Giustizia: il grido di dolore dei magistrati "uffici ormai allo stremo delle forze..." dal Coordinamento nazionale dei Magistrati di Sorveglianza (Conams) Ristretti Orizzonti, 14 giugno 2014 Condividendo con la Comunità nazionale la soddisfazione per l’esito del verdetto europeo nella procedura pilota scaturita dalla sentenza Torreggiani, rivendica i meriti della Magistratura di sorveglianza che ha grandemente contribuito, con spirito di sacrificio e di abnegazione istituzionale, alla realizzazione di tale risultato positivo, pur parziale e provvisorio, adoperandosi anche al di là delle proprie forze al fine di garantire la sollecita e corretta applicazione degli istituti introdotti dal legislatore per attenuare la pressione del sovraffollamento carcerario (dall’esecuzione presso il domicilio alla liberazione anticipata speciale), cumulando queste nuove competenze al buon governo discrezionale delle misure alternative alla detenzione e all’attenta e assidua opera di tutela della dignità e dei diritti fondamentali dei detenuti. Cionondimeno, esprime il profondo disagio degli Uffici e dei Tribunali di Sorveglianza, oberati da gravosissimi carichi di lavoro in crescita esponenziale, ed eleva un grido d’allarme per il rischio concreto di un prossimo collasso di tali Uffici ormai allo stremo delle forze. Come già rappresentato in due lettere rivolte il 19 maggio u.s., rispettivamente al Capo dello Stato ed al Ministro della Giustizia, senza un piano "straordinario" che destini in tempi rapidi mezzi e risorse in dimensione adeguata, la Magistratura di Sorveglianza non solo non potrà più garantire l’espletamento dei suoi ordinari compiti di istituto, ma neppure sarà nelle condizioni di raggiungere (o di tentare di raggiungere) le finalità che i recenti interventi normativi si ripromettono in termini di deflazione carceraria e di effettiva e urgente tutela dei diritti fondamentali dei detenuti. In tale quadro dobbiamo registrare con profonda amarezza che l’insieme delle proposte formulate non ha trovato alcuna sostanziale accoglienza: in particolare, l’invocato aumento proporzionato della dotazione organica di magistrati e di personale amministrativo "strutturato" e "stabilizzato", attraverso urgenti interventi normativi ed amministrativi, nonché la prospettata modifica necessaria al fine di rendere effettivo, efficace e tempestivo il rimedio preventivo, avente carattere prioritario secondo la Corte Europea, estendendo l’ottemperanza - in presenza di lesioni gravi ed attuali dei diritti dei detenuti - alle ordinanze provvisoriamente esecutive che tali diritti tutelano. Si apprende, invece, dagli organi di stampa che l’unico sussidio organizzativo che si prefigura è l’autorizzazione all’impiego di Volontari a supporto della Magistratura di sorveglianza che, per quanto utile, costituisce un risorsa precaria, eventuale e del tutto insufficiente. Si apprende, altresì, dalla lettura del comunicato del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa e dalle anticipazioni dei mass-media, l’imminente varo di ulteriori misure di carattere compensativo, con l’elevata probabilità dell’attribuzione della relativa competenza alla Magistratura di sorveglianza. Pur condividendo la necessità di efficaci rimedi compensativi siccome prescritti dalla sentenza Torreggiani, al di là delle conseguenze disastrose che tali nuove competenze avrebbero sulla produttività e sull’efficienza della Magistratura di Sorveglianza, acquistano valore risolutivo le considerazioni nel merito di tali annunziate misure: l’ulteriore liberazione anticipata "speciale" con esplicite ed "eteronome" finalità risarcitorie per il condannato detenuto, di difficile applicazione pratica e dal modesto effetto deflattivo, ed il risarcimento pecuniario in misura forfettaria che, a fronte dell’incommensurabilità del bene supremo della dignità umana che non conosce prezzo, percorre una via indennitaria diversa dalla strada maestra della garanzia giurisdizionale del diritto al risarcimento integrale dei danni conseguenti ai trattamenti disumani e degradanti, di competenza del giudice naturale che la Suprema Corte di Cassazione ha indicato nel Giudice civile. Nella speranza che il grido di dolore della Magistratura di Sorveglianza, ma soprattutto le sue proposte ragionate, frutto di scienza ed esperienza, conquistate sul campo e accumulate nel tempo, non restino ancora una volta inascoltati, si confida in un supplemento di saggezza politico-istituzionale, nella profonda convinzione che il rispetto dei diritti contemplati dalla Costituzione italiana e dalla Convenzione europea esige il rispetto e la piena funzionalità delle Magistrature che tali diritti devono garantire e concretamente tutelare. Giustizia: sindaco di Milano Giuliano Pisapia a Governo "serve modifica codice penale" Ansa, 14 giugno 2014 Il sindaco di Milano Giuliano Pisapia lancia un appello al Governo affinché "riprenda in mano, con le modifiche che ritiene necessarie, la legge delega sul codice penale. È del tutto evidente infatti che il nuovo codice di procedura penale aveva come presupposto una modifica del codice penale". Il sindaco, intervenuto al convegno "25 anni di processo penale tra principi e realtà", oltre a essere un noto avvocato, è stato anche a capo della Commissione che nel 2006 aveva avuto proprio l’incarico di predisporre uno schema di disegno di legge delega di riforma del codice penale. Nel suo intervento oggi all’incontro, organizzato dall’Unione delle Camere Penali e dall’Associazione Nazionale Magistrati al Tribunale di Milano, il sindaco ha poi definito la normativa sulla prescrizione nell’impostazione attuale "una vergogna" che andrebbe modificata, oltre a ribadire la necessità di puntare su pene alternative al carcere. "Come si può pensare - ha detto - che la detenzione in carcere sia la soluzione migliore da adottare per alcune fattispecie di reato, quando invece potrebbero essere introdotte sanzioni più efficaci anche se alternative al carcere?". Giustizia: Chinnici (Fondazione Ozanam); meno burocrazia… per far lavorare i detenuti Agenparl, 14 giugno 2014 "Bisogna assolutamente snellire le procedure burocratiche che consentono alle aziende di far lavorare i detenuti all’interno delle carceri facendo conoscere agli imprenditori in maniera chiara i vantaggi fiscali offerti dalla Legge Smuraglia. In tal modo il cammino per il pieno reinserimento nella società civile per chi ha scontato il suo debito con la giustizia potrà procedere più spedito. Non dobbiamo dimenticare che l’80% dei detenuti che lavora non commette più reati". Lo ha dichiarato il prof. Giuseppe Chinnici, Presidente della Fondazione Federico Ozanam-Vincenzo De Paoli Onlus, rivolgendosi al Sottosegretario alla Giustizia Cosimo Ferri nel corso dell’incontro-dibattito "Annunciare il Vangelo nelle carceri. La scommessa della rieducazione", tenutosi a Roma. Nel corso dell’evento, promosso dalla Fondazione Ozanam si è fatto il punto sul recupero e il reinserimento sociale dei detenuti attraverso la formazione e il lavoro. Particolarmente toccante è stata la testimonianza di Giuseppe, un ergastolano che durante il giorno ha la possibilità di svolgere un’attività lavorativa al di fuori del carcere: "Nessuno vuole assumere detenuti e per questo nel 1999 ho dato vita ad una piccola cooperativa di operai impegnata nella ristrutturazione edilizia e nella creazione di spazi versi . Adesso siamo in 60 e attraverso il lavoro ho recuperato la mia dignità di uomo ed è iniziato il percorso per il mio reinserimento nella società civile". Nel corso del convegno al quale hanno partecipato, fra gli altri, Mons. Alessandro Plotti, Arcivescovo Emerito di Pisa, Cosimo Ferri, Sottosegretario di Stato alla Giustizia, Silvana Sergi, Direttrice del Carcere di Regina Coeli e Padre Vittorio Trani, Cappellano del Carcere di Regina Coeli, la Fondazione Ozanam Ha presentato in anteprima il Progetto "Minori e carceri". "Si tratta di un innovativo laboratorio teatrale, rivolto a minori detenuti e gestito da esperti nella formazione e nell’educazione, nel corso del quale i minori apprendono a organizzarsi e a gestire le emozioni. Il tutto servirà a prepararli all’ingresso del mondo del lavoro per diventare adulti affidabili e determinati a ricostruirsi una vita", ha spiegato Chinnici. "Bisogna avere il coraggio - conclude Chinnici - di scommettere sul miglioramento delle persone così come faceva il Beato Federico Ozanam che nella Parigi dell’Ottocento assisteva materialmente e portava il messaggio cristiano agli ultimi, a coloro che erano stati dimenticati dalla società". Giustizia: Sappe; contrari aumento età negli Istituti penali minorili detenuti fino a 25 anni Ristretti Orizzonti, 14 giugno 2014 "Apprendiamo dagli Organi di informazione che il Consiglio dei Ministri di oggi valuterà una proposta legislativa del Ministro della Giustizia per elevare l’età di chi è costretto negli istituti