Giustizia: amnistia e indulto, ricomincia col nuovo anno la battaglia dei Radicali di Calogero Giuffrida Blasting News, 3 gennaio 2014 "Con lo strumento dell’amnistia potremmo dare risposte all’Europa in 24 ore e non solo entro il maggio 2014". Così il leader storico dei radicali, Marco Pannella, ieri a Roma dopo la visita di Capodanno nel carcere di Regina Coeli, è tornato a parlare dei provvedimenti di clemenza necessari per risolvere il problema del sovraffollamento carcerario. Oltre a Pannella, della delegazione radicale ieri in visita sia a Regina Coeli che nel carcere di Rebibbia, hanno fatto parte Rita Bernardini, Laura Arconti, Giulia Crivellini, Isio Maureddu, Paola Di Folco e Mina Welby. "Siamo qua - ha spiegato Pannella - per creare giorni, ore, notti, anni e magari vite diverse per i detenuti, non vite putrefatte come quelle che stiamo condividendo con tutto il popolo non solamente italiano". "Io ci credo che nel 2014 - ha aggiunto - ci sia la possibilità di concepire e poi far vivere una realtà diversa ai detenuti. In questi anni, con le nostre battaglie, abbiamo seminato molto e speriamo che sia arrivato il momento di raccogliere il frutto che, come un baobab, resterà per sempre". "Qui dentro oggi - ha detto Pannella ai microfoni di Radio Radicale - forse c’è molta più sensibilità che a livello partitocratico per i problemi del diritto e della giustizia. Mentre nelle carceri italiani ci sono condizioni che tutti riconoscono essere di tortura, tutti si aspettavano che avvenissero rivolte e l’esasperazione della violenza. Qui - ha aggiunto - c’è invece molto più senso acquisito di giustizia di quanto non ce ne sia fuori nelle più alte sfere. Anche se devo riconoscere che - dal Capo dello Stato Giorgio Napolitano alla Corte costituzionale - non siamo più soli a dire che l’amnistia è lo strumento necessario e adeguato per far uscire fuori il nostro Paese da quella condizione di flagranza di reato". Secondo Pannella "nel periodo fascista in Italia le carceri erano più civili di adesso". Per indulto e amnistia è anche Giulia Crivellini, dell’associazione "Enzo Tortora" di Milano "La prima riforma che la politica nel 2014 - ha detto dopo la visita nelle carceri romane ai microfoni di Radio Radicale - dovrà affrontare è quella della giustizia. Ci sono 70.000 persone recluse in luoghi fatiscenti che subiscono quotidianamente trattamenti disumani e degradanti. Lo Stato, così facendo, si conferma - sostiene - un criminale abituale. Non è più rimandabile restare assolutamente inerti a quello che la Corte di Strasburgo ci dice sul piano dei diritti umani". Capodanno in carcere anche per Mina Welby, copresidente dell’associazione "Luca Coscioni" per la libertà di ricerca scientifica. "Mi sono ricordata di mio padre, che è stato due anni in prigionia in Jugoslavia. Venendo qui, dove si dovrebbe aiutare a recuperare una vita, per me - ha detto Mina Welby a Radio Radicale uscendo da Regina Coeli - è molto difficile credere che da qui escano persone recuperate per una nuova vita. Loro sperano in una nuova vita, sperano di uscire e ritrovare la libertà. Ma non so che libertà avranno poi, perché la libertà deve essere interiore e i detenuti qua dentro non vengono educati alla libertà". "Ho visto delle cose che scriverò, per il momento sono ancora sotto shock", ha detto Laura Arconti, presidente di Radicali Italiani, uscendo dal carcere. "Ricordo mio padre in prigione a San Vittore smagrito e smarrito. Una sensazione - ha detto Laura Arconti a Radio Radicale - che ho riprovato oggi ed è un’esperienza che vorrò descrivere in qualche modo perché qualcun altro capisca". La voce del "popolo di Facebook" Dopo la condanna dell'Italia da parte della Corte di Strasburgo per le condizioni inumane e degradanti negli istituti penitenziari - che ha spinto il presidente della Repubblica a inviare un messaggio alle