Giustizia: slitta il Decreto per il risarcimento ai detenuti, è ad "alto tasso di impopolarità" Il Sole 24 Ore, 15 giugno 2014 Prende corpo, ma dovrebbe essere formalizzato solo al prossimo Consiglio dei ministri, l’annunciato (anche a Strasburgo) rimedio “compensativo” per i detenuti che subiscono o abbiano subito una carcerazione “inumana e degradante”. “Costretto” dalla Corte dei diritti dell’uomo, il governo, in una prima versione del decreto legge approvato venerdì misure, ha previsto risarcitone consistenti o nella riduzione di un giorno ogni 10 di pena oppure, se si è già fuori dal carcere, in un indennizzo pari a 8 euro per ciascun giorno trascorso in condizioni “degradanti”. Assai meno dei 20 euro al giorno stabiliti a Strasburgo per risarcire i detenuti, e non senza una serie di condizioni, a cominciare dal periodo minimo di “tortura” sofferto per poter essere indennizzati, cioè non meno di 15 giorni. Il detenuto dovrà rivolgersi al magistrato di sorveglianza per ottenere il risarcimento, cioè lo “sconto” di un giorno ogni dieci ancora da espiare. Ad esempio, se la pena residua è di un anno, si uscirà 30 giorni prima; se è di tre anni, tre mesi prima. Tuttavia, se la pena residua non consente la detrazione dell’intera misura percentuale, il magistrato liquiderà a titolo di risarcimento danni una somma pari a 8 euro per ciascuna giornata trascorsa in condizione degradanti. Ad esempio, se resta da scontare un anno di pena ma, considerato il periodo di sofferenze lo sconto dovrebbe essere di due anni, sull’anno residuo verrà calcolato il risarcimento in ragione di 8 euro al giorno. Avrà diritto al risarcimento anche chi ha subito le condizioni inumane e degradanti durante la carcerazione preventiva. In tal caso, se il periodo in custodia cautelare non è computabile nella determinazione della pena da espiare, entro sei mesi dalla cessazione della detenzione può essere chiesto il risarcimento del danno. Idem per chi è già fuori, avendo già scontato interamente la sua pena. Sono ovviamente previste norme transitorie. Chi, al momento dell’entrata in vigore del decreto, ha finito già di espiare la pena, definitiva o in custodia cautelare, può chiedere il risarcimento entro sei mesi. Lo stesso termine è dato ai detenuti e internati che abbiano già presentato ricorso alla Corte di Strasburgo, qualora il loro ricorso non sia stato ancora dichiarato “ricevibile”. Resteranno a Strasburgo, invece, quei ricorsi già in fase avanzata di cognizione per i quali, in caso di accoglimento, scatteranno indennizzi maggiori. Sembra che Matteo Renzi temesse la reazione dell’opinione pubblica per questo provvedimento che, sebbene imposto da Strasburgo, ha un alto tasso di impopolarità. Salvo spiegare che lo Stato italiano, se non lo avesse varato, sarebbe stato costretto a pagare più del doppio di quanto dovrà pagare ai detenuti. E questo al di là del fatto, di per sé grave, di aver consentito una detenzione in condizioni di assoluta inciviltà. Pena scontata del 10%, oppure 8 € al giorno (Public Policy) Nel caso in cui un detenuto trascorra un periodo superiore a 15 giorni in condizione di detenzione tali da violare l’articolo 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”), il Magistrato di Sorveglianza “dispone, a titolo di risarcimento del dallo, una riduzione della pena detentiva ancora da espiare pari, nella durata, a un giorno per ogni dieci durante il quale il richiedente ha subito il pregiudizio”. La misura scatta qualora il detenuto, personalmente o tramite difensore, presenti istanza. È previsto che “quando il periodo di pena ancora da espiare è tale da non consentire la detrazione dell’intera misura percentuale il Magistrato di Sorveglianza liquida altresì al richiedente, in relazione al residuo periodo e a titolo di risarcimento del danno, una somma di denaro pari a 8 euro per ciascuna giornata nella quale questi ha subito il pregiudizio”. Stesso trattamento nei casi in cui il periodo trascorso in condizioni disumane sia stato inferiore a 15 giorni, in caso di custodia cautelare o di pena espiata (in questi ultimi due casi l’istanza deve essere presentata entro sei mesi dalla cessazione dallo stato di detenzione o di custodia cautelare). Le coperture, valutate in 5 milioni di euro per il 2014, in 10 milioni per 2015 e in circa 5,3 milioni per il 2016, saranno reperiti attingendo, per il 2014, al fondo dove vengono destinate le sanzioni amministrative irrogate dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcom), e, per gli anni 2015 e 2016, dalla riduzione del Fondo per interventi strutturali di politica economica. Confermata l’estensione ai minori di 25 anni delle misure cautelari, quelle alternative al carcere, previste per i minorenni. Eliminata solo la parte che specificava che le misure cautelari per gli under 25 venivano estese solo per motivi di studio, lavoro o famiglia. Attualmente l’estensione è prevista solo fino a 21 anni di età. Giustizia: nel dl "Semplificazione e crescita" salta anche l’annunciata "fusione" delle Polizie di Francesco Grignetti La Stampa, 15 giugno 2014 Una rivoluzione è in arrivo, un’altra invece è rinviata a tempi migliori. Nonostante nella bozza della vigilia fosse previsto un riordino delle forze di polizia e l’accorpamento di Forestale e Penitenziaria con altri corpi, nulla di tutto ciò ha superato il vaglio del consiglio dei ministri. "Accorpamento? No", ha detto Matteo Renzi in conferenza stampa, visibilmente corrucciato. Nel corso delle ore, in effetti, si erano moltiplicati i rumors. Un provvedimento così tranciante, messo a punto dalla Funzione pubblica, sia pure nel solco delle proposte avanzate a suo tempo dal commissario alla spending review Carlo Cottarelli, avrebbe incontrato le perplessità, per usare un eufemismo, degli altri ministri interessati. Da Alfano, Orlando e Martina insomma non è arrivato il via libera. E così la parte relativa alle polizie è stata stralciata dal decreto. "Comunque dovranno accorpare molte procedure per semplificare l’organizzazione e ridurre i costi", annuncia il ministro Marianna Madia. Migliore