Agnese Moro: "Mai più ergastoli" di Alice Martinelli Corriere della Sera, 10 giugno 2014 "L’ergastolo è come dire a una persona: ti vogliamo buttare via. Ma io non voglio buttar via nessuno". Parla Agnese Moro. Pronuncia parole che riportano al passato e alla storia. Il suo non è un cognome qualunque. "Si pensa che chi ha subìto un torto molto grave sia ripagato dalla pena inflitta al colpevole. Ma la mia esperienza personale mi ha insegnato altro". Ci vogliono anni per giungere al perdono 9 maggio 1978. Sono passati 55 giorni dal rapimento: in via Caetani viene ritrovata quella Renault 4 rossa. La figlia dello statista ha 25 anni. "All’inizio nella testa e nel cuore c’è solo confusione - spiega, l’accento romano, la voce lieve. Si vive sospesi non si riesce a ragionare. Ci vogliono molti anni per superarlo. Ma poi nel tempo si riflette, si capisce: la persona che ti è stata portata via non ti verrà restituita punendone un’altra. Così ho deciso". Agnese Moro ha perdonato da tempo chi gli ha strappato suo padre e ha soffiato via la vita di cinque uomini della scorta. "Incontrare quelle persone mi ha aiutato moltissimo - racconta, riferendosi ai brigatisti - Nella mia mente vorticavano solo immagini mostruose, pensavo a qualcosa di onnipotente, di enorme. Invece ho capito che avevano un volto e avevano delle storie. Che erano esseri umani. E che sarei stata più felice se fossero riusciti a cambiare e a fare qualcosa di buono per la società". In visita presso "Ristretti Orizzonti", il primo giornale nato dietro le mura di un carcere Moro ha rimesso insieme i pezzi della sua vita e ha perdonato. "Non dico che sia stato facile, il dolore non se ne va mai - sussurra - ma ogni incontro, ogni riflessione aggiunge un pezzetto". Venerdì 6 giugno è intervenuta al convegno "Senza l’ergastolo. Per una società non vendicativa", organizzato all’ interno della casa di reclusione di Padova dalla redazione di Ristretti Orizzonti. Che, dal 1997, mette insieme alcuni detenuti del regime di alta sicurezza per far uscire dal carcere un giornale oggi seguito da migliaia di persone, online e su carta. "Agnese Moro è venuta in redazione e ha incontrato persone che hanno ucciso e commesso delitti gravi. E a loro ha detto "non mi sentirei mai meglio a vedere qualcuno morire dietro le sbarre" - racconta Ornella Favero, direttrice della rivista. È da lì che partiremo domani, dall’idea di una giustizia mite e dalla necessità di misure alternative all’ergastolo: rieducative e integrative". "Credo che il carcere a vita non debba esser dato per scontato solo perché esiste da sempre - afferma Moro - penso che sia un’idea contraria alla nostra Costituzione. L’articolo 27 recita: "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato". Ecco, l’ergastolo non rieduca, non prevede un ritorno. Abbandona". Giustizia: il M5S presenta progetto di legge per istituire un’authority sui diritti umani Dire, 10 giugno 2014 Una Commissione nazionale indipendente volta alla promozione e alla vigilanza dei diritti umani in Italia: a richiederne l’istituzione, in una proposta di legge presentata in questi giorni, sono stati i deputati M5S della Commissione Esteri. "Sui diritti umani l’Italia rischia di rimanere al palo - spiegano i parlamentari. Il nostro Paese è tra i pochi nell’Unione europea a non aver ancora un’autorità indipendente garante dei diritti umani. Il nostro codice penale non contempla il reato di tortura e la delicatissima questione dei diritti di migranti e rifugiati politici, oggi, resta un nodo per molti versi irrisolto". "Per questo - proseguono i pentastellati - abbiamo avanzato una proposta di legge che regoli l’istituzione di una Commissione nazionale indipendente per la tutela e la promozione dei diritti umani in Italia. Anche questa volta ci tocca sopperire alla negligenza mostrata dai governi che ci hanno amministrato negli ultimi 20 anni". I deputati M5S invitano dunque "il governo e tutte le forze politiche in Parlamento ad impegnarsi per calendarizzare quanto prima la nostra Pdl. Così - evidenziano - adempieremo agli obblighi assunti con la Conferenza mondiale di Vienna svoltasi nel 1993 e non ci faremo trovare impreparati nel prossimo Processo di Revisione Universale dell’Onu, previsto a novembre 2014. Nell’ultimo, di 4 anni fa, proprio le Nazioni Unite ci chiesero l’istituzione di una commissione ad hoc per la tutela delle libertà fondamentali". "Vogliamo un futuro dove i fatti di Genova del 2001, le violazioni commesse nei confronti di numerosi detenuti e liberi cittadini, le discriminazioni e i trattamenti denigratori condotti nelle carceri italiane non si verifichino più e - concludono i parlamentari M5S - ove certi orrori dovessero ripetersi, che vengano puniti e perseguiti nella giusta misura". Giustizia: Sindacato Osapp; preoccupati per "smantellamento" della Polizia penitenziaria Adnkronos, 10 giugno 2014 "L’avevamo detto diversi mesi fa che era in atto un progetto per la "soppressione" del Corpo di Polizia Penitenziaria e anche se nel frattempo dal governo Letta si è passati all’esecutivo Renzi, la situazione è sostanzialmente immutata visti i probabili contenuti della bozza di decreto legge sulle carceri in fase di approvazione da parte del Consiglio dei ministri, come apparso su alcuni quotidiani". Ad affermarlo, in una nota indirizzata anche ai gruppi parlamentari di Camera e Senato, è Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp (Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria). Secondo l’Osapp, infatti, "l’intero provvedimento ingenera non pochi dubbi e perplessità sulla reale volontà del governo Renzi e del Guardasigilli Andrea Orlando di rendere funzionali e sicure le carceri italiane, a partire dalla possibile riduzione delle pene su iniziativa del magistrato di sorveglianza, alla eventualità che la stessa magistratura possa avvalersi di volontari esterni al carcere per l’accertamento di eventuali trattamenti inumani". "Ma - sottolinea Beneduci - le misure che aboliscono da un lato l’intero ruolo dei commissari e comandanti dei reparti della polizia penitenziaria (703 unità) e che impediscono alle donne e agli uomini del Corpo di essere distaccati per due anni in amministrazioni esterne al carcere (compresa la Dia), vanno concretamente nella direzione dello smantellamento della quarta forza di polizia italiana". "Con buona pace - sottolinea ancora Beneduci - del rinvio di un anno del giudizio sull’Italia da parte della Corte dei diritti dell’Uomo di Strasburgo, i detenuti si sono attestati da mesi intorno alle 60mila presenze giornaliere con solo 40mila posti-letto disponibili". Per l’Osapp, "abolire i vertici interni e unico punto di riferimento nelle carceri delle donne e degli uomini in uniforme che vi lavorano, in favore della possibile assunzione di agenti, implica un arretramento delle conquiste di democrazia e di progresso dell’istituzione penitenziaria di almeno 20 anni, con gli appartenenti al Corpo relegati al ruolo di ‘bidelli Penitenziari". Questo, "mentre l’implicito divieto per i poliziotti penitenziari di fare parte di strutture interforze disconosce risultati rilevanti e unici conseguiti nell’interesse della Collettività, quali il pentimento a fini di giustizia di noti esponenti criminali (compreso l’ex boss Antonio Iovine) o l’accesso per lo Stato a informazioni essenziali per la sicurezza nazionale". Dunque, rimarca Beneduci, "invece che agire per razionalizzare il sistema penitenziario, svecchiando e prepensionando la ben remunerata classe dirigente penitenziaria che è la principale responsabile degli innumerevoli disastri del sistema, si intenderebbe penalizzare ulteriormente l’anello più debole della catena, costituito da quegli uomini e da quelle donne che oramai solo a proprio rischio e senza riconoscimenti mantengono nelle carceri una parvenza di ordine, di sicurezza e di legalità. "Siamo certi - conclude Beneduci - che se il progetto, che si dice tragga origine dalla stessa classe dirigenziale di cui dovrebbe invece occuparsi la spending review, sarà varato con i contenuti descritti dagli organi di stampa, a brindare saranno le associazioni criminali e quegli affaristi che, da sempre, vedono le carceri italiane come una grossa e grassa torta da dividere tra loro". Giustizia: Società Italiana di Psichiatria; allarme criminalità nel superamento degli Opg Adnkronos, 10 giugno 2014 L’ombra della criminalità organizzata sul superamento degli Opg. C’è infatti il rischio che persone che "non sono portatrici di disturbi psichici, ma appartengono alla criminalità organizzata, possano approfittare dei percorsi sanitari alternativi previsti nel percorso di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari. Un rischio concreto, che potrebbe insinuarsi tra le pieghe delle applicazioni della nuova normativa per il superamento degli Opg". A lanciare l’allarme è Società italiana di psichiatria, in occasione dell’incontro, a Roma, del Gruppo interregionale della salute mentale (Gism) con il Gruppo interregionale della sanità penitenziaria (Gispe). Un appuntamento che apre a una serie di scadenze molto rigide che porterà, il 31 marzo 2015, alla conclusione del processo di superamento degli Opg e alla loro chiusura definitiva. Un processo condiviso dalla Sip, anche se "esistono delle criticità che richiedono una risoluzione costruttiva. Criticità che si riferiscono soprattutto alle necessità di garantire migliori standard di cura all’interno delle carceri, di giungere ad una revisione del concetto di pericolosità sociale e di identificare percorsi non equivoci, per evitare inserimenti impropri da parte della criminalità nei percorsi di cura garantiti dal superamento degli Opg. In assenza delle dovute risposte a questi problemi, il rischio - paventano gli psichiatri - è vanificare sul nascere una riforma fondamentale, dal punto di vista sociale, etico e morale, per il nostro Paese". "La Sip - spiega il presidente Emilio Sacchetti, che dirige anche il Dipartimento di Salute mentale degli Spedali Civili di Brescia - segue da molto tempo e con attenzione questo delicato percorso e intende partecipare al coordinamento nazionale previsto nel Dl n. 52/2014, per il contribuito tecnico-scientifico e operativo dei propri soci psichiatri, impegnati nel percorso di dimissione e di accoglienza delle persone malate di mente e autori di reato. Recentemente è stata anche redatta una "Carta per il superamento delle logiche manicomiali", in modo da poter individuare le situazioni territoriali esterne più idonee all’assistenza delle persone da dimettere". Si ritiene infatti fondamentale evitare che personaggi appartenenti alla criminalità organizzata, attraverso la simulazione e consulenti compiacenti, approfittino dei percorsi sanitari alternativi previsti dalla riforma: a questo proposito è indispensabile una collaborazione tra la Magistratura e gli operatori sanitari. Gli psichiatri - dice Sacchetti - hanno un ruolo primario soprattutto quando incaricati del ruolo di perito o consulente tecnico nel procedimento penale". "Il modello più a lungo sperimentato - spiega Claudio Mencacci, direttore del Dipartimento di Salute mentale dell’ospedale Fatebenefratelli di Milano e past president della Sip - è il reinserimento del paziente nell’ambito territoriale di provenienza, in collaborazione con il magistrato e con gli psichiatri degli Opg". "Questo modello consiste nell’utilizzare le risorse e le strutture disponibili accreditate dalle Asl, idonee al programma individuale di trattamento. Un’altra possibilità, nel caso di pazienti con caratteristiche cliniche e giuridiche più complesse, prevede il passaggio nelle cosiddette Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems) per accogliere e trattare coloro che hanno una pericolosità sociale e necessitano di misure di sicurezza. Queste devono essere intese come un percorso sanitario che inizia anche in condizione di detenzione, prosegue nelle Rems e quindi nelle strutture sanitarie territoriali in funzione del grado di malattia e di collaborazione del soggetto. In questo senso è indispensabile potenziare l’attività della salute mentale negli istituti di pena, unitamente al resto della sanità penitenziaria. Questo - dice Mencacci - è l’unico modo per poter intercettare precocemente il disagio e la malattia psichica ed intervenire" in modo adeguato. Alcune delle funzioni che venivano svolte dagli Opg, come quella di osservazione psichiatrica, "devono poter essere svolte nelle sezioni speciali di osservazione degli Istituti di pena, in rete con le Rems e le restanti strutture sanitarie della salute mentale", dicono gli psichiatri. "Per il coordinamento di questi percorsi - spiega Enrico Zanalda, direttore del Dipartimento di Salute mentale dell’Asl Torino 3 è strategico che i gruppi di lavoro regionali per il superamento degli Opg svolgano un’azione di monitoraggio e di verifica dei percorsi di cura". "La Sip - conclude Sacchetti - intende partecipare con proposte e contributi pragmatici affinché il percorso di superamento degli Opg sia occasione per aiutare le persone malate di mente, potenziando i dipartimenti salute mentale e l’assistenza nelle carceri, senza ridurre i già provati servizi territoriali a luoghi di detenzione o custodia sociale". Giustizia: negli ultimi sette anni il numero delle evasioni di detenuti è quasi raddoppiato La Repubblica, 10 giugno 2014 Si va dai 50 evasi del 2007 ai 93 del 2013, fino ai 38 dei primi cinque mesi del 2014, con un picco nel 2012 - 113 casi - che da solo fa il venticinque per cento. "Questo a fronte di un aumento della popolazione carceraria di più del ventotto per cento" spiegano dal Nic, Nucleo investigativo centrale al cui interno, dal 2009, agisce la Sezione Catturandi con il compito di riprendere gli evasi più pericolosi. Numeri comunque bassissimi, se si pensa che i detenuti sono oltre 64 mila, migliaia dei quali ammessi a forme di detenzione alternative come la semilibertà. "L’evasione più frequente è quella dal permesso premio, seguita dall’evasione dalla semilibertà. Più rara è la fuga durante il trasporto (il 3 febbraio ne ha dato un saggio esemplare l’ergastolano Domenico Cutrì). Quella dal carcere, che chiamiamo "rocambolesca", è la più difficile e la più rischiosa. Chi evade in questo modo in genere è furbo, coraggioso, atletico ed è l’evaso più difficile da riprendere". Dei circa cinquanta ricercati dalla Catturandi, 25 sono stati riassicurati alla giustizia. "La famiglia e gli affetti sono il loro punto debole. Quasi sempre li riprendiamo grazie alle intercettazioni... e quella rocambolesca è il capolavoro delle evasioni, la cattura di questo "tipo" di evaso è il capolavoro degli arresti". La fuga "rocambolesca" è la peggiore ferita che si possa infliggere alla Polizia penitenziaria. È l’evasione per eccellenza, quella di Rocambole e del Conte di Montecristo. E, come i suoi illustri antesignani, è ottocentesca: le tecnologie non l’hanno trasformata. I suoi strumenti sono ancora manici di scopa, ganci di fortuna, lime. Tra i moderni epigoni di quest’arte c’è Valentin Frokkaj, fuggito lo scorso 6 maggio dal Pagliarelli di Palermo con i classici lenzuoli intrecciati. Già nel 2013 Frokkaj era riuscito a scappare dal carcere di Parma (quello di Provenzano), fino ad allora inviolato, insieme a un altro maestro delle evasioni rocambolesche, Taulant Toma, classe 1984, tre evasioni riuscite di cui l’ultima dal carcere Belga di Lantin. Un documento della Penitenziaria ne esalta "la particolare capacità nel trasformare ogni piccolo oggetto, apparentemente insignificante, in un attrezzo funzionale ai propri scopi", l’intelligenza e il rigore nella pianificazione, il carisma esercitato sugli altri detenuti e "una rilevante rete di appoggi esterni". È l’identikit di quasi tutti i Rocambole. Giustizia: caso Scajola "libri, tv e atti giudiziari… ecco i miei giorni in carcere" di Francesco Grignetti La Stampa, 10 giugno 2014 L’ex ministro visitato da un gruppo di senatori a Regina Coeli. Ti consigliamo: L’ultima visita illustre per Claudio Scajola è di qualche giorno fa. Il senatore Luigi Manconi, presidente della commissione senatoriale Diritti Umani, assieme a diversi altri membri della commissione, era in visita a Regina Coeli. Visita ispettiva nel vero senso della parola, in quanto erano le 22,30 e i detenuti per la maggior parte erano in pigiama. Per le celle è corsa la voce dei parlamentari in giro. E anche l’ex ministro, che è in cella dai primi di maggio, si è rivestito in corsa per accogliere degnamente i visitatori. "L’ho trovato abbastanza su di umore", racconta Manconi, calcando la voce sull’abbastanza. "Ci ha detto di trovarsi bene, di essere trattato con umanità dalle guardie, di non avere rimostranze da fare". L’incontro di Regina Coeli tra il potente decaduto e i parlamentari in carica, inutile nasconderlo, è stato segnato da un certo imbarazzo generale. Colpevole l’improvvisata quasi notturna, i senatori volevano rendersi