Camere per chiedere l'approvazione dei provvedimenti di clemenza - sono spuntati come i funghi diversi gruppi e pagine a favore di indulto e amnistia su uno dei più popolari social network. Ecco che alcune bacheche su Facebook dove numerosi utenti condividono link, raccontano storie ed esperienze, criticano le condizioni in cui sono costretti a vivere i detenuti in Italia e chiedono provvedimenti di clemenza che possano alleggerire la situazione di sovraffollamento e i numerosi problemi che ne derivano. "Sì amnistia e indulto". "L'Italia viola i diritti umani" oppure "Per noi che vogliamo l'amnistia e l'indulto" sono i titoli di due "gruppi aperti". Ci sono anche "gruppi chiusi", come per esempio "Ricominciamo da indulto e amnistia" o quello chiamato "Diritti per i detenuti amnistia e indulto", dove nella descrizione si legge: "Questo gruppo è un'iniziativa per documentarsi, scambiarsi idee, fatti di cronaca, ma soprattutto la lotta continua per amnistia e indulto. Lo Stato - si legge nella descrizione del gruppo "Diritti per i detenuti amnistia e indulto" - deve uscire fuori dalla flagranza criminale per le condizioni disumane a cui son sottoposte le persone detenute! Categoricamente, esclusi vigliacchi, traditori, infami e tutti quelli con reati torbidi". Una fanpage è stata chiamata semplicemente "Amnistia e indulto", si legge nella presentazione: "A causa del sovraffollamento delle carceri lo Stato dovrebbe applicare le leggi che possono in qualche modo risolvere questo grave problema". Infine ci sono altre pagine dedicate, come per esempio quella denominata "Amnistia e Indulto: tra certezza della pena e rispetto dei diritti", "Amnistia e indulto, problema o soluzione?". Ma anche su altri social network e siti web è in questi giorni acceso il dibattito su indulto e amnistia. Giustizia: decreto carceri, un timido passo da non gettare al vento di Susanna Marietti Il Fatto Quotidiano, 3 gennaio 2014 Nei prossimi due mesi il Parlamento dovrà convertire in legge il decreto del Governo in materia di giustizia penale e carceri. Un decreto timido ma necessario per rispondere alle sollecitazioni europee che mettono sotto accusa il nostro sistema penitenziario, fabbrica di violazioni della dignità umana. Non è il decreto che avremmo voluto. Antigone - insieme a buona parte delle associazioni impegnate nel mondo della giustizia, a Magistratura Democratica e all’Unione delle Camere Penali, alla Cgil e al Gruppo Abele - aveva avanzato proposte più radicali di quelle governative, sul tema delle droghe, sulla recidiva, sull’immigrazione, sulle misure alternative alla detenzione, sulla tortura, sui diritti in carcere, sul Garante nazionale delle persone private della libertà, sulla custodia cautelare (nel nostro Paese abbiamo una percentuale di imputati in carcere assolutamente fuori scala rispetto alla media europea; molti tra loro verranno assolti). Il decreto ne ha intercettato in parte i contenuti. Un primo passo che speriamo non venga buttato al vento dalle Camere nei prossimi sessanta giorni. Sarà forte la tentazione da parte di alcune forze politiche di racimolare facili consensi parlando alla pancia piuttosto che alla testa delle persone, alimentando sentimenti truci e volgari. Creare paure, alimentare allarmi sociali per poi capitalizzare il consenso: meccanismi già visti nel"era di Bush negli Stati Uniti o della Thatcher in Inghilterra. Un terreno praticato in Italia in passato dalla Lega e da Alleanza Nazionale, supportati da Forza Italia e non contrastati con argomenti forti e razionali dal Partito Democratico. E praticato la scorsa estate ancora dalla Lega purtroppo insieme al Movimento 5 Stelle, quando si impedì che la legge cosiddetta ex-Cirielli sulla recidiva - una legge orribile e discriminatoria - fosse abrogata, così come proposto dal Governo. Il decreto, come abbiamo detto, è solo un