Giustizia: ora Vostro Onore pagate per l’errore di Pierluigi Battista Corriere della Sera, 18 giugno 2014 Dicono: una legge sulla responsabilità civile dei giudici che hanno agito per dolo e colpa grave, la vogliono i corrotti per vendicarsi delle inchieste. Falso: la vogliono 20 milioni e 770.334 italiani (oltre l’80 per cento dei votanti) che nel novembre 1987 si espressero a favore di una sanzione per chi ha abusato del proprio potere, distorcendo con dolo le norme dello Stato di diritto. Dicono, come ha fatto Eugenio Scalfari su Repubblica: ma così, chiunque sia stato riconosciuto innocente in un processo, può vendicarsi. Falso: i magistrati eventualmente costretti a risarcire un cittadino perseguitato non devono rispondere di un esito giudiziario favorevole a quel cittadino, ma per una condotta giudiziaria macchiata da dolo e colpa grave. Dicono: ma così si lasciano soli i magistrati di fronte al ricatto dei potenti. Falso: a decidere se un magistrato ha violentato la legge e la procedura sarà un collegio di altri giudici, non un tribunale del popolo. Dicono: ma adesso c’è già una legge che sanziona comportamenti dolosi da parte di un magistrato. Falso: se un magistrato viene ritenuto (da altri magistrati) colpevole, a risarcire è lo Stato e dunque i magistrati che si macchiano di dolo e colpa grave potranno, come fanno, agire indisturbati sapendo che a pagare non saranno loro, ma tutti i cittadini con le loro tasse. Dicono: ma una legge sulla responsabilità civile dei magistrati per dolo e colpa grave (o "violazione manifesta del diritto") sottopone i magistrati a un forte stress. Vero: li costringe a lavorare bene e con attenzione scrupolosa, come i medici quando entrano in una sala operatoria o gli ingegneri quando progettano un ponte, perché la libertà delle persone è sacra come la loro vita, e non si può manipolarla per dolo, colpa grave o manifesta violazione del diritto acclarati da una sentenza di altri giudici. Dicono: ma una legge del genere farebbe dell’Italia un unicum. Falso: una legge che permette allo Stato di rivalersi sui giudici c’è, con regole ben precise, in Spagna, in Germania ("dolo o colpa grave"), in Francia ("mancanza intenzionale particolarmente grave" o addirittura "diniego di giustizia"), in Belgio e in Portogallo ("frode" e "dolo grave"). Dicono: ma in Italia, comunque, lo Stato sa sanzionare comportamenti negligenti o dolosi. Falso: farebbero bene a leggere Operazione Montecristo, il libro di Lelio Luttazzi, la cui vita fu distrutta nel 1970 da un’iniqua detenzione non sanata dal proscioglimento successivo. I giudici che si macchiarono d’una simile nefandezza sono stati addirittura premiati, come del resto gli inquirenti del caso Tortora, che hanno in seguito fatto brillanti carriere malgrado la persecuzione di cui sono stati colpevolmente protagonisti. È probabile che il voto della Camera, che ha approvato finalmente una legge civile, sarà cancellato dal Senato. Il timore è che sia vero: il Pd di Renzi sta rottamando tutto, ma non la sudditanza al giustizialismo feroce che l’ha dominato in questi anni? Giustizia: il pm Gratteri e il carcere del lavoro forzato di Franco Corleone Il Manifesto, 18 giugno 2014 A leggere i resoconti dell’intervento svolto dal procuratore aggiunto di Reggio Calabria Nicola Gratteri il 5 giugno davanti alla Commissione diritti umani del Senato sull’applicazione del regime penitenziario per gli appartenenti ai vertici delle organizzazioni mafiose, si tira un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo di avere questo pubblico ministero ministro della giustizia. L’analisi di Gratteri sul funzionamento del 41bis è stata davvero a tutto campo. Ha contestato la distribuzione dei 750 detenuti in regime di carcere duro in 12 istituti, con i rischi di interpretazioni diverse da parte dei direttori delle norme e ha individuato la soluzione nella costruzione di 4 nuovi carceri dedicati allo scopo con 4 direttori specializzati. Gratteri si è domandato anche la ragione della chiusura negli anni novanta delle carceri di Pianosa e dell’Asinara, auspicando la loro riapertura con questa destinazione. La mancanza di memoria storica è davvero una maledizione, perché attribuisce scelte motivate e dibattute a pura casualità o superficialità. Va ricordato che la scelta di chiudere le carceri speciali fu dovuta al rifiuto doveroso da parte dello stato democratico di sopportare condizioni di violenza inaudita e di gestioni paranoiche da parte di direttori immedesimati nella parte di vendicatori e aguzzini. Si vuole tornare a quella pratica di tortura appena ora che l’Italia ha evitato una condanna definitiva per violazione dell’art. 3 della Convenzione dei diritti umani da parte della Cedu per trattamenti crudeli e degradanti? Va riconosciuto al procuratore anti ‘ndrangheta di avere proposto una diminuzione dei detenuti a regime speciale a 500 per una applicazione seria affidata al Gom, il reparto specializzato della Polizia Penitenziaria, potenziando i controlli anche durante i colloqui. Infatti "nel momento in cui c’è un colloquio bisogna guardare la mimica facciale, i segni che il detenuto fa ai parenti con braccia e mani". A questo proposito il procuratore ha invitato il legislatore ad intervenire su un vuoto enorme, cioè il caso della moglie del detenuto che è anche avvocato, perché in quel caso il colloquio non si può registrare. Non è chiara la soluzione proposta: obbligare a cambiare avvocato (comunque i colloqui non sarebbero registrati) o a divorziare? Nell’incertezza si legge anche che alla mancanza di personale esperto si può ovviare con il trasferimento di militari dell’esercito adeguatamente formati e comunque diminuire il numero sovrabbondante di agenti della polizia penitenziaria presenti in via Arenula, la sede del ministero della giustizia. Il culmine dello slancio riformatore si è espresso sulla questione del lavoro per i detenuti. "Io sono per i campi di lavoro, non per guardare la tv. Chi è detenuto sotto il regime del 41 bis coltivi la terra se vuole mangiare. In carcere si lavori come terapia rieducativa. Occorre farli lavorare come rieducazione, non a pagamento. Se abbiamo il coraggio di fare questa modifica, allora ha senso la rieducazione. Farli lavorare sarebbe terapeutico e ci sarebbe anche un recupero di immagine per il sistema". Ci vorrebbe davvero un bel coraggio a fare strame delle norme penitenziarie europee, delle sentenze della Corte Costituzionale, della legge Smuraglia e della riforma penitenziaria del 1975, peggiorando addirittura il Regolamento di Alfredo Rocco del 1932! Nei resoconti dell’audizione non si leggono le reazioni dei commissari. Il silenzio glaciale appare la risposta adeguata. Di fronte a simili derive è il caso che il ministro Orlando avvii subito le procedure per la nomina del garante nazionale dei diritti dei detenuti. Giustizia: in Commissione diritti umani del Senato audizione su regime detentivo 41-bis Asca, 18 giugno 2014 Torna a occuparsi del regime di detenzione relativo all’articolo 41-bis dell’ordinamento penitenziario la Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato. Tema su cui è prevista domani alle ore 13.30 l’audizione di Roberto Piscitello, direttore generale dei detenuti e del trattamento presso il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. L’audizione si colloca nell’ambito dell’indagine conoscitiva sui livelli e i meccanismi di tutela dei diritti umani vigenti in Italia e nella realtà internazionale. Giustizia: ministro Alfano, su Yara passo falso da crisi di consenso di Andrea Sarubbi La Nuova Sardegna, 18 giugno 2014 Da ministro della Giustizia, con Berlusconi presidente del Consiglio e in pieno caso Ruby, difendeva la presunzione di innocenza di un indagato anche dopo rinvii a giudizio; da ministro dell’Interno, in evidente ansia da prestazione, ha definito "efferato assassino" un uomo che, in quel momento, doveva ancora essere sentito dal giudice per le indagini preliminari. Che in questo momento Angelino Alfano sia in difficoltà, schiacciato fra lo strapotere di Matteo Renzi e le accuse quotidiane degli ex amici di Centrodestra, è sotto gli occhi di tutti. Anche degli elettori, evidentemente, che - se non fosse stato per l’alleanza con l’Udc - non gli avrebbero fatto raggiungere nemmeno il quorum per Strasburgo. Ma se a livello parlamentare può bastare un’intesa con Casini, e nuovi gruppi comuni, per essere determinante oggi, a livello di prospettive future è tutto più complicato. Ecco allora la virata sulla sicurezza, ostentata ieri nella conferenza antidroga e il giorno prima nell’annuncio della cattura di Massimo Giuseppe Bossetti: un annuncio a dir poco inusuale, seguito da un imbarazzante botta e risposta con il procuratore di Bergamo e accompagnato da critiche pesanti. Prevedibile quella di Beppe Grillo, un po’ meno quella di Giulia Bongiorno, ex collega di partito nel Pdl e già presidente della Commissione Giustizia della Camera, che su Twitter si chiedeva retoricamente cosa fare "se poi, per caso, l’assassino di Yara non fosse quello che nel giro di poche ore è stato condannato dal ministro". Proprio l’avvocato Bongiorno - che sabato scorso era con Corrado Passera, al lancio di Italia Unica - è tra i più scettici, nel panorama politico, sull’infallibilità del Dna, che ha permesso agli inquirenti di arrivare a Bossetti.Main molti Paesi la banca dati è una realtà da anni, e anche l’Italia - aderendo nel 2009 al Trattato di Prum, siglato nel 2005 da Belgio, Francia, Germania, Spagna, Lussemburgo, Austria e Paesi Bassi - ha avviato il percorso per la sua istituzione. C’è un organismo a Palazzo Chigi che si occupa del tema (il Comitato nazionale per la Biosicurezza, le Biotecnologie e le Scienze della Vita), c’è una sede con un laboratorio costato 16 milioni di euro e già collaudato all’interno del carcere di Rebibbia, c’è un bando di assunzione per il personale: nonostante gli spot televisivi, però, al momento la banca non funziona, perché il ministero dell’Interno (quello diretto da Alfano, appunto) non ha ancora approvato il regolamento attuativo. Se ne parlò a lungo nella scorsa legislatura, specialmente al Senato: fu Francesco Rutelli, all’epoca presidente del Copasir, a depositare un disegno di legge molto dettagliato, poi confluito - insieme a quelli del gruppo Idv, del finiano