Giustizia: carceri piene, Parlamento immobile Il Foglio, 7 gennaio 2014 Ricominciano i suicidi. Boldrini e Grasso dimenticano Napolitano Ieri, nel carcere romano di Rebibbia, un detenuto si è suicidato. Non è il primo caso nell’anno appena cominciato, considerato che già nel carcere di Ivrea si è verificato un episodio simile nei giorni scorsi. Puntuali, e sempre più manifestamente inutili, ricominciano le dichiarazioni di sdegno per le condizioni carcerarie italiane. I nostri istituti penitenziari sono più che sovraffollati, ormai è noto. L’indignazione però ha fatto il suo tempo. Soluzioni possibili ci sono eccome, e il ministro di Giustizia, Annamaria Cancellieri, ne sta percorrendo qualcuna. Eppure continuare a gingillarsi con deboli aspirine (la costruzione di nuove carceri, certo, ma quando?) o potenti medicamenti (indulto e amnistia) suona come una presa in giro. Perché se "a valle" abbiamo carceri indegne di uno stato di diritto, lo dobbiamo alla giustizia fuori controllo che continua a operare "a monte". Se non si riformano i meccanismi istituzionali che producono gli abusi della carcerazione preventiva e la lunghezza ingiustificata dei processi, solo per fare qualche esempio, allora sarebbe più dignitoso applicare nel frattempo una moratoria da ogni commento lacrimevole del giorno dopo. Il Parlamento, senza attendere il governo, potrebbe già fare molto, o perlomeno qualcosa. Non a caso il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, a inizio ottobre si era rivolto con un messaggio ufficiale alle Camere. Responsabilmente, il presidente non evocava soltanto "misure di clemenza" contro il sovraffollamento carcerario, ma indicava al Parlamento "la connessione profonda tra il considerare e affrontare tale fenomeno e il mettere mano a un’opera, da lungo tempo matura e attesa, di rinnovamento dell’Amministrazione della giustizia". Cosa ne è stato di quelle parole? Sostiene Marco Pannella, leader dei Radicali da anni impegnati su amnistia e riforma della giustizia, che il presidente della Camera, Laura Boldrini, e il presidente del Senato, Pietro Grasso, hanno forse "sequestrato" il messaggio presidenziale. Dopo tre mesi esatti di inazione, il dubbio effettivamente è lecito. Basteranno le condanne e le multe europee pendenti a destarli dal facile torpore umanitario? Giustizia: -142... e intanto nel 2014 già due detenuti si sono tolti la vita di Valter Vecellio Notizie Radicali, 7 gennaio 2014 -142. Sono i giorni che ci separano dal 28 maggio, giorno entro il quale, come ci intima la Corte di Giustizia Europea l’Italia dovrà aver risolto l’emergenza costituita dalla barbarie delle nostre galere e approntare quegli strumenti "tecnici" che consentano di cominciare a risolvere l’intollerabile durata dei processi. Se non l’amnistia e l’indulto, quali altri strumenti per dare inizio a quella che è la vera, grande emergenza di questo paese? 142 giorni, signori del Parlamento, signori dell’Associazione Nazionale dei Magistrati. Intanto, nelle galere italiane continua la mattanza. L’altra notte si è tolto la vita impiccandosi nella sua cella un detenuto di 53 anni. Ha atteso che facesse notte, Francesco Di Francesco, per stringersi attorno al collo una camicia, legata poi alla porta del bagno della cella. F.D.F. si trovava in carcere in attesa di giudizio perché accusato di aver ucciso la madre. Arrestato era stato prima recluso a Regina Coeli, e da lì trasferito all’osservazione psichiatrica di Rebibbia Nuovo Complesso. Era in attesa di venire trasferito nel reparto per minorati psichici di Rebibbia Penale. L’altro suicidio si è consumato nel carcere di Ivrea. Un detenuto di 42 anni si è impiccato alle sbarre del bagno della cella usando come cappio un sacco dell’immondizia intrecciato. Nel frattempo, la ditta Grillo-Casaleggio si produce nell’ennesima iniziativa demagogica. Cosa fare contro il sovraffollamento carcerario? È la domanda posta nel blog di Grillo. Si suggeriscono alcune soluzioni: depenalizzazione dei reati minori (ad esempio, abolizione Fini-Giovanardi); eliminazione o riduzione della custodia cautelare; accordi bilaterali con i Paesi degli stranieri carcerati affinché scontino la pena in patria; costruzione nuove carceri; ristrutturazione delle strutture carcerarie esistenti, razionalizzando e recuperando spazi; indulto e amnistia; altro, con la possibilità di avanzare la relativa proposta. Sull’autenticità e l’attendibilità dei risultati, ovviamente, non è dato sapere. È un atto di fede. Al momento della chiusura del sondaggio, i votanti dichiarati risultavano essere 30.491. La maggioranza (33,44%), dice che per risolvere il problema del sovraffollamento carcerario siano necessari gli accordi bilaterali con i paesi di stranieri di detenuti in Italia affinché scontino la pena nei propri paesi. Il 27,85% è per la "depenalizzazione di reati minori (abolizione Fini-Giovanardi)" mentre il 15,69% è per la ristrutturazione delle carceri esistenti, razionalizzando e recuperando spazi; l’11,46% per la costruzione di nuove carceri. Solo l’1.29% è per l’eliminazione o riduzione della custodia cautelare. Altri 2.421 votanti pensano che serva "altro" per risolvere il problema del sovraffollamento nelle carceri italiane. Il 2,33% dei votanti ritiene necessari amnistia e indulto. A ben vedere, quel 2,33%, stante le demagogiche posizioni assunte in questi mesi da Grillo, e la qualità dell’informazione sulla questione, è un piccolo miracolo. Ma dà comunque la cifra di come ci si sta preparando per la campagna elettorale per le elezioni europee, i comuni e le regioni in scadenza. Da un lato apparentemente opposto (ma in fatto di demagogia e di vuoto di proposta assai contigua), anche il gruppo che fa capo a Ignazio La Russa e a Giorgia Meloni raccoglie firme e adesioni contro l’amnistia e l’indulto. Demagoghi di tutto il paese, unitevi! Giustizia: Parlamento, "svuota-carceri" e custodia cautelare in primo piano di Donatella Stasio Il Sole 24 Ore, 7 gennaio 2014 Il 4 gennaio i detenuti nelle patrie galere erano 62.480, mai così "pochi" dal 2009 e tuttavia ancora troppi rispetto alla capienza regolamentare di 47mi-la posti (in realtà i posti effettivi sono 10mila in meno). L’emergenza resta, e non solo per il sovraffollamento, ma da oggi parte una maratona parlamentare, almeno su due fronti: il decreto svuota carceri, da convertire in legge entro il 22 febbraio, comincerà a muovere i primi passi in commissione Giustizia; il ddl di riforma della custodia cautelare, sarà in aula da domani per le prime votazioni (il termine per gli emendamenti scade oggi pomeriggio). Due provvedimenti che affiancano il ddl, ancora all’esame del Senato, su "messa alla prova" e "detenzione domiciliare" e che seguono il primo decreto svuota carceri già divenuto legge. E che potrebbero fondersi in un un unico testo se governo e maggioranza troveranno un accordo sul punto più critico del testo licenziato per l’aula dalla commissione Giustizia, là dove prevede che il giudice, nel valutare il pericolo di reiterazione del reato, non possa far scattare le manette tenendo conto "esclusivamente" della gravità del reato e delle modalità e circostanze del fatto. Una "criticità" segnalata anche dall’Anni, secondo cui con questa norma molti incensurati eviteranno il carcere preventivo anche se indagati per crimini efferati. Il primo appuntamento è alle 13,30, in commissione Giustizia, con il ddl di conversione in legge del decreto carceri varato dal governo prima di Natale. La seduta si aprirà con la relazione di David Ermini (Pd), favorevole al provvedimento, ma con una correzione riguardante la pena prevista per il reato di piccolo spaccio di stupefacenti: il decreto l’abbassa da 6 a5 anni; il relatore proporrà di scendere a 4 essenzialmente per ragioni di coordinamento con altre misure votate dalla Camera, in particolare la "messa alla prova", consentita per tutti i reati puniti fino a 4 anni (la proposta di legge, già approvata dalla Camera, è ferma al Senato). "Se non portiamo a 4 anni la pena per il traffico di stupefacenti di lieve entità, non potremo mai applicare la messa alla prova, ad esempio, nell’ipotesi, lieve, di cessione di spinelli tra compagni di scuola", spiega Ermini, perorando una distinzione di pena tra droghe leggere (4 anni) e droghe pesanti (5 anni). Al di là di questa correzione, Ermini giudica positivamente il provvedimento del governo, anche la "liberazione anticipata speciale" che, a far data dal 1 ° gennaio 2010 e per tutto il 2015, consente di ridurre la pena di 30 giorni, oltre ai 45 attualmente previsti, per ogni semestre di detenzione e per qualunque tipo di reato, sempre che il detenuto se lo "meriti". "Un mini-condono positivo - dice Ermini - perché, a differenza dell’indulto, prevede un controllo del magistrato di sorveglianza, senza alcun automatismo, e una motivazione rafforzata per i reati più gravi". E tuttavia, già si sentono le prime voci contrarie. Ieri il responsabile della comunicazione dei 5 Stelle, Nicola Biondo, ha definito la "liberazione anticipata speciale" un "indulto mascherato che riguarderà mafiosi, stupratori, assassini", e ha attaccato anche il "lavoro esterno dei detenuti esentasse, di cui godranno quasi totalmente imprese vicine a Comunione e Liberazione" nonché "i braccialetti d’oro, tramite succosi appalti a quella Telecom che ha poi magicamente assunto il figlio della Cancellieri". Critiche a cui si aggiungeranno - scontate - quelle della Lega, contraria anche al testo di riforma della custodia cautelare, a differenza dell’M5S. Un testo che la maggioranza difende a spada tratta e che è disposta a trapiantare nel decreto carceri solo a condizione che non venga modificato, neanche sul punto - criticato in commissione dal governo e dall’Anni - che limita eccessivamente la discrezionalità del giudice. Una possibile mediazione potrebbe prevedere che il giudice, se il pericolo di reiterazione del reato è desumibile solo dalle circostanze del fatto, sia obbligato a motivare il carcere preventivo in modo più stringente. Camera: si avvia iter decreto legge su riduzione controllata detenuti La Commissione Giustizia avvia oggi l’esame in referente del DL 146 di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e riduzione controllata della popolazione carceraria. Il testo mira anche a dare risposta alle sollecitazioni ad affrontare l’emergenza carceri rinnovate dal Capo dello Stato con il Messaggio inviato in Parlamento. In primo piano è anche la discussione di schemi di DLGS di recepimento di direttive comunitarie in materia di lotta contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile e in materia di prevenzione e repressione della tratta di esseri umani e protezione delle vittime; sarà poi sviluppato l’esame della PDL 1438 in materia di visite dei detenuti a figli affetti da handicap in situazione di gravità. In sede consultiva dovrà essere valutato, per il parere alla Ambiente, il DDL governativo1885 contenente disposizioni urgenti dirette a fronteggiare emergenze ambientali e industriali ed a favorire lo sviluppo delle aree interessate. La stessa Commissione in settimana proseguirà l’indagine conoscitiva connessa alle proposte di revisione della disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza. Sono previste audizioni di , Andrea De Gennaro, Direttore centrale del Servizio antidroga del Dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell’Interno; di Gaetano Di Chiara, professore di farmacologia presso l’Università degli studi di Cagliari; di rappresentanti di Forum Droghe e dell’Associazione Saman. Giustizia: il dramma infinito delle carceri... dimenticare è una barbarie di Luigi Manconi Il Mattino, 7 gennaio 2014 Francesco D.F. non è stato il primo detenuto a togliersi la vita nel 2014 all’interno di un carcere italiano, quello romano di Rebibbia, la notte tra domenica e lunedì. Già nel pomeriggio del 3 gennaio, nell’istituto penitenziario di Ivrea, si era suicidato un italiano di 42 anni. Negli anni precedenti c’è stato chi si è ucciso nella notte di Capodanno o nelle prime ore di quel giorno, come in una angosciosa e disperante corsa a lasciare una propria traccia nel tragico calendario dell’esecuzione della pena e delle sue possibili crudeli conseguenze. Queste prime morti sono parte di una serie che, lo dicono le statistiche da oltre un decennio, arriverà a una cifra oscillante tra le cinquanta e le sessanta o, magari, le settanta unità nei prossimi dodici mesi. In ogni caso, nelle nostre carceri, ci si ammazza con una frequenza diciassette/venti volte superiore a quella che si registra all’interno della popolazione nazionale. E va notato che, mentre tra le persone libere la tendenza all’autolesionismo si manifesta nelle fasce d’età più avanzate, in carcere la percentuale di suicidi è assai più elevata nella classe tra i 24 e i 35 anni. E si verifica nelle prime settimane o nei primi mesi dopo l’ingresso in carcere: il che dimostra come è l’impatto con un universo di cui spesso si ignorano regole e linguaggi, procedure e obblighi, codici e gerarchie, a costituire il fattore precipitante di uno stato di smarrimento che può portare al suicidio. Si aggiunga infine- e questo è un dato totalmente trascurato- che, dal 2000 al 2013, oltre 90 agenti di polizia penitenziaria si sono tolti la vita: prova inconfutabile del fatto che è l’intero sistema dell’esecuzione della pena a conoscere una crisi irreversibile. Non si tratta, come qualcuno sembra dire, di un problema umanitario o, comunque, non si tratta esclusivamente e nemmeno principalmente di questo; e tanto meno stiamo parlando di buoni sentimenti o di doverosa attenzione per " gli ultimi tra gli ultimi". Tutto questo può essere importante, certo, ma qui sono in gioco, piuttosto, una fondamentale questione di diritto e una altrettanto fondamentale questione di politica. Il degrado del sistema penitenziario, infatti, è l’estrema espressione - la più dolente e oltraggiosa- del collasso dell’intero sistema della giustizia, e quest’ultimo non può essere affrontato se non partendo dal luogo dove tutte le contraddizioni e tutte le iniquità si manifestano nella loro forma assoluta, senza infingimenti e senza mediazioni. Come fallimento delle regole e delle garanzie, ma anche come catastrofe del senso stesso di ogni concezione della pena che si voglia diversa dal mero esercizio della vendetta. Dunque, trattare la questione carceraria non è cosa diversa dall’affrontare le lentezze della giustizia penale e civile o il funzionamento del Csm o ancora gli incarichi extragiudiziari dei magistrati. In altre parole, il carcere è una sorta di rappresentazione tragica di tutte le aporie che il nostro sistema di amministrazione della giustizia rivela quotidianamente. Per questo sorprende che il tema dell’esecuzione della pena (e quello correlato della custodia cautelare) non sia tra quei quattro-cinque obiettivi sui quali dovrebbe fondarsi il patto di coalizione che i partiti della maggioranza di governo si apprestano a sottoscrivere. Stiamo parlando niente meno che di un tema cruciale come quello della libertà personale, delle sue tutele e dei suoi limiti: e su cos’altro, se non su questo, deve fondarsi una politica all’altezza dei tempi? Una politica che voglia davvero riformarsi radicalmente? Poi, si pone il problema delle strategie più adeguate per evitare che la strage di legalità, come dice Marco Pannella, e di persone e di corpi si protragga. Qui le opinioni sono molte e controverse: il capo dello Stato, il ministro della Giustizia, numerosi giuristi e i radicali, ritengono che - unitamente alle " riforme di struttura", capaci di intaccare le prime cause che determinano il sovraffollamento ( leggi sulle droghe, sull’immigrazione, sulla recidiva)- si imponga la necessità di provvedimenti come l’amnistia e l’indulto. Anch’io ne sono convinto, a partire da una considerazione elementare: il nostro sistema penitenziario è un corpaccione febbricitante, affetto da una gravissima patologia. Prima di adottare le terapie ordinarie (le" riforme di struttura", appunto) va drasticamente abbassata quella febbre che deforma in misura abnorme l’organismo. Per ridurre rapidamente quella temperatura alterata, e realizzare i provvedimenti di lungo periodo, amnistia e indulto sono indispensabili. Chi non è d’accordo, proponga soluzioni alternative altrettanto efficaci. Ma in fretta. Ogni giorno che passa porta con sé una scia di sofferenza e uno scialo di morte. Giustizia: affidati vivi alle carceri, escono in una bara, già 3 morti dall’inizio dell’anno di Daniela De Robert www.articolo21.org, 7 gennaio 2014 L’Epifania tutte le feste porta via. Ma solo quelle. Non i problemi, non il sovraffollamento nelle carceri, non la disperazione di chi vive recluso. E l’ennesimo piano svuota-carceri si prospetta simile ai precedenti come risultati, cioè del tutto insufficiente. Nella notte in cui i bambini aspettano la Befana con i suoi dolci, Francesco di 41 anni con problemi psichici si è stretto attorno al collo una camicia legata alla porta del bagno della sua cella nella Casa di Reclusione Rebibbia, reparto Osservazione psichiatrica. Era lì in attesa di essere trasferito nel reparto "Minorati psichici" della vicina Casa di Reclusione. Non ci arriverà più. Il suo posto sarà preso da qualcun altro. I clienti non mancano. Prima di lui, nel pomeriggio del 3 gennaio, nel carcere di Ivrea un altro Francesco di 42 anni si è impiccato alle sbarre del bagno della sua cella. Come cappio ha usato il sacco dell’immondizia intrecciato. Il giorno prima un uomo di 67 anni era morti di malattia nel carcere di Verona, facendo suo il triste titolo di primo morto galeotto dell’anno 2014. Con l’anno nuovo, in carcere si rinnovano le speranze di chi ancora crede che la politica farà sul serio, che cercherà risposte degne di un paese civile. Per chi non ci crede più resta la solita vecchia strada, quella di farla finita. Nel 2013 i suicidi dietro le sbarre sono stati 51, anzi le persone che si sono tolte la vita sono state 51. Avevano un nome, una storia, dei sogni, forse degli affetti. Avevano sbagliato e forse stavano pagando per qualche reato o forse erano solo in attesa di una sentenza definitiva, ancora presunti innocenti. Mentre in 49 sono morti per malattia o per "cause da accertare". Per ora siamo a tre. Intanto il ministro Cancellieri sta pensando all’introduzione di un nuovo reato: omicidio stradale. Ma chi pagherà per questi morti, per quelli che affidati vivi alla giustizia, escono dalle galere dentro una bara? Giustizia: Rossi (Presidente Toscana); rendere umane le carceri, come l'Europa ci chiede Agi, 7 gennaio 2014 "Che cosa è la detenzione lo sapete voi. Noi siamo venuti per provare a dare una mano, a risolvere qualche problema concreto, a vedere se anche in Italia riusciamo a fare delle carceri delle struttura umane, come l’Europa ci chiede e come ha detto anche il presidente Napolitano. Vorrei che in questo la Toscana fosse all’avanguardia. La nostra regione, la prima ad avere abolito la pena di morte, ha una storia e vorrei che questo filo fosse mantenuto". Così si è espresso il presidente della regione Toscana Enrico Rossi, che oggi ha visitato il carcere di Sollicciano, portando ai detenuti un piccolo dono personale (un carico di panettoni) ma soprattutto affrontando con una rappresentanza dei detenuti stessi, con i vertici e gli operatori del carcere alcuni temi scottanti su cui ha preso impegni precisi. Il presidente Rossi, che era accompagnato dall’assessore alla sanità Luigi Marroni, dal direttore generale della Asl di Firenze Paolo Morello e da dirigenti regionali, è stato guidato nella visita dal direttore del carcere Oreste Cacurri e dal provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria Carmelo Cantone. Il primo punto analizzato nel corso dell’incontro è stato il recente accordo siglato dalla Regione Toscana con il ministro Cancellieri per portare fuori dal cercare detenuti tossicodipendenti con scarso livello di pericolosità, che potranno essere ospitati presso comunità e strutture cooperative per scontare la pena in modo alternativo. Un progetto su cui la Regione ha deciso di investire circa 4 milioni di euro e che permetterà anche di dare lavoro a giovani che si impegneranno nelle attività di recupero dei detenuti. "Ci vuole una forte azione di monitoraggio e controllo - ha detto il presidente - perché la riduzione dei detenuti nelle carceri oggi sovraffollate resti strutturale. Da subito, avvalendoci delle leggi vigenti, siamo in grado di spostare una cinquantina di detenuti, entro giugno pensiamo di portarne fuori 300-350. Questo grazie al lavoro comune che stiamo svolgendo con il magistrato di sorveglianza, il provveditorato e i direttori delle carceri". Il presidente Rossi si è detto anche disponibile a studiare forme di finanziamento regionale di progetti di lavoro che abbiano come protagonisti i detenuti. Infine sono stati affrontati alcuni problemi relativi alla vita quotidiana del carcere. In primo luogo lo stato dei letti su cui i detenuti sono costretti a dormire. "Fornire un materasso in buono stato e pulito - ha detto il presidente - fa parte integrante dell’intervento sanitario. Per questo considereremo la questione dei posti letto in carcere all’interno del disciplinare che oggi applichiamo per i posti letto in ospedale, garantendo il necessario ricambio e l’igiene periodica dei materassi. Tra una decina di giorni faremo partire l’operazione". Giustizia: Sottosegretario Ferri; situazione carceri resta drammatica, anche dopo decreti Italpress, 7 gennaio 2014 "La situazione delle carceri resta drammatica, anche se il governo ha approvato due provvedimenti sul problema del sovraffollamento. Penso che questo sia l’anno in cui l’Italia si deve confrontare sulla tutela dei diritti, però dobbiamo trovare un punto di equilibrio tra i diritti delle persone offese e la garanzia della dignità umana di chi è rinchiuso. Il problema del sovraffollamento esiste ed è anche economico. È importante che si garantisca al cittadino uniformità di giudizio. Lo spirito delle larghe intese si è un po’ incrinato con l’uscita di Forza Italia: noi stiamo lavorando con grande impegno e serietà". Lo ha dichiarato Cosimo Ferri, sottosegretario alla Giustizia, intervenendo a Tgcom24. "Il suicidio nel carcere di Rebibbia di un detenuto con problemi psichiatrici ripone all’attenzione della politica la nota e sempre più urgente questione