primo, timido passo. Succederà ben poco in termini di decongestione di un sistema che detiene fuori dalla legalità internazionale e costituzionale 170 detenuti ogni 100 posti disponibili. Speriamo ci pensi la Corte Costituzionale, tanto invisa a Beppe Grillo, a dare ragionevolezza e giustizia al sistema, abrogando la legge Fini-Giovanardi sulle droghe. Dovrà esprimersi entro metà febbraio. Nel caso in cui questa legge vessatoria e stupida dovesse essere cestinata, ci auguriamo che prenda piede anche in Italia una discussione su una nuova normativa che tolga il mercato della droga dalle mani dei trafficanti e che tolga i consumatori e i tossicodipendenti dalle carceri. Giustizia: qualcosa si muove, ed è qualcosa di importante… una rivoluzione copernicana di Sandro Gozi e Federica Resta L'Unità, 3 gennaio 2014 Il decreto carceri approvato dal Consiglio dei Ministri, che approderà alla Camera l’8 gennaio, infatti contiene alcuni aspetti decisamente positivi, a partire dalla procedura "accelerata", che consente l’immediata applicazione di alcune norme essenziali per ridurre il sovraffollamento penitenziario. Il decreto legge permette di superare alcune tra le storture più evidenti delle passate legislazioni. Si archivia infatti l’era delle leggi "carcerogene", come la Fini-Giovanardi, attraverso la rimodulazione della disciplina degli illeciti minori connessi agli stupefacenti, fino ad oggi puniti con sanzioni così elevate da alimentare un flusso rilevantissimo di ingressi in carcere. È la dignità umana a essere al centro dell’azione del governo, basti pensare alle misure volte a consentire l’identificazione degli stranieri detenuti direttamente in carcere, così da sottrarli a quella "pena aggiuntiva" e del tutto ingiustificata consistente nel trattenimento nei centri d’identificazione ed espulsione (oggi anche fino a 18 mesi) per mere esigenze di identificazione. C’è poi un altro aspetto che merita di essere evidenziato: la spinta verso una decisa riduzione della popolazione carceraria, valorizzando le misure alternative alla detenzione. Un paese civile non si limita a gettare i detenuti dietro le sbarre: ecco perché sono importanti la "stabilizzazione" dell’esecuzione domiciliare per fine pena e l’estensione dei casi di affidamento al servizio sociale anche rispetto a pene residue di quattro anni. Quella che è in gioco, infatti, è una vera e propria rivoluzione copernicana della concezione del carcere. Troppo spesso questo paese ha tollerato inaccettabili negazioni della dignità umana nelle carceri, ma ora si sta finalmente tentando di cambiare approccio. Per questo sono fondamentali le misure volte a garantire la tutela dei diritti nei luoghi di detenzione, affidando alla magistratura di sorveglianza funzioni di garanzia anche nei casi di inerzia dell’amministrazione penitenziaria. E dobbiamo proseguire su questa via nonostante episodi come quelli di Genova, per cui è senza dubbio necessario verificare esattamente fatti e responsabilità. Ma che non può ora essere utilizzato strumentalmente per bloccare lo sviluppo di una politica giudiziaria più efficace. Sotto questo profilo, di particolare importanza è l’istituzione del Garante nazionale dei diritti delle persone sottoposte a misure limitative della libertà personale, competente non soltanto per le carceri ma anche per i centri d’identificazione ed espulsione, alle camere di sicurezza, gli ospedali psichiatrici giudiziari, gli istituti penali e le comunità di accoglienza per minorenni. Il Garante dovrà quindi assicurare che l’esecuzione di misure limitative della libertà personale - nelle forme, con le procedure e nei luoghi più vari- avvenga nel rispetto della legge, del diritto europeo e internazionale e, soprattutto, della dignità umana. Il decreto legge non è certamente il punto di arrivo della questione giudiziaria. Non è ancora stata