Valditara e del pidiellino Compagna - nel testo governativo. Che restringe il prelievo forzoso "di campioni di mucosa del cavo orale" ad alcune categorie ben definite (soggetti in custodia cautelare, arrestati in flagranza, sottoposti a fermo di indiziato di delitto, condannati per delitti non colposi per i quali è consentito l’arresto facoltativo in flagranza) e comunque "nel rispetto della dignità, del decoro e della riservatezza". Proprio quello della privacy è il punto cruciale, sul quale la politica dovrà misurarsi: è un tema su cui anche il Garante per la protezione ai dati personali, nelle ultime settimane, ha consegnato al Viminale i propri rilievi. C’è infatti il nodo da sciogliere sulla conservazione dei dati raccolti, che spetta proprio al ministero dell’Interno: trattandosi di un tema di sicurezza nazionale, toccherà dunque ad Alfano garantire che i dati siano disponibili soltanto alle forze dell’ordine e alla magistratura. A meno che - si commenta con sarcasmo in Transatlantico - non decida di pubblicarli sui suoi profili Facebook e Twitter, come ha fatto con Yara. Giustizia: passare da cinque a tre Forze di Polizia… il sasso è stato gettato nello stagno di Massimo Montebove www.huffingtonpost.it, 18 giugno 2014 Non c’è bisogno di ricordare Gianni Rodari e la metafora del sasso gettato nello stagno per capire che la proposta di ridurre le forze di polizia da cinque a tre, lanciata nei giorni scorsi dal ministro della Pubblica amministrazione, è destinata a lasciare il segno e ad avere conseguenze, soprattutto - proseguendo nella citazione dello scrittore di Omegna - nei confronti di quegli "oggetti che se ne stavano ciascuno per conto proprio, nella sua pace o nel suo sonno" e che adesso "sono come richiamati alla vita, obbligati a reagire, a entrare in rapporto tra di loro (...), mentre il sasso precipita smuovendo alghe, spaventando pesci, causando sempre nuove agitazioni molecolari". Ecco, quegli "oggetti" sono le potenti burocrazie ministeriali che da sempre si oppongono alla necessità di ridurre e unificare le forze di polizia, che sono ben cinque nel nostro Paese e alle quali occorre aggiungere la polizia provinciale, quella locale, i vigili del fuoco e la guardia costiera. Una macchina che costa venti miliardi di euro l’anno, col sessanta per cento delle risorse assorbite dagli apparati logistici e amministrativi. Una cifra enorme che rende quasi impossibili, in tempi di spending review, nuovi investimenti nella sicurezza e che impedisce, per altro, di dare a poliziotti e carabinieri paghe migliori, visto che i loro stipendi sono fermi da cinque anni. Marianna Madia, alla vigilia dell’ultimo consiglio dei ministri che ha dato via libera alla riforma della pubblica amministrazione, c’ha provato a buttare il sasso nella stagno, certamente con l’avallo del premier. La cosa per adesso non ha avuto seguito, ma chi conosce il modus operandi del capo del Governo e dei suoi fedelissimi sa benissimo che una riforma della sicurezza è ormai inevitabile. L’idea di accorpare la penitenziaria e il corpo forestale nell’ambito della polizia di Stato, ipotizzando ad esempio la creazione di nuove specialità come la stradale e la polfer, potrebbe rappresentare un primo step di quel difficile, ma non impossibile, percorso di unificazione delle forze dell’ordine. Sul web ormai le firme raccolte attraverso il sito internet sono migliaia e migliaia e il sindacato di polizia Sap crede convintamente nel successo di questa battaglia. Ho avuto già modo di scriverlo e voglio ribadirlo: caro Matteo Renzi, vai avanti così. C’è da cambiare verso anche per quel che riguarda la sicurezza. Giustizia: abolizione Corpo di Polizia Penitenziaria, un grave errore secondo il Li.Si.Po. www.nordest.news.it, 18 giugno 2014 L’ipotesi che la Polizia Penitenziaria ed il Corpo forestale dello Stato, possano essere assorbiti dalle altre forse di Polizia, nel quadro della riforma della pubblica amministrazione, almeno per il momento, non diventerà realtà. Un eventuale accorpamento, sarebbe totalmente sbagliato, non porterebbe ad alcun risparmio e cancellerebbe una lunga storia ed un bagaglio di professionalità ed esperienza che solo gli anni possono cimentare e bene ha fatto il Presidente Renzi, ad escludere, per il momento, tale ipotesi - così ha dichiarato il Presidente Nazionale del Libero Sindacato di Polizia, Antonio de Lieto. La Polizia Penitenziaria svolge un’attività estremamente impegnativa che richiede una particolare preparazione che non si limita alla sola vigilanza degli istituiti di pena, ma concerne anche la gestione ed il recupero dei detenuti e tutto ciò che riguarda la sicurezza, in materia di custodia detentiva. Il Li.Si.Po., ritiene semplicistico che si possa ipotizzare un accorpamento, semplice e facile, solo sulla carta, per un Corpo, come quello della Polizia Penitenziaria, che trova le sue origini, nel 1817. Se l’accorpamento della Polizia Penitenziaria con altre Forze di Polizia, a giudizio del Libero Sindacato di Polizia, dovesse, in un prossimo futuro, diventare realtà, sarebbe un pessimo affare per il Paese. Le stesse considerazioni - ha rimarcato de Lieto - vanno fatte per il Corpo forestale dello Stato, un Corpo altamente professionalizzato, la cui scomparsa avrebbe serie conseguenze, sulla lotta ai reati ambientali e per la difesa dell’ambiente, nel suo complesso. Sardegna: Sappe; situazione nelle carceri è scandalosa, politiche sbagliate e troppi errori Ansa, 18 giugno 2014 "La situazione penitenziaria in Sardegna è semplicemente scandalosa ed è grave che, nonostante le nostre denunce, fino ad oggi non sia cambiato nulla". È la denuncia lanciata oggi dal segretario generale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria (Sappe), Donato Capece durante il consiglio regionale del sindacato a Monastir, cui hanno partecipato i delegati sindacali di tutta la Regione. "La situazione che è emersa - confermano - è davvero allarmante: com’è possibile, ad esempio, che per i dodici penitenziari sardi continuino ad esserci solamente cinque direttori?". Il Sappe ha riepilogato i numeri del 2013: "364 atti di autolesionismo, 99 tentati suicidi, un suicidio, sei decessi per cause naturali, 21 ferimenti e 50 colluttazioni. Con queste violenze e con questi drammi hanno a che fare, quotidianamente, i poliziotti penitenziari, encomiabili per la loro professionalità e umanità". "La situazione della Sardegna ha raggiunto limiti massimi - ha attaccato Capece, oltre i quali non è possibile proseguire, e se il sistema penitenziario regionale regge è solamente per l’alto senso di responsabilità e di competenza che tutto il personale, e principalmente quello appartenente al Corpo di Polizia Penitenziaria, pone in essere quotidianamente. Le attuali condizioni - ha concluso - sono certamente il risultato di politiche sbagliate, trascuratezze, risposte inadeguate avvenute a livello nazionale e locale, legislativo e gestionale da molto, troppo tempo. Troppi gli errori, le disattenzioni, i limiti". Mantova: l’Opg di Castiglione delle Stiviere non chiude ma si trasforma in Rems di Francesco Romani La Gazzetta di Mantova, 18 giugno 2014 Superamento degli Opg, gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. La Regione sta ripensando il piano, approvato appena lo scorso anno e che prevedeva la creazione in Lombardia di 12 Rems (Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza), in pratica mini comunità protette da 20 posti massimo nelle quali collocare i pazienti dal prossimo primo aprile. Ma il nuovo decreto approvato il mese scorso e modificato da diversi emendamenti, introduce ora la possibilità di inviare i pazienti, dopo la chiusura degli Opg, a "misure alternative" e non più automaticamente nelle Rems. In sostanza non sarebbero più necessarie così tante strutture, peraltro costose. Da qui l’idea di ridurle di numero. "Un’idea che sta prendendo piede e della quale si sta discutendo in questi giorni - conferma il direttore dell’Opg castiglionese, Andrea Pinotti. Per noi a Castiglione non dovrebbe cambiare nulla. Se anche le Rems venissero ridotte da 12 a 8, le sei previste qui a Castiglione resterebbero confermate. Se si scendesse ancora di numero, avverrebbe una riduzione proporzionale". Castiglione, come noto, soffre da anni di sovraffollamento con 290 pazienti psichiatrici contro i circa 200 che dovevano essere ospitati nei quattro padiglioni, tre sezioni maschili e l’unica sezione femminile in Italia. I dipendenti sono circa 200 e per loro si profila la garanzia di poter operare anche in futuro. In caso di riduzione, in quanto dipendenti del Poma verrebbero spalmati sui servizi psichiatrici territoriali. "Noi prevediamo entro il 15 luglio - prosegue Pinotti - di inviare alla Regione i progetti individuali di ciascun paziente per determinare quale sia la migliore struttura di accoglienza. È chiaro che non tutti i casi potranno essere seguiti dai servizi territoriali, resterà sempre la necessità di strutture di sicurezza come le Rems perché esiste sempre il problema delle recidive, cioè la tendenza a ripetere lo stesso reato". La Regione prevede per i pazienti che saranno accolti dalle strutture psichiatriche territoriali, un supporto attraverso staff "forensi" composti da psichiatri, assistenti sociali, psicologi che si occupino di seguire "a domicilio" i pazienti dimessi. Un terzo investimento sarà fatto a Pavia dove nel carcere sarà creata un ala psichiatrica per accogliere i 148 detenuti incompatibili con la vita carceraria a causa di patologie mentali. Non inciderà, invece, nel mantovano la norma che prevede di dimettere i pazienti quando hanno raggiunto la pena massima per il reato che hanno commesso. Attualmente nell’Opg castiglionese i ricoverati della nostra provincia sono solo quattro. Modica (Rg): abusi sessuali su detenuti stranieri, arrestati due poliziotti penitenziari Ansa, 18 giugno 2014 Due assistenti capo della polizia penitenziaria in servizio nel carcere di Modica sono stati arrestati da carabinieri del comando provinciale di Ragusa per abusi sessuali su giovani detenuti stranieri. Avrebbero minacciato le vittime di fare trovare droga nei loro vestiti o nelle celle se si fossero opposti, "gratificando" chi, invece, cedeva, con "regali" come droga e sigarette. Le indagini sono state avviate dopo una denuncia dell’amministrazione