del sovraffollamento carcerario". Lo sottolinea il sottosegretario alla Giustizia Cosimo Ferri, per il quale "non vi è dubbio che il sovraffollamento acuisca lo stato di sofferenza psicologica dei detenuti e scateni l’idea anticonservativa nei più fragili". La strada da seguire è "destinare maggiori risorse per l’assistenza sanitaria, chiedere maggiori sforzi alle regioni, oggi competenti in questa materia. La presenza degli psicologi e psichiatri in carcere deve essere intensificata (poche ore sono finanziate per molti detenuti)". Ma non è tutto: "come già in parte è stato fatto nella legge di stabilità", servono "maggiori risorse per il reclutamento del personale della polizia penitenziaria per garantire una maggior sorveglianza all’interno degli istituti anche nelle ore notturne, durante le quali è difficile esercitare una vigilanza continua". Giustizia: contro il sovraffollamento carceri depenalizzare il possesso di droghe www.zeronegativo.org, 7 gennaio 2014 La prima notizia del 2014, purtroppo, la prendiamo dalla cronaca nera. Da inizio anno a oggi, sono già due i suicidi avvenuti nelle carceri italiane. Un inizio poco incoraggiante per la tutela dei diritti umani. Le due vittime si sono impiccate l’uno nel pomeriggio del 3 gennaio nel carcere di Ivrea, l’altro nella notte tra il 5 e il 6 gennaio nel nuovo complesso romano di Rebibbia. Ancora presto ovviamente per ipotizzare le motivazioni dei due sfortunati protagonisti, ma la gravità degli episodi riflette quella delle condizioni generali delle carceri italiane. È probabile che si possa chiamare in causa il problema endemico del nostro sistema carcerario, ossia il sovraffollamento, dal quale si può fare derivare tutta una serie di problemi. Il secondo suicida, per esempio, era un uomo di 53 anni con problemi psichici accusato di omicidio. Il carcere è un ambiente che può piegare i caratteri più forti, quindi i rischi aumentano ancora di più se a finirci dentro è una persona fragile. È importante l’attenzione che si dedica al singolo detenuto, soprattutto in casi come questo, e che egli riceva i trattamenti di cui ha bisogno da parte di professionisti competenti, in un ambiente che favorisca la riabilitazione, e non la caduta inesorabile verso l’abisso. Ma se ci sono troppe persone rispetto alle strutture in funzione, la qualità generale del trattamento non può che adeguarsi in senso negativo. Per intervenire sul sovraffollamento, le prime soluzioni che vengono in mente sono due: un provvedimento di clemenza per decongestionare il sistema e la costruzione di nuove carceri. La seconda richiede investimenti e tempo che forse al momento non possiamo permetterci, e la pongono quindi tra le soluzioni di lungo periodo. La prima invece avrebbe un effetto immediato e nessun costo di applicazione. Si può ragionare sul fatto che sia o meno moralmente giusto fare uscire di carcere prima del previsto un gran numero di persone. Con quali criteri? Quale sarebbe il destino di queste persone una volta tornate in libertà? Ci sarebbe un percorso di reinserimento o ognuno dovrebbe pensare a se stesso? C’è un altro problema che rischia di rendere inefficace un provvedimento in tal senso, ossia la legge italiana, che prevede il carcere per alcuni reati che potrebbero essere affrontati con strumenti diversi dalla detenzione. Su tutti, la detenzione di sostanze stupefacenti. Osservatorio Antigone ha pubblicato nel 2011 il Libro bianco sugli effetti della legge Fini-Giovanardi, che nel 2006 ha ampliato i casi in cui è previsto l’arresto per detenzione di sostanze stupefacenti. "Al 17 novembre 2011 erano 28.636 i detenuti imputati presenti in carcere: di questi, ben 11.380 erano imputati in violazione alla legge stupefacenti. Alla stessa data, i detenuti condannati erano 37.750: di questi, 14.590 per violazione della legge sugli stupefacenti. Si deve perciò alla legge antidroga la presenza di circa un terzo dei detenuti in attesa di giudizio, e di quasi il 40 per cento (38,6 per cento per l’esattezza) dei ristretti già condannati". Dopo due anni la situazione non è cambiata, come ha ricordato a ottobre 2013 il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri: "Il reato per il quale è ristretto il maggior numero di detenuti è quello di produzione e spaccio di stupefacenti. Per tali fattispecie sono ristrette ben 23.094 persone: di queste 14.378 sono condannate definitivamente mentre 8.657 sono in custodia cautelare e 59 internate". Ecco perché dovremmo prendere in considerazione di fare un passo indietro, verso il 1993, quando la maggioranza dei votanti si espresse in un referendum a favore della depenalizzazione del reato di detenzione di sostanze stupefacenti. Dovremmo guardare, con serenità e senza pregiudizi, al Portogallo, dove dal 2001 è in vigore una legge che fa proprio questo, e rende il possesso di stupefacenti una questione di cui lo Stato si fa carico a livello medico, proponendo (e finanziando) un percorso (non obbligatorio) di recupero del paziente. Dopo 12 anni di applicazione di quella legge, il consumo di droga è diminuito, l’epidemia di Aids si è fermata e i reati sono diminuiti. Giustizia: la lunga marcia dell’offesa di Stato… di Giampiero Calapà Il Fatto Quotidiano, 7 gennaio 2014 Nel 1950 il primo scandalo con la condanna a otto mesi di carcere per Giovanni Guareschi. Da Pertini a oggi il reato è sempre più frequente. C’è anche chi, uno solo per fortuna e per decenza, è finito in galera. Il nome di Giovannino Guareschi ai più oggi non dirà nulla, ma si tratta del papà degli ancora celeberrimi Peppone e don Camillo. Guareschi, corre l’anno 1950, sente il rumore della porta sbarrata di un carcere chiudersi alle sue spalle perché ha offeso il presidente della Repubblica. Anche se Luigi Einaudi, in realtà, non è affatto d’accordo non sentendosi, paradosso del diritto a rovescio, per nulla offeso: "Ma come - confiderà il presidente a un amico - in 85 anni di monarchia i re e le regine sono stati bersaglio continuo della satira, e non s’è mai fatto un processo come questo. La Repubblica democratica è forse meno tollerante della monarchia, al punto di processare chi ironizza sul fatto che il presidente sia stato e voglia restare produttore e venditore di vini?". Qual è il misfatto di Guareschi? Aver pubblicato sul suo giornale, il Candido, una serie di vignette, tra cui una in particolare: ritrae un Einaudi minuscolo, accanto a un enorme corazziere che presenta le armi a un pregiato bottiglione di barolo di Dogliani, località nelle Langhe sede della tenuta del presidente stesso. Guareschi è condannato a otto mesi e rimarrà in cella per più di un anno accumulando un’altra condanna per aver pubblicato documenti falsi su Alcide De Gasperi. Altra illustre condannata, non già per lo specifico reato di vilipendio, ma per diffamazione aggravata a mezzo stampa, in quel caso ai danni comunque di un presidente della Repubblica, è la grande giornalista Camilla Cederna . È il marzo 1978, Feltrinelli pubblica "Giovanni Leone, la carriera di un presidente". Chicca introvabile ormai, raggiunge ventiquattro edizioni e settecentomila copie, ma dopo la condanna nei tre gradi di giudizio quelle pagine sono destinate al rogo, mentre la famiglia Leone è risarcita con seicento milioni di vecchie lire. Un libro, considerando anche la data di pubblicazione, quanto meno irriverente verso l’inquilino del Colle e le sue "grazie facili"; e, al di là della condanna subita dall’autrice, il presidente Leone è messo in enorme difficoltà da quelle pagine, tanto poi da doversi dimettere mentre esplode lo scandalo Lockheed raccontato dalla Cederna (una commessa di aerei militari pagati ben più del dovuto dallo Stato, solo una sorta di antipasto di quello che poi sarebbe stato scoperto con Tangentopoli). E la condanna del libro "fu chiaramente una sentenza politica", per Carlo Feltrinelli. In seguito l’ingiuria nei confronti del capo dello Stato si moltiplica. Da Sandro Pertini, il presidente socialista che esulta ai mondiali dell’82, al picconatore Francesco Cossiga, sempre al centro delle trame dei misteri nella Prima repubblica, gli indagati per vilipendio sono troppi. Con Oscar Luigi Scalfaro va anche peggio. Qualcuno addirittura colleziona più accuse di vilipendio, come Vittorio Sgarbi (due). Fascicoli vengono aperti, ad esempio, su Silvio Berlusconi e Cesare Previti. Anche Marco Pannella e Rita Bernardini, che assistono alla scena di una perquisizione a Radio Radicale. Tra tanti indagati per attacchi verbali a Scalfaro soltanto uno ce la fa, si becca la stessa condanna di Guareschi, otto mesi. Il suo nome è Licio Gelli, il gran cerimoniere della P2, colpevole per la domanda: "Ma Scalfaro è davvero cattolico?". Non viene condannato per vilipendio al capo dello Stato, invece, Umberto Bossi, che comunque si conquista una condanna per vilipendio al tricolore, usato in modo diciamo non consono a un patriota. Gli anni passano e si arriva al settennato di Carlo Azeglio Ciampi. Popolare e amatissimo conquista molti record, tra cui quello di zero ingiurie, nessun vilipendio contro di lui. Ci pensa Giorgio Napolitano a ritornare su una buona media. È il 2007, Napolitano difende la senatrice a vita Rita Levi Montalcini dagli attacchi della destra e il "nero" Francesco Storace pronuncia queste parole: "È Napolitano, viste le posizioni che ha assunto, a meritarsi la patente di indegnità. Dovrei considerare improbabile che il capo della casta mandi i corazzieri a sedare i tumulti a Villa Arzilla". Due anni dopo il Senato nega l’autorizza - zione a processare Storace, il ministro Clemente Mastella non è d’accordo, ma il Tribunale di Roma giudica illegittimo l’atto con cui il guardasigilli prova ad autorizzare a procedere. Contro Napolitano, finiscono nel tunnel del vilipendio ancora Bossi ("terùn"), il giornalista Maurizio Belpietro e Antonio Di Pietro in doppia veste (indagato e presentatore di denuncia, nei confronti di Berlusconi). Roma: aveva ucciso la madre "in cella mi ammazzo"… e si impicca a Rebibbia di Rinaldo Frignani Corriere della Sera, 7 gennaio 2014 Nel luglio scorso aveva strangolato la madre nel suo appartamento a Torpignattara. Poi aveva tentato il suicidio, confermando la volontà di togliersi la vita se fosse finito in carcere. A sei mesi di distanza, Francesco Di Francesco, 52 anni, si è ucciso in cella a Rebibbia Nuovo Complesso. Il primo suicidio del 2014 è stato scoperto domenica notte dagli agenti penitenziari. Sulla morte del cinquantenne è stata aperta un’inchiesta. Il sindaco Ignazio Marino chiede "di intervenire per difendere la dignità umana" dei reclusi. Di Francesco, che era stato anche a Regina Coeli, doveva essere trasferito in un reparto per detenuti con problemi psichici a Rebibbia penale. Il 9 luglio scorso aveva ucciso la madre, Maria Assunta Pizzolo, strangolandola nel suo appartamento di via Niutta, a Torpignattara. Di Francesco, 52 anni, ci era tornato ad abitare dopo la separazione dalla moglie: era stato subito arrestato dai carabinieri e dai poliziotti dopo aver tentato il suicidio dall’impalcatura dove si era rifugiato e aver di nuovo minacciato di togliersi la vita se fosse finito in carcere. Nella tarda serata di domenica, ancora in attesa di giudizio, il