delineata una riforma organica del sistema penale e penitenziario - che non si può fare certo per decreto - ma il provvedimento varato dal governo agisce su alcuni dei principali fattori del sovraffollamento dovuto a una politica penale tanto espansiva quanto recessiva sul fronte dell’inclusione sociale, del welfare e dell’accoglienza degli stranieri. Con il risultato, quindi, di criminalizzare la marginalità sociale e di rendere il carcere una misura socialmente selettiva, come dimostra la composizione della popolazione penitenziaria, fatta in prevalenza da stranieri e soggetti socialmente ed economicamente vulnerabili. Per il sovraffollamento e il degrado che ne caratterizza le condizioni, il carcere non solo si dimostra del tutto incapace di promuovere- come dovrebbe secondo Costituzione - il reinserimento sociale, ma addirittura rischia di favorire la recidiva, come ha dimostrato più volte Luigi Manconi. In tale contesto, una radicale revisione delle politiche penali e penitenziarie è allora - come ha scritto il Capo dello Stato- non solo un dovere giuridico e politico ma, addirittura, un "imperativo" morale cui la politica deve assolvere con assoluta priorità e con la consapevolezza che su questo campo si gioca la partita più importante per una democrazia liberale e rispettosa dei diritti e della dignità umana. Con questo provvedimento e con il precedente decreto-legge di luglio il Governo ha fatto molto. Il Parlamento deve ora agire con altrettanta se non maggiore determinazione, anzitutto approvando definitivamente i disegni di legge sulla custodia cautelare e sulle pene detentive non carcerarie. E inoltre approvando i provvedimenti di amnistia e indulto necessari a restituire alle condizioni delle nostre carceri quel minimo di umanità senza il quale la pena rischia di divenire, come ci insegna la Corte europea dei diritti umani, vera e propria tortura. Giustizia: Opg, la chiusura resta un miraggio, Regioni in ritardo, serve un nuovo rinvio di Alessia Guerrieri Avvenire, 3 gennaio 2014 Ancora un rinvio. Il primo aprile 2014 non sarà la data in cui si metterà la parola fine agli ospedali psichiatrici giudiziari. Le Regioni negli ultimi mesi hanno consegnato i piani di riconversione, ma la loro realizzazione prevede tempi che oscillano dai 6 mesi per la Basilicata ai quasi 3 anni per Lombardia e Abruzzo. Così "si prospetta la necessità che il governo proponga al Parlamento una proroga del termine che rispecchi la tempistica necessaria per completare definitivamente il superamento degli Opg". La seconda battuta d’arresto nel processo di smantellamento compare nella relazione al Parlamento sullo stato di attuazione dei programmi relativi alla chiusura degli opg, che porta la firma dei ministri alla Giustizia, Cancellieri, e alla Salute, Lorenzin. Alle Regioni serve ancora tempo, quindi. Non è bastata la prima deroga che fece slittare la chiusura dal 31 marzo 2013 al 1° aprile 2014, per avviare i piani di dismissione e realizzare i 990 posti letto nelle 43 Rems (Residenze per l’esecuzione della misura di sicurezza sanitaria) con un investimento di 173, 8 milioni. Perché, si legge nel documento arrivato alle Camere, "dalle valutazioni dei programmi presentati e dagli incontri con le Regioni " è emerso che il termine previsto "non è congruo, soprattutto per i tempi di realizzazione delle strutture, fase che si deve compiere con una serie di procedure amministrative complesse". E così il termine slitta ancora. Ma attenzione, questa volta - dicono i ministri - andrà prevista l’introduzione di "norme sanzionatorie per le Regioni che non realizzano, per quanto di competenza, la finalità del superamento degli Opg né rispettano i tempi". In realtà la Liguria e l’Emilia Romagna, ad esempio, da quanto emerge nelle 20 pagine del report interministeriale, si distinguono per aver utilizzato i finanziamenti