fortuna, invece, ha avuto l’ipotesi di ridisegnare le prefetture. Cambieranno di nome. Diventeranno Uffici regionali di governo. E già in questa definizione c’è la nuova configurazione e la nuova mission: ce ne sarà una per capoluogo di regione, non più per capoluogo di provincia. Con il che si passerebbe da 103 a 20 sedi. Sono però previste deroghe per le zone ad alta densità criminale. "Ci rendiamo conto che in alcune aree del Paese occorre essere più presenti", spiega il premier in conferenza stampa. E quindi ecco arrivare al tetto di circa 40 nuove prefetture di cui Renzi ha parlato spesso. Questo è l’obiettivo del governo. Ci si arriverà con una legge delega che dovrà passare per il Parlamento. Attenzione, però, alla portata del provvedimento. Con l’istituzione degli Uffici regionali di governo non sarebbero tanto 60 o 70 sedi di prefettura a scomparire, ma una miriade di uffici periferici dello Stato. "Deve essere chiaro che tutta l’articolazione periferica dello Stato seguirà la nuova geografia", ha scandito Renzi. Significa che dalle città "declassate" scomparirebbero questure, comandi dei vigili del fuoco, dei Carabinieri, della Finanza, le direzioni provinciali della amministrazione finanziaria dello Stato, provveditorati agli studi, provveditorati alle opere pubbliche, e così via. Un immenso scrollone all’impalcatura dello Stato come la conosciamo dal 1870 a oggi. Nel mondo della sicurezza sono già atterriti dallo tsunami in arrivo. "Il governo - scrivono con nota congiunta i sindacati di polizia Siulp, Siap-Anfp, Silp-Cgil, Consap e Uil-polizia - sta per annientare ogni possibilità di difendere i cittadini e le Istituzioni dall’aggressione criminale". I sindacati annunciano battaglia e cominciano ritirando la firma dagli accordi sindacali che permettevano i doppi turni di servizio, "a cominciare dalle tutele ai politici". Deluso anche Gianni Tonelli, del Sap, che sperava almeno nell’accorpamento di Forestale e Penitenziaria: "I cittadini non possono più sopportare il carrozzone di sette forze di polizia". Giustizia: al Senato esame del regolamento su sgravi per chi assume lavoratori detenuti Asca, 15 giugno 2014 Ha preso il via martedì in commissione Giustizia del Senato l’esame dello schema di regolamento che prevede sgravi fiscali e contributivi a favore delle imprese che assumono lavoratori detenuti. Attualmente la materia è regolata da due distinti decreti ministeriali, uno per gli sgravi fiscali e uno sulle agevolazioni fiscali, e lo schema in esame punta a unificare i due aspetti. L’atto del governo si articola di due titoli, il primo dedicato alle agevolazioni fiscali e il secondo ai benefici contributivi. L’articolo 1 differenzia lo sgravio fiscale previsto a favore delle imprese che assumono lavoratori detenuti a seconda che si tratti di lavoratori ammessi al lavoro interno o a quello esterno o alla semilibertà. Gli articoli 2 e 3 estendono i benefici fiscali anche alle imprese che svolgono attività formative per i detenuti. L’articolo 4 interviene sulle condizioni per fruire delle agevolazioni per i mesi successivi alla scarcerazione del lavoratore, prescrivendo, fra le altre, che l’assunzione deve essere avvenuta durante lo stato di detenzione. L’articolo 5, relativo alle modalità di fruizione dello sgravio fiscale, individua i limiti massimi di cumulo con altri benefici, collegati al costo relativo alle spese sostenute per il dipendente o per la sua formazione. La disposizione successiva introduce un meccanismo di monitoraggio e controllo per l’erogazione dei crediti di imposta che consente di prevenire eventuali sforamenti rispetto alle risorse disponibili. L’articolo 7, in coerenza con le risorse finanziarie disponibili per ciascun anno, fissa il limite massimo di spesa delle agevolazioni. L’articolo 8 disciplina le agevolazioni di natura contributiva aumentando al 95 per cento la riduzione percentuale delle aliquote complessive della contribuzione per l’assicurazione obbligatoria previdenziale e assistenziale dovute dalle cooperative sociali, rispetto a quanto previsto nel decreto del 2001. La norma, oltre ad estendere l’agevolazione contributiva per un periodo successivo alla scarcerazione del lavoratore assunto, fissa gli importi massimi complessivi delle agevolazioni contributive stabiliti in 8.045.284 euro per l’anno 2013 e in 4.045.284 euro per gli anni successivi. Infine, per prevenire il rischio del superamento delle risorse stanziate, l’articolo prevede che il riconoscimento delle agevolazioni contributive avvenga da parte dell’Inps sulla base dell’ordine cronologico di presentazione delle domande da parte dei datori di lavoro a cui l’Istituto attribuisce un numero di protocollo informatico. L’esame proseguirà in una prossima seduta. Giustizia: errori magistrati; dopo passo il falso alla Camera, Orlando prepara giro di vite di Alberto Gentili Il Mattino, 15 giugno 2014 Quando Matteo Renzi pronuncia il suo appello anti-corruzione ("chi tra di noi ha notizie di reato vada a dirlo ai pm"), un brivido percorre i sotterranei dell’Ergife dove si celebra l’Assemblea nazionale del Pd. Ad agitarsi sulle sedie è soprattutto l’ala bersaniana. È notizia di queste ore il presunto coinvolgimento di Davide Zoggia - astro nascente del Pd di Pier Luigi Bersani - nell’inchiesta delle tangenti del Mose. Ma dal vicesegretario Lorenzo Guerini agli altri renziani doc, tutti a dire che il lider maximo "non ce l’aveva con qualcuno in particolare". La novità, in queste parole, sta nella metamorfosi sul fronte della giustizia compiuta da Renzi. Il Pd non più come partito fiancheggiatore di giudici e Procure, ma il Pd "partito che laicamente affronta il tema della giustizia", dando massima attenzione alla questione morale e alla legalità. Declinandole però - ed è questo il cuore della novità - sotto il segno del garantismo: "Noi facciamo pulizia e siamo garantisti sul serio", professa Renzi sul palco, "alla magistratura chiediamo di rispettare ogni norma a tutela dell’imputato". Una svolta non da poco, visto che a imprimerla è il primo segretario del Pd riuscito a volare