Giustizia: responsabilità dei magistrati e custodia cautelare, la riforma serve Il Foglio, 19 giugno 2014 Estratto della conversazione avvenuta giovedì scorso al Palazzo delle Esposizioni di Roma, in occasione della presentazione del libro di Claudio Cerasa "Le catene della sinistra" (Rizzoli), tra il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, il vice presidente del Csm, Michele Vietti, e Giuseppe Sottile, del "Foglio". Sottile: Partiamo da un dato di fatto e partiamo dai titoli dei giornali di questi giorni dove senza filigrana ci sono tutti i mali della giustizia. Quei mali partoriti dopo vent’anni di equivoci e soprattutto di una malsana alleanza tra la sinistra e il potere giudiziario. Una malsana alleanza che di fatto ha rappresentato un’altra catena non solo per la sinistra ma anche per il paese. Perché questa alleanza malsana ha impedito qualsiasi riforma non solo della giustizia ma anche di altri strumenti che avrebbero dovuto garantire un diritto inalienabile a ciascun cittadino. Dire che oggi la giustizia è praticamente una grande rovina potrebbe sembrare scontato, ma scontato non lo è. Basta pensare alla giustizia civile e basta soprattutto considerare certi aspetti della giustizia penale. Per non parlare della così detta giustizia amministrativa. Dico un paradosso: probabilmente più che abolire il Senato bisognerebbe abolire il Tar del Lazio perché questo strumento di giustizia amministrativa, che un mio collega non senza ironia chiama la "magistratura gialla", è diventato un’istanza al di sopra dei governi e dei Parlamenti: perché chiunque voglia riformare o fermare una legge legittima dello stato e del Parlamento basta che si rivolga al tar del Lazio, dove abbiamo il classico esempio che l’eccesso di giustizia altro non porta che a una mala giustizia. Fatte queste considerazioni comincio a porre qualche domanda. Può un paese dirsi democratico se a un cittadino viene negata la possibilità di avere una giustizia giusta in una vertenza o in una controversia? Può un paese dirsi democratico nel momento in cui c’è sempre il sospetto che questa giustizia venga amministrata in nome e per conto di una forza politica o di un regime politico? Non credo. E poi, altra domanda. Possiamo mai sperare in una crescita di questo paese se lo strumento fondamentale della convivenza civile fa acqua da tutte le parti? Con quale coraggio possiamo chiedere a un investitore straniero di venire in Italia e investire i suoi soldi se la giustizia somiglia a una roulette russa? Comincio con un esempio recente. Ci siamo tutti fermati e indignati perché di colpo è stato indagato il numero due della finanza. Tutti facciamo la banalissima considerazione che da tangentopoli a oggi, dopo vent’anni, l’unica cosa che si vede non è stata la soluzione del problema della corruzione ma l’ingresso di quelli che avrebbero dovuto vigilare dentro il meccanismo delle tangenti. Perché ora ci sono magistrati, ci sono i finanzieri. Ma accanto all’indignazione per il numero due della finanza indagato cresce il terribile e atroce dubbio se questa indagine che riguarda il numero due della finanza non sia un’altra patacca? Come vedete uno dopo l’altro cadono miti che ci davano certezze. Un tempo c’era il mito della magistratura palermitana, e potrei citare Falcone e Borsellino. E oggi che cosa ci resta di quella magistratura eroica e straordinaria? Permettetemi di non darvi una risposta. Perché tutti voi leggete i giornali. E tutti voi sapete quali sono le vicende e le faide che riguardano la magistratura palermitana. Tutti abbiamo sperato e ci siamo aggrappati alla magistratura milanese. E oggi che cosa resta della magistratura milanese? Una guerra di potere… Vietti: Ora non esageriamo… Sottile: …una guerra di potere esplode quando la magistratura ha smesso di fare il proprio mestiere e si è dedicata in massima parte al potere. Da qui le guerre di potere: mi sembra per usare una parola dotta, una tautologia. Bene. Per vent’anni c’è stato un equilibrio malsano tra un potere politico debole e una magistratura troppo forte. Il potere politico è stato talmente debole da rasentare la sudditanza. E il potere della magistratura è stato talmente forte da avere avuto la capacità e l’abilità di imporre ogni veto e ogni interdizione a ogni tentativo di riforma. Sempre con la mascherina dell’indipendenza dell’attentato all’autonomia. Se tu vai a toccare lo stipendio del magistrato… ah, è un attacco all’autonomia della magistratura. Se tu introduci con un sereno dibattito parlamentare la responsabilità civile, ah, anche questo diventata un attentato all’autonomia della magistratura. Queste mascherine bisogna avere il coraggio di eliminarle. Altrimenti ricadremo nei falsi miti. Come il falso mito della obbligatorietà dell’azione penale, che è un’altra mascherina dietro la quale ciascuno nasconde la propria discrezionalità e i propri privilegi. Cerasa: Renzi ha promesso entro giugno che ci sarà una grandissima e straordinaria riforma della giustizia e questa grandissima e straordinaria riforma della giustizia verrà portata in consiglio dei ministri - diamo una notizia - il prossimo 27 giugno, come ci ha confermato il ministro Orlando. Quanto al libro, ripercorrendo la storia della sinistra e il suo rapporto con la magistratura è evidente che negli ultimi trent’anni la sinistra ha costruito la sua identità culturale sovrapponendola a quella della magistratura, o almeno a un pezzo di essa. E questo essersi incatenata alla questione morale ha impedito alla sinistra di sviluppare una sua identità forte e le ha impedito di offrire al paese una riforma della giustizia ben fatta. Dal punto di vista culturale tutto nasce quando Enrico Berlinguer rilascia a Repubblica la famosa intervista sulla questione morale a Eugenio Scalfari, nel 1981, e quando quel tipo di atteggiamento della sinistra da elogio della questione morale diventa elogio del moralismo e poi si trasforma rapidamente in giustizialismo. Il giustizialismo della sinistra, anno dopo anno, non riforma dopo non riforma, ha allontanato la sinistra dal riformismo, ha ammanettato la sinistra alla cultura giustizialista, e la cultura giustizialista ha allontanato dalla sinistra la maggioranza del paese. Tutto ciò ha avuto un riflesso importante in alcune fasi cruciali del paese in cui si è tentato di realizzare una riforma con i fiocchi. Un caso su tutti: nel 1998, quando D’Alema, con la sua commissione Bicamerale, affidò a Marco Boato il capitolo sulla riforma della giustizia formalmente è stato Berlusconi a far saltare in aria la riforma; ma come racconta Boato nel libro in verità si era da tempo innescato un cortocircuito mediatico e giudiziario e politico che aveva affossato la riforma prima ancora che fosse Berlusconi a mettere un punto. Negli ultimi anni, poi, di fronte ai governi di centrodestra la sinistra si è sempre rifiutata di fare una vera riforma della giustizia con la scusa che fare una riforma sulla giustizia in quel momento avrebbe coinciso con il fare una riforma per Berlusconi. Domanda: quali sono oggi le catene che rendono complicato realizzare una buona riforma della giustizia? Orlando: Ho un giudizio diverso sulla magistratura rispetto alle parole di Sottile. E anche laddove si manifestano conflitti le istituzioni sono sempre fatte da uomini e non possiamo dare giudizi definitivi solo su alcuni passaggi della storia. Credo che non si renda merito per esempio all’attività della procura - che non è rappresentata soltanto da chi oggi la guida e l’ha guidata ma che ha una continuità nell’attività che prescinde dai personalismi - se si dice che l’eventuale conflittualità che si è venuta a creare cancella dei risultati che sono oggettivamente incancellabili dal punto di vista della lotta alla mafia. Fatta questa premessa non formale parto dal ragionamento di Cerasa, che ha scritto un libro che, rispetto ad alcuni capitoli, condivido in modo pressoché totale. Mi riferisco ai limiti della sinistra sul pensiero economico e al tema della sinistra subalterna ad altre forze extra politiche. I surrogati di identità sono stati spesso dei segnali relativi a un fenomeno preciso: la sinistra, a volte, ha rinunciato a crescere e ha pensato che altri soggetti fossero in grado di svolgere questa funzione di rappresentazione. Il punto di partenza, dunque, è una sinistra che ha rinunciato a una sua funzione sociale e si è legata ad alcuni specifici processi utilizzandoli come se fossero delle stampelle. C’è una subalternità culturale evidente che ha tolto alla sinistra capacità di rappresentanza e di autonomia rispetto ad altri poteri. E tra questi soggetti delegati c’è ovviamente anche la magistratura. Questo processo credo abbia fatto male alla sinistra e alla stessa magistratura. Ma la colpa delle non riforme non è solo del centrosinistra ma anche del centrodestra. Ricordo quando proprio sul Foglio, nel 2010, scrissi il mio appello per riformare la giustizia con il centrodestra. Quell’articolo cadde nel vuoto. Il centrodestra non ci rispose nulla. Questo perché secondo me ci sono delle economie di guerra. Fa comodo in alcuni casi non fare le riforme perché il cattivo funzionamento della giustizia è un alibi che consente di dire che c’è il complotto, che ci sono piani persecutori… Se si fosse andato nel merito molti tabù nostri sarebbero stati alla luce del sole e molte delle invettive del centrodestra sarebbero finite. Credo che su questo terreno non si debbano dare segnali politici ma si devono fare le cose. Per questo quando leggo anche miei compagni di partito che dicono abbiamo votato a favore della responsabilità civile perché volevamo dare un segnale pensano che abbiano commesso un grave errore. È propaganda. La propaganda non si accompagna con il riformismo. Oggi ci sono le condizioni per riformare la giustizia. E spesso le soluzioni sono più a portata di mano di quanto non si creda. Ne dico una: parlare di riforma del meccanismo elettorale del Csm non è più un tabù, e qualcosa faremo, mentre tre anni fa se non ne parlavi era considerato un tema intoccabile. Anche di obbligatorietà dell’azione penale si può riparlare. Ma se si pensa che ci sia stato un grande tavolo dove la sinistra si vedeva con i procuratori, organizzava un grande complotto e questa lettura rimane in campo, non andiamo da