che porti a percorsi graduali di inserimento esterno". Tra questi ci sono ad esempio i lavori di pubblica utilità come quelli per la manutenzione di alcuni giardini avviati d’intesa con il Comune di Bari. "L’importante è che - ha concluso il responsabile dell’area trattamento della Casa circondariale di Bari, Tommaso Minervini - si crei al di fuori delle mura delle carceri un tessuto che incontri i disagi del di dentro". Sardegna: Fdi-An; detenuto con ictus trasferito in ospedale in condizioni sicurezza Adnkronos, 20 giugno 2014 "Prima di lanciare accuse che infangano l’operato e la figura degli agenti di Polizia Penitenziaria bisognerebbe pensarci due volte e approfondire la realtà dei fatti anche coi diretti interessati, ricordando che si sta tratta di rappresentanti dello Stato chiamati ad operare in situazione di pericolo costante e non sempre adeguatamente supportati dallo stesso Stato". Lo affermano dichiarano Paolo Truzzu e Salvatore Deidda, rispettivamente consigliere regionale e coordinatore di Fdi-An in Sardegna in seguito al caso sollevato ieri dal Presidente dell’Associazione Socialismo Diritti Riforme (Sdr), Maria Grazia Caligaris, sul detenuto colpito da ictus nel carcere di Oristano-Massama e trasferito in ospedale in un furgone della Polizia Penitenziaria. "Il caso denunciato da Sdr pone sicuramente in risalto la questione della sanità penitenziaria e più in generale delle carceri in Sardegna, dove il mancato avvio della struttura di Uta (Ca) ha inevitabili ripercussioni su tutto il territorio regionale, con carcere sovraffollate, in procinto di esplodere e invivibili per operatori e detenuti", spiegano Truzzu e Deidda, che nella questione specifica precisano "che gli agenti di polizia penitenziaria hanno operato con professionalità, non facendo mancare di certo le cure e l’assistenza dovuta al detenuto che, va sottolineato, è un detenuto del reparto di alta sicurezza, quindi giudicato pericoloso e con alto pericolo di evasione". "Agli agenti di polizia penitenziaria, al Direttore dell’Istituto e agli operatori va la nostra solidarietà e il nostro sostegno con l’impegno di affrontare complessivamente la questione della sanità penitenziaria, per il vero rispetto tanto dei diritti di chi in carcere lavora, quanto di chi deve espiare la propria condanna", concludono gli esponenti sardi di Fdi-An. Lodi: ispezione Consiglieri regionali in carcere "una struttura pulita, dove si lavora…" di Davide Cagnola Il Cittadino, 20 giugno 2014 Tre consiglieri del Pirellone hanno visitato i reparti assieme alla, direttrice: "Vengono promosse molte. attività che coinvolgono i detenuti". Grande attenzione al lavoro e al reinserimento dei detenuti nella società. Questo hanno trovato nella casa circondariale di Lodi i tre consiglieri regionali che ieri, quali membri della commissione speciale sulla situazione carceraria in Lombardia, hanno visitato il carcere di via Cagnola. Accompagnati dalla direttrice Stefania Mussio e dal comandante della polizia penitenziaria Me-lania Manin hanno ispezionato vari reparti con un occhio di ri7 guardo in particolare proprio al lavoro e alla situazione igienica. "La struttura è vecchia e con spazi limitati, eppure sono riusciti con l’aiuto delle associazioni, dei volontari e della polizia penitenziaria a creare un ambiente molto vario e quasi "familiare" in cui è più facile il recupero dei detenuti" ha detto il presidente della commissione Fabio Fanetti, del gruppo Maroni presidente, che si è presentato a Lodi con i consiglieri Fabio Pizzul e Paola Macchi. "Siamo andati a visitare anche la cucina -aggiunge quest’ultima, eletta in Regione con il Movimento 5 Stelle - e abbiamo assaggiato i dolci che preparano. Quello che ci ha colpito è che nel complesso tanti detenuti erano in attività, Altrove c’è capitato spesso di vederli "ciondolare" senza fare nulla, invece qui c’era chi cucinava, chi utilizzava la palestra, chi si prendeva cura dei cani, mentre molti erano fuori per attività lavorative all’esterno. In cucina un uomo ci ha detto che era la prima volta in vita sua che lavorava, e non era nemmeno giovanissimo. Questo penso sia Untolo del carcere, proporre un altro stile di vita a chi è detenuto". Ha poi aggiunto Fabio Pizzul del Pd: "Sono rimasto molto colpito dal forte legame con il territorio. Non è una struttura isolata, alcune zone sono state realizzate con il contributo di associazioni ed enti che hanno partecipato attivamente". I consiglieri regionali non sono entrati nel merito della contestazione in corso alla direttrice da parte dei sindacati della polizia penitenziaria, che ne hanno chiesto la rimozione. Di quello si occupa il ministero della Giustizia e l’apposito dipartimento. Per quanto riguarda il sovraffollamento, infine, la situazione sembrerebbe tornata sotto controllo con il numero di detenuti tornato a quota 80 (solo pochi mesi fa erano circa 120). "L’apertura di due nuove sezioni a Pavia e Cremona ha permesso di trasferire i detenuti in eccesso e così i numeri sono tornati sotto controllo" conclude Fabio Fanetti. La situazione più critica, ha aggiunto, è quella relativa al personale ridotto della polizia penitenziaria, ma quello è un tema che riguarda tutti i penitenziari italiani". I cani regalati al carcere? stanno benissimo, di Silvia Canevara "Non esiste nessun tipo di emergenza: i cani del carcere stanno bene e vivono tranquillamente in compagnia dei detenuti". Flavio Bonvicini, il medico veterinario che ha in cura le due femmine di labrador "adottate" dalla Casa circondariale di Lodi, interviene dopo le dichiarazioni del coordinamento dei sindacati che in diverse occasioni aveva definito "inadatte" le condizioni di vita dei due cani, evidenziando "problemi di igiene, sicurezza e inadeguatezza del luogo". Un quadro che secondo Bonvicini non corrisponde alla realtà dei fatti "Seguo questi cani da quando erano cuccioli e nonostante vivano in un contesto particolare non ho mai riscontrato carenze igieniche, malnutrizione o altri indici di incuria. Anche dal punto di vista psicologico li ho sempre trovati sereni: trascorrono la giornata insieme ai detenuti, che sono molto scrupolosi nell’accudirli e non mancano mai di domandarmi consigli su alimentazione e cura del mantello". I cani vengono fatti sporcare in un’area apposita, sgambettano attorno al muro di cinta, mentre dalle sette di sera alle sette di mattina dormono in un ricovero separalo dai corridoi del carcere. Nei giorni di mercato accompagnano in piazza i detenuti incaricati dì vendere i dolci preparati in carcere. Distinguerle non è facile: stessa età (tre anni e mezzo), stessa mole robusta (sono entrambe sterilizzate), si differenziano solo perché il mantello di una, Lara, è di un color miele