Giustizia: quel doppio malcostume… di Michele Brambilla La Stampa, 13 giugno 2014 Il giorno in cui Silvio Berlusconi ha cominciato a prestare servizio a Cesano Boscone c’erano molti giornalisti stranieri i quali, in mancanza di meglio (l’ex Cavaliere non poteva rilasciare dichiarazioni) si misero a intervistare noi giornalisti italiani. A un certo punto una collega di una tv francese mi chiese se gli italiani non fossero stupefatti, in quei giorni, nel vedere un ex presidente del Consiglio condannato ai servizi sociali che continuava a fare campagna elettorale per il suo partito. Quando le risposi - senza alcuna intenzione di fare una battuta spiritosa - che noi italiani ormai non ci stupiamo più di niente, lei scoppiò a ridere, così tanto che non riuscì neppure a continuare l’intervista. Evidentemente non le pareva vero che un italiano contribuisse a rafforzare l’immagine che all’estero, purtroppo, hanno di noi. Immagino dunque che cosa penseranno oggi, in Francia e altrove, sapendo che un sindaco che ha patteggiato quattro mesi di carcere la mattina, ha tranquillamente guidato la giunta il pomeriggio. Perché questo è quello che è successo a Venezia: Giorgio Orsoni ha fatto colazione da detenuto (sia pure in casa sua) e ha cenato da sindaco. Certamente il suo è un reato minore, rispetto al marcio che sta emergendo da questa storia del Mose. Altrettanto certamente patteggiare una condanna non significa, dal punto di vista tecnico, ammettere di essere colpevoli. D’accordo. Ma se invece che ai codici ci rifacciamo a un minimo di buon senso, ci vien da dire che così non si fa. A nostro parere, insomma secondo quello che a noi sembra appunto un minimo di buon senso, Orsoni ieri pomeriggio avrebbe potuto guidare la giunta solo se la mattina fosse stato assolto, e se a mezzogiorno i magistrati avessero convocato una conferenza stampa per dire che il sindaco era stato rilasciato con tante scuse perché innocente. Invece la conferenza stampa l’ha fatta Orsoni per dire che resterà al suo posto, nonostante sia stato rilasciato non perché riconosciuto innocente, ma perché non c’erano più esigenze di detenzione, essendosi chiusa questa fase con un patteggiamento. Può darsi che il sindaco di Venezia sia stato in buona fede, nel ricevere quel contributo per la sua campagna elettorale; in ogni caso, il suo sarà senz’altro un peccato veniale. Ma sempre il nostro ingenuo buon senso ci fa dire che chi governa non deve avere addosso neppure un’ombra. Venezia, una delle nostre icone nel mondo, può permettersi un sindaco con una condanna patteggiata che taglia il nastro della Biennale di Architettura, o che poi inaugura il Festival del Cinema? Ci viene da aggiungere: un leader come Renzi, che ha puntato tutto sul rinnovamento, può permettersi - da segretario del Pd - di tenere nel partito un sindaco in quella condizione che non si dimette? Insomma. Tutto quello che abbiamo detto fin qui ci pare documenti un diffuso atteggiamento, anzi malcostume: sono troppi i politici che non capiscono quanto male facciano al Paese nel sentirsi sempre cittadini intoccabili. C’è però anche un altro, e opposto, malcostume italiano. La vicenda delle tangenti veneziane ha scatenato una campagna mediatica che ha finito per gettare nel medesimo calderone tutte le parti in commedia, da chi rubava milioni per vivere da nababbo a chi riceveva (come pare essere appunto il caso di Orsoni) un finanziamento illecito per l’attività politica. Nel modo in cui la vicenda è stata presentata - sia da alcuni inquirenti sia soprattutto da noi giornalisti - c’è stata un’istigazione alla confusione, al tutto fa schifo. Quel che è più grave, c’è stato un compiacimento cialtrone nel diffondere venticelli di calunnia, infilando tra le righe nomi "grossi", ma nomi di persone che con i reati commessi non c’entrano nulla. È il caso di Enrico Letta, ad esempio: è estraneo alla vicenda, ma lo si è voluto mettere in mezzo, naturalmente con l’ipocrita precisazione che "non è indagato", frase furbetta che vien scritta per evitare una querela, ma che non evita il danno e la diffamazione. Ecco, l’aspetto più sconfortante della vicenda veneziana è forse proprio la persistenza di questa schizofrenia sul tema giustizia, la sopravvivenza di questo doppio estremismo che da anni impedisce all’Italia di affrontare veramente la questione morale. Giustizia: arresti per confessare, il carcere preventivo genera mostri di Giuliano Ferrara Il Foglio, 13 giugno 2014 Nelle cronache delle vicende giudiziarie legate all’inchiesta sulla corruzione relativa al Mose veneziano, si può leggere che la procura e i giudici delle indagini preliminari hanno "premiato" qualche indagato, concedendo gli arresti domiciliari e poi la remissione in libertà perché avevano mostrato la volontà di "collaborare". Ad altri, invece, questi benefici sono stati negati per la ragione opposta. È quasi diventato un luogo comune: le misure di custodia cautelare servono per indurre gli indagati a non avvalersi del loro diritto costituzionale a non fare dichiarazioni. Naturalmente non c’è alcuna base giuridica per questo comportamento vessatorio che confina con la tortura. Infliggere di fatto una pena a chi non è stato condannato al fine di costringerlo a confessare e a denunciare altri è contrario alle garanzie previste dal codice di procedura penale, che prevede un’eccezione peraltro assai controversa, solo per i reati della criminalità organizzata, al fine di favorire il cosiddetto "pentimento". Quello che fa impressione non è tanto che si continui a operare in modo disinvolto, nella più ampia collusione tra magistratura inquirente e giudicante, ma che ormai non si cerchi più nemmeno di nascondere questo uso abnorme della carcerazione preventiva, ma lo si dichiari spudoratamente, come se la prassi incostituzionale seguita per anno soprattutto dalle procure politicizzate fosse diventata norma. Indipendentemente dall’opinione che si nutre sulle vicende specifiche e sulla figura degli inquisiti, non si può tollerare in silenzio una manomissione così palese dei princìpi garantisti previsti dalla Costituzione e dai codici. Quelli che si scandalizzano perché in Parlamento si è approvata una norma sacrosanta sulla responsabilità dei giudici, dovrebbero invece domandarsi che cosa sarà della libertà personale se essa può essere violata impunemente e strumentalmente nei confronti di cittadini indagati ma innocenti fino a condanna passata in giudicato. Ieri pomeriggio, a Roma, al Palazzo delle Esposizioni, durante la presentazione del libro del nostro Claudio Cerasa "Le catene della sinistra", il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, duettando con il vicepresidente del Csm, Michele Vietti, ha ammesso che in Italia la carcerazione preventiva è un problema vero ma ha aggiunto un dettaglio non indifferente. Secondo il vicepresidente del Csm è compito della politica e del legislatore porre un freno a questi abusi ed evitare che la carcerazione preventiva venga utilizzata come se fosse uno strumento di condanna. Secondo Orlando, invece, la politica più di tanto non può fare. Negli ultimi anni, a legislazione invariata, è stata sufficiente una sentenza della Corte europea dei diritti sul tema per far diminuire i casi di detenzione preventiva. Ciò significa che dipende tutto o quasi dai giudici o dai magistrati. Possibile. Così come è possibile che solo quando la politica mostrerà il suo primato rispetto al partito delle procure sarà possibile responsabilizzare giudici e magistrati ed evitare ancora casi clamorosi di uso improprio di carcerazione preventiva. Giustizia: pm Gratteri; trattati con i paesi del Mediterraneo per impatrio detenuti Ansa, 13 giugno 2014 "In Italia, il problema delle carceri lo si risolve facendo trattati bilaterali con gli altri Stati, in particolare con quelli del mediterraneo, facendo scontare le pene ai detenuti nei loro Paesi“. Lo ha detto a Catania il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Nicola Gratteri, a margine del dibattito sul tema "Giustizia, riforme, antimafia" organizzato dall’Associazione Addiopizzo al quale nella serata di ieri hanno partecipato il sostituto procuratore della Repubblica a Palermo Antonino di Matteo, il procuratore aggiunto di Messina Sebastiano Ardita ed il giornalista Saverio Lodato. "La questione - ha aggiunto - la si risolve mettendo i tossicodipendenti nelle comunità terapeutiche, riaprendo le sezioni che sono chiuse per mancanza di personale. In questo senso - ha concluso- c‘è ad esempio un sovrannumero di ventimila militari che attraverso dei corsi accelerati, potrebbero essere convertiti in polizia penitenziaria per il trattamento dei detenuti”. Gratteri, nel capoluogo etneo, ha incontrato il capo della Dia catanese, Renato Panvino con il quale ha collaborato in passato assicurando alla giustizia super latitanti". Giustizia: ddl "Repubblica Semplice", Polizia Penitenziaria sciolta e accorpata a altre Forze Il Messaggero, 13 giugno 2014 Un decreto e un disegno di legge. La riforma delle pubbilca amministrazione che domani sarà approvata in consiglio dei ministri prende sempre più forma. Nella bozza del ddl, ribattezzata "Repubblica Semplice" è previsto anche l'accorpamento delle forze di Polizia. A scomparire saranno la Guardia Forestale e la Polizia Penitenziaria, che verranno accorpate negli altri corpi. Nella bozza del disegno di legge delega di 13 articoli, è previsto anche che nei prossimi cinque anni ciascuna amministrazione riduca la spesa dell'1 per cento rispetto a quella sostenuta nel 2013. Tutte le norme sulla spending review saranno allargate anche alle società partecipate (non quotate), alle federazioni sportive, agli enti di previdenza e ai soggetti "la cui attività è finanziata in modo maggioritario dalle amministrazioni pubbliche". Dirigenti. Arriva il ruolo unico e l'abolizione della distinzione in fasce. Nel ruolo unico ci saranno tutti i dirigenti Pa, compresi quelli delle agenzie, degli enti non economici con esclusione solo dei dirigenti medici e di quelli scolastici. Anche la carriera prefettizia confluirà nel ruolo unico.L'accesso alla dirigenza avverrà in due modi: un concorso unico annuale e il corso-concorso. Chi entrerà con il primo meccanismo sarà assunto a tempo determinato e il contratto potrà essere trasformato in contratto a tempo indeterminato dopo tre anni e a valle del superamento di un esame. Chi invece entrerà con il corso concorso entrerà come funzionario e potrà diventare dopo quattro anni dirigente sempre dopo il superamento di un esame. Altra novità sarà una sorta di "liberalizzazione" dell'assunzione di dirigenti esterni. I cosiddetti "comma 6", quelli estranei all'amministrazione, potranno essere incaricati "senza previa verifica della disponibilità di dirigenti di ruolo aventi corrispondenti caratteristiche". Sappe: sì a direzione generale corpo presso ministero dell’interno, come vigili del fuoco “Vedo con favore la possibilità di incardinare una Direzione Generale del Corpo di Polizia Penitenziaria presso il Ministero dell’Interno, così come oggi è già in essere per i Vigili del Fuoco. Una riorganizzazione del Corpo di Polizia Penitenziaria in questo senso può essere più funzionale al sistema della sicurezza del Paese, partendo dalla necessità di avere un Capo del nostro Corpo che indossi la nostra stessa divisa, ferma restando la necessità di un urgente incontro/confronto con il Governo nel merito della questione”. Lo dichiara Donato Capece, Segretario Generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, in merito alle indiscrezioni sulla riforma della Pubblica Amministrazione e del Comparto Sicurezza del Governo. Giustizia: Orlando; in Consiglio dei Ministri proposta aumento età negli istituti minorili Agi, 13 giugno 2014 "Domani presento al Consiglio dei Ministri una proposta legislativa sulla quale ho lavorato per elevare l’età di chi è costretto negli istituti penitenziari minorili passando da 21 anni a 25". Lo ha annunciato ieri il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, a margine della presentazione dei dati di Save The Children sul lavoro minorile in Italia. "Il fine - ha spiegato il Guardasigilli - è per una funzione di cerniera tra l’età adulta e quella minorile". Giustizia: Sottosegretario Ferri; bracciale elettronico arresti domiciliari diventato regola Ansa, 13 giugno 2014 "Fino ad oggi il braccialetto elettronico non era partito, se non in pochi casi, ora con il decreto approvato lo scorso anno, il 146 del 2013, abbiamo invertito la rotta. Prima il braccialetto elettronico era l’eccezione, e quindi poco utilizzato dalla magistratura, ora è diventato la regola". Lo ha detto il sottosegretario alla Giustizia Cosimo Maria Ferri, a margine di un workshop a Firenze sul tema del braccialetto elettronico. "Prima il giudice disponeva gli arresti domiciliari - ha aggiunto - e doveva motivare se applicava il braccialetto, ora deve motivare se non lo applica. La magistratura si sta organizzando in questa direzione e sono aumentati i provvedimenti in cui è applicato". Ferri ha annunciato che il Consiglio dei ministri discuterà a stretto giro un provvedimento, in seno agli interventi