sopra il 40% e che si propone di governare "come un rullo compressore" per i prossimi quattro anni. La via stretta tra il giustizialismo caro al Pd-Ds-Pds-Psi e un garantismo che negli ultimi vent’anni è spesso servito da scudo a corrotti e corruttori, per Renzi è il superamento del "derby ideologico" tra le due tifoserie. Ed è affrontare i magistrati senza sudditanze psicologiche: "Se qualcosa non funziona, va cambiata facendo anche riforme che non piacciono ai magistrati", afferma. Inevitabile qualche ditata negli occhi dei giudici. Qualcuna è già arrivata: l’obbligo di andare in pensione a 70 anni e la forte sforbiciata alle retribuzioni. "E non abbiamo paura a dire all’Anm che non è un attentato all’indipendenza delle toghe mettere un tetto ai loro stipendi", scandisce Renzi. Altre diktat arriveranno: "Potete stare certi", afferma uno stretto collaboratore del premier, "che nella riforma della giustizia che sta preparando il ministro Orlando ci saranno norme che faranno venire il mal di pancia ai magistrati. Non per cattiveria, ma perché se è giusto che un sindaco o un parlamentare che sbaglia, paghi, è altrettanto giusto che un giudice che mette in galera impropriamente un innocente o abusa dei suoi poteri, paghi le conseguenze". L’idea è quella di rimettere mano, come del resto chiede l’Unione europea, alla responsabilità civile dei magistrati. In Senato, quando verrà cancellata la norma sulla responsabilità diretta approvata mercoledì alla Camera grazie ai franchi tiratori ("con quella norma nessun giudice andrebbe più a sentenza per timore delle conseguenze"), Orlando presenterà un testo in cui verrà fatta valere questa responsabilità. Ma con un "filtro" della Corte d’appello per evitare ricorsi arbitrari contro i giudici. E con una "corsia preferenziale" quando si ravveda l’esistenza di un dolo grave. "Il tutto senza alcuna volontà punitiva", garantiscono nell’entourage del Guardasigilli, che ricordano "l’inedita attenzione" di Orlando all’avvocatura, da sempre nemica giurata dei pm. Il Pd "laico" (nei confronti dei magistrati) immaginato da Renzi è anche "il partito degli onesti che alza l’asticella dell’etica e della moralità", per usare la definizione di Matteo Richetti. Perché il premier dice di "non voler perdere la faccia", intendendo "camminare a testa alta". E perché, come ha fatto con il deputato siciliano Francantonio Genovese, "è pronto a votare l’arresto anche in campagna elettorale, se non c’è fumus persecutionis". In più, sostengono nel cerchio ristretto dei renziani, "sono gli atti legislativi a dimostrare che siamo in prima linea contro la corruzione, anche se tagliamo il cordone ombelicale che in passato ha legato il partito alle Procure". E giù ad elencare gli articoli del decreto che ha dato "poteri forti e inediti" al presidente dell’Authority anti-corruzione Raffaele Cantone. E a promettere un nuovo codice degli appalti "nei prossimi mesi", "senza le zone d’ombra delle varianti d’opera e delle deroghe". Giustizia: la "sanzione sociale"… questa è la vera cura per la corruzione di Luigi Zingales Il Sole 24 Ore, 15 giugno 2014 Cicero è un sobborgo di Chicago come tanti altri. A renderlo famoso fu Al Capone che vi si trasferì negli anni 20 per liberarsi dalle "interferenze" della polizia della metropoli. Impadronitosi del consiglio comunale, Al Capone elesse il sobborgo a sede delle sue attività criminose. È passato quasi un secolo e la composizione etnica di Cicero è cambiata due volte: da italiano negli anni 50 è diventato un sobborgo di immigrati dall’Europa dell’Est. Negli anni 80 e 90, poi, è stato invaso dai latinoamericani. Una cosa sola non è cambiata: la corruzione. Nel 2002 la presidente del consiglio comunale è stata arrestata per aver intascato 12 milioni in tangenti. Cicero rimane la cittadina più corrotta di uno degli stati americani più corrotti. La storia di Cicero deve esserci di monito. Per eliminare la corruzione non basta rottamare una classe politica. Non basta neppure cambiarne il Dna. Per eliminare la corruzione è necessario sradicare la cultura che la sostiene. Nei primi anni 80 l’Italia vinse la sua battaglia contro il terrorismo isolandolo culturalmente, prima ancora che militarmente. Sparuti attentati sono continuati anche nei decenni successivi, ma il fenomeno terrorismo fu vinto quando l’area grigia (né con lo Stato né con le Brigate Rosse) fu eliminata. Quando l’intera sinistra si rese conto che non si trattava di "compagni che sbagliano", ma di nemici del popolo. Con questo non voglio dire che leggi migliori (a cominciare da finanziamenti politici più trasparenti) non possano aiutare. Ma invocare leggi nuove e punizioni esemplari non basta. Al Capone fu sbattuto in galera, ma la cultura della corruzione gli sopravvisse. E leggi diverse non sono neppure necessarie. Altri sobborghi di Chicago, come Evanston, Wilmette, e Winnetka, sono governati dalle stesse leggi, eppure non sono vittime della stessa corruzione. È la cultura sottostante a fare la differenza: una cultura che tollera o addirittura sostiene la corruzione a Cicero, una cultura che non ne tollera neppure la parvenza nei sobborghi virtuosi. Ma chi difende la corruzione in Italia? Purtroppo la risposta è tutti noi. Nella misura in cui non la combattiamo attivamente, la tolleriamo, o peggio la giustifichiamo siamo tutti noi corresponsabili. Quante volte abbiamo accettato e spesso condiviso l’idea che le tangenti sono "necessarie"? Che sono il modo di fare business nel nostro Paese? Che altro non sono che "innocenti" contributi elettorali, frequenti in molti Paesi, inclusi gli Stati Uniti? Quante volte abbiamo sorvolato sul modo in cui un politico si è finanziato? Quante volte abbiamo chiuso un occhio di fronte alla corruzione, quando a corrompere erano persone potenti? Anche concedendo a tutti il beneficio dell’innocenza fino a prova contraria, i rei confessi non mancano. Quello che manca è il riconoscimento dell’errore commesso e la sanzione sociale. Nel 1993 molti ammisero le tangenti pagate e dissero che queste "erano le regole del gioco negli anni 80", senza mai