leggermente più chiaro di quello dell’altra, che si chiama Lola. "Di norma incontro i cani due volte all’anno - continua Bonvicini - ma anche nelle visite "a sorpresa" ho sempre trovato una situazione tranquilla, direi gioviale. I Labrador sono cani con una socialità molto spiccata, vivere tutto il giorno tra le attenzioni di un gruppo di persone, anche se in un ambiente ristretto, rappresenta per loro un importante. fattore di benessere. In questo senso sarebbe sicuramente peggio tenerli in un grande giardino, lasciandoli però da soli per tutto il giorno". Un’impressione confermata anche dall’ultima visita, in cui è emerso solo un problema, di uno due cani, che viene monitorato costantemente. "Nel carcere di Lodi non esiste nessuna emergenza - conclude Bonvicini - né di carattere igienico, né sanitario". Biella: gli insegnanti del carcere in rivolta "no al trasferimento degli studenti-detenuti" di Francesca Fossati La Stampa, 20 giugno 2014 Il consiglio di classe della III H del liceo artistico, istituita al carcere di Biella, farà appello anche a Papa Bergoglio per scongiurare il trasferimento dei detenuti della sezione di massima sicurezza annunciato ed iniziato negli ultimi giorni. Con esso, infatti, la classe formata da 11 detenuti dai 47 anni in su viene automaticamente smantellata e si cancella il progetto partito nel 2011 per volontà della preside Maria Addolorata Ragone, della direttrice della casa circondariale Antonella Giordano e dell’ex provveditore agli studi Piergiorgio Giannone. "Tra 2 anni gli alunni avrebbero potuto diplomarsi - dice Daniela Casaccio, portavoce del consiglio di classe. Dubitiamo che in altre carceri italiane esistano progetti simili e che i detenuti possano terminare il percorso iniziato che è stato un’occasione di crescita e di riscatto per ricostruire la propria vita dopo gli errori commessi". Il consiglio di classe, composto da Ragone, Casaccio e dai professori Denise De Rocco, Elena Maffei, Ilaria Serventi, Sara Di Stefano, Giuditta Rezza, Loredana Torello, Fabio Pirola e Ignazio La Bua, domani invierà una lettera alla Prefettura, al sindaco Cavicchioli, alla senatrice Favero, al vescovo Mana e pure al Papa affinché la giustizia rivaluti la questione. Per garantire continuità al percorso di studi e per evitare uno spreco di risorse umane e finanziarie furono ammessi i detenuti di massima sicurezza (date le loro lunghe pene). "C’è stato un cambiamento positivo, culturale e personale, negli alunni - scrivono gli insegnanti: tutti si sono impegnati con costanza e passione in tutte le materie e hanno realizzato opere notevoli, come un pannello con i personaggi Disney che sarà esposto nel locale dove i bambini fanno visita ai parenti carcerati e un albero di Natale fatto con materiale di riciclo ispirandosi alla filosofia del Terzo Paradiso dell’artista Michelangelo Pistoletto che in una lezione ha proposto alla classe di costruire giocattoli per la Pediatria del nuovo ospedale". Per alcuni insegnanti, poi, c’è il rischio di perdere il lavoro. Spoleto: Sindacato Fsi; detenuti in regime di 41bis al pronto soccorso, rischio sicurezza di Mario Bruni www.tuttoggi.info, 20 giugno 2014 La Federazione Sindacati Indipendenti di Spoleto rende noto come accada sempre con maggiore frequenza, l’ultimo nei giorni scorsi, l’accesso di detenuti in regime carcerario di 41bis al reparto di pronto soccorso dell’ospedale di Spoleto. Questi pazienti, sottoposti al cosiddetto "carcere duro" per i gravi reati di cui si sono resi responsabili, arrivano in pronto soccorso scortati delle forze dell’ordine armate di mitra e giubbotti antiproiettile e rimangono in osservazione diverse ore negli ambulatori in attesa di ricovero. La Federazione Sindacati Indipendenti di Spoleto ritiene che tutto ciò comporti un grave rischio per l’incolumità sia dei cittadini che si trovano in questi frangenti in pronto soccorso sia per il personale ospedaliero. Se infatti gli agenti di scorta sono così ben equipaggiati non è certo solo un vezzo, ma per il rischio di possibili conflitti a fuoco che potrebbero derivare ad esempio da una evasione. Esiste nel padiglione chirurgico una stanza d’isolamento apposita per i detenuti, separata dal resto della comunità, e la Federazione dei Sindacati Indipendenti di Spoleto ritiene che sia quello il posto dove questi pazienti debbano transitare per ricevere le prime cure. Ciò oltre a garantire la sicurezza di tutti eviterebbe ad utenti ed operatori i disagi derivanti dallo stazionamento di tante persone nel reparto e lo spettacolo di tutti quei mitra. Venezia: Uil-Pa denuncia; pane per i detenuti lasciato nel cortile in balia dei piccioni Tm News, 20 giugno 2014 Il pane destinato al consumo dei detenuti lasciato in balia dei piccioni. Accade davanti al carcere di Venezia e a denunciarlo è il segretario generale della Uil-Pa penitenziari, Eugenio Sarno. "Sarà anche vero che il sistema penitenziario italiano è oberato da una serie di criticità che ne minano l’efficienza. Ed è certo che l’impegno del ministro, dell’amministrazione penitenziaria e di questa organizzazione sindacale sta contribuendo a riportare nei parametri richiesti dalla Cedu la situazione della vivibilità penitenziaria. Ma, come da tempo ripetiamo - spiega Sarno - molto, ma proprio molto, occorre ancora fare per stimolare molti dirigenti periferici a gestire con oculatezza, responsabilità e competenza anche le minime questioni per cui non serve essere ne grandi giuristi ne impeccabili manager. Quello che abbiamo documentato a Venezia è scandaloso ed è testimonianza di una superficialità che va immediatamente corretta". "Le foto parlano da sole - aggiunge Sarno - Non ho commenti da aggiungere se non auspicare che le competenti autorità sanitarie ed amministrative facciano piena luce sull’accaduto e decidano di individuare eventuali le responsabilità. Pur essendo profano in materia ornitologica e medica - conclude sarcasticamente Eugenio Sarno - credo che l’esposizione del pane alle scorribande piccionaie mal si concili con i criteri minimi di igiene. Pertanto il minimo che possiamo attenderci dopo questa pubblica denuncia è che tali episodi non abbiano più a ripetersi e che all’interno della Casa Circondariale si possa distribuire e consumare pane non contaminato da volatili con a seguito carico di pulci, zecche e deiezioni". Benevento: rissa in carcere tra detenuti casalesi e clan partenopei, feriti anche due agenti www.ntr24.tv, 20 giugno 2014 Rissa al carcere di contrada Capodimonte, a Benevento, tra detenuti casertani appartenenti al clan dei Casalesi e altri di origine partenopea con reati di associazione di stampo camorristico. L’episodio di violenza, denunciato dalla segreteria provinciale del Sinappe, è