sul fronte della sentenza Torreggiani, per ovviare a "dei problemi pratici di applicazione del braccialetto, come il tempo necessario, circa due giorni, che intercorreva tra l’emanazione del provvedimento da parte del giudice e l’applicazione in concreto" del braccialetto. C’è stato un ampliamento dei casi di utilizzo del braccialetto, ha ricordato ancora, che oltre per gli arresti domiciliari è utilizzato, ad esempio, "in caso di permessi premio, di misure alternative alla detenzione, o nell’ambito della legge sul femminicidio per le misure di allontanamento dalla casa familiare". Il Provveditore Cantone: in aumento uso braccialetto elettronico "Dall’entrata in vigore del decreto con le misure del braccialetto elettronico, anche in Toscana abbiamo registrato una quota di aumento degli arresti domiciliari". Lo ha detto il provveditore dell’amministrazione penitenziaria della Toscana Carmelo Cantone, oggi a margine di un workshop a Firenze sul tema del braccialetto elettronico. "Va fatto però - ha aggiunto - un ragionamento più ampio su tutti gli strumenti tecnologici che possono rispondere all’esigenza della sicurezza, abbattendo i costi della detenzione in carcere. Lo Stato si deve abituare a investire di più anche il tecnologie leggere e mobilitare il mondo della ricerca a fornire know how". Con le riforme dell’ultimo anno e gli interventi legislativi come il cosiddetto svuota carceri - ha aggiunto - stiamo assistendo a un continuo e leggero calo del numero dei detenuti. In Toscana, ad esempio, abbiamo 400 detenuti in meno, siamo passati da 4.010 detenuti di inizio anno a 3.625 di oggi". Per Cantone "non è uno svuota carceri ma una via razionale verso una gestione penitenziaria più oculata, nella quale si abbassa il numero di ingressi in carcere e dall’altro lato si è aumentato il range delle persone che possono accedere a misure alternative. C’è un sistema di norme e misure per il quale il carcere non sia più la centralità del sistema penale. Per il futuro il carcere deve essere pensato soprattutto per la criminalità organizzata". Giustizia: Save the Children; costretti a lavoro minorile molti dei giovani oggi in carcere www.savethechildren.it, 13 giugno 2014 Sono almeno 260.000 i minori tra 7 e 15 anni coinvolti in lavoro minorile nel nostro paese, 1 su 20. Presentati ieri a Roma, alla presenza del Ministro della Giustizia Andrea Orlando i primi dati di una nuova indagine su lavoro minorile e le condotte devianti, realizzata da Save the Children e in collaborazione con il Dipartimento per la Giustizia Minorile. Una larga parte dei minori che al momento sta scontando una condanna penale, ha alle spalle mesi o anni di lavoro svolto sotto i 16 anni. Una quota significativa di essi ha lavorato addirittura a 11-12 anni e in condizioni di grave sfruttamento e pericolo, per tante ore di seguito e di notte, fuori della cerchia familiare. Ristorazione, vendita, edilizia, agricoltura e allevamento, meccanica alcuni dei principali settori di impiego di questi giovanissimi. Esperienze di lavoro minorile fra le più dure, sommerse e molto spesso collegate all’abbandono della scuola, quelle dell’universo degli adolescenti in carico alla giustizia minorile; un sottoinsieme dell’intero universo di lavoratori under 16 nel nostro paese che conta circa 260.000 ragazzi e ragazze fra 7 e 15 anni coinvolti in lavoro, pari al 7% della popolazione in questa fascia di età, 1 minore su 20. È quanto emerge da "Lavori ingiusti", una indagine sul lavoro minorile e le condotte devianti, realizzata da Save the Children e in collaborazione con il Dipartimento per la Giustizia Minorile, presentata oggi a Roma alla presenza di Andrea Orlando, ministro della Giustizia. "Occupandosi di minori che vivono in situazioni di rischio, da anni Save the Children entra in contatto con bambini e adolescenti coinvolti nelle peggiori forme di lavoro minorile, tra cui, forme di sfruttamento. Si tratta di un fenomeno grave che, in una misura piuttosto rilevante, è presente anche in Italia e che quindi Save the Children ha deciso di indagare, contribuendo a colmare un vuoto di dati in materia - ha spiegato Claudio Tesauro, presidente Save the Children Italia - Quest’anno, con l’importante sostegno del Ministero della Giustizia, Save the Children è riuscita a raggiungere giovani che solitamente sfuggono alle rilevazioni campionarie perché si trovano per lo più fuori da circuiti importanti quali la scuola, in particolare coloro che si trovano nel circuito della giustizia minorile". L’indagine ha per la prima volta interpellato sul lavoro minorile la totalità dei ragazzi e ragazze che si trovano negli Istituti Penitenziari Minorili (Ipm), nelle Comunità di Accoglienza Penale (CPA) e nelle Comunità Ministeriali oltre a un significativo numero di ragazzi in carico all’Ufficio di servizio sociale Minorile (Ussm). 733 le interviste realizzate tramite la somministrazione di questionari auto compilati, in cui è stato chiesto loro se abbiano avuto esperienze di lavoro minorile e che significato danno oggi al lavoro, nell’ottica di un suo utilizzo a scopo rieducativo e di reinserimento sociale, a cui si sono aggiunti 5 focus group con circa 50 operatori della giustizia minorile, una consultazione di 9 minori con esperienze di lavoro minorile e attualmente nel circuito della giustizia minorile e la raccolta di 6 storie di ragazze e ragazzi nella stessa condizione. La rilevazione ha riguardato il loro coinvolgimento in lavoro da prima degli 11 ai 16 anni. Secondo la nuova indagine di Save the Children si attesta al 66% la quota dei minori del circuito della giustizia minorile che ha svolto attività lavorative prima dei 16 anni. Nel 73% dei casi sono giovani italiani mentre il 27% è costituito per lo più da ragazzi di origine straniera (in genere della Romania, Albania, Africa del nord). Più del 60% degli intervistati ha svolto attività di lavoro tra i 14 e i 15 anni. Tuttavia, oltre il 40% ha avuto esperienze lavorative al di sotto dei 13 anni e circa l’11% ha svolto delle attività persino prima degli 11 anni. Nel 66% dei casi i minori hanno lavorato da giovanissimi per fare fronte alle proprie spese personali, tuttavia più del 40% ha affermato di avere lavorato anche per aiutare la propria famiglia. Ben il 60% dichiara di aver lavorato per altre persone mentre solo il 21% ha lavorato per i propri genitori e il 18% per dei familiari. Il prestare il proprio lavoro fuori della cerchia familiare differenzia questi ragazzi e ragazze rispetto al più ampio universo dei minori lavoratori e rappresenta un rilevante fattore di rischio sfruttamento. La ristorazione (21%) - bar, ristoranti, alberghi, pasticcerie, panifici -, la vendita ( 17%) - negozi, mercati generali, vendita ambulante, il lavoro in cantiere (11%) - come manovali, imbianchini, carpentieri, il lavoro in campagna (10%) - nella coltivazione e raccolta e nell’allevamento e maneggio degli animali, sono le principali attività lavorative svolte dai ragazzi intervistati. Seguono, poi, tutti i lavori presso le officine meccaniche e i distributori di benzina (9%), le attività artigianali (5%), il lavoro in fabbrica (3%), le consegne a domicilio (2%) e solo una percentuale residuale svolge le proprie attività lavorative in casa per aiutare la famiglia nel proprio lavoro o nella cura di fratelli più piccoli o parenti in difficoltà. Il 71% dei ragazzi dichiara di aver lavorato quasi tutti i giorni - dunque in modo continuativo e il 43% per più di 7 ore di seguito al giorno; il 52% ha lavorato di sera o di notte. Inoltre, la maggior parte dei minori intervistati afferma di avere iniziato le proprie azioni illecite tra i 12 e i 15 anni, parallelamente all’acutizzarsi di problemi a scuola, culminati spesso in bocciature e abbandoni. Per quanto riguarda i reati commessi, si tratta per lo più di reati contro il patrimonio (54,5%, per esempio furto e rapina), seguono quelli contro la persona (12,7%, per esempio lesioni volontarie), contro l’incolumità (9%) e le istituzioni (6%). "Sarebbe arbitrario stabilire un nesso automatico fra lavoro precoce e comportamenti devianti tuttavia sono gli stessi ragazzi e gli operatori coinvolti nelle consultazioni e focus group a raccontare come ci si possa ritrovare sommersi dalla situazione", spiega ancora Raffaela Milano. "Si comincia con le difficoltà a scuola e la frequenza discontinua che, a sua volta, genera scarsi risultati e la spinta ad abbandonare lo studio e iniziare a lavorare. Un lavoro che però il più delle volte si rivela illegale, saltuario, sottopagato, non qualificante e, nelle forme peggiori, duro fino alla violenza e allo sfruttamento. Un’esperienza da cui i ragazzi potrebbero decidere di "liberarsi" scegliendo la strada dell’illegalità e delle attività illecite". Per contro un lavoro rispettoso e stabile potrebbe contribuire al percorso di reinserimento sociale e a evitare forme di recidiva di un giovane che abbia commesso reati: la pensa così, nonostante le difficili esperienze pregresse, l’89% degli intervistati da Save the Children. E difatti, come riferiscono soprattutto gli operatori, lo strumento "lavoro" se utilizzato all’interno del progetto educativo elaborato per il minore del circuito penale, può essere una possibilità virtuosa per favorire lo sviluppo della personalità del minore, i processi di responsabilizzazione, le sue capacità relazionali. "Perché ciò avvenga occorre promuovere e garantire le risorse necessarie per attivare in modo sistematico e continuativo le opportunità formative e di inserimento lavorativo per tutti i minori che sono all’interno del circuito penale" , spiega ancora il Direttore dei Programmi Italia Europa di Save the Children Italia. Dal punto di vista della prevenzione, appare fondamentale il ruolo della scuola che - dalla lettura delle esperienze dei ragazzi del circuito penale - in molti casi non ha rappresentato un fattore di protezione ma è più spesso percepita come un percorso ad ostacoli, e non come un’opportunità: secondo Save the Children è necessario rafforzare gli interventi di contrasto alla dispersione scolastica, così come prevedere interventi di sostegno formativo per i ragazzi che hanno prematuramente abbandonato gli studi. E tra le raccomandazioni ribadite da Save the Children nel corso della conferenza stampa l’adozione tempestiva di un Piano Nazionale sul Lavoro Minorile che preveda da un lato la creazione di un sistema di monitoraggio regolare del fenomeno e dall’altro le azioni da svolgere per intervenire efficacemente sulla prevenzione e sul contrasto del lavoro illegale, e in particolare delle peggiori forme di lavoro minorile. "In occasione della giornata contro il lavoro minorile è opportuno sottolineare i rischi in termini di lavoro minorile a cui i bambini e ragazzi sono esposti, anche nei paesi ad alto reddito. Protezione sociale e monitoraggio sono strumenti essenziali per combattere questo fenomeno anche nei paesi sviluppati, soprattutto in un momento di crisi come questo in cui la perdita di reddito delle famiglie aumenta il rischio abbandono scolastico e l’esposizione al lavoro minorile", commenta Furio Rosati dell’ Organizzazione Internazionale del Lavoro (Ilo). Giustizia: Marcello Dell’Utri arrivato a Roma questa mattina e già trasferito in carcere Ansa, 13 giugno 2014 Il volo AZ 827 proveniente da Beirut con a bordo Marcello Dell’Utri, estradato dal Libano, è arrivato alle 6:45 a Fiumicino. L’ex senatore di Forza Italia era accompagnato da agenti dell’Interpol. Marcello Dell’Utri è arrivato a Roma poco prima delle 7 con un volo da Beirut dopo essere stato estradato dalle autorità del Libano. L’ex senatore del Pdl, condannato definitivamente per mafia, è stato sbarcato in una zona riservata dell’aeroporto di Fiumicino, per essere poi trasferito in carcere. Era latitante da aprile, quando la Corte di appello di Palermo aveva emesso nei suoi confronti un provvedimento di carcerazione dopo che la Cassazione aveva confermato la condanna. Dell’Utri aveva subito fatto sapere di essere in Libano per curarsi dopo un intervento al cuore e di non volersi sottrarre alla giustizia. Per il momento niente immagini e tanto meno filmati per i fotoreporter che lo attendevano nello scalo aereo della capitale, anche se sullo stesso volo hanno viaggiato alcuni giornalisti. L’ex manager di Publitalia dovrà scontare 7 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa. Per i giudici, è stato il tramite tra la mafia e Silvio Berlusconi. Dell’Utri ha viaggiato sotto scorta della polizia libanese e dell’Interpol su un volo di linea dell’Alitalia, accompagnato dalla figlia Chiara. Appena giunto a Fiumicino, è stato preso in consegna dalla polizia con una procedura che si è svolta in un’area riservata dell’aeroporto. Negli uffici della Polaria di Fiumicino ufficiali e funzionari della Dia giunti da Palermo hanno notificato a Marcello Dell’Utri l’ordinanza di esecuzione della pena. L’ex senatore è stato poi affidato alla Polizia penitenziaria che provvederà al suo trasferimento nel carcere di Rebibbia. L’ex senatore del Pdl era stato arrestato esattamente due mesi fa, il 12 aprile, all’hotel Phoenicia di Beirut, dove soggiornava