ammettere l’errore commesso. A leggere i resoconti dell’Expo e del Mose, queste sembrano le regole del gioco anche negli anni Dieci del Ventunesimo secolo. Forse che questo rende le tangenti accettabili? Certo che no. Fino a ieri molti imprenditori sono stati moralmente conniventi con la cultura della corruzione. Se non la condividevano, almeno la tolleravano. Per questo sono molto importanti le parole pronunciate da Giorgio Squinzi in occasione dell’ultima assemblea di Confindustria. "Fuori i corrotti da Confindustria" ha dichiarato senza giri di parole il presidente. È un segnale forte. Quando il presidente della Confindustria siciliana, Ivan Lo Bello, si schierò apertamente contro il "pizzo" i risultati non mancarono, perché non si trattò solo di una dichiarazione ad effetto, ma dell’annuncio di una rivoluzione culturale. Lo Bello lanciò una battaglia contro la cultura del pizzo ed ottenne importanti risultati. Siamo fiduciosi che Squinzi faccia altrettanto con la cultura della corruzione. Come ci saranno sempre i ladri, così ci saranno sempre i corruttori. Più di due millenni fa Marco Tullio Cicerone, da cui il sobborgo di Chicago ironicamente prende il nome, divenne famoso per le sue orazioni contro Gaio Licinio Verre, un propretore corrotto. Ma grazie a Cicerone, Verre fu costretto all’esilio da Roma (si rifugiò a Marsiglia, non a Cesano Boscone). Se la pena fu lieve, almeno la sanzione sociale fu elevata. Oggi in Italia non c’è nessuna delle due. Secondo un’indagine dell’Espresso, nel nostro Paese i detenuti per corruzione sono solo 11. Non solo, i corruttori confessi mantengono intatto il loro prestigio sociale. Se del primo fatto, possiamo dare la colpa agli altri (leggi e magistrati), del secondo dobbiamo incolpare solo noi stessi. La sanzione sociale è la più democratica delle pene, perché viene amministrata da ciascuno di noi. Per essere efficace, però, la sanzione sociale deve essere applicata dalla maggioranza della popolazione. Da qui l’importanza di un leader, che coordini lo sforzo. Squinzi ha preso l’iniziativa. Alle parole, però devono seguire i fatti. D’ora innanzi non solo chi corrompe, ma anche chi giustifica la corruzione deve essere espulso da Confindustria. Parola del presidente. Giustizia: l’ultima di Vallanzasca, il "re della mala" in cella per un furto di mutande di Massimo Pisa La Repubblica, 15 giugno 2014 Milano, il "bel René" ha rubato in un supermercato. Lui nega. In permesso premio, è stato processato per direttissima. Da un’Esselunga a un’altra. E in mezzo 42 anni, gli omicidi e il carcere, le fughe e le spacconate, l’ascesa di un aspirante pericolo pubblico numero uno dallo sguardo che sfavillava e il mesto arrangiarsi tra gli scaffali di un anziano con gli occhiali spessi e il cellulare in un sacchetto. L’ultimo arresto di Renato Vallanzasca somiglia niente a quella lontanissima volta in bianco e nero, ma ci sono i nomi a inchiodare il "bel René" al suo passato che non passa, le circostanze a togliergli la semilibertà faticosamente conquistata nonostante 4 ergastoli e tre secoli di pene varie. E a riportarlo al 28 febbraio del 1972, millennio scorso. Dentro era già stato, ma questa era grossa: fece per la prima volta la conoscenza del maresciallo Ferdinando Oscuri - quello che aveva incastrato la banda di via Osoppo - che andò a prenderlo a casa e a portarlo a San Vittore: due settimane prima, era San Valentino, aveva assaltato i portavalori che portavano gli stipendi ai dipendenti del supermercato di viale Monte Rosa, a due passi dal Derby, e con le pistole si era fatto consegnare 53 milioni di lire. Non fece in tempo a goderseli, dimenticò i foglietti delle paghe stracciati nel cestino, Oscuri li trovò, li incollò, e lo fregò. Era letteratura criminale, quella. È cronaca spicciola, questa. Le 20.15 di venerdì, l’addetto dell’antitaccheggio dell’Esselunga di viale Umbria - dalla parte opposta a quello della rapina in bianco e nero, nella circonvallazione che avvolge il centro città - non può riconoscere quell’ometto che sta spaccando confezioni di boxer maschili, il cartone che impacchetta una cesoia da giardino, e infila tutto insieme a una bottiglia di fertilizzante nello zainetto. Lo segue, come si seguono i ladruncoli per fame o per vizio che staccano i codici a barre del parmigiano o dello scamone. Alla cassa Vallanzasca paga la sua spesa nel carrello, quando passa si ritrova l’uomo della security addosso che gli chiede conto dello zaino. Roba da 70 euro. Barbonate, per quel signore abituato nella sua vita precedente a far fuoco a bruciapelo ai posti di blocco, a evadere da infermerie e oblò di nave, a muovere guerre e stringere alleanze agli altri principi neri della mala milanese. Sbotta: "Adesso vedrete che casino che verrà fuori". I carabinieri della gazzella del Radiomobile, quando gli controllano i documenti, sono i primi a rendersi conto. Lo portano in caserma, furto aggravato. Anche loro, nel curriculum, potranno scrivere di aver arrestato il "bel René". Che da questa leggerezza ha un po’ da perdere. La semilibertà, intanto, e l’ammissione al lavoro esterno, sospesi ieri mattina in direttissima dal magistrato di sorveglianza Beatrice Crosti, la stessa che segue il lavoro ai servizi sociali di Silvio Berlusconi. Non è la prima volta, da quando l’8 marzo del 2010 ottenne il permesso per uscire dal carcere modello di Bollate alle 7.30 per tornare ogni sera alle 19.30 - venerdì, quando lo hanno arrestato, aveva un permesso per l’intero weekend e stava dalla fidanzata - e fece l’inedita conoscenza di un impiego onesto. Pellettiere, magazziniere nella bergamasca, impiegato in ricevitoria, commesso. A singhiozzo, tra una revoca perché lo vedevano frequentare qualcuno del vecchio giro, e una protesta di chi ancora non aveva cancellato le cicatrici - i familiari del poliziotto Luigi D’Andrea, freddato a Dalmine nel 1977, si indignarono quando mandarono Vallanzasca a Sarnico - fino a quella brutta vicenda delle bufale, con la moglie Antonella D’Agostino che lo mette in contatto col presunto camorrista Italo Zona per commerciare mozzarelle a