avvenuto ieri pomeriggio. Secondo quanto si apprende, gli affiliati delle due organizzazioni criminali rivali si sono affrontati nel tentativo di imporre la loro leadership all’interno del casa circondariale sannita. Solo l’intervento tempestivo e determinato degli agenti presenti - spiega il sindacato di polizia penitenziaria - ha ripristinato con non poca difficoltà l’ordine e sicurezza. Secondo quanto si apprende, la colluttazione sarebbe nata dopo uno scambio di offese tra due detenuti prima del colloquio con i familiari. A scatenare l’ira di un carcerato napoletano sarebbe stato il ritardo con il quale si sarebbe presentato l’altro recluso ai cancelli del braccio, ritardando così l’uscita di tutti dalla sezione. La rissa si sarebbe poi concretizzata successivamente durante l’ora d’aria, quando i due sarebbero venuti alle mani coinvolgendo gli affiliati. Tempestivo l’intervento delle guardie che hanno riportato la calma all’interno dell’istituto penitenziario. Due agenti, però, hanno dovuto ricorrere alle cure dei medici per lesioni ed escoriazioni riportate nello scontro. Uno dei due avrebbe anche urtato con il collo contro le sbarre di ferro che delimitano l’area. "Ancora una volta - scrive il sindacato - si registrano fatti gravissimi all’interno della struttura penitenziaria sannita in concomitanza di operazioni di servizio in cui la presenza numerica dei detenuti è nettamente superiore alla presenza degli operatori penitenziari. Cosa già segnalata in precedenza da questa organizzazione. La carenza di personale e la mancanza di strumenti atti a prevenire e impedire simili episodi - continua la sigla - fa sì che chi lavora all’interno delle sezioni detentive è esposto quotidianamente a gravi rischi di incolumità personale. Il Sinappe - conclude il comunicato - chiede a gran voce alla Direzione di intervenire in maniera decisa e risolutiva, inoltre esprime la propria solidarietà e il proprio sostegno al personale di Polizia Penitenziaria coinvolto, augurando una pronta guarigione. I baschi azzurri hanno dimostrato ancora una volta competenza e coraggio nella gestione di eventi critici che compromettono la sicurezza dell’Istituto". Sassari: carcere nuovo con problemi vecchi, pochi agenti e 4 educatori per 340 detenuti di Vincenzo Garofalo La Nuova Sardegna, 20 giugno 2014 Quattro educatori per 340 detenuti, numero di agenti insufficiente, celle a due letti trasformate in stanze a tre posti, pochi assistenti sociali rispetto alle necessità, strutture ancora incomplete. Il carcere di Bancali sarà nuovo e sicuramente migliore della vecchia galera di San Sebastiano, ma presenta numerosi peccati originali che rendono inumana la vita dei prigionieri. A passare ai raggi x il nuovo istituto di pena sassarese sono Cecilia Sechi, Garante dei diritti delle persone private della libertà, Giuseppe Conti, vicepresidente delle Camere penali italiane, Gabriele Satta e Maria Claudia Pinna, della Camera penale "Enzo Tortora" di Sassari. Partendo dall’analisi della sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che un anno fa ha condannato lo Stato italiano per le condizioni della maggior parte delle carceri, i quattro addetti ai lavori evidenziano i problemi del sistema carcerario e suggeriscono come unica e vera soluzione concreta l’applicazione di uno o più provvedimenti di clemenza. "Siamo molto preoccupati per le condizioni dei detenuti - spiega Cecilia Sechi - la struttura di Bancali non è peggio delle altre, ma di sicuro ha il vantaggio di essere una costruzione nuova". Ma per i detenuti e per il personale che lavora all’interno dell’istituto, Bancali resta tutt’altro che un luogo sereno. "Su 340 detenuti, ci sono oltre cento persone in attesa di giudizio. 227 sono condannati in maniera definitiva, 57 sono in attesa del giudizio di primo grado, 15 sono ricorrenti, 16 appellanti e poi ci sono 27 cosiddetti giovani adulti (tra i 18 e 21 anni) - continua Sechi - Gli agenti penitenziari sono oberati di lavoro e devono svolgere anche compiti non loro per sopperire alla carenza di altre figure professionali. Ci sono solo quattro educatori, lo stesso numero che era in servizio a San Sebastiano. Solo che nel vecchio carcere c’erano 180 detenuti, a Bancali il doppio". Carenze che si ripercuotono sui detenuti. "Questo Governo ha inaugurato un cambio di marcia e perlomeno ha dimostrato la volontà di voler affrontare il problema carceri. Ma in Italia siamo lontani da un sistema che tuteli i diritti dell’uomo. Servono provvedimenti di clemenza, atti di coraggio politico che alleggeriscano l’enorme peso che grava sulle carceri", spiegano Conti, Satta e Pinna. "Dopo la sentenza Torreggiani, quest’anno il Consiglio d’Europa sui diritti dell’uomo non ha sanzionato l’Italia, non è stata promossa ma rimandata al 2015. Nel frattempo ci sono 4mila cause pendenti a Strasburgo, denunce di detenuti privati dei loro diritti nelle prigioni italiane". Genova: 24enne evade da carcere Marassi dopo permesso premio, ma viene ri-arrestato www.genova.ogginotizie.it, 20 giugno 2014 Non aveva più fatto rientro in carcere da un permesso premio. Ma la Polizia lo ha subito rintracciato e ricondotto in cella. Un 24enne ecuadoriano, detenuto presso la Casa Circondariale di Marassi, è stato così arrestato ieri sera, era già stato identificato dai poliziotti i del Commissariato la sera prima, nel corso di un controllo degli avventori di un bar di Piazza Vittorio Veneto, a Sampierdarena. In quella circostanza lo stesso, sprovvisto di documenti, era stato accompagnato in Questura dagli agenti che, tramite l’Ufficio Matricola della prigione, avevano accertato la regolarità del permesso, che sarebbe scaduto la mattina seguente. Ieri mattina personale dell’Ufficio Matricola ha comunicato che il detenuto non aveva fatto rientro in carcere. Immediatamente personale del Commissariato si è attivato per rintracciare il giovane. Dopo aver accertato che non si trovava più presso l’abitazione dei genitori, gli investigatori, attraverso una laboriosa attività d’indagine, sono riusciti a risalire all’identità di un connazionale 17enne, in compagnia del quale nel pomeriggio era stato visto l’evaso. Ieri sera gli agenti si sono recati presso l’abitazione del minore, al cui interno hanno sorpreso l’evaso. Quest’ultimo, vistosi scoperto, ha cercato, in un ultimo tentativo di fuga, di chiudersi nel bagno, ma è stato raggiunto e bloccato. Arrestato per il reato di evasione, il 24enne è stato condotto presso le camere di sicurezza della Questura, in attesa del processo per direttissima di oggi. Cosenza: il Papa a Cassano Ionio; l’emozione dei detenuti di Castrovillari, grande evento Ansa, 20 giugno 2014 C’è grande emozione tra i detenuti del carcere di Castrovillari