con il suo vero nome. Era stato rintracciato grazie al segnale del suo telefono cellulare. Dopo quattro giorni di detenzione in una caserma della polizia, il 16 aprile era stato trasferito su richiesta del suo legale libanese nell’ospedale Al Hayat ed era rimasto ricoverato in stato di arrestato. Il presidente libanese Michel Suleiman ha concesso l’estradizione in Italia il 23 maggio scorso. Lettere: come il provveditorato della Toscana si libera degli esperti psicologi scomodi di Antonella Lettieri (ex esperta psicologa Opg Montelupo Fiorentino) Ristretti Orizzonti, 13 giugno 2014 Si è finalmente conclusa la scellerata selezione degli psicologi esperti ex art. 80 e dal 1 Giugno è in vigore la graduatoria da cui il Provveditorato della Toscana attinge i nominativi per i nuovi incarichi. Gli psicologi che operavano negli Istituti e che in passato avevano già subito una selezione di idoneità, si sono sottoposti, seppure umiliati e imbarazzati da tale provvedimento, alla prova orale e alla valutazione dei titoli, confidando che tale operazione non avrebbe messo a rischio il loro incarico. Per fare ciò non è stato necessario richiedere risorse esterne perchè tutto si è svolto in quella grande famiglia che è il Provveditorato della Toscana: è stato deciso che i componenti della commissione, pur variando continuamente e con essi inevitabilmente i criteri, fossero i funzionari in servizio dell’Amministrazione Penitenziaria con formazione spiccatamente giuridica( direttori di carcere, provveditore, direttori di Uepe). Né si ritenuto opportuno, violando una prassi normativa, inserire tra gli esaminatori un rappresentante degli psicologi, uno specialista in grado di valutare le competenze specifiche dei candidati. Si è giocato, come abbiamo detto, tutto in famiglia come se la formazione della commissione fosse esaustiva e comprendesse, per un strano processo di inclusione, anche una competenza psicologica. In fondo siamo tutti un po’ psicologi! Il colloquio è stato improntato su criteri di valutazione estremamente discutibili quali "adeguatezza dei contenuti, capacità espositiva/proprietà di linguaggio, capacità elaborazione/motivazione della risposta" che niente hanno a che fare con la specificità delle competenze necessarie per lavorare in un contesto cosi complesso come il carcere. È questa sciatteria culturale che pervade tutte le istituzioni che ha consentito a funzionari di improvvisarsi esperti in qualsiasi disciplina e conseguentemente di arrogarsi il compito di esaminare e selezionare professionisti di tutt’altra formazione. Una particolare attenzione meritano i criteri con cui è stata formulata la graduatoria poiché essi hanno rispecchiato totalmente la linea del rinnovamento, ma solo di quello anagrafico. A testimonianza di ciò ad alcuni candidati, a parità di punteggio, sono stati revocati incarichi ed affidati ad altri solo perchè più giovani. Tale provvedimento ha comportato un’inevitabile ricaduta negli istituti con conseguente parcellizzazione delle ore a discapito della qualità degli interventi. Ad esperti, con anni di attività alle spalle sono state offerte, in maniera irrispettosa, solo 10 ore mensili, in sedi diverse da quelle dove operavano, in modo da indurli inevitabilmente a rifiutare l’incarico Il risultato di tale manovra è stato che esperti con comprovata esperienza e curricula di formazione specifica, si sono collocati al 70° posto e, magicamente psicologi laureati, alla prima esperienza lavorativa, si trovano ad occupare oggi i primi posti. La selezione ha valorizzato, in modo alquanto anomalo, il tirocinio svolto in ambito penitenziario e non l’attività di coloro che vi lavorano da anni. Per fare ciò è stato necessario attribuire punteggi solo ed esclusivamente a titoli acquisiti dal 2005 in poi. Una strategia perversa, anche se apparentemente vincente, messa in atto dal Prap della Toscana e sostenuta dalla necessità di liberarsi in maniera ineccepibile, sul piano formale, di un pool di professionisti la cui colpa è quella di essere stati fortemente critici sulla gestione e organizzazione degli istituti e, pertanto potenzialmente rivendicativi rispetto all’anomalo rapporto libero-professionale che perdura ormai da oltre un trentennio. Ad operazione conclusa, si impone una riflessione sul cambiamento introdotto e presentato dal Ministero della Giustizia come un processo di rinnovamento, mentre di fatto è palese a tutti che esso è stato solo una manovra difensiva per evitare di confrontarsi con possibili ricorsi e per far si che nei carceri niente cambi. Lettere: io detenuto… di Omar Baruzzi Ristretti Orizzonti, 13 giugno 2014 Racconto premiato al Concorso letterario "Giana Anguissola. Il futuro è per tutti. Storie di ragazze e ragazzi che ce la fanno", rivolto agli studenti delle scuole secondarie di II grado di Piacenza e Provincia. Già comincio questa visione di me senza alcuna premessa specifica ma con un dato di fatto permanente. Sono in carcere dall’agosto del 2012 e da quel giorno ho visto dei lati umani che fino ad allora non consideravo nemmeno. La durezza di questi luoghi mette a dura prova qualsiasi persona che li abita. Detenuti e non. Sarebbe facile riempire queste righe per "mostrare" un chiaro disegno delle lacune carcerarie e amministrative che rendono la vita ardua, ma personalmente non vorrei cadere in un luogo comune, ovvero, nella mia evoluzione personale intendo usare la mia energia per un’introspezione costruttiva e non ridurla alla lotta con il contesto in cui mi trovo. Il perché di questo è presto detto. Potrei raccontare qualsiasi tipo di disagio, sociale, emotivo o personale, ma la mia condizione in questo luogo si riduce ad una scelta che ho fatto io. Io ho compiuto un reato ed io per primo ne pago, giustamente, tutte le conseguenze. Dopo il mio ingresso in carcere e dopo aver metabolizzato ambiente, meccanismi e dinamiche relazionali, c’è stato il primo passo della mia presa di responsabilità e mi sono detto: ok, ed ora? Ora sono qua, così, con quello che il carcere "offre" io cosa mi porto a casa? In che modo proseguo la mia evoluzione, la mia metamorfosi, il mio cambiamento? Non sono un esperto di carcere, ne ho visti due e la cosa che ho ritrovato in entrambi è l’atteggiamento della gente, che sembra adagiato su due opposti: uno è quel atteggiamento che ti fa male dentro, che ti fa dissipare energia e la forza di lottare contro un sistema che ti è ostile per natura e per legge. L’altro è quello di accettare, non subire, che qui ci siamo venuti, non ci hanno portato, e da lì si "parte" per capire cosa di noi possiamo migliorare, e come possiamo farlo. Io sono felice e orgoglioso di aver canalizzato la mia energia per trovare un equilibrio in mezzo a mille ostilità e questo mi permette di vivere qui… ora… adesso, non essere continuamente arrabbiato con me stesso per gli errori fatti, non ansioso per una proiezione di me in un futuro ancora da scoprire...ma qui ed ora. Il vivere "qui ed ora" ci permette di cogliere il positivo anche quando l’ambiente è "ostile". Emilia Romagna: progetto "Raee in carcere", così si prova a dare un futuro ai detenuti… di Manuela Raganini www.lanuovaecologia.it, 13 giugno 2014 Tre cooperative emiliane grazie al progetto "Raee in carcere" provano a dare un futuro ai detenuti coinvolti. Parte dall’Emilia Romagna un progetto fortemente innovativo per inserire nel mondo del lavoro i detenuti. Ne sono protagonisti, e artefici, le cooperative sociali Gulliver di Forlì, IT2 di Bologna e Il Germoglio di Ferrara, che gestiscono dal 2009 tre laboratori per la lavorazione e la selezione dei Raee, i rifiuti provenienti da materiale elettrico ed elettronico (computer, stampanti fotocopiatrici, telefoni, fax, piccoli elettrodomestici, lavatrici, frigoriferi), finalizzati al riciclo di questi materiali. Ogni mattina i lavoratori lasciano il carcere e si recano ai laboratori esterni per rientrare verso sera: per tutta la giornata sono occupati nello smontaggio dei Raee e nella loro divisione per materiali (ferro, rame e altri metalli, plastica, vetro). Singole componenti che successivamente vengono avviate a impianti specializzati per la valorizzazione e il recupero, cosicché avvenga un corretto smaltimento delle apparecchiature smontate e si possano al contempo ricavare materie prime secondarie, con costi, consumi ed emissioni di CO2 inferiori rispetto a quelli necessari alla produzione di materie prime vergini. A latere del progetto sono inoltre nate esperienze artistiche per la realizzazione di opere d’arte con materiale proveniente dai rifiuti elettrici ed elettronici - sculture, monili, pezzi di arredamento - quali forme di espressione della condizione di detenuto. Questo tipo di attività, come non è difficile immaginare, hanno un duplice valore: da una parte sono una forte occasione di inclusione sociale, dall’altra pongono le basi per una seria tutela dell’ambiente. Entrambe si fondano sul concetto del riciclo: l’obiettivo è infatti il recupero della persona e della materia. L’intera esperienza nasce dall’iniziativa comunitaria Equal Pegaso, approvata dalla Regione Emilia Romagna con il cofinanziamento del Fondo sociale europeo. Il progetto, curato dagli enti di formazione professionale Techne e Cefal, ha come altri partner l’Amministrazione penitenziaria, l’Uepe, le case circondariali, le direzioni provinciali del lavoro, i Comuni, le Province e gli assessorati dei tre territori coinvolti: Bologna, Ferrara e Forlì. All’interno della partnership ogni attore gioca un ruolo preciso, stabilito all’interno di un protocollo di intesa territoriale di livello interprovinciale, siglato per la prima volta nel 2007 e periodicamente rinnovato. Raee in carcere è inoltre un progetto importante dal punto di vista economico perché si svolge con un forte coinvolgimento, non solo finanziario, dei privati. In particolare della multiutility Hera spa e dei consorzi di produttori Aee Ecolight, Ecodom ed Erp. I lavoratori, sia che operino nei laboratori dentro il carcere che in quelli esterni, prima seguono un percorso formativo che permette loro di percepire un compenso con la modalità del tirocinio formativo, poi se meritevoli vengono assunti fino al termine della loro pena. A fine pena il progetto prevede l’inserimento degli ex carcerati in aziende operanti nel territorio o nei servizi delle cooperative promotrici del progetto. Questa è una fase fondamentale, in quanto i detenuti saranno già formati e potranno pienamente essere reinseriti nella società, usufruendo anche degli sgravi fiscali previsti dalla legge Smuraglia. Il valore aggiunto di questa futura opportunità occupazionale sta nel fatto che statisticamente ogni ex detenuto in possesso di un lavoro è molto meno predisposto alla reiterazione del reato, si abbassa quindi il rischio di recidiva. Insomma, grazie ai percorsi di accompagnamento verso il reinserimento lavorativo e sociale aumenta il livello di sicurezza, è l’intera società insomma a trarne beneficio. Il progetto ha prodotto risultati altamente positivi sia in termini quantitativi (da settembre 2009 fino allo scorso aprile nei tre laboratori sono stati trattati 2.546.606 kg di rifiuti Raee R2-R4) che qualitativi: è stato infatti ottimo, se così possiamo dire, il coinvolgimento dei detenuti, che si sono dimostrati fortemente motivati al progetto e felici di poter contribuire anche sotto il profilo economico alle proprie esigenze e a quelle dei propri familiari. Fino ad oggi nel progetto sono stati coinvolti sessantuno detenuti, di cui ventidue assunti al termine del loro percorso formativo. Numerosi i riconoscimenti ricevuti dal progetto quale modello per la sua capacità di coniugare finalità sociali e attenzione all’ambiente. L’ultimo è stato il primo premio in occasione della Settimana europea per la riduzione dei rifiuti, consegnato a Roma lo scorso 21 maggio. Porto Azzurro (Li): nel carcere di Forte San Giacomo il lavoro non c’è più di Antonella Danesi Il Tirreno, 13 giugno 2014 Il carcere di Porto Azzurro non è solo una fortezza che tiene reclusi i detenuti. A Forte San Giacomo c’è del buono, come dimostra il panorama delle attività in corso che volontari ed operatori portano avanti pur tra mille difficoltà per i 338 reclusi che oggi sono presenti nella struttura. Eppure, a guardare i dati forniti dalle associazioni, la qualità della vita all’interno del penitenziario, a causa del sovraffollamento e al deperimento delle attività lavorative, sta scendendo in modo preoccupante. Ne hanno parlato le associazioni in un incontro organizzato nella cittadella di Forte San Giacomo per ricordare che "il carcere non è un semplice contenitore di condannati" ma una realtà viva, una struttura che non può restare nascosta al nostro territorio ma che ne fa parte e che rappresenta un potenziale in termini economici e sociale. Una struttura che deve fare i conti con la diminuzione costante di risorse che comporta il venire meno di attività fondamentali per i detenuti tra cui come il lavoro a cui accedono sempre meno. Oggi lavora all’interno del carcere il 20% dei reclusi dell’istituto elbano, a fronte di un buon 80% di alcuni anni fa. Eppure alcune eccellenze