conto di come si sta nel carcere romano, ma senza squassare i ritmi dei detenuti. E perciò è stata un colloquio veloce. "Sto bene - ha detto Scajola, introducendo lui l’argomento, senza nemmeno aspettare le domande - anche se è stata dura all’inizio. Sapete, cinque giorni di isolamento assoluto... Poi, quando mi hanno concesso il televisore, le cose sono un po’ cambiate. Ora posso informarmi, vedere quel che accade". Vive da un mese in una cella da solo, Scajola. Un piccolo lusso, considerato il sovraffollamento delle carceri italiane. Ma neanche tanto. "Non si pensi a una suite, - dice Manconi - è una cella in dignitose condizioni di pulizia". "No, dell’igiene non mi lamento", ha sottolineato anche lui, il detenuto. Né si è lamentato della salute. "Non va male. In ogni caso finora mi ha visitato periodicamente il medico del carcere". Comunque sia, la cella di Regina Coeli è un bel salto per un ex ministro dell’Interno abituato ai lussi di Imperia, il villone con vista mozzafiato sulle Alpi, la piscina privata, la sala biliardo, in garage una collezione di auto d’epoca, e una ristrutturazione che è costata almeno 1,5 milioni di euro ma forse potrebbero essere stati di più (lo dirà l’inchiesta in corso). E poi c’è l’appartamento romano tanto famoso, quello con finestre sul Colosseo e regalato per metà dal costruttore Diego Anemone "a sua insaputa". Il regolamento non consente ai parlamentari di parlare coi reclusi della loro situazione giudiziaria e delle inchieste in corso. E così è stato. "Abbiamo parlato delle sue letture, della condizione sanitaria nelle celle e del rapporto con gli altri detenuti del carcere", dice Manconi. Si sono informati della sua routine. E lui: "Il tempo qui non corre veloce, ma ho gli atti giudiziari da studiare", ha minimizzato Scajola di fronte al drappello di senatori in visita. E l’ha detto con il tono impettito di sempre, quello che gli aveva fatto guadagnare il soprannome di "sciaboletta", non volendo mostrare chissà quale abbattimento. Tentativo vano, però, perché ai senatori ha fatto lo stesso un po’ pena quel loro ex collega, un uomo non tanto alto che è apparso come rimpicciolito nella piccola cella del carcere e sormontato da accuse pesanti. Sul comodino c’erano un paio di libri. E così, per stemperare il clima, per non cadere nei soliti discorsi che alla fine riportano i detenuti sempre e soltanto ai loro pensieri fissi, Manconi gli ha chiesto che cosa stesse leggendo. "Ho qui "Viaggio dell’elefante" di Saramago e "Gesù di Nazareth" di Ratzinger". Scelte apparentemente molto diverse. Uno è un romanzo storico sull’elefante che il re del Portogallo regala all’arciduca Massimiliano d’Austria, reggente in Spagna, ma che vive a Vienna. E così trattasi del racconto di un viaggio stravagante, da Lisbona a Vienna, di un elefante, il suo custode, la scorta, il seguito pittoresco. L’altro è un serissimo saggio di Benedetto XVI sulla vita di Cristo, figura storica ma anche divina. Evidentemente Scajola cerca un pizzico di evasione nel tempo, visto che nello spazio gli è fisicamente impossibile. Giustizia: caso Uva, il pm chiede il proscioglimento degli imputati dall’accusa di omicidio di Mario Di Vito Il Manifesto, 10 giugno 2014 Al via il processo per la morte dell’uomo arrestato nel 2008 da 6 poliziotti e un carabiniere. La procura chiede il proscioglimento degli imputati dall’accusa di omicidio preterintenzionale. È un inizio amaro per il processo Uva. La prima udienza davanti al gup di Varese finisce con il procuratore Felice Isnardi che chiede il proscioglimento dalle accuse di omicidio preterintenzionale e arresto illegale dei sette uomini in divisa (un carabiniere e sei poliziotti) imputati per la morte di Giuseppe Uva, avvenuta il 14 giugno del 2008 dopo che l’uomo era stato arrestato e portato in caserma. L’accusa ha chiesto il rinvio a giudizio solo per l’abuso di autorità, un reato che, secondo le parole dello stesso pm, "non ha alcuna attinenza con l’evento morte". Parole che hanno lasciato parecchio perplessi i familiari di Giuseppe Uva. "Siamo decisamente sorpresi - dice l’avvocato Fabio Anselmo -, non si riesce a capire perché l’abuso di potere è stato contestato e tutto il resto, che è comunque attinente, no. Una decisione del genere non se l’aspettavano nemmeno gli imputati, ma si tratta delle richieste della procura, noi confidiamo nella decisione del giudice". Il prossimo appuntamento in aula è fissato per il 30 giugno. Il tribunale, intanto, ha deciso di accettare i sette nipoti di Uva come parti civili, mentre ha respinto la stessa richiesta avanzata dall’associazione "A Buon Diritto", presieduta dal senatore del Pd Luigi Manconi. Intanto, la settimana prossima sarà Lucia Uva a doversi presentare davanti al giudice per il processo che la vede imputata per diffamazione nei confronti gli agenti. L’intreccio giudiziario, a questo punto, si fa complicato: uno dei carabinieri ha chiesto di essere processato con rito immediato (dunque, dovrà rispondere di tutti i reati presenti nell’imputazione coatta formulata qualche mese fa dal gip Giuseppe Battarino), mentre gli altri sette aspettano e sperano: l’abuso di autorità rimane un reato meno grave dell’omicidio preterintenzionale. È un bel pasticcio procedurale; per lo stesso fatto rischiano di esserci due processi diversi, con differenti capi d’imputazione. Poi, il pm Isnardi è lo stesso che, tre settimane fa, decise di ammettere come testimone la donna che alla trasmissione "Chi l’ha visto" sostenne che Uva fosse stato picchiato anche in ospedale. Tra le ipotesi più accreditate, allo stato attuale delle cose, c’è che l’accusa abbia scelto di contestare un reato per il quale ha maggiori possibilità di arrivare a una condanna. Un discorso che almeno dal punto di vista della strategia processuale ha una sua logica, ma che tuttavia lascia senza risposta la domanda fondamentale: come si spiega allora "l’evento morte" di Giuseppe Uva? Nell’aprile del 2012 arrivò a sentenza il processo nel quale l’accusa ipotizzava il decesso per un incredibile caso di malasanità, talmente incredibile che il medico Carlo Fraticelli venne assolto perché "il fatto non sussiste", con il giudice Orazio Muscato che ordinò alla procura di indagare su quanto successo nella caserma dei carabinieri di via Saffi. I pm Agostino Abate e Sara Arduini, dal canto loro, per due volte nel giro dell’anno successivo arrivarono a chiedere l’archiviazione per le posizioni degli agenti, e alla fine il gip Battarino ci pensò da sé a formulare una richiesta di imputazione coatta per i reati di omicidio preterintenzionale, arresto illegale e abbandono d’incapace. Così, Abate e Arduini furono sostituiti da Isnardi, il Csm aprì un’inchiesta sulle modalità delle indagini condotte fino a quel punto, e tutto lasciava presagire che, finalmente, sarebbe cominciato un processo vero che avrebbe fatto luce su quello che è accaduto durante l’ultima notte di Uva. Adesso, ogni cosa sembra tornata al punto di partenza: il caso resta un’odissea giudiziaria e la verità continua ad allontanarsi. Sono passati sei anni ormai dalla morte del 42enne artigiano, e la prescrizione appare ormai dietro l’angolo. Con l’accusa di omicidio preterintenzionale, la ex Cirielli avrebbe allungato di almeno un anno il processo: un margine che sarebbe comunque strettissimo per attraversare tre gradi di giudizio, ma adesso il rischio è che non si riuscirà a concludere il primo processo. Tutto è nelle mani del gup di Varese, sarà lui che dovrà decidere se nasce o se muore il processo Uva. Caso Magherini: pressioni dai carabinieri Testimoni che raccontano di essere stati intimiditi dai carabinieri e un file contenente una registrazione con i dialoghi tra i volontari e centralinisti della Croce rossa che la procura non consegna ai familiari di Riccardo Magherini. Sono sempre di più le anomalie nell’inchiesta sulla morte dell’ex calciatore della Fiorentina, morto la notte del 3 marzo scorso dopo essere stato fermato dai carabinieri. Ieri si è tenuta a Firenze una manifestazione organizzata dalla famiglia per ricostruire le ultime ore di vita di Riccardo e non sono mancate le sorprese. Tra queste c’è un file audio in cui gli operatori della Cri intervenuti a Borgo San Frediano la notte del 3 marzo discutono con il centralino sugli orari dell’intervento. Quando l’avvocato Anselmo, legale della famiglia Magherini, ha chiesto alla procura le registrazioni telefoniche di quella notte, ne ha ricevute solo 13. Il 14eseimo