Milano. Dalla prima udienza del prossimo 27 giugno contesteranno la rapina impropria all’ex re della Comasina, perché quella frase, quel commento a caldo sul casino che sarebbe scoppiato, è stato interpretato come una minaccia. "Il mio cliente ha negato anche il furto", spiega il suo legale Deborah Piazza, e la versione riferita nell’udienza di ieri mattina a porte chiuse, vera o falsa che sia, è in linea con gli antichi codici di mala. "Ha detto di aver incontrato un suo vecchio amico al supermercato, si chiama Pino, avevano cominciato a parlare di un blog e poi l’amico gli ha chiesto di tenergli la borsa. Tanto è vero che il mio cliente ha pagato la sua spesa: è tutto un equivoco, in dieci anni che lo conosco non ha mai avuto l’idea di tornare a delinquere e non ha certo bisogno di certe furbate. Anzi, pensavo di chiedere la condizionale tra un annetto". Da non crederci. Faticavano a crederci anche al Comando generale dell’Arma, l’altra sera. Proprio lui? Ancora? A quell’età? E per due mutande e un paio di forbici? Tant’è. La storia che si ripete marxianamente in farsa riporta dentro l’ergastolano Renato Vallanzasca, e chissà per quanto prima di tornare a lavorare, a prendere un "bianchino" al bar, o dalla donna. A Bollate le celle non hanno nemmeno le sbarre. È cambiato tutto. Giustizia: Dell’Utri in una cella del carcere di Parma, chiede di occuparsi della biblioteca La Gazzetta di Parma, 15 giugno 2014 Marcello Dell’Utri è da ieri un detenuto del sistema carcerario italiano. Dell’Utri - sul cui capo pendeva l’ordine di arresto emesso il 7 aprile dalla Corte d’appello di Palermo per la condanna definitiva a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa - a bordo di un’ambulanza, alle 15.45, ha varcato la porta carraia del carcere di via Burla di Parma scortato da due auto della Polizia penitenziaria. L’ex senatore (e fondatore con Silvio Berlusconi di Forza Italia) è stato portato a Parma perché c’è un centro medico carcerario. La richiesta di trasferimento in quella struttura l’ha fatta lo stesso Dell’Utri (inizialmente doveva andare a Rebibbia) e ha avuto l’avallo dei giudici di Palermo. Il centro - tra i più attrezzati dal punto di vista sanitario - è stato considerato il più adatto per rispondere alle esigenze mediche di Dell’Utri, convalescente dopo un intervento al cuore. Nello stesso reparto in passato era stato ospitato Bernardo Provenzano, poi trasferito a Milano, e attualmente vi è detenuto Totò Riina, il boss di Cosa Nostra. La lunga giornata del fondatore di Forza Italia era cominciata presto, con l’estradizione dal Libano: il volo AZ 827 proveniente da Beirut è arrivato alle 6:45 a Fiumicino. A scortarlo nel volo gli agenti della Dia mentre a bordo ha viaggiato anche la figlia Chiara. Nello scalo romano è scattata una vera e propria "operazione riservatezza". Niente immagini e tanto meno filmati per i fotoreporter che lo attendevano, anche se sullo stesso volo hanno viaggiato alcuni giornalisti della carta stampata. Ancora a bordo dell’aereo dell’Alitalia, Dell’Utri è stato preso in consegna da funzionari ed agenti della Polizia di frontiera e accompagnato in uno degli uffici della Polaria per le incombenze burocratiche di rito: ufficiali e funzionari della Dia giunti da Palermo gli hanno notificato l’ordinanza di esecuzione. Ma non è stata solo una procedura di routine: su disposizione della Procura Generale, che aveva disposto il sequestro di "cose relative al reato" per il quale è stato condannato, negli uffici Polaria è stato sottoposto anche a perquisizione personale dagli ufficiali della Dia palermitana. Sono stati anche perquisiti i suoi bagagli e sono stati trovati 26.000 euro in contanti, quattro telefoni cellulari, due libretti di assegni, una drive pen e alcune agende personali, che gli uomini della Dia hanno sequestrato. Dell’Utri è apparso "abbastanza provato", ma ha camminato senza problemi nel breve percorso all’interno dell’aeroporto. Sua figlia Chiara è invece uscita dall’aeroporto per le vie normali. "Abbiamo provato a parlare con lui durante il volo - ha detto una giornalista che ha viaggiato sullo stesso aereo - ma siamo stati sempre bloccati. Siamo riusciti solo ad ottenere alcuni sorrisi e la battuta "sono stanco". Dell’Utri chiede al carcere di occuparsi della biblioteca L’ex senatore Marcello Dell’Utri ha chiesto, ma il desiderio non potrà essere esaudito, di fare il bibliotecario del carcere di Parma, dove da ieri è detenuto nel centro clinico per scontare la condanna definitiva. La richiesta da appassionato bibliofilo l’ha fatta al comandante davanti a Massimo Palmizio, coordinatore di Fi Emilia-Romagna e suo fraterno amico, dopo avere lavorato alle sue dipendenze in Publitalia, che lo è andato a trovare nel penitenziario: "È provato fisicamente e psicologicamente. La testa c’è". La richiesta tuttavia non potrà essere esaudita. La biblioteca esiste, ma è deputata a ricevere la richiesta di libri e alla loro consegna, ha spiegato Palmizio. "Da parlamentare - ha detto - posso accedere per attività ispettive e dialogare coi detenuti sulla qualità della detenzione. Parma è una struttura enorme, c’è il reparto 41 bis, è pulito e moderna ma ovviamente poco piacevole. Dell’Utri ha una stanza singola, con una micro televisione, c’è un caldo infernale. Chiederò che gli sia concesso almeno un ventilatore, dato che è cardiopatico ed è molto provato, dimagritissimo". Palmizio ha detto che prima di lui l’ex senatore ha parlato col suo legale: "Non so esattamente cosa si siano detti. Penso faranno istanza per una detenzione diversa. Io chiederei un ricovero in ospedale o in clinica". Lettere: il carcere forse deve rimanere brutto per salvaguardare la funzione di deterrenza? di Francesco Ceraudo (già dirigente sanitario del carcere di Pisa) Ristretti Orizzonti, 15 giugno 2014 Il carcere è brutto e forse deve rimanere brutto per salvaguardare almeno la sua caratteristica principale: la funzione di deterrenza. Il carcere è il cimitero dei vivi. Tutto è iperbolico, ipertrofico. Sulla stregua di tali considerazioni non è ammissibile, né tanto meno