penitenziaria di Ragusa. I due assistenti capo della polizia penitenziaria di Modica, che sono stati posti agli arresti domiciliari, sono indagati dalla Procura di Modica per concussione e violenza sessuale, continuata e aggravata, e spaccio di sostanze stupefacente. I due sono stati arrestati all’alba da carabinieri del comando provinciale di Ragusa perché accusati di aver abusato in periodi diversi, tra maggio del 2012 e del marzo 2014, di alcuni giovani detenuti stranieri costringendoli a subire umilianti atti sessuali di varia natura, dietro minacce. In caso di rifiuto della "vittima" prescelta il carcerato sarebbe stato minacciato di gravi ritorsioni come quello di fargli allungare i tempi della detenzione con nuove accuse: avrebbero nascosto droga nei suoi vestiti o nella sua cella, accusandolo di esserne il possessore. Chi invece accettava le avances sarebbe stato ricompensato con alcuni "regali" come dosi di hashish, sigarette, tabacco e altri prodotti difficili da trovare in una prigione. Le indagini dei carabinieri sono scaturite dalla denuncia dell’amministrazione penitenziaria di Ragusa. Osapp: epurare da "mele marce" il Corpo di Polizia penitenziaria tutela legalità L'arresto di due assistenti capo di polizia penitenziaria in servizio nella casa circondariale di Modica è un episodio gravissimo, ma non può e non deve minare l'immagine del Corpo che quotidianamente è impegnato per assicurare la sicurezza penitenziaria. Lo afferma il segretario generale aggiunto dell'Osapp, Domenico Nicotra. Evidente - osserva il sindacalista - che episodi del genere vadano immediatamente sanzionati epurando dalle "mele marce" il Corpo di Polizia penitenziaria che quotidianamente è espressione di legalità nelle patrie galere. Genova: detenuto rimane in ospedale perché non c’è la scorta, dà botte ad un agente Il Secolo XIX, 18 giugno 2014 Dopo essere stato dimesso dal reparto dell’ospedale San Martino riservato ai detenuti non ha potuto fare rientro nella Casa circondariale in quanto non c’erano agenti di scorta che avrebbero potuto accompagnarlo. E così un giovane marocchino lo scorso pomeriggio ha seminato il panico nel reparto del nosocomio di via Mosso. Prima ha iniziato a suonare ripetutamente il campanello della stanza della penitenziaria, poi ha cercato di rompere il letto per fare una spranga. Determinante è stato l’intervento di un agente della penitenziaria che, pur rimanendo ferito, è riuscito a bloccarlo. L’episodio è stato denunciato oggi da Michele Lorenzo, segretario del Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria. "Nel reparto ospedaliero - attacca il rappresentante sindacale - al momento del fatto c’erano solo 2 agenti di polizia penitenziaria. L’episodio poteva essere sicuramente evitato se la macchina organizzativa avesse funzionato. Il sistema è saltato per mancanza di uomini e mezzi disponibili per far rientrare il detenuto dall’ospedale all’istituto. Carenza questa più volte da noi denunciata. A farne le spese sono sempre i poliziotti penitenziari che debbono subire sulla loro pelle quest’assurda organizzazione che come sindacato non condividiamo". Il comunicato del Sappe Grave episodio di aggressione avvenuto nel reparto ospedaliero in uso alla Polizia Penitenziaria nell’ospedale San Martino di Genova, arginato solo grazie alla professionalità e freddezza manifestata dal personale di Polizia Penitenziaria. Lo rende noto la segreteria regionale del Sappe, il maggior sindacato di categoria della polizia penitenziaria. Il 16 giugno un detenuto di origine marocchina benché dimesso dal reparto ospedaliero, non ha potuto far rientro in istituto in quanto non era disponibile la scorta che lo avrebbe dovuto accompagnare in carcere. Il detenuto, che evidentemente non gradiva di prolungare immotivatamente la sua permanenza nel reparto ospedaliero, ha iniziato un vero e proprio iter di provocazione col suonare continuamente il campanello di chiamata per attirare l’attenzione del poliziotto di turno. Evidentemente il detenuto aveva già un suo progetto criminale perché alla vista del poliziotto ha cercato di divellere la testiera del letto per usarlo come arma impropria contro il personale della Polizia Penitenziaria, non riuscendo nell’intento ha sferrato un pugno ed un calcio al poliziotto procurandogli delle lesioni per fortuna non gravi. Nonostante tutto è riuscito a contenere la reazione del detenuto. Il segretario ragionale del Sappe Michele Lorenzo, imputa tale episodio ad origini organizzative. "Nel reparto ospedaliero al momento del fatto c’erano solo 2 agenti di Polizia Penitenziaria. L’episodio poteva essere sicuramente evitato se la macchina organizzativa avesse funzionato. Il sistema è saltato per mancanza di uomini e mezzi disponibili per far rientrare il detenuto dall’ospedale all’istituto. Carenza questa più volte da noi denunciata, così come ripetutamente cerchiamo di attirare l’attenzione dei vertici regionali per arginare le disfunzioni che si verificano quotidianamente negli istituti della Liguria: Il provveditore della Liguria è presente solo un giorno alla settimana - continua Lorenzo - questo impedisce una gestione del sistema carcere immediata e coerente, ci sono 2 istituti senza direttore, su questo punto riteniamo che si possa intervenire attingendo dai direttori a disposizione proprio negli uffici regionali". "I mezzi sono ormai al limite dell’efficienza, molti sono fermi per guasti meccanici ai quali non si può intervenire per mancanza di fondi a questo corrisponde anche uno scarso approvvigionamento di carburante. A farne le spese sono sempre i poliziotti penitenziari che debbono subire sulla loro pelle quest’assurda organizzazione che come Sindacato non condividiamo; un ulteriore esempio l’aver sguarnito l’istituto di Imperia di funzionari del Corpo inviato in un altro istituto senza alcuna motivazione creando anche un danno economico. Ho personalmente appurato che in alcuni istituti la Polizia Penitenziaria opera senza alcuna protezione sanitaria e questo è intollerabile. Sono tante le anomalie che abbiamo riscontrato in Liguria - afferma sempre il Sappe - c’è ampia motivazione affinché si possa dichiarare lo stato di agitazione con iniziative che andremmo ad organizzare. Auspichiamo che i politici liguri si interessino anche alla Polizia Penitenziaria". Lodi: "Via la Direttrice", la Polizia penitenziaria invia un nuovo appello al Provveditore di Laura De Benedetti Il Giorno, 18 giugno 2014 Ieri, proprio mentre a Lodi era in corso in via Cagnola un sopralluogo annunciato da parte della Commissione speciale del Consiglio regionale sulla situazione carceraria in Lombardia, tutte le organizzazioni sindacali provinciali del Comparto Sicurezza Polizia Penitenziaria (Sappe, Uil-Pa, Osapp, Sinappe, Fns-Cisl, Ugl Polizia Penitenziaria, Fsa-Cnpp, Fp-Cgil) hanno sollecitato nuova mente per iscritto l’avvicendamento della direttrice della Casa circondariale di Lodi, Stefania Mussio, "per l’aggravarsi delle condizioni lavorative e per i modi relazionali della stessa che non permettono la serenità al personale". Il documento è stato inviato al Provveditore regionale dell’amministra zione penitenziaria Aldo Fabozzi ma, per conoscenza, anche ai vertici del Dipartimento di Roma e sindacali. I sindacati auspicano di ottenere delle risposte da Fabozzi proprio oggi, a margine dell’incontro per la contrattazione regionale sull’istituzione dei nuclei provinciali. Lo scorso 31 maggio, i rappresentanti della polizia penitenziaria, avevano lanciato un ultimatum di 10 giorni: "In assenza di una risposta - avevano detto - sarà proclamato lo stato di agitazione con sospensione di tutte le trattative e sit-in di protesta a Milano". Determinante, dunque, viene ritenuta la possibilità di ottenere, oggi, delle decisioni su Lodi: "Lo stato di agitazione del personale di Polizia Penitenziaria permarrà finché l’amministrazione penitenziaria non provvederà all’avvicendamento del Direttore della Casa Circondariale Lodi e continuando ad oltranza con qualsiasi forma protesta nell’interesse sia del personale che dell’amministrazione stessa. I fatti denunciati sono di estrema gravità e non possono essere avallati all’infinito dai vertici del Provveditorato Regionale o Dipartimento Centrale" riferisce il segretario provinciale del Sappe (Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria), Dario Lemmo. L’arrivo, a febbraio, del nuovo comandante di Polizia penitenziaria, commissario Melania Manini e della vice Simona De Cesare, è invece stato giudicato positivamente dai sindacati: "Il 4 giugno, in occasione dei festeggiamenti dei neo pensionati della Polizia Penitenziaria di Lodi, è stato consegnato un omaggio floreale di benvenuto alla nuova Comandante di reparto e alla sua vice - spiega Lemmo. Ai festeggiamenti hanno partecipato anche i dirigenti sindacali della Polizia Penitenziaria di Lodi, il Cappellano don Luigi Gatti e l’ex Comandante di reparto, Raffaele Ciaramella, che era sostituto commissario". Arezzo: Sappe; detenuto ai domiciliari chiede di tornare in carcere "non ho da mangiare" Comunicato Sappe, 18 giugno 2014 "Ad Arezzo, un detenuto di 33 anni nato a Napoli e residente a Foiano della Chiana, che stava scontando la pena agli arresti domiciliari, ha chiesto di tornare in carcere perché non aveva di che mangiare. Anche questo è un aspetto reale della crisi economica che ha colpito molti strati della popolazione e vasti settori della marginalità sociale, come detenuti ed ex detenuti". Lo rende noto il segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria (Sappe), Donato Capece, raccontando un episodio avvenuto qualche giorno fa in Toscana. "Il detenuto, in un orario in cui gli era permesso uscire da casa, è andato in carcere ed ha chiesto di essere rimesso in cella nell’istituto. "A casa non ho da mangiare", ha detto agli Agenti di Polizia Penitenziaria stupiti dall’insolita richiesta. In detenzione nell’istituto di pena ha ovviamente diritto ai pasti e alla colazione e questo sarebbe stato il motivo per cui ha chiesto di essere riassociato in carcere. Il magistrato competente, immediatamente contattato dai poliziotti penitenziari di servizio, non ha però ravvisato motivi validi per una nuova carcerazione". "Quanto avvenuto ad Arezzo", conclude Capece, "dimostra quali possono i reali e concreti problemi