file, quello che sembrerebbe essere più interessante, è spuntato fuori solo in seguito e solo perché consegnato alla famiglia dalla Asl. Ieri sono state presentati anche i racconti di due testimoni, due donne che hanno detto di aver subito pressioni dai carabinieri che le interrogavano. Una, in particolare, ha ricordato di aver detto e chiesto che venisse messo a verbale che i carabinieri avevano preso a calci Magherini quando si trovava a terra, ma che i militari hanno verbalizzato sue parole solo dopo le sue insistenze. Puglia: Cosp; "morire di carcere"… in 9 giorni 4 tentativi di suicidio tra i detenuti www.leccenews24.it, 10 giugno 2014 La Corte di Strasburgo ha riconosciuto che le nostre carceri sono diverse da com’erano 15 mesi fa, in termini di sovraffollamento, infrastrutture, regolamenti. Una nuova valutazione sulla situazione degli istituti di pena italiani sarà effettuata nel giugno del 2015. Fino ad allora, è stato allontanato lo spettro di essere tacciati come un Paese "incivile con i propri detenuti" visto che, come recitava Fëdor Dostoevskij in Delitto e Castigo, "il grado di civiltà di una società si misura dalle sue prigioni". Insomma ci è stata "risparmiata" l’ignominia di una condanna per "trattamenti inumani e degradanti". Tutto è bene quel che finisce bene? Non tanto, non sempre. Non si possono spazzar via i problemi con un colpo di spugna veloce perché il rischio è di tirar via la solo la polvere. Quando si affronta il tema delle "carceri italiane", quando ad essere sul banco degli imputati è la "scottante" questione del sovraffollamento carcerario, ci troviamo di fronte ad un argomento complesso, che presenta mille sfaccettature diverse e che come tale va affrontato. E di certo non è un argomento nuovo, anzi. Non esiste giorno in cui per un episodio o per un altro non torna a "conquistare" le prime pagine dei giornali, locali e nazionali. Soprattutto quando sono i numeri a mettere nero su bianco una realtà al limite del "vergognoso. Dati che ci fanno ricordare che dietro quelle sbarre ci sono soprattutto persone, anche se hanno sbagliato nella vita, anche se devono pagare il loro conto con la giustizia. Ma è altrettanto giusto che lo facciano in condizioni atroci, impensabili ed al limite dell’umanità? Perché la realtà racconta tutta un’altra storia che fa sorgere una domanda cruda quanto vera: "si può morire di carcere?" ed in questo caso i numeri contano e quale peso hanno? È di oggi infatti la notizia, diramata dal Cosp, Coordinamento Sindacale Penitenziario, di quattro tentativi di suicidio avvenuti in Puglia, evitati grazie alla prontezza dei baschi azzurri, solo nella prima decade di giugno. Quattro che si aggiungono ai quaranta dall’inizio dell’anno ad oggi. E quelli purtroppo consumati? A Lecce un detenuto brindisino, L.V. queste le sue iniziali, ha tentato di soffocarsi da solo infilando la testa in una busta di plastica. Era il primo giugno scorso. Il giovane, appena 24enne, è stato bloccato e salvato dai poliziotti. E nonostante questo ci ha riprovato, di nuovo. E con un’altra busta di plastica ha tentato di togliersi la vita, soffocandosi. Il ragazzo che avrebbe finito di scontare la sua pena nel 2016 è stato sottoposto ad un controllo psichiatrico. Nella Casa Circondariale di Taranto, invece, un altro detenuto, P. D., 29enne ha tentato di impiccarsi con un lenzuolo nella propria cella, collocata nella sezione ordinaria del Penitenziario. Anche in questo caso salvato in extremis dagli agenti. Per concludere a Trani quando erano da poco passate le 9.00 un 62enne di Bisceglie ha tentato di impiccarsi con una corda ricavata da alcuni lembi di cotone che ha legato alla finestra della sua cella. Anche in questo caso è stato il tempestivo intervento degli uomini della Polizia Penitenziaria di servizio a scongiurare il peggio. Quattro tentativi di suicidio, quattro vite salvate al limite. Questo fa sapere il Cosp significa solo una cosa "resta il sovraffollamento delle Carceri Pugliesi, restano le criticità, resta e si conferma il disagio lavorativo dei quasi 2.400 poliziotti in sotto organico di 600 unità". Per questo il Coordinamento Sindacale Penitenziario "esprime forte preoccupazione per quello che continua ad accadere nelle prigioni pugliesi nonostante gli sforzi da parte dell’Amministrazione regionale e Territoriale messi in campo per allinearsi ai parametri della Cedu in attuazione della sentenza Torreggiani di cui il Ministro Orlando ha ricevuto un modesto rinvio temporale al 2015 della eventuale sanzione per carceri considerate pari alla "tortura". Sicilia: Comitato StopOpg; creare presto 80 posti letto in strutture alternative agli Opg Italpress, 10 giugno 2014 Il Comitato StopOpg, in una nota rivolta al Presidente della Regione e all’assessore regionale alla Salute, chiede di "stringere i tempi di una proposta alternativa alla creazione in Sicilia di 80 posti letto come uno degli strumenti alternativi all’internamento nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto, che entro il 15 marzo 2015, come tutti gli altri Opg, in base alla legge approvata nelle scorse settimane, dovrà essere chiuso". Il comitato ricorda che "entro il 15 giugno, la regione può rivedere questo programma a favore dei servizi di salute mentale". "È evidente - dice Elvira Morana, referente per il Comitato in Sicilia - che a fronte di 150 ricoverati nell’Opg di Barcellona Pozzo di Gotto e di una legge che prevede l’internamento come misura residuale per i casi di elevata pericolosità sociale, 80 posti letto sono troppi , uno spreco di risorse che possono invece essere utilizzate per rafforzare i dipartimenti di salute mentale. Voglio ricordare - aggiunge - che entro 45 giorni per ogni internato dovrà essere predisposto un piano terapeutico individuale con presa in carico da parte dei servizi di salute mentale". Secondo Morana "sono proprio i servizi di salute mentale che occorre dunque rinforzare, per rientrare nella filosofia di una legge secondo la quale ogni malato va curato e assistito, le misure alternative all’internamento devono essere la norma. Lanciamo dunque un appello alla Regione siciliana - conclude - ad adoperarsi per fare questo importante passo di civiltà, qual è la chiusura dell’Opg, nel migliore dei modi". Sassari: omicidio nel carcere di San Sebastiano, le difese screditano detenuto reo confesso Ansa, 10 giugno 2014 "Giuseppe Bigella non è credibile e la sua deposizione è ricca di contraddizioni". Per i legali di Mario Sanna non ci sono dubbi: Secondo gli avvocati Agostinangelo Marras e Mattia Doneddu - che difendono la guardia carceraria coinvolta nel processo per la morte di Marco Erittu, avvenuta in una cella del carcere di San Sebastiano il 18 novembre 2007 - il racconto del reo confesso non è attendibile. Non solo: per i due difensori, nell’ipotesi della Procura non c’è il benché minimo elemento che legittimi un’accusa di concorso in omicidio e la richiesta di una condanna all’ergastolo per il loro assistito. A parere di Marras e Doneddu, il pm Giovanni Porcheddu non ha mai spiegato da chi, come, quando e perché Mario Sanna sarebbe stato coinvolto nel piano criminoso. Quanto a Bigella, già in occasione del processo per l’omicidio Zirulia, la gioielliera di Porto Torres per cui sconta 30 anni di carcere, aveva tirato in ballo il figlio della vittima, Sergio Zara, raccontando di suoi rapporti con Vandi e di debiti contratti con lui per questioni di droga, ma era risultato tutto falso e il gip aveva disposto il non luogo a procedere. Bigella - hanno detto ancora i due legali - ha poi affermato di aver ucciso Erittu con la stessa tecnica già sperimentata in quella circostanza, e cioè soffocandolo con un sacchetto di plastica che non è stato mai rinvenuto, mentre è certo che la gioielliera di Porto Torres sia morta a causa di undici coltellate. Per la morte di Marco Erittu esiste già un colpevole materiale, appunto il reo confesso Giuseppe Bigella, condannato con rito abbreviato a 14 anni di carcere con l’accusa di omicidio volontario premeditato. Bigella ha ammesso di aver soffocato Erittu con un sacchetto di plastica e ha sostenuto di aver agito su ordine di Pino Vandi, accusato di concorso in omicidio come Nicolino Pinna, il detenuto che avrebbe agito insieme a Bigella, e a Mario Sanna, la guardia carceraria che avrebbe consentito ai due di entrare nella cella della vittima. Nel processo sono coinvolti anche altri due agenti, per i quali l’accusa è di favoreggiamento. Si tratta di