giustificabile che da fuori si cerchi in maniera strumentale di forzare ulteriormente l’immagine. Tutto ciò per destare sensazione e acquisire magari spazio nei mezzi di comunicazione. Intendo riferirmi al recente Convegno organizzato a Torino dalla Simspe. Il Presidente di questa Società ha comunicato alla stampa che "tra le malattie infettive in carcere ha una frequenza preoccupante la tubercolosi, individuando con estrema precisione la percentuale del 21,8%, mentre l’infezione della tubercolosi è oltre il 50% nei detenuti stranieri". Francamente ci sembrano numeri in libera uscita e assolutamente non corrispondenti alla realtà. Immaginare che circa 11.000 detenuti stranieri abbiano l’infezione della tubercolosi in un contesto ambientale cronicamente caratterizzato da intollerabile sovraffollamento, significa creare allarmismo nella popolazione detenuta e tra gli Operatori Penitenziari. Del resto l’esibizione di questa estrema precisione mal si concilia con quanto lo stesso Presidente del Convegno Dr. Guido Leo ha sostenuto nella sua relazione introduttiva: "La vera emergenza delle carceri italiane è la mancanza di dati certi". Lettere: da Cucchi a Uva… anche i pm devono pagare di Ilaria Cucchi, Andrea Magherini e Lucia Uva Il Fatto Quotidiano, 15 giugno 2014 Caro dottor Rodolfo Sabelli, scriviamo per conto dei nostri cari Giuseppe Uva, Stefano Cucchi e Riccardo Magherini. Vogliamo mettere in chiaro che, nonostante lo Stato ci abbia riconsegnato i nostri cari affidati alla sua custodia come cadaveri, noi non abbiamo in alcun modo perso la fiducia nelle Sue istituzioni e, tantomeno, la nostra fede democratica. Noi riteniamo che l’indipendenza della magistratura sia un valore essenziale per il suo buon funzionamento e irrinunciabile per un Paese civile e democratico. Ci consenta però di dirle che noi guardiamo l’associazione che lei rappresenta da una prospettiva privilegiata. Privilegiata dalle tragedie che le nostre famiglie si sono trovate a dover affrontare. Noi crediamo di poter serenamente dire che dietro questi sacrosanti principi di autonomia e indipendenza si celano fenomeni di totale deresponsabilizzazione, quando non addirittura impunità. Noi ammiriamo quei pm che quotidianamente e in silenzio rendono con onestà e professionalità un servizio indispensabile al civile vivere insieme. Che mettono a repentaglio la loro vita. Che sono innamorati della Giustizia. E sono tanti. Tutti o quasi tutti. Ecco noi dobbiamo esprimerle, nel nostro piccolo, tutte le nostre perplessità su quanto succede, o meglio non succede, quando si verifica quel quasi. Se per esempio a Varese un pm paralizza un’indagine per 5 anni con comportamenti sistematicamente censurati da tutti i giudici di volta in volta interpellati. Se questo pm trasforma la sua funzione in un esercizio di potere fine a se stesso arrivando a umiliare e offendere i familiari della vittima fino a esser sottoposto a procedimento disciplinare. Se a Firenze un altro pm, in occasione di una morte sospetta di un ragazzo di 40 anni in mano ai carabinieri, si dimentica di andare sul posto per effettuare le prime indagini delegandole agli stessi carabinieri. Se a Roma un pm e un giudice, nonostante abbiano di fronte un ragazzo ferito a botte e palesemente sofferente - tanto che morì sei giorni dopo - non se ne accorgono e nemmeno lo guardano in faccia sbattendolo in galera come un albanese senza fissa dimora, quando invece è cittadino italiano con regolare residenza. Se accade tutto ciò e nulla succede a questi magistrati che certo non onorano la loro funzione, noi cittadini cosa dobbiamo pensare? Le anomalie della Procura di Varese sono note a tutti. Che a Firenze sia stato necessario che la famiglia di Riccardo Magherini tenesse per scelta la salma del proprio caro in una cella frigorifera per oltre tre mesi, per consentire al pm di svegliarsi, sequestrarla, iscrivere i protagonisti del suo scellerato fermo sul registro degli indagati e procedere poi alle operazioni post autoptiche, è ormai arcinoto. Che a Roma, a causa di quella "collettiva distrazione" sia iniziato il calvario del povero Stefano, terminato con la sua morte nelle terribili condizioni che sappiamo, è ancora arcinoto. Ma a quei pm nulla ma proprio nulla è accaduto. La prova? Venga a Varese il 30 giugno prossimo. Venga con noi. E si preoccupi perché proprio l’impunità di quei comportamenti può costituire il maggior pericolo per l’autonomia e indipendenza che tanto a cuore sta a noi tutti. Piemonte: esplosioni fuori da carceri di Biella, Asti e Aosta, si sospetta matrice anarchica www.newsbiella.it, 15 giugno 2014 Forse c’è una matrice anarchica nell’attentato al penitenziario che ospitò Marco Camenisch. Potrebbe esserci la matrice anarchico insurrezionalista dietro all’attentato dinamitardo avvenuto, una settimana fa, nei penitenziari di Biella, Asti e Aosta. Attualmente le indagini, avviate dalla Polizia penitenziaria, sono state affidate alla Digos, proprio per la delicatezza del caso. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, sabato 7 giugno, intorno alle 18, un’auto si ferma vicino alla cancellata del carcere di Biella, dalla parte di Città Studi. Chi parcheggia conosce molto bene la struttura e, soprattutto, sa come sono posizionate le telecamere di sicurezza. Infatti, nei video non sarà leggibile la targa. Dal veicolo escono due soggetti, travisati, che sistemano una piccola bomba carta vicino alla cancellata, l’accendono e fuggono prima che esploda, senza, peraltro, causare danni. Immediatamente escono le pattuglie della Penitenziaria, che continueranno la ronda, per motivi di sicurezza, per altre 24 ore. Negli stessi istanti, il copione si ripete fuori dalle mura dei penitenziari di Asti e Aosta. Adesso gli agenti della Digos stanno analizzando il materiale raccolto dopo la deflagrazione, alla ricerca della "firma" di chi ha realizzato l’ordigno, mentre non sarebbe arrivata alcuna rivendicazione. Che gli anarchici siano di casa, al carcere di Biella, è cosa nota. A inizio del 2000, Marco Camenisch, l’ecoterrorista anarchico, di origini elvetiche, era