della marginalità sociale nella quale si trovano spesso i detenuti e dovrebbe far capire il perché spesso alcuni di loro, senza lavoro e senza aiuti sociali sul territorio, non recidono mai definitivamente i lacciuoli che li legano alla criminalità ed alla delinquenza. Non è e non può essere una giustificazione, ma è un dato oggettivo. Anche autorevoli esperti hanno accertato che dall’inizio della crisi economica e la conseguente crescita della disoccupazione i detenuti italiani sono aumentati con un ritmo molto più sostenuto rispetto a quello degli stranieri". Cosenza: allarme-evasione, ma detenuto era nascosto in una stanza dell’infermeria Ansa, 18 giugno 2014 Viene lanciato l’allarme per evasione dal carcere di Cosenza ma in realtà il detenuto era nascosto in una stanza dell’infermeria. A trovarlo dopo un approfondita ricerca gli agenti della polizia penitenziaria. Era stato lanciato l’allarme con l’avvio della caccia all’uomo ma dopo poco tempo il detenuto italiano che si sospettava essere evaso dal carcere di Cosenza è stato ritrovato all’interno dello stesso istituto di detenzione. In particolare il detenuto è stato ritrovato dagli agenti della polizia penitenziaria. L’uomo si era nascosto in una stanza dell’infermeria del penitenziario. In un primo momento era stata segnalata l’evasione alle forze dell’ordine ma poi ricerche più approfondite hanno permesso di accertare che l’uomo non era riuscito ad allontanarsi dal carcere dove sta scontando una pena a poco più di due anni per tentato omicidio. Empoli: intesa tra l’Uepe e la Cooperativa Orizzonti per il reinserimento dei detenuti www.gonews.it, 18 giugno 2014 La firma dell’accordo La firma dell’accordo Nella mattinata di oggi presso la nuova sede di Empoli dell’Ufficio Epe (Ufficio di Esecuzione Penale Esterna) di Firenze in via Fratelli Rosselli n 40 è stato firmato il nuovo Protocollo d’intesa tra l’Ufficio Esecuzione Penale Esterna di Firenze, rappresentata dalla Dott.ssa Daniela Calzelunghe, e Orizzonti Società Cooperativa Sociale Onlus, rappresentata dal Presidente Dott. Stefano Stefanon, per l’integrazione sociale, lavorativa e formativa dei soggetti in esecuzione penale esterna. Questo documento che consolida una collaborazione di diversi anni, disciplina il rapporto tra l’Uepe di Firenze e la Coop. Orizzonti per: la promozione di un sistema integrato volto alla valorizzazione delle esperienze e delle metodologie per lo svolgimento di attività di comune interesse; la realizzazione di inserimenti lavorativi di soggetti svantaggiati in esecuzione penale esterna, specificando le modalità di accesso, i criteri di stesura dei progetti, la declinazione degli obiettivi e le modalità di monitoraggio. Il protocollo vuole sostenere un intervento efficacie sul territorio volto a influenzare la qualità di vita di persone che vivono situazioni di svantaggio: l’offerta di un’opportunità lavorativa va intesa come punto di partenza per sostenere la riabilitazione e l’acquisizione di una professionalità specifica, spendibile nei circuiti ordinari del mondo del lavoro. Napoli: oggi e domani un Convegno di aggiornamento sulla Medicina penitenziaria Il Denaro, 18 giugno 2014 "Mostratemi le vostre carceri, non i vostri palazzi" diceva Voltaire. E quando si parla di carceri non esiste solo il problema del sovraffollamento, ma anche quello, di non minore importanza e drammaticità, delle malattie che sono presenti all’interno delle strutture carcerarie, delle quali si parlerà oggi, mercoledì 18 (a Santa Maria la Nova, a partire dalle 15), e giovedì 19 (Ospedale Cotugno, Aula Magna De Lorenzo), nell’ambito del Convegno di aggiornamento di Medicina penitenziaria organizzato in onore del Prof. Raffaele Pempinello, primario emerito dell’ospedale Cotugno, dalla dottoressa Maria Donata Iannece in collaborazione con i medici specialisti, infermieri, personale tecnico e dirigenti sanitari dell’Agenzia dei Colli (Monaldi, Cotugno e Cto). Al Convegno, che si svolge sotto l’egida della Simspe (Società italiana di Medicina e sanità penitenziaria) interverranno studiosi del problema sia in campo medico che in quello legale, amministratori di aziende ospedaliere, esperti del settore che daranno vita ad un approfondito dibattito sulle tematiche presenti nel titolo: "Bioetica e giustizia. Il disagio psichico; Proposte per nuovi modelli organizzativi per l’assistenza sanitaria". Tra gli interventi in programma quelli di Antonio Giordano, direttore generale dell’Azienda dei Colli, Sergio Babudieri, presidente del Simspe, Aldo Bova, presidente Medici cattolici di Napoli, Giulio Starnini, direttore Medicina penitenziaria di Viterbo, Carmine Esposito, presidente del Tribunale di Sorveglianza di Napoli, Michele Schiano, presidente V Commissione Sanita Regione Campania, Tommaso Contestabile, provveditore regionale Amministrazione penitenziaria di Napoli, Ernesto Esposito, direttore generale Asl Napoli 1, Pasquale Giustiniani, docente di Bioetica, Seconda Università di Napoli, Riccardo Polidoro, avvocato, presidente de "Il carcere possibile". "I dati ufficiali del Ministero della Giustizia sono molto indicativi - illustra il prof. Pempinello, cui si deve per riconoscimento unanime il fatto che Napoli possa contare su uno dei pochi centri di Medicina penitenziaria, da lui istituito al "Cotugno", riconosciuti a livello nazionale dal Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria - le malattie infettive sono ampiamente diffuse nei penitenziari con stime elevatissime: l’infezione Hiv/Aids 7%; l’Epatite da virus C 50%; l’Epatite da virus B 10%. Per quanto attiene alle problematiche assistenziali correlate all’infezione da virus Hiv è oggi possibile effettuare una terapia molto efficace che contrasta il progredire dell’infezione verso la grave immunodeficienza dell’Aids conclamata. Ma molti problemi sono ancora aperti ed associati all’infezione Hiv/Aids: la tubercolosi, le epatiti-virali croniche con evoluzione in cirrosi; la tossicodipendenza; le malattie psichiatriche; vi è inoltre una emergenza di neoplasie correlate all’infezione da Hiv". Altri problemi di natura diversa sono rappresentati dalle malattie cardiache, coronariche, diabete, vasculopatie e patologie osteo-articolari. Questo il quadro da tener presente per ogni discussione che si proponga di cercare una soluzione: "La proposta operativa che intendiamo sostenere con forza e convinzione - afferma il prof. Pempinello - riguarda l’istituzione dei Reparti Ospedalieri di Medicina protetta. Nel 2010 il Ministero della Giustizia ha pubblicato un documento intitolato: "I Reparti Ospedalieri di Medicina Protetta: protocolli condivisi di presa in carico del paziente detenuto". Il Reparto di Medicina Protetta rappresenta il paradigma operativo del concetto di Connected Health ( sanità connessa), una sanità che pone al centro il paziente come individuo e lo sostiene armonizzando tutti gli della cura (sanitario, sociale, psicologico e, nel caso specifico, giudiziario)". Secondo tali linee il Reparto dovrebbe essere così organizzato: il reparto necessita da un lato di personale sanitario formato e dall’altro di un contingente di Polizia Penitenziaria assegnato a prestare servizio in ambiente di ricovero. La pianta organica per 20 posti letto dovrebbe prevedere un Direttore Medico; 8 dirigenti medici; 1 coordinatore infermieristico; 12 infermieri professionali; 6 operatori sanitari O.S. Il Progetto prevede per il 2014 il coinvolgimento dei Reparti di Medicina Protetta che, nel caso specifico della Regione Campania, è stato già individuato dal Ministero nel Reparto di Malattie Infettive finora diretto dal Prof. Raffaele Pempinello, attualmente Primario Emerito dell’Azienda dei Colli. Il prossimo obiettivo è il coinvolgimento del Reparto di Medicina Protetta dell’Azienda Ospedaliera Cardarelli di Napoli. Questo Convegno, in conclusione, vuole proporre nuovi modelli organizzativi, riconoscendo il ruolo svolto dal Prof. Pempinello quale ispiratore e protagonista in questi anni della crescita ed affermazione di una nuova specialità: la Medicina Penitenziaria, un problema di sanità pubblica che richiede la formazione continua degli operatori ad essa afferenti: sanitari, infermieri, psicologi, polizia penitenziaria, magistrati ed in ultima analisi la società in cui viviamo. Siracusa: il teatro entra in carcere per educare alla legalità, laboratorio di Davide Sbrogiò di Sergio Taccone La Sicilia, 18 giugno 2014 Successo per gli attori del laboratorio scenico ospiti d’eccezione della casa circondariale di Brucoli. Davide Sbrogiò: "Recitando realizziamo sogni di libertà". Tra poche settimane sarà impegnato nel suo primo monologo, un testo di Patrick Suskind. Intanto l’attore augustano Davide Sbrogiò si gode l’ottima performance degli allievi del suo laboratorio teatrale all’interno del carcere di Brucoli, con la messa in scena di un lavoro del Nobel Dario Fo. Il teatro anche come via d’integrazione per educare alla legalità. Il laboratorio teatrale diretto da Sbrogiò, con gli studenti dell’istituto "Arangio Ruiz" di Augusta e i detenuti di Brucoli, svoltosi all’interno della Casa circondariale, ha avuto nei mesi scorsi il primo premio da parte del Senato della Repubblica. L’ultima replica, il 10 giugno scorso, ha avuto ottimi riscontri di pubblico. "Da quattro anni - afferma Davide Sbrogiò - curo questo progetto di laboratorio teatrale al carcere di Brucoli che vede impegnati detenuti e studenti, insieme a recitare un testo su un palcoscenico". Un’iniziativa proposta a Sbrogiò dalla docente di diritto Giusy Lisi. "L’obiettivo è semplice - aggiunge Davide Sbrogiò - ovvero educare alla legalità attraverso il teatro che diventa momento straordinario di integrazione. E poi, lavorare in carcere è un’esperienza unica che richiede il massimo impegno e dove ci si trova di fronte a realtà come sofferenza, solidarietà ed umanità, oltre ad una grande voglia di riscatto e di confronto". Il modus operandi di Sbrogiò predilige il coinvolgimento dei detenuti in un’esperienza che, attraverso il teatro, è ricreativa, formativa e comunicativa, con le sue regole, il linguaggio verbale e non verbale ed il rispetto dei ruoli. "Il detenuto - ha sottolineato Sbrogiò - si accosta al teatro con l’impegno di prendere parte ad un’esperienza che gli permetta di esprimere la propria personalità e creatività