cinquantenne è stato trovato morto nella sua cella a Rebibbia Nuovo Complesso, impiccato con una camicia annodata allo stipite della porta del bagno. Il primo suicidio in carcere nel 2014, dopo i sei dell’anno scorso negli istituti penitenziari del Lazio (oltre a 12 decessi, 4 per malattia e 8 per motivi da accertare). "Subito dopo l’arresto - spiega il Garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni - Di Francesco era stato a Regina Coeli e poi trasferito all’osservazione psichiatrica di Rebibbia. Nei prossimi giorni sarebbe dovuto approdare al reparto minorati psichici di Rebibbia Penale. Il carcere - aggiunge - è un luogo duro, in grado di piegare anche i caratteri più forti, figurarsi l’impatto che può avere con quanti hanno già delle sofferenze psichiche. Il problema è che, spesso, il sovraffollamento non consente di capire se queste persone abbiano una sofferenza tanto grave da indurle a privarsi della vita". Sul caso è intervenuto anche il sindaco Ignazio Marino, che ha twittato: "Serve subito un intervento per garantire la dignità umana". La Fns Cisl Lazio (una delle sigle più rappresentative della polizia penitenziaria) sottolinea come "a Rebibbia il sovraffollamento assume un livello emergenziale: il numero regolamentare di detenuti dovrebbe essere di 1.218, quello tollerabile di 1.696 ma i presenti risultano essere circa 1.700". E il sottosegretario alla Giustizia Cosimo Ferri sottolinea come "non ci sia dubbio che il sovraffollamento acuisca lo stato di sofferenza psicologica dei detenuti e scateni l’idea anticonservativa nei più fragili. Serve destinare maggiori risorse per l’assistenza sanitaria, chiedere più sforzi alle regioni, oggi competenti in materia. E la presenza di psicologi e psichiatri in carcere deve essere intensificata". Ivrea (To): detenuto suicida, aveva 42 anni ed era stato arrestato nel mese di ottobre La Sentinella, 7 gennaio 2014 Francesco Scarcella forse aspettava una lettera. O più semplicemente una parola di speranza alla quale aggrapparsi. Non l’ha trovata, venerdì pomeriggio, e a 42 anni ha fatto in modo di rimanere solo in cella, mentre il compagno con cui condivideva una quotidianità sempre uguale a se stessa è uscito per l’ora d’aria. In quel lasso di tempo, Francesco Scarcella, di Pont Canavese, ha scritto una lettera di addio alla sua famiglia, chiedendo perdono ai suoi cari, e poi ha improvvisato un cappio con un sacco nero della spazzatura e lo ha legato alla grata della finestra del bagno. È salito su uno sgabello, ha stretto forte e ha dato un colpo secco. Fine di tutto. Il medico del 118, dopo aver tentato di rianimarlo, ne ha dichiarato la morte alle 15. Francesco Scarcella è il primo detenuto che si è tolto la vita nel 2014. Un triste primato di cronaca, indice di una realtà complessa, dove la privazione della libertà personale, un carico di pensieri e una condizione oggettivamente difficile delle carceri italiane creano un mix esplosivo. E gli agenti in servizio, venerdì, hanno trascorso una lunga e pesante giornata, tra i soccorsi a Scarcella e la comprensibile reazione dei detenuti alla notizia dell’ennesimo suicidio dietro le sbarre. A trovare Scarcella in fin di vita è stato il suo stesso compagno, al rientro in cella. Ha chiesto aiuto, altri detenuti hanno cercato di intervenire, con gli agenti della polizia penitenziaria. Poi una disperata corsa all’infermeria del carcere, mentre arrivava l’équipe del 118. Ma per era già troppo tardi. Scarcella era in carcere dalla seconda metà di ottobre. E non era la prima volta. L’ultima era stato arrestato dai carabinieri, con l’accusa di estorsione. Gli si contestava di aver commesso il reato nei confronti di una coppia del suo stesso paese dopo una serie di dispetti e minacce. Era stato fermato vicino alla casa dei due ancora con i 250 euro che si era appena fatto consegnare. Prima ancora, Scarcella era stato arrestato con l’accusa di essere uno dei componenti della banda dello spray urticante, cui si contestano alcune rapine avvenute in Alto Canavese. Nel gennaio di un anno fa, i suoi avvocati erano riusciti a ottenere la scarcerazione. Il processo è attualmente in corso al tribunale di Ivrea e presto ci sarebbe stata una nuova udienza. La libertà, però, è durata poco e meno di tre mesi fa, l’episodio di Pont lo aveva fatto tornare di nuovo in cella. E adesso dicono che fosse un uomo che non si lamentava, Francesco Scarcella. Non dava fastidio, non era tra coloro che chiedono e pretendono. Se ne stava lì, ad aspettare il tempo che scorre mentre la fragilità lo scavava dentro e nessuno, tra coloro che condivideva con lui le lunghe ore di vuoto, immaginava che potesse farla finita da un momento all’altro. L’istituto è una polveriera, mancano le cose basilari Non tacciono le organizzazioni sindacali della polizia penitenziaria di fronte al suicidio di Francesco Scarcella. Da tempo immemore denunciano le carenze all’interno delle carceri e le difficoltà nelle quali gli agenti sono costretti a operare. E il momento di difficoltà nel quale si è trovato a operare il personale venerdì ha trovato immediato sfogo nelle parole dei rappresentanti sindacali dell’Osapp: "Probabilmente - ha dichiarato Leo Beneduci segretario generale del sindacato degli agenti di polizia penitenziaria - si tratta del primo detenuto morto suicida nel 2014 e purtroppo dimostra quanto la polizia penitenziaria, grazie alla sordità del Guardasigilli Annamaria Cancellieri rispetto alle carenze di organico del corpo, possa sempre di meno fare per prevenire simili gesti estremi". "Le condizioni nel carcere di Ivrea - ha aggiunto - peggiorano ogni giorno di più, fino a rendere l’istituto una vera e propria polveriera pronta ad esplodere da un momento all’altro". Gli fa eco il rappresentante dell’Osapp di Ivrea, Raimondo Vinti: "La casa circondariale di Ivrea - spiega il sindacalista - è una delle situazioni peggiori nel già drammatico quadro delle carceri italiane. Siamo in spaventosa carenza di organico sia nei quadri dirigenti, ispettori, sovrintendenti e commissari, che negli agenti stessi. Non parliamo della situazione, invece, della struttura che manca nelle cose più basilari, prima di tutto la sicurezza. Il rapporto, poi, tra agenti di sorveglianza e detenuti è enorme. C’è un agente ogni trenta o quaranta detenuti, a seconda del settore". Ed è inutile sottolineare che a fare le spese del progressivo deterioramento delle condizioni di vita interne sono tutti, da un lato i detenuti e dall’altro gli agenti di polizia penitenziaria. Sassari: carcere di Bancali, detenuto 30enne morì per overdose e non per infarto di Nadia Cossu La Nuova Sardegna, 7 gennaio 2014 Colpo di scena nell’inchiesta per il decesso di un romeno ad agosto: la perizia dice che non è stato stroncato da un infarto. Non hanno mai creduto a una morte naturale, anche perché proprio sei mesi prima del decesso, Viorel Neicu, 30 anni, si era sottoposto ad alcune visite mediche in carcere che avevano accertato il suo ottimo stato di salute. Per questo i familiari del detenuto romeno avevano chiesto con forza che venisse fatta chiarezza. E per arrivare alla verità - certi che Viorel non fosse morto a causa di un infarto fulminante - si erano affidati agli avvocati di Olbia Cristina e Abele Cherchi. Alcuni giorni fa è stata depositata la perizia eseguita dal medico legale Vindice Mingioni su richiesta del pubblico ministero Elisa Loris e l’esito dell’esame ha invece rivelato un’altra verità: Viorel Neicu è morto per overdose di eroina iniettata con siringa. La perizia ha quindi stravolto il responso iniziale che attribuiva il decesso a cause naturali. Il risultato dell’esame eseguito da Mingioni apre nuovi scenari e le indagini della Procura di Sassari sono tutt’altro che chiuse: come è entrata la droga nel carcere aperto di recente? Come è possibile che un detenuto riesca a iniettarsi l’eroina con una siringa sfuggendo ai controlli? Interrogativi sui quali la magistratura sta lavorando. L’episodio risale allo scorso agosto, poche settimane dopo l’apertura del nuovo istituto penitenziario di Sassari dove Viorel Nericu si trovava in seguito all’arresto per sfruttamento della prostituzione. Alle sei del mattino il giovane romeno - che divideva la cella con un connazionale - aveva accusato un forte dolore al petto e il compagno, vedendolo in quello stato, aveva chiesto aiuto all’agente della polizia penitenziaria di guardia. Il detenuto era stato soccorso: medico e infermiere presenti in carcere avevano attivato le procedure per la rianimazione, ma non erano riusciti a salvargli la vita. Il direttore dell’istituto di pena, Patrizia Incollu, aveva spiegato che si era trattato "di un malore improvviso, imprevedibile e dagli effetti devastanti. I soccorsi sono stati rapidissimi - aveva detto - ma purtroppo Non c’è stato niente da fare". Su questa morte aveva preso posizione anche Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione "Socialismo Diritti Riforme" che, dicendosi "sconcertata " per il fatto allora appena accaduto, aveva ricordato come dieci giorni prima sempre un detenuto romeno avesse tentato di togliersi la vita e fosse stato salvato dagli agenti della polizia penitenziaria. Cecilia Sechi, il garante dei detenuti che aveva incontrato Viorel Neicu due giorni prima della sua morte lo aveva ricordato con queste parole: "Lavorava e stava benissimo, nessun problema. Era sicuro di poter dimostrare la sua innocenza e contava molto sull’appello, che attendeva con ansia". La moglie del trentenne romeno - la coppia aveva due figli piccoli - e i familiari si erano rivolti agli avvocati Cristina e Abele Cherchi perché convinti che ci fosse qualcosa di poco chiaro sulla morte del loro caro. I due legali si erano attivati immediatamente chiedendo il sequestro della cella, della cartella clinica, della documentazione carceraria e avevano anche chiesto che venisse sentito il compagno di cella di Viorel Neicu e i primi soccorritori. Sempre i due avvocati che tutelano gli interessi della famiglia della vittima avevano presentato istanza perché venissero analizzati organi e tessuti, un esame indispensabile per chiarire se all’origine della morte ci fosse realmente un arresto cardiaco dovuto a un infarto improvviso e devastante. Avevano anche nominato due periti di parte: i medici Uda e Garippa. L’esito della perizia disposta dal pubblico ministero Loris apre chiaramente nuovi scenari e nuove indagini che ruoteranno intorno alla struttura penitenziaria di Bancali. Lo scorso luglio l’inaugurazione Il penitenziario di Bancali, che si estende su 15 ettari di campi e celle dignitose, è stato inaugurato lo scorso luglio. Per l’occasione era arrivato in città il ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri, circondato dalle autorità, in prima fila il provveditore regionale del Dap Gianfranco Degesu, il capo delle Infrastrutture in Sardegna Donato Carlea, e la padrona di casa, la direttrice dell’istituto Patrizia Incollu, accompagnata dal capo degli agenti Eraclio Seda. Un carcere modello e moderno, quello di Bancali. Soprattutto se paragonato alla vergognosa struttura di San Sebastiano. Dopo la morte del trentenne romeno, il segretario generale aggiunto del sindacato