in modo virtuoso, riducendo la spesa in conto capitale, cioè per il mantenimento delle strutture, e investendo invece in risorse per la parte corrente, ovvero per i servizi sul territorio necessari a impostare i percorsi individuali di cura e inserimento sociale dell’ex internato. Ma molte altre hanno impiegato i fondi per costruire nuovi istituti. Per questo, secondo il comitato Stop Opg, "il problema non è il ritardo nella costruzione delle Rems, quanto evitare che la chiusura degli Opg si trasformi in una regionalizzazione degli stessi". Nell’incontro con il ministro Cancellieri "abbiamo spiegato - dice Stefano Cecconi - che la proroga deve essere utilizzata per riveder insieme alle Regioni il percorso alternativo all’internamento". Un tempo, "stimabile per noi in almeno 17 mesi", necessario a riorientare le politiche locali su salute mentale e finanziamenti. Un primo segnale positivo, "pur se insufficiente" sostiene il comitato, viene dalla circolare del ministero della Salute del 28 ottobre che prevede di assegnare, da subito, anche ai dipartimenti di salute mentale le risorse di parte corrente (38 milioni nel 2012 e 55 milioni ogni anno dal 2013). Ma non mancano sfide anche culturali, per vincere lo stigma e i pregiudizi nei confronti dei malati mentali. Si inizia il 9 gennaio con un incontro al ministero della Giustizia per porre le basi del piano che prevede nuove linee guida operative che consentano di coordinare Dsm, magistratura e sistema carcerario (da portare in conferenza Stato-Regioni) e un atto che rinvii la chiusura degli Opg e riveda il codice penale. E negli istituti continuano i ricoveri Il meccanismo è complicato. La chiusura dei sei ospedali psichiatrici, infatti, non è legata solo all’attuazione da parte delle Regioni dei programmi di superamento delle strutture manicomiali. Il numero degli internati, perciò, pure a fronte di 1.016 dimissioni tra il 2010 e il 2012 e di altre 400 uscite nel 2013 rimane sempre in stallo. A confermarlo l’ultimo report della popolazione carceraria italiana del ministero della Giustizia (i dati sono aggiornati al 30 novembre), in cui gli internati risultano essere 1.185, di cui 161 stranieri. Anche analizzando statistiche più aggiornate il numero non cala sotto i 900. La popolazione negli Opg, insomma, non tende a scendere e il perché va ricercato anche al di fuori dei piani regionali di chiusura: la legge, in sostanza, consente ancora gli ingressi. Tre articoli del codice penale (88, 89 e 222), difatti, prevedono sia la non imputabilità del malato mentale, sia il ricovero per chi ha un’infermità psichica. Anche se, va detto, numerose sentenze della Consulta vanno proprio nella direzione opposta, limitando l’internamento solo ai casi di elevata pericolosità sociale. E chiedendo d’incentivare le misure alternative come la libertà vigilata. Il dibattito sulla riforma del codice penale è aperto. Ma secondo alcuni addetti ai lavori, modificare gli articoli non servirà "da solo a consentire il diritto alla salute dei cittadini con malattie mentali" che commettono reati, "senza una regia a livello nazionale" che prenda a cuore il tema del superamento di questi luoghi "osceni e drammatici". Ne è convinto il presidente del Tribunale di sorveglianza di Bologna, Francesco Maisto: "S’illudono coloro che credono il problema si risolva soltanto riformando il codice nella parte su infermità e seminfermità". La semplice abolizione, spiega, "avrebbe un esito ancora più barbaro, perché queste persone verrebbero spedite n carcere". Bisogna invece fare in modo che ci siano "luoghi sul territorio che tutelino la loro salute mentale nella sicurezza dei cittadini". Ciò che manca, a detta sua, è sia una "linea di indirizzo politico" per il superamento degli Opg, sia "una linea giudiziaria unitaria" che potrebbe portare alla revisione del codice. Il problema è innanzitutto