dimostrano come sarebbe molto più semplice la vita tra le mura spagnole se tutti potessero portare avanti qualche attività come il panificio in cui ogni notte lavorano cinque detenuti e che sforna tre quintali di pane al giorno e che produce anche pizze, schiacce e dolci. O la mostra artigianale "le valigie di Napoleone" realizzata in sole 12 ore di lavoro e che sarà esposta nella galleria Gulliver a Marciana Marina dal 14 giugno. E poi la scuola, i laboratori di teatrali, le attività di rugby con l’Elba Rugby, nonostante il campo disastrato, il progetto Trio di formazione a distanza, le attività culturali della Unitre, quelle delle associazioni di volontariato Dialogo e San Vincenzo de Paoli , il percorso sull’alcolismo, l’allevamento di api, il progetto europeo sul cibo della Coop Beniamono con Slow Food, la partecipazione come giudici lettori al premio Strega. "Il nostro carcere sta vivendo un periodo di profonda crisi soprattutto di carattere economico - ci ha detto Giuseppina Canu, capo area educativa all’interno del carcere di Porto Azzurro - i detenuti svolgono solo lavori domestici e anche piuttosto limitati. Il 50% di loro è straniero e quindi non può contare su alcuna entrata economica. L’idea è quella di aprire i detenuti ad offerte lavorative per dimostrare che sono in grado di offrire manodopera pronta ad essere reinserita". All’interno del carcere sono state bloccate numerose lavorazioni, di tutti i tipi perché non ci sono più le cosiddette "mercedi", i soldi per poter pagare il carcerato che lavora. Obiettivo dell’amministrazione penitenziaria ora è riattivare queste lavorazioni per impiegare i detenuti in attività lavorative. "Non dimentichiamo - ricorda Canu - che in questi casi chi assume detenuti ha sgravi fiscali, agevolazioni a vantaggio di privati e cooperative. Non siamo una fortezza avulsa ma un grosso potenziale. Chiediamo che il territorio si apra a questa realtà. Ne è un esempio la cooperativa Nesos che lavora all’interno dell’istituto. Qui ci sono laboratori di tutti i tipi, officine meccaniche, carrozzerie, per dirne alcune, che rischiano di diventare obsolete. Con piccoli interventi potrebbero essere riattivate e dare opportunità di lavoro sia ai nostri detenuti che ad esterni". La scuola tiene duro, esami di maturità per sei reclusi La scuola è una delle realtà che resiste alla crisi del carcere. Dall’alfabetizzazione in poi i carcerati possono accedere al percorso scolastico fino all’università, presente con "Universo azzurro" che ogni anno, contando su un contributo della Fondazione Livorno, permette di conseguire una laurea. A breve nel carcere di Porto Azzurro ci sarà un nuovo dottore. Intanto però è tempo di maturità e quest’anno sono sei gli studenti della sezione distaccata del liceo Foresi che puntano al diploma. "La scuola è un’opportunità - ci dice Rashid, uno degli studenti detenuti - ma è difficile. Come detenuti abbiamo dei problemi e spesso non c’è tempo per scrivere una lettera. Allo studio e alla preparazione devo dedicare tutto il tempo che ho a disposizione. Personalmente mi sono ritagliato le ore di studio la sera, quando sono da solo. Cercherò di essere all’altezza, anche per i professori che tengono alla nostra preparazione". E se andrà bene c’è già l’ipotesi dell’iscrizione all’università. "La scuola c’è ma non tutto va come dovrebbe andare - ha commentato Licia Baldi, presidente dell’associazione Dialogo - dobbiamo riuscire a potenziare questo aspetto perché l’istruzione è molto importante per i detenuti e per il loro futuro". Nel penitenziario la mostra dedicata a Napoleone Si chiama "Le valige di Napoleone" ed è una mostra realizzata dai detenuti per celebrare il bicentenario. "La mostra è stata realizzata durante un laboratorio - spiega Simonetta Filippi che ha organizzato il laboratorio - e non era ovvio che avesse questo epilogo perché non tutti i lavori hanno una qualità tale da arrivare ad una galleria d’arte. Quelli realizzati invece sono oggetti, miniature, molto particolari. L’idea è quella di ironizzare sul bicentenario e su Napoleone, anche lui costretto a vivere in un’isola. Una condizione a cui i detenuti si sono sentiti vicini. Napoleone per vivere all’Elba aveva bisogno delle sue cose ed ecco che sono nate le valige con tutto il necessario. Una dimensione di questo avvenimento più umana e anche ironica". La mostra sarà presente dal 14 al 21 giugno alla Galleria Gulliver di Marciana Marina. L’allestimento è a cura di Simonetta Filippi e Clara Rota. Forlì: la Garante in diminuzione il numero dei detenuti e nel 2017 pronta nuova struttura www.forlitoday.it, 13 giugno 2014 Nei giorni scorsi, Desi Bruno, Garante regionale delle persone sottoposte a limitazioni della libertà personale, ha visitato la struttura penitenziaria di Forlì. Meno detenuti, più libertà grazie al regime "celle aperte", più spazio in ogni cella, un buon dialogo con l’amministrazione penitenziaria mentre rimangono difficoltà nei rapporti con la magistratura di sorveglianza: il tutto, in attesa di una nuova struttura prevista per il 2017. Nei giorni scorsi, Desi Bruno, Garante regionale delle persone sottoposte a limitazioni della libertà personale, ha visitato la struttura penitenziaria di Forlì, verificando che il numero dei detenuti presenti, 135 divisi tra 111 uomini e 24 donne, ha subito una riduzione: erano infatti 157 quelli presenti al sopralluogo del dicembre scorso. Quelli con condanna definitiva sono 60, meno degli imputati, che sono 75: un detenuto su quattro è tossicodipendente. Gli stranieri sono 63, otto i detenuti ammessi a lavorare all’esterno su indicazione della direzione dell’istituto. 23, infine, i detenuti cosiddetti "protetti", collocati in apposite sezioni separate dalle altre, in ragione di un reato a sfondo sessuale e di problemi relazionali e di convivenza legati a chiamate in correità, collaborazioni marginali, appartenenza a Forze dell’ordine. Pienamente operativo il regime a celle aperte, con i tutti i detenuti che hanno la possibilità di rimanere all’esterno della cella per almeno otto ore al giorno; dal mese di aprile è intervenuta l’applicazione del regime aperto anche alle sezioni femminili. Criticità di ordine strutturale, evidenzia la Garante, "sono legate alla anzianità della struttura del carcere, i cui ambienti non risultano pienamente congrui, sebbene, dal punto di vista della metratura a disposizione dei detenuti, vengano garantiti almeno tre metri quadri liberi da suppellettili a testa. Particolare cura è stata dedicata agli interni, con gli ambienti tinteggiati in vari colori, anche grazie al contributo del lavoro dei detenuti. Di certo maggiormente adeguati, dal punto di vista degli spazi e della luminosità, risulteranno gli ambienti del nuovo carcere (il trasferimento dovrebbe avvenire in un’area periferica della città e, secondo gli ultimi aggiornamenti, sarà nel 2017)". Nel corso dei colloqui che la Garante ha avuto modo di effettuare con i detenuti, è emerso a più riprese "come dato saliente il riconoscimento da parte della popolazione detenuta dell’attenzione e della predisposizione al dialogo che la direzione e gli operatori dell’Amministrazione penitenziaria quotidianamente dimostrano, agevolando la convivenza ed aiutando a prevenire situazioni di tensione, anche risultando evidente che un contesto caratterizzato da numeri ridotti favorisce l’attenzione nei confronti delle persone. Il clima positivo - sottolinea sempre l’ufficio del Garante - risulta anche dal dato recente fornito dalla direzione, secondo il quale nell’ultimo mese non sarebbe stati mossi rilievi di ordine disciplinare alla popolazione detenuta". Nel corso dei colloqui effettuati, "i detenuti hanno lamentato, per quanto riguarda i rapporti con la magistratura di sorveglianza, lunghi tempi di attesa per le risposte, con riferimento in particolare ai provvedimenti relativi alla fissazione delle camere di consiglio per la concessione delle misure alternative, ai permessi e alla liberazione anticipata. Permane in ogni caso la necessità di procedere all’integrazione dell’organico della Polizia penitenziaria, quantomeno nell’ordine di qualche decina di operatori". Continua l’analisi: "Ancora chiusa la sezione a custodia attenuata per persone tossicodipendenti, con l’Ausl di Forlì che, nel verbale predisposto a seguito del recente sopralluogo al plesso penitenziario del 25 marzo, ha riferito che i problemi che avevano comportato la chiusura della sezione sono stati superati, ma è ancora necessario, al fine della riapertura e della piena fruibilità, raggiungere le condizioni igieniche minime con la manutenzione dell’impianto di riscaldamento, delle docce, con la tinteggiatura dei locali e un’accurata pulizia di tutti gli ambienti e con il completamento della manutenzione dei vani destinati a cucina. L’edificio era stato interessato dal crollo di una falda del tetto che poi è stato ripristinato: il sottotetto, interessato da una nutrita colonia di volatili, poi allontanati, è stato disinfestato". Di "notevole valenza trattamentale" la collaborazione in atto con il Centro per uomini maltrattanti di Forlì: la sperimentazione è rivolta agli autori di reati sessuali che, nella fase che precede le dimissioni, con attività di gruppo dedicate ai sex-offender, vengono presi in carico in carcere, anche verificando la possibilità e/o la disponibilità dello sviluppo di un programma territoriale una volta usciti. Lucca: lavori per altri 35 posti in carcere, ma i sindacati di Polizia penitenziaria dicono no www.luccaindiretta.it, 13 giugno 2014 L’ipotesi di ristrutturazione l’ottava sezione del carcere San Giorgio di Lucca, per ricavarne, in un solo piano, altri 35 posti, scatena i sindacati che rappresentano la Polizia penitenziaria, che in un comunicato congiunto sottoscritto anche da Cisl, Uil, Cgil, Ugl, Sinappe, Osapp, oltre che dal Sappe, sottolineano l’urgenza di altri lavori all’interno della casa circondariale. "Sembra che l’amministrazione sia orientata a ristrutturare parzialmente questo reparto per recuperare un solo piano detentivo per un totale circa di 35 posti. Tutto ciò - sottolineano i sindacati - è inammissibile, in quanto tutti sanno che la struttura del San Giorgio è fatiscente e necessita di lavori urgenti più importanti. La sala colloqui è puntellata da anni - sostengono i sindacati -, è inadeguata e non a norma per effettuare tale servizio alla popolazione detenuta. La sala regia, cuore dell’istituto lucchese necessità di urgenti interventi per la necessaria funzionalità e messa in sicurezza. I detenuti non hanno spazi idonei e sufficienti per effettuare la socialità e le attività trattamentali necessarie a dare uno un po’ svago e dignità ai reclusi". Ma i problemi non sono finiti qui, secondo i sindacati che con una lettera si sono rivolti oltre che al direttore del carcere Francesco Ruello, al prefetto Giovanna Cagliostro, al presidente della Provincia di Lucca, Stefano Baccelli, al sindaco Alessandro Tambellini e al provveditore dell’amministrazione penitenziaria, Carmelo Cantone. "La mensa agenti - aggiungono -, dove tutto il personale è costretto a consumare il pasto, è scandalosa. Non ci sono fondi per rimuovere l’amianto sito in una parte dell’istituto. Per non parlare della caserma agenti e dei posti di servizio del personale di polizia penitenziaria. Nell’istituto lucchese è quasi inesistente qualsiasi forma di automazione, il personale di polizia penitenziaria è costretto ad aprire e chiudere a mano, con pesanti chiavi di ottone, tutti i cancelli o porte di sbarramento". "Aprire nuove sezioni detentive - aggiungono i sindacati -, alla ricerca di nuovi posti per recludere i detenuti senza prima ricercare nuovi spazi per la socializzazione e per le attività trattamentali, limitiamo ulteriormente la circolazione dei detenuti alla fruizione dei limitati spazi già esistenti, aumentando la tensione tra di loro e inevitabilmente innalzando esponenzialmente i carichi di lavoro del personale di polizia penitenziaria, degli operatori e dei relativi rischi connessi. Il reparto da ristrutturare, ha un piano superiore, che per anni è stata la casa di piccioni e altri volatili che hanno sommerso di escrementi. Attualmente i detenuti sono costretti a fare socialità in spazi limitati, non hanno delle strutture idonee per tutte le attività trattamentali, e il Ministero cosa fa ? Spende quasi un milione di euro di soldi pubblici, per fare un nuovo reparto? Adesso che la popolazione detenuta di Lucca viveva una situazione di relativa calma, adesso che si può parlare di qualche progetto formazione con la Provincia o il Comune, non si comprende il perché di aprire un ulteriore reparto per reperire ulteriori posti detentivi. Tutto questo - aggiungono le sigle - non può essere accettato, per questo si sensibilizzano le istituzioni, a volere intervenire, per quanto di vostra competenza, per far sì che non vengano ricercati nuovi posti detentivi, ma piuttosto strutture per la socialità e le attività trattamentali, proprio su questa problematica che riflette per altro la sentenza Torreggiani, la direzione di Lucca e il provveditore di Firenze hanno presentato un progetto