penitenziari minorili passando da 21 anni a 25. Noi, primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, ribadiamo che è impensabile far convivere negli stessi ambienti carcerari adulti di venticinque anni con bambini di quattordici." Così il Segretario Generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, Donato Capece, commenta le dichiarazioni del Ministro Andrea Orlando rese ieri a margine della presentazione dei dati di Save The Children sul lavoro minorile in Italia. "Bene farebbero, a nostro avviso, il Governo e il Ministro Orlando a occuparsi, invece, di una complessiva riorganizzazione della giustizia minorile che, allo stato attuale, è soltanto un enorme carrozzone spinto soltanto dalla Polizia Penitenziaria", prosegue il leader del primo e più grande sindacato della Polizia Penitenziaria. "In tempi di spending review, sarebbe davvero il caso di sopprimere il Dipartimento della Giustizia Minorile, utile solo a distribuire poltrone dirigenziali, e ricondurre il circuito penitenziario minorile nel suo naturale alveo del Dap. La Giustizia Minorile dovrebbe tornare ad essere una direzione generale del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria". Giustizia: "lo Stato ci ignora", la protesta di chi ha denunciato fatti di mafia ed estorsioni di Manolo Lanaro Il Fatto Quotidiano, 14 giugno 2014 "Lo Stato è peggio della mafia". Parole forti che descrivono lo stato d’animo dei testimoni di giustizia: "Dopo avere distrutto le nostre vite, le istituzioni ci abbandonano". Due giorni fa hanno portato la loro rabbia sotto Palazzo Chigi per chiedere un incontro con il sottosegretario Graziano Delrio: "Non ce la facciamo più ad essere calpestati, specialmente dal Pd, che dall’opposizione prometteva di spianare le montagne in nostro favore e ora se ne frega". Alle istituzioni chiedono i decreti attuativi di una legge approvata a ottobre dal governo Letta che prevede la loro assunzione nella pubblica amministrazione. "Poca cosa a confronto di chi ha deciso di lasciare casa, famiglia e affari per trascorrere anni sotto copertura", osservano. Ieri mattina una delegazione è stata finalmente ricevuta dal sottosegretario. Ad accompagnare i testimoni il viceministro dell’Interno Filippo Bubbico con i parlamentari Patrizia Maestri (Pd) e Cristian Iannuzzi (M5S) ai quali Delrio ha letto la bozza su cui sta lavorando il governo: sì al loro inserimento nella pubblica amministrazione, ma solo in presenza di un posto vacante. "Un segnale, ma senza date certe", commenta Luigi, testimone di giustizia presente all’incontro. Dal viceministro la delegazione ha avuto invece rassicurazioni sulla Commissione centrale, l’organismo ministeriale che decide misure di sicurezza e compensazioni economiche, inspiegabilmente fermo dall’insediamento del governo Renzi. I testimoni di giustizia sono incensurati (a differenza dei collaboratori di giustizia, i "pentiti") che hanno denunciato mafiosi ed estorsori aiutando le indagini e spesso collaborando con le forze dell’ordine sotto copertura. Paolo aveva un caseificio in una città della Campania ed era vittima del racket camorrista di un clan del territorio. "Grazie al mio contributo gli investigatori hanno smantellato un’intera cosca. Il risultato? Mi arrivano ancora le cartelle esattoriali di Equitalia del periodo in cui ero sotto protezione". L’odissea di Rosi, calabrese, laureata in lingue, dura da 23 anni: "A causa alla guerra di mafia di cui sono stata testimone ho perso due fratelli, due cugini e uno zio. Ho accettato l’offerta del programma di protezione e oggi non ho un lavoro, non ho contributi pensionistici e lo Stato continua a non voler riconoscere il mio sforzo". È uscita volontariamente dal programma di protezione perché non ce la faceva più: "il falso nome non prevede documenti e senza è impossibile trovare un lavoro. E oggi sono invisibile e senza soldi, come se dovessi pagare pegno perché ho contribuito a smantellare la ‘ndrangheta nel mio paese". "Sono fiero delle mie scelte tranne di una: quella di fidarmi dello Stato", chiosa Paolo. Gli fa eco Rosi: "Non ci ascoltano perché in Italia siamo solo un’ottantina e le nostre vite spezzate non portano voti". Giustizia: Marcello Dell’Utri detenuto nel Centro Clinico del carcere di Parma Adnkronos, 14 giugno 2014 Marcello Dell’Utri è detenuto nel carcere di Parma. Al suo arrivo presso gli Istituti penitenziari di Parma, in via Burla, l’ex senatore del Pdl è stato sottoposto come da prassi a visita medica e ad un colloquio con lo psicologo. Viste le sue condizioni di salute e la convalescenza dopo l’intervento cardiaco a cui è stato sottoposto in Libano, Dell’Utri è stato trasferito al reparto clinico del carcere. Una struttura all’avanguardia, spiegano fonti qualificate, attrezzata con 31 posti e aperta di recente proprio per le esigenze di assistenza medico-sanitaria dei detenuti reclusi a Parma. L’assistenza sanitaria in carcere, come previsto dagli attuali protocolli, è di competenza della Asl. L’assistenza medica è assicurata costantemente e - oltre al presidio tossicodipendenti, al gabinetto odontoiatrico al centro di fisioterapia - la struttura sanitaria vede la presenza di un cardiologo e un chirurgo ma anche di uno psicologo, un radiologo e un neurologo. Il carcere di Parma ospita sezioni riservate al 41-bis. Tra i detenuti eccellenti ci sono Totò Riina, il capo dei capi di Cosa Nostra, e il super boss dei Casalesi, Francesco Schiavone, detto Sandokan. Roma: torna a Regina Coeli 24enne dializzato Brian Bottigliero, è in attesa di trapianto di Paolo Brogi Corriere della Sera, 14 giugno 2014 Il ragazzo, condannato anche in appello per il pestaggio di Monti, si era ammalato in carcere nel 2012. Per ribadire l’incompatibilità delle sue condizioni di salute con il regime carcerario era intervenuto il senatore Manconi con il nefrologo Remuzzi. È tornato in cella per la terza volta il giovane detenuto gravemente ammalato, in dialisi, che era stato protagonista di una battaglia sui giornali quando l’allora ministro di Grazie e Giustizia aveva concesso gli arresti domiciliari alla figlia di salvatore Ligresti. Brian Gaetano Bottigliero, 24 anni, in attesa di un trapianto di reni, è stato "dimesso" dal centro ospedaliero del Pertini e riportato in carcere, venerdì 13 giugno, a Regina Coeli. L’ospedale aveva chiesto in una relazione ufficiale una "collocazione più consona" per il degente. La risposta è stata, di nuovo, una cella di Regina Coeli dove Brian, gravemente malato, è stato ricondotto venerdì mattina. Così c’è chi torna a parlare di "due pesi e due misure", ricordando come la vicenda di Brian Bottigliero fosse stata sollevata la prima volta quando era Guardasigilli Anna Maria Cancellieri: erano i tempi delle proteste per la scarcerazione di Giulia Ligresti. A distanza di tempo il percorso accidentato ospedale-carcere torna a riproporsi in modo brutale per questo giovane detenuto, condannato per il pestaggio in Monti in cui venne ridotto in coma il musicista Alberto Bonanni. Bottigliero è gravemente malato, è in dialisi cui è sottoposto tre volte alla settimana, aspetta il trapianto di un rene ed è fortemente debilitato. Il centro medico del Pertini, dove era ricoverato, ha però espresso un netto giudizio: questo detenuto non deve stare qui; occupa un letto che viene sottratto ad altri ammalati. Trovategli un posto più "consono". Così il 13 mattina il giovane, invece di essere trasferito in una struttura alternativa, è stato di nuovo portato nel carcere sul lungotevere. La sua vicenda era stata segnalata già in novembre dal senatore Luigi Manconi, che in seguito - dopo una visita in carcere insieme al nefrologo Giuseppe Remuzzi - aveva parlato di una "situazione di salute di Brian Gaetano Bottigliero che non è compatibile con la condizione carceraria" e aveva sottolineato "l’inconsistenza della motivazione portata dal Tribunale per negare la detenzione domiciliare, vale a dire che vi sarebbe pericolo di fuga e di reiterazione del reato". Nonostante le ripetute proteste, la situazione di questo giovane detenuto malato, che in appello è stato condannato a 13 anni e mezzo di carcere, non è cambiata. Il primo ricovero di Bottigliero era scattato nel gennaio di un anno fa. Portato d’urgenza al Santo Spirito gli era stata diagnosticata una grave insufficienza renale. In febbraio era stato trasferito al Pertini, sezione medicina protetta (la stessa di Stefano Cucchi). Dopo tre mesi era stato dimesso e rimandato in carcere. In poco tempo il detenuto aveva perso 15 chili. Nell’ottobre Brian Bottigliero era stato di nuovo ricoverato al Pertini dove i medici avevano constatato "un quadro clinico caratterizzato da nausea, vomito, astenia e dimagrimento insorti da alcuni mesi". A inizio novembre eccolo trasferito di nuovo in carcere. Il terzo ricovero al Pertini è scattato nel gennaio di questo anno. E Brian e familiari speravano davvero fosse l’inizio di un percorso