che attendono l’arrivo di Papa Francesco. Nell’istituto penitenziario fervono i preparativi per la visita di sabato mattina e c’è grande ansia per le parole che Papa Francesco pronuncerà durante il suo discorso. La visita vedrà due distinti momenti. Il Papa vedrà, in una visita strettamente privata, prima il personale impiegato nel carcere e le loro famiglie e successivamente incontrerà i detenuti. Ad accogliere il Pontefice ci saranno due bambini. I detenuti sono ansiosi di incontrare Papa Francesco e di ascoltare le sue parole. La visita di sabato è considerata da tutti i detenuti un grande evento al quale si stanno preparando con grande attenzione. L’istituto penitenziario di Castrovillari è stato ultimato nel 1984 ed è entrato in funzione nel 1995, ha una capienza di circa 140 posti ma ospita, secondo i dati forniti nel 2013 dai sindacati della polizia penitenziaria, oltre 220 persone. Il carcere è collocato al di fuori del centro abitato. Ospita detenuti di sesso sia maschile che femminile. Il settore femminile è collocato in un palazzina che si articola su tre livelli mentre in una palazzina distinta si colloca il maschile, articolata sempre su tre piani. Nell’Istituto sono presenti i corsi per il conseguimento della licenza elementare, media inferiore e superiore (alberghiero e ragioneria). L’appello della mamma di Cocò a Papa Francesco "Santità, mi incontri. Voglio vedere i suoi occhi: è un desiderio forte, che mi nasce dal cuore". È l’appello che lancia Antonia Iannicelli, la madre del piccolo Cocò, il bambino di tre anni di Cassano all’Ionio ucciso e bruciato insieme al nonno ed alla compagna di quest’ultimo, in vista della visita del Pontefice sabato in Calabria. A riferire all’Adnkronos le parole della donna è Franco Corbelli, leader del Movimento Diritti Civili: "Ho sentito la mamma di Cocò, ospite ora di una casa famiglia gestita dalle suore -spiega- e dal profondo del cuore mi ha detto il desiderio di poter incontrare sabato papa Francesco". "Anch’io -ha aggiunto- sono un essere umano. Voglio vederlo, anche solo per stringergli la mano e ringraziarlo per quello che ha detto all’Angelus subito dopo la morte del nostro bambino". "Il Santo Padre - ha detto ancora Antonia Iannicelli - andrà nel carcere di Castrovillari a incontrare i detenuti. Sicuramente vedrà mio marito (Nicola Campolongo, ndr) e mia madre, che sono lì. Anch’io sono detenuta ai domiciliari, e chiedo di poter incontrare il Papa. Aspetto che possa arrivare, anche all’ultimo minuto, l’autorizzazione del giudice, e andare nel carcere di Castrovillari". Arezzo: gli scout a contatto con i detenuti del carcere, per "liberare il futuro" www.arezzotv.net, 20 giugno 2014 È prepotente la voglia di integrarsi con la città e con il territorio del carcere di Arezzo e di tutti coloro che operano e vivono al suo interno. Una voglia che adesso hanno toccato con mano anche gli scout aretini dell’ Agesci che grazie ad un progetto a livello nazionale in 27 si sono confrontati con i detenuti aretini sull’importanza di liberare il futuro dai pregiudizi. Un percorso reso possibile anche grazie alla preziosa collaborazione della polizia penitenziaria aretina e degli operatori che lavorano all’interno dell’Istituto. Al termine del progetto i ragazzi hanno regalato una pianta che simboleggia l’importanza di prendersi cura dell’uomo, piuttosto che del detenuto, e dall’altra parte il coraggio di voler credere che dopo un errore si può tornare a sperare in un futuro migliore. La conferenza stampa è stata anche l’occasione per puntare i riflettori a tutto tondo sulla realtà della Casa Circondariale San Benedetto di Arezzo. "Arezzo è stata ed è all’avanguardia su progetti di integrazione e che garantiscono un alto livello di umanità - ha detto il direttore Paolo Basco ad Arezzo dal 1993 - in questi vent’anni alla dirigenza dell’Istituto penitenziario aretino ho avuto ed ho una "mission", distruggere il pregiudizio e fare dell’umanità una prerogativa che fa parte della vita carceraria non solo per obbligo di legge". La vera sfida che si percepisce chiaramente è riportare giustizia sociale con la "G" maiuscola fuori dalle mura del carcere, affinché coloro che vivono condizioni precarie ed al margine non siano indotti a delinquere. Busto Arsizio: Uisp; "Fuggi… fuggi" torna la corsa in carcere per abbattere l’indifferenza www.varesenews.it, 20 giugno 2014 60 detenuti e 20 atleti professionisti hanno corso insieme per abbattere la distanza tra carcere e città. "Un successo - spiegano gli organizzatori - che ora cercheremo di proporre più spesso". Correre insieme, detenuti e runners, per abbattere del muro dell’indifferenza, per far sì che il carcere diventi davvero parte della città e sia più facile il ritorno in società a fine pena: è lo spirito di "Vivicittà 2014: Fuggi… fuggi!", che si è svolta martedì pomeriggio nel carcere di Busto Arsizio. La manifestazione è stata organizzata dal comitato provinciale Uisp Varese, in collaborazione con la Casa Circondariale di Busto Arsizio, e la lega atletica Uisp, rappresentata dall’associazione sportiva Pro Patria A.R.C Busto Arsizio e dall’A.S.D Run & Travel e con la sentita partecipazione del Comune. Una sessantina i detenuti che hanno voluto partecipare alla manifestazione, che quest’anno ha raddoppiato: una staffetta a sei per quattro squadre miste, composte da detenuti e atleti esterni, e una gara individuale di resistenza. Il tutto all’interno del perimetro del carcere, su un percorso di massimo tre chilometri per la gara di resistenza. "La doppia gara ha permesso a più detenuti di partecipare - spiega la responsabile Uisp del progetto, Alessandra Pessina - insieme a sempre più atleti esterni, quest’anno una ventina. Ed è proprio questo lo spirito di Vivicittà: abbattere simbolicamente, almeno per un giorno, i muri del carcere e quelli che il carcere crea: la diffidenza, l’indifferenza e il rifiuto che spesso gli ex detenuti si trovano a dover affrontare una volta scontata la pena". Un appuntamento sempre più atteso dai detenuti, che hanno chiesto esplicitamente di anticipare il più possibile la manifestazione: perché correre accanto ad atleti non detenuti dà loro modo di interagire con il mondo esterno, sentendosi ancora parte di esso. Come se, almeno per il tempo della corsa, fossero ancora uomini liberi. "In più, sottolinea Pessina, la corsa diventa un momento di incontro fondamentale: quando i detenuti avranno finito di scontare la pena troveranno una città che, sono sicura, da oggi è un po’ più pronta ad accoglierli". Il successo è stato tale che, insieme alla direzione del carcere, Uisp Varese sta valutando come migliorare ed ampliare le attività sportive all’interno delle due carceri del territorio