culturale, secondo Maisto, perché si pensa ancora in troppi comparti che "la contenzione sia una terapia". E non aiuta neppure "il fatto gravissimo di un secondo rinvio per legge" della chiusura, aggiunge, così come alcuni "nodi irrisolti" nella legge Marino, ad esempio la doppia diagnosi o le assegnazioni tra le regioni degli internati stranieri. Solo una regia che organizzi a 360 gradi una "rete di strutture sul territorio, che svolgano una funzione vicaria per accoglierli", conclude, può consentire il superamento degli Opg. Giustizia: Mannone (Fns-Cisl); bene Napolitano e positivi provvedimenti su deflazione carceri Ansa, 3 gennaio 2014 "Siamo grati al Presidente Napolitano per l’ulteriore comunicazione fatta al partito radicale dopo il messaggio istituzionale alle Camere sulla crisi della giustizia e sullo stato drammatico delle carceri". Lo dichiara in una nota, il Segretario Generale della Fns Cisl (Federazione della Sicurezza della Cis), Pompeo Mannone. "Tutto quello che viene deciso sul miglioramento del sistema giustizia e sulla riduzione del sovraffollamento delle carceri- continua Mannone - è un fatto positivo. Confidiamo che il Parlamento migliori i provvedimenti governativi da poco emanati e li renda più incisivi perché il malfunzionamento della giustizia e la lunghezza dei processi civili e penali e la condizione drammatica delle carceri è una vera emergenza Paese. C’è necessità di interventi strutturali ed organici e anche di misure di carattere eccezionale. Il Governo poteva essere più coraggioso ed agire anche sul versante dell’eccessivo uso della custodia cautelare in carcere e sui gradi di giudizio nonché intervenire sulle annose carenze del personale che opera negli istituti di pena". "Il bilancio dell’attività svolta dall’Amministrazione Penitenziaria nel 2013 - conclude Mannone - è stato in parte positivo ma le soluzioni prospettate, legislative ed ammnistrative, non colgono appieno la necessità di operare con misure veramente straordinarie per attenuare in modo deciso e forte l’emergenza che attanaglia le carceri, che determina situazioni pesantissime per i detenuti, ma anche su coloro che spesso vengono dimenticati: i poliziotti penitenziari che subiscono sulla proprio pelle i disagi complessivi di un ambiente spesso invivibile". Giustizia: nuovo piano per reato omicidio stradale, sul progetto una lunga storia di tentativi di Donatella Stasio Il Sole 24 Ore, 3 gennaio 2014 L’annuncio dal ministro Cancellieri: il reato potrebbe essere introdotto con il pacchetto-giustizia. Sabelli, presidente dell’Anm: no a riforme dettate dall’emotività. L’annuncio arriva, come sempre, puntuale. "Entro gennaio porterò in Consiglio dei ministri un pacchetto di norme sulla giustizia che conterrà anche l’introduzione del reato di omicidio stradale". Stavolta l’annuncio è del ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri, interpellata dal Tg5 sull’incidente della notte di capodanno, in Calabria, causato da un pirata della strada e costato la vita a due donne. "È diventato un problema sociale che si ripropone ciclicamente e che impone una maggiore tutela delle vittime" si limita ad aggiungere il guardasigilli, che sembra in sintonia con quanto ha auspicato a metà novembre il suo collega degli Interni Angelino Alfano e con quanto ha fatto sapere ieri, via tweet, il sottosegretario ai Trasporti Erasmo D’Angelis, renziano: "Lavoriamo per un forte inasprimento delle pene per l’omicidio stradale". Dunque, Interni, Trasporti e Giustizia uniti, con l’obiettivo di creare un nuovo reato e sanzioni più severe. L’omicidio stradale, annuncia Cancellieri, potrebbe vedere la luce con il ddl delega per la riforma del processo penale, già messo a punto dal suo dicastero prima di Natale eppure bloccato da Palazzo Chigi, che diede il via libera solo al decreto carceri e al ddl sul civile, rinviando