che avrebbe portato ai domiciliari, alla ripresa fisica e psicologica del ragazzo e dunque alle condizioni indispensabili per effettuare il trapianto. Ora, dopo cinque mesi, la doccia fredda: eccolo di nuovo riportato in carcere. Che cosa ha scritto il centro medico del Pertini sul degente Bottigliero? Il 3 giugno il dottor P. Aloisio ha scritto alla direzione sanitaria e alla corte di appello di Roma la Sezione Penale che "il sig. Bottigliero occupa tuttora , bel aldilà della durata di un ricovero ordinario, un posto letto che viene così sottratto al normale avvicendamento di pazienti acuti". "Non vi è alcuna giustificazione sanitaria ed economica - prosegue la lettera - per cui un paziente in dialisi cronica e, al momento, privo di complicazioni venga tenuto ricoverato. La struttura del nostro reparto è concepita in modo da non consentire l’ora d’aria o qualsiasi forma di attività fisica utile. La prolungata e forzata immobilità sta causando al paziente una ipotrofia muscolare che potrebbe, nel tempo, risultare solo in parte reversibile nonché una condizione di depressione reattiva. Entrambe queste situazioni aggravano l’ipomobilità e predispongono ad eventuali aggravamenti". E ha concluso: "Alla luce di quanto sopra si chiede alle SSVV di mettere rimedio all’attuale situazione che è fonte di grave disservizio e di potenziale pericolo, consentendo a noi di dimettere il sig. Bottigliero e trovando per lui una migliore e più consona collocazione". Che per l’amministrazione penitenziaria è una cella di Regina Coeli. Melfi (Pz): Liuzzi (M5S) in visita ispettiva al carcere; rientrato l’allarme sovraffollamento Ansa, 14 giugno 2014 "L’allarme sovraffollamento nel carcere di Melfi è rientrato": lo ha detto l’on. Mirella Liuzzi (M5S) dopo una visita nell’istituto di pena, decisa dopo le proteste dei detenuti, nei giorni scorsi, proprio contro l’aumento del loro numero. Liuzzi ha spiegato che "la struttura ospita 247 detenuti di cui 227 in regime di alta sicurezza, 19 detenuti comuni ed uno semilibero. La capienza tollerabile del penitenziario è di 237 posti rispetto a quella ordinaria che ne prevede 104. Con il 90 per cento dei detenuti in alta sicurezza, il carcere di Melfi assume valenza particolare a differenza degli altri due istituti presenti in Basilicata". La deputata del Movimento 5 Stelle ha evidenziato altri due aspetti: "Sono necessari dei lavori strutturali per inserire le docce all’interno delle celle, oltre che risolvere l’annoso problema delle infiltrazioni d’acqua che segnano visibilmente l’edificio. Infine sarebbe essenziale affidare la struttura ad un direttore stabilmente presente dato che l’attuale, da circa due anni, deve dividersi tra il carcere di Melfi ed il penitenziario di San Severo: un’assenza che crea disagi in un carcere di alta sicurezza". Infine, Liuzzi ha ricordato che "il M5S ha elaborato un piano carceri alternativo già in tempi non sospetti insieme al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Infatti il documento è stato consegnato prima il 5 agosto 2013 all’allora Ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri e poi, nel mese di ottobre 2013, al Presidente Napolitano. La ratio di questo programma sta nel recupero funzionale di carceri mal utilizzate, recupero di sezioni chiuse, costruzioni di nuovi padiglioni e riallocazioni di cubature". La relazione di Mirella Liuzzi (M5S) "Dopo le proteste dei detenuti che si sono verificate i giorni scorsi nel carcere di Melfi a causa dell’aggiunta di 100 posti nell’attuale casa circondariale, ho ritenuto opportuno eseguire una visita ispettiva per constatare personalmente le condizioni dell’edificio". È quanto dichiarato dalla parlamentare Mirella Liuzzi del Movimento 5 stelle che il 13 giugno 2014 ha visitato il carcere di Melfi (Pz) in Basilicata. Dai dati rilevati dalla parlamentare lucana - si legge in una nota - è emerso che la struttura ospita 247 detenuti di cui 227 in regime di alta sicurezza, 19 detenuti comuni ed 1 semilibero. La capienza tollerabile del penitenziario è di 237 posti rispetto a quella ordinaria che ne prevede 104. Con il 90% dei detenuti in alta sicurezza, il carcere di Melfi assume valenza particolare a differenza degli altri due carceri presenti in Basilicata. "Con il Comandante - prosegue Liuzzi - ho visitato la struttura nelle sue diverse sezioni comprese la sala dei colloqui, quella della attività ricreative e le aule scolastiche. Sono state rilevate principalmente tre cose: in primo luogo che l’allarme sovraffollamento è rientrato. Infatti a seguito delle proteste, non sono stati assegnati nuovi detenuti, nonostante ci siano ancora delle celle che ospitano il terzo letto. In secondo luogo, sono necessari dei lavori strutturali per inserire le docce all’interno delle celle, oltre che risolvere l’annoso problema delle infiltrazioni d’acqua che segnano visibilmente l’edificio. Infine sarebbe essenziale affidare la struttura ad un direttore stabilmente presente dato che l’attuale, da circa due anni, deve dividersi tra il carcere di Melfi ed il penitenziario di San Severo: un’assenza che crea disagi in un carcere di alta sicurezza. Attualmente il carcere di Melfi è soggetto ad un "sovraffollamento tollerabile", tuttavia nonostante l’allarme sia rientrato almeno per la struttura in questione, ricordiamo che il M5S ha elaborato un piano carceri alternativo già in tempi non sospetti insieme al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Infatti il documento è stato consegnato prima il 5 agosto 2013 all’allora Ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri e poi, nel mese di ottobre 2013, al Presidente Napolitano. La ratio di questo programma sta nel recupero funzionale di carceri mal utilizzate, recupero di sezioni chiuse, costruzioni di nuovi padiglioni e riallocazioni di cubature. L’intero progetto prevede, ad esempio, l’unificazione di celle portandole a triple/quadruple con un allargamento delle stesse così da rientrare nelle prescrizioni imposte dalla sentenza Torreggiani. Nel piano, si prevede poi la modifica del sistema di vigilanza rendendola dinamica, come già sperimentato positivamente in alcuni penitenziari, così da recuperare risorse del personale attualmente in sofferenza numerica. Tutto ciò porterebbe le carceri italiane ad avere 69.120 posti disponibili, rispetto alla capienza attuale di circa 47.040 posti, ovvero con un aumento della capacità di ben 22.000 posti rispetto all’attualità entro la fine del 2015, eliminando completamente la situazione di emergenza carceraria e generando inoltre un surplus di posti disponibili. Riteniamo sia necessario, inoltre, agire anche sul piano legislativo, come ad esempio sulla "ex Cirielli", oltre che sulla revisione al ribasso delle pene per chi è detenuto per spaccio di lieve entità, alla luce della sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato incostituzionale la legge Fini-Giovanardi. Il decreto legge c.d. svuota carceri approvato il 4 febbraio 2014 alla Camera dei Deputati, non ha risolto i problemi che affliggono le strutture di detenzione. Amnistia e indulto che saltuariamente vengono riproposti dal Presidente della Repubblica, non sono una soluzione e rischiano di favorire sempre i "soliti noti". In passato ne hanno giovato banchieri, imprenditori, manager e politici, autori di reati predatori del Paese e magari ne potranno giovare ancora con un nuovo indulto e amnistia. Il M5S continuerà a proporre soluzioni intelligenti e alternative in un’ottica di riorganizzazione locale e nazionale a lungo termine, da qui ai prossimi vent’anni. La forza delle nostre proposte - conclude Liuzzi - è che sono ideate con gli stessi operatori che ogni giorno vivono la realtà carceraria in prima persona, per una società più sicura che allo stesso tempo tuteli la dignità di coloro che scontano le condanne negli istituti penitenziari". Forlì: corsi di formazione per detenuti, sabato la consegna degli attestati www.today.it, 14 giugno 2014 Il Progetto Incipit VI prevede azioni in favore di persone in difficoltà (affette da disturbi mentali, detenuti ed ex-detenuti, nuove povertà, tossicodipendenti). A conclusione del primo semestre di attività formativa nell’ambito del Progetto INC.I.P.I.T. VI, promosso da Techne, saranno consegnati ai detenuti della Casa Circondariale di Forlì gli attestati di frequenza ai corsi di formazione, tenuti in carcere, in un evento animato dalla chitarra di Alessandro Maltoni e dalla letture di poesie dal concorso "Come farfalle diventeremmo immensità" dedicato a Katia Zattoni. Technè, nell’ambito del Progetto INC.I.P.I.T. VI, finanziato dal Fondo Sociale Europeo e dalla Provincia di Forlì-Cesena, volto a promuovere azioni positive di inclusione e di re-inserimento lavorativo per persone svantaggiate, promuove percorsi formativi e di orientamento a favore dei detenuti della Casa Circondariale di Forlì. L’evento si svolgerà sabato alle ore 15,30 nel