per aumentare gli spazi in comune per le attività trattamentali, visto che questi spazi a Lucca sono quasi inesistenti". Viterbo: il Garante; chiudono i reparti di alta sicurezza, proteste dei familiari dei detenuti www.viterbonews24.it, 13 giugno 2014 Chiudono i reparti di Alta Sicurezza del carcere Mammagialla e i detenuti lì ospitati vengono trasferiti a centinaia di chilometri dalle proprie famiglie, senza tener conto della vicinanza degli affetti e dei programmi di recupero avviati. È questo il senso della lettera che il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni ha inviato al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Ad originare l’intervento del Garante, le telefonate e le lettere di protesta giunte in Ufficio da parte dei familiari dei detenuti, che lamentano la casualità delle nuove assegnazioni che non tengono conto della territorialità e della vicinanza dei detenuti alle loro famiglie. La chiusura dei reparti di Alta Sicurezza del carcere viterbese rientra in un più ampio progetto del Dipartimento riguardante la razionalizzazione delle strutture ospitanti l’Alta Sicurezza. "Da quanto ci segnalano - ha detto Marroni - molti di questi trasferimenti sono verso la Sardegna ed il Friuli, aggiungendo così ulteriori e pesanti aggravi, sia fisici che economici per i parenti, a volte molto difficili se non impossibili da superare, per ottenere un colloquio. I trasferimenti debbono invece avvenire nel rispetto del diritto dei detenuti a vedere riconosciuta la vicinanza territoriale con la propria famiglia, come previsto da una Circolare del Dap, la nr. 364/6104". "Nel caso degli allontanamenti susseguenti la decisione di chiudere l’Alta Sicurezza di Viterbo - ha concluso il Garante - il criterio della territorialità non viene assolutamente rispettato, ledendo così un diritto fondamentale, centrale per il reinserimento sociale ed in coerenza con il dettato costituzionale, così come dallo stesso Dipartimento ribadito e positivamente specificato; ma al tempo stesso evidenzia il paradosso che il Dap non rispetta le sue stesse indicazioni, peraltro chiare, precise e dettagliate che esso ha emanato nella suddetta circolare". Firenze: Radicali; il carcere di Sollicciano è da chiudere per pessime condizioni igieniche Tm News, 13 giugno 2014 "Le pessime condizioni igienico-sanitarie, oltre che di sicurezza sui luoghi di lavoro, del carcere fiorentino di Sollicciano imporrebbero l’immediata chiusura della struttura come avverrebbe all’esterno per una qualsiasi attività". Lo dichiarano in una nota il consigliere provinciale radicale, Massimo Lensi, e il segretario dell’Associazione radicale "Andrea Tamburi", Maurizio Buzzegoli, dopo la notizia diffusa dal sindacato Uil-Pa sulla presenza di zecche nelle celle nell’istituto penitenziario di Sollicciano. Solo la scorsa settimana i radicali fiorentini avevano chiesto al neo-sindaco fiorentino di nominare un nuovo garante cittadino dei detenuti perché "la drammaticità quotidiana del carcere fiorentino non può aspettare: per Nardella, la "periferia" di Sollicciano deve diventare una priorità". Lensi e Buzzegoli, hanno rilanciato la lotta sulla Giustizia: "La questione dell’assenza di legalità, di stato di diritto, di democrazia in Italia si risolve solo grazie ai provvedimenti di amnistia e indulto". Foggia: accordo Asl e carcere, "sorveglianza particolare" per detenuti a rischio suicidio www.immediato.net, 13 giugno 2014 "Sorveglianza particolare" per i detenuti con problematiche psichiche e a rischio suicidio. A breve la medicina penitenziaria nelle case circondariali di Foggia e Lucera sarà rafforzata grazie ad un accordo stipulato con la Asl di Foggia. L’intervento, finalizzato a prevenire il rischio autolesivo in persone provenienti dallo stato di libertà o condizioni di disagio manifestati da soggetti già in stato di detenzione, prevede una intensificazione della consulenza psicologica e neuropsichiatrica. I detenuti, dal momento del loro arrivo e durante l’intera esecuzione della pena, riceveranno, nei casi in cui verrà riscontrato uno stato di disagio, assistenza psicologica da una equipe multidisciplinare, composta da personale interno al carcere e del Dipartimento di Salute Mentale della Asl Foggia. Compito dell’equipe specializzata sarà quello di redigere un programma individualizzato di assistenza e cura, con la definizione di interventi professionali specifici a breve, lungo e medio termine. Il monitoraggio dei detenuti sottoposti ad assistenza psicologica particolare avverrà periodicamente attraverso la valutazione congiunta con le rispettive direzioni dei due carceri, le quali riserveranno una stanza allestita in modo tale da assicurare l’incolumità dei soggetti che richiederanno un attento monitoraggio custodiale e sanitario. Al termine dell’esecuzione della pena, i soggetti con problematiche psichiche che rientreranno nel territorio di provenienza saranno presi a carico dal personale delle Asl competenti. Il protocollo d’intesa è stato firmato dal direttore generale Attilio Manfrini, dal direttore della Casa circondariale di Foggia Mariella Affatato e dal quella del Carcere di Lucera Davide Di Florio. Trieste: il Coroneo è un forno, reclusi allo stremo… la denuncia dell’avvocato Mameli di Laura Tonero Il Piccolo, 13 giugno 2014 L’afa di questi giorni peggiora la situazione di chi vive dietro le sbarre del Coroneo. Cinque, sei, sette detenuti per cella, con temperature torrenziali, alterano gli equilibri di quel piccolo mondo separato dal resto della città. Lì di fronte ad una capienza regolamentare di 155 detenuti, sono rinchiuse ad oggi 238 persone. 83 oltre la norma. Durante i colloqui con i loro parenti o con i legali che li difendono nell’iter giudiziario che li vede coinvolti, i carcerati lamentano una situazione estrema, difficile da reggere, al limite dal malore. L’aria irrespirabile di queste giornate umide e con temperature da capogiro, rende ancora più precaria la vita di chi si trova a scontare mesi o addirittura noi di pena. L’emergenza caldo rischia di far esplodere un sistema minato da sovraffollamento e carenza di organico di polizia penitenziaria. "La situazione nel tempo non è cambiata - evidenzia il direttore della casa circondariale, Ottavio Casarano - per dare un aiuto abbiamo aperto le porte delle celle permettendo alle persone detenute di deambulare anche nei corridoi della sezione. Garantendo così - continua - anche l’accesso alle docce in qualsiasi momento". Per ora la situazione resta sotto controllo ma è risaputo che di fronte a centinaia di detenuti stipati e il caldo che si fa sentire, qualsiasi contatto fisico, esasperato dalla mancanza d’aria, diventa una scintilla che rischia di far saltare tutto. Il Coroneo, a parte il sovraffollamento, viene considerato un carcere modello ma in questo periodo diventa a rischio. "Ci attrezzeremo per mettere in atto ulteriori provvedimenti che diano un supporto maggiore", assicura il direttore della struttura. I parenti andando a trovare chi il figlio, chi il marito, chi il fratello rinchiuso dietro le sbarre, riferiscono di una situazione al limite. Degenerata in questi giorni di caldo torrido. Di questa situazione si sono fatti carico anche alcuni legali triestini che per tutelare i loro clienti hanno evidenziato all’amministrazione penitenziaria le difficili condizioni in cui sono costretti a vivere. Sulle spalle il pesante fardello della pena, reso ancora più insopportabile da condizioni al limite del vivibile. "La situazione del sovraffollamento denunciata da tempo dai detenuti, da chi li difende, dalla polizia penitenziaria e dallo stesso direttore del carcere, non è migliorata - dichiara Sergio Mameli, avvocato penalista da sempre molto presente con le persone che difende e che si trovano dietro alle sbarre - le metrature delle celle messe in relazione con il numero di persone ospitate non è a norma". Ma cosa si poterebbe fare nell’immediato per alleggerire questa situazione ormai diventata cronica? Un’amnistia? "Non servono nuovi strumenti - spiega Mameli - gli strumenti per mettere fuori dal carcere la gente ci sono già: basta applicarli con una certa umanità". Gli avvocati, i magistrati e i parenti che si recano ai colloqui, incontrano i reclusi nelle stanze predisposte al piano terra della struttura di via del Coroneo. Lì un sistema di ventilazione rende la situazione sotto controllo. Il caldo non si sente. È nelle celle che la situazione si fa pesante. L’ora d’aria non aiuta. Lo spazio concesso consiste in un piccolo cortile di cemento che il sole rende impraticabile per la maggior parte della giornata rendendo le pene da scontare ancora più pesanti. Nei prossimi giorni alcuni parlamentari hanno preannunciato che si recheranno al Coroneo per un sopralluogo, per toccare con mano questa pesante situazione. Ma magari l’afa se ne sarà già andata. Novara: detenuti al lavoro per la pulizia straordinaria del "Giardino 11 settembre 2011" www.novaratoday.it, 13 giugno 2014 Si sono svolti mercoledì mattina i lavori di sistemazione del "Giardino 11 settembre 2011". L’intervento rientra nell’ambito delle giornate di "Recupero del patrimonio ambientale". Coordinati e supportati operativamente e logisticamente da Assa, si sono svolti ieri mattina, mercoledì 11 giugno, i lavori di pulizia e sistemazione del "Giardino 11 settembre 2011" di via Regaldi, eseguiti dai detenuti della Casa Circondariale di via Sforzesca nella quinta giornata di "Recupero del patrimonio ambientale". "Abbiamo scelto di intervenire in quest’area verde della città, che è di alta fruizione e di grande passaggio - ha spiegato il presidente del Cda di Assa Marcello Marzo - in quanto necessitava proprio di un lavoro straordinario di pulizia e di riordino, in particolare con l’arrivo dell’estate. A costi minimi abbiamo ripristinato il decoro a beneficio di tutti coloro che ne fruiscono che ci auguriamo lo facciano sempre seguendo le buone norme del vivere civile e del rispetto dell’ambiente, utilizzando gli appositi cestini stradali per gettarvi i rifiuti da passeggio". Sono stati rimossi i rifiuti abbandonati nel verde delle aiuole e i bivacchi tra le siepi e gli arbusti, è stata effettuata la mondatura infestanti, sono stati puliti vialetti e rampe, sono stati mondati i polloni dei tigli, è stata fatta la spalcatura dei rami delle piante dei filari, sono state pulite le griglie di raccolta acque piovane ostruite da terra e sassi, è stato ripristinato il muro a secco di contenimento, crollato in più punti in parte per cedimento del terreno e in parte per atti vandalici. Nella prossima giornata di "Recupero del patrimonio ambientale", in programma per mercoledì 18 giugno, l’intervento sarà effettuato nell’area verde di via Solferino. Castrovillari (Cs): detenuti-volontari per la prevenzione incendi nel Parco del Pollino Gazzetta del Sud, 13 giugno 2014 Siglato un protocollo tra il Parco del Pollino e la direzione del carcere di Castrovillari per l’utilizzo di venti detenuti nelle postazioni di avvistamento per la prevenzione degli incendi boschivi. I detenuti utilizzati come volontari nella prevenzione degli incendi boschivi. È stato firmato ieri nella sala conferenze della Comunità del Parco nazionale del Pollino a Castrovillari, il protocollo d’intesa tra Ente Parco Nazionale del Pollino, la direzione della casa circondariale di Castrovillari e l’associazione di volontariato Anas, Associazione Nazionale di Azione Sociale. "Il protocollo - spiega l’Ente Parco - prevede l’utilizzo di detenuti dell’Istituto Penitenziario di Castrovillari per l’attività di avvistamento degli incendi boschivi. Presenti il presidente del Parco, Domenico Pappaterra, il direttore del penitenziario, Fedele Rizzo e la criminologa Tullia Lio e il presidente di Anas, Giuseppe Lufrano. I detenuti che saranno impegnati nella campagna di avvistamento degli incendi boschivi saranno 5, ma sulla base di una turnazione ne saranno impiegati circa venti. L’attività di avvistamento sarà svolta in località "Petrosa", nel comune di Castrovillari, nei pressi, quindi, della casa circondariale stessa e avverrà nei giorni di lunedì, mercoledì e venerdì dalle ore 7 alle ore 11". Oltre a contrastare il fenomeno degli incendi boschivi, l’iniziativa, unica in Italia è - prosegue la nota - frutto di un accordo stipulato tra ministero della Giustizia e dell’Ambiente che si impegnano a promuovere l’utilizzo della popolazione in esecuzione di pena al fine di favorire la reintegrazione sociale dei condannati e diminuire il rischio di recidiva e promuove, appunto, l’inserimento e la conseguente inclusione sociale di persone svantaggiate. Sassari: processo per morte in carcere. L’avvocato Rovelli "Erittu vittima di un sistema" di Nadia Cossu La Nuova Sardegna, 13 giugno 2014 Il difensore di Pino Vandi (imputato di omicidio): il detenuto non è stato ucciso, il suo è un atto dimostrativo finito male. Chiude con parole pungenti e severe la sua arringa cominciata alle dieci del mattino e conclusa poco prima delle 16. E lo fa con un pensiero rivolto alla vera vittima di tutta questa storia: Marco Erittu. La fragilità della vittima. L’avvocato Patrizio Rovelli, che