Gianfranco Faedda e di Giuseppe Sotgiu. L’udienza è stata aggiornata al 12 giugno prossimo: parleranno i difensori si Vandi. Udine: visita alla Casa Circondariale di via Spalato, parla il direttore Irene Iannucci di Lucia Burello Il Quotidiano del Friuli, 10 giugno 2014 Gli spazi: le ristrutturazioni e le ore di libertà consentono una convivenza più serena. Il detenuto tipo è straniero di età compresa tra i 25 e i 40 anni, e i suoi reati sono "minori" l’interno del carcere è suddiviso in tre sezioni, in base alla pericolosità delle persone. Sappiamo tutti che il sovraffollamento delle carceri italiane, lo scorso gennaio ci ha fatto guadagnare una condanna dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Ma negli istituti detentivi del Belpaese di problemi ne spuntano ogni giorno come funghi, quotidianamente denunciati dagli operatori penitenziari e dai volontari. Quali? L’elevato numero di decessi e suicidi, per esempio, l’elevata percentuale (più del 40%) dei carcerati in attesa di giudizio; la mancanza di opportunità di lavoro e formazione; il consumo di sostanze stupefacenti; la presenza di gravi forme di disturbi psichici (25% dei detenuti); forte discriminazione razziale; trasmissione a macchia d’olio di malattie infettive quali Hiv ed Epatite C (ne è affetto oltre il 60%) e scarso investimento di risorse e di personale per i diversi trattamenti. Insomma, problemi che, a ben guardare, sembrano risparmiare, almeno in parte, la Casa Circondariale di via Spalato. Ecco, allora, che vi proponiamo un viaggio all’interno delle sue mura. Chi sono i detenuti tipo? Quali i loro crimini peggiori, l’età media e, soprattutto, come sono divisi gli spazi all’interno del carcere? A farci da Cicerone, il direttore Irene Iannucci. La prima cosa che impariamo è che una Casa Circondariale, ospitando detenuti in attesa di condanna definitiva o con condanne brevi non superiori ai cinque anni, è meno esposta ai disagi che puntualmente attanagliano le case di reclusione. Quali sono, dunque, i crimini più frequenti tra la popolazione carceraria udinese? "La maggior parte dei detenuti - spiega il direttore Iannucci - ha commesso reati di tipo patrimoniale: furti, rapine, ricettazione, estorsione, appropriazione indebita, detenzione a fine di spaccio e spaccio di stupefacenti. Rari i casi di reati contro la persona: lesioni, tentato omicidio e omicidio. Può capitare un breve passaggio di detenuti condannati per reato a sfondo sessuale, ma in questo caso chiediamo subito il trasferimento in istituti particolari, perché questo tipo di comportamento non è mai ben accolto dal resto della popolazione carceraria". Ma chi sono i carcerati? Scopriamo che la maggior parte sono stranieri (60%) e provengono soprattutto dal Magreb e dall’Est Europa, Romania e Albania in particolare. Non manca, infine, la costante presenza dei Rom. L’età è compresa tra i 25 e 40 anni e sono figli, fidanzati e mariti che, nonostante la loro turbolenza, vengono amorevolmente accuditi durante l’orario di visita. Sì perché dietro "alle grate" si assiepano soprattutto donne in pena, con tanto di pacchi dono contenenti vestiario e leccornie caserecce. Ma a proposito di etnie: all’interno del carcere di Udine c’è la tendenza, come accade nei penitenziari delle grandi città, a far ghetto? "La tendenza c’è - spiega Iannucci - ma è una cosa che l’amministrazione deve assolutamente scongiurare. È naturale che i detenuti vogliano condividere la cella con dei connazionali, ma è fondamentale che all’interno della struttura le persone imparino a convivere e a integrarsi". Parliamo delle celle, o meglio delle stanze. Come si presentano? "Ce ne sono di due tipi: le cellulari e le comuni. Le prime sono più piccole e destinate a un massimo di due persone mentre, le seconde, possono contenere da 4 a 8 detenuti. Naturalmente tutto dipende dalla metratura. Sotto i 3 mq a testa, infatti, si tratta di trattamento inumano. Ma visto che gli spazi sono quelli che sono, a Udine come nel resto d’Italia è avvenuta all’interno degli istituti penitenziari una vera rivoluzione copernicana, puntando ogni sforzo professionale all’umanizzazione della pena. Risultato? L’amministrazione in sede centrale, attraverso corsi di formazione rivolti ai direttori e ai funzionari apicali dell’istituto, ha voluto riorganizzare la struttura in modo tale da garantire a un carcerato più ore libere possibili, fuori, cioè, da quello spazio ristretto che, disumanamente, può condurre all’esasperazione. Ecco che la permanenza nelle stanze è limitatissima e si può uscire dalle otto alle dieci ore al giorno". Come avviene l’assegnazione delle camere? "A seconda dello spazio che si libera. Non ci sono distinzioni particolari, perché di questi tempi non ce lo possiamo permettere. In ogni caso, grazie a questo progetto di umanizzazione, abbiamo diviso l’istituto in tre parti sulla base di una serie di indicazioni ministeriali e dei dati ricavati sull’analisi delle singole persone. Ecco che, a seconda della pericolosità, un detenuto riceve la sua destinazione". L’ultimo piano di via Spalato, dunque, ospita i carcerati più affabili e tranquilli; quelli dai reati non violenti, capaci di socializzare con i compagni di sventura e in ottimi rapporti anche con le guardie. Per loro, le ore quotidiane fuori cella sono ben dieci. Poi, scendendo, ecco il piano mediano, popolato da detenuti un po’ più irrequieti, magari già segnalati e sui quali grava l’espiazione di colpe un po’ più serie. Per loro, la libertà quotidiana è di nove ore, ma sotto osservazione. E infine, il piano terra. Qui, a differenza dei livelli superiori ristrutturati intorno al 2004, le geometrie sono ancora vetuste e risalenti agli anni Venti, quando rispondevano a un’ottica "custodiale" del carcerato, piuttosto che trattamentale. E, infatti, il piano si presenta ancora panottico, circolare, consentendo così al sorvegliante di controllare contemporaneamente tutte le stanze. Il piano, dunque, dove il personale è decisamente più allertato, è stato ulteriormente suddiviso in tre parti: il lato destro è destinato a detenuti che potrebbero tranquillamente alloggiare all’ "attico", e che godono di 10 ore di libertà; poi c’è la comune, stanzoni abitati da carcerati che non si risparmiano in grattacapi ma che, facilmente sorvegliabili, possono comunque godere di otto ore di "passeggio". Dulcis in fundo, si fa per dire, c’è il lato sinistro, di nome e di fatto. La sezione è chiusa, niente "libertà", composta da cinque celle cellulari che ospitano massimo due detenuti: si tratta di persone difficilmente gestibili, dalla personalità borderline e che, dati i problemi di tipo psichiatrico, hanno a loro carico molte sanzioni disciplinari necessitando di massima attenzione. E sempre nella zona chiusa si trova l’ultimo reparto, quello d’osservazione, dove alloggiano i detenuti che devono scontare l’isolamento disciplinare, giudiziario o sanitario. Solitamente si tratta di reclusi in attesa di trasferimento, rei di azioni che il resto della popolazione carceraria, secondo il suo codice d’ "onore", troverebbe esecrabili e imperdonabili, come, appunto, quelli a sfondo sessuale. Ma a proposito di spazi: come sono equipaggiate le stanze? "Grazie alla ristrutturazione avvenuta una decina d’anni fa - continua il direttore Iannucci - ogni camera è dotata di un bagno munito di wc, bidet, lavandino e doccia. In ogni camera, inoltre, c’è a disposizione un televisore". Alle 7.30, dunque, il detenuto fa colazione "in camera" e dalle 8 alle 18 circa può godere del suo tempo di libertà. Intorno all’una di notte, infine, il buio cala per tutti. "Grazie a queste ore trascorse fuori cella - conclude la Iannucci - i carcerati sono meno stressati; possono impiegare il tempo studiando o lavorando, lontani da quell’oppressione che, tra le mura di una piccola stanza in convivenza coatta con un altra persona, può sfociare in una pericolosa aggressività". Venezia: "nelle celle mancano luce e aria", Spisal in sopralluogo a Santa Maria Maggiore Venezia Today, 10 giugno 2014 I tecnici dell’Ulss 12 hanno analizzato le condizioni di reclusione dei detenuti. Produrranno una relazione su cui si baserà il Tribunale. Sopralluogo dei tecnici dello Spisal ieri mattina al carcere di Santa Maria Maggiore di Venezia. Motivo? Capire se effettivamente la luce che raggiunge le celle sia sufficiente per ogni detenuto. Alle 10.30, dunque, hanno raggiunto la casa circondariale lagunare un medico e i rappresentanti del servizio