nessuna parte. Vietti: Credo che questo libro impegni Cerasa a scrivere un altro libro sulle catene della destra. Cerasa pur con buone intuizioni pecca infatti di asimmetria. Pecca di uno sguardo troppo unilaterale. La tesi del libro è che la sinistra ha applicato la teoria gramsciana e non la teoria leninista e dunque, come Gramsci spiegava, il potere non si conquista andando all’assalto del Palazzo di inverno ma si conquista egemonizzando le casematte del paese, cioè le istituzioni, i magistrati, la cultura, i giornali, le lobby, i sindacati, e che attraverso l’egemonia si conquista il potere. La sinistra dopo aver egemonizzato la magistratura, dice Cerasa, in realtà ne è rimasta prigioniera. Perché questa magistratura organizzata in questo rapporto organicistico in particolare con una corrente della magistratura, che sarebbe magistratura democratica, alla fine da prigioniera è diventata carceriera impedendo alla sinistra di poter manifestare le proprie potenzialità riformistiche. Questo è l’assunto. Nella dimostrazione poi ci sono alcune affermazioni che o non provano abbastanza o provano troppo. L’elenco dei magistrati che sono entrati in politica con la sinistra. Certo: è un elenco consistente. Per la verità sarei in grado di farne un elenco più o meno analogo di magistrati che sono entrati in politica con il centrodestra. Ho controllato per curiosità in questa legislatura, perché poi il numero cresce di legislatura in legislatura, e sono 18 i magistrati entrati in politica, e sette stanno con il centrodestra e nove con il centrosinistra. Ora condivido la frase di Pietro Calamandrei che riporta Cerasa, laddove si dice che il magistrato che fa un comizio elettorale non può più sperare come giudice di avere la fiducia dei suoi amministrati. Però bisogna che su questo ci mettiamo d’accordo. Destra, centro e sinistra. Non è che è soltanto se un giudice si schiera da una parte che si delegittima. Dato che questi vent’anni hanno visto magistrati che hanno avuto forti protagonismi politici, da tutti gli schieramenti, si scelga cosa fare. O con una riforma normativa o con un fair play tra i partiti, si stabilisca una regola fondamentale: che il magistrato che entra in politica non può tornare a fare il magistrato. Se vuole fare l’arbitro non può fare il giocatore. Una volta che si è messo a giocare in una squadra non può tornare a fare l’arbitro. C’è la volontà di destra e centro e sinistra di prendere una decisione di questo genere? Di più non è facile fare. D’altronde c’è l’articolo 51 della costituzione che dà diritti a tutti i cittadini, ivi compresi i magistrati di partecipare alla vita politica. Non è che io posso fare una norma in cui dico il magistrato non si può candidare. Posso fare norme più restrittive sulle incompatibilità. E sul ritorno indietro dopo l’esperienza politica. (…) Ora ci sono state fughe in avanti della magistratura in questi anni? Certamente sì. C’è stato un problema di lettura della Costituzione orientata della normativa? Obiettivamente sì. Oggi la lettura costituzionalmente orientata è un dato acquisito dalla Corte costituzionale, che legittima pienamente quell’operazione. Non le singole operazioni che hanno avuto eccessi e sbavature. Mettiamoci d’accordo: il "giudice bocca della legge" che in qualche modo viene rimpianto in alcune delle pagine di Cerasa non c’è più, posto che ci sia mai stato, e non c’è più da almeno 50 anni, posto che ci sia mai stato. Cioè: il giudice bocca della legge era il giudice dello stato ottocentesco, era il giudice dei codici, era il giudice di un’epoca in cui non c’erano le norme speciali. Oggi il giudice vive in un reticolo normativo intricato, sovrapposto, contraddittorio, e non è che possiamo pensare che il giudice fa la bocca della legge. Il giudice si muove in un contesto in cui la sua discrezionalità è molto ampia. È un bene? Un male? Se è un male, la politica cominci a fare autocritica lei. Chi è che fornisce quel reticolo normativo che è una matassa, un groviglio intricato in cui si rischia che ciascuno legge quello che vuole. È il Parlamento, fino a prova contraria. Dopodiché anche qui ci sono abusi? Sì. Ci sono fughe in avanti? Sì. (…) Un bel libro paragona questo intrigo normativo in cui il giudice si deve muovere con una lanterna alla storia del labirinto del Minotauro e alla storia di Icaro. E dice: attenzione, il giudice in quel reticolo deve orientarsi nel labirinto della normazione e per farlo ha una sua discrezionalità. Ma che cosa non deve fare? Non deve spiccare il volo con le ali di cera di Icaro. E soprattutto non si deve avvicinare troppo al sole, sennò le ali si sciolgono e casca per terra. Traduzione della metafora: il giudice, anche quando applica la sua discrezionalità, deve stare ai fatti, non si deve occupare dei fenomeni, non si deve sentire investito di improprie missioni. Non deve pensare di essere investito da un generico controllo della legalità. Non deve pensare che gli sono state affidate missioni sociali salvifiche. Deve occuparsi dei reati, che attengono a fatti e responsabilità personali di Tizio, di Caio, di Sempronio. Questo sì. E certamente questo non sempre è avvenuto e avviene. È difficile trovare il punto di equilibrio nel labirinto? Sì. Il labirinto c’è? Sì. La magistratura deve cercare con il suo lanternino di recuperare il filo di una qualche razionalità di quella normazione? Sì. Dobbiamo chiedere che non spicchi voli impropri che sono un rischio non per il giudice? Si. In altre parole, per stare ai temi di oggi, la magistratura non si deve occupare dei sistemi corruttivi. Si deve occupare delle singole vicende in cui ci sono dei corrotti, dei corruttori, dove ci sono singole specifiche responsabilità che deve accertare. Certo: ci sono magistrati che non si comportano come si deve. Questi magistrati andrebbero censurati. Però attenzione. Non possiamo lamentarci degli abusi dei magistrati e poi dare ai magistrati tutto questo potere. Per dire: quando si parla di abuso di intercettazioni, come scrive Cerasa. Quando si parla di abuso della carcerazione preventiva. Quando si parla di abusi dei magistrati vogliamo dire o no che la politica deve prendersi la sua responsabilità? Vogliamo dire o no che le conversazioni dei terzi estranei che non sono indagati e che parlano di questioni non pertinenti e non rilevanti ai fini dell’inchiesta non si possono pubblicare? Questo lo vogliamo dire? O ogni volta dobbiamo aspettare le lenzuolate dei giornali su ogni scandalo e dobbiamo dire che vergogna che vergogna non c’è rispetto della privacy? La carcerazione preventiva, poi, se ne abusa? Sì. Cerasa cita una frase di Bruti Liberati per la verità un po’ maliziosamente perché nel contesto in realtà lui se ne lamenta quando dice "oggi l’unica pena veramente erogabile è la carcerazione preventiva". Ma ahimè, è così. Perché in questo sistema in cui non si riesce ad arrivare a una sentenza definitiva, che poi il carcere preventivo sia di fatto l’unica pena che qualcuno riesce a scontare è una realtà. Non va bene? No, non va bene. Il legislatore vuole intervenire, se ne parla da almeno un anno, a modificare le condizioni dell’impiego della carcerazione preventiva? Non lo fa nessuno. Anzi: che cosa facciamo? Ci lamentiamo dell’invadenza di campo dei magistrati, di destra, di sinistra e di centro e poi l’unica cosa che facciamo qual è? Introduciamo fattispecie di reato nuove, almeno uno alla settimana, in un sistema ad azione penale obbligatoria in cui introdurre una fattispecie di reato vuol dire dare a questi terribili pm - alleati della sinistra, comunisti, nemici del popolo (sorride Vietti, ndr) - il potere di avere grande discrezionalità, forse anche eccessiva discrezionalità, perché il legislatore non ha mai messo dei criteri di priorità. In sostanza: continuiamo a introdurre nuovi reati, cioè nella logica vostra a "fornire munizioni al nemico", a quella trincea da cui vengo cannoneggiato. Io non condivido questa logica. Ma se la logica è questa la prima cosa da fare è non fornirgli le munizioni. Smettiamola con questa storia in cui pensiamo che tutto si riduce introducendo nove forme di reato. Non è politicamente corretto dirlo ma lo dico lo stesso: siamo veramente convinti che la lotta alla corruzione la risolviamo aumentando a cinque anni la punizione al falso in bilancio e mettendo l’auto riciclaggio? Non discuto che sia sacrosanto farlo ma dopo che l’avremo fatto e la corruzione continuerà cosa diremo? Che la portiamo la pena a sette anni, a otto anni? Che mettiamo altri dieci reati? O vogliamo renderci conto che il problema di questi fenomeni non lo si può affidare ai poteri sanzionatori della magistratura o alla punizione penale? Io ho grande stima del magistrato che guida l’autorità anti corruzione (Raffaele Cantone, ndr). Ma proprio perché gli voglio bene sono preoccupato nel leggere tutti i giorni sul giornale che ogni scandalo che si verifica adesso arriverà sul cavallo bianco l’autorità di governo che lo risolve. E l’Expo, è così. E il Mose, è così. E la finanza, è così. Noi praticamente affidiamo, questo è un tipico modo italiano di risolvere i problemi, tutto a un magistrato. Noi che siamo quelli che ci lamentiamo continuamente dell’invadenza dei magistrati, quale soluzione troviamo al problema generale della corruzione? Un magistrato. Io occupandomi del governo dei magistrati sono lusingato nell’immaginare che i magistrati siano in grado di risolvere tutti i problemi. Però vorrei sommessamente far notare a chi si lamenta dell’invasione di campo dei magistrati che forse il primo modo per contenere questa invasione di campo è quella di lasciare i magistrati fare i magistrati e non portarli in politica. Non munirli di un eccesso di fattispecie incriminatorie con le quali possono essere tentati dal non essere equi e obiettivi. E soprattutto non caricarli di attese messianiche che alla fine inevitabilmente deluderanno. Cerasa: Due domande. Sulla responsabilità civile bisogna agire, e fare qualcosa, o è un argomento che non vale la pena affrontare? E sulle intercettazioni che cosa si dovrebbe fare per avere una giustizia giusta che sappia frenare gli abusi? Orlando: Consentitimi di entrare sulla vexata quaestio di Magistratura democratica. Se l’idea è quella che il principio dell’egemonia è un po’ una cosa