insieme al collega Pasqualino Federici difende Pino Vandi nel processo per il giallo di San Sebastiano, ormai a pomeriggio inoltrato ha solo un filo di voce. Quanto basta però per dire ai giudici della corte d’assise che "Marco Erittu è stato vittima di un sistema sbagliato, di una legge sbagliata, di uno Stato che a volte diventa una macchina di morte". Il riferimento è alla detenzione in carcere di un uomo che da tempo chiedeva di poter respirare un po’ di libertà: "Voleva tornare a casa - ha detto Rovelli - ed era un suo diritto ambire a questo perché non si sta in carcere per dieci grammi di eroina". Secondo l’avvocato, Erittu non fu ucciso su mandato di Vandi (che lui difende in questo processo insieme al collega Pasqualino Federici). Le cose andarono diversamente: lo stato d’animo della vittima sarebbe all’origine dell’ennesimo gesto autolesionistico che però, quel giorno, gli sfuggì di mano: "Il 18 novembre 2007 Erittu voleva solo protestare. Era in cella, ha sentito i passi delle guardie e ha messo in atto il suo piano, ha fatto cadere il braccio a penzoloni perché lo vedessero dall’esterno ma purtroppo la trazione è stata fatale". E che fosse alto il rischio di un suicidio, come ha ricordato sempre Rovelli, lo aveva sostenuto anche chi aveva avuto modo di visitare il detenuto. "La sua personalità era fragile, era molto preoccupato per la compagna Vittoria con la quale aveva un rapporto dolcissimo, aveva perso due figli ancora prima che venissero al mondo. Questo era Marco Erittu". Un uomo in difficoltà "molto prima dell’arrivo di Vandi a San Sebastiano" ha puntualizzato l’avvocato. Il reo confesso Bigella. Giuseppe Bigella è colui che con la sua confessione ha fatto sì che la Procura della Repubblica riaprisse un caso già archiviato come suicidio e indagasse invece per omicidio. "Una personalità subdola la sua - ricorda Rovelli - pregiudicata da un problema certamente di natura psichiatrica. Con una volontà perfida di inquinamento probatorio". Lo fa nel caso Erittu, quando racconta di averlo soffocato con una busta di plastica mentre Nicolino Pinna avrebbe dovuto simulare il suicidio tagliando una striscia di coperta, e lo fa nel caso dell’omicidio della gioielliera Zirulia (per questo delitto Bigella è stato condannato a 30 anni). Tecnica omicidiaria e letteratura. L’avvocato Rovelli è molto scrupoloso. Insieme allo staff di collaboratori del suo studio ha spulciato la casistica. "Non esiste nella letteratura scientifica alcun caso in cui una persona libera nei movimenti possa morire così come sarebbe morto Erittu secondo il racconto di Bigella. E a lui chiesi infatti dove avesse appreso quella tecnica omicidiaria. Mi rispose: "Bella domanda!", per poi aggiungere che nello stesso modo aveva ucciso Fernanda Zirulia, soffocandola con un sacchetto". Si indigna su questo punto Patrizio Rovelli, mentre tiene tra le mani le foto della scena di quel delitto: "Quella dinamica è stata clamorosamente smentita. Perché Bigella ha accoltellato undici volte la povera donna e ha infierito anche quando era già in un lago di sangue considerato che la lama aveva reciso la carotide". La lettera di Erittu. Tutte le parti del processo si sono soffermate su questo elemento. Su uno scritto che la vittima aveva indirizzato all’allora procuratore della Repubblica Porqueddu. E che però non sarebbe mai arrivato a destinazione. Secondo Bigella, Marco Erittu voleva raccontare ciò che sapeva del coinvolgimento di Vandi nella sparizione del muratore di Ossi Giuseppe Sechi e nel sequestro del farmacista di Orune Paoletto Ruiu. Per questa ragione la missiva non doveva arrivare negli uffici della Procura. "È incredibile sostenere che qualcuno l’abbia fatta sparire. Non ci sono prove di questo ed è invece molto più probabile che la lettera sia partita e si sia persa per strada. Oltretutto, dire che quello scritto contenesse dettagli sulla scomparsa di Sechi significa stare fuori dal processo". Gli altri elementi. Si sofferma poi sul fatto che al contrario di quanto raccontato da Bigella "nessuna traccia di vomito è stata riscontrata nella vittima, nel materasso, sul cuscino, per terra". E richiama poi la perizia Avato: "Non è stata una morte da confinamento ma da impiccamento incompleto. Una doppia voluta con una striscia di coperta legata al letto e una trazione che ha lasciato un segno di tre centimetri sul collo". Rovelli evidenzia poi un’altra incongruenza nel racconto del reo confesso: "Dice che Erittu gli è morto tra le braccia eppure quando intervengono i soccorsi, circa quaranta minuti dopo l’allarme, cercano di rianimarlo perché evidentemente si rendono conto che è ancora in vita. E allora la verità è che il racconto di Bigella è frutto di una pura invenzione". La parola passerà il 19 all’avvocato Federici. Brescia: detenuto ingiustamente, ex assessore leghista risarcito con 16.900 euro di Wilma Petenzi Corriere della Sera, 13 giugno 2014 Sedicimila novecento euro. È il risarcimento stabilito dai giudici della corte d’appello (presidente Enrico Fischetti, consiglieri Ettore Di Fazio e Annamaria Laneri) a favore di Mauro Galeazzi per l’ingiusta detenzione subita nel 2011. Accusato di corruzione per aver ricevuto denaro, o la promessa di riceverne, in qualità di assessore leghista all’Urbanistica nel comune di Castelmella e di peculato per aver utilizzato il cellulare di servizio, intestato alla Provincia, per 391 telefonate a fini esclusivamente privati, Galeazzi era stato detenuto dal 20 aprile al 3 maggio. Tredici giorni che per i giudici valgono 16.900 euro. Per il risarcimento il sostituto procuratore generale nell’udienza camerale dello scorso 22 maggio aveva chiesto un risarcimento di cinquemila euro. Cifra che per i giudici - vista la decisione finale della prima sezione penale - non si avvicinava nemmeno al risarcimento corretto. "Facendo ricorso al criterio equitativo, dal momento che non è stata allegata nè dedotta la ricorrenza di uno specifico danno d’immagine e non essendo stato allegato che l’interessato è stato allontanato dal gruppo politico di riferimento - scrivono i giudici - o che sia stato rimosso da cariche in seno ad esso, in conformità con i consueti criteri adottati l’indennizzo può essere liquidato nella misura di 6.500 euro per danno non patrimoniale, dunque riferibile alla condizione di sofferenza personale nella misura di 500 euro per ogni giorno di restrizione e di 10.400 euro per danno di immagine, parametrato a 800 euro giornalieri, per un complessivo di 16.900 euro". Per i giudici, visto che non c’era espressa richiesta "nulla va riconosciuto per le spese giudiziali". Soddisfatto Galeazzi che, assistito dall’avvocato Marino Colosio, aveva presentato la richiesta di equa riparazione per ingiusta detenzione. "È contento della decisione presa dai giudici - spiega l’avvocato Colosio - Sarà ripagato per tutti i giorni trascorsi in carcere senza essere colpevole e sarà ripagato anche per il danno di immagine inevitabilmente subito da questa vicenda". Galeazzi era stato arrestato il 20 aprile 2011 in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare richiesta dalla procura ed emessa il 19 aprile 2011. L’ordinanza era stata notificata anche a altre tre persone. Pesanti le accuse a carico di Galeazzi: "in qualità di assessore all’urbanistica del Comune di Castelmella ed in concorso con Marco Rigosa, responsabile dell’area urbanistico edilizia, aveva ricevuto la somma di 10.000 euro, o la promessa dei soldi, al fine di assicurare a Antonio Tassone - scrivono i giudici della corte d’appello rievocando la vicenda giudiziaria - un’immediata e celere adozione del piano attuativo 13 che comprendeva anche un’area commerciale per la quale Tassone aveva presentato richiesta di permesso di costruire". A Galeazzi la procura contestava anche l’uso privato del telefono di servizio. Interrogato il 22 aprile Galeazzi forniva le proprie spiegazioni, ma la misura cautelare non veniva né revocata, nè sostituita con una meno afflittiva. Il 3 maggio 2011 Galeazzi veniva scarcerato dal tribunale del riesame per mancanza di gravi indizi: i giudici stabilivano che le "risultanze fattuali non indicavano che il riscontrato interessamento dell’imputato alla positiva conclusione dell’iter amministrativo, diretto all’adozione del piano di lottizzazione, fosse dipeso da una promessa di denaro, essendo ciò escluso dagli altri soggetti indagati" per i giudici del riesame era significativo che Galeazzi aveva sostituito Rigosa (che con Tassone è stato condannato lo scorso luglio) con un altro tecnico "circostanza poco compatibile con l’ipotizzato concorso tra i due". Nell’udienza preliminare del 20 marzo 2012 il Gup dichiarò nei confronti di Galeazzi il non luogo a procedere per il peculato, mentre l’addebito di corruzione era già stato archiviato. "Gli addebito formulati in origine nei confronti di Galeazzi - scrivono i giudici d’appello - non hanno poi trovato positivo riscontro nelle ulteriori fasi processuali: sia l’archiviazione del peculato che il non luogo a procedere per il peculato "hanno di fatto recepito le spiegazioni che lo stesso Galeazzi aveva fornito già al momento dell’interrogatorio di garanzia". I giudici non hanno potuto che concludere che "la restrizione subita dall’odierno ricorrente non è stata in nessun modo determinata dai suoi comportamenti poco chiari, o che comunque possano aver concorso a darvi causa". Tutte considerazioni che hanno portato i giudici a decidere la somma dovuta a Galeazzi per ripagare il danno subito. Santa Maria C.V. (Ce): i Radicali aprono tavolo con tutte le forze sul degrado del carcere www.casertafocus.net, 13 giugno 2014 Nelle ultime settimane l’Associazione Radicale "Legalità e Trasparenza" ha avviato un cantiere di proposta con svariate formazioni politiche presenti in parlamento, della provincia di Caserta, sulla questione giustizia e in particolare sulle condizioni della struttura penitenziaria di Santa Maria Capua Vetere. Nel corso di tali riunioni che hanno visto la presenza di Luca Bove Segretario dell’Associazione Radicale e Domenico Letizia dei Radicali Caserta, Mimmo dell’Aquila e Vitaliano D’Abronzo del Partito Socialista di Caserta, Giuseppe Spezia di Sinistra Ecologia e Libertà, Giovanna Maietta di Fratelli d’Italia, Alessandra Gatto di Centro Democratico, Teresa Ucciero, e rappresentanti di Scelta Civica, inoltre, tali riunioni, hanno visto la partecipazione di Gennaro Oliviero, Consigliere regionale del Psi, e Vincenzo D’Anna, senatore del gruppo Gal. In queste riunioni sono state approvate varie iniziative da intraprendere sulla questione della struttura carceraria di Santa Maria Capua Vetere, sono state affrontate tematiche riguardanti il degrado della struttura, l’assistenza sanitaria nella struttura e la sistematica mancanza di acqua registrata, con particolarità, nei mesi estivi. La prima proposta di questo coordinamento è stata la presentazione di un’interpellanza al Ministro della Giustizia, Andrea Orlando, presentata dal senatore D’Anna e altri parlamentari del casertano sensibili alla tematica. Luca Bove e Domenico Letizia, componenti dell’Associazione Radicale di Caserta dichiarano: "Nostro obiettivo è tenere continuamente sotto monitoraggio la struttura penitenziaria "La Nuova Casa Circondariale - Santa Maria Capua Vetere", evidenziando e proponendo soluzioni alle condizioni degradanti della struttura a partire dalla mancanza di acqua nelle celle, sempre registrata nel corso di questi anni. Inoltre, ribadendo la nostra proposta di Amnistia per la Repubblica cercheremo di lanciare un tavolo di lavoro con il comune di Santa Maria Capua Vetere per allacciare la rete idrica comunale alla struttura penitenziaria. Prossima iniziativa sarà quella di svariati sit-in presso la struttura penitenziaria". Padova: agente di Polizia penitenziaria carcere ferita da un amico detenuto in permesso Ansa, 13 giugno 2014 Un’agente della Polizia penitenziaria è stata ferita con un colpo d’arma da fuoco esploso nel corso di una lite da un detenuto in permesso premio, con il quale da tempo ha un rapporto di amicizia. La donna, accompagnata in ospedale dallo stesso feritore, è stata operata e ricoverata in prognosi riservata ma non è in pericolo di vita. il ferimento è avvenuto nella tarda serata nell’appartamento dell’agente, a Limena (Padova). L’uomo, 45 anni, per sparare avrebbe usato una pistola-giocattolo modificata, che è stata sequestrata dagli agenti della Questura di Padova. La donna sarebbe stata colpita alla testa. Il detenuto, ricondotto alla Casa di Reclusione, oltre alla violazione delle regole sul permesso premio, dovrà rispondere di lesioni gravi e detenzione dell’arma. Bologna: quattrocento euro per far studiare gli studenti universitari rinchiusi in carcere Dire, 13 giugno 2014 Un contributo di 400 euro per ogni studente in carcere alla Dozza. Lo assegna una delibera della giunta regionale che oggi ha avuto l’ok della commissione Cultura di viale Moro. Si tratta di un intervento "regionale a carattere sperimentale", previsto per gli "anni accademici 2014-2015 e 2015-2016" e rivolto "alle persone detenute presso la Casa circondariale di Bologna". L’obiettivo: "favorire