dell’Asl per la sicurezza sui posti di lavoro per capire effettivamente le condizioni di detenzione. Tutto ciò sulla base di una denuncia di alcuni avvocati che hanno preso le difese di alcuni carcerati, secondo cui ci sarebbe una grave mancanza di luce e aria nelle celle: le grate rivolte verso l’alto e i vetri opachi renderebbero difficoltosa la lettura e avrebbero causato vistosi cali della vista. In definitiva le condizioni diventerebbero accettabili solo durante le giornate di sole. Come oggi, tra l’altro. Un dettaglio sottolineato dai legali difensori dei carcerati. È stato il presidente del Tribunale di Sorveglianza Pavarin a disporre il sopralluogo, sulla cui base lo Spisal produrrà una relazione da consegnare entro fine luglio. Un mese più tardi, poi, l’udienza in Tribunale. Nel mirino anche il sovraffollamento della struttura: la prima sezione penale della Corte di cassazione ha ribadito che lo spazio a disposizione di ogni detenuto deve essere di un minimo di sette metri quadrati al netto degli ingombri. Niente armadi o letti, dunque. Una situazione cui dovrebbe adeguarsi anche la Casa circondariale lagunare. Anche questo frangente è stato controllato lunedì mattina. Ma già in precedenza l’amministrazione penitenziaria aveva presentato una memoria affermando di non avere strumenti per far fronte alla carenza di spazi. Trento: "mancano Assistenti sociali", la Cgil si mobilita per l’Esecuzione Penale Esterna Trento Today, 10 giugno 2014 Stato di mobilitazione all’Ufficio esecuzione penale esterna di Trento, sottodimensionato rispetto al carico di lavoro, secondo quanto denuncia il sindacato della funzione pubblica, specialmente dopo il potenziamento delle misure alternative al carcere previsto dal decreto legge del 2013 Tagli al personale dell’Ufficio esecuzione penale esterna a fronte del decreto legge che potenzia le misure alternative al carcere: la Cgil del Trentino annuncia lo stato di mobilitazione da parte del personale dell’ufficio denunciando "lo stato di gravissimo disagio e l’impossibilità a svolgere, nelle condizioni date, le importantissime funzioni istituzionali sul territorio." Sarebbero 3 gli assistenti sociali impiegati presso l’ufficio con contratto in scadenza al 30 giugno e, stando a quanto riporta il sindacato, non sarebbe previsto un rinnovo. Gli assistenti sociali in forze all’Uepe di Trento sono in tutto 7, due dei quali a contratto part time, ma, rapportati al numero di detenuti, dovrebbero essere 15. Nel corso del 2013 l’Uepe di Trento ha gestito 480 tra misure alternative, misure di sicurezza e sanzioni sostitutive, oltre a 699 indagini per soggetti detenuti e in libertà. Negli ultimi 15 giorni sono pervenute 30 richieste di trattamento per "messa in prova" dei detenuti. Modena: Cgil; oggi presidio degli agenti di Polizia penitenziaria davanti al Prap Bologna Ansa, 10 giugno 2014 Le varie note di sensibilizzazione inviate nei mesi scorsi ai vertici nazionali dell’Amministrazione Penitenziaria non sono bastate a veder risolto il problema della vigilanza nel reparto femminile della Casa Circondariale "Sant’Anna" di Modena. Per questi motivi il sindacato Funzione Pubblica Cgil di Modena ha organizzato un presidio di protesta oggi martedì 10 giugno, dalle ore 10 alle 12, davanti alla sede del Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria di Bologna (Viale Vicini, 20) affinché siano ascoltate le voci delle lavoratrici e dei lavoratori dell’istituto di reclusione modenese. L’iniziativa di protesta di domani sarà contestuale a quella delle agenti di polizia penitenziaria della casa circondariale di Forlì, considerato che la stessa situazione si sta registrando nel presidio Romagnolo. "La grave carenza di personale addetto alla vigilanza del reparto femminile - spiega Vincenzo Santoro Fp/Cgil - è un dato di fatto che non sfugge neanche alle detenute visto che nei giorni scorsi una agente ha dovuto far ricorso alle cure del pronto soccorso dopo aver subito una aggressione". Le agenti sono sottoposte a turni snervanti visto che per assicurare la vigilanza si stanno anche disattendendo le norme regolamentari perviste dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Oggi al "Sant’Anna" sono in servizio 13 agenti a fronte di 25 previste, che devono vigilare su un numero di 30 detenute. "Il settore femminile della Casa Circondariale modenese - continua il sindacalista della Fp/Cgil - è particolarmente delicato poiché la popolazione detenuta è alquanto diversificata e l’attività delle agenti non è solo limitata alla pura vigilanza, ma consente anche di garantire equilibri particolari considerato il fatto che alcune detenute possono accudire anche i propri figli in tenera età". Sulla carenza di organico, la FP/Cgil richiederà nei prossimi giorni anche un incontro al Prefetto di Modena considerato l’interessamento che lo stesso ha sempre manifestato per la garanzia della sicurezza in città. Sciacca (Ag): niente ora d’aria per i detenuti, scoppia la protesta www.teleradiosciacca.it, 10 giugno 2014 È stato impedito ai detenuti di fruire dell’ora d’aria e per risposta, nel carcere di Sciacca, ieri si sono sollevate numerose, rumorose e pericolose proteste. Tutto per una disposizione presa d’intesa dal direttore e del Comandante di Reparto del carcere, decisione che per i poliziotti del Sappe è "gravissima". La notizia arriva dal Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, il primo e più rappresentativo della Categoria, per voce del segretario generale Donato Capece, in questi giorni in visita proprio nelle carceri siciliane. "Ieri nel carcere di Sciacca è stata presa, incomprensibilmente, una decisione gravissima, che poteva determinare sommosse e gravi problemi di sicurezza se non fosse stato per la professionalità dei poliziotti ed anche per il senso di responsabilità di alcuni detenuti. È successo tutto per una decisione concordata di direttore e Comandante del carcere, che hanno impedito ai 50 detenuti di andare nel cortile per l’ora d’aria per presunte ragioni di opportunità. Una decisione, come è immaginabile, che ha fatto scoppiare le proteste dei detenuti, controllate a fatica dai poliziotti, con battitura di oggetti di metallo sulle inferriate delle celle, grida, lancio di oggetti. Ancora oggi le proteste permangono, e davvero è stata dura per i bravi poliziotti tenere sotto controllo la situazione ed impedire che le proteste potessero degenerare in atti violenti. Noi ci chiediamo se si è immaginato cosa sarebbe potuto determinare (ed è successo!) con questa decisione gravissima, che va a ledere il diritto delle persone detenute di fruire dell’ora d’aria e che vede i poliziotti i primi linea subire le conseguenze di tali decisioni prese a monte. Vogliamo una ispezione ministeriale che accerti cosa è successo e che, se verranno accertate responsabilità ben precise, allontani da Sciacca chi ha sbagliato ed ha portato alta tensione in carcere!". "La situazione, a Sciacca e nelle carceri italiane, resta grave e questo determina difficili, pericolose e stressanti condizioni di lavoro per gli Agenti di Polizia Penitenziaria", prosegue il sindacalista dei Baschi Azzurri. "Nei 206 penitenziari del Paese il sovraffollamento resta significativamente alto rispetto ai posti letto reali, quelli davvero disponibili, non quelli che teoricamente si potrebbero rendere disponibili. Un problema è la mancanza di lavoro, che fa stare nell’apatia i detenuti. Ma va evidenziato anche che l’organico di Polizia Penitenziaria è sotto di 7mila unità, che non è pensabile chiudere strutture importanti di raccordo tra carcere, istituzioni e territorio come i Provveditorati Regionali dell’Amministrazione Penitenziaria a meno che non si voglia paralizzare il sistema, che il carcere non può continuare con l’esclusiva concezione custodiale che lo ha caratterizzato fino ad oggi. E che non si possono prendere decisioni così gravi come impedire ai detenuti di fruire dell’ora d’aria senza tenere nel debito conto le pericolose ricadute di tale decisioni. Fatelo dire a noi che stiamo tra i detenuti, in prima linea, 24 ore al giorno". Osapp: il Governo si occupi delle carceri Protesta dei detenuti nel carcere di Sciacca. Lo rende noto il segretario dell’Osapp Domenico Nicotra. "I reclusi hanno utilizzando le brande di ferro per tentare di demolire le celle - aggiunge - tutto il personale di Polizia Penitenziaria è intervenuto per ripristinare l’ordine". Per Nicotra: "È necessario che i palazzi del potere romano invertano