carcere di Via della Rocca, 4 Protagonisti circa 30 detenuti che hanno partecipato ai percorsi di informatica, sartoria, cittadinanza attiva e costituzione, comunicazione teatrale. L’evento è realizzato con la collaborazione del trust "Davide e Guido insieme - fibrosi cistica" e dell’associazione Con...tatto. È possibile assistere all’evento su invito della direzione. Sono autorizzati ad entrare giornalisti e fotoreporter muniti di tesserino. Il Progetto Incipit VI prevede azioni in favore di persone in difficoltà (affette da disturbi mentali, detenuti ed ex-detenuti, nuove povertà, tossicodipendenti). Diversi gli strumenti utilizzati tra cui il tirocinio formativo, azioni di orientamento, laboratori professionalizzanti dentro e fuori dal carcere di Forlì. Padova: detenuto in permesso spara all’amica poliziotta, dichiarazioni Sindacati categoria di Carlo Bellotto Il Mattino di Padova, 14 giugno 2014 Un detenuto in permesso premio da una condanna per omicidio spara a una agente di polizia penitenziaria. Non è accaduto alla casa di reclusione del Due Palazzi, dove i due per motivi diversi si trovano abitualmente, ma a casa dell’agente, a Ponterotto di Limena. Al culmine di una lite, lui, C.C., 54 anni, sardo, avrebbe sparato a lei, M.P., 53 anni, agente in servizio al carcere della città. Ora lei è in prognosi riservata al Sant’Antonio, lui è stato riportato in carcere per violazione delle regole sul permesso premio: dovrà rispondere alla Procura (il pm è Federica Baccaglini) anche di detenzione dell’arma e di lesioni. Tutto inizia alle 19.30 di mercoledì sera. I due si presentano al pronto soccorso del Sant’Antonio. C.C. accompagna la donna che ha delle lesioni al capo ma parla ed è vigile. I sanitari si accorgono subito che si tratta di fori al volto e alla nuca, compatibili con l’uso di un’arma. In questi casi devono avvertire la polizia e così fanno. Al pronto soccorso arriva una volante: i poliziotti scoprono chi è lui, un sardo che è detenuto al Due Palazzi per scontare una pena decennale per un omicidio accaduto nel 1996, non in Veneto, e successivamente accertano chi è lei, una agente che lavora proprio nella sezione carceraria dove è detenuto lui. Da un paio di giorni lui era in permesso premio ed evidentemente frequentava lei. La donna viene sentita, conferma che a spararle è stato l’amico, ma non riesce a dire di più perché i medici decidono di operarla per la rimozione di alcuni pallini. L’operazione ve bene, non è in pericolo di vita, ma per alcuni giorni rimarrà in prognosi riservata. I poliziotti della Squadra mobile vanno a casa della donna e trovano qua e là delle tracce di sangue. Da un cassetto della cucina spunta una pistola, riproduzione di una a salve, 6.35 modificata con 3 bossoli esplosi e uno a terra. Il sospetto degli agenti è che l’arma sia dell’uomo (anche se lui dice che è di lei) e l’abbia usata al culmine di una lite. Il pm Baccaglini ha affidato una consulenza che stabilirà con precisione che modifiche siano state fatte all’arma e la sua reale pericolosità. Il detenuto è stato sottoposto alla prova dello stub (un metodo per rilevare la presenza di nitrati, possibili residui di uso di polvere da sparo, che viene effettuato sulle mani o sui vestiti) ma per l’esito serve qualche giorno. Dei fatti la polizia ha interessato il magistrato di sorveglianza, visto che il detenuto, seppur in permesso, non doveva lasciare il territorio di Padova. Doveva, in questo periodo, rientrare a dormire in una struttura stabilita, obbligo che aveva rispettato. È stata la stessa agente, che vive da sola, a dire ai poliziotti che è stato l’uomo a spararle dopo che una discussione si era troppo animata. Il detenuto in permesso si è difeso dicendo che non voleva compiere un simile gesto e sottolineando di essere stato lui ad accompagnarla al pronto soccorso. Le dichiarazioni dei sindacati di categoria Cgil e Cisl È vietato, ma a volte capita, che dentro al carcere nascano relazioni fra reclusi e personale. Forse si poteva evitare che l’agente ferita mercoledì sera venisse aggredita, rischiando la vita nella sua abitazione a Ponterotto. Che avesse frequentazioni all’interno della popolazione carceraria era noto e pertanto c’è chi recrimina per il mancato intervento da parte dell’amministrazione del carcere, che avrebbero dovuto impedire in qualche modo un rapporto del genere. "Dispiace solo che chi sapeva, e sono in tanti, non abbia preso i dovuti provvedimenti", dichiara la segreteria territoriale della sigla sindacale Cisl-Fns Polizia penitenziaria Triveneto. "Il caso comunque non rientra nelle nostre attività sindacali, in quanto da ricondursi strettamente alla condotta della vita privata dell’agente, che non era nuova a questi tipi di frequentazione, seppure il regolamento del corpo lo vieti ferreamente. Non rappresenta pertanto il senso di responsabilità che contraddistingue gli uomini e le donne della Polizia penitenziaria nel delicato compito che ci vede giornalmente impegnati a garantire sicurezza ai cittadini dello Stato. Ma chi doveva intervenire con i giusti provvedimenti non l’ha fatto. Auguriamo alla signora di riprendersi presto". È vietato, ma inevitabile, che si finisca con il diventare amici di qualche detenuto. "In fondo gli agenti trascorrono almeno otto ore al giorno dentro al carcere", commenta Giampietro Pegoraro, coordinatore veneto della Cgil-Polizia penitenziaria, "a volte anche sedici se si svolgono due turni nell’arco delle 24 ore. Si vedono e si incontrano più i detenuti che i propri familiari, in certi casi. Capita quindi che a volte nascano delle amicizie, ma che devono restare sempre contenute dentro i confini del rispetto delle diverse funzioni". Per Pegoraro, comunque, l’aggressione all’agente è per prima cosa un’aggressione a una donna e a un rappresentante delle istituzioni. "Certo, il comportamento dell’agente era noto", commenta, "e dopo diverse segnalazioni, l’amministrazione carceraria avrebbe dovuto intervenire. Chi è chiamato a chiarire con le indagini, accerterà le responsabilità e noi ci auguriamo che venga fatta piena chiarezza sull’accaduto: resta il fatto che se fosse stata un uomo, l’agente non avrebbe subìto la medesima aggressione. E questo dispiace moltissimo. Inoltre, in quel momento rappresentava anche le istituzioni, in quanto agente di Polizia penitenziaria". Milano: Vallanzasca in permesso ruba al supermercato, arrestato per furto aggravato Adnkronos, 14 giugno 2014 Mentre era in permesso premio ha tentato di rubare della merce di scarso valore in un supermercato: per questo Renato Vallanzasca è stato arrestato dai carabinieri ieri sera a Milano. Vallanzasca, ammesso al regime della semilibertà nel carcere di Bollate, ieri sera intorno alle 20 è stato sorpreso da un addetto all’antitaccheggio di un supermercato milanese "per aver cercato di allontanarsi dopo avere sottratto merci di scarso valore". Fermato da una pattuglia del nucleo radiomobile dei carabinieri di Milano, l’ex bandito della ligéra, la vecchia mala milanese, è stato arrestato per furto aggravato e verrà processato per direttissima. Ulteriori dettagli saranno resi noti nel corso del consueto incontro giornaliero con la stampa che si terrà alle 12 nella sala stampa del Comando provinciale dei carabinieri di Milano, via della Moscova 19. Il processo Il bel René ha passato la notte nelle camere di sicurezza dei carabinieri, in caserma, e sabato mattina è stato condotto a palazzo di giustizia per il processo per rito direttissimo. La ricostruzione Vallanzasca è stato notato rompere delle confezioni di boxer nella corsia dell’intimo, e quando è giunto alle casse l’addetto antitaccheggio gli ha detto che c’era altra roba da pagare. Lui avrebbe risposto in modo altezzoso con un "E allora?" e si sarebbe rifiutato di mostrare il contenuto della sua borsa. A quel punto il responsabile del punto vendita ha chiamato le forze dell’ordine. Dalla perquisizione sono emerse le mutande e le cesoie e a quel punto i carabinieri gli hanno intimato di accomodarsi nella gazzella. Lui non ha protestato ed è salito sulla vettura. Il direttore di Bollate "Siamo rimasti davvero sorpresi, niente ci avrebbe fatto immaginare un’azione così illogica da parte sua". È il commento del direttore del carcere di Bollate, Massimo Parisi, all’arresto di Vallanzasca. "Una cosa da non credere - aggiunge - la misura della semilibertà scorreva in modo lineare". Vallanzasca è semilibero da circa un anno, ma attualmente era fuori per una breve licenza che gli era stata concessa proprio per il suo comportamento integerrimo durante la semilibertà. Ora invece, a meno di altre disposizioni da parte dell’autorità giudiziaria, tornerà a una detenzione normale. Entro 30 giorni poi, il Tribunale di sorveglianza dovrà decidere se revocargli la misura della semilibertà o confermargliela. Semilibertà sospesa, Vallanzasca torna in carcere Renato Vallanzasca torna in carcere per aver rubato al