macchiettistica per cui a un certo punto si crea un complotto e si prendono le casematte del potere e tutto questo percorso si realizza quasi attraverso una tecnica militare credo si faccia una rappresentazione di questo paese che non corrisponde al reale. (…) Per quanto riguarda Magistratura democratica, quando Md si forma la magistratura in larga parte costituiva una funzione di difesa di un vecchio ordine che era stato superato dalla costituzione repubblicana. Vorrei ricordare che fino agli anni Settanta il danno biologico ai bambini era calcolato in funzione della nascita. Se eri figlio di un notaio prendevi dieci. Se eri figlio di un muratore prendevi uno. Il tutto in palese contraddizione con l’articolo 3 della Costituzione. Allora, dire che all’epoca ci si poneva l’obiettivo di una norma costituzionalmente orientata non significava rivendicare un arbitrio. Significava utilizzare un meccanismo fondamentale come la Costituzione per provare a riequilibrare degli elementi che erano distorti per la sopravvivenza di un vecchio ordine superato con la fine del fascismo. In quel quadro… Sottile: Posso? Noi parliamo sempre di costituzionalmente orientato. Per carità, definizione bellissima. Qui però la tesi di Cerasa è che questo costituzionalmente orientato è diventato una militanza. Ma questa militanza è qualcosa di diverso rispetto al costituzionalmente orientato. Solo per precisione. Orlando: Ripeto. I tempi di cui parliamo sono tempi in cui la Costituzione era in larga parte disapplicata. Il problema non è la questione morale, o almeno non solo quello, è la mancata collocazione internazionale della sinistra, del Pci, la mancata scelta di collocarsi nella tradizione del socialismo europeo. Tutto questo porta a una crisi di identità che costringe a una rincorsa continua a tutte le forme radicaleggianti che si erano affermate alla fine degli anni settanta. Con una perdita di ruolo e funzione che fa perdere alla politica la sua autonomia. Direi che sostanzialmente il rapporto tra magistratura e politica si rovescia completamente. I militanti cominciano a pensare che siano le procure a dover determinare un cambiamento all’interno della società. Qui c’è un dato vero. Non credo che questo sia avvenuto per cercare scorciatoie con le procure. Credo sia venuta meno, piuttosto, una capacità di elaborare un ruolo della sinistra alla società. Si ricorre in qualche modo ai surrogati. E ovviamente ci si fa male. Quanto alle domande. Che ci voglia la responsabilità civile è una cosa che non è assolutamente in discussione. Il tema fondamentale è questo. Una responsabilità civile che colpisca direttamente il giudice è una responsabilità civile che inibisce la sua autonomia. Che rischia di portare la magistratura a un atteggiamento meramente burocratico. Occorre capire quanto di quel danno deve gravare sullo stato e quanto sul singolo giudice. I temi sono due e ci stiamo lavorando. Il filtro prima di tutto. C’è una arbitrarietà nel considerare i ricorsi sulla responsabilità civile. È la Corte d’appello che decide se quel ricorso è fondato o meno su criteri molto ambigui. E quindi, da questo punto di vista, si tratta di vedere come si possa esercitare questo diritto. Sulla questione delle intercettazioni il punto fondamentale è questo: come si evita che abbiano un utilizzo improprio. Stop. Occorre dunque capire come si realizzino degli elementi di filtro che impediscano un uso improprio delle intercettazioni. Trovo assurdo che conversazioni che neanche compiono in un fascicolo vadano a finire sui giornali. Anche su questo stiamo lavorando. Ci sono una serie di rimedi tecnici. Il filtro è uno di questi. Sulla custodia cautelare voglio dire una cosa parzialmente in dissenso da quanto detto dal presidente Vietti. Perché è vero che mancano le norme. Sono d’accordo che bisogna lavorare affinché il cautelare principe diventi il domiciliare e non il carcere, e quel percorso va ripreso in Parlamento. Ma anche a norme invariate faccio notare che da quando Strasburgo ci ha messo sotto scopa, il ricorso alla cautelare è diminuito. Questo significa che anche i giudici, nel modo in cui applicano la legge, hanno una discrezionalità che esercitano in un modo o in un altro, e che talvolta c’è stato un abuso del cautelare non per questioni legate alla legge ma perché qualche volta il cautelare è stato utilizzato non solo come anticipo della pena ma come strumento attraverso il quale realizzare delle attività processuali. Vietti: Lo dico sinceramente. Credo che oggi ci siano le condizioni per fare una vera riforma della giustizia. C’è la stabilità, c’è la volontà. Sui singoli punti invece la penso così. Sulla responsabilità civile condivido quello che dice il ministro. Evitiamo di invocare alibi europei, però. Tutto questo tirare in mezzo la Corte di giustizia europea, che ci chiederebbe di introdurre la responsabilità civile, è una sonora sciocchezza. La Corte di giustizia europea ha detto che risponde sempre lo stato. E che non è possibile che uno stato invochi delle limitazioni interne della responsabilità del suo magistrato per sottrarsi all’azione di risarcimento. Quindi, lo stato deve risarcire. E in nessun paese europeo c’è la responsabilità diretta del magistrato. È chiaro che io non posso esporre il magistrato il cui valore principale è il libero convincimento. Il rischio sarebbe quello di esporre il magistrato alla parte economica più forte. (…) Sulle intercettazioni, il rimedio tecnico è un’udienza filtro, un’udienza vera non come quella che oggi prevede il codice e che non funziona e che si fa dopo il provvedimento cautelare ovvero quando le carte sono già andate in giro dappertutto. Un’udienza filtro in cui giudici e avvocati mettano la testa sulle intercettazioni e selezionino quello che è penalmente rilevante e quello che non è penalmente rilevante. Ciò che non è penalmente rilevante viene distrutto e quindi non pubblicato. Ciò che è penalmente rilevante sta nel fascicolo. Quando il fascicolo non è più segreto andrà inevitabilmente sui giornali. Sulla custodia cautelare aggiungo: non è che oggi tutti fanno delle norme sulla custodia cautelare un’interpretazione corretta. C’è stato e c’è un abuso. Anche a legislazione vigente. È chiaro che quando si dice che posso ricorre a una custodia cautelare quando c’è pericolo di reiterazione del reato o il pericolo di fuga se lo interpreto in senso stretto tanti casi di custodia cautelare che non si giustificano. Però, dato che questi criteri sono interpretati in modo ampio, probabilmente un intervento del legislatore che li ritari stabilendo quali sono davvero le eccezioni credo che non potrebbe che far bene al nostro sistema giudiziario. Chissà che non sia la volta giusta. Giustizia: i gattopardi della responsabilità civile di Valerio Spigarelli (Presidente Unione Camere Penali) Il Garantista, 19 giugno 2014 Come un fiume carsico la questione della responsabilità civile dei magistrati riemerge nelle cronache politiche, attraverso blitz più o meno inaspettati di singoli parlamentari, ma ancora non riesce a trovare una soluzione, politica prima ancora che giuridica. Così come era già avvenuto all’epoca del governo Monti, incapace di affrontare questa questione, che all’epoca era stata posta all’ordine del giorno da un emendamento presentato dal deputato leghista Pini, anche Renzi la scorsa settimana si è trovato alle prese con una iniziativa a sorpresa dello stesso tenore, per di più votata da diversi parlamentari del Pd. Ora, al di là della scontata levata di scudi dell’Anni, e della altrettanto scontata condanna della iniziativa da parte del ministro di Giustizia, ciò che preme sottolineare è un dato evidente: benché nessuno degli ultimi governi abbia messo il tema tra quelli preminenti in materia di giustizia, in Parlamento esiste da tempo una maggioranza trasversale che ritiene necessario riscrivere la legge Vassalli. Partendo da questo dato va sottolineato che tale evidenza deve portare ad una soluzione che elimini le storture della legge attuale, che ne hanno determinato il fallimento conclamato, e non risolversi in una grida contro la magistratura destinata a sortire effetti ancor più negativi. Insomma, è inutile, e addirittura controproducente, ipotizzare la cosiddetta responsabilità diretta, cioè proprio la soluzione che è stata introdotta da ultimo, con ciò dando il fianco alla polemica da parte dei magistrati, quando si può ben più efficacemente eliminare i punti critici della normativa attualmente in vigore. Oggi non esiste nessuna reale tutela dei cittadini nei confronti degli errori gravi dei dei magistrati essenzialmente per due motivi. Da un lato la legge prevede che venga operato un filtro preliminare di ammissibilità delle domande avanzata da chi si ritiene danneggiato. Questo filtro è ovviamente affidato a magistrati, e ha operato una vera e propria falcidia delle istanze avanzate, basti pensare che in oltre venticinque anni solo poche centinaia di casi lo hanno superato. D’altro lato la legge esclude che l’errore professionale del magistrato possa comportare responsabilità se cade sulla attività di applicazione delle norme, ciò per preservare l’indipendenza nella libera interpretazione delle norme; il che lascia esente da colpa professionale anche le ipotesi di clamorosa ignoranza. Basterebbe intervenire su questi due punti, come già da tempo proposto in alcuni disegni di legge all’esame del Parlamento, per restituire al sistema una normativa non afflitta da un eccesso di garanzie nei confronti dei magistrati e da nessuna tutela effettiva per i cittadini. Senza impelagarsi in discussioni ideologiche, o peggio mettersi a discutere del sesso degli angeli, con ciò regalando ai fautori dello status quo l’ennesimo pretesto per no cambiare nulla, il governo si dovrebbe impegnare in questo senso. Peccato che dalle prime dichiarazioni di esponenti governativi si coglie una certa confusione in materia. Dopo che il premier ha dichiarato, con la consueta enfasi, che anche su questa materia il governo non si farà condizionare dalle pretese corporative della magistratura, per bocca del ministro Orlando si è subito aggiunto che il filtro preliminare sarà confermato, il che equivarrebbe a dire, con il principe di Salina, che tutto cambia affinché nulla cambi, sul serio. Giustizia: #AmoreTraLeSbarre, on-line petizione su diritto sesso detenuti 9Colonne, 19 giugno 2014 "Il sesso dura qualche istante, l’amore invece tutta la vita". Questa la frase che accompagna la petizione #AmoreTraLeSbarre, cui si può aderire nel sito www.change.org/amoretralesbarre - contro "l’inutile, stupido e ipocrita divieto del sesso in carcere" che vede impegnati l’associazione Antigone e Carmelo Musumeci - una compagna e due figli, condannato alla pena dell’ergastolo ostativo che lui chiama "la morte viva". "Chi è condannato a non uscire da una galera non deve con ciò essere condannato anche a non esprimere il proprio affetto verso il partner - si legge in una nota. Le mogli e i mariti dei detenuti non devono subire anche loro questa condanna. In molti paesi d’Europa - Croazia, Germania, Olanda, Danimarca, Norvegia e altri ancora - sono consentiti colloqui non sorvegliati con il proprio coniuge o partner. In Italia invece i detenuti non hanno diritto all’affettività. Per questo abbiamo lanciato con Carmelo Musumeci la petizione attivata sulla piattaforma change.org. Sono in corso nel nostro Paese importanti riforme del sistema penitenziario. Chiediamo che nell’ambito di tale dibattito trovi spazio anche un intervento in questa direzione. Il sesso è un diritto di tutti: poveri, ricchi, liberi e detenuti". E Musumeci, detenuto nel carcere di Padova, afferma: "Io e la mia compagna, sono ventitré anni che sogniamo l’amore senza poterlo fare. Lei, anche dopo tanti anni, è ancora l’amore che avevo sempre atteso. Mi ricordo ancora le sue prime parole, i suoi primi sorrisi e i suoi primi baci. Da molti anni viviamo giorni smarriti, perduti e disperati. Da tanti anni lei ama e si fa amare da un uomo senza più speranza e futuro. Da ventitré anni il suo amore mi da vita di giorno e di notte. Eppure da molti anni i suoi sorrisi sanno di tristezza, delusione e malinconia perché da tanti anni le mie mani non la accarezzano. Da ventitré anni penso a lei in ogni battito del mio cuore. Da molti anni mi sta dando tanto ed io invece così poco, perché lei per me è il mare, il cielo, il sole e l’aria che respiro". Giustizia: Italia, nazione civile?... quei cinquanta bambini prigionieri dello Stato di Alessandra Contigiani www.globalist.it, 19 giugno 2014 In Italia circa cinquanta bambini sotto i tre anni vivono nelle nostre carceri in una situazione drammatica. Cosa non dovrebbe mai mancare ad un bambino? Senza dubbio l’amore di una famiglia, cibo, vestiti, cure ed istruzione adeguate, un’abitazione confortevole ma, più di ogni altra cosa, la libertà di vivere la propria infanzia. Questo, quanto meno in un paese come il nostro che, è bene ricordarlo, ha ratificato la Convenzione sui diritti del fanciullo delle Nazioni Unite. Eppure, ad oggi, nella civilissima Italia, circa cinquanta bambini sono di fatto prigionieri di Stato. Cinquanta bimbi innocenti, fino ai tre anni di vita, vivono reclusi in una cella di una prigione. Basterebbe davvero poco per risolvere la loro situazione, così devastante dal punto di vista psicologico. Ma lo Stato sembra non averne a cuore la sorte. Giovanna Longo è una delle volontarie di A Roma Insieme, associazione che da oltre venti anni si occupa dei piccoli reclusi nel carcere romano di Rebibbia e delle loro madri, attraverso attività che riducono l’impatto della carcerazione sui minori e che sostengono le donne nella loro genitorialità. L’associazione si batte a livello istituzionale perchè "nessun bambino varchi più la soglia di un carcere", ispirata anche dall’azione della sua fondatrice Leda Colombini. Illuminata dirigente del Pci, deceduta nel 2011 all’uscita del penitenziario romano Regina Coeli proprio in seguito ad un incontro dedicato alle problematiche delle donne in prigione e dei loro bambini, Leda Colombini seppe fare molto per le categorie sociali più deboli, promuovendo tra l’altro leggi regionali a favore dell’infanzia, dei portatori di handicap, degli anziani, nonché per l’istituzione dei consultori. A Roma Insieme è stata membro fondatore (2003) e a tutt’oggi è membro del Forum nazionale per il diritto alla salute delle persone private della libertà personale - Onlus; è inoltre membro della Consulta permanente cittadina per i problemi penitenziari del Comune di Roma. L’associazione è stata tra i promotori della campagna per tre disegni di legge di iniziativa popolare: "Tre leggi per la giustizia e i diritti. tortura, carceri, droghe". Dopo aver presentato un proprio disegno di legge e collaborato attivamente con la Commissione Giustizia in Parlamento in sede di redazione della nuova legge sulle detenute madri (L. 62/2011), ha costituito al suo interno un gruppo di lavoro permanente sulle tematiche legislative inerenti alla questione dei bambini in carcere con particolare attenzione all’iter di attuazione della L. 62/2011. Giovanna, insieme al resto dei volontari di A Roma Insieme, dedica molto del suo tempo alle mamme ed ai bambini di Rebibbia. Ogni sabato, le porte del carcere si aprono per questi piccini che possono trascorrere insieme a loro un’intera giornata di "normalità": una passeggiata al parco, una gita al mare o in montagna, un tuffo in piscina... Quando i bambini crescono e non è più possibile restare in cella con la mamma, i volontari di A Roma Insieme, con quelli dell’associazione Grillo Parlante, organizzano degli incontri tra genitori e minori all’interno delle aree verdi del penitenziario, quattro volte al mese. Per le donne in carcere, A Roma insieme promuove una serie di conversazioni riguardanti la salute, il gioco, i diritti, i servizi socio-sanitari, l’inserimento lavorativo, l’affido. Inoltre, propone laboratori di arte-terapia e musico-terapia nel nido di Rebibbia, un corso professionalizzante di cucito per detenute ed un laboratorio di scrittura nell’Istituto di Rebibbia Maschile Nuovo Complesso. Sempre presso la sezione nido di Rebibbia l’associazione offre alle mamme, in gran parte rom o straniere, un servizio di consulenza psicologica per aiutarle ad abbandonare stili di vita mortificanti per la propria persona e per i propri figli. Infine, sta realizzando una biblioteca permanente a disposizione di grandi e piccini. "La loro realtà", ci racconta Giovanna "è comunque tranquilla (dove c’è mamma è casa). Il nido all’interno viene gestito bene ma si tratta pur sempre di un carcere e gli orari, le chiusure della celle, la mancanza di spazi, il linguaggio... resta tutto molto mortificato e, negli anni più importanti della formazione di un bimbo, i danni sono irreparabili. I nostri impegni e progetti sono molteplici: arte, musica, feste, compleanni, spettacoli e, appena si può, uscite dal carcere. Abbiamo ottenuto tramite il Municipio di far uscire i bambini alla mattina e andare negli asili, così possono confrontarsi con altri bimbi, ma poi rientrano sempre in carcere... La nostra lotta, riassunta nel motto "che nessun bambino varchi la soglia di un carcere" penso che continuerà finché non si risolverà il problema: far uscire i bambini dal carcere, questione che i nostri politici non vogliono affrontare, visto che in tutta Italia la situazione di un numero esiguo di circa cinquanta bimbi sarebbe facilmente risolvibile attraverso l’inclusione di mamme e bimbi all’interno di case famiglia. Nel 2011 è stata approvata la legge di riforma relativa alle madri detenute con bambini ma anche qui non ci troviamo d’accordo: si è innalzata a 6 anni l’età dei bimbi ospiti, non viene garantito alla madre di poter assistere il figlio in caso di malattia o ospedalizzazione, si continua a puntare sugli Icam (istituti di custodia attenuata per madri detenute) come uniche alternative per la detenzione (si tratta di fatto mini carceri). Viene introdotta la casa famiglia protetta, realtà sganciata dal carcere, ma questo istituto non viene promosso poiché è escluso qualsiasi onere a carico del Ministero della Giustizia, quindi siamo al punto di partenza: i bimbi restano in carcere". E continua: "A noi piacerebbe che si prendessero in considerazione le case famiglia protette dove le donne possano scontare la pena in maniera più umana con i propri figli. Ci ha fatto tanto piacere la recente dichiarazione del Sindaco Ignazio Marino a favore della realizzazione delle stesse e ci auguriamo che il suo annuncio abbia sviluppi positivi. Sappiamo che è in discussione, nella Regione Lazio, la nuova legge regionale sull’infanzia. Speriamo che la nuova legislazione regionale rappresenti in maniera democratica un punto di svolta e di innovazione, come fu la legge regionale cui quarant’anni fa si impegnò Leda Colombini. Invito tutti a visitare il nostro sito www.aromainsieme.it e se qualcuno volesse aiutarci con donazioni o il cinque per mille ci sarebbe di grande aiuto. Per chi volesse partecipare, segnalo che il 18 giugno nella Protomoteca del Campidoglio, dalle 9.00 alle 17.00, si terrà il convegno "In carcere si fa cultura. La dialettica Debito / Credito nelle relazioni umane", organizzato dalla nostra associazione con il patrocinio dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Roma". L’obiettivo del convegno sarà quello di porre la questione carcere come tema sociale e culturale che riguarda tutta la collettività, affinché le nostre istituzioni facciano davvero qualcosa di concreto per liberare questi bambini privati della loro infanzia. Giustizia: Piscitello (Dap); sono 715 i detenuti al 41bis, di cui 648 per associazione mafiosa Ansa, 19 giugno 2014 I detenuti in 41 bis, cioè in regime di carcere duro, sono complessivamente 715. Di questi 648 sono in carcere per associazione mafiosa (rispetto a un totale di detenuti per 416 bis pari a 6.009). Sono inoltre 295 i condannati all’ergastolo a cui è stato applicato il 41 bis. Sono i dati forniti da Roberto Piscitello, direttore generale dei detenuti e del trattamento presso il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), nel corso di un’audizione alla commissione Diritti umani. Sono in tutto 12 gli istituti in cui viene applicato il 41bis. Il regime di carcere duro viene disposto "con decreto del ministro della Giustizia a seguito di un’istruttoria della mia direzione", ha spiegato Piscitello; e anche le proroghe "non sono mai automatiche", ma seguono analoghe verifiche. Nell’assegnazione della misura si evita l’assembramento in