la tendenza registrata negli ultimi decenni e inizino a ponderare attentamente le criticità della carceri siciliane perché diversamente casi del genere non resteranno episodi isolati. "Mentre la Corte di Strasburgo premia i "sacrifici" dello Stato Italiano per i risultati raggiunti per le condizioni delle patrie galere, nel carcere di Sciacca si stanno registrando, ancora adesso, momenti di straordinaria follia" ha concluso Nicotra secondo cui "i detenuti del carcere di Sciacca con a capo quattro detenuti di origine catanese hanno iniziato e tutt’ora stanno continuando la loro rivolta utilizzando le brande di ferro e demolendo le celle ed i blindati". Roma: incendio a Regina Coeli; detenuto tenta evasione durante il rogo, ma viene fermato di Mauro Cifelli Il Messaggero, 10 giugno 2014 L’uomo ha tentato di scavalcare il muro dei passeggi approfittando delle fiamme che sono divampate nel pomeriggio di domenica. Danneggiate tre mezzi blindati. Altrettanti agenti di Polizia penitenziaria costretti alle cure del pronto soccorso. Ha approfittato del momento di emergenza tentando di evadere dal carcere di Regina Coeli. È accaduto nel pomeriggio di domenica 8 giugno nel corso dell’incendio che si è sviluppato nel cortile della casa circondariale di via della Lungara a causa di alcune cicche di sigarette gettate dalle finestre dei piani superiori. Il detenuto ha tentato la fuga mentre veniva evacuato con gli altri carcerati delle sezioni 7 e 8 del carcere di Trastevere. A rendere noto il tentativo di fuga il segretario regionale della Fns Cisl Massimo Costantino: "Solo per la prontezza del personale di Polizia penitenziaria è stato sventato il tentativo di evasione. Infatti mentre i detenuti delle sezioni 7/8 venivano evacuati, uno di loro, proveniente dalle sezione 7, approfittandone della situazione, ha scavalcato il muro dei passeggi e, solo grazie all’intervento del personale i servizio di sentinella e a quello della porta carri si è evitato che ciò accadesse". A differenza di quanto si pensava in un primo momento l’incendio, divampato dove erano accumulati vari materiali di scarto, tra cui materassi, cassette di legno per la frutta e armadietti rotti, ha provocato non pochi danni alla struttura interessata dalle fiamme. "Da quanto ci risulta - afferma ancora Massimo Costantino - risultano danneggiati 3 mezzi blindati dell’Amministrazione Penitenziaria, di cui 1 in modo lieve al vetro". Nel corso dell’incendio "tre agenti - afferma ancora il segretario generale della Fns Cisl - addetti all’ufficio matricola sono dovuti ricorrere alle cure del pronto soccorso per aver inalato i fumi nel tentativo di spegnere il fuoco, tra di loro una ha avuto due giorni di prognosi. Danneggiati anche alcuni locali dell’ufficio interessato dall’incendio. La Fns Cisl Lazio - conclude Costantino - esprime vive apprezzamento al personale intervenuto". Una tentata evasione che segue di pochi giorni (era il 5 giugno) il mancato rientro di un detenuto romano di 41 anni, dichiarato evaso in termine di legge dopo non aver fatto ritorno nel carcere di Rebibbia alle 21 della sera. L’uomo non è stato ancora ritrovato. Bollate (Mi): detenuto in permesso non rientra in carcere, è il terzo caso in due mesi di Roberta Rampini Il Giorno, 10 giugno 2014 Il detenuto cileno, in carcere per furto, non ha fatto ritorno nella struttura penitenziaria di Bollate. Ancora un detenuto in fuga dal carcere di Bollate. Il terzo in meno di due mesi. Si tratta di un cileno uscito con un permesso premio domenica mattina per andare a trovare la mamma che non ha fatto rientro. A dare la notizia è il segretario generale del Sindacato autonomo di polizia penitenziaria (Sappe), Donato Capece: "Questo è un evento che purtroppo si può verificare, anche se la percentuale dei detenuti ammessi a fruire di permessi all’esterno che non fa poi rientro è minima". Il detenuto, 27 anni, era in carcere per furto, con un fine pena il 21 agosto 2015. Da mesi seguiva un percorso rieducativo e aveva già usufruito di altri permessi premio: "Onestamente non riesco a capire cosa abbia spinto un detenuto, che deve scontare ancora pochi mesi e che a breve avrebbe potuto accedere all’affidamento, a non rientrare in carcere - commenta il direttore Massimo Parisi -. Il permesso premio viene dato dal magistrato di sorveglianza dopo un’istruttoria che si basa anche sulle nostre relazioni". Certo ora per il detenuto cileno la situazione si complica: "È evidente che un detenuto ammesso a fruire di permesso premio che non rientra in carcere allunga la sua permanenza nelle patrie galere. Ma i permessi sono utili, e la stragrande maggioranza di chi ne fruisce ha un comportamento ineccepibile, proprio per creare le condizioni di un percorso trattamentale e rieducativo finalizzato a intessere rapporti con la famiglia - conclude Capece -. Mi auguro per lui che si costituisca prima di essere catturato. Questo episodio conferma che è difficile trovare carceri che siano oasi felici". Per il direttore del "carcere modello" si tratta dell’altra faccia della medaglia di un sistema penitenziario che scommette sui detenuti: "In un recente inchiesta su carceri aperte come il nostro, si conferma che la recidiva dei detenuti è di gran lunga inferiore, a Bollate è del 16% rispetto ad un media nazionale che supera il 50%. Per arrivare a questi risultati riponiamo fiducia nei detenuti e investiamo in progetti di reinserimento". Trapani: Donato Capece, segretario generale del Sappe, visita il carcere di San Giuliano www.trapaniok.it, 10 giugno 2014 È iniziato da Trapani l’intenso giro nelle carceri della Sicilia che vedrà impegnato da oggi e nei prossimi giorni Donato Capece, segretario generale del Sappe. "A Trapani ho trovato un clima positivo e cordiale, nonostante le indubbie criticità di un carcere che ospita, mediamente, poco meno di 500 detenuti", ha affermato Capece al termine della visita nella struttura di via Madonna di Fatima. "Ho potuto accertare che anche a Trapani il Corpo di Polizia Penitenziaria è costituito da persone che nonostante l´insostenibile, pericoloso e stressante sovraffollamento credono nel proprio lavoro, che hanno valori radicati e un forte senso d´identità e d´orgoglio. Persone che lavorano ogni giorno, nel silenzio e tra mille difficoltà ma con professionalità, umanità, competenza e passione nel dramma delle sezioni detentive italiane. E questo grazie ad un clima sereno favorito anche dalla Direzione e dal Funzionario di Polizia che Comanda il Reparto". Capece sottolinea anche "l’ottimo rapporto di collaborazione creato con la Magistratura, ed in particolare con il presidente della Sezione misure di prevenzione del tribunale di Trapani, Piero Grillo, che ha permesso di assegnare al Corpo di Polizia Penitenziaria per gli usi istituzionali automezzi confiscati alla mafia". Roma: i detenuti di Rebibbia vanno in scena al Teatro Eliseo con "La fine all’alba" La Nuova Sardegna, 10 giugno 2014 "La fine all’alba" scritto da Antonio Turco, regia di Francesco Cinquemani. È lo spettacolo che giovedì prossimo alle 21 la Compagnia teatrale Assai proporrà all’attenzione del pubblico del teatro Eliseo di via Roma. "Un ultimo colpo, per l’ultima volta...". In scena gli attori della Casa di Reclusione di Rebibbia, Roma, impegnati così in una trasferta unica in Sardegna (prevendita dei biglietti in via Gramsci, Mousikè). Una nuova iniziativa culturale organizzata e promossa nell’ambito di "Carcere: diritto penitenziario dentro e fuori", progetto realizzato dalla Scuola forense di Nuoro in collaborazione con la direzione della Casa circondariale di Badu ‘e Carros, Nuoro. Progetto che ha preso piede lo scorso inverno, a febbraio e marzo, nel penitenziario barbaricino, dove si sono svolti quattro incontri di studio formativi rivolti agli avvocati del Foro di Nuoro su temi inerenti l’esecuzione penale e il diritto penitenziario, tra cui: il trattamento penitenziario in generale e nei differenti circuiti, le classificazioni e declassificazioni, l’ergastolo e le pene nella loro variante ostativa, le sperimentazioni trattamentali e le buone prassi operative. I contenuti dei temi trattati, la preparazione della documentazione didattica, sono stati curati dall’avvocato Monica Murru, del Foro di Nuoro, e dal dottor Marcello dell’Anna, recluso a Badu ‘e Carros, laureato in Giurisprudenza all’università di Pisa nel corso della sua lunga detenzione. Oltre ai due coordinatori del progetto, sono stati numerosi i relatori che