supermercato. Giudice delle direttissime e tribunale di sorveglianza hanno infatti deciso stamani a Milano la convalida dell'arresto e la sospensione temporanea del regime di semilibertà. Vallanzasca ha lasciato il Tribunale attorno alle 12, destinazione carcere. Durante il processo per direttissima, che si è svolto a porte chiuse, è arrivata la decisione del tribunale di sorveglianza di revocare temporaneamente il regime di semilibertà di cui godeva Vallanzasca e quindi il pm ha sostanzialmente chiesto solo la conferma dell'arresto deciso dal giudice Ilaria Simi De Burgis. Da quanto si è appreso, Vallanzasca ha voluto solo contestare l'accusa di rapina impropria che sarebbe scattata per le minacce che avrebbe rivolto a un addetto alla sicurezza del supermercato Esselunga di viale Umbria senza dare giustificazioni per la rapina di pochi oggetti di scarso valore. Il giudice ha poi fissato il processo che si terrà a fine mese. Milano: il Cardinale Scola a San Vittore "fondo famiglia… per aiutare anche i detenuti" Il Giornale, 14 giugno 2014 "In questo incontro con i detenuti si impara come si fa a cambiare interiormente, a convertirsi. E questo non vale solo per i detenuti ma per me e per tutti". Visita privata a San Vittore per il cardinale Angelo Scola (nella foto), che ha trascorso il pomeriggio a parlare con i carcerati. Delitto e castigo, espiazione, relazioni umane, fede. "Mi ha colpito la profondità dei loro interventi e delle riflessioni" le parole dell’arcivescovo dopo le ore passate dietro le sbarre. Scola ha annunciato di voler destinare al recupero dei carcerati una parte del Fondo Famiglia Lavoro, istituito per aiutare coloro che non arrivano a fine mese per la crisi. Tra di loro anche i carcerati, che si scontrano con le enormi difficoltà nel ritrovare una vita normale. "I detenuti hanno chiesto a me di istituire una zona franca dove riprendere a lavorare e tornare a sperimentare le proprie capacità di essere a servizio della società - racconta l’arcivescovo. Studieremo subito come rispondere a questa loro esigenza così importante, mettendo a disposizione le risorse del Fondo Famiglia Lavoro". Il cardinale ha poi elogiato "i nostri cappellani, le religiose, i volontari che fanno un lavoro straordinario di accompagnamento umano e spirituale coi carcerati". Attività dura e non sempre compresa. Dai detenuti si impara a cambiare "In questo incontro con i detenuti si impara come si fa a cambiare interiormente, a convertirsi. E questo non vale solo per i detenuti ma per me e per tutti". Così l’Arcivescovo di Milano, il cardinale Angelo Scola, ha commenta il pomeriggio trascorso con i detenuti di San Vittore. Un’esperienza di ascolto e dialogo sui temi della pena, dell’espiazione, delle relazioni, della fede. "Mi ha colpito la profondità dei loro interventi e delle riflessioni che hanno posto". Scola ha lodato "i nostri cappellani, le religiose, i volontari che fanno un lavoro straordinario di accompagnamento umano e spirituale coi carcerati". E infine il cardinale Scola ha rivelato: "I detenuti hanno chiesto a me di istituire una "zona franca" dove riprendere a lavorare e tornare a sperimentare le proprie capacità di essere a servizio della società. Studieremo subito come rispondere a questa loro esigenza così importante mettendo a disposizione le risorse del Fondo Famiglia Lavoro" Il cardinale Angelo Scola è arrivata alla della Casa circondariale di San Vittore intorno alle ore 16. Il Cardinale ha avuto un colloquio prima con le donne nel reparto femminile, poi ha portato il suo saluto ai ricoverati del centro clinico presente all’interno del carcere, infine è sceso alla "Rotonda" dove si è intrattenuto con gli ospiti di tutti gli altri raggi. La visita è durata due ore e mezza. "Tre donne e cinque uomini hanno rivolto ognuno una domanda al Cardinale e l’Arcivescovo ha risposto in un clima molto intimo e personale, come era nell’intenzione dell’incontro che per tale ragione si è scelto di mantenere riservato, ha riferito il cappellano del carcere, don Marco Recalcati che ha accompagnato il cardinale Scola durante la visita. "È stato un gesto di attenzione molto bello da parte del Cardinale, la dimostrazione, come lui stesso ci ha indicato nella lettera pastorale, che il campo in cui noi cristiani siano chiamati operare è veramente il mondo, tutto il mondo, compreso questo angolo della cittA"‘, ha concluso il cappellano. Milano: ecco la "Biblioteca vivente", chiama il suo nome e il libro umano ti parlerà di Stefano Pasta Corriere della Sera, 14 giugno 2014 Filomena è un libro umano intitolato "Basta poco". Così si legge nella quarta di copertina: "Quando è entrata in carcere Filomena aveva 60 anni. "Prima pensavo di essere padrona del mondo e degli altri". Il carcere ti restringe, ma restituisce anche le dimensioni della vita, dei rapporti e di ciò di cui hai veramente bisogno". Ne "Il cerchio di gesso", Genti sceglie invece di ricordare un’usanza dell’Albania di 30 anni fa: un cerchio bianco per indicare un oggetto smarrito e il divieto di toccarlo. La trama è la sua storia: l’immigrazione, il ribaltamento dei valori, la scuola dei reati, il carcere. Ora come volontario accudisce gli anziani alla Casa della Carità. "Chi lo avrebbe mai detto che mi sarei occupato di qualcun altro". In realtà è il cerchio della vita che si chiude e si completa. 7 giugno, la Biblioteca del Parco Sempione di Milano ospita un’esposizione di libri particolari: la Biblioteca Vivente "Oltre il muro", dal titolo "fuori-dentro"… 30 detenuti del V reparto del carcere di Bollate hanno accettato la sfida di provare a diventare libri umani. Una biblioteca di volti, uno strumento sbarcato a Milano nel 2011 grazie alla cooperativa ABCittà, che lo ha mutuato dalla danese Human Library. È un’esperienza nata nel 2000 quando, in seguito a un violento episodio di razzismo, un gruppo di giovani volle rispondere non con le tradizionali forme di denuncia civile ma attraverso un processo di coinvolgimento diretto sulle tematiche all’origine dello scontro. Negli ultimi due anni, ABCittà l’ha proposta in varie edizioni, in quartieri e contesti diversi, toccando i temi dell’immigrazione, della disabilità e della malattia psichica. Nell’ottava edizione, il tema è il carcere, grazie a un percorso partecipato che ha coinvolto i detenuti di Bollate. Spiega Ulderico Maggi di ABCittà: "Se non è possibile abbattere i muri che nella città dividono le persone, almeno si può provare a scavalcarne qualcuno. È un modo per dare dignità ai detenuti, metterli in comunicazione con il mondo fuori e superare i pregiudizi che isolano il carcere". "Il carcere è un’accademia del crimine, chi ci entra ci ritorna sempre, "loro", quelli che stanno dentro, sono violenti di natura, escono sempre troppo presto, vivono a nostre spese come se fossero in albergo, e alla fine stanno meglio di noi". Sono tra i tanti pregiudizi che la Biblioteca Vivente vuole affrontare e spezzare, pregiudizi che si incontrano e scontrano con scorci di autobiografie, narrate dalla viva voce dei protagonisti. Spiega Maggi: "È necessario iscriversi (gratuitamente), scegliere nel catalogo di oltre venti titoli il libro che si desidera consultare e immergersi nella lettura. È un incontro fatto di domande (nessuna è mai banale), di dialogo, di conoscenza e arricchimento reciproco". Il libro umano Antonio narra i 22 anni di carcere in 20 istituti, Roberto il sogno di giocare a San Siro; Lara, che ha studiato ragioneria e ora collabora con il giornale "Salute ingrata", racconta: "Ho visto detenuti entrare ragazzini e uscire uomini maturi, ho visto delinquenti prendere il diploma e la laurea… Studiare ti fa sentire civile, ti fa dimenticare dove ti trovi". I generi letterari sono vari: Santino, detenuto da molti anni, sceglie l’ironia e in "La panca dei mille culi" spiega come è cambiato il carcere pensando a quante persone, appena arrivate, si sono sedute sopra una lunga panca per aspettare la conclusione delle procedure d’ingresso. In tutte le storie, torna il tratto umano. Noureddine, libro umano intitolato "Lui non lo sa", racconta il rapporto non facile con i due figli: uno lo sa, l’altro no. Uno è in Marocco e l’altro in Italia. Noureddine si trova tra due mondi e progetta come spiegare al figlio più grande dove è stato in tutti questi anni. E come ricostruire il rapporto con loro. Thiene (Vc): "Oltre la pena: punire o ricostruire?", dagli scout iniziative di valore sociale di Alessandro Scandale www.vicenzareport.it, 14 giugno 2014 "Oltre la pena: punire o ricostruire?". Questo lo slogan dell’importante iniziativa sociale con cui gli Scout di Thiene ricordano che fino al 14 giugno, al il Centro Parrocchiale Maria Ausiliatrice in Conca a Thiene, dalle 15 alle 19, a latere dell’esposizione della mostra di dipinti realizzati dai detenuti del carcere di Montorio (Vr) si effettua la raccolta di generi per l’igiene personale a favore dei carcerati. Domenica 