provinciale, permettendo magari anche in altre occasioni dell’anno l’interscambio tra i detenuti e gli atleti delle realtà sportive locali, soprattutto con quelle targate Uisp, grazie ai valori di fair play e di inclusione sociale che caratterizzano l’associazione. Alla fine della manifestazione, sono state premiate le squadre giunte prima, seconda e terza nella staffetta, e i primi tre atleti della gara di resistenza. Agli altri, invece, un premio di consolazione. Anche nell’edizione 2014, i premi sono stati cesti di prodotti equi e solidali e delle cooperative di Libera Terra: più che una medaglia, un premio da poter condividere con i compagni. Bologna: i detenuti autori della Dozza e la libertà ritrovata nelle parole di Alberto Sebastiani La Repubblica, 20 giugno 2014 Cento carcerati si sono raccontati in versi, lettere e altre narrazioni. Ieri la premiazione del concorso. Versi che raccontano suoni, rumori e voci di una notte in carcere, dove "solo il soffitto posso fissare", o il sogno di diventare gabbiani verso nuovi orizzonti, o l’emozione per il canto di un uccello là fuori, dove per altri è la donna che non si riesce a dimenticare, o la figlia, il cui nome è da scrivere perché resti eternamente, "un nome che scalda", come la casa colombiana dell’infanzia nella "foresta del mio cuore". Versi anche in arabo (tradotti per la lettura) e in napoletano, come quelli che raccontano la velocità con cui passano le due ore del colloquio e quanto invece sia lungo il tempo dell’attesa del successivo. Un racconto emozionante con una lingua che strappa il sorriso commosso di alcune guardie, discrete ai lati della sala. Sono 119 i detenuti che si sono messi a nudo raccontandosi nelle poesie, nei racconti, nelle lettere alla madre e nelle riflessioni scritte del concorso "Parole in libertà". È il concorso di scritture libere voluto da Ausilio Cultura, con il coinvolgimento di Coop Adriatica, della Polizia penitenziaria, dei mediatori culturali, degli insegnanti del carcere e di Alessandro Bergonzoni. Gli autori sarebbero in tutto 119 persone (30 del Penale, 72 del Giudiziario, 17 del Femminile), ma ieri mattina solo alcuni hanno partecipato alla premiazione, uguale per tutti, con generi alimentari e per l’igiene personale. E solo una piccola parte dei 170 testi presentati è stata letta, alcuni dagli autori, altri dal volontario Claudio Merighi. Napoletano è anche l’autore del testo dedicato a Eluana Englaro e alla questione dell’eutanasia, con una persona che s’immagina in fin di vita e continua a trovare pro e contro a far staccare la spina e a perseverare nella speranza della possibilità, anche se "ho paura del dolore e non ho più la forza di combattere". C’è anche, tra loro, chi ha scritto per ringraziare. Perché se prima apriva la finestra per cercare aria, guardare fuori e cercare oltre il muro palazzi, alberi, vita sempre altrove, ora, con la scuola, con le insegnanti, riesce a vedere le cose belle vicine, e imparare "ti fa sentire libero". L’ultima parte però non riesce a leggerla, si emoziona, non piange ma non ce la fa più. Finisce Gian Piero Marra di Ausilio Cultura, mentre lui scende e torna al suo posto. E non è l’unico. Quasi piangono alcuni, e i primi a sostenerli con un applauso di solidarietà sono i loro compagni. Quelle parole sono i sentimenti di molti, e quindi anche le stesse lacrime. E un momento di intimità, ricco. Di libertà. Ecco perché la direttrice Claudia Clementi, aprendo la festa, dice che "la scrittura è uno strumento che aiuta", perché, come dice una poesia di Bergonzoni: "Chiudilo pure in gabbia,/ ma è grande,/ e le punte usciranno sempre./ Se l’uomo è stella". E Bergonzoni è d’accordo con lei, ma fa un passo oltre: "Qui ci commuoviamo, ma dobbiamo parlarne fuori da qui, di queste notti e delle foreste del cuore. Perché, se si scrive, si pensa e si produce energia, che va fatta conoscere all’esterno, portata dove si fatica a legare essere umano e coercizione". Lucera (Fg): partecipazione detenuti a laboratorio "Una famiglia di Pinocchi" www.statoquotidiano.it, 20 giugno 2014 "L’Associazione di Volontariato "Lavori in corso", a conclusione del laboratorio teatrale tenuto all’ interno della casa circondariale di Lucera dai volontari Marco Terenzio Barbaro e Anna Lisa Vespa, presenta lo spettacolo teatrale "Una Famiglia di Pinocchi - il più ricco di loro faceva l’elemosina", di Marco Terenzio Barbaro che si terrà nel cortile dell’istituto penitenziario di Lucera, giovedì 26 giugno 2014, alle ore 17. Lo spettacolo teatrale, progettato e organizzato dall’associazione "Lavori in corso", rivisita il Pinocchio di Collodi in chiave moderna creando similitudini e toccando tematiche molto vicine all’ ambiente carcerario e alle storie dei detenuti. L’ animazione teatrale è una straordinaria messa in scena che permette ai detenuti che hanno partecipato al laboratorio, di rileggere se stessi, i propri conflitti, drammi e fantasie. Il clima che si respira è abbastanza particolare; c’è il senso del riunirsi e raccontare di sé. I teatranti raccontano esperienze che vanno oltre la macchina scenica e il desiderio di esibirsi. È un’occasione per comunicare al di fuori delle regole e degli spazi precostituiti ed è una opportunità per sentire l’altro oltre la convenzione. Vengono fuori così argomenti che nessuno ha mai voluto ascoltare o che molti hanno solo sfiorato. Il progetto teatrale si avvale dell’apporto di Luca di Pierno che ha collaborato alla scrittura del testo e di Walter Diga che firmerà le foto di scena. Aiuto regia: Anna Lisa Vespa e Tonia Lepore. Libri: "Il nostro mondo scritto", dal carcere di Bollate una nuova antologia poetica Ansa, 20 giugno 2014 C’è il poeta che non aveva mai avuto paura di nulla, se non della tenerezza, e la poetessa Teresa Barboni che contempla la vita nella sua pienezza, fin dalla nascita, "a mani vuote": sono due delle tanti voci che compongono l’antologia poetica "Il nostro mondo scritto", realizzata dai detenuti del carcere milanese di Bollate. Grazie alla meritoria opera di Maddalena Capalbi, Anna Maria Carpi e Paolo Barbieri da qualche anno nella casa di reclusione di Bollate si tiene un laboratorio di poesia che, oltre a contribuire all’arricchimento culturale dei detenuti, ha permesso di scoprire anche qualche talento poetico di buon livello. Lo scorso anno l’antologia di poesie si intitolava "Quell’azzurro che non comprendo", quest’anno "Il nostro mondo scritto": titoli evocativi, dell’universo visto dalla prospettiva di chi è privo della libertà momentaneamente e proprio per questo la ricerca nelle parole e nelle immagini, con un sete profonda. Come quella di Carlo Bussetti che scrive "Acqua pura disseta l’arsura/del deserto in cui vivo..." o come