stato rinchiuso nell’allora sezione a elevato indice di vigilanza. Da mezza Europa, per un lungo fine settimana, erano arrivati in città diversi sostenitori, che si erano piazzati in via dei Tigli con tanta musica e altrettanta rabbia in corpo. Appena un paio di anni prima, infatti, si era consumata in Piemonte la tragedia di Baleno e Soledad trai primi oppositori della Tav. Più recentemente, era approdato anche il "carrozzone" anarchico che, tutte le domeniche, si piazzava fuori da un istituto di pena per sostenere i compagni reclusi con musica a palla e petardi fatti scoppiare dentro alle lattine di birra. Messina: il Sippe auspica trasformazione Opg di Barcellona P.G. in Casa di Reclusione Comunicato stampa, 15 giugno 2014 Alessandro De Pasquale, segretario generale del Si.P.Pe. (Sindacato Polizia Penitenziaria), invia una lettera al Capo degli istituti penitenziari Siciliani per conoscere quale sarà il destino dell’Opg di Barcellona P.G. e quello del personale che ci lavora. Il decreto-legge 52/2014 - a fronte della complessità della procedura per la realizzazione delle apposite strutture regionali - proroga nuovamente il termine per il superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (Opg), fissandolo al 31 marzo 2015. Il Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, con nota trasmessa ai sindacati il 18.04.2013, aveva manifestato l’intenzione di procedere alla trasformazione del predetto Opg in Casa di Reclusione - con eventuale sezione di Circondariale - e che, a tale scopo, sarebbero stati già predisposti alcuni progetti di ristrutturazione e manutenzione della struttura. Il Si.P.Pe. ha quindi chiesto al Provveditore di far conoscere se tale intendimento è ancora tra i progetti dell’Amministrazione o se nel frattempo sono state individuate soluzioni alternative. De Pasquale ricorda anche che nella città di Barcellona P.G. e nel territorio circostante, da tempo insistono fenomeni preoccupanti di diffusa criminalità, in particolare quella di stampo mafioso, come dimostrano i numerosi delitti verificatisi negli anni. Secondo il sindacalista, proprio per la centralità di questa città siciliana nelle dinamiche mafiose, la trasformazione dell’ospedale psichiatrico in Casa di Reclusione, potrebbe rafforzare la presenza dello Stato in questo territorio, al fine di dare tranquillità e sicurezza alla popolazione onesta. Belluno: detenuto distrugge la cella per un mal di denti di Irene Aliprandi Corriere delle Alpi, 15 giugno 2014 Un mal di denti può scatenare una forza sovrumana. È stato condannato a 6 mesi di reclusione un uomo, Iancu Bahic di 29 anni, accusato di danneggiamento aggravato. L’imputato, già detenuto in carcere per rapina, l’8 novembre 2010, esplose in un moto di rabbia che lo portò a distruggere la sua cella nel carcere di Baldenich. Bahic, assistito dall’avvocato Emiliano Casagrande, si trovava da solo in una cella di osservazione, quando le sue urla e un gran frastuono richiamarono l’attenzione degli agenti della polizia penitenziaria. Arrivati davanti alla cella, gli agenti trovarono l’imputato appollaiato su una mensola in cemento che serviva a sorreggere la televisione. L’uomo inveiva e teneva la televisione per il cavo, usato come pendolo e descritto dalle guardie come uno yo-yo, mentre tutto ciò che era presente all’interno della cella era stato distrutto. Oltre alla televisione e a una plafoniera di vetro teoricamente anti sfondamento, l’uomo era riuscito a strappare dal muro un termosifone in ghisa da due quintali, a sradicare dal pavimento la turca in ferro che era cementata, così come era fissato al muro con il cemento anche il lavandino in ferro. Tutto divelto e buttato in mezzo alla stanza, insieme a pezzi di cemento armato, mentre l’acqua uscita dai tubi. Non sapendo cosa fare, gli agenti hanno atteso gli ordini del comandante che ha suggerito di aspettare e lasciar sfogare l’uomo. La conta dei danni, impossibile da ricostruire nel dibattimento che si è concluso ieri, è stata fatta il giorno successivo, quando gli agenti sono tornati nella cella per eliminare le macerie. L’imputato, non imponente, ma decisamente muscoloso, ha spiegato al giudice Elisabetta Scolozzi di aver perso la testa perché afflitto dal mal di denti, ha ammesso di aver rotto la tv che sta già ripagando, ma ha negato di avere la forza per spaccare il cemento armato. L’avvocato Casagrande, dopo aver ricordato le condizioni delle carceri italiane, ha cercato di limitare i danni affermando che il carcere non è un luogo pubblico. Il pm Sandra Rossi ha chiesto la condanna a 9 mesi. Trani, detenuto evade dalla semilibertà, Polizia penitenziaria lo riprende dopo poche ore Comunicato stampa, 15 giugno 2014 "Un detenuto italiano ammesso alla semilibertà non ha fatto rientro martedì nelle carceri di Trani, dove era ristretto. L’eccellente attività info-investigativa posta in essere dalla Polizia Penitenziaria ha permesso la sua cattura il giorno dopo, l’11 giugno, giorno coincidente con il suo 34° compleanno". Ne da notizia il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, che esprime "soddisfazione per la cattura e apprezzamento agli Agenti di Polizia Penitenziaria che hanno effettuato indagini, pedinamenti e arresto". "Il detenuto era impiegato nelle pulizie del cimitero di Trani ed aveva la moglie in ospedale", aggiunge Donato Capece, segretario generale del Sappe, aggiungendo che il soggetto evaso era detenuto in espiazione definitiva con fine pena 27 agosto 2015. "I nostri poliziotti sono stati bravi a mettersi immediatamente sulle sue tracce e quindi riacciuffarlo. Ma questo è un evento che purtroppo si può verificare, anche se la percentuale dei detenuti ammessi a fruire di semilibertà o permessi all’esterno che non fa poi rientro è minima", "È del tutto evidente" aggiunge "che un detenuto ammesso a fruire di semilibertà che non rientra in carcere allunga ovviamente la sua permanenza nelle patrie galere. Ma la semilibertà è utile (e la stragrande maggioranza di chi ne fruisce ha un comportamento ineccepibile) proprio per creare le condizioni di un percorso trattamentale