in un contesto complesso e difficile. Il teatro, pertanto, diventa un modo efficace di presa di coscienza delle proprie potenzialità espressive e al regista spetta il compito di plasmare e dirigere il tutto in modo coerente con il testo da rappresentare". Diplomatosi nel 1994 alla scuola di teatro dell’Inda, Sbrogiò nella sua ventennale esperienza ha lavorato in compagnie teatrali di livello nazionale. Tra i registi che lo hanno diretto spiccano Egisto Marcucci, Franco Però, Piero Maccarinelli, Lamberto Puggelli, Roberto Guicciardini, Walter Pagliaro e Giovanni Anfuso. Tra le sue collaborazioni di maggior risalto, quelle con attori e attrici del calibro di Aldo Reggiani, Ivana Monti, Piera Degli Esposti, Monica Guerritore, Paola Gassman, Elisabetta Pozzi, Giorgio Albertazzi e Mariella Lo Giudice. Il 2014 lo ha visto impegnato anche con il "Malato immaginario" di Moliere (a fianco di Pippo Pattavina) ed al "Piccolo Teatro" di Catania, nell’adattamento della "Bella addormentata", per la regia di Gianni Salvo. A fine luglio sarà a Noto, per la rassegna teatrale "Atto unico", portando in scena il monologo di Suskind "Il Contrabbasso", accompagnato in scena dal musicista Antonio Aiello. Un testo di riferimento nella drammaturgia mitteleuropea, ritratto ironico, e per nulla indulgente di un certo tipo di figura maschile contemporanea, sospesa tra supponenza e fragilità, con sfumature, amare ed esilaranti, del mondo dei musicisti di professione e della loro spesso fragile psicologia d’artista. "È il mio primo monologo teatrale, saremo in scena a fine luglio. Fare teatro è un’esperienza bellissima, sia pur pregna di difficoltà, specialmente oggi in cui viviamo in un Paese dove i tagli alla cultura sono continui e dove si registra un regresso culturale pauroso. Per me, - prosegue Sbrogiò - fare teatro significa credere in una delle più grandi espressioni del pensiero umano, compiendo un percorso educativo e civile che valorizza l’uomo e la sua storia". Pavia: la biblioteca civica Bonetta collabora con la nuova biblioteca per i carcerati di Valeria Gatti La Provincia Pavese, 18 giugno 2014 Inaugurata da pochi giorni la nuova biblioteca in carcere, nel padiglione nuovo: i detenuti richiedono libri aggiornati. E la biblioteca civica Bonetta rinnova la collaborazione con Torre del Gallo per la raccolta di libri per i detenuti. Da due anni e su iniziativa di Daniela Bagarotti, responsabile dell’area trattamentale della Casa circondariale di via Vigentina, l’interscambio culturale tra biblioteca e carcere viene portato avanti senza sosta. Presso l’ala nuova della struttura penitenziaria, è stata realizzata da pochi giorni una seconda biblioteca. Come racconta Antonella Calvi, responsabile della biblioteca civica, "In carcere non hanno internet, per cui tramite un apposito elenco, i detenuti ci fanno una richiesta, poi noi ricerchiamo i testi e li diamo in prestito attraverso il circuito del prestito bibliotecario. Il servizio è stato possibile grazie alla collaborazione con il Centro di calcolo Opac dell’Università, che ci ha fornito il programma". L’iniziativa è stata ben accolta dalle biblioteche di tutto il circuito e da BibLions, ma anche da privati che donano libri, e che possono continuare a farlo negli orari di apertura (dalle 8 alle 24 il lunedì, martedì e venerdì e dalle 8 alle 13 il mercoledì e il sabato) oppure lasciarli 24 ore su 24 nella neonata scatola "box" esterna per la restituzione, specificando che sono destinati al carcere. La drop-box, scatola di consegna dei libri letti o da donare, è una novità: è posizionata fuori dall’edificio di piazza Petrarca, a disposizione di tutti. "Grazie al supporto della collega Lucia, continuiamo a dare vita a questo progetto: abbiamo portato loro il programma di gestione, due carcerati se ne stanno occupando, facendo un buon lavoro di catalogazione dei libri - spiega ancora Calvi. Il servizio è utilissimo, i carcerati sono molto preparati e aggiornati, stupisce il fatto che ci chiedono libri appena usciti". Si informano attraverso i giornali e sono entusiasti. "Sono iniziative di aiuto che valorizzano le risorse in entrambe le direzioni, sia dall’esterno che dentro la struttura penitenziaria - spiega Daniela Bagarotti, educatrice e responsabile dell’area trattamentale da circa tre anni - qui si trovano anche persone valide, che è importante aiutare psicologicamente, al di là dell’etichetta di "reo", ci sono potenzialità: i detenuti responsabili si attivano personalmente per promuovere la lettura tra i compagni. Grazie ad associazioni come La Mongolfiera o Vivere con lentezza si organizzano anche gruppi di lettura e interazione". Ad oggi i libri sono circa 4500, si sfogliano testi in lingua, visto che il 40% circa dei detenuti sono stranieri, e sono ricercatissime soprattutto ultime uscite. Prossimamente uscirà anche un nuovo audiolibro che i detenuti stanno registrando in collaborazione con A.Do.V., Associazione Donatori di Voce di Pavia, e che verrà dato alla Biblioteca Bonetta verso settembre. Chieti: domani festa del percorso di clown-terapia, progetto di sostegno alla genitorialità Ristretti Orizzonti, 18 giugno 2014 Giovedì 19 Giugno, dalle ore 10.00, presso la Casa Circondariale di Chieti si svolgerà la manifestazione conclusiva del percorso di sostegno alla genitorialità portato avanti con l’Associazione Clown-doc Onlus di Pescara. Il laboratorio di Clown-terapia si è svolto con la presenza dei Clown dottori all’interno della Casa Circondariale per il secondo anno consecutivo, in un impegno di sostegno alla relazione genitori-figli durante la restrizione in carcere. I clown dottori nella mattinata di Giovedì interverranno con uno "staff" rinforzato rispetto agli incontri ordinari. La Direzione della Casa Circondariale infatti attende l’intervento di circa 6 clown-dottori, che concluderanno il percorso di sostegno (che si ferma per la pausa estiva) proponendo ai genitori ed ai figli momenti di svago e di creatività, ricostruendo lo spazio immaginario di un luna-park. I clown, che hanno portato avanti i loro interventi concentrandosi soprattutto sul bambino che entra in carcere per visitare il proprio genitore, cercando di lenire l’impatto con la realtà penitenziaria, e che hanno costruito i loro interventi per aiutare i genitori-detenuti a "rientrare in relazione" con i loro figli attraverso il gioco e la leggerezza, nella mattinata di giovedì rafforzeranno la carica del loro intervento per testimoniare attenzione e cura verso un legame affettivo, quello del genitore e di suo figlio, che necessita di tutela e di attenzione. È questo lo sforzo che la Direzione della Casa Circondariale di Chieti ha voluto sostenere attraverso la realizzazione di questa attività, che si pone in un quadro di interventi complesso che l’Istituto ha attivato a tutela della relazione genitoriale, sia sotto il profilo umanitario, come salvaguardia di un diritto fondamentale all’affettività da parte della persona detenuta e di suo figlio, sia come obiettivo trattamentale per favorire il processo di ri-educazione e di re-inserimento integrato. Napoli: hashish per i detenuti di Secondigliano, scoperto da cane antidroga Ansa, 18 giugno 2014 Avevano nascosto stecche di hashish in un barattolo di crema per il corpo e stavano tentando, così, di fare entrare la droga nel carcere napoletano di Secondigliano. I controlli messi in atto dalla polizia penitenziaria lo hanno, però, impedito. In particolare, secondo quanto rende noto il segretario regionale della Ugl Campania Polizia Penitenziaria, Ciro Auricchio, è stato grazie ad una operazione congiunta dei baschi azzurri partenopei-settore colloqui, dell’ufficio di polizia giudiziaria e dei cani antidroga di Benevento ad evitare che la droga finisse nelle celle. In particolare è stato merito di Umea, esemplare di pastore tedesco Grigione a segnalare la droga all’interno della confezione di crema e anche ad individuarne altra in alcune celle. Tempio Pausania: nel carcere di Nuchis una sezione interna della Scuola di musica di Angelo Mavuli La Nuova Sardegna, 18 giugno 2014 Nella Casa di reclusione di Nuchis già dall’inizio del prossimo anno scolastico potrebbe essere istituita una sezione interna della Scuola Civica di Musica. A darne notizia agli ospiti della struttura sabato è stato lo stesso direttore della Casa di reclusione, Carla Ciavarella, in occasione di un concerto, tenuto all’interno del carcere dal Gruppo strumentale "Ap Clarinet Bande, diretto dal maestro Antonio Puglia. La volontà di realizzare questa iniziativa di non poco conto dal punto di vista sociale, confermata subito dopo dal maestro Mariano Meloni direttore artistico della Bande e, per l’occasione, presentatore raffinato del concerto, è stata accolta da un mormorio di compiacimento. Prosegue quindi a piccoli passi ma instancabilmente ed efficacemente l’impegno della dottoressa Ciaverella che sin dal suo arrivo alla direzione della Casa di reclusione nuchese, si è proposta, (oltre i compiti istituzionali di recupero e reintegrazione dei detenuti nella società), di avvicinare la struttura al territorio e viceversa. Un’impresa che poteva forse apparire titanica due anni fa e che invece oggi si sta realizzando con iniziative di profonda valenza sociale, culturale ed educativa per tutti. Non solo per gli ospiti della struttura e per lo stesso validissimo personale che opera all’interno, ma anche per tutte le istituzioni del territorio. Per realtà imprenditoriali private, per la gente comune, per i bambini delle scuole elementari e per i loro insegnanti e per i ragazzi che tutti, con carie iniziative, hanno avuto o potrebbero avere possibilità di entrare in contatto con una realtà carceraria, vista troppe volte attraverso la lente deformante della disinformazione. Una scommessa quasi, quella del direttore Carla Ciavarella, che il territorio non può permettersi di perdere. Il concerto dell’Ap Clarinet Bande, che ha consentito di affrontare anche l’argomento appena accennato, è stato organizzato dall’Associazione Culturale "Amici del Conservatorio Orchestra Filarmonica della Sardegna" in collaborazione con la locale scuola Civica di musica. Hanno partecipato anche il soprano tempiese Anna Maria Puliga, la violinista tempiese Julia Fresi e il violinista di Olbia, Giampiero Tamponi. Roma: mostra mercato con le opere