15 dalle 8.30 alle 12 verranno riproposte la mostra e la raccolta. "Indipendentemente dalle ragioni per le quali sono privati della libertà - spiegano i responsabili dell’associazione di volontariato La Fraternità Onlus di Verona - a tutti i detenuti sono comunque riconosciuti altri diritti fondamentali, tra i quali il diritto alla pulizia e igiene personale. L’ordinamento penitenziario prescrive che sia la stessa Amministrazione a fornire i beni essenziali. Ma, rispondono le Direzioni di molte carceri, i tagli agli stanziamenti di bilancio ci privano di ogni risorsa. Così in un carcere come quello di Verona - Montorio, sovraffollato di oltre 850 detenuti, circa il doppio della capienza riconosciuta e più del massimo considerato tollerabile, per la maggior parte stranieri o tossicodipendenti o emarginati privi di qualunque mezzo, solo chi dispone di soldi propri può acquistare i prodotti necessari alla pulizia e igiene personale". A tutti gli altri non verrebbe consegnato niente se non ci fosse l’intervento del volontariato, che si vede costretto a subentrare all’inadempienza dello Stato raccogliendo i generi offerti dai cittadini sensibili. Accanto però all’elenco degli oggetti consentiti, l’associazione denuncia con forza che sta sostituendo l’Amministrazione pubblica nel suo mancato adempimento agli obblighi di legge. La raccolta per i detenuti del carcere di Montorio riguarda saponette per la pulizia personale, sapone da bucato, shampo e bagnoschiuma in confezioni di plastica (escluso vetro), dentifricio, spazzolini da denti, rasoi usa e getta, asciugamani, ciabattine da doccia, fazzoletti di carta. (Info: La Fraternità Tel. 045.8004960). Il delicato tema del sovraffollamento delle carceri e il destino degli ex detenuti e di quelli cosiddetti a fine pena, è anche oggetto di un’iniziativa che coinvolge il Comune di Vicenza. La terrazza della Basilica Palladiana riaprirà infatti domenica 22 giugno per le visite e il servizio bar. Lo ha deciso l’amministrazione comunale dopo che il gestore ha fatto sapere al Comune di aver bisogno di qualche giorno in più del previsto per allestire nel più accogliente dei modi la suggestiva location sui tetti della città. Dal 22 giugno e fino a fine ottobre si potrà quindi salire sulle logge superiori e la terrazza il martedì, mercoledì e giovedì dalle 10 alle 13 e dalle 18 alle 24; venerdì dalle 10 alle 13 e dalle 18 all’una; sabato dalle 10 all’una e domenica dalle 10 alle 24. Insieme al personale incaricato dal Comune, a sorvegliare la Basilica, grazie a un progetto finanziato dalla Fondazione Cariverona e promosso dalla Caritas Diocesana tramite l’associazione Diakonia Onlus, ci saranno anche alcuni detenuti a fine pena, opportunamente selezionati e formati con un percorso di inserimento sociale e lavorativo. "Una soluzione - commenta il Vice Sindaco Bulgarini d’Elci - che contiene i costi e soprattutto ha un significato sociale, dando un’opportunità a persone che vivono la delicata fase del reinserimento in società dopo il carcere". L’iniziativa vicentina prende spunto dal progetto interprovinciale Esodo (Vicenza, Verona e Belluno) con cui si sono fatte alcune sperimentazioni di avvio al lavoro. Con il Comune di Verona l’anno scorso erano state impiegate quattro persone a fine pena per la sorveglianza dell’Arena e della casa di Giulietta e Romeo. "Partendo da quell’esperienza molto positiva - racconta Giovanni Artuso di Caritas Diakonia - abbiamo incontrato il Vice Sindaco Bulgarini perché sapevamo dell’apertura al pubblico, dopo la mostra di Monet, di alcuni spazi della Basilica palladiana, tra cui la terrazza con un bar. A Bulgarini la nostra proposta è piaciuta e da giugno Diakonia metterà a disposizione in vari turni diurni e serali dal martedì alla domenica sei persone, due delle quali provengono dal progetto Lembo del Mantello-Esodo. Le altre quattro sono persone in difficoltà sociale e bisognose di un lavoro che seguiamo come Caritas-Diakonia". Roma: Ozanam-De Paoli; convegno alla Lumsa sull’annuncio del Vangelo nelle carceri Radio Vaticana, 14 giugno 2014 Il lavoro come miglioramento delle condizioni umane e spirituali dei detenuti. Questo l’argomento dell’incontro, svoltosi presso l’Università Lumsa di Roma, per la presentazione del volume "Annunciare il Vangelo nelle carceri" della fondazione Ozanam-San Vincenzo De Paoli. A seguire l’evento c’era Elvira Ragosta: Un detenuto su quattro, una volta uscito dal carcere, non commette più reati. La scommessa della rieducazione passa attraverso formazione, opportunità di lavoro all’interno delle carceri e sostegno dei cappellani, perché portare il Vangelo in carcere significa offrire ascolto, come ha ricordato mons. Alessandro Plotti, arcivescovo emerito di Pisa: "Portare il Vangelo nelle carceri significa portare umanizzazione, perché noi sbandieriamo il primato della persona - cosa sacrosanta - però, le persone nel carcere sono davvero degradate e conculcate, perché molte volte manca la possibilità di esprimersi, di far emergere il meglio che c’è dentro ogni persona. Anche il delinquente più incallito ha sempre un’anima di bene che però è rimasta sopita, magari delusa, deturpata. Allora bisogna davvero, attraverso il dialogo e l’ascolto, creare un clima di fiducia per cui il carcerato non parli solo con l’avvocato, ma si apra davvero ad una prospettiva di speranza". E se il reinserimento sociale comincia dall’interno del carcere è la condizione stessa del recluso a migliorare. Il prof. Giuseppe Chinnici, presidente della Fondazione Ozanam-San Vincenzo De Paoli: "Sono 62 mila i detenuti per una capacità ricettiva di 47 mila persone. Si tratta di persone che si trovano in grandissime difficoltà. Le soluzioni ad personam sono un po’ difficili, ma si può procedere per fasce di età, di esperienza, di Paesi di provenienza. Noi abbiamo previsto due progetti che partiranno a settembre: il primo è un corso di volontari per assistere in particolare i malati di Alzheimer; l’altro è un modulo per i giovani - quindi carcere minorile - per reinserirli attraverso il lavoro e le attività teatrali". Sono oltre undicimila i volontari nelle carceri italiane, il loro è un supporto fondamentale, ma tanto ancora può fare la politica, come ha affermato il sottosegretario alla Giustizia, Cosimo Ferri: "Dobbiamo portare nelle carceri cultura, istruzione, lavoro e soprattutto umanità e tanto amore. Questa sarà la strada, la stella polare, perché noi che facciamo le leggi, dobbiamo trovare le risposte giuste, perché le carceri sono l’immagine di un Paese. Quindi nel carcere ci può essere anche la storia di un Paese: si incrociano tante vite, tante realtà, un indotto importante, e devo dire che ora che si parla tanto di spending review noto che laddove si decide di chiudere un carcere, la politica, la popolazione lo vuole. Un tempo, se dicevi apro un carcere in una realtà la gente si impauriva. Oggi non è così. Questo vuol dire che la mentalità sta cambiando, che gli enti territoriali e la società hanno iniziato a sintonizzarsi e a capire che c’è una società - diversa talvolta - che ha sbagliato, ma che può essere recuperata. Quindi c’è un gioco di squadra sempre nel rispetto della sicurezza e della certezza della pena". Viterbo: spaccio nel carcere di Mammagialla, arrestati due pregiudicati romani di Alessia Serangeli ww.viterbonews24.it, 14 giugno 2014 Non è tanto il quantitativo della sostanza stupefacente a generare allarme, quanto piuttosto la "piazza" di spaccio. E cioè la sala colloqui del penitenziario viterbese. Erano istruiti alla perfezione, i due arrestati cui ieri mattina il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Viterbo, Franca Marinelli, ha convalidato la misura cautelare in carcere. Si tratta di A.P., 37 anni, e A.V., 41, entrambi di Roma e attivi sul mercato della droga nonostante avessero già precedenti penali specifici. I due, in particolare, avevano pianificato i dettagli alla perfezione ed erano certi di agire indisturbati, non sapendo che gli organi inquirenti stavano loro col fiato sul collo. I fatti. Giovedì mattina A.V., appena rientrato da un permesso premio in comunità, attendeva nella sala colloqui che l’agente di turno lo riconducesse in cella. Ed ecco qua che, guarda il caso, compare A.P.. "Salve, vorrei conoscere quali sono i giorni delle visite ai detenuti". Una scusa banale, giusto per guadagnare il tempo necessario a tirar fuori dalla tasca dei pantaloni un involucro contenente una dozzina di pasticche sintetiche e piazzarle sotto la sedia di A.V.. Ma non ha fatto in tempo, perché gli agenti, che gli stavano con gli occhi puntati, sono intervenuti e hanno tratto in arresto tutti e due. A.P. ha anche tentato di disfarsi del pacchettino di plastica affermando che non era suo. Ma le manette erano già scattate, visto che, salvo fantasmi, nella sala colloqui c’erano solo loro. Ieri mattina, come accennato all’inizio, il gip ha convalidato