e promuovere in condizioni di pari opportunità l’accesso ai più alti livelli formativi". Il tutto, spiega ancora la Regione, per "supportare l’iniziativa denominata Polo universitario penitenziario, già avviata dall’Università di Bologna, dal provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria e dalla direzione della Casa circondariale di Bologna". I contributi saranno assegnati "a ogni studente detenuto presso la Casa circondariale di Bologna, iscritto a corsi di studio universitari presso l’Università di Bologna, a parziale copertura delle spese di iscrizione e sostegno allo studio". Isernia: per il 5 luglio attesa la visita di Papa Francesco, incontrerà malati e detenuti Il Tempo, 13 giugno 2014 L’abbraccio con i detenuti e con i malati, prima del discorso ai fedeli in piazza della Cattedrale. E poi quattro chilometri a bordo della papamobile per salutare le oltre 40mila persone che arriveranno in città. Definito nei dettagli il programma per la visita del 5 luglio, Isernia è pronta per accogliere Papa Francesco. Una macchina organizzativa imponente quella che si è messa in moto per un evento che passerà alla storia. L’arrivo del pontefice da Castelpetroso è fissato alle ore 16.00. Nei pressi della questura salirà a bordo della papamobile e percorrerà tutto viale dei Pentri per raggiungere il carcere di Ponte San Leonardo. Nel piazzale del penitenziario il saluto con i rappresentanti delle istituzioni. Poi l’incontro privato con i detenuti. Intorno alle 17 il pontefice salirà di nuovo sulla papa mobile per percorrere prima via Latina e quindi Corso Garibaldi. Arriverà alla Stazione dove si sta predisponendo un anello per girare intorno alla piazza. Quindi scenderà verso il tribunale dove, in piazza Tedeschi, è previsto un altro momento di incontro. Da lì l’ingresso nel centro storico per raggiungere la Cattedrale, con due possibili soste: nelle piazze Celestino V e XX Settembre. L’incontro con i malati, anche questo privato, è previsto per le 18. Dopo Papa Francesco salirà sul palco allestito in piazza A. d’Isernia. Alle 18.45 la ripartenza ripercorrendo lo stesso tragitto a per raggiungere il comando dei Vigili del Fuoco dove ad attenderlo ci sarà l’elicottero che decollerà alle 19.45 alla volta di Roma. Saranno sette i punti di raccolta disseminati lungo il tragitto e gestiti dalle parrocchie di Isernia per i quali occorrerà essere muniti di pass. Ottomila in tutto. Gli altri pellegrini potranno liberamente disporsi lungo il tragitto fino alle ore 13 di sabato, quando tutti i varchi saranno chiusi e controllati per mettere in sicurezza il percorso. Sul piazzale della Cattedrale l’amministrazione comunale ha predisposto 1.700 posti a sedere per i fedeli. Diversi maxischermi saranno invece allestiti nel punti strategici del capoluogo e diffonderanno le immagini della visita del Santo Padre sin dal suo arrivo a Campobasso. Pullman di pellegrini ed auto dovranno essere sistemati in speciali centri di raccolta allestiti all’estrema periferia della città. Sarà poi un servizio navetta a trasportare i fedeli nel centro urbano. Per i disabili si farà il possibile per farli avvicinare al percorso del Papa, con l’ausilio dei taxi della solidarietà. Centinaia gli agenti e i carabinieri impegnati sul territorio, insieme alle altre forze dell’ordine e a circa 1500 volontari. I dettagli sono stati illustrati ieri mattina dall’arcivescovo di Capua, Salvatore Visco, che il 28 giugno lascerà a monsignor Camillo Cibotti la diocesi di Isernia - Venafro. Con lui il questore Salvatore Torre, il responsabile del coordinamento per la Curia don Francesco Bovino e l’assessore comunale Cosmo Galasso. Una data importante poi quella del 5 luglio per i fedeli di tutta la provincia. La visita del Papa Francesco infatti coinciderà con l’apertura dell’anno giubilare celestiniano a ottocento anni dalla nascita di Celestino V. Nuoro: permesso per Marcello Dell’Anna… un ergastolano in libera uscita come attore di Luciano Piras La Nuova Sardegna, 13 giugno 2014 "È proprio quello che vorrei fare: raccontare bene la storia di ognuno di voi". Gli risponde Aniello: "E quanto pensi gliene fotte alla gente?". Il giornalista insiste: "Sbagliate a pensare questo. C’è un’attesa morbosa lì fuori. Ci sono almeno tre produzioni televisive che farebbero follie per dare un’intervista con voi in diretta. Se mi deste questa possibilità in dieci minuti torno qui con un cameraman. Ditemi soltanto con chi volete trattare. La televisione di Stato ha meno soldi, ma c’è chi vi farebbe proposte faraoniche". Lo spettacolo è andato avanti così, ieri sera al teatro Eliseo di via Roma, tra batti e ribatti, droga, soldi, pistole, urla, buio. È proprio dal buio della scena che è spuntato fuori un attore davvero speciale: Marcello Dell’Anna, ergastolano pugliese detenuto a Badu e Carros, per una sera nei panni di un giornalista. Pochi minuti di gloria sul palco per una grande scommessa vinta da Nuoro. Un caso unico in Italia, destinato certamente a lasciare il segno. Marcello Dell’Anna, infatti, non è un detenuto "qualsiasi": 46 anni, da 23 in carcere, è condannato all’ergastolo ostativo (per reati associativi) e dunque destinato a morire in galera. Fine pena mai, insomma. Un ex boss della Sacra corona unita, lo chiamano con fare sbrigativo. Ma boss forse non lo è mai stato. E la Sacra corona unita "non è per nulla sacra, non ha alcuna corona e non è per niente unita, quando mai?" commenta lui. Il progetto. Pugliese di Nardò, sposato, padre di un venticinquenne, e dal 25 maggio 2012 dottore in Giurisprudenza, con il massimo dei voti, laurea conseguita all’università di Pisa quando era detenuto a Spoleto. Da luglio del 2013 è rinchiuso a Badu e Carros, il penitenziario della rinascita, della seconda occasione. Non soltanto perché proprio nella prigione barbaricina Dell’Anna ha avuto la possibilità di salire in cattedra grazie al progetto "Carcere: diritto penitenziario dentro e fuori" realizzato dalla Scuola forense di Nuoro in collaborazione con la direzione della Casa circondariale. L’Europa. Ieri sera è andato molto oltre, il sistema penitenziario italiano ha dimostrato che l’Europa dei diritti civili non è poi così lontana. Benché condannato all’ergastolo ostativo, Marcello Dell’Anna ha avuto un permesso che mai avrebbe avuto se non ci fossero magistrati e istituzioni illuminate. Così, ieri sera all’Eliseo, quel boss ragazzino che oggi non esiste più, è diventato uno dei protagonisti di "La fine all’alba". Lo spettacolo che i detenuti di Roma Rebibbia hanno portato a Nuoro, tappa unica in Sardegna, con la Compagnia teatro stabile Assai. "Un’esperienza incredibile, sia sotto il profilo umano che sotto il profilo professionale, a dimostrazione che anche le cose apparentemente impossibili possono diventare possibili" dice Monica Murru, avvocato dell’avvocato Dell’Anna, lei che è anche l’anima del progetto "Carcere: diritto penitenziario dentro e fuori". Tutto è possibile. "Il risultato straordinario raggiunto è il frutto di una sinergia di forze e di determinazione dove tutti hanno svolto al massimo il loro ruolo, senza risparmio e con costante passione, e per tutti intendo la Scuola forense di Nuoro diretta dall’avvocato Martino Salis, la direzione della Casa circondariale di Badu e Carros con la dottoressa Carla Ciavarella, l’area educativa, il corpo della polizia penitenziaria guidata dal comandante Alessandro Caria, la magistratura di sorveglianza con dottor Riccardo De Vito e la dottoressa Adriana Carta, il garante per i diritti dei detenuti Gianfranco Oppo che hanno lavorato unitamente alla sottoscritta ed al dottor Marcello Dell’Anna per vincere quella che è stata giustamente chiamata scommessa trattamentale". L’impegno. "L’impegno profuso in questi mesi - chiude Monica Murru - si è concretizzato non solo nella realizzazione di una dispensa (redatta da me e Dell’Anna) che, corredata di un pratico formulario di diritto penitenziario (unico nel suo genere) raccoglie l’approfondimento degli atti del seminario tenutosi a febbraio e marzo nella Casa circondariale ma nell’opportunità di cambiamento offerta sia allo stesso Dell’Anna che alla Società tutta". Una perla giurisprudenziale, prima l’uomo del fascicolo "L’apertura del carcere a giornate di studio (questo pomeriggio il convegno finale a Badu e Carros, ndr) con un ergastolano ostativo tra i relatori è servita a focalizzare l’attenzione sulla validità di nuove prassi operative, suscitando entusiasmo e aspettative, in un percorso culminato nella giornata di ieri che ha visto la presenza di Marcello Dell’Anna al teatro Eliseo nella veste di attore" sottolinea Monica Murru. "Il permesso di partecipare all’iniziativa concessogli dal dottor Riccardo De Vito (dalle ore 17 alle 24) è una perla giurisprudenziale dove l’interpretazione normativa emerge come frutto di grande apertura mentale e lungimiranza secondo un’attenta lettura che riesce a vedere l’uomo e non solo il fascicolo". "L’emozione fortissima di uscire di nuovo dal carcere dopo due anni, di calcare il palcoscenico, di respirare l’aria della società civile ha senz’altro frastornato Dell’Anna che in questi mesi ho imparato a conoscere, facendogli quasi da tutor in questa sua strada di vera e concreta resipiscenza, regalandogli però il coraggio di andare avanti e restituendogli il diritto alla speranza che deve essere garantito ad ogni essere umano". Sono così felice... quasi quasi ancora non ci credo, di Marcello Dell’Anna Aldilà di ogni retorica, il fatto di aver partecipato nei mesi scorsi ai seminari di studi giuridici e di non vestire i panni da detenuto e indossare, invece, quelli di coordinatore/relatore, ritengo sia stato un evento straordinario sotto diversi aspetti. Non solo perché questo pregevole incarico mi ha dato l’opportunità di sentirmi davvero realizzato, tanto dal punto di vista professionale quanto da quello antropico, dimostrando così che la persona non è immutabile e che, quindi, l’uomo della pena di oggi non è più l’uomo del reato di ieri. Ma, anche e soprattutto perché dietro la realizzazione di questi seminari di studio c’è stato un grande lavoro, una vera scommessa, da parte delle istituzioni carcerarie e di esperti di alto profilo del mondo dell’avvocatura e della Scuola forense nuorese. Ovviamente, con la mia partecipazione non ho voluto avere la pretesa di insegnare nulla a nessuno ma solo di consegnare la mia esperienza di vita, lamia storia, il mio percorso di emenda e di riparazione intrapreso con e per la comunità esterna. Ecco: le carceri, per quanto distanti possano essere percepite da molti, presentano inaspettatamente delle risorse, delle sorprese e, soprattutto, delle scommesse e delle rivincite. Questo ambizioso progetto, quindi, non si è fermato in quelle quattro giornate di convegni, come accade di solito, per poi dimenticarsene già all’indomani di tutto quello di cui si è discusso, ma ha avuto un suo continuum. Da quegli incontri e con il gentile patrocinio dei promotori di questo ambizioso e autorevole progetto, ossia l’avvocato Monica Murru, l’avvocato Martino Salis presidente della Scuola forense di Nuoro, e la direzione del carcere di Nuoro, mi sono impegnato a riorganizzare gli atti del convegno in una dispensa che è stata corredata, oltre che di speciali approfondimenti su alcuni temi trattati con il riporto a sentenze e ordinanze inedite, anche di un formulario contenente una serie di istanze, personalmente redatte, già "testate" nella pratica con esito positivo. Ma questa non è la sola notizia inedita, ve n’è un’altra, per me molto più bella. La novità sta nel fatto che partecipo come interprete allo spettacolo teatrale La fine all’alba (ieri sera al teatro Eliseo, ndr), insieme alla Compagnia teatrale stabile Assai di Roma Rebibbia, con la quale coopero da tempo. Per tale evento, infatti, mi è stato concesso un permesso. Sono così felice che quasi quasi ancora non ci credo. Al Teatro Eliseo di Nuoro! È un’emozione che non so descrivere. Sicuramente un’altra esperienza indimenticabile come quella fatta due anni fa quando sono uscito da uomo libero 16 ore per andare a discutere la tesi di laurea. Uscire dopo 23 anni di ininterrotta detenzione non è facile. Vorrei che a teatro, oltre alle personalità istituzionali, ci fossero tanti ragazzi, tanti studenti, soprattutto coloro che studiano Legge, perché dovrebbero conoscere direttamente queste iniziative che racchiudono "storie di vita" molto forti di coloro che oggi hanno deciso di fare un percorso all’incontrario "dall’illegalità alla legalità". Proprio come il mio. Oggi, senza sminuire le mie colpe e il mio peccato, il fatto che mi trovi in carcere, io e la mia vita spezzata veniamo per ultimi: ed è giusto così, perché in fondo... io me la sono cercata. Le vittime delle mie sciagurate azioni, loro invece non hanno fatto nulla, ma proprio nulla, per meritarsi il dolore, l’angoscia e i mille disagi materiali e morali che ho potuto procurare. Vorrei che questo messaggio passasse senza voler sminuire in alcun modo le mie responsabilità, senza cercare giustificazioni, senza avere un atteggiamento vittimistico. Per quel che può servire, dico solo che lamia