di modellismo create dai detenuti di Regina Coeli di Giovanni Cedrone www.romareport.it, 18 giugno 2014 Un laboratorio di modellismo in carcere. Protagonisti alcuni detenuti di Regina Coeli che, grazie all’impegno di Angiolina Freda, ex giudice del Tribunale per i Minorenni, hanno esposto i loro lavori realizzati nel laboratorio allestito presso la biblioteca del penitenziario. La mostra mercato resterà aperta tutti i giorni fino al 22 giugno dalle 9,30 alle 17 con ingresso in via della Lungara 29. L’Empire State Building, la Torre Eiffel, il Colosseo, il Tower Bridge di Londra e tanti altri oggetti realizzati con cura dai detenuti, che hanno potuto mettere a frutto le loro abilità per realizzare questi piccoli capolavori di abilità e di ingegno che certamente attireranno l’attenzione degli appassionati del genere. Il tutto realizzato con mezzi di fortuna, un "piccolo miracolo" come scrivono gli stessi detenuti in una lettera di ringraziamento ad Angiolina Freda, che si è presa l’impegno di raccogliere ogni settimana i lavori ed esporli in questa mostra mercato. "Un modo per superare le difficoltà, per stimolare la nostra libertà di espressione mai così provata dall’anaffettività, dallo scoramento e dalla mancanza del concetto di gruppo", aggiungono gli ospiti della storica casa circondariale romana, una "medicina provvidenziale" per chi ha perso la bussola e vive senza speranza in celle spesso sporche e sovraffollate. La funzione rieducativa della pena passa anche per queste piccole iniziative che però contribuiscono in maniera significativa a migliorare la qualità della vita in carcere. Libri: "Aspetto l’attesa e spero la speranza", poesie delle detenute del carcere di Rebibbia La Sicilia, 18 giugno 2014 Non esistono barriere per la poesia, neppure quelle delle mura di un carcere: per rendersene conto basta leggere il libro "Aspetto l’attesa e spero la speranza" (Casa Editrice Pagine), che raccoglie i pensieri in forma poetica di alcune detenute del penitenziario di Rebibbia. Presentato nella sezione femminile del carcere, il libro costituisce il felice esito del corso "Poesie a Rebibbia" a cui le detenute hanno partecipato dal novembre scorso con una straordinaria adesione. "Sono poesie strappate dalla vita, per questo non hanno retorica", spiega Plinio Perilli, curatore del libro e docente del corso insieme con Nina Moroccolo, "e l’intreccio linguistico ed emotivo di questi scritti è lo specchio di ciò che avviene nel nostro Paese". Dall’Italia al Burundi, dalla Nigeria alla Romania fino alle Filippine: il libro offre infatti l’opportunità di un inedito viaggio non solo tra le parole ma anche intorno al mondo, mescolando culture, saperi e "colpe" diverse. Tanti i temi affrontati, tra il dolore, l’amore e la fiducia in un futuro ancora possibile. Immigrazione: De Luca; quei migranti detenuti nei Cie, colpevoli soltanto di un viaggio Corriere del Mezzogiorno, 18 giugno 2014 "Solo andata": un video girato da Alessandro Gassman su versi musicati dal Canzoniere Grecanico Salentino Da quel 2005 in cui "Solo andata" fu edito da Feltrinelli, sembrerebbe quasi che il tempo si fosse inceppato, incagliato su una qualunque costa insieme a tanti barconi e speranze migranti. "Il tempo è passato, invece. E molti nuovi arrivi sono nel frattempo diventati cittadini italiani. Questo malgrado le barriere e malgrado la pena di morte applicata nel Canale di Sicilia. Perché di questo si tratta. Più di dodici Titanic sono affondati nel nostro mare", taglia corto Erri De Luca, autore di quelle "righe che vanno troppo spesso a capo" ristampate un paio di mesi fa, che oggi confluiscono in un progetto corale: una canzone costruita sui versi dal Canzoniere Grecanico Salentino; e un video costruito su quella canzone da Alessandro Gassman, con i finanziamenti di Apulia Film Commission e l’imprimatur di Amnesty International. "Io sono stato semplicemente un innesco. Ho scritto semplicemente una pagina", minimizza lo scrittore napoletano, un passato e un presente militante, da Lotta Continua alle missioni umanitarie in Bosnia, dalle notti nella Belgrado bombardata dai "nostri" alla recente battaglia a fianco dei No Tav, costatagli addirittura un rinvio a giudizio. Quella sua pagina "semplice" si è poi però ingrandita. E tanto. "Si è ingrandita in musica, e ha cominciato ad andare in giro. E poi è finita addirittura a fare da accompagnamento a un cortometraggio inventato da Alessandro Gassman. Che ne ha fatto una piccola bella storia". Una piccola bella storia girata in Salento. Cosa resta di quella terra sulla pelle? "C’era un ventaccio (ride...). Un vento di quelli che scoraggiano, come anche il mare. Invece quel mare fosco, cupo, ha contribuito alla intensità della storia. Fosse stata una delle giornate spettacolari che sono la maggioranza per noi, il risultato sarebbe stato meno efficace". E dopo l’impatto fisico cosa resta? "Il Salento è la nostra avanguardia, è la terra più orientale del nostro paese, la prima a ricevere il nuovo giorno. Il posto più vicino a quell’oriente che ha deciso della nostra civiltà". Per questioni geografiche, innanzitutto. "Certo, tutta la nostra storia viene da questa geografia spalancata nel mediterraneo. Pure il monoteismo ci è arrivato dal mare". Noi baresi abbiamo ricevuto perfino il Santo Patrono dal mare. "Appunto. Ecco perché non sopporto di sentire parlare di ondate migratorie. Ma quali ondate? Le ondate suggeriscono l’idea che ci sia una terraferma arroccata, che deve difendersi. È una frottola: l’Italia non ha un perimetro isolabile, non le si può calzare il preservativo". Lei dice che il tempo non si è fermato. Qualcosa è cambiato nel nostro modo di accogliere i migranti? "Certamente il dispositivo detto Mare Nostrum è migliore dei respingimenti in mare abusivi fatti in precedenza; ma la situazione a terra è rimasta la stessa. L’accoglienza è caotica, punitiva nei confronti dei richiedenti asilo e dei rifugiati". Però i Cpt non esistono più. "È finita l’ipocrisia di chiamarli Centri di Permanenza Temporanea, ma oggi ci sono i Cie. Con risultati miserabili dal punto di vista sia dell’identificazione che dell’espulsione, visto che neanche la metà dei migranti viene identificata ed espulsa. Serve la collaborazione del paese di provenienza, che nega l’interesse. Così queste persone restano detenute senza aver commesso nulla, colpevoli solo di viaggio. Si tratta di inutili infamie a spese della nostra comunità". Le rifaccio una domanda che le ho già fatto nove anni fa: se fosse un politico cosa farebbe? Allora mi ha risposto: "Mi sparerei". "Oggi le rispondo che organizzerei un’accoglienza più efficace e generosa. E poi saboterei il Trattato di Dublino, che prevede che il nuovo arrivato venga identificato con la prima terra di sbarco. Questo significa che se viene trovato in un altro paese europeo viene rispedito in Italia. Una normativa che qualche insensato ha approvato scaricando sulle nazioni meridionali tutto il peso dell’accoglienza europea, facendoci di fatto pagare due volte il dazio di essere frontiera". Droghe: si abbassano le pene, il sindacato di Polizia Coisp scrive ai Parlamentari di Dalna Gualtieri www.unmondoditaliani.com, 18 giugno 2014 Da noi in Italia il problema delle carceri sovraffollate viene risolto svuotandole dei condannati, pochissimi, che ci finiscono dentro. Qualcosa non torna e in Senato diminuiscono le pene per gli spacciatori, mentre l’Italia pullula di criminali a piede libero che ammazzano, insieme a chi ne permette il prematuro rilascio dalle carceri, la legalità del nostro Paese. Ecco la lettera del Segretariato Nazionale del Coisp, indirizzata alle autorità perché aboliscano la nuova legge introdotta a favore di una diminuzione della pena per gli spacciatori di droga. "Onorevoli Senatori e Deputati, Preg. Presidenti di Camera e Senato, Sig. Capo della Polizia, nei giorni scorsi è stata approvato il decreto legge 36/14, convertito nella Legge n. 79/14, che ha modificato profondamente la disciplina penale in materia di sostanze stupefacenti. Non si vuole entrare nel merito della decisione, ma far riflettere sugli effetti pratici della medesima, ai quali non potremo essere sottratti in primis noi poliziotti né i cittadini che giustamente pretendono risposte concrete ai problemi causati loro dalla criminalità. Già con il cd decreto svuota carceri era molto difficile che uno spacciatore arrestato finisse in carcere oltre al tempo necessario al Gip di disporre l’udienza di convalida, ora grazie al comma infilato al momento della conversione in legge del d.l. 36/14 sono state abbassate le pene previste nell’art. 24-ter modificando il comma 5 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 portando le pene della reclusione per lo spaccio da 6 mesi a 4 anni (contro la precedente formulazione da 1 anno a 5 anni) e della multa da euro 1.032 a euro 10.329 (contro i precedenti da 3.000 a 26.000 euro), permettendo la liberazione di migliaia di detenuti condannati per spaccio e la sostanziale impossibilità di evitare che proseguano in questa lucrosa attività criminale. Gli avvocati, così come i giudici, hanno già convenientemente illustrato i "benefici" a cui andranno incontro gli spacciatori di droga. Purtroppo l’impatto sui cittadini arriverà in un tempo più lontano rispetto all’interpretazione della norma, allorquando noi e non altri, saremo chiamati a rispondere del degrado che aumenterà nel tessuto sociale grazie a quanto approvato. Siamo a chiedervi perché abbiate pensato che fosse meglio questa soluzione, dando per scontato che abbiate piena comprensione del problema di lasciare uno spacciatore di droga a proseguire il suo lavoro indisturbato da una permanenza, prima breve e prossimamente impossibile, in galera. Il problema della legalizzazione o meglio tolleranza delle droghe leggere, è stato affrontato e risolto in paesi europei ove esiste la certezza che alla commissione di un reato, qualsiasi, corrisponde una pena adeguata. Se è previsto il carcere si esce a fine pena. Se è prevista una multa o la paghi o vai in galera. Se sono previste forme alternative alla detenzione esistono lavori sociali che fanno risparmiare risorse alla collettività. Da noi invece il problema delle carceri sovraffollate viene risolto svuotandole dei condannati, pochissimi, che ci finiscono dentro. Nulla sul perché