e rieducativo finalizzato a intessere rapporti con la famiglia. Anche scontare la pena fuori dal carcere, per coloro che hanno commesso reati di minore gravità, ha una fondamentale funzione anche sociale. Come, ad esempio, il lavoro di pubblica utilità per i soggetti sorpresi alla guida in stato di ebbrezza, che consistente in una prestazione di lavoro non retribuita a favore della collettività da svolgere in via prioritaria nel campo della sicurezza e dell’educazione stradale: sono complessivamente circa 5mila persone". Catania: detenuto non paga mutuo e banca gli vende casa, esposto del Codacons Adnkronos, 15 giugno 2014 Non paga per due anni la rata del mutuo e la banca gli mette all’asta e gli vende la casa. È accaduto ad un detenuto del carcere di Bicocca a Catania, che ha preso carta e penna e ha inviato una lettera al segretario nazionale del Codacons, Francesco Tanasi. Secondo quanto raccontato dall’uomo e reso noto dallo stesso numero uno dell’associazione dei consumatori, l’istituto di credito, presso il quale aveva acceso un regolare mutuo, avrebbe venduto la sua abitazione "senza fornire adeguate informazioni" e, soprattutto, "ad un prezzo irrisorio". Il detenuto pagata una rata mensile di 400 euro. Dopo essere finito in carcere ed essere stato abbandonato dalla sua convivente, però, non ha potuto più onorare il suo debito. Sulla vicenda, Giovanni Petrone, presidente regionale del Codacons Sicilia, annuncia la presentazione di un esposto da parte dell’associazione affinché "sia accertato l’episodio e verificato il rispetto delle procedure e delle dovute garanzie nella vendita dell’immobile". Vigevano (Pv): altre due agenti aggredite da una detenuta di Anna Mangiarotti La Provincia Pavese, 15 giugno 2014 Carcere, poliziotte aggredite da una detenuta per la seconda volta in una settimana. Dopo il caso di due agenti malmenate da una detenuta 22enne, mentre controllavano una cella, è successo di nuovo: lunedì scorso una reclusa 53enne, italiana, ha aggredito altre due poliziotte che hanno riportato 5 e 7 giorni di prognosi per contusioni. Anche questa detenuta ha problemi di tossicodipendenza: la casa circondariale della frazione Piccolini ospita una decina di casi simili nel settore femminile media sicurezza (30 detenute in tutto), su un totale di 70 donne. Fra gli uomini i casi analoghi sono il dieci per cento. "Situazioni non facili da gestire, soprattutto se c’è carenza di personale", ribadisce il direttore Davide Pisapia. Il carcere di Vigevano non ha più problemi di sovraffollamento: oggi ha 370 reclusi. "Questo in primo luogo perché il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha ridefinito la tipologia delle carceri", dice Pisapia. In parole povere, a Vigevano non esiste più la sezione maschile di alta sicurezza e quella "protetti": è rimasta la sezione alta sicurezza per le donne, "ma al femminile non ci sono mai stati problemi di sovraffollamento". E ancora, hanno contribuito le normative che potenziano il ricorso alle misure di limitazione della libertà alternative, e anche la chiusura della procura di Vigevano. Ma l’organico della polizia penitenziaria è inadeguato, e il personale deve fare turni di otto ore invece di sei. Attualmente sulla carta figurano 180 agenti in servizio, su un organico teorico di 285. "In realtà poi gli agenti disponibili sono meno ancora alcuni sono "applicati" altrove. "Registriamo una nuova inaccettabile aggressione - commenta il segretario generale del sindacato autonomo, Donato Capece. "C’è da segnalare - prosegue il leader del Sappe - che la detenuta ha problemi psichiatrici, e nella stessa giornata si era procurata dei tagli sul corpo". Ancora: "A rimetterci è solo il personale che opera in prima linea. Ma non siamo carne da macello, anche la nostra pazienza ha un limite". Michele De Nunzio, sindacalista Uil, commenta: "In controtendenza con la situazione generale delle carceri, a Vigevano c’è una cronica carenza di personale, per cui situazioni apparentemente tranquille possono tramutarsi in eventi critici". Savona: domani il ministro Orlando partecipa al convegno "Giù le sbarre, oltre il castigo" Ansa, 15 giugno 2014 Il ministro della Giustizia Andrea Orlando è atteso lunedì al convegno "Giù le sbarre, oltre il castigo. La via sperimentale per una restituzione sociale con le pene alternative" in programma a Savona in Comune a partire dalle 14. Sarà l’occasione per presentare il progetto, messo a punto dalla Cooperativa Il Faggio in collaborazione con Legacoop Liguria, che prevede misure alternative alla detenzione attraverso azioni finalizzate al reinserimento della persona ristretta nel tessuto socioeconomico esterno attraverso percorsi di accoglienza abitativa e orientamento al lavoro. Il convegno si aprirà con i saluti del sindaco di Savona, Federico Berruti e del vicepresidente di Legacoop Liguria, Alessandro Frega. Augusta (Sr): riapre l’arena "Gattabuia" con concerti della Brucoli Swing Brothers Band www.siracusanews.it, 15 giugno 2014 Al via da sabato 21 alle ore 17.30 presso l’arena Gattabuia spazio aperto del carcere di Augusta i concerti della Brucoli Swing Brothers Band. Ad esibirsi saranno i detenuti del coro polifonico dell’istituto diretti da Maria Grazia Morello. Le date delle repliche successive sono quelle del 25-26-27 Giugno, sempre alle ore 17.30 . I concerti saranno anche l’occasione per una raccolta di fondi per l’acquisto di generi di pulizia per detenuti indigenti. Chi desidera assistere ad uno degli spettacoli potrà prenotarsi inviando una mail alla casella di posta elettronica, spettacolocanto2014@gmail.com entro giorno 18 indicando nome cognome e data di nascita. L’iniziativa costituisce un’altra tappa dell’operazione carcere e territorio dopo la rappresentazione teatrale " Settimo ruba un po’ meno " Di Dario Fo a cui hanno assistito quasi mille spettatori esterni, fra essi autorità, attori e registi come Francesco Scianna, Elisabetta Pozzi, Daniele Salvo, oltre a cittadini e studenti. Ci si può comunque accreditare al numero di fax 0931.981368 o alla casella mail cr.augusta@giustizia.it.