Karim Chari che in Sono stanco del silenzio scrive:"..sono condannato/a tenere l’amore/dentro la scatola del cuore/e questo mi fa impazzire". Paolo Agrati, uno dei poeti dell’antologia, vincitore del concorso ‘La poesia del lavorò, racconta nel suo "Lazzarone" che "Ogni mattina/quando mi affacciavo alla finestra di casa/vedevo una lunga coda di camion e auto: uomini e donne/che andavano a lavorare/quel lavoro che non ho mai voluto fare/ed è per questo che andavo a rubare". Voci poetiche di varia natura e qualità ma unite dalla voglia di imparare dai poeti che stanno fuori un nuovo modo di esprimere le emozioni, di sollevare un poco il peso che opprime il cuore di ogni essere umano. L’antologia, edita da La Vita Felice e con una prefazione di Cecilia Strada, verrà presentata sabato a Milano, alle 15, in Corso Garibaldi 27. Libri: "L’Ottavo Cancello", le verità scomode di un ex medico del carcere di San Vittore www.varesenews.it, 20 giugno 2014 Un ex medico di San Vittore racconta la propria storia all’autore. Una vicenda disarmante che lo vede protagonista di un inganno perpetrato dallo Stato nei suoi confronti, una messinscena mirata a escluderlo dal proprio ruolo di medico amato dai detenuti, perché chiunque ha il diritto di essere curato, e non lasciato morire in cella o addirittura eliminato con "discrezione". È la storia vera non di un eroe, ma semplicemente quella di un uomo giusto, che desiderava venissero garantiti a tutti i diritti sanciti dalla Costituzione, incastrato solo perché si era messo di traverso rispetto ai consolidati meccanismi del potere. Incarcerato per due mesi, sospeso dalla professione medica al culmine della carriera, per sopravvivere si vede costretto a ricorrere al proprio talento naturale per la musica, diventando pianista di piano bar o suonando in gruppo con altri musicisti in locali jazz e feste della borghesia. L’odissea giudiziaria si trascina per quasi un decennio (si scoprirà che una "manina" al Palazzo di Giustizia era solita insabbiare sistematicamente il suo fascicolo) quando, poco prima della prescrizione, si verifica una circostanza tale che preluderà a un "happy end" della vicenda. Sincronicità o semplice coincidenza? D’altronde la prescrizione, se da un lato avrebbe portato all’archiviazione del suo caso, dall’altro non gli avrebbe consentito di dimostrare la sua innocenza e di essere completamente "ripulito" dall’onta di ogni sospetto. In molti degli episodi narrati emerge, sin dal dopoguerra, la questione tuttora irrisolta delle condizioni disastrose in cui vivono la maggior parte dei detenuti nelle carceri italiane. Un dialogo scorrevole, ma pregno di verità, ricco di aneddoti originali su personaggi noti alla cronaca giudiziaria dagli anni 60 agli anni 80, e infine uno scambio di concezioni filosofiche e culturali tra i due interlocutori, in merito ai concetti di verità e giustizia. Venerdì 20 giugno ore 21 al Punto d’Incontro di Maccagno (via Valsecchi 21) Presentazione del libro di Fabio Pollachini "L’Ottavo Cancello" (verità scomode di un medico pianista) La singolare vicenda del dottor Salvatore Caminiti, medico del carcere di San Vittore Nel corso della serata saranno letti alcuni brani tratti dal libro e verrà proiettato un breve video sulla vita del protagonista. Parteciperà all’evento l’autore luinese Alfredo Salvi. Siria: non vogliamo un’amnistia… ma che tutti i detenuti siano liberati e i colpevoli puniti di Eva Ziedan www.agoravox.it, 20 giugno 2014 In questi giorni la notizia di cui si parla tanto tra i siriani è "l’amnistia generale" concessa dal presidente. Michal Shammas, avvocato siriano che da anni si occupa della difesa dei dissidenti politici incarcerati nelle prigioni del regime ha spiegato: "L’amnistia dovrebbe essere concessa a tutti coloro - militari e civili - che sono stati arrestati o sono detenuti da prima del 6 giugno 2014, siano essi già stati condannati o meno, (…) a coloro che sono stati condannati dal tribunale anti-terrorismo [che ha sostituito il vecchio tribunale militare, dove venivano giudicati i dissidenti politici ndr], ai detenuti nelle sezioni dei servizi di sicurezza, a quelli che si trovano nelle prigioni di Palmira e Sednaya". Alcuni detenuti sono stati rilasciati, tra questi ci sono anche alcuni (una manciata, in verità!) nomi importanti di dissidenti storici, ma la notizia che sta circolando con insistenza da qualche giorno sui media e social-media è la liberazione di Adnan Qassar. "Se prima della liberazione di Adnan si provava a digitare il suo nome su Google" - scrive Dima Wannus nel suo ultimo articolo su al Mudun - "compariva solo la fotografia di Basel al Assad", il figlio "martire" di Hafez, in sella al suo cavallo. Secondo la storia che si raccontava su di lui in Siria, Adnan Qassar era un fantino ed era il rivale di Basel al Asad nelle gare ippiche. Quando eravamo piccoli guardavamo tutte le sue gare in televisione e Basel vinceva sempre. Ma una volta accadde che Adnan osò vincere contro Basel. Era il 1993 e per questo venne arrestato. Basel morì in un incidente automobilistico nel gennaio dell’anno successivo e divenne "martire" della Siria, anche se era morto in un semplice incidente stradale. L’articolo di Dima Wannus continua il racconto: il padre di Adnan riuscì a ottenere un incontro direttamente con l’allora presidente Hafez al Assad per chiedergli di intercedere per la liberazione del figlio. Il presidente si limitò a rispondergli: "Basel l’ha arrestato e sarà Basel che lo libererà". Ma Basel era morto. Dopo 21 anni di carcere, il fantino Adnan Qassar è stato liberato il 10 giugno 2014 grazie all’amnistia di Bashar al Assad. "Non è stato Basel a liberarlo" - si intitola l’articolo di Dima Wannus. Yassin al Haj Saleh, intellettuale dissidente che ha sperimentato le prigioni siriane in prima persona, ha commentato anche lui la vicenda: "Storie di questo tipo valgono più di tanti volumi. Dobbiamo raccontarle alla gente in Occidente e ovunque. Bastano queste storie a far comprendere quanto questo regime sia razzista, e non solamente dispotico e dittatoriale". Secondo al Watan, un giornale filogovernativo, entro la fine di giugno si prevede che saranno liberati 30mila prigionieri. In attesa della liberazione di Mazen Darwish, Abdel Aziz Kheir, Khalil Maatuq e delle migliaia di detenuti arrestati per aver espresso liberamente e senza censure la loro opinione, Michal Shammas ha spiegato anche che: "La maggior parte dei beneficiari dell’amnistia operavano nel contrabbando della droga, delle armi e delle munizioni, si sono appropriati indebitamente di denaro pubblico, sono autori di reati di corruzione e abuso d’ufficio, hanno emesso assegni scoperti…". Anwar al Bunni, avvocato per la difesa dei diritti