ci si ritrovi in questa situazione se non un collettivo "allarghiamo le braccia", nulla sulla logica soluzione di costruire, assumere personale e garantire dignità ai detenuti in strutture detentive adeguate ai bisogni sociali di evitare che un criminale possa tornare a fare dei danni ai cittadini più velocemente di quanto chi l’ha arrestato possa tornare di pattuglia. Non si tratta di volere le galere piene, ma di rendere, come più volte aveva ribadito anche l’ex Capo della Polizia Manganelli, in Italia "non solo non esiste la certezza della pena, ma esiste una assoluta certezza dell’incertezza della pena. Quando il controllo del territorio porta a fermare per fatti gravi, per tre volte la stessa persona, autore di tre fatti gravi nel giro di 14 giorni, evidentemente qualcosa non torna. E il nostro sistema è organizzato in modo tale che alla fine non è colpa di nessuno", parole che non hanno ricevuto, purtroppo, che continue conferme nella realtà quotidiana e nessuna smentita. Vi chiediamo, quindi, quale sia la vostra soluzione dinanzi all’evidenza, tutta pratica, che sarà impossibile togliere dalle nostre strade chi vende droga. La nostra volontà di mantenere in equilibrio il sistema democratico della legalità, motivo per cui esistono le Forze di Polizia, vacilla dinanzi a queste decisioni i cui effetti si vedranno, purtroppo, troppo tardi per cercare responsabili a cui chiedere conto. La capacità di reagire dei cittadini onesti, la resistenza civile dinanzi ai rischi di reagire in modo attivo a fatti criminosi, anche solo denunciandoli alle Autorità, sarà lesa ancora più profondamente se non del tutto compromessa, in pochi mesi. Meriterebbe una riflessione a parte anche il fatto che le cosiddette "droghe leggere" quali la marijuana e l’hascisc, si sono "modernizzate" aumentando esponenzialmente il principio attivo da qualche decennio fa. In buona sostanza, facevano male allora ed oggi fanno malissimo provocando stati di alterazione ben superiori rispetto al passato a consumatori sempre più giovani che le potranno reperire sempre più facilmente. Data la modalità con cui l’articolo di legge in questione è stato inserito in un provvedimento di tutt’altro indirizzo, si parlava infatti di medicinali a scopo terapeutico, Vi chiediamo di riflettere ora, per tempo, su quanto esposto e di correggere al più presto quello che appare essere un regalo all’illegalità, ai criminali per scelta, agli avvelenatori dei nostri giovani". Stati Uniti: pena di morte, il boia torna in azione dopo l’esecuzione choc in Oklahoma www.fanpage.it, 18 giugno 2014 A poche settimane dall’esecuzione choc in Oklahoma, dove Clayton Lockett è morto tra atroci sofferenze per un’iniezione letale sbagliata, il boia è tornato in azione in America: eseguita una prima condanna a morte in Georgia e una seconda nel Missouri. Sono passate circa sette settimane dall’episodio accaduto in Oklahoma, dove un uomo è morto tra atroci sofferenze per un’iniezione letale sbagliata. Era il 29 aprile del 2014 e il detenuto condannato alla pena di morte si chiamava Clayton Lockett. La sua condanna aveva scatenato molte polemiche che hanno convinto le autorità a sospendere le esecuzioni. Sospensione che è andata avanti fino ad oggi, quando il boia è tornato in azione in America. La prima condanna a morte negli Stati Uniti a sette settimane dal caso dell’Oklahoma si è registrata infatti in Georgia: Marcus Wellons, 58 anni, condannato per aver violentato e ucciso una ragazza di 15 anni nei sobborghi di Atlanta nel 1989, è stato dichiarato morto per iniezione letale alle 23.56 di ieri ora locale, quando in Italia erano le 5.56. L’esecuzione è avvenuta a Jackson, nel sudest della Georgia. Secondo il penitenziario di Jackson, l’esecuzione di Wellons è iniziata alle 22:41, dunque più di un’ora prima della dichiarazione del decesso, ma non è stato registrato nessun incidente. La Corte suprema aveva dato poco prima il suo via libera all’esecuzione, rigettando gli ultimi due ricorsi alla condanna. Il boia è tornato in azione anche nel Missouri, dove un’ora dopo l’esecuzione della Georgia ha trovato la morte John Winfield: l’uomo, 43 anni e considerato un detenuto modello, è stato giustiziato nel carcere di Bonne Terre con un’iniezione letale. Winfield aveva sparato contro l’ex compagna per gelosia e poi aveva ferito mortalmente la sorella e un’amica. Lo scorso aprile Clayton Lockett è morto tra terribili sofferenze nel penitenziario di McAlester in Oklahoma dopo essere stato condannato per omicidio. La sua era la prima di due esecuzioni in programma nello stesso giorno e ciò che è accaduto ha spinto le autorità a sospendere la seconda esecuzione. Il suo caso ha riaperto il dibattito sulla pena di morte: il detenuto è infatti morto dopo atroci sofferenze a causa della rottura della vena in cui gli stavano iniettando il mix letale di veleni. I testimoni hanno raccontato di aver assistito a una scena raccapricciante: iniettato l’anestetico, il prigioniero era stato dichiarato dai medici presenti oramai privo di sensi. Ma quando è iniziata la somministrazione del primo dei farmaci letali il corpo dell’uomo ha cominciato a muoversi e lui ha cominciato a lamentarsi sempre più forte. Gli addetti del carcere hanno abbassato la tenda davanti al vetro dietro al quale c’erano i testimoni che hanno solo potuto ascoltare l’urlo violento con cui l’uomo ha esalato l’ultimo respiro, ucciso da un attacco cardiaco. Cina: le carceri clandestine cinesi che l’occidente non vuol vedere di Lorenzo Bianchi www.quotidiano.net, 18 giugno 2014 Sono vere e proprie carceri clandestine e segrete, gestite però da poliziotti molto esperti di torture. Nelle "galere oscure" finiscono prevalentemente, ma non solo, i militanti del movimento Falung Gong, perseguitati dal 1999, adepti di una pratica che teorizza la scoperta di una nuova energia fisica che sfocia anche nella saggezza e nell’illuminazione spirituale. Buddisti anarchici che Jang Zemin bollò come "culto malvagio che diffonde la superstizione". Pechino ha firmato la Convenzione contro la tortura e i trattamenti disumani e degradanti. E nel gennaio dell’anno scorso ha varato una riforma del codice di procedura penale. Le nuove norme escludono dalle carte dei processi le confessioni e le dichiarazioni ottenute con la coercizione. Nonostante l’innovazione, o forse proprio a causa della riforma, la "pratica della tortura è ancora estesa" in Cina. La denuncia sulle "galere segrete" è di Human Rights Watch ed è il pezzo forte di un rapporto firmato da Sophie Richardson, responsabile dell’organizzazione per la Cina. L’ultimo caso clamoroso risale alla fine di marzo e riguarda quattro difensori di praticanti del Falung Gong. Il 20 gli avvocati Tang Jitian, Jiang Tianyong, Wang Cheng e Zhang Junjie sono andati al centro "di educazione alla legge" di Jiansangjian, nella Provincia dello Heilongjiang. Erano accompagnati da familiari di militanti del movimento detenuti nella struttura senza uno straccio di processo. Sono stati respinti immediatamente. I legali sono andati a passare la notte in un hotel vicino. Il risveglio è stato brusco. Uomini in abiti civili li hanno costretti a salire su auto sprovviste di targhe e li hanno portati in un ufficio della polizia a Daxing. Zhang Junjie è stato colpito diverse volte con bottiglie piene d’acqua, anche quando era ormai crollato a terra. I suoi tre colleghi sono stati appesi al soffitto, con i polsi legati e le braccia dietro la schiena. Gli agenti, perché gli uomini di legge sono sicuri che fossero poliziotti, li hanno colpiti con calci e pugni al torace, alla testa, alla schiena e alle gambe. A tutti sono stati comunicati provvedimenti di detenzione amministrativa che andavano da un minimo di 5 giorni a un massimo di 15. Zhang Junjie ha dovuto essere ricoverato in ospedale per una triplice frattura lombare. Tang Jitian e Jiang Tianyong avevano un "precedente specifico". Nel 2011, durante la repressione della cosiddetta "rivolta dei gelsomini" furono arrestati e torturati. Il 31 marzo l’Ufficio di Sicurezza Pubblica di Jiansanjiang ha diffuso una dichiarazione nella quale ha accusato i quattro legali di "aver incitato gli adepti del Falung Gong e i loro parenti a radunarsi per creare disordini, per gridare slogan del culto malvagio di fronte al Centro di educazione alla legalità" e di non meglio precisati "atti su internet". Più o meno per la stessa imputazione ossia "aver radunato una folla per disturbare l’ordine in uno spazio pubblico" è stata confermata in appello la condanna a 4 anni di galera inflitta a Xu Zhiyong, un docente di legge che nel 2012 scrisse un articolo intitolato "La Cina ha bisogno di un Movimento di Nuovi Cittadini". Teorizzava la lotta alla corruzione, la trasparenza, assemblee pubbliche per discutere di politica e l’aiuto ai più deboli. Per Amnesty International William Nee, un esperto di istituzioni di Pechino, ha definito il dibattimento "una presa in giro della giustizia". I seguaci di Zhiyong sono finiti in galera a dozzine. Medio Oriente: più pressione su Hamas e inasprimento trattamento militanti in carcere Ansa, 18 giugno 2014 Aumento della pressione su Hamas e inasprimento delle condizioni per i militanti rinchiusi nelle carceri israeliani. Queste le decisioni del gabinetto di sicurezza israeliani a cui hanno partecipato il ministro della difesa Moshe Yaalon, il capo di stato maggiore dell’esercito Benny Gantz e il capo dello Shin Bet (servizio di sicurezza interno) Yoram Cohen. Israele, inoltre aumenterà gli sforzi diplomatici per "deleggittimare" l’accordo tra Hamas e Fatah che ha portato al governo di unità palestinese. La missione principale - hanno spiegato i media citando fonti presenti alla riunione che è durata oltre tre ore - resta ovviamente quella di liberare i tre ragazzi il cui rapimento Israele conferma di attribuire ad Hamas. "Il ministero della pubblica sicurezza - ha detto una fonte - è stato autorizzato a inasprire le condizioni dei militanti di Hamas detenuti nelle carceri israeliane". Altre misure saranno vagliate in una prossima riunione del Consiglio. Per quanto riguarda la delegittimazione dell’accordo Fatah-Hamas, Israele si muoverà per "mettere fine all’incitamento contro lo stato ebraico sui media ufficiali palestinesi e nel sistema educativo dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), dove