della polizia penitenziaria Osapp, Domenico Nicotra, aveva sottolineato come "sempre più spesso le criticità di un sistema penitenziario al collasso generano più eventi critici. E per questo è necessario - aveva sostenuto - che vengano adottati immediati provvedimenti di natura legislativa". Trapani: carceri senza fondi per i medicinali. Sos alla Regione: lLeso diritto alla salute" di Mariza d’Anna La Sicilia, 7 gennaio 2014 L’alt riguarda anche le medicine di "Fascia H" destinati a sieropositivi, diabetici e malati cronici Una decisione ritenuta incomprensibile: l’Azienda sanitaria provinciale, dal 1º gennaio, ha sospeso l’erogazione gratuita dei farmaci alle carceri di San Giuliano, a Trapani, Favignana e Castelvetrano. Vale a dire a una popolazione di circa 750 detenuti (480 solo nella casa di reclusione trapanese). Le direzioni carcerarie quindi, in base al provvedimento, dovranno far fronte all’acquisto dei farmaci necessari ai detenuti; non solo quelli di uso comune, ma anche quelli inseriti nella tabella H (per malati con patologie importanti, tossicodipendenti, sieropositivi, con Hiv, diabetici e malati cronici), con i soldi in dotazione delle strutture. Sabato, a Trapani, al carcere di San Giuliano sono stati acquistati gli ultimi farmaci per patologie "comuni" ma per il futuro non si sa come farvi fronte. La decisione dell’Asp trapanese era stata comunicata ai direttori delle tre case circondariali il 20 novembre scorso. E al direttore del carcere del capoluogo, Renato Persico, era suonata come una doccia fredda. Vi aveva replicato immediatamente, ma senza alcun esito. "Questo creerà per noi un danno molto rilevante - afferma, adesso, Persico - a cui non sapremo come rimediare. Il budget a nostra disposizione non è sufficiente, dovremo pensare di ridurre altri servizi. È una decisione incomprensibile (pare che sia la prima Asp siciliana ad averla assunta, ndr) e anche nella comunicazione ufficiale fornita dall’azienda non v’è traccia di motivazioni esaustive". Se non un riferimento ad una attesa riforma del settore da parte della Regione. Troppo poco e soprattutto in violazione delle normative nazionali e regionali, ha evidenziato il deputato regionale Girolamo Fazio (presidente del Gruppo misto), che ha presentato un’interrogazione al presidente Rosario Crocetta. "Il provvedimento dell’Asp - dice Fazio - appare inopportuno e da revocare poiché lede diritti fondamentali insopprimibili della persona, come la tutela della salute". Ma non solo. "Priverebbe la popolazione detenuta oltre che delle normali medicine anche delle specialità farmacologiche della tabella H, farmaci in uso solamente nelle strutture ospedaliere". Inoltre, per Fazio "l’atto appare in palese contrasto con la normativa di riferimento nella quale è sancito che "il Servizio sanitario nazionale assicura ai detenuti e agli internati livelli di prestazioni analoghi a quelli garantiti ai cittadini liberi". Il direttore Persico sottolinea anche che negli ultimi anni è riuscito ad assicurare un’assistenza sanitaria considerata buona e che questo provvedimento potrebbe vanificare molti sforzi. "Quando sono arrivato non c’erano medico e infermiere di notte - dice - abbiamo fatto grandi sacrifici in questa direzione". Senza contare poi che sono moltissimi i tossicodipendenti reclusi nel carcere trapanese che necessitano di aiuti specifici. L’Asp, forse temendo di andare incontro a un danno erariale, a causa dei sempre crescenti crediti vantati nei confronti del ministero della Giustizia, ha battuto tutti sul tempo e chiesto il pagamento dei farmaci. Tra l’altro la sospensione riguarda tutte le forniture, compreso il materiale parasanitario come per esempio garze e disinfettanti. "È tutta un’incongruenza - ribatte Persico - Ci hanno detto che i farmaci ce li fornirebbero ma fatturandoli! Così si lede il diritto dei detenuti". Anche la Procura di Trapani è già stata interessata del caso. Inoltre il provvedimento presenta diverse incongruenze: viene spiegato, infatti, che se un detenuto ha necessità di fare esami del sangue in ospedale questi vengono fatti gratuitamente e senza costi per la direzione carceraria, mentre per i farmaci no. Ma in ogni caso un provvedimento riguardante solo l’Asp trapanese sarebbe sempre in contrasto con la parità di trattamento da riservare ai detenuti. "Poi, proprio ora che la questione è all’attenzione del Governo con il sovraffollamento delle case di reclusione e le condizioni di vita inaccettabili in alcuni casi - conclude Persico - mi pare proprio che la decisione sia in controtendenza". Il deputato regionale, dal canto suo, ricorda che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha già condannato l’Italia per le condizioni delle carceri, ritenute "inumane". "La Regione rischia anch’essa di esporsi ai richiami degli organismi internazionali", e osserva che "l’amministrazione regionale, nel 2005, diffuse una circolare (la 1157 dell’assessorato alla Salute) nella quale sanciva l’esenzione dai ticket sia sulle prestazioni sanitarie che sui farmaci per i detenuti". Infine chiede all’assessore Borsellino di intervenire con una nota chiarificatrice e una circolare che ripristinino "l’insopprimibile diritto alle cure ed alle terapie farmacologiche in totale esenzione per tutti i tipi di farmaci". Massa Carrara: arriva lo "svuota-carceri", escono quaranta detenuti ma l’affollamento resta di Melania Carnevali Il Tirreno, 7 gennaio 2014 Sono circa una quarantina i detenuti che usciranno dal carcere nei primi mesi del 2014 per effetto del decreto svuota carceri approvato dal consiglio dei ministri e pubblicato nella gazzetta ufficiale il 23 dicembre. In attesa di essere convertito in legge, il decreto è ovviamente già operativo e avrà i suoi effetti immediati anche sull’istituto penitenziario massese, anche se, - come sottolinea anche la direttrice del carcere, Maria Martone - ovviamente parlare di svuotamento è sicuramente un’enfatizzazione. In tutta Italia saranno circa tremila i detenuti che usciranno immediatamente. Un numero sicuramente cospicuo che però nasconde un altro numero importante: quello dei posti letto mancanti, che sfiorano le trentamila unità. Sovraffollato anche il carcere di Massa: attualmente sono 243 i detenuti a fronte di una capacità ricettiva di 176 posti letto, ma spesso si sono raggiunti picchi di 265 detenuti. Ovviamente il sovraffollamento si risente anche nel rapporto fra detenuti e personale (carente): le guardie penitenziarie sono 137 (a fronte di un’esigenza di almeno 159 unità), uno solo l’educatore, più altre due che però vengono da altri istituti penitenziari e non sono quindi garantiti costantemente. Il regime aperto applicato all’istituto penitenziario massese permette tuttavia di attutire, per quanto possibile, l’effetto del sovraffollamento. I detenuti stanno liberi infatti tutto il giorno, fino alle 18.30, e, essendo il carcere un istituto manifatturiero, hanno anche la possibilità di lavorare, per realizzare lenzuoli e stoffa. Un importante processo educativo, quindi, che tuttavia non basta. "Negli ultimi anni - commenta la direttrice - abbiamo assistito a un incremento di carcerizzazione che non corrisponde a un effettivo aumento della criminalità. Il sovraffollamento è dipeso molto dalla politica penale che è stata attuata. Mi riferisco ad esempio alla Bossi-Fini o alla legge Giovanardi. Non sta a me dire se è giusto o sbagliato, però è sicuro che se vogliamo risolvere il problema del sovraffollamento non possiamo più pensare a delle politiche legate a situazioni emergenziali, ma bisogna pensare a una strategia più ampia. Una riforma del carcere deve essere accompagnata in termini di complementarietà a una riforma del sistema penale". "In ogni caso - continua Martone - è chiaro che i benefici da questo decreto ci saranno". Come dicevamo saranno circa quaranta i detenuti che usciranno immediatamente. E questo come effetto della liberazione anticipata che ha visto aumentare il numero dei giorni di detenzione scontati per ogni semestre da 45 ai 70 attuali, vale a dire che la pena si riduce di 140 giorni all’anno. L’altro aspetto importante è il carattere retroattivo di questo decreto che consente la riduzione di pena anche per il periodo precedente con decorrenza dal primo gennaio 2010. Altro punto: l’istituzionalizzazione della detenzione domiciliare per chi ha fine pena di 18, già prevista del precedente pacchetto sicurezza. Con l’anno nuovo quindi usciranno sicuramente tutti coloro che hanno fine pena nel 2014 e altri entro l’anno e mezzo. "Oltre l’impatto immediato per chi ha fine pena nel 2014 - fa sapere la direttrice - l’effetto di questo decreto bisogna vederlo a lungo termine, perché abbiamo diverse persone che hanno fine pena da qui a un anno, un anno e mezzo". Costretti a vivere anche in dieci in pochi metri quadrati In ogni cella dell’istituto penitenziario di via Pellegrini, facendo una media, ci sono almeno tre persone e in alcune, nella sezione particolare - dove ci sono sia detenuti con fine pena, sia quelli ancora giudicabili -, si arriva addirittura a dieci (anche se i parametri europei di 3 metri quadrati a persona per ogni singolo detenuto vengono rispettati). Insomma, condizioni davvero difficili da sopportare. A Massa c’erano state delle protesta anche per quanto riguarda l’impianto di riscaldamento (i termosifoni non riuscivano a scaldare tutti gli ambienti) e per le porzioni un po’ scarse di cibo della mensa. Proteste civili che sono state risolte dai responsabili del carcere. E infatti quest’anno ai giornali non è arrivata alcuna lamentela. Né dai detenuti né dai loro parenti. Tra indulto e inserimento si cerca il recupero Grazie all’indulto del 2008 dal carcere di Massa uscirono un centinaio di detenuti. La maggior parte di questi, per mancanza di alternative all’esterno, tornarono a delinquere entro tre mesi e quindi in cella. Il nostro giornale raccontò diverse storie di uomini che avevano provato a vivere rispettando la legge, ma poi si erano dovuti arrendere. In questi anni tanto è cambiato per migliorare le condizioni di chi sta dentro all’istituto penitenziario, in particolare grazie all’interessamento della direttrice Martone e del presidente del tribunale Maria Cristina Failla. Ultimamente cinque detenuti sono stati impiegati nel lavoro di riordino e catalogazione informatica dell’archivio del tribunale cittadino. E adesso altri dieci reclusi hanno iniziato a lavorare lunedì. Il tutto per un progetto di reinserimento che sta facendo scuola. Dopo il successo del primo progetto, ne è stato firmato un secondo di reinserimento. Che avrà una durata di sei mesi: si chiama Apuane (acronimo di Attività di pubblica utilità archivio nuova edizione) e coinvolge tribunale, procura, ufficio di sorveglianza, Provincia, direzione casa di reclusione, ufficio di esecuzione penale esterna e centro sociale Caritas. Dopo la fase sperimentale di sei mesi si valuterà se prorogare l’impegno. Il progetto ha l’obiettivo di agevolare e sostenere il reinserimento sociale di persone condannate con sentenza irrevocabile, ristrette presso la casa di reclusione di Massa (o affidate ai servizi sociali in carico all’ufficio esecuzione penale esterna) impegnandole in