è una contrizione vera, reale e che la vendetta sociale non fa bene a nessuno. Non è giustizia. Spesso, ferisce più chi la pratica di chi la subisce. Milano: ballare il flamenco a San Vittore… con la compagna PuntoFlamencoEnsemble di Valentina Ravizza Io Donna, 13 giugno 2014 Maria Rosaria Mottola, direttrice della compagnia italo-spagnola PuntoFlamencoEnsemble lo insegna alle detenute. Per scaricare le energie, riscoprire la sensualità del corpo e ritrovare fiducia. Lo schioccare irrequieto delle nacchere e la malinconia della chitarra richiamano gli spazi infiniti dell’Andalusìa. E invece risuonano in uno spazio che più chiuso non si può: la Casa Circondariale di San Vittore, a Milano. Dove da due anni Maria Rosaria Mottola, ballerina e direttrice della compagnia italo-spagnola PuntoFlamencoEnsemble, danza con le detenute della sezione femminile: "Sono orgogliosa di poter offrire loro un momento di allontanamento dalla quotidianità del carcere attraverso il ballo". Ci sono molte straniere, originarie soprattutto dell’America Latina, ma ultimamente anche rom, convinte dal successo dell’ultimo saggio organizzato dalle compagne. Alcune ragazze chiedono di partecipare agli incontri (due ore la settimana) soltanto per non stare in cella, altre li prendono come una scusa per gridare e sfogarsi. Ma tutte ne escono cambiate: "Il flamenco, con i suoi ritmi forsennati, premette di scaricare le energie e riscoprire la sensualità del proprio corpo. Aiuta a ritrovare la fiducia in sé stessi, ma anche a controllarsi". Libri: "Malerba", di Carmelo Sardo… uccidere per sopravvivere recensione a cura di Giorgio Alfieri L’Opinione, 13 giugno 2014 Malerba", erba cattiva: lo chiamavano così nel paese siciliano dove è nato. La sua storia comincia quando, ragazzino, viene spedito in Germania per allontanarlo da una giovinezza scapestrata. Ad Amburgo si inserisce in un ambiente di night e belle donne. Con le carte è abilissimo: al tavolo verde bara e si arricchisce. Coltiva nuove amicizie, scopre il sesso e il lusso. La Sicilia sembra lontanissima. Ma il destino lo richiama. Dopo il servizio militare, a vent’anni, torna al paese: un’immersione negli affetti famigliari prima di ripartire per la Germania. Ma proprio la sera precedente alla partenza resta ferito nella strage con cui comincia lo sterminio dei suoi parenti: un regolamento di conti mafioso nello stile più atroce. Fugge, sconvolto, ma presto scopre che Cosa Nostra ha affidato il compito di ucciderlo a uno dei suoi amici d’infanzia... Questa è la storia di un giovane uomo che sente di dover fronteggiare da solo lo sterminio della propria famiglia. Di un uomo che non ha fiducia nello Stato, né in alcuna altra istanza morale capace di contenere la ferocia umana. Di un uomo che scampa per miracolo a quattro agguati e decide di rinunciare a tutto, anche all’amore, per vendicare i suoi cari e sopravvivere. Giuseppe Grassonelli, che assume in queste pagine il nome fittizio di Antonio Brasso (suo "nome di battaglia" negli anni della guerra di mafia), ci racconta la storia della sua vita breve e intensissima: segnata dalla morte e dalla cesura dell’arresto, all’età di ventisette anni. L’ebbrezza dell’illegalità, l’orrore indicibile di un intero sistema di relazioni nel quale la vita umana e la dignità individuale non hanno alcun valore, ma tutto è clan, affiliazione o infamia, emergono in queste pagine con potenza sinistra. A parlarcene è la voce di un uomo radicalmente cambiato dall’esperienza della detenzione. Giuseppe Grassonelli non si pente, non collabora con la giustizia e sconta dunque la pena durissima dell’ergastolo ostativo. Comincia a leggere, a studiare, fino a laurearsi e a diventare un detenuto modello. Per raccontare la propria storia si affida al cronista che anni prima aveva seguito la sua "guerra" come giornalista per una TV privata: Carmelo Sardo, che con efficacia e partecipazione ci conduce attraverso queste pagine. Per provare a capire. Perché le parole, e la memoria, sono l’arma più potente contro la silenziosa omertà del male. Carmelo Sardo Nato a Porto Empedocle (Ag) nel 1961. Giornalista professionista, vice capo redattore cronache TG5. Ha cominciato come cronista nel 1983 al "Giornale di Sicilia" e a Teleacras di Agrigento, dove ha condotto le principali edizioni del telegiornale, e dove è diventato nel 1992 il primo professionista nella storia delle tv private della provincia di Agrigento. Ha collaborato per sette anni al quotidiano L’Ora di Palermo occupandosi anche di inchieste sulla mafia agrigentina. Negli ultimi due anni a Teleacras, (1995-1997) è stato direttore del telegiornale succedendo a Giovanni Taglialavoro. Poi il trasferimento prima a Roma come inviato della trasmissione di Rai Due "Cronaca in diretta", poi il passaggio al Tg5 assunto da Enrico Mentana dal 1º luglio 1998. Dopo sette anni alla redazione del Tg5 di Milano, il trasferimento alla sede centrale del TG5 di Roma dove ha condotto per tre anni l’edizione del Tg notte. Il 2 marzo del 2010 è uscito il suo primo romanzo edito da Mondadori collana Scrittori italiani e stranieri, intitolato "Vento di tramontana" che ha riscosso un buon successo: due edizioni, premio Alabarda d’oro di Trieste come miglior romanzo; premio "Vincenzo Licata" di Sciacca; premio "Salvo Randone". Il romanzo è stato tradotto e pubblicato anche in Francia per "First Editions" con il titolo "Les nuits de Favonio". A giugno 2014 esce il suo secondo libro, scritto a quattro mani con il detenuto ergastolano Giuseppe Grassonelli, intitolato "Malerba" (editore Mondadori collana Strade Blu"). Un memoir che racconta la vera storia di Grassonelli che vendicò lo sterminio della sua famiglia uccidendo i capi di cosa nostra che l’avevano ordinata. Rinchiuso in carcere, sepolto dagli ergastoli, a 26 anni, oggi che ne ha 49 è un uomo nuovo, recuperato e trasformato e si è laureato in lettere moderne all’Orientale di Napoli con 110 e lode. Giuseppe Grassonelli Nato a Porto Empedocle (Ag) nel 1965, è stato condannato a più ergastolani per una catena di omicidi compiuti in Sicilia tra il 1990 e il 1992. È rinchiuso dal 1992 e da quel giorno non è mai uscito neppure per un permesso. In carcere è entrato semianalfabeta, oggi è laureato in lettere moderne con 110 e lode. Droghe: Tabacci-Capelli (Cd) propongono mini-indulto per reato spaccio dopo Consulta Ansa, 13 giugno 2014 Un "mini indulto" per i fatti di spaccio di droghe leggere. Questa la proposta, che "va nella direzione della semplificazione", dei deputati del Centro Democratico Bruno Tabacci e Roberto Capelli per evitare di intasare i tribunali di ricorsi per la rideterminazione della pena dopo la sentenza della Consulta che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della equiparazione tra droghe pesanti e leggere della Fini-Giovanardi. "Con la dichiarazione di incostituzionalità rivive la Iervolino-Vassalli: questo significa - ha detto Capelli che è primo firmatario della proposta di legge - che chi è stato condannato può chiedere il riconteggio della pena, e in base alla vecchia norma sarebbero comunque scarcerati, ma dopo una sentenza di rideterminazione della pena. La nostra legge non farebbe altro che alleggerire i tribunali. È una proposta di semplificazione". "La sentenza della Corte Costituzionale - ha osservato Tabacci - doveva essere l’occasione per ridurre la pressione sulle carceri, con impatto su 3-4 mila persone. Invece ci complichiamo le cose". Secondo l’avvocato Anna Maria Busia, che ha già presentato diverse istanze di rideterminazione, le richieste che potrebbero arrivare ai tribunali potrebbero essere 6-7mila. Infatti se ad essere interessati dalla pronuncia della Consulta sarebbero 4mila, i condannati per spaccio, di droghe leggere e pesanti, sono 14 mila, 20 mila se si considerano i fatti collegati: "Con l’indulto limitato alla spaccio di droghe leggere sarebbero i giudici di sorveglianza a stabilire i beneficiari e scorporare le pene". Stati Uniti: caso Chico Forti; Consiglio provinciale Trento chiede intervento del governo Ansa, 13 giugno 2014 Approvata all’unanimità dal Consiglio provinciale di Trento una mozione proposta da Lorenzo Baratter (Patt), sottoscritta da tutti i capigruppo, con cui si sollecitano iniziative a favore di Chico Forti, l’imprenditore trentino condannato in Usa per omicidio e per il quale un movimento d’opinione chiede la revisione del processo. In particolare la mozione impegna la Giunta provinciale ad assumere in ogni sede qualsiasi iniziativa di competenza volta a tutelare Forti, ad intervenire presso il governo italiano e il ministro degli esteri "affinché metta in essere tutte le iniziative possibili" e infine a notificare il documento al presidente della Repubblica, al primo ministro, al ministro degli esteri e all’ambasciatore Usa a Roma. "Esprimo il mio ringraziamento nei confronti di tutti i membri del Consiglio provinciale e della Giunta provinciale di Trento", afferma il deputato del Patt Mauro Ottobre, reduce da una visita al carcere americano dove è detenuto Forti, e che ha già chiesto al governo di intervenire a livello internazionale per riaprire il caso. "Chiederò la prossima settimana - annuncia Ottobre - un incontro al presidente del Consiglio Renzi e ai ministri degli Esteri e della Giustizia, Mogherini e Orlando, per informarli ulteriormente della situazione e per valutare gli sviluppi possibili". Israele: Gerusalemme Est sciopera in solidarietà prigionieri palestinesi in sciopero fame Tm News, 13 giugno 2014 I commercianti di Gerusalemme Est hanno osservato oggi una giornata di sciopero generale in segno di solidarietà con i detenuti palestinesi che sono in sciopero della fame dal 24 aprile. Lo sciopero, che ha riguardato tanto i negozi della Città vecchia che il resto di Gerusalemme Est, dovrebbe terminare alle 20. Con una lettera, Saeb Erekat, alto responsabile palestinese, aveva esortato ieri la comunità internazionale a fare pressioni su Israele affinché metta fine agli arresti senza incriminazione né processo. Questo tipo di detenzione, detta "amministrativa", è una pratica ereditata dall’epoca del mandato britannico sulla regione, che permette di arrestare una persona semplicemente in virtù di un atto amministrativo, rinnovabile infinite volte. Lo sciopero della fame è seguito da 250 detenuti palestinesi, di cui 80 sono stati ricoverati. Nelle carceri israeliane vivono attualmente 5.000 Palestinesi, di cui 200 circa in detenzione amministrativa. Turchia: Amnesty International; stop a processo politico contro gli attivisti di Gezi Park La Presse, 13 giugno 2014 "La Turchia deve abbandonare il processo mediatico motivato politicamente contro un gruppo di attivisti pacifici accusati aver organizzato proteste "illegali", che esplosero un anno fa" contro la distruzione del Gezi Park di Istanbul. È quanto afferma Amnesty International, a proposito del processo in cui i membri del gruppo Taksim Solidarity rischiano fino a 15 anni di carcere. "Questo è un processo mediatico vendicativo e politicamente motivato, senza l’ombra di prova di crimini reali. Dovrebbe essere fermato alla prima udienza", dichiara Andrew Gardner, ricercatore di Amnesty International sulla Turchia. Cinque degli imputati, noti attivisti del gruppo, sono accusati aver invitato la gente a partecipare alle proteste definite illegali dalle autorità. L’accusa che affrontano è fondazione di organizzazione criminale, per cui la pena arriva fino a 15 anni di detenzione. "La procura ha messo insieme un caso semplicemente per mandare un messaggio forte al resto della Turchia, sul fatto che le autorità perseguiranno severamente chiunque dissenta e organizzi proteste contro le politiche del governo", ha dichiarato ancora Gardner. Inoltre, precisa, "l’imputazione non contiene alcuna prova di partecipazione o incitamento legati a violenze o altre attività criminali. È uno scandalo che sia stata accettata dal tribunale". Iraq: anche jihadisti sauditi evasi tra i 2mila detenuti evasi dalle tre carceri di Mosul Agi, 13 giugno 2014 Ci sono anche terroristi sauditi tra i 2mila detenuti evasi dalle tre carceri di Mosul occupate due giorni fa dalle milizie qaediste dello Stato islamico dell’Iraq e della Siria (Isis). Secondo quanto reso noto dall’avvocato saudita Hamed Ahmed, legale di tanti jihadisti sauditi, diversi estremisti arrestati negli anni scorsi dalle autorità irachene e provenienti da Riad hanno contattato le proprie famiglie dopo essere stati liberati dagli uomini dell’Isis. Molti dei detenuti evasi, ha aggiunto l’avvocato al quotidiano saudita al Watan, hanno deciso di entrare a far parte del gruppo armato. Stati Uniti: rimpatriati nei Paesi di origine 12 detenuti del carcere afgano di Parwan Tm News, 13 giugno 2014 Gli Stati Uniti hanno rimpatriato nei rispettivi Paesi di origine 12 detenuti del carcere afgano di Parwan: lo hanno reso noto fonti del Dipartimento della Difesa, secondo le quali nel carcere resterebbero 38 prigionieri. I detenuti rimpatriati - tutti catturati anni fa e tuttora in attesa di giudizio, una situazione analoga a quella del carcere di Guantánamo - erano un cittadino francese, un kuwaitiano e dieci pachistani.