pochi istituti di soggetti che facciano parte della medesima associazione o di organizzazioni fra loro contrapposte. E si evita che soggetti di grande spessore criminale siano ristretti nello stesso istituto. I soggetti in 41 bis sono detenuti rigorosamente in celle singole. Come tutti i detenuti hanno diritto a colloqui e momenti socialità con altri detenuti, in gruppi non superiori a quattro". Riguardo ai colloqui, su cui il presidente della Commissione, il senatore Luigi Manconi, ha chiesto approfondimenti, "la normativa - ha detto Piscitello - stabilisce che i detenuti possono fare un colloquio al mese in sale attrezzate con vetri divisori per evitare passaggio di oggetti". Nel tempo "ci sono stati interventi per rendere più umani i rapporti con la famiglia e per tutelare i minori": è stata prima "prevista possibilità che figli con meno di 16 anni potessero svolgere colloquio senza vetro divisorio". Successivamente "una circolare ha ridotto da 16 a 13 anni la soglia, a seguito di alcune segnalazioni da parte delle procure distrettuali antimafia di minori che, in non pochi casi, venivano utilizzati per veicolare messaggi fraudolenti e in alcuni casi ordini di morte". I colloqui "sono videoregistrati, ma non registrati a meno che non lo chieda la magistratura". Riguardo alle telecamere, "sono presenti nelle aree comuni, e in alcuni casi anche in aree riservate", ha spiegato Piscitello, che ha anche rilevato di aver avuto "più volte interlocuzioni con procure distrettuali" e di aver "risposto negativamente all’uso surrettizio delle telecamere come sistema di intercettazione". Giustizia: Premio "Goliarda Sapienza 2014. Racconti dal Carcere", selezionati i finalisti 9Colonne, 19 giugno 2014 26 grandi scrittori fanno da tutor letterari ai detenuti. Ad affiancare un giovane del minorile, anche Carlo Verdone. Gino Paoli, presidente Siae: "Alcuni testi sembrano nati per la musica". Fra le centinaia di racconti in concorso al Premio letterario Goliarda Sapienza 2014 (promosso da Siae, Dap (Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria), Dipartimento per la Giustizia Minorile e inVerso Onlus), giunti da tutte le carceri d’Italia, sono stati selezionati i ventisei finalisti (venti per la sezione "Adulti", sei per la sezione "Minori") e abbinati a scrittori ed artisti nel ruolo di tutor letterari. Per gli "Adulti": Carlo Lucarelli, Giancarlo De Cataldo, Erri De Luca, Francesca Melandri, Antonio Scurati, Valeria Parrella, Mirella Serri, Antonella Lattanzi, Andrea Vianello, Giordano Bruno Guerri, Federico Moccia, Andrea Purgatori, Valerio Evangelisti, Fiamma Satta, Silvia Calandrelli, Massimo Lugli, Marco Buticchi, Roberto Riccardi, Marco Franzelli, Maurizio de Giovanni. Per i "Minori": Carlo Verdone, Cinzia Tani, Pino Corrias, Alessandro D’Alatri, Marida Lombardo Pijola e Gloria Satta. Madrina è la scrittrice Dacia Maraini. I tutor mettono a disposizione la loro abilità letteraria in un attento lavoro di editing ai racconti e ne scrivono le introduzioni. "Potrebbe apparire un rapporto in cui c’è una persona che dà, lo scrittore, e una che riceve, quella detenuta. Invece non è così" - dice Antonella Bolelli Ferrera, che del premio è ideatrice e curatrice. "I tutor vivono un’esperienza umana che li arricchisce come persone e come narratori dell’anima e del nostro tempo". Molti gli spunti di riflessione che possiamo ricavare dal racconto sulla giovane profuga siriana, sul bambino-soldato somalo, o quello cui la mamma insegna come fabbricare le stecche di droga, sull’albanese che ha vissuto gli sgomberi di Rosarno, sui tanti figli di detenuti e detenute costretti a un alienante "turismo penitenziario", sul pluriassassino devoto a padre Pio, sul delirio di un naziskin, o dalla cronaca di un suicidio in cella, da come si vive sapendo di non uscire mai più di prigione, dal viaggio della speranza su una carretta del mare alla cella d’isolamento, dalla parabola di una vita "dentro" e poi quella "fuori" dove niente è più come prima… In alcuni casi emerge anche la qualità narrativa. Gino Paoli, Presidente di Siae (principale ente sostenitore del Premio), è stupito dal ritmo incalzante che emerge dai racconti di giovani detenuti e afferma: "Alcuni testi sembrano nati per la musica". I ventisei racconti finalisti, con le introduzioni dei rispettivi tutor, saranno pubblicati da Rai Eri nel libro Il giardino di cemento armato, Racconti dal carcere a cura di Antonella Bolelli Ferrera. Sarà presentato il 13 novembre in occasione della finale del Premio che si terrà a Roma, presso la Casa Circondariale di Regina Coeli. La giuria, presieduta da Elio Pecora, formata da Salvatore Niffoi, Daria Galateria, Enrico Vanzina, Folco Quilici, Lirio Abbate, Angelo Maria Pellegrino, Luca Ricci, Marco Ferrari e Andrea Di Consoli, stabilirà i vincitori. Quest’anno, per la prima volta sarà consegnato anche un premio alla migliore Poesia. Giustizia: il ministro Orlando firma intesa con Regione Sicilia per reinserimento detenuti Agenparl, 19 giugno 2014 Oggi alle ore 11:00, presso la Sala Livatino, il guardasigilli Andrea Orlando e l’assessore alla Salute della Regione Sicilia Lucia Borsellino firmano un protocollo d’intesa per il miglioramento delle condizioni del sistema penitenziario regionale e della situazione delle persone recluse negli istituti dell’Isola. Con l’accordo vengono implementate le azioni orientate alla rieducazione ed al reinserimento dei detenuti nel tessuto sociale ed economico-produttivo della realtà esterna. Si tratta del nono tassello della collaborazione inter-istituzionale in materia penitenziaria tra Ministero, Regioni e Anci e va ad aggiungersi agli accordi già sottoscritti dal ministro Orlando con le regioni Campania, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Umbria, Puglia e, in precedenza, dall’allora guardasigilli Cancellieri, con Emilia Romagna e Toscana. Giustizia: strage Motta Visconti; dall’assenza di emozioni a un nuovo concetto di follia 9Colonne, 19 giugno 2014 Carlo Lissi è l’esempio di un nuovo concetto di follia che si sta facendo strada nella nostra società: il distacco dalle emozioni e l’incapacità di provare sentimenti portano l’individuo a legittimare anche l’omicidio. "Non è un pazzo né un folle. Somiglia più a un bambino viziato, il cui comportamento sviato è frutto della nostra società che forma individui sempre più anaffettivi e incapaci di provare emozioni". Così Margherita Spagnuolo Lobb, psicoterapeuta e direttore dell’Istituto di Gestalt HCC Italy, analizza il comportamento dell’impiegato di 31 anni che ha ucciso moglie e figli a Motta Visconti: "Non è un raptus di follia ma l’atteggiamento di un uomo che vuole fare quello che vuole, appunto come un bambino viziato: se la famiglia è una gabbia, tanto vale eliminarla - continua l’esperta. Nel suo gesto non c’è né odio né amore, al punto che ha avuto un rapporto intimo con la moglie poco prima dell’omicidio ma questo non gli ha impedito di puntarle un coltello alla gola. È l’assenza di emozioni, l’anaffettività che fa compiere certi gesti e poi andare al bar e comportarsi come se tutto fosse normale. Quando poi si viene messi di fronte all’atto compiuto si pensa di risolvere il tutto con un "ok l’ho fatto, datemi il massimo della pena". "Ricordate il caso di Erika e Omar, i due fidanzatini di Novi Ligure che nel 2001 uccisero a sangue freddo mamma e fratello di lei e poi si comportarono come se nulla fosse accaduto? È con quel caso di cronaca che nascono i nuovi folli della società moderna - sottolinea la psicoterapeuta: non solo i due ragazzi riescono a uccidere non provando emozioni, ma durante gli anni di carcere ricevono lettere e incoraggiamenti da parte di adolescenti che dicono di ammirare il loro gesto. Da allora è un susseguirsi di omicidi simili: basti pensare al caso della 14enne Desiree Piovanelli, violentata e uccisa da un gruppo di adolescenti nel 2002; dopo aver confessato l’omicidio, gli assassini chiesero addirittura il permesso di tornare a casa. Ecco l’anaffettività che genera certi comportamenti: non è assenza di lucidità o pazzia in senso proprio, ma l’incapacità di provare emozioni che porta a compiere certi gesti e a considerarli consentiti e scontati". E anche il presunto assassino di Yara Gambirasio potrebbe essere inserito in questa categoria: "Un uomo apparentemente normale che uccide una ragazzina, torna a casa e riesce a guardare negli occhi i suoi tre figli come se non avesse fatto nulla di male", "un atteggiamento del genere è spiegabile solo come risultato di una società in cui i genitori non coinvolgono i figli, non si lasciano trasformare dalla loro presenza e dai loro bisogni. Basta mettergli in mano la playstation o immergerli nella realtà virtuale di Google: così cresceranno ragazzi incapaci di provare emozioni". Porto Azzurro (Li): detenuto tenta suicidio, salvato dagli agenti della Polizia penitenziaria Ansa, 19 giugno 2014 Un detenuto del carcere di Porto Azzurro ha tentato di impiccarsi alla finestra della propria stanza con un cappio ricavato dalla stoffa delle lenzuola e dai lacci delle scarpe. L’uomo è stato salvato dagli agenti penitenziari. Lo rende noto Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria Sappe, che esprime ai poliziotti "apprezzamento e l’auspicio che venga loro concessa una ricompensa ministeriale". Il tentato suicidio è avvenuto lunedì scorso. I poliziotti sono riusciti a togliere il laccio stretto al collo del detenuto e a far intervenire il medico. Il detenuto, un giovane marocchino, "ha motivato il gesto con la lontananza dalla propria famiglia", aggiunge Capece. Il sindacalista ricorda che "negli ultimi 20 anni le donne e gli uomini della polizia penitenziaria hanno sventato, nelle carceri del Paese, più di 16 mila tentati suicidi e hanno impedito che quasi 113 mila atti di autolesionismo potessero avere nefaste conseguenze". Oristano: Sdr; detenuto con sospetto ictus in ospedale con furgone polizia penitenziaria Ansa, 19 giugno 2014 "Mi sono sentito male improvvisamente verso le 21 del 27 maggio scorso. Il medico del Carcere, che ha diagnosticato un sospetto ictus cerebrale, ha subito chiamato l’ambulanza medicalizzata del 118. All’uscita dell’Istituto però non sono stato fatto salire sull’ambulanza ma sul furgone della Polizia Penitenziaria. Ammanettato, con