varie attività di pubblica utilità. Genova: a Marassi due detenuti italiani rischiano linciaggio, salvati dalla Polizia penitenziaria www.genova24.it, 7 gennaio 2014 "Quanto accaduto ieri pomeriggio nella Casa Circondariale di Genova Marassi, nel cortile passeggi della sesta sezione, alle 13 circa è di gravità inaudita - con queste parole Fabio Pagani, Segretario Regionale Uil Penitenziari, commenta a freddo il grave episodio che ha visto contrapporsi detenuti di etnia magrebina (una dozzina) e italiana (due) nel carcere di Genova Marassi a discapito di quest’ ultimi. "In Liguria - prosegue Pagani - è ormai grave emergenza e quello che è accaduto ieri a Marassi non deve far pensare alla base dei problemi che caratterizzano la situazione penitenziaria ligure , ma è solo la punta dell’iceberg. Un episodio, che avrebbe potuto assumere dimensioni e causare conseguenze ancora più gravi e tragiche se lo sparuto contingente di Polizia Penitenziaria presente non fosse intervenuto tempestivamente e con straordinaria efficacia operativa riuscire a salvare e mettere in salvo i due detenuti italiani oramai nella morsa dei magrebini ". "Nella situazione in cui si versa, connotata da deficienze organizzative, organiche, logistiche e finanziarie - ci si augura, commenta il sindacalista - che adesso non volino gli stracci, ma che si intervenga pragmaticamente per fare chiarezza sull’accaduto senza cercare il classico capro espiatorio fra le maglie deboli del sistema - la politica e la stessa Amministrazione Penitenziaria dovrebbero spiegare perché da anni si promettono seri interventi sul Carcere di Marassi, in merito al Sovraffollamento e alla Carenza organica della Polizia Penitenziaria , ma di fatti, concreti, ancora non se ne vedono". "Soprattutto - aggiunge e conclude - ci si augura che dopo questo ennesimo episodio, il neoministro Cancellieri voglia finalmente intervenire ed assegnare un Provveditore in pianta stabile a Genova , pure al fine di far decollare il nuovo corso dei circuiti regionali differenziati e soprattutto chiarire la situazione del Carcere Marassi di Genova, ovvero definire al più presto la situazione del Direttore S. Mazzeo". Udine: l’assistenza in carcere spetta all’Azienda Sanitaria 4 del Medio Friuli Messaggero Veneto, 7 gennaio 2014 Da questa settimana l’Azienda per i servizi sanitari 4 del Medio Friuli dovrà anche sobbarcarsi gli oneri della sanità penitenziaria che prima erano in capo al Ministero della giustizia. Non un compito da poco, visto che la popolazione carceraria a Udine si aggira sulle duecento unità. Un piccolo villaggio di cui l’Azienda dovrà farsi carico, tenendo presente la complessità che molti casi presentano, sia in caso al problema delle dipendenze da sostanze alcoliche che da stupefacenti, per non parlare della forte necessità di assistenza psicologica. "Assieme ai miei collaboratori - fa il punto il direttore generale Giorgio Ros - ho tracciato un piano per prendere in carico queste nuove funzioni. Siamo partiti con l’assunzione del personale che già operava all’interno della struttura carceraria, cinque persone che ora sono alle nostre dipendenze, altre funzioni saranno realizzate in convenzione. Abbiamo nominato la dottoressa Gianna Zamaro, già responsabile del Distretto di Udine come coordinatrice di tutta l’attività". Nei giorni scorsi si sono susseguite le ispezioni all’interno delle strutture carcerarie, verificando la dotazione degli ambulatori e delle attrezzature. La direzione sta anche stilando un piano di interventi a carattere strutturale che dovrà essere messo a punto. "Per noi - fa il punto il direttore generale - si tratta di un trimestre di rodaggio nel quale ci misureremo con nuove competenze anche se conoscevamo già la struttura carceraria di via Spalato dove ci sono realtà come l’Acat che già lavorano come del resto il nostro personale psichiatrico. Si tratta - tira le somme Ros - di mettere insieme le risorse e assumere in capo all’Azienda per i servizi sanitari 4 le varie funzioni, con qualche preoccupazione rispetto alla parte gestionale". A fare la differenza, e a far quadrare i conti, dovranno essere i finanziamenti che saranno destinati all’Azienda per questa nuova incombenza. Dopo che l’accordo per il finanziamento Stato-Regione, ora sarà Trieste a dover ripartire i fondi fra le Aziende sanitarie, come l’Ass 4 del Medio Friuli e l’Ass3 dell’Alto Friuli. Roma: giudice affida rapinatore 19enne alla mamma "se non le obbedisce, ci chiami" Corriere della Sera, 7 gennaio 2014 Rapina un supermercato, ferisce un carabiniere con una coltellata, perde il bottino e viene arrestato. E sabato scorso, in mattina, all’udienza di convalida, il giudice lo libera, affidandolo alla madre - una fioraia con otto figli - avvertendo il bandito: "Se non ti attieni alle disposizioni della mamma, basterà una sola telefonata ai carabinieri per farti portare in carcere". Venerdì sera, all’ora di chiusura, Ayman Soliman, italo-somalo di 19 anni, nato a Roma e secondogenito della fioraia, ha assaltato un supermercato in via dei Volsci insieme con un complice minorenne, un tunisino di 17 anni, ospite in una casa d’accoglienza del Comune a Torre Maura e ora detenuto in quello minorile di via Virginia Agnelli, al Portuense. Soliman ha forzato la porta secondaria del supermercato e poi, incappucciato e con il volto coperto da una sciarpa, ha minacciato il direttore facendosi consegnare l’incasso del pomeriggio. Ma ad attenderlo fuori c’era una pattuglia in borghese della compagnia Piazza Dante che lo ha bloccato ingaggiando con il diciannovenne una colluttazione nella quale un militare dell’Arma è stato ferito a una mano (10 giorni di prognosi). La busta con il bottino si è rotta e i soldi si sono sparpagliati a terra: decine di persone si sono gettate sulle banconote per raccoglierle, compreso il complice del bandito fuggito verso la stazione Termini, dove è stato raggiunto e ammanettato. Roma: Roberto Ciufoli legge Costituzione a Rebibbia, IV appuntamento della rassegna Adnkronos, 7 gennaio 2014 Oggi, 7 gennaio, alle 15.30 sarà presentato presso la Casa circondariale Nuovo Complesso Rebibbia il quarto appuntamento de ‘La Costituzione italiana recitata e musicata nelle carceri di Romà, progetto ideato da Corrado Veneziano e patrocinato dall’assessorato alla Cultura di Roma Capitale. In questa occasione, il protagonista dell’incontro sarà l’attore Roberto Ciufoli. Ciufoli, romano, noto al grande pubblico teatrale e televisivo, interpreterà - con leggerezza, sempicità e grande coinvolgimento - gli articoli costituzionali dell’Istruzione, della Tutela del paesaggio, del Lavoro. Sarà questa, come già successo nei precedenti incontri con Serena Autieri, Solfrizzi, Vaporidis, Cinieri, Rivera, un’occasione di svago e di intrattenimento per i detenuti, ma anche di riflessione sui meccanismi delle regole: alla base di ogni matura condivisione, socializzazione, democrazia. All’interno della giornata, con Ciufoli saranno inoltre presenti gli artisti Clive Riche, Rosmunda D’Amico, Enrico Cresci. Drammatizzare la Costituzione italiana, recitarla, musicarla e proporla ai detenuti romani, e fare diventare i commi, gli articoli e le parole costituzionali elemento di spettacolo e di aggregazione. È ciò che persegue, ormai da settembre, il progetto della Morgana Communication, sostenuto e patrocinato da Roma Capitale-Assessorato alla cultura, alla creatività e alla promozione artistica. L’obiettivo della rassegna è coinvolgere i detenuti legando a brani della tradizione cabarettistica, letteraria, poetica, filosofica, la Costituzione Italiana: un modo per intrattenere - ma anche divertire, stimolare, coinvolgere - un pubblico apparentemente distante che invece, già negli incontri precedenti, ha mostrato notevole interesse e attenzione. Firenze: pandori e panettoni per Sollicciano e i materassi arriveranno in dieci giorni La Repubblica, 7 gennaio 2014 Panettoni e pandori per i detenuti del carcere di Sollicciano come dono personale del governatore e un calendario di impegni per i prossimi giorni. Il presidente della Regione Enrico Rossi e l’assessore al diritto alla salute Luigi Marroni sono andati nel carcere fiorentino per incontrare i detenuti. Uno dei primi argomenti affrontati è stata la sostituzione dei materassi (finanziati dalla Regione) che, promette Rossi, inizierà tra dieci giorni. E nel futuro i materassi dovranno essere gestiti come lo sono negli ospedali. "Che cosa è la detenzione lo sapete voi - ha detto Rossi. Noi siamo venuti per provare a dare una mano, a risolvere qualche problema concreto, a vedere se anche in Italia riusciamo a fare delle carceri delle struttura umane, come l’Europa ci chiede e come ha detto anche il presidente Napolitano. Vorrei che in questo la Toscana fosse all’avanguardia. La nostra regione, la prima ad avere abolito la pena di morte, ha una storia e vorrei che questo filo fosse mantenuto". Il primo punto analizzato nel corso dell’incontro è stato il recente accordo siglato dalla Regione Toscana con il ministro Cancellieri per portare fuori dal cercare detenuti tossicodipendenti con scarso livello di pericolosità, che potranno essere ospitati presso comunità e strutture cooperative per scontare la pena in modo alternativo. Un progetto su cui la Regione ha deciso di investire circa 4 milioni di euro e che permetterà anche di dare lavoro a giovani che si impegneranno nelle attività di recupero dei detenuti. "Ci vuole una forte azione di monitoraggio e controllo - ha detto il presidente - perché la riduzione dei detenuti nelle carceri oggi sovraffollate resti strutturale. Da subito, avvalendoci delle leggi vigenti, siamo in grado di spostare una cinquantina di detenuti, entro giugno pensiamo di portarne fuori 300-350. Questo grazie al lavoro comune che stiamo svolgendo con il magistrato di sorveglianza, il provveditorato e i direttori delle carceri". Il presidente Rossi si è detto anche disponibile a studiare forme di finanziamento regionale di progetti di lavoro che abbiano come protagonisti i detenuti. Infine sono stati affrontati alcuni problemi relativi alla vita quotidiana del carcere. In primo luogo lo stato dei letti su cui i detenuti sono costretti a dormire. "Fornire un materasso in buono stato e pulito - continua il presidente - fa parte integrante dell’intervento sanitario. Per questo considereremo la questione dei posti letto in carcere all’interno del disciplinare che oggi applichiamo per i posti letto in ospedale, garantendo il necessario ricambio e l’igiene periodica dei materassi. Tra una decina di giorni faremo partire l’operazione". Immigrazione: Patriarca (Pd); il Parlamento lavori per abolizione reato clandestinità Italpress, 7 gennaio 2014 "Il Parlamento lavori all’abolizione del reato d’immigrazione clandestina, reato che intasa i tribunali". Lo afferma il deputato del Pd Edoardo Patriarca, componente della commissione Affari Sociali. "Un provvedimento inutile, introdotto a suo tempo sotto diktat della Lega, che ha ha avuto il solo effetto di gonfiare di stranieri le nostre carceri - continua Patriarca - Questo è il classico esempio dell’introduzione di un reato che alla fine fa più male alla collettività che bene". Immigrazione: intervista a don Mussie Zerai… con la "nuova" Libia nulla è cambiato di Stefano Pasta Famiglia Cristiana, 7 gennaio 2014 Le condizioni di detenzione nelle carceri libiche sono disumane e i reclusi sottoposti a ogni genere di abuso. "L’Europa e l’Italia fanno accordi bilaterali, addestrano i soldati libici e fanno anche affari sulla pelle dei poveri". "La pelle nera nel Paese nordafricano continua a pagare pegno", dice don Mussie Zerai. "Per gli africani subsahariani non è cambiato assolutamente nulla, continuano le retate e gli arresti. In alcuni casi, le discriminazioni verso i neri sono addirittura aumentate". Il prete cattolico eritreo è diventato il punto di riferimento dei migranti detenuti, vessati e torturati. A fine ottobre 2013, il premier libico Ali Zeidan ha annunciato che i confini con Algeria, Tunisia, Egitto e Sudan saranno controllati in collaborazione con governo e tecnici italiani. Per il monitoraggio elettronico aereo, saranno utilizzati radar e sensori della Selex, società di Finmeccanica. Un contratto firmato con Ghedaffi, ma poi bloccato dalla guerra civile. "Con la nuova Libia, per i migranti dell’Africa subsahariana non è cambiato nulla rispetto ai tempi dell’ex dittatore. L’Europa continua a chiedere ai Paesi dell’altra sponda del Mediterraneo di chiudere la porta, senza preoccuparsi di cosa accade fuori". È netto il parere di don Mussie Zerai, un sacerdote cattolico eritreo che vive tra Roma e la Svizzera e che con la sua associazione Habeshia si occupa di dar voce a chi scappa dal Corno d’Africa. È in contatto con molti dei migranti detenuti nelle carceri libiche, grazie a cellulari che sono riusciti a nascondere. Il suo numero di telefono è anche la salvezza di molti che salgono sulle "carrette del Mediterraneo": quando le barche sono in avaria o stanno per affondare, spesso chiamano il sacerdote per chiedere il soccorso della Marina. Qual è la situazione dei profughi subsahariani nelle carceri della "nuova" Libia? "Sono detenuti in condizioni disumane, senza cibo e vestiti, in locali sovraffollati e pericolosi dal punto di vista igienico-sanitario. Ogni occasione è buona per vessare i profughi. In questi giorni, mi hanno chiamato dal carcere di Garabuli, dove ogni sera è l’inferno: a turno, due donne sono abusate sessualmente dai soldati di guardia, sotto gli occhi dei loro figli, oltre trenta bambini anche loro dietro le sbarre. Nel bunker di Sebha, 1.200 persone sono rinchiuse sotto terra, senza coperte: soffrono la forte escursione termica tra il caldissimo giorno e la notte gelata. Il carcere di Hums è pieno di proiettili ai muri: alla sera, i soldati ubriachi sparano all’impazzata e ogni tanto uccidono qualche migrante. Vicino a Bengasi, invece, i militari giocano al tiro a segno con detenuti obbligati a tenere una bottiglia sulla testa che diventa il bersaglio per i loro proiettili. Si può uscire da questi posti soltanto quando i parenti dall’estero mandano tra i 500 e i 1.000 dollari per corrompere i soldati". Quali sono i numeri? "Abbiamo censito 22 prigioni unicamente per i migranti, ma crediamo che ce ne siano anche altre. In più, alcuni profughi sono rinchiusi nelle carceri insieme ai delinquenti comuni. Si tratta di almeno 10 mila tra eritrei, somali, sudanesi e neri dell’Africa occidentale. Talvolta, sono richiedenti asilo politico e rifugiati, già riconosciuti dall’Unhcr nei campi profughi del Sudan, ma la Libia - sì, anche la "nuova" Libia - non ha firmato la Convenzione di Ginevra sul diritto d’asilo. La situazione peggiore è quella dei cristiani: costretti a recitare le preghiere islamiche e particolarmente presi di mira". La minaccia dei rimpatri è utilizzata? "Sì, specialmente per gli eritrei, è successo con tre ragazzi settimana scorsa. L’Eritrea è da 22 anni una dittatura chiusa, che non ha mai svolto elezioni, non ha una Costituzione e nega le libertà fondamentali. Ogni mese 4 mila persone lasciano il Paese, soprattutto i giovani, per evitare il servizio militare che è una schiavitù legalizzata: è illimitato, a vita. Per questo, i libici minacciano il rimpatrio: chi non ha svolto il servizio militare, in patria rischia anni di carcere duro, mentre chi era arruolato e ha disertato, va incontro alla pena di morte". Come si comporta la polizia libica nei confronti dei barconi che partono verso l’Italia? "Ci hanno segnalato casi in cui la polizia libica ha sparato contro le barche. In particolare, secondo le testimonianze dei profughi del peschereccio affondato l’11 ottobre, una motovedetta libica ha sparato raffiche di mitra forando le fiancate di legno. Da quel momento, la barca ha cominciato ad imbarcare acqua e, quando la marina maltese e italiana sono intervenute, hanno potuto salvare solo 212 migranti (quasi tutti siriani). Per altri 268 era troppo tardi". La situazione è cambiata rispetto alla Libia di Gheddafi? "Per gli africani subsahariani, assolutamente no. La pelle nera in Libia continua a pagare pegno, continuano le retate e gli arresti; in alcuni casi, le discriminazioni verso i neri sono addirittura aumentate perché ingiustamente accusati di aver sostenuto l’ex dittatore. Ma la situazione non cambia perché l’Europa continua a chiedere ai libici di trattenere i potenziali "clandestini", senza dire nulla su come li trattengono. L’Europa e l’Italia fanno accordi bilaterali, addestrano i soldati libici e fanno anche affari sulla pelle dei poveri, come dimostra l’utimo accordo per il controllo delle frontiere con i radar e i sensori della controllata di Finmeccanica. Tra l’altro, non dimentichiamoci che, per sbarazzarsi dei profughi, spesso i soldati libici li abbandonano a Sud, in pieno deserto. Qualche giorno fa, ci hanno segnalato 80 cadaveri morti di sete e fame al confine tra Libia e Niger". Droghe: ma Grillo… sta con Giovanardi? di Patrizio Gonnella (Presidente dell’Associazione Antigone) Il Manifesto, 7 gennaio 2014 Non è un indulto mascherato, come lo definisce Beppe Grillo nel suo blog, e non gli assomiglia nemmeno. Il decreto legge del governo nulla ha a che fare con la clemenza: non produce effetti in modo automatico sulla popolazione detenuta. Grillo nel suo blog critica ferocemente il decreto e si sofferma su tre questioni: la liberazione anticipata, la costruzione di nuove prigioni e il braccialetto elettronico. Nulla dice invece su altre due più rilevanti questioni. Non sappiamo quale sia il suo pensiero, su altre ben più rilevanti norme presenti nel decreto: la modifica della legge sulle droghe e la previsione di strumenti di tutela dei diritti delle persone detenute. A otto anni da quell’obbrobrio giuridico che è la legge Fini-Giovanardi, finalmente è stato avviato un percorso in direzione opposta e meno repressiva. Le norme presenti nel decreto, seppur in forma timida e del tutto insufficiente, avviano una inversione di tendenza nel segno della minore punizione e della minore carcerazione per chi viene fermato con una quantità minima di sostanze. Il tutto in attesa che la Corte Costituzionale si esprima il prossimo febbraio sull’intero impianto della legge sulle droghe. Circa il 30% di chi frequenta il blog di Grillo sceglie l’abolizione della legge Fini- Giovanardi quale via per risolvere il sovraffollamento. Eppure su questo tema non una parola è presente nel blog, né abbiamo visto una proposta alternativa di legalizzazione o forte depenalizzazione da parte dei deputati del M5S. Nelle prossime settimane vi sarà il dibattito parlamentare e ci auguriamo di trovare Giovanardi e i deputati 5 Stelle su fronti contrapposti. È troppo facile usare il tema dell’edilizia penitenziaria per sostenere l’incapacità governativa. Noi non abbiamo mai creduto al Piano Carceri. Dalle pagine di questo giornale lo abbiamo criticato sin da quando lo misero in piedi Berlusconi e Alfano, sul modello della Protezione Civile di Bertolaso, ovvero sganciato da controlli e regole. Non meglio ha fatto il ministero di Giustizia: la gestione dell’edilizia penitenziaria nel tempo è stata affidata a chi aveva avuto ruoli di vertice nella direzione dei Gom, il gruppo operativo mobile della polizia penitenziaria che a sua volta era coinvolto nella gestione di quel carcere improvvisato, luogo di torture, che è stato Bolzaneto. Detto questo la soluzione edilizia al sovraffollamento è una strada concettualmente pericolosa. Asseconda pulsioni emotive e politiche dirette a costruire un diritto penale massimo e pervasivo. È stata la via di Reagan e Thatcher. Negli anni il modello dell’internamento di massa è stato esportato fino a risolvere in questo modo, indecente, il grande tema dell’immigrazione non regolare. Grillo ha una grande responsabilità. Può schierarsi insieme alla Lega, a Forza Italia (garantista solo coi colletti bianchi e con il suo capo) e a Fratelli d’Italia costruendo un asse securitario, populista e xenofobo, oppure può giocare in modo libero la partita senza urlare all’indulto. Un terzo del suo mondo si è espresso sul suo blog per buttare via la Fini- Giovanardi. Faccia presentare un emendamento in questa direzione ai suoi parlamentari. Ieri abbiamo visto una puntata della trasmissione Presa Diretta dedicata ai morti nelle mani dello Stato. Non ostacoli la nascita di una figura ispettiva di tutti i luoghi di detenzione e dica cosa ne pensa dell’unico delitto che manca nella legislazione italiana onnivora, ovvero il crimine di tortura. Gran Bretagna: carceri invase dai telefonini e il Governo non li blocca, costerebbe troppo Il Fatto Quotidiano, 7 gennaio 2014 Telefonini usati nelle carceri per continuare a delinquere. Ma la tecnologia che potrebbe evitarne l’uso è "troppo costosa" e così il ministero della Giustizia del Regno Unito non farà nulla per evitare questa pratica. Tabloid arrabbiati, a Londra e dintorni, per il dietrofront fatto dal governo britannico sulla questione. "Ora chiunque è in prigione potrà continuare a dare ordini, a richiedere azioni illegali ad altri delinquenti, a tenere contatti con le gang", hanno scritto, in un coro unanime, quei quotidiani britannici considerati di serie "B" ma che tanto condizionano l’opinione pubblica. Le reazioni arrivano dopo che il ministero ha rivelato un numero: nel solo 2012, quasi 7mila cellulari posseduti illegalmente dai carcerati sono stati sequestrati nelle prigioni di Galles e Inghilterra. Poi, appunto, la decisione del ministro della Giustizia Chris Grayling. "Il costo della tecnologia per bloccare la ricezione all’interno degli istituti di pena è eccessivamente costoso e proibitivo". Così, si risolve con un nulla di fatto anche l’indicazione arrivata dal parlamento, che ha fatto passare una legge proprio sul tema. Dal ministero, però, arriva comunque un’iniziativa. In quindici prigioni del regno verranno condotti interrogatori ai carcerati che sono stati "pizzicati" con un telefono in mano per capire che uso ne abbiano fatto. Nel caso il telefonino sia stato usato solo per contattare amici e parenti, verranno comunque comminate delle sanzioni ma di minore entità. Diverso il caso di un utilizzo per ulteriori azioni illegali. Ma anche su questa iniziativa si è scatenata l’ira dei tabloid. "Come fidarsi di un carcerato?". Così al momento la posizione del ministero sembra proprio in una impasse, una