si è espresso sostegno al rapimento di israeliani". "Consideriamo l’Anp responsabile - ha proseguito la stessa fonte - per ogni attacco terroristico che origina nel suo territorio. Ci prepariamo a un’operazione a lungo-termine". Arrestati 65 palestinesi, membri civili di Hamas Le forze israeliane hanno arrestato nella notte oltre 65 palestinesi nella Cisgiordania occupata, in gran parte membri dell’apparato civile del movimento islamista Hamas. Nel dare la notizia, il portavoce dell’esercito, Peter Lenner, ha riconosciuto che l’operazione per ritrovare i tre giovani coloni spariti giovedì all’uscita dell’istituto rabbinico vicino la città cisgiordana di Hebron ha un secondo obiettivo, distruggere le infrastrutture dell’organizzazione islamista in Cisgiordania. Tra gli oltre 65 arrestati, 51 erano ex detenuti nelle carceri israeliane liberati grazie a uno scambio. Adesso sono oltre 240 gli arrestati dall’inizio dell’operazione. Lenner ha aggiunto che, oltre a perquisire le case, le truppe hanno fatto irruzione negli uffici dell’apparato civile di Hamas e dei suoi organi di propaganda. Iraq: l’Isil attacca stazione di polizia nella provincia di Diyala, uccisi 52 detenuti Aki, 18 giugno 2014 Sono almeno 52 i detenuti uccisi in seguito a un attacco degli estremisti sunniti dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isil) a una stazione di polizia nella provincia di Diyala, nell’est dell’Iraq. Lo riferiscono fonti mediche e della sicurezza all’agenzia di stampa Xinhua. "Le forze della sicurezza hanno respinto un attacco sferrato da bande terroriste alla stazione di polizia nella zona di al-Mafraq a ovest di Baquba e ucciso 52 detenuti con bombe a mano e colpo di mortaio", ha detto il generale Qassim Atta, portavoce per la sicurezza del primo ministro Nuri al-Maliki. Atta ha anche confermato che i militarti hanno respinto l’assalto dell’Isil a Baquba, 65 chilometri a nord est di Baghdad. Una fonte della polizia provinciale ha invece fissato a 44 il numero dei prigionieri uccisi, affermando che alcuni sono stati uccisi con colpi d’arma da fuoco, mentre altri sono stati soffocati dal gas. Molte delle vittime stavano scontando pene per reati legati al terrorismo, ha detto la fonte alla Xinhua a condizione di anonimato. Mali: evasione di massa dal carcere di Bamako, uccisi una guardia e un detenuto Ansa, 18 giugno 2014 Due persone sono state uccise nel corso di un’evasione di massa dal carcere centrale di Bamako, in Mali. Una fonte della sicurezza maliana ha riferito al sito di notizie mauritano Sahara Media che più di 20 detenuti, la maggior parte dei quali salafiti, sono riusciti a fuggire ieri sera dal penitenziario dopo aver ucciso una guardia carceraria. Durante la fuga, un detenuto è stato ucciso e un altro è rimasto ferito, ha aggiunto la fonte, la quale nega che si sia trattato di un assalto organizzato dai militanti di al-Qaeda nel Maghreb Islamico (Aqmi) per liberare i prigionieri salafiti. Per la fonte, si è trattato semplicemente di negligenza da parte delle guardie carcerarie. Russia: Khodorkovskij, lo scrittore venuto dal Gulag di Tonia Mastrobuoni La Stampa, 18 giugno 2014 L’ex oligarca russo dissidente rievoca in un libro storie e personaggi incontrati nelle prigioni dello zar Putin. I carcerati "hanno i loro princìpi, magari la società li giudicherà sbagliati, ma in nome di essi sono capaci di sostenere sofferenze atroci". Nikolaj, ad esempio, acconsentì in cambio di un telefonino a farsi accollare due anni in più senza aver commesso il fatto. Una prassi comune nelle carceri russe: gli inquirenti chiudono il caso senza faticare troppo e il detenuto si accontenta del suo misero regalo. Ma quando Nikolaj capì che l’accusa era quella di aver scippato una vecchietta, fece categoricamente marcia indietro. Derubare una persona anziana è qualcosa che non avrebbe mai fatto, spiegò. I secondini lo ributtarono in cella "perché riflettesse". Lui non ci pensò a lungo: si procurò un coltello e si inflisse un taglio talmente profondo all’addome da far schizzare fuori le interiora. Nikolaj è sopravvissuto per miracolo, ma per Mikhail Khodorkovskij, che ha raccontato la sua e altre storie in Meine Mitgefangenen (I miei compagni di prigione, ed. Galiani), è una vicenda che parla "del rispetto per se stessi". Che a volte può essere più prezioso della vita. Il libro del dissidente esce oggi in Germania (e nei prossimi mesi sarà pubblicato anche in Russia). Mai avrebbe pensato, l’editore Wolfgang Hörner, di poterlo presentare con l’autore. Quando gli chiese i diritti per pubblicare gli articoli che erano usciti su una rivista moscovita, Khodorkovskij era ancora il detenuto più famoso delle carceri russe, l’ex oligarca dell’era Eltsin che aveva commesso l’errore fatale di sfidare Putin ed era stato sbattuto dietro le sbarre per un decennio per aver osato tanto. Ma alla fine dell’anno scorso, grazie alla mediazione di un grande vecchio della diplomazia tedesca come Hans-Dietrich Genscher, il dissidente 51enne ha ottenuto la grazia ed è espatriato, prima in Germania, poi in Svizzera, dove ha raggiunto la famiglia. E giovedì scorso ha presentato "le sue prigioni" nella capitale, ricordando che "un russo su dieci finisce in carcere" e che le prigioni del suo Paese "sono un mondo a parte". La cosa più sorprendente è che Khodorkovskij non parla di sé e delle sue sofferenze ma lascia parlare le sue storie, i compagni di viaggio durante i dieci anni di detenzione nell’inferno delle carceri dello zar Putin, dove l’ex capo diYukos si è impegnato spesso per gli altri carcerati, due volte anche attraverso scioperi della fame. "Non riesco a immaginarmi una vita diversa, senza impegno", ha detto a Berlino. E attraverso i suoi racconti emerge anche l’affresco di un popolo, oltre alla denuncia di un sistema giudiziario malato, corrotto, da Paese indegno di essere definito del "primo mondo". Ogni capitolo è un nome fittizio che corrisponde a una vicenda vera, ma non tutti sono detenuti. "Arkadi", per esempio, è una spia. Attraverso la sua vicenda e l’odio viscerale che suscita nei detenuti, Khodorkovskij vuole ricordarci che "la delazione è una cosa molto brutta per i russi.Contrariamente ai tedeschi e agli americani, noi non pensiamo sia necessario informare le autorità. I delatori hanno milioni di persone sulla coscienza, nel nostro Paese". Perciò, spiega, "l’odio nei loro confronti è profondamente radicato". Poi c’è il secondino Sergej Sergejevich, spesso ubriaco, interrogatore crudele, che "picchia da professionista: non lascia tracce, ma tu continui a lamentarti per una settimana e a pisciare sangue". Soprattutto inculca, spesso urlando, insegnamenti ai detenuti che suonano così: "non sei un essere umano, chi ti sta intorno neanche", oppure "meno pensi, più a lungo vivi". Ovvio, conclude Khodorkovskij, che i carcerati russi siano "spaventosamente recidivi". C’è anche l’ingegnere che si impicca per la vergogna di essere finito in una truffa milionaria, l’omosessuale Ostop che si guadagna il rispetto dei compagni di cella - "la prigione è un luogo molto conservatore" - soltanto quando tira fuori il coltello, c’è il neonazista che il dissidente cerca di convincere dell’infondatezza dei suoi deliri. Se il grado di civilizzazione di un Paese si misura dalle sue prigioni, come sosteneva Dostoevskij, descrivendo l’inferno in cui è sopravvissuto per un decennio, Khodorkovskij ci insegna quanto sia barbarico ancora il regno incontrastato dello zar Putin. Russia: da due secoli il carcere è una fabbrica di letteratura Anna Zafesova La Stampa, 18 giugno 2014 Senza il Gulag in Russia probabilmente non esisterebbe metà della letteratura. In un Paese dove la scrittura è sempre stata inevitabilmente un affare politico, i dissidenti venivano trasformati in scrittori dietro le sbarre e gli scrittori diventavano dissidenti. Una tradizione che non si interrompe da più di 200 anni, dai nobili come Alexandr Radishev, forse il primo russo arrestato per un romanzo, il Viaggio da Pietroburgo aMosca che Caterina II aveva trovato troppo critico, ai rivoluzionari come Fiodor Dostoevskij, agli anticomunisti come Aleksandr Solzenicyn, che del Gulag è diventato vittima, eroe e cantore. La prigione politica ha fatto da scuola letteraria involontaria per aristocratici, contadini, liberali, monarchici, bolscevichi, nazionalisti, anarchici. Ora anche miliardari: Mikhail Khodorkovskij, ex uomo più ricco della Russia, petroliere che giocava al Grande Gioco degli oleodotti e comprava partiti all’ingrosso e al dettaglio, si inserisce nella "laghernaya tema", il tema del Lager, come viene definito nel linguaggio della critica. Per cercare il suo predecessore non bisogna andare lontano: Il trionfo della metafisica di Eduard Limonov, scritto dopo due anni di carcere, appena 10anni fa. Il Gulag cambia nome, ma da Dostoevskij a Varlam Shalamov a Vladimir Bukovskij a Khodorkovskij le narrazioni sono simili: la mostruosità di un sistema sadico e repressivo, la sopravvivenza, e le storie di russi "semplici". Il Gulag è uno dei posti dove l’intellettuale russo incontra veramente il "popolo" e Khodorkovskij è l’ultimo a raccontare lo stupore e l’involontario rispetto che uno come lui - che conosce e ritiene valide e nobili le ragioni per le quali è stato incarcerato - prova di fronte a questo esercito sterminato di "mugiki" finiti dietro le sbarre spesso quasi per caso, e che accettano la prigione come destino. "Metà dei russi è dentro, l’altra metà fa la guardia", dice un vecchio adagio, e l’esperienza della prigione è comune a intere generazioni, determinando anche la diffusione universale di riti, linguaggi e canzoni originate nelle celle. La prigione resta una fabbrica di scrittori, Solzenicyn e Shalamov ne hanno discusso per anni. Per l’autore dell’Arcipelago Gulag era una sorta di martirio salvifico che l’aveva portato a diventare ciò che era. Per quello dei Racconti della Kolyma era un luogo dove si poteva solo perdere la propria umanità. In ogni caso la prigione in Russia resta un passaggio di molte esistenze, una svolta in molte carriere politiche e letterarie, quasi un bollino di qualità che - a chi sopravvive - fornisce un’autorevolezza morale nuova. Che forse permetterà un giorno a Khodorkovsky di scrivere anche un altro romanzo avvincente, sulla sua vita di oligarca.