il penale a dopo le feste. Il capitolo sull’omicidio stradale, però, è ancora tutto da scrivere. E tecnicamente non è cosa semplice. Basti pensare che la nuova fattispecie viene annunciata da anni dopo ogni incidente stradale mortale che turba l’opinione pubblica, ma gli annunci sono sempre rimasti sulla carta proprio per la difficoltà tecnica di inquadrare, dal punto di vista soggettivo, questo eventuale nuovo reato: omicidio volontario con dolo eventuale, oppure omicidio colposo con colpa cosciente? Difficoltà di cui la stessa Cancellieri aveva parlato quand’era ministro dell’Interno, nel 2012, e poi lo scorso luglio, come ministro della Giustizia, rispondendo a un’interrogazione del deputato leghista Marco Rondini, presentata all’indomani di un incidente mortale che aveva scosso l’opinione pubblica: il pirata della strada - uno straniero incensurato e con regolare permesso di soggiorno, che era fuggito e aveva cercato di occultare le tracce della propria responsabilità ma qualche giorno dopo si era costituito - era stato mandato dal gip agli arresti domiciliari (per mancanza del pericolo di fuga) e non in carcere come aveva chiesto il pm, contestandogli i reati di omicidio colposo e di omissione di soccorso. "Allo stato non sono allo studio di questo governo iniziative per introdurre il reato di omicidio stradale" aveva risposto Cancellieri, dando atto però dell’esistenza di alcune proposte di legge in materia, ma anche della giurisprudenza della Consulta che ha escluso l’obbligatorietà della custodia cautelare in carcere nei confronti dei responsabili di questi reati (si veda anche l’articolo qui sotto). Non è chiaro, quindi, se e come si muoverà il governo. C’è chi suggerisce di aspettare almeno aprile, quando le sezioni unite della Cassazione affronteranno proprio il tema della differenza tra "colpa cosciente" e "dolo eventuale". Da lì potrebbe arrivare un prezioso contributo tecnico per modifiche normative. Quanto all’aumento delle sanzioni, ci sono anche qui mite perplessità perché le pene (aumentate nel 2008) sono già alte e, semmai, per molti casi di omicidio colposo il carcere non ha senso e meglio sarebbe, come suggerisce la commissione ministeriale che lavora sulle "nuove pene", prevederne di altro tipo. Il rischio è sempre lo stesso: cavalcare l’emotività. "Quando si toccano istituti delicati, è sbagliato lasciarsi trascinare dall’emotività" avverte il presidente dell’Anm Rodolfo Sabelli, ricordando che l’omicidio colposo "tocca" situazioni molto diverse tra loro: gravi (per l’ubriaco che guida a 100 all’ora può scattare l’omicidio volontario con dolo eventuale), meno gravi (quando si esclude il dolo eventuale, malapena arriva comunque aio anni), o addirittura frutto della "fatalità" (chi va a 60 all’ora quando il limite è di 50 e investe, di notte, un pedone che non ha attraversato sulle strisce). "Perciò pensare a un’unica fattispecie di omicidio stradale sarebbe sbagliato" dice Sabelli, che consiglia di "resistere all’emozione suscitata dal singolo caso di cronaca". Altrimenti si rischia la schizofrenia. Quale custodia cautelare? Da un lato si fa la faccia feroce con i pirati della strada annunciando un nuovo reato e pene più severe, ma, dall’altro lato, con il ddl all’esame della Camera sulla custodia cautelare, si restringono i margini del carcere preventivo. "Sono due errori da cui guardarsi - avverte Sabelli -. Con la riforma della custodia cautelare, anche con il nuovo reato di omicidio stradale, sé il soggetto è incensurato, non scatterà nessuna misura cautelare perché il giudice non potrà tener conto delle caratteristiche del caso concreto. Quindi - conclude - calma e gesso sia di fronte all’emozione che spinge a invocare sempre il carcere sia di fronte a riforme che irrigidiscono la discrezionalità del giudice nell’applicazione di misure cautelari". Sul progetto una