flebo e collegato a un monitor sono stato accompagnato all’ospedale dove sono giunto verso le 22.30". È quanto ha ricostruito L. B., 54 anni, calabrese, detenuto in regime di Alta Sicurezza nel carcere di Oristano-Massama in una lettera inviata all’associazione "Socialismo Diritti Riforme". "L’evento critico - sottolinea il detenuto nella missiva - ha avuto il totale sostegno dei Medici. Dopo i controlli, l’ambulanza ha avuto accesso all’Istituto. Sono stato sistemato nella barella ma poiché non funzionava l’ascensore, con le precauzioni del caso, sono stato fatto scendere e collocato in una sedia a rotelle. Nel frattempo i Sanitari dell’Istituto hanno provveduto ai prelievi ematici, a fare un elettrocardiogramma e a sistemare l’ago-cannula in vena. Sono quindi sopraggiunti nell’Infermeria Centrale del carcere i componenti dell’equipaggio del 118 ma all’uscita la sorpresa. Medico e Infermiere sono saliti sul furgone della Penitenziaria al mio seguito". "È evidente - osserva Maria Grazia Caligaris, presidente di SDR - che il detenuto ha avuto fortuna e il suo caso si è risolto positivamente. È altresì vero che la sicurezza ha un peso notevole nella gestione di cittadini privati della libertà considerati pericolosi. Non si comprende però come sia possibile non dare il giusto peso alle indicazioni dei Medici e addirittura accompagnare con un furgone, un detenuto ammanettato in Ospedale, mentre si sta sottoponendo a una flebo, avendo a disposizione un’Ambulanza. L’episodio richiede un approfondimento ma aldilà delle considerazioni e valutazioni non è certo una bella pagina quella che, davanti a una situazione di pericolo di vita, sembra voler dimenticare - conclude Caligaris - la preminenza della persona sullo Stato, sulla sicurezza. Il senso di umanità deve prevalere sempre altrimenti bisogna cancellare la parola dignità dal vocabolario". Novara: pulizia straordinaria città, detenuti al lavoro in via Solferino coordinati da Assa www.novaratoday.it, 19 giugno 2014 I lavori sono coordinati da Assa, nell’ambito della sesta "Giornata di recupero del patrimonio ambientale", che come sempre fornisce anche il supporto logistico e operativo. Ha preso il via questa mattina, mercoledì 18 giugno, il nuovo intervento di Assa con l’impiego dei detenuti del carcere di via Sforzesca per la pulizia straordinaria della città. L’area verde interessata dall’intervento, che rientra nell’ambito della sesta "Giornata di recupero del patrimonio ambientale", è quella di via Solferino. I lavori sono coordinati da Assa che come sempre fornisce anche il supporto logistico e operativo. L’intervento riguarda la pulizia e sistemazione del giardino pubblico di via Solferino e delle rampe pedonali che congiungono al Baluardo. All’avvio dei lavori, questa mattina, c’era anche il sindaco Andrea Ballarè, che ha voluto portare un saluto alla squadra che si occuperà della pulizia dell’area. Gela (Ct): ex detenuto si incatena davanti al Municipio per chiedere un lavoro La Sicilia, 19 giugno 2014 "Per 26 anni ho avuto le catene e continuo a tenerle fino a quando non avrò un lavoro. Ma sia chiaro io Rocco Ferrigno non sono lo sponsor politico di nessuno. Chiedo solo di avere il diritto di poter lavorare dignitosamente e portare qualche soldo a casa". Da ieri mattina Rocco Ferrigno è in catene davanti all’entrata del Municipio. Una protesta pacifica nel tentativo di incontrare il sindaco Angelo Fasulo e chiedere, così come ha fatto tante altre volte, un posto di lavoro perché lui dalle ditte non si può presentare direttamente perché "gli sembra che chiedo l’estorsione. Il mio conto con la giustizia l’ho pagato. Mi sono umiliato tante volte, mi hanno fatto lavorare dall’una o dall’altra parte. Ma è da tempo che non lavoro ed ho una moglie che ha bisogno di essere curata". In molti lo hanno guardato con gli occhi storti, altri ancora invece hanno criticato la conferenza stampa tenuta l’altro ieri nella chiesa Santa Lucia. "A me della politica non importa nulla - chiarisce Ferrigno - anzi se dobbiamo dirla tutta il sindaco Angelo Fasulo mi ha sempre aiutato e non mi posso lamentare, così come l’assessore Ugo Costa mi vuole dare l’assegno civico per tre mesi. Solo io e mia moglie sappiamo che serve in casa e l’assegno non mi permetterebbe certo di poter sollevare le mie difficoltà". Firenze: Lensi (Ri) lancia appello al Sindaco "nomina il garante comunale dei detenuti…" www.gonews.it, 19 giugno 2014 Il consigliere provinciale Massimo Lensi: "Garantisce coesione tra territorio, Istituzioni e popolazione carceraria". Ormai la Giunta di Firenze è stata nominata, il Consiglio comunale si è insediato, tutto è pronto perchè la macchina amministrativa fiorentina prenda il largo. "Invitiamo a questo punto il Sindaco Dario Nardella - è la richiesta del consigliere provinciale Massimo Lensi, radicale nel Gruppo Misto - a nominare il Garante comunale dei detenuti, importante figura di coesione tra territorio, Istituzioni e carcerati. Sul territorio di Firenze ci sono ben tre istituti penitenziari, con una popolazione carceraria che supera, molte volte, le mille unità. Ricordo che questo importante ruolo è vacante dal novembre dell’anno scorso". Roma: convegno su rispetto art. 27 Costituzione… parola d’ordine è "cambiare carceri" Ansa, 19 giugno 2014 Il carcere continua ad essere un luogo "separato" e sconosciuto, dove il giusto equilibrio tra pena da scontare e rispetto dei diritti e della dignità della persona stenta, quando proprio non esiste addirittura, ad affermarsi. Il sovraffollamento ne è la dimostrazione più evidente. Ora, se questo equilibrio non riesce ad instaurarsi, contravvenendo a quanto detta l’Art. 27 della Costituzione, che parla del ruolo rieducativo del carcere e delle pene, che cosa si può e si deve fare? È questo il nodo centrale sul quale si sono confrontati i numerosi e qualificati esperti del settore, che oggi in Campidoglio hanno partecipato ad un convegno, organizzato dall’associazione "A Roma insieme-Leda Colombini", con il sostegno di Roma Capitale. L’evento si svolge a conclusione di un progetto realizzato nel corso dell’anno all’interno del carcere romano di Rebibbia Nuovo complesso "In carcere si fa cultura. Debito/credito nelle relazioni umane", organizzato dal laboratorio di scrittura e lettura dell’associazione, in collaborazione con Libera e con il dipartimento di Scienze sociali applicate dell’università La Sapienza di Roma, dal quale è stato tratto un libro. Non a caso, è proprio nell’esperienza culturale e creativa che gli organizzatori hanno individuato un modo per cercare di ristabilire all’interno del carcere quell’equilibrio. "Parlare di rieducazione in carcere - ha detto Gherardo Colombo, tra gli intervenuti, ex magistrato di Mani Pulite, oggi consigliere nel Cda Rai - è un controsenso per come oggi viene inteso il carcere. L’equivoco fondamentale è sul modo di intendere i diritti fondamentali che devono essere comunque riconosciuti a chi delinque, affettività, istruzione, spazio vitale". Colombo, chiedendo quali siano i risultati che si ottengono se non si garantiscono questi diritti, ha sottolineato che, per esempio, "i casi di recidiva sono molto inferiori quando il detenuto in alternativa al carcere è affidato ai servizi sociali". "Io ho vissuto un carcere possibile - ha detto Salvatore Striano, ex carcerato, uno degli attori (Bruto) del film "Cesare deve morire" - e sono convinto che se ci fossero per tutti le stesse opportunità che ho avuto io, se ci fossero biblioteche, lavoro, teatro, cultura per tutti, le carceri si svuoterebbero e di Salvatore Striano ce ne sarebbero tanti". Il sostituto procuratore nazionale Antimafia, Anna Capena, dal canto suo, ha parlato dell’art.41 bis come di "un male necessario, che deve essere però temporaneo", mentre il direttore di Rebibbia, Mauro Mariani, ha detto che "il conflitto non risolto è della società, che attraverso la giustizia lo ha segregato in un contenitore che è il carcere". Cosenza: Corbelli (Diritti Civili); il Papa a Cassano non incontrerà genitori piccolo Cocò Adnkronos, 19 giugno 2014 Il Papa in occasione della sua visita a Cassano, questo sabato, non incontrerà la mamma del piccolo Cocò, il bambino di tre anni ucciso e bruciato insieme al nonno e a una donna marocchina. Lo rende noto il leader del movimento Diritti civili, Franco Corbelli, dopo aver ricevuto una telefonata di Antonia Iannicelli. "La mamma del piccolo Cocò mi ha fatto sapere che l’incontro che tanto desiderava fare, insieme alle sue due bambine, con Papa Francesco non ci sarà. Lo ha fatto sapere il Vaticano. Sinceramente speravo che questo incontro avvenisse. E continuo ancora a sperare. Avevo per questo rivolto una serie di appelli", scrive Corbelli in una nota. "La mamma del piccolo Cocò aveva espresso, più volte, in questi mesi, il desiderio di poter incontrare, insieme al marito Nicola Campolongo (detenuto a Castrovillari) e alle loro due bambine, in occasione della sua visita a Cassano, Papa Francesco per abbracciarlo e ringraziarlo per quello che aveva detto e fatto domenica 26 gennaio, durante l’Angelus in Piazza San Pietro". Corbelli aveva recapitato in Vaticano una lettera che i coniugi gli avevano consegnato il 28 gennaio scorso quando era andato a trovarli in carcere. Bollate (Mi): genitori, detenuti e assessori imbiancano la scuola di via Diaz www.mi-lorenteggio.com, 19 giugno 2014 Pareti di aule, corridoi e uffici rimesse a nuovo. Questo grazie al progetto di collaborazione tra il Comune di Bollate, l’Istituto Comprensivo, i genitori della Scuola Primaria Rosmini e il Carcere di Bollate. Iniziato un anno fa, il progetto è proseguito, dopo qualche stop burocratico, grazie alla determinazione delle parti interessate. Il prossimo appuntamento di imbiancatura è previsto per sabato 21 giugno, a partire dalle ore 9.00, presso il plesso scolastico di via Diaz 44 Nel corso della giornata alcuni assessori della Giunta Lorusso, un nutrito gruppo di genitori e i detenuti del carcere di Bollate diventeranno imbianchini volontari, per completare l’imbiancatura della scuola. La società Gaia Servizi, fornirà le attrezzature e i materiali per l’imbiancatura e, come da contratto con il Comune, provvederà direttamente a tinteggiare i soffitti della scuola. "L’estate è tempo di lavori per la