a vario titolo hanno fornito il proprio contributo ai pomeriggi di studio. Sono state presentate, tra l’altro, anche alcune testimonianze dei detenuti della Casa di reclusione di Rebibbia di Roma che oggi si trovano in misura alternativa e che lavorano anche come attori nella Compagnia teatro stabile Assai diretta da Antonio Turco, funzionario giuridico pedagogico, che trent’anni fa ha fondato la Compagnia, composta esclusivamente da detenuti, a Nuoro giovedì prossimo. Francia: riflettori sulla minaccia dell’estremismo islamico che si sviluppa nelle carceri Nova, 10 giugno 2014 Il proselitismo estremista islamico nelle prigioni francesi è una bomba ad orologeria, scrive oggi Yves Threiard nel suo editoriale per il "Figaro". Segnalato e temuto dall’Amministrazione penitenziaria, nei rapporti ufficiali sull’ambiente carcerario il fenomeno del proselitismo islamista non è mai presentato come tale. Anzi, le parole "Islam" o "musulmano" sono sempre accuratamente evitate quando si parla di questioni religiose. Eppure è dietro le sbarre che è stato indottrinato il cittadino francese presunto autore della strage al Museo ebraico di Bruxelles, già condannato a sette riprese in precedenza. Prima di lui, era accaduto lo stesso a Mohamed Merah, responsabile degli assassinii a sfondo razziale di Tolosa. Secondo i sindacati delle guardie carcerarie, sono almeno 150 i detenuti delle carceri francesi ad avere il profilo di un potenziale terrorista: ma la cifra non può che essere approssimativa, vista la difficoltà nel seguire l’evoluzione dei carcerati. La popolazione nelle prigioni dell’Esagono è composta per metà da musulmani, secondo una stima mai resa pubblica. Per questo è urgente trovare delle soluzioni affinché la detenzione non si trasformi in avviamento alla Jihad: un esempio è la restrizione dell’accesso ad Internet, formidabile strumento di propaganda. È un peccato conclude Thrèard - che la riforma penale della ministra Guardasigilli, Christiane Taubira, abbia ignorato questo tema esplosivo. Medio Oriente: peggiorano le condizioni di salute dei detenuti palestinesi in sciopero fame Ansa, 10 giugno 2014 Peggiorano sensibilmente le condizioni di salute dei detenuti palestinesi in carcere in Israele in sciopero della fame dal 24 aprile scorso. Lo ha detto all’ANSA Jawad Bolous, avvocato dell’associazione "Palestinian Prisoners Society", ricordando che lo sciopero è contro la detenzione amministrativa, strumento giuridico che Israele usa per detenere persone sospettate di reati, anche per mesi, senza la formulazione di un’accusa o l’avvio di un processo. "Le condizioni di alcuni scioperanti - ha spiegato Boulos - sono drammatiche, alcuni di loro hanno già perso dai 15 ai 18 chili, altri hanno avuto emorragie interne e sono stati sottoposti ad operazioni chirurgiche. Quasi tutti lamentano problemi alla vista e svenimenti improvvisi. Ad oggi sono tra i 120 e i 140 i detenuti in sciopero della fame dalla fine di aprile e secondo Addamer - l’organizzazione per i diritti dei detenuti palestinesi - altre centinaia di incarcerati si sarebbero uniti alla protesta a momenti alterni. Ieri in Cisgiordania si è svolta una giornata di sciopero a sostegno dei detenuti. Secondo Haartez, il governo israeliano non sembra essere disposto a negoziare con gli scioperanti e a discutere un cambiamento della norma della detenzione amministrativa, uno strumento che secondo il servizio di sicurezza interno - Shin Beit - è necessario per la lotta al terrorismo. Sempre secondo il quotidiano, il primo ministro Benyamin Netanyahu starebbe spingendo per passare alla Knesset (Parlamento) un emendamento che permetterebbe la nutrizione forzata dei detenuti in sciopero della fame. Siria: il Presidente Assad annuncia un’amnistia generale, come "perdono sociale" Agi, 10 giugno 2014 Il Presidente siriano, Bashar al Assad, ha annunciato una "amnistia generale" per tutti i reati commessi fino a oggi. Lo ha annunciato la tv di Stato, citando il ministro della Giustizia, Najem al Ahmad. Il decreto è stato firmato in un contesto di "perdono sociale e coesione nazionale, in un momento in cui l’esercito ha ottenuto numerose vittorie militari", ha spiegato Ahmad. Non è chiaro chi potrà usufruire dell’amnistia: migliaia di persone sono detenute senza processo e l’assenza di una condanna potrebbe impedire il loro rilascio. I gruppi per la tutela dei diritti umani hanno sottolineato che nelle carceri siriane ci sono decine di migliaia di prigionieri, sottoposti in modo sistematico a torture e abusi. Si tratta della quinta amnistia generale decretata dall’inizio della rivolta nel marzo del 2011, né è chiaro quale sia l’effettiva applicazione che intendano darle le autorità di Damasco: secondo le Ong per la difesa dei dirti umani vi sono decine di migliaia di detenuti per motivi politici, molti oggetto di torture e maltrattamenti. L’amnistia è stata decisa una settimana dopo lo svolgimento delle elezioni presidenziali in pieno conflitto, definite dall’opposizione siriana, dagli Stati Uniti e dall’Ue "una farsa" e una "parodia della democrazia": la conferma di Assad - che ha dovuto affrontare due candidati sconosciuti e di facciata, Hassan al-Nouri e Maher al-Hajjar - era poco più di una formalità dato che il voto si è svolto solo nelle zone controllate dal regime, che comprendono circa il 60% della popolazione. India: 17 poliziotti condannati all’ergastolo per torture che causarono morte di detenuto La Presse, 10 giugno 2014 Diciassette agenti di polizia sono stati condannati all’ergastolo in India per il rapimento e l’uccisione, nel 2009, di un ragazzo di 22 anni che era sotto la loro custodia. L’accusa ha sostenuto nel processo che la vittima, il laureato in economia Ranbir Singh, era andato nella città settentrionale di Dehradun in cerca di lavoro quando venne arrestato per rapina. La polizia sostenne che Singh fosse coinvolto in un giro di estorsione e che venne ucciso a colpi d’arma da fuoco mentre cercava di sfuggire all’arresto. Tuttavia un’indagine sui fatti accertò che il 22enne venne torturato, colpito da 12 proiettili sparati a distanza ravvicinata e che morì mentre era in custodia. La condanna di 17 agenti in un singolo caso è ritenuta senza precedenti in India, Paese in cui spesso i gruppi per i diritti umani hanno accusato le forze di sicurezza di torturare le persone in custodia per costringerle a confessare. Nel condannare gli agenti, il giudice J.P. Malik li ha anche giudicati colpevoli di avere fatto parte di una cospirazione per uccidere Singh. I membri della famiglia della vittima non sono soddisfatti delle sentenze e hanno annunciato che ricorreranno in appello. Avevano infatti sperato che agli imputati venisse inflitta la pena capitale. Etiopia: premio Golden Pen of Freedom, assegnato al giornalista detenuto Eskinder Nega Ansa, 10 giugno 2014 Al giornalista etiope Eskinder Nega, detenuto in un carcere di Addis Abeba con l’accusa di terrorismo per servizi da lui pubblicati contro il regime etiope, è stato attribuito il premio Golden Pen of Freedom 2014. È il riconoscimento che ogni anno l’associazione mondiale degli editori, la World Association of Newspapers and News Publishers Wan-Ifra, attribuisce a un giornalista capace di testimoniare il valore universale della libertà di stampa. Il premio è stato ritirato al Lingotto di Torino dal giornalista freelance svedese Martin Schibbye, che fu incarcerato nella stessa cella con Eskimder Nega. Toccante la sua testimonianza oggi al forum dell’editoria. "Eskinder è torturato ma non sconfitto. È in pace con se stesso perché ha sempre detto la verità. Possono fermare i giornalisti, ma non il giornalismo". Corea del Nord: turista americano arrestato, era nel paese per un tour vacanza Reuters, 10 giugno 2014 Il cittadino americano detenuto in Corea del Nord, Jeffrey Fowle, 56 anni, è padre di tre figli con la passione per l’avventura, era nel paese per un tour vacanza. "Jeffrey ama viaggiare e ama l’avventura di sperimentare culture diverse e vedere posti nuovi", ha detto il suo avvocato, Timothy Tepe. La Corea del Nord, ufficialmente conosciuta come la Repubblica democratica popolare di Corea, la scorsa settimana ha diffuso un dispaccio che informava dell’arresto di un turista americano per aver violato le sue leggi. "Il cittadino americano Jeffrey Edward Fowle, entrato in Corea del Nord come turista il 29 aprile, ha agito in violazione della legge Rpdc, in contrasto con la finalità del turismo durante il suo soggiorno.