gli arresti in carcere, sottolineando nell’ordinanza che "la gravità dei fatti è da considerare in relazione non tanto al quantitativo, quanto al luogo dello spaccio, e cioè nel carcere". E aggiunge: "Se la loro spregiudicatezza li ha condotti ai fatti odierni, c’è da chiedersi cosa farebbero se lasciati in libertà o con misure cautelari meno afflittive, di difficile e minor controllo". Non solo, nell’articolata ordinanza il gip spiega anche che "l’introduzione di sostanza stupefacente in carcere è reato di particolare gravità, attese anche le conseguenze che possono poi riversarsi sulla popolazione detenuta, e per questo non va tollerato né minimizzato". India: Comellini (Pdm) sul caso marò; per soluzione bastava applicare la legge italiana Adnkronos, 14 giugno 2014 "Sulla questione marò sarebbe bastato applicare la legge italiana per ottenere un immediato intervento degli organismi internazionali anche solo facendo riferimento alle tante convenzioni internazionali e comitati, o più semplicemente alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 Dicembre 1948". Lo afferma Luca Marco Comellini, segretario del partito per la tutela dei diritti di militari e Forze di polizia (Pdm) alla vigilia della manifestazione a favore della liberazione dei due fucilieri di Marina, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, trattenuti in India da 27 mesi, "Tutti insieme nessuno indietro" prevista a Roma alle 16.45 con inizio da piazza Bocca della Verità per proseguire a piazza Farnese. "La lettura degli articoli del codice dell’ordinamento militare chiarisce quella richiesta di legalità che a nostro avviso doveva essere soddisfatta fin dal 15 febbraio 2012 - prosegue Comellini - ovvero dalla traduzione di Girone e Latorre nel carcere indiano. L’articolo 884 stabilisce che "L’aspettativa può conseguire a stato di prigionia o di disperso, ai sensi dell’articolo 621". Il rinvio all’articolo 621 chiarisce l’ambito di applicazione dove al comma 3 recita che "Lo stato di militare si acquisisce all’atto dell’arruolamento e si conserva anche durante lo stato di: prigioniero a causa di guerra, di grave crisi internazionale, di conflitti armati assimilabili, ancorché non formalmente dichiarati, o di impiego in missioni internazionali". "La missione antipirateria alla quale partecipavano Girone e Latorre era ed è - rimarca il segretario del Pdm - ricompresa nell’ambito delle missioni internazionali", quindi "riconoscere ai due militari l’aspettativa per stato di prigionia sarebbe un atto da compiere perché è un loro diritto espressamente previsto dall’articolo 902 del medesimo codice". Stati Uniti: Giusi, l’italiana che aiuta i condannati a morte della Florida su Facebook di Francesco Tortora Corriere della Sera, 14 giugno 2014 Post e foto raccontano il destino dei prigionieri, molti dei quali hanno passato più di 25 anni nel Braccio della morte. Le Monde: "La pagina più deprimente del social network". Autorevoli media internazionali come Le Monde l’hanno definita la "pagina più deprimente di Facebook" perché raccoglie i volti e le angoscianti storie dei prigionieri del "Uci and Fsp Death Row", il Braccio della morte del penitenziario di Raiford in Florida. I post e le immagini raccontano il destino dei prigionieri, molti dei quali hanno passato più di 25 anni nel Braccio della morte e sono stati giustiziati in età anziana per i crimini commessi anni prima. A gestire la pagina Facebook è Giusi Branca, quarantottenne italiana che da anni lotta contro la pena di morte e che spende gran parte della sua giornata ad aiutare i parenti dei prigionieri ad avere contatti con questi ultimi e a rendere la loro vita meno deprimente. Lo scopo iniziale della pagina del social network era quello di dare notizie pratiche ai parenti dei condannati (ad esempio come raggiungere la prigione, come ottenere un colloquio, a che ora incontrare i condannati, la posizione delle stazioni di rifornimento vicino al carcere). Peccato che negli ultimi anni queste necessarie informazioni siano state surclassate dalle notizie sempre più periodiche di nuove condanne a morte. Da quando si è insediato in Florida il governatore repubblicano Rick Scott le esecuzioni sono aumentate velocemente. Solo nell’ultimo anno ben 12 persone sono state giustiziate nel penitenziario (un vero e proprio record per un carcere della Florida) e nel prossimo mese altri due prigionieri saliranno al patibolo. Il governatore che a novembre punta alla rielezione ha fatto approvare recentemente il Timely Justice Act, norma che accelera i tempi delle esecuzione dei condannati di lungo periodo e così intende conquistarsi i favori degli elettori più conservatori. L’elenco dei Dead Men Walking è destinato ad aumentare finché il governatore rimarrà in carica. Giusi Branca, nata in Australia da genitori italiani in servizio all’estero, oggi vive in Olanda e passa diversi mesi della sua vita in Florida. Tuttavia dichiara a Corriere.it che l’Italia è l’unico paese in cui si sente a casa e di cui ha profonda nostalgia: "Per l’umanità e la civiltà - spiega la quarantottenne - che rimane per me unica al mondo" Anni fa - racconta - mentre lavoravo in un istituto di lingue cominciai ad interessarmi ai diritti umani e mi associai ad alcuni gruppi umanitari, tra cui la Comunità di Sant’Egidio, iniziando ad aiutare a tradurre le lettere dei detenuti del Braccio della morte. Guardando casualmente un sito dedicato ai condannati alla pena capitale riconobbi il nome di un antico conoscente. Con molta esitazione gli scrisse e dopo diverse settimane ricevetti una risposta del tutto inaspettata. Da allora con lui ho continuato ad avere un’intensa attività epistolare e quando sono in Florida vado a trovarlo nel penitenziario" (l’uomo è stato condannato a morte per omicidio ed è rinchiuso in carcere da 25 anni ndr). Più di 360 uomini vivono nel Braccio della Morte del penitenziario, ma meno del 10% riceve visite. Come raccontano i parenti e i conoscenti dei condannati sulla pagina Facebook riuscire a ottenere un colloquio è davvero difficile, soprattutto per quelli che non capiscono il complicato sistema e come funzionano in generale le prigioni americane. Le visite sono una dura sfida psicologica visto che gli incontri avvengono in orari assurdi e limitati e in una piccola sala dove i condannati hanno più o meno sei ore a disposizione con i loro cari una volta a settimana. Ai prigionieri è permesso al massimo un abbraccio con i conoscenti all’inizio e alla fine della visita e durante il resto del colloquio bisogna rimanere inchiodati su sgabelli d’acciaio molto scomodi: "Ho conosciuto personalmente almeno 20 condannati del Braccio della morte - racconta la Branca - e il mio rapporto con loro è sempre stato molto buono. Molti tra loro, purtroppo, sono morti con il passare degli anni di malattie terminali o uccisi dal boia; ultimamente ho assistito l’amica di un prigioniero giustiziato che conoscevo da più di 9 anni. Momenti difficilissimi in cui qualsiasi consolazione davanti a questo atto crudele è del tutto inesistente. Purtroppo non tutti i condannati sanno dell’esistenza della pagina Facebook. I detenuti non hanno accesso a internet, quindi se conoscono il mio lavoro è grazie alle informazioni girate dalle loro famiglie. Tuttavia cerchiamo di coinvolgere i detenuti attraverso svariate iniziative, principalmente artistiche. Tramite un’organizzazione che si chiama Fdrag (Florida Death Row Advocacy Group) abbiamo promosso l’esposizione di dipinti dei detenuti e stampato un giornalino che è inviato a tutti coloro che lo richiedono". La pagina Facebook, ideata dalla Branca, aiuta principalmente i visitatori che vengono da lontano. I consigli offerti sul web rendono più facile il viaggio e la sosta in questa cittadina della Florida che è davvero difficile da raggiungere. Inoltre i parenti dei condannati sono aggiornati sullo stato degli appelli e delle manifestazioni contro la pena di morte organizzate dalle associazioni umanitarie: "Le condizioni delle prigioni sono orrende - continua la Branca - I detenuti restano chiusi in cella 24 ore su 24. Il cibo è pessimo e i menù non cambiano mai. Immaginate di dover mangiare burro di noccioline, sarde in acqua e cavolo tutti i giorni. Inoltre i prigionieri, a parte dipingere, non hanno la possibilità di fare nulla in cella. Vivono in luoghi vecchi e infestati da insetti, per lo più scarafaggi e formiche. Il caldo soffocante d’estate e il freddo d’inverno rendono le giornate interminabili. Inoltre c’è sempre il terrore che arrivi la notizia che il giorno della propria esecuzione è stato deciso ed è imminente. I condannati spesso soffrono di malattie degenerative, la loro salute mentale deteriora a poco a poco, molti perdono l’equilibrio mentale e ogni cognizione del tempo senza aver avuto alcun supporto psicologico prima di affrontare il boia. Secondo la Branca i social media possono svolgere un’importante