sistemazione degli edifici scolastici – dichiara il sindaco di Bollate Stefania Lorusso. Ma le ristrette risorse oltre ai vincoli di bilancio e i continui tagli imposti, ci impediscono di far partire tutti lavori necessari sul nostro territorio. La soluzione, sempre più spesso, deve essere trovata mettendo insieme creatività, generosità e volontariato. Per questo abbiamo pensato a una collaborazione socialmente utile, pensata per dare un’aria nuova alla nostra scuola e un ambiente più pulito e accogliente ai ragazzini che a settembre si ripresenteranno per il nuovo anno scolastico". Monza: da poco uscito dal carcere, ritrovato svenuto su un furgone muore in ospedale di Dario Crippa Il Giorno, 19 giugno 2014 Un uomo riverso su un furgone abbandonato. Un passante lo vede, forse prova a chiamarlo, ma lui non risponde. Il passante allora dà l’allarme al 118, un’ambulanza trova l’uomo in stato di incoscienza e lo porta al Policlinico di Monza. I medici ne constateranno il decesso pochi minuti più tardi: è ancora mistero Un uomo riverso su un furgone abbandonato. Un passante lo vede, forse prova a chiamarlo, ma lui non risponde. Il passante allora dà l’allarme al 118, un’ambulanza trova l’uomo in stato di incoscienza e lo porta al Policlinico di Monza. I medici ne constateranno il decesso pochi minuti più tardi. Mistero su quanto scoperto martedì intorno alle 20 in via D’Annunzio, al quartiere San Rocco. Non si sa se l’uomo - un egiziano di 42 anni senza fissa dimora - sia morto durante il trasporto o soltanto una volta arrivato al pronto soccorso. Soprattutto, non si sa per quale motivo sia morto. I carabinieri della Compagnia di Monza, subito informati della questione, stanno indagando e per il momento non escludono alcuna ipotesi. Neppure quella di una morte violenta, anche se almeno apparentemente non c’erano tracce evidenti sul cadavere. Se non un buco su un braccio, che potrebbe far pensare alla droga e a un’overdose. Gli inquirenti intanto lavorano per ricostruire qualcosa di più preciso a proposito della vittima. Per il momento, si sanno soltanto poche cose: aveva 42 anni, era di origini egiziane e fino a qualche giorno fa, era detenuta nel carcere di Monza. La sua fedina penale parla di reati contro il patrimonio e spaccio di sostanze stupefacenti. Roba di piccolo cabotaggio, roba da disperati. In Italia, l’uomo non aveva fissa dimora e non si sa se avesse parenti o amici. I carabinieri stanno lavorando anche su questo fronte, per risalire a chi potrebbe essere interessato alle sue spoglie, a chi lo vorrà piangere. Il mistero principale riguarda tuttavia però al momento soprattutto le circostanze relative alla sua morte. Il magistrato di turno della Procura di Monza disporrà un’autopsia sul cadavere per capirci qualcosa di più. Intanto i militari proveranno a ricostruire le ultime ore di vita dell’uomo. Cominciando dalle ragioni per cui era detenuto, e da quanto tempo. E cosa ha fatto dopo essere stato rimesso in libertà. Pare che il furgone abbandonato fosse diventato l’unico rifugio possibile per il nordafricano, senza un lavoro e senza una casa. E poi: aveva problemi di tossicodipendenza? Può effettivamente essersi iniettato una dose di droga che gli ha provocato un’overdose? Ferrara: il Teatro della Casa Circondariale presenta il "Cantiere Tasso" www.cronacacomune.it, 19 giugno 2014 Prove aperte tra ottobre e novembre. Le Carceri della Regione al lavoro sulla "Gerusalemme liberata" di Torquato Tasso. Il Coordinamento Teatro Carcere Emilia Romagna è nato a Ferrara nell’ambito di un Forum specifico organizzato dal Teatro Nucleo in collaborazione con il Comune e il Csv, che ha coinvolto i soggetti attivi nelle Case circondariali della Regione con progetti di teatro rivolti a persone detenute. Il lavoro di rete dell’Associazione, volto a favorire la visibilità delle diverse realtà che operano nel settore e a promuoverne le interazioni con le politiche culturali e sociali del territorio, è stato riconosciuto attraverso il "Protocollo d’intesa sull’attività di teatro in carcere" tra il Coordinamento, la Regione Emilia-Romagna, il Provveditorato Regionale Amministrazione Penitenziaria (Prap) e con il contributo scientifico dell’Università di Bologna. Il 2014 è la prima annualità di un progetto biennale che vede le realtà del Coordinamento impegnate su un testo comune, la Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso. Si concluderà nel 2015 con la produzione di sei spettacoli strutturati, da realizzarsi all’interno delle Case Circondariali o, quando possibile, nei teatri della regione. A giugno i primi appuntamenti con "Prove partecipate della Gerusalemme Liberata" all’interno delle Case Circondariali di Bologna, Castelfranco Emilia, Ferrara, Forlì, Parma, Reggio Emilia. I registi e formatori si riuniranno di volta in volta nei laboratori delle diverse carceri, per partecipare sin dall’inizio al processo creativo. Giovedì 19 giugno sarà la volta di Ferrara; il Teatro della Casa Circondariale presenterà lo stato dei lavori del "Cantiere Tasso". Questi saranno visibili al pubblico ferrarese in una serie di prove aperte tra ottobre e novembre. È motivo di grande soddisfazione per il Teatro Nucleo, che le altre realtà regionali abbiano accettato con entusiasmo la sfida di lavorare sul grande poeta di Ferrara (salernitano di nascita). Un attore cresce tanto quanto più alte e complesse sono le sfide che affronta, e gli attori detenuti non fanno eccezione. Con grande meraviglia per tutti - detenuti, educatori, polizia penitenziaria - dopo un periodo di iniziale perplessità, oggi le ottave tassiane risuonano nei corridoi e nelle celle anche ad alte ore della notte mentre i detenuti si applicano a affrontare un testo irto di difficoltà. La parola del poeta apre nelle menti strade nuove, arricchisce l’esperienza, educa i sentimenti. La regia è di Horacio Czertok con la collaborazione di Andrea Amaducci, del Teatro Nucleo. Libri: "Aspetto l’attesa e spero la speranza", la poesia che riesce a volare oltre le sbarre di Veronica Meddi Il Tempo, 19 giugno 2014 Su un filo asfittico, che è pur sempre un respiro, si sospendono appesi aliti di vita. Sospiri di noia, di pena, tra sogni e malesseri, emotività lottano e pregano. Chiuse nella Casa circondariale di Rebibbia, sezione femminile, le donne generano attraverso l’arte spazi aperti di libertà. In "Aspetto l’attesa e spero la speranza" (Licenza Poetica, pag. 121, euro 15) Nina Maroccolo e Plinio Perilli hanno curato e aiutato a far nascere poetesse fuori dagli schemi, e proprio per questo, poetesse a tutti gli effetti. Sono le illetterate, qui, a fare letteratura, oltranzista, meravigliosa. Su un piccolo palco, con tanto di sipario in velluto, rigorosamente rosso, le timide anime hanno raccontato, con volti segnati da esperienze vissute "fuori", "prima", riflessi di difficili esistenze. In corpi induriti dalle molte cicatrici dell’esperienza vivono anime fragili. Impossibile non notare il contrasto. Così nasce la silloge poetica, fortemente voluta dall’editore Luciano Lucarini e presentata lunedì scorso, che raccoglie i contributi delle detenute che hanno partecipato al "Laboratorio di Poesia" tenuto dal poeta Plinio Perilli, la poetessa Nina Maroccolo e la professoressa Antonella Cristofaro insegnante d’Italiano presso la casa circondariale di Rebibbia. Le detenute parlano lingue diverse, ma la poesia è un linguaggio universale che si fa capire bene dalla sensibilità. Il prologo dell’evento è in musica. La violinista Elena Pezzella ha aperto con la "Ciaccona" di Tomaso Antonio Vitali, e in platea un silenzio di rispetto e di pensieri ha accompagnato la bacchetta che accarezzava le corde di violino. Grace, Jasmine, Natalya, Samanta, Vanesa, Rita, Anna Maria, Linda, Bianca, sono alcune delle poetesse che hanno donato ai fogli bianchi schegge delle loro esistenze. Sangue, sudore e lacrime che non bagnano gli occhi, ma scivolano dentro lentamente, come i giorni di attesa che separano dalla vita fuori. Ecco che in "Anima mia" Jasmine chiude con " Mi hanno battezzato Dolores, ma da sempre mi chiamano Jasmine". "Leggermente libera" è la poesia con cui Rita omaggia il tanto prezioso corso di poesia. Natalya con la sua "Per l’amore più grande della mia vita" fa la sua confessione. Crede che nulla nella vita venga a caso e che forse questo tempo in carcere sia prezioso per riflettere: " sempre si gira tutto come lo scoiattolo nella ruota". Antony spiazza i presenti con parole dure: "ero l’ospite inatteso. La morte ha avuto paura di me". Anna Maria spera in Dio e fa il suo atto di dolore: "se poi io me la gioco male è solo mia colpa". Mia colpa! Tra versi profondi, una parola sbatte su un’altra creando inquieta musicalità, Linda si fa la sua domanda: "Mi chiedo che cosa è la vita. Voglio risposta!". Se un corvo nero poi attacca due colombe liberate dalle mani di due bambini, Vanesa teme che il male sovrasti a questo punto il bene. Ma la sua riflessione peggiore è: "E se fosse il male contro il male?". Lo sguardo fuori dalla finestra di Samanta è costretto. Ironia della sorte, e su questa ironia lei ci ride sopra, un piccolo passero appoggiato su cavi d’acciaio, sembra guardare dentro la cella e forse pensare: "gli uomini in gabbia, ed io sono libero … Ha! Ha! Ha!!". "Chi ha paura della morte si avventa alla propria debolezza. Che, come il coraggio, è di tutti, ed è tanto forte che contiene speranza" , commuove Bianca. In "Cella 41" Jasmine e Lyse confessano che la vera terapia della galera è il pensare. Rita con i suoi versi ha regalato il titolo a questa estremo atto di verità: "Io aspetto, aspetto l’attesa, e spero la speranza. Né positiva né negativa, come in fondo è la vita". Romania: italiano condannato a 12 anni di carcere per aver truffato duemila romeni Ansa, 19 giugno 2014 Via libera, dalla Cassazione, all’estradizione in Romania di Antonio P., un italiano titolare di una ditta a Milano, che dovrà scontare nelle carceri rumene i dodici anni di carcere che le autorità di quel Paese gli hanno inflitto in via definitiva per aver organizzato una truffa "complessa e su vasta scala" promettendo un lavoro - del tutto inesistente - nel settore dell’ecologia a ben duemila rumeni. Antonio P. - nato in Germania nel 1968 - si era accordato con una società che operava anche a