umani e direttore del Centro siriano per la ricerca e gli studi giuridici, ha commentato in questo modo l’amnistia generale: "Non vogliamo un’amnistia. Vogliamo che tutti i detenuti siano liberati e tutti i criminali puniti". Stati Uniti: quei piccoli detenuti con solo un’ora d’aria di Fernanda Santos (traduzione di Anna Bissanti) La Repubblica, 20 giugno 2014 Nogales (Arizona). In un capannone di 11.150 metri quadrati all’estrema periferia di questa città nel deserto, gli agenti della polizia di confine allineano centinaia di bambini che probabilmente non hanno mai visto in vita loro un medico che li abbia vaccinati o abbia prestato loro le prime cure. Distribuiscono qualcosa da mangiare e giocano insieme a loro per un po’ a basket sotto un tendone, come quello dei circhi, che funge anche da spazio ricreativo. In un centro di elaborazione del tutto improvvisato, i minori fermati mentre attraversavano senza genitori il confine nella Rio Grande Valley in Texas sono ospitati per almeno tre giorni in nove recinti. I maschietti sono separati dalle femminucce, così come i piccoli dai grandi. Le giovani ragazze madri e i loro neonati stanno in un recinto apposito, per conto proprio. Lo spazio per camminare non c’è. Sul pavimento di cemento sono allineati i materassi e sono fissate lunghe panche. I bambini arrivano qui dal Texas in continuazione, perché un centro simile in quello Stato non riesce ad accoglierne di più. Gli agenti della polizia di confine mercoledì hanno detto che qui sono custoditi circa 900 bambini provenienti da Guatemala, El Salvador e Honduras. Gli ultimi arrivati indossano ancora i vestiti con i quali si sono avventurati in direzione degli Stati Uniti, mentre gli altri indossano magliette bianche e pantaloncini blu, come in riformatorio. Su un materasso una ragazzina piange col viso affondato in un sudicio agnellino di peluche. Poco distante, una bimba di 3-4 anni sorride tenendo per mano un agente della polizia di confine che la accompagna a fare due passi. Quasi fossero detenuti, i bambini non possono uscire all’aria aperta se non per sgranchirsi un po’, tra 45 minuti e un’ora al giorno. L’agente della polizia di confine responsabile per la zona di Tucson, Manuel Padilla Jr., ha detto che scopo dell’agenzia è tenere i bambini al sicuro, controllando che stiano in salute, che mangino, e restino puliti. E aggiunge che è stato fatto molto "per garantire queste priorità". Quando gli agenti hanno notato che a colazione i bambini rifiutavano i burrito preparati con la farina normale, la mensa ha adottato quella di granoturco, come si usa in America centrale. Mercoledì la polizia di confine ha offerto ai giornalisti la possibilità di osservare dal vivo questo centro, simile a quello di Brownsville in Texas, entrambi nell’occhio del ciclone nel dibattito in corso nella nazione sull’improvvisa ondata di minori non accompagnati che attraversano illegalmente il confine per entrare negli Stati Uniti. Da questi centri i bambini saranno spediti in strutture detentive per minori sparse in tutto il paese, da dove si cercherà poi di affidarli a parenti che vivono negli Stati Uniti, a condizione che collaborino con le procedure di rimpatrio. Di fatto, però, il numero in rapido aumento di questi minori comporta gravi difficoltà per l’Amministrazione Obama dal punto di vista politico e umanitario, e nel dibattito in corso nella nazione inizia a farsi strada la necessità di una riforma delle politiche sull’immigrazione. A Nogales le sfide logistiche legate all’accudimento dei bambini sono palesi. In ogni recinto ci sono tre gabinetti mobili, mentre le 60 docce sono all’interno di cinque grossi articolati. Negli spazi recintati non sembra esserci altro intrattenimento fuorché alcune televisioni che sembrano prive di sonoro, o qualche partita di calcio improvvisata in angoli affollati. Art Del Cueto, presidente della zona di Tucson del sindacato degli agenti della polizia di confine, ha detto che gli agenti sono sotto pressione: "Arrestare gli stranieri clandestini rientra nelle nostre mansioni" ha detto in un’intervista. "Occuparci di schedarli e smistarli rientra nelle nostre mansioni. Ma fare da babysitter no, ed è proprio quello che in molti stiamo facendo". I minori non accompagnati catturati alla frontiera con il Messico da ottobre 2013 sono circa 50mila. Gli agenti hanno mandato molti di loro nella stazione della polizia di confine di Brownsville. Mercoledì 400 bambini fermati nei giorni scorsi si sono ritrovati in celle fredde e affollate, che hanno soltanto panche di cemento lungo le pareti e nessuna brandina. Il centro ospita anche alcune clandestine adulte con i loro bambini e la popolazione è ben al di sopra della capienza massima di 250 detenuti. A Nogales, l’area di ingresso è piena zeppa di giovani ragazze adolescenti, che hanno appena consegnato tutti i loro averi in cambio di una ricevuta intestata a loro nome. Più tardi, i loro vestiti saranno lavati, asciugati, riposti in sacchi di plastica e sistemati con cura sulle mensole di metallo di una stanza che funge da magazzino, accanto a sacche di mimetica e zainetti riproducenti le principesse della Disney. Le strutture come questa sono state studiate per accogliere detenuti soltanto per brevi periodi: nel caso di Nogales, il centro non è concepito per ospitare minorenni. Le autorità di confine hanno l’obbligo di trasferire i bambini non accompagnati da adulti entro tre giorni dall’arrivo ai Servizi sanitari e umanitari, che gestiscono centri di accoglienza a lungo termine nei quali i minori sono sottoposti a controlli medici e vivono in ambienti simili a campi, mentre le autorità cercano di rintracciare eventuali parenti che vivono negli Stati Uniti. Quando è stato chiesto agli agenti di Brownsville se riescono a rispettare la scadenza dei tre giorni, un funzionario della Sicurezza interna ha detto: "Ci piacerebbe agire molto più velocemente". Stati Uniti: insegnante resta sola in aula di carcere con stupratori, ferita e violentata La Presse, 20 giugno 2014 In un carcere dell’Arizona, una insegnante sola in un’aula con diversi uomini condannati per stupro è stata ferita e violentata da uno di essi. Lo si apprende da documenti ottenuti da Associated Press, che sollevano dubbi sulle garanzie fornite dalle autorità carcerarie ai dipendenti. L’aggressione è avvenuta il 30 gennaio nell’unità Meadows della prigione di Eyman, che ospita 1.300 stupratori, pedofili e altri condannati per reali sessuali. L’insegnante era in una classe con un gruppo di detenuti per un esame di maturità, senza che fossero presenti guardie nei pressi e soltanto dotata di una radio per chiedere aiuto. Il Dipartimento carcerario ha diffuso poche informazioni sull’aggressione, ma