posizione stretta fra il costo proibitivo della tecnologia di "jamming" (in pratica vengono disturbate le frequenze) e un’opinione pubblica che, nel Regno Unito, non fa sconti alla politica. Il costo degli interrogatori ai carcerati sarà di oltre 70mila sterline. Intanto, lo scorso mese era emerso come, nelle prigioni di recentissima costruzione, alcuni telefoni di linea fissa fossero già stati impiantati, in via sperimentale, nelle celle. In alcune carceri di Inghilterra e Galles, così, chi è detenuto può ricevere le telefonate dalla propria famiglia. Tutte le chiamate dall’esterno devono essere comunque autorizzate e monitorate e non è possibile effettuare telefonate in uscita, ma il ministero è convinto che l’innovazione possa "velocizzare la riabilitazione dei detenuti". Sempre nelle carceri del regno di nuova costruzione, il 90% delle celle possiede una doccia e in un istituto di pena non lontano da Londra sono stati installati, all’interno delle celle, alcuni terminali digitali dai quali è possibile dialogare con i poliziotti penitenziari oppure effettuare altre piccole operazioni come ordinare un determinato cibo per il pasto del pranzo o della cena, prenotare un libro o un dvd dalla biblioteca interna oppure ancora comunicare con il presidio medico in caso di malore. Qualche polemica, comunque, è arrivata dalle sigle sindacali, per il timore che l’uso sempre più forte della tecnologia possa ridurre l’utilizzo del personale nelle prigioni. Egitto: Al-Jazeera chiede l’immediato rilascio dei giornalisti di Ilaria Ricci www.articolo21.org, 7 gennaio 2014 Secondo il Committee to protect journalists (CPJ), l’Egitto è, insieme alla Siria e all’Iraq, il paese più pericoloso per i giornalisti. Secondo il recente rapporto sulla tutela della libertà di stampa in Egitto, pubblicato dall’organizzazione lo scorso primo dicembre, la condizione del Paese sembra essere drammaticamente peggiorata da quanto l’ex Presidente Mohamed Morsi è stato destituito con un colpo di stato lo scorso 3 luglio 2013. Da allora sostenitori di Morsi sono stati uccisi e arrestati; da metà dicembre ad oggi si contano circa 139 sostenitori condannati a due anni di carcere per sommossa e sabotaggio. Il 29 dicembre quattro giornalisti di Al Jazeera- il cameraman Mohamed Fawzy, il corrispondente Peter Greste, e i producer Baher Mohamed e Mohamed Fahmy- sono stati arrestati al Cairo con l’accusa di aver incontrato clandestinamente alcuni membri dei Fratelli musulmani, organizzazione divenuta fuorilegge lo scorso 25 dicembre in seguito ad un attentato al quartier generale che ha provocato 16 morti e più di 100 feriti. La responsabilità dell’attentato tra l’altro è stata invece rivendicata da Ansar al-Bayt Maqdis, un gruppo jihadista del nord del Sinai. In uno dei primi comunicati il Ministro dell’Interno avrebbe inoltre accusato i giornalisti di aver diffuso notizie false con lo scopo di danneggiare la sicurezza nazionale. Con tale motivazione sono state sequestrate telecamere e materiale video che sembra essere stato girato all’Università del Cairo durante le proteste che, incitavano alla violenza, avvenute giorni prima in sostegno dei Fratelli musulmani. Il Ministro ha inoltre affermato che i giornalisti, che al momento dell’arresto stavano lavorando da una camera del Marriott Hotel nel quartiere di Zamalek, usavano le camere per incontri illegali con la Fratellanza. Tale materiale, sequestrato, è stato utilizzato come prova dell’appartenenza dei giornalisti all’organizzazione terroristica. Il procuratore generale, Hisham Barakat, ha così accusato i giornalisti di "creazione di una rete multimediale con l’obiettivo di offuscare l’immagine dell’Egitto all’estero e di danneggiare la sua posizione politica". Il primo gennaio i pubblici ministeri egiziano hanno ordinato per i detenuti la continuazione della custodia per altri 15 giorni negando qualsiasi motivazione politica dietro l’arresto. I quattro stavano lavorando senza l’accredito stampa, affermano i pubblici ministeri. I giornalisti potrebbero aver ricevuto percosse durante gli interrogatori tanto che ai prossimi incontri saranno presenti, per il canadese Fahmy e l’australiano Greste, supervisori delle ambasciate. Al- Jazeera ha descritto l’arresto come un "atto destinato a soffocare e reprimere la libertà di segnalazione da parte della rete e dei suoi giornalisti ormai vittime di arresti, incursioni e censura. Il "nuovo" governo egiziano sta paragonando il giornalismo ad atti di terrorismo, ha detto Sherif Mansour, coordinatore CPJ del Medio Oriente e Nord Africa. Sembra che lo spazio per la critica stia diminuendo drasticamente sotto il controllo del governo militare egiziano. Svizzera: nelle carceri del Ticino meno detenuti, ma i nodi problematici ci sono di Emanuele Gagliardi Corriere del Ticino, 7 gennaio 2014 Il penitenziario penale della Stampa ed il carcere giudiziario della Farera (che ospita i detenuti in attesa di giudizio) hanno appena concluso un anno di attività che li ha visti, ancora una volta, parecchio sollecitati. Il vecchio e datato edificio che accoglie nelle sezioni chiuse i condannati (la maggior parte di origine straniera) e coloro che hanno chiesto l’espiazione anticipata della pena (si tratta di carcerati con l’inchiesta conclusa e in attesa di processo), ha conosciuto, nel corso dell’anno appena trascorso, pochi momenti di stanca e negli ultimi mesi è stato confrontato con presenze medie di circa 120 detenuti al giorno, con picchi sino a 132. Situazioni non semplici da gestire da parte del direttore generale delle strutture carcerarie ticinesi, Fabrizio Comandini. Anche il carcere giudiziario ha raggiunto, in determinati periodi del 2013, numeri di occupazione importanti superando le 70 presenze: il quadro è stato, comunque, tenuto sotto controllo anche grazie all’installazione, avvenuta qualche anno fa, di letti a castello in alcune celle. La situazione, a livello generale, è destinata a migliorare a partire da quest’anno, quando saranno agibili alla Stampa quindici nuove celle, ricavate negli spazi adibiti una volta a sezione femminile del penitenziario. Si tratta di celle che serviranno da valvola di sfogo in occasione di improvvise ondate di piena di popolazione carceraria. Ma in futuro questi spazi potrebbero ricevere quelle persone provenienti dal circuito dell’asilo e che sono state sottoposte ad una misura restrittiva della libertà: l’arresto amministrativo. Il 2012 in Ticino era stato un anno record per quanto riguardava le incarcerazioni: si era arrivati a quota 2.000. Per l’anno appena concluso (le statistiche sono attualmente in via di allestimento) si arriverà probabilmente ad una cifra leggermente inferiore: fino al 20 dicembre ci sono state 1.626 incarcerazioni. Si tratta, comunque, sempre di numeri importanti e che sollecitano, quotidianamente, agenti di custodia e direzione. Una buona notizia per quanto concerne il carcere giudiziario è quella uscita a inizio dicembre e riguardante il progetto di riapertura delle celle pretoriali per i fermi di polizia. Direttor Comandini, l’organico del corpo guardie adesso si può dire completo? "L’organico non è da considerare al completo: i prossimi mesi vedranno, infatti, il trasferimento di ulteriori agenti di custodia dalle strutture carcerarie al Servizio gestione detenuti, posto sotto la conduzione della Polizia cantonale, che si occupa dei trasporti di detenuti nel cantone". Myanmar: amnistia per oltre 13.000 detenuti, tra loro anche 230 prigionieri politici Reuters, 7 gennaio 2014 L’amnistia presidenziale decretata lo scorso 2 gennaio in Myanmar ha portato alla liberazione di 13.274 detenuti. Lo riferisce oggi il quotidiano di Stato News Light of Myanmar, che non precisa il numero di prigionieri politici che sono rientrati nell’amnistia. Reuters non ha potuto verificare indipendentemente la notizia. La settimana scorsa, l’associazione che assiste i prigionieri politici ha indicato in 230 i detenuti per questioni ideologiche che avrebbero potuto rientrare nell’operazione. Diverse centinaia di prigionieri politici sono stati liberati da quando le riforme messe in atto dal presidente Thein Sein hanno convinto l’Ue e gli Usa a sospendere la maggior parte delle sanzioni imposte a Yangon. Nel luglio scorso, durante una visita in Gran Bretagna, Thein Sein aveva promesso che non ci sarebbero più stati detenuti politici entro la fine del 2013. Siria: sconfitta per l’Isil a Raqqa, ribelli liberano 50 detenuti delle brigate Tawheed La Presse, 7 gennaio 2014 I ribelli siriani hanno rilasciato almeno 50 persone che erano tenute prigioniere nelle carceri di Raqqa dai militanti dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isil). Lo fanno sapere gli attivisti dell’Osservatorio siriano per i diritti umani. I ribelli hanno circondato la principale base dell’Isil nella città, liberando i detenuti da una vicina prigione. Tra essi ci sono combattenti delle brigate Tawheed e attivisti, fermati per la loro opposizione ai militanti del gruppo legato ad al-Qaeda. In un video online, uno dei ribelli liberati grida: "Questo è Guantánamo!". Il gesuita italiano Paolo Dall’Oglio è scomparso nella città di Raqqa il 28 luglio scorso, dopo essersi recato in una base Isil, e secondo alcune voci potrebbe essere detenuto, così come molte altre persone scomparse, proprio nelle carceri della città. Romania: l’ex premier Nastase condannato a 4 anni di carcere per reati di corruzione Nova, 7 gennaio 2014 L’ex leader del Partito socialdemocratico e primo ministro della Romania fra 2000 e 2004, Adrian Nastase, è stato condannato oggi, con sentenza definitiva dell’Alta corte di cassazione a giustizia, a quattro anni di prigione. Nastase è stato ritenuto colpevole dalla Corte suprema dei reati di corruzione e ricatto. Sua moglie, Dana Nastase, è stata condannata a tre anni per complicità. I due sono accusati di aver ottenuto benefici illeciti, fra 2002 e 2004, per circa 630 mila euro. Nel giugno del 2012 l’ex premier era stato condannato definitivamente a due anni di prigione, sempre dall’Alta corte di cassazione e giustizia, in un’altra inchiesta di corruzione riguardante la raccolta dei fondi per la sua campagna elettorale per le presidenziali del 2004. Nastase era stato incarcerato il 26 giugno del 2012 dopo un fallito tentativo di suicidio al momento della sua presa in consegna dalle forze dell’ordine. Era stato poi rilasciato, il 18 marzo dell’anno scorso, dal Tribunale di Bucarest in libertà vigliata. Tunisia: approvate norme nuova Costituzione su libertà di stampa e diritti detenuti Nova, 7 gennaio 2014 I deputati tunisini dell’Assemblea costituente hanno approvato ieri due articoli della nuova Costituzione riguardanti la libertà d’espressione e d’informazione e i diritti dei detenuti. Nella sessione di ieri dell’Assemblea costituente sono stati approvati gli articoli 29 e 30 del nuovo testo costituzionale che assegna i diritti ai detenuti e sancisce la libertà d’informazione. L’articolo 29 prevede che tutti i detenuti abbiano il diritto di essere trattati "in modo umano in rispetto della loro dignità", mentre il 30 sancisce che "non è consentito controllare preventivamente le notizie limitando la libertà della stampa".