Timisoara sulla base di autorizzazioni ottenute con false garanzie bancarie, ed aveva avviato procedure di selezione comprendenti visite mediche effettuate in Ungheria. Gli aspiranti lavoratori rumeni erano stati reclutati tramite annunci comparsi sui giornali nell’agosto del 2001. I primi duemila sarebbero dovuti partire per l’Italia alla fine di quell’anno. In 756 gli avevano dato i soldi che sarebbero dovuti servire a pagare il corso di formazione professionale che avrebbe aperto la strade all’assunzione nella ditta intestata allo stesso Antonio che era anche incaricato di formarli. "Ma ben presto - scrivono gli "ermellini" nella sentenza 26461 che ripercorre la storia di questa truffa - si era constatata la sopravvenuta irreperibilità di Antonio P., e delle somme che ciascuno aveva pagato in anticipo per l’accesso ai corsi di formazione". Veloce l’iter della giustizia rumena che nel giugno del 2002 aveva già "elevato le proprie imputazioni". Nel 2003 veniva pronunciata dal Tribunale di Timis la sentenza di colpevolezza irrevocabile. La Suprema Corte mette in rilievo la "vastità dell’azione truffaldina che aveva coinvolto migliaia di persone", e come il "nucleo centrale" si sia sviluppato in Romania. Infine la Cassazione, nel confermare l’accoglimento della richiesta di estradizione deciso dalla Corte di Appello di Bologna, osserva che i fatti contestati sono di "peculiare gravità" e che la condanna a dodici anni "è stata fissata su un valore non di molto superiore al minimo edittale (pari a dieci anni, per la truffa con gravi conseguenze)" ed ha anche tenuto conto del "numero delle persone direttamente truffate da Antonio P. (756)". Romania: direttore carcere periodo comunista a processo per crimini contro l’umanità Tm News, 19 giugno 2014 La Romania processerà il direttore di una prigione dell’era comunista per crimini contro l’umanità. Alexandru Visinescu, 88 anni, è stato a capo della prigione di Ramnicu Sarat dal 1956 al 1963 e, in quel periodo, molti detenuti politici furono picchiati e lasciati a digiuno. La procura rumena ha spiegato che diversi detenuti morirono durante quegli anni nel carcere di Visinescu, dopo essere stati sottoposti a "tortura fisica e psicologica" e dopo che furono loro negati assistenza medica e cibo. La procura ha identificato 138 persone che sono state detenute nel periodo di Visinescu. Tra queste intellettuali, membri del clero, politici. Tra il 1945 e il 1989 nella Romania comunista furono condannate e arrestate 600mila persone per motivi politici. La Corte costituzionale ha stabilito alla fine dello scorso anno che l’omicidio non è soggetto prescrizione, aprendo così la strada ai processi per ex apparati comunisti. Stati Uniti: eseguita pena di morte in Florida, la terza nel Paese in 24 ore La Presse, 19 giugno 2014 Le autorità della Florida hanno eseguito la pena di morte nei confronti di un uomo condannato per aver ucciso a coltellate la moglie e il figlio di lei. È stata la terza esecuzione in meno di 24 ore negli Stati Uniti e anche la terza da quella del 29 aprile scorso in Oklahoma, quando un detenuto era morto d’infarto 20 minuti dopo l’interruzione della procedura. John Ruthell Henry è stato dichiarato morto alle 19.43 ora locale (le 2.43 in Italia). Il 63enne uccise nel 1985 la moglie, Suzanne Henry, e il figlio di 5 anni avuto dalla donna da una precedente relazione. Prima dell’esecuzione Henry ha chiesto perdono e si è scusato per quello che aveva fatto. Precedentemente l’uomo fu condannato per omicidio di secondo grado per aver ucciso la compagna Patricia Roddy e, dopo aver scontato otto anni di carcere, fu rilasciato nel 1983. L’esecuzione di Henry si è svolta dopo che la Corte suprema Usa ha respinto un appello presentato dai suoi legali. Siria: Hrw; autorità curde nel nordest responsabili di abusi e maltrattamenti su detenuti La Presse, 19 giugno 2014 Le autorità curde che governano in tre enclavi nel nordest della Siria hanno commesso abusi e maltrattamenti, tra cui arresti arbitrari di oppositori politici. È l’accusa lanciata dal gruppo per i diritti umani Human Rights Watch (Hrw), secondo cui il Partito dell’unione democratica (Pyd), la principale fazione curda in Siria, è responsabile di maltrattamenti nei confronti di oppositori detenuti. Il Pyd, afferma l’Ong, non ha neanche indagato su casi di rapimenti e omicidi commessi nelle zone da lui controllate. Inoltre, si legge nel rapporto diffuso oggi da Hrw, nella propria polizia e nell’ala militare il gruppo ricorre all’uso di bambini. "Le zone della Siria governate dai curdi sono più tranquille delle altre aree del Paese, ma ciononostante vi vengono commessi gravi abusi", ha detto Nadim Houry, vice direttore di Hrw per il Medioriente e l’Africa del Nord. "Il Pyd - ha aggiunto - ha un solido controllo della zona e può fermare gli abusi". L’Ong ha documentato alcuni casi in cui la polizia del partito, nota come Asayish, ha arrestato membri di parti curdi all’opposizione soltanto a causa delle loro attività politiche. Almeno nove oppositori sono stati uccisi o sono scomparsi negli ultimi due anni e mezzo in zone parzialmente o completamente controllate dal Pyd. Altre irregolarità, riferisce il gruppo per i diritti umani, sono state registrate nei tribunali gestiti dal partito, dove in alcuni casi giudici avrebbero condannato imputati soltanto in base alla loro religione. Hrw ha completato il rapporto in base a interviste con ex detenuti, avvocati e attivisti locali. Il partito ha garantito all’Ong l’accesso alle tre zone che controlla, ma i ricercatori ne hanno potuta visitare soltanto una per motivi di sicurezza. Membri dell’Ong hanno visitato a febbraio due carceri nella zona e alcuni detenuti hanno raccontato loro di aver subito maltrattamenti. In due casi le vittime aggredite da agenti dell’Asayish sono morte. Il Pyd ha smentito di essere responsabile di questi incidenti, riferisce Hrw, ma non ha condotto indagini adeguate. Il Pyd dichiarò la propria amministrazione nelle aree curde nel nordest della Siria nel 2012, dopo aver sconfitto i ribelli islamici che fanno parte dell’opposizione armata contro il regime del presidente Bashar Assad. Il partito è legato al movimento curdo Pkk, che da decenni si batte per una maggiore autonomia nel sudest della Turchia. Stati Uniti: detenuto Guantánamo accusato per attacchi contro forze Usa in Afghanistan di Gina Di Meo Ansa, 19 giugno 2014 Abd al-Hadi al-Iraqi è stato formalmente accusato di crimini di guerra. Si tratta di uno dei detenuti di ‘alto valorè incarcerati nella prigione di Guantánamo a Cuba ed è considerato l’artefice di diversi attacchi contro le truppe americane in Afghanistan. L’accusa è stata formalizzata dalla Commissione Militare del tribunale militare di Guantánamo. Al-Hadi, 53 anni, conosciuto anche con almeno altri dieci nomi, deve rispondere di cinque capi d’accusa, tra cui di aver cospirato con Osama Bin Laden e altri leader di Al Qaeda per commettere atti terroristici. Non rischia tuttavia la pena capitale. Il massimo della pena che gli può essere inflitta è l’ergastolo. Dopo la lettura delle accuse, Al-Hadi non si è dichiarato né colpevole, né innocente, e la difesa per lui ha detto che si riserva una decisione. L’imputato è arrivato in aula totalmente vestito di bianco, in abiti tradizionali musulmani. La seduta, in un’aula semideserta e alla quale un gruppo di giornalisti ha potuto assistere da dietro una vetrata e con un ritardo audio di 40 secondi, è durata circa un’ora ma già dall’inizio la sessione è partita con qualche intoppo a causa di alcuni problemi con la traduzione dall’arabo all’inglese e che ha portato alla sostituzione dell’interprete. Poi l’imputato ha chiesto al giudice militare Kirk Waits di essere rappresentato anche da un avvocato civile perchè quello attuale, tenente colonnello Chris Callen, è prossimo a lasciare per la fine del suo mandato. Tuttavia il giudice gli ha fatto presente che il governo americano gli può garantire solo una difesa militare e non civile. "Ancora non sappiamo chi potrebbe pagare le spese per un avvocato civile - ha detto all’Ansa Callen - e il mio assistito non può permetterselo". Al-Hadi è detenuto a Guantánamo da sette anni e si trova in regime di isolamento a Camp 7, la zona a cui nessuno può accedere. Per l’accusa si tratta di un passo avanti nel lungo processo che alla fine dovrebbe assicurare alla giustizia coloro che sono considerati i principali artefici degli attacchi terroristici contro gli Stati Uniti. "Le accuse contro Abd al Hadi - ha detto in conferenza stampa il procuratore capo del Pentagono, generale Mark Martins - sono il risultato della cooperazione tra diverse autorità e anche se le famiglie delle vittime (11/9, ndr) non potranno riavere i loro cari, vogliamo assicurare loro che gli Stati Uniti si impegnano a fare giustizia". Abd al Hadi è la dodicesima persona a cui la Commissione Militare istituita a Guantánamo nel 2009 ha formalmente accusato di terrorismo. Nel maggio del 2012 è stata la volta di Khalid Shaikh Mohammad, considerato l’architetto degli attacchi dell’11 settembre. Serbia: direttore Ufficio Kosovo Djuric visita in carcere leader serbo Ivanovic a Mitrovica Nova, 19 giugno 2014 Il direttore dell’Ufficio serbo per il Kosovo, Marko Djuric, è oggi in visita nel carcere di Mitrovica dove è detenuto il leader dell’iniziativa civica Srbija, Demokratija, Pravda (Serbia, democrazia e giustizia, Sdp), Oliver Ivanovic. Secondo quanto rende noto un comunicato di Belgrado, Djuric è la prima autorita’ serba a visitare Ivanovic da quando è stato sottoposto a custodia cautelare, lo scorso 27 gennaio. Lo scorso 12 marzo il leader serbo è stato trasferito dal carcere di Pristina a quello di Mitrovica, nel Kosovo settentrionale, dopo che il 4 marzo aveva iniziato lo sciopero della fame per protestare contro le condizioni detentive a Pristina. Ivanovic aveva precisato di essere circondato da persone esclusivamente di etnia albanese, e di non utilizzare neppure il diritto all’uscita nel cortile per motivi di sicurezza. Ivanovic si trova in regime di custodia cautelare dopo che lo scorso 27 gennaio è stato arrestato dagli agenti di Eulex, la missione europea in Kosovo. Il leader serbo è sospettato di crimini contro la popolazione di etnia albanese, commessi fra il 1999 e il 2000.