AP ha ricostruito la vicenda grazie a colloqui e relazioni. Secondo la ricostruzione, il detenuto Jacob Harvey ha aspettato che tutti gli altri uomini uscissero dalla classe per chiedere alla insegnante di aprirgli il bagno. L’ha quindi aggredita, pugnalandola alla testa con una penna, gettandola a terra e stuprandola. La professoressa ha raccontato di avere urlato chiedendo aiuto, ma nessuno è arrivato in suo soccorso. In seguito, è stato il detenuto a tentare di usare la radio per chiedere soccorso. Il dispositivo però non funzionava perché era sintonizzato su un canale che le guardie dell’unità non utilizzano, quindi l’uomo ha permesso all’insegnante di usare un telefono. Carl Toers Bijns, ex guardia della struttura penitenziaria, afferma che il personale non è mai in numero sufficiente e che quindi è sempre a rischio. Le autorità incaricate dello Stato, tuttavia, negano. Affermano che l’aggressione faccia parte dei rischi che chi lavora con detenuti violenti deve prevedere. Il portavoce del dipartimento, Doug Nick, precisa che nelle aule ci sono telecamere, ma nessuna indagine amministrativa è stata aperta e nessuno è stato punito perché tutte le prigioni sono pericolose e lo staff è formato per questo. L’insegnante vittima dello stupro ha presentato una richiesta di risarcimento allo Stato e non vuole commentare la vicenda. Cina: 3 attivisti anti corruzione condannati a pene detentive per massimo sei anni e mezzo La Presse, 20 giugno 2014 Il tribunale di Xinyu, nell’est della Cina, ha condannato tre attivisti di un movimento anti corruzione a pene detentive per un massimo di sei anni e mezzo. I tre erano stati accusati di "aver creato disordini", un reato vagamente definito e sfruttato sempre più spesso dalle autorità per imprigionare dissidenti. Liu Ping e Wei Zhongping sono stati condannati a sei anni e mezzo, mentre un altro attivista, Li Sihua, dovrà scontare tre anni di carcere, ha riferito uno dei loro legali, Zhou Ze. Secondo Si Weijiang, l’avvocato di Liu, non c’è alcuna base legale per le condanne. "Le prove - ha affermato il difensore - dimostrano chiaramente che i tre non sono colpevoli, ma le autorità erano determinate a condannarli". I verdetti inflitti a Liu Wei sono più severi di quelli inflitti a gennaio da un tribunale di Pechino al fondatore del Movimento dei nuovi cittadini, Xu Zhiyong, che dovrà scontare quattro anni di carcere. Le accuse erano state mosse nei confronti dei tre in base a una foto fatta circolare online, in cui gli attivisti portano manifesti con richieste di rilascio di altri dissidenti che avevano partecipato alla campagna per una maggiore trasparenza dei funzionari. "Il segnale che vogliono dare è che tutti i dissidenti politici, indipendentemente dal fatto che siano colpevoli o innocenti, saranno processati e condannati", ha detto Si Weijiang, l’avvocato di uno degli imputati. Liberia: ex presidente Taylor fa causa a Gb, chiede il trasferimento in carcere del Ruanda Ansa, 20 giugno 2014 L’ex presidente liberiano Charles Taylor, che sta scontando in un carcere inglese una pena a 50 anni di prigione per crimini di guerra, ha avviato un’azione legale contro il governo britannico perché gli verrebbe negato il diritto di stare vicino alla sua famiglia e ha chiesto il trasferimento in una prigione in Ruanda. È quanto rivela il Daily Mail. Secondo il sanguinario ex leader i suoi familiari hanno difficoltà a spostarsi nel Regno Unito per fargli visita. Taylor afferma anche che teme di essere aggredito nel carcere di Durham, Inghilterra nord-orientale, in cui è rinchiuso. L’ex presidente era stato condannato nel maggio del 2012 per aver aiutato i ribelli responsabili di atrocità in Sierra Leone durante la guerra civile tra il 1991 e il 2001. È stato riconosciuto colpevole di 11 capi di accusa tra cui stupro, omicidio e l’utilizzo di bambini-soldato. Israele: ex sindaco di Gerusalemme, Uri Lupolianski, condannato a 6 anni per corruzione La Presse, 20 giugno 2014 L’ex sindaco di Gerusalemme Uri Lupolianski è stato condannato dal tribunale di Tel Aviv a sei anni di carcere per il suo ruolo in un caso di corruzione in cui era coinvolto anche l’ex premier Ehud Olmert. A Lupolianski, che potrà presentare un appello contro il verdetto, è stato anche ordinato di pagare una multa di 500mila shekel israeliani (107mila euro). Il verdetto del tribunale di Tel Aviv arriva un mese dopo la condanna di Olmert a sei anni carcere per il suo ruolo nello stesso caso. L’ex premier era uno di diversi funzionari del governo e imprenditori incriminati. Secondo l’atto d’accusa formulato nel 2012, funzionari ricevettero milioni di dollari in tangenti per promuovere diversi progetti immobiliari, tra cui quello battezzato Holyland, un quartiere spesso criticato per il suo aspetto ingombrante. Olmert ha annunciato che presenterà appello, ma gli è stato ordinato di presentarsi in carcere il primo settembre prossimo. Lupolianski dovrebbe iniziare a scontare la pena lo stesso giorno. Il 63enne era già stato condannato a marzo scorso per aver accettato bustarelle in relazione a un controverso progetto immobiliare a Gerusalemme. Brasile: il Mondiale di calcio si gioca anche in carcere… detenuti contro guardie Colors Magazine, 20 giugno 2014 Per una settimana all’anno nel penitenziario di massima sicurezza Geraldo Beltrao di Joao Pessoa, in Brasile, si tiene un torneo di calcio molto speciale. I detenuti, suddivisi in tante squadre quante sono le celle del carcere, si sfidano cercando di conquistare l’ambito primo premio: viveri che i vincitori distribuiranno tra le loro famiglie e la possibilità di affrontare la squadra dei secondini. Il torneo di quest’anno è stato immortalato dal fotografo italiano Nicolò Lanfranchi in "Guardie e Ladri", reportage realizzato per Colors Magazine, trimestrale monotematico che in occasione dei Mondiali 2014 ha dedicato l’ultimo numero al calcio lontano dai riflettori. Il lavoro di Lanfranchi vuole portare l’attenzione sulla difficile situazione carceraria che vive il Brasile, e su come gli investimenti miliardari per la Coppa del Mondo 2014 abbiano assorbito fondi di cui la società civile necessita. Dal 2008 ad oggi il Brasile ha speso 670 milioni di dollari per le prigioni e i suoi detenuti a fronte dei 3,5 miliardi investiti nella realizzazione di nuovi stadi in vista dei Mondiali. E questo mentre nei carceri - come avviene nello stesso Geraldo Betrao - le celle che dovrebbero ospitare cinque uomini l’una sono costrette a stiparne una quindicina. Il torneo di quest’anno, spiega Lanfranchi, è stato vinto dalla cella 15, che purtroppo però ha perso ai rigori contro la squadra dei secondini: "I prigionieri erano davvero tristi, volevano proprio battere le guardie".