battaglia a sostegno dell’abolizione della pena di morte: "I Social Media hanno profondamente modificato il paradigma comunicativo e si sono rivelati un potentissimo mezzo di interazione, socializzazione, organizzazione in ambito politico - spiega la quarantottenne. Penso che questi nuovi canali siano riusciti a bypassare il monopolio delle informazioni, permettendo una diffusione di notizie, immagini, opinioni che presentano un quadro ben diverso da quello pubblicato dallo stato o dal procuratore. I social permettono di trasmettere l’idea che questi uomini, sebbene abbiano commesso atti terribili, restano esseri umani e che la pena di morte è il modo più barbaro per punire i loro errori. Nonostante le terribili condizioni del carcere raccontate sulla pagina Facebook e le innumerevoli suppliche presentate affinché si abbia maggiore compassione verso i detenuti, sono tanti gli utenti che scrivono in bacheca messaggi sanguinari contro i condannati a morte: "È gente - taglia corto Giusi Branca - che chiaramente non sa nulla del sistema giudiziario americano o della situazione di esasperazione in cui si trovano il 70% dei prigionieri con avvocati inesperti e disinteressati". La quarantottenne non demorde e ogni giorno continua a dare informazioni e a diffondere speranza. Troppo spesso, però, si trova a passare ore a moderare e cancellare messaggi pieni di violenza e di odio contro i prigionieri: "La maggiore difficoltà è indubbiamente riuscire a selezionare le informazioni da dare. Bisogna cercare di non offendere i parenti delle vittime ma anche rispettare la privacy delle famiglie e degli amici dei detenuti. La nostra politica è quella di tutelare sia i parenti delle vittime sia quelli dei condannati - spiega l’italiana - Tuttavia la mancanza di pietà in alcuni messaggi lascia davvero esterrefatti". Sud America: la storia del fotografo Valerio Bispuri e dei suoi reportage nelle carceri di Valentina Tonutti www.udine20.it, 14 giugno 2014 Valerio Bispuri è un fotoreporter tra i più coraggiosi che possiamo vantare in questo Paese. Tra i suoi viaggi il più impegnativo è sicuramente quello intrapreso lungo la terra latino americana alla ricerca della vera natura del suo popolo. Una ricerca che ha portato Bispuri direttamente all’interno delle carceri del Sudamerica. 10 anni, 74 prigioni, una macchina fotografica e un progetto che nel 2011 è stato racchiuso in un reportage fotografico denominato Encerrados," i rinchiusi", raccogliendo plausi in Europa e nella Sudamerica stessa. Dopo diverse tappe italiane, grazie all’iniziativa di Homepage Festival Bispuri presenterà per la prima volta davanti al pubblico udinese presso l’auditorium del Palazzo Toppo Wasserman di Udine alle ore 20.30 il suo straordinario progetto fotografico. Nelle due giornate successive sarà invece il relatore del workshop su fotogiornalismo e reportage, sempre all’interno delle rassegne di incontri e workshop targate Homepage Festival. 10 anni per le carceri del Sudamerica. Non è stato sicuramente facile. Quando hai iniziato a pianificarlo? Volevo raccontare un continente che amavo, dove ho vissuto. Un giorno sono stato invitato a visitare un carcere in Ecuador, è stata un’esperienza traumatica: mi tirarono sacche di urine. Si trattava della mia prima prigione, non ero preparato, ma da quel momento è nato l’interesse a vedere la situazione delle altre carceri in Argentina. Il carcere rispecchia molto la società di un Paese. Come hanno vissuto, gli Encerrados, il tuo reportage? Si sono mostrati disposti a condividere la loro realtà o è stato più complicato coinvolgerli? Non appena spieghi loro perché sei lì e fai capire la situazione, collaborano. Non tutti, ma la maggior parte sì. Qual è il paese che ti ha colpito di più? Me lo domandano spesso ma in realtà non c’è una classifica. Ce ne sono vari, ognuno ha una situazione complicata a sé stante. Un episodio particolare che ti piacerebbe raccontare? Voglio raccontare una cosa bella che è successa: una volta ho visitato un padiglione senza che nessuno mi accompagnasse, da solo ho fatto delle foto ai detenuti che vivevano in quella prigione in condizioni veramente oscene e disumane. Quando poi esposi le mie foto a Buenos Aires nel 2009 (ndr. Durante il Festival Dei Diritti Umani", quella prigione venne chiusa. Sarà stato sicuramente anche merito dell’influenza di altre forze, più politiche della mia, ma la fotografia può fare anche questo. La fotografia come denuncia perché le parole, spesso, non ti bastano? A sette anni mi comprai una macchinetta fotografica ma l’indagine è quello che mi ha sempre spinto: la fotografia è il mezzo con cui svelare cose che si conoscono poco. La fotografia va più in là delle parole perché ti permette di avere una prospettiva più ampia, mentre le parole spesso sono sfuggenti... Le fotografie ti mettono davanti alla realtà, le parole a volte possono modificarla. Dopo il Latino America dove vorresti andare? Torno spesso in Sud America, ma basta carceri. Dopo Encerrados ho seguito un’inchiesta riguardo l’abuso di una droga in Argentina, Brasile e Perù. Sei stato anche in India... Sì. Ho girato molto negli ultimi anni dopo Encerrados. C’è qualcosa che vorresti dire a chi si interessa al tuo lavoro e vuole partecipare al workshop? Tengo sempre a sottolineare che il reportage non è un reportage di denuncia. Il reportage viene fatto per raccontare un continente. La denuncia viene in secondo piano. In Encerrados ho voluto raccontare la situazione nelle carceri a livello antropologico, prima che di denuncia. Siria: 274 liberati dall’amnistia, ma in cella rimangono circa 100mila detenuti politici Ansa, 14 giugno 2014 Circa 274 siriani, detenuti nelle carceri del regime e accusati o ritenuti colpevoli di aver commesso "atti di terrorismo", sono stati rimessi in libertà in seguito all’amnistia concessa dal presidente Bashar al Assad per festeggiare la sua "elezione" lo scorso 3 giugno. Lo riferisce l’agenzia ufficiale Sana, precisando che 124 prigionieri sono stati liberati nelle regioni di Daraa e Dayr az Zor, 70 a Hama, e il resto a Damasco. Non si hanno notizie della percentuale di prigionieri politici liberati in questa occasione, rispetto ai criminali comuni. L’avvocato Michel Shammas, che da anni si occupa della difesa dei dissidenti politici nelle carceri del regime, afferma che finora solo Ranim Maatuq (figlia dell’avvocato Khalil Maatuuq, anch’egli in carcere) è stata liberata tra i nomi noti dei dissidenti. Altre fonti riferiscono della liberazione nelle ultime ore di Jalal Nawfal, arrestato lo scorso 6 gennaio e rimasto in carcere senza un’accusa formale a suo carico. Non si hanno invece notizie della sorte degli oltre 100mila detenuti politici, di cui la metà nelle celle dei servizi di controllo e repressione e mai trasferiti all’autorità giudiziaria. Tra questi figura il nome di Mazen Darwish, giornalista e fondatore a Damasco del Centro siriano per la libertà di stampa. Come molti altri detenuti si trova nel carcere di Adra, nei pressi della capitale, e secondo Shammas il suo nome dovrebbe rientrare tra quelli amnistiati. Medio Oriente: prigionieri palestinesi, l’Ue chiede a Israele il rispetto diritti umani Nova, 14 giugno 2014 L’Unione europea "chiede il pieno rispetto dei diritti umani" nei confronti dei prigionieri palestinesi detenuti in Israele. Lo ha affermato l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue, Catherine Ashton, esprimendo la propria "grande preoccupazione" per le notizie sull’aggravarsi delle condizioni mediche dei detenuti in sciopero della fame da diverse settimane. "L’Ue ha ripetutamente espresso la sua preoccupazione per l’ampio uso della detenzione amministrativa da parte di Israele", ha detto la Ashton. Anp in Cisgiordania vieta manifestazioni pro prigionieri palestinesi L’Autorità nazionale palestinese ha vietato lo svolgimento di manifestazioni in Cisgiordania in solidarietà con i detenuti palestinesi presenti in Israele. Le forze politiche palestinesi di sinistra avevano convocato dei cortei a Genin e Nablus per solidarizzare con 300 detenuti palestinesi in sciopero della fame in Israele. Secondo l’emittente televisiva "al Jazeera", i manifestanti si stavano muovendo a bordo di bus da Nablus verso Jenin quando le forze di sicurezza di Ramallah li hanno fermati costringendoli a tornare indietro. Kuwait: esercito in stato d’allerta lungo il confine per arrivo terroristi liberati da Isis Nova, 14 giugno 2014 L’esercito kuwaitiano è stato messo in stato d’allerta e dispiegato lungo il confine con l’Iraq. Secondo quanto riporta il giornale kuwaitiano "al Seyassa", le autorità di Kuwait City temono il ritorno in patria dei terroristi kuwaitiani e l’arrivo di quelli sauditi di al Qaeda liberati dai miliziani dello Stato islamico di Iraq e Siria (Isis) dalle carceri di Mossul e Tikrit, i quali potrebbero compiere attentati nei loro paesi di origine proprio in sostegno al piano dell’Isis.