lunga storia di tentativi, di Maurizio Caprino Non si prospetta vita facile per la proposta di istituire il reato di omicidio stradale annunciata dal ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri. Lo dicono quasi quattro anni di precedenti, segnati da varie perplessità tecniche. Espresse pure dalla stessa Cancellieri, in un’audizione in commissione Trasporti alla Camera il 4 aprile 2012, quando era ministro dell’Interno del governo Monti. I problemi sono la sovrapposizione con altre norme e la possibile incostituzionalità, per disparità di trattamento rispetto ad altre fattispecie gravi dì omicidio. Perciò già nel 2008 (dl 92) si era preferito inserire solo pene più severe per l’omicidio colposo, se commesso violando le norme stradali o quelle contro gli infortuni sul lavoro. Con l’audizione del 2012, seguendo le perplessità dell’allora guardasigilli Paola Severino, la Cancellieri "corresse il tiro" rispetto all’apertura fatta a Ferragosto 2011 dal suo predecessore, Roberto Maroni, sollecitato da associazioni di vittime della strada e Fondazione Ania (che ieri sera ha diffuso un comunicato di apprezzamento). La prima proposta sull’omicidio stradale era stata presentata alla Camera l’8 marzo 2010 (n. 3274 della scorsa legislatura) dall’allora deputato Claudio Barbaro, per aumentare le pene a chi causa incidenti stradali mortali se il colpevole guidava in grave stato di ebbrezza (alcolemia oltre 1, 5 grammi/litro, il triplo del lecito) o sotto l’effetto di droghe e raddoppiarle in caso di guida con azzardo, temerarietà 0 aggressività manifesti e tali da mettere in serio pericolo la sicurezza stradale e l’incolumità altrui. Ma la misura dell’alcol, se effettuata col solo etilometro, non è pienamente attendibile. Inoltre, dimostrare che c’è stato azzardo, temerarietà 0 aggressività presuppone un’indagine approfondita sul comportamento del colpevole, rara nella pratica. Se ci fosse, sarebbe probabilmente utilizzabile T’arma" che l’ordinamento attuale prevede già: l’omicidio volontario per dolo eventuale. Quando l’indagine c’è stata, ossia nel caso dell’imprenditore albanese Ilir Beti che proprio a Ferragosto 2011 ammazzò quattro turisti francesi andando contromano sull’A26, il dolo eventuale è stato riconosciuto fino in Corte d’appello (ora si attende il test più severo, in Cassazione), con una condanna a 21 anni e il colpevole è rimasto sempre in cella. La Polizia stradale aveva passato al setaccio i movimenti di Beti nelle ore precedenti, dimostrando un atteggiamento di sfida verso il mondo. Giustizia: sul reato di "omicidio stradale" arriva l’altolà dei magistrati di Sara Menafra Il Messaggero, 3 gennaio 2014 Sabelli (Anm): "Difficile che l'autore del delitto possa finire in carcere". Il reato di omicidio stradale ancora non c'è ma i commentatori sono già divisi, con un'apparente prevalenza degli scettici. Soprattutto perché, qualora dovesse essere effettivamente introdotta, come annunciato a Capodanno dal ministro Cancellieri, la nuova previsione finirà per inserirsi in una materia molto delicata in cui l'elemento determinante e più difficile da accertare è l'effettiva volontà del guidatore, sobrio o alterato da droghe o alcol, quando ha deciso di mettersi alla guida. "Si rischia di creare un equivoco. La norma di omicidio colposo per violazione del codice della strada esiste già", comincia il presidente dell'Anni Rodolfo Sabelli citando il pacchetto sicurezza del 2008 che stabilisce pene che vanno dai 2 ai 7 anni e che prevede che, se l'automobilista e autore del delitto viene trovato in stato di ebbrezza elevata o alterazione per droga, la detenzione vada dai 3 ai 10 anni. C'è, poi, un problema di coerenza complessiva del sistema: "Tutte le volte che c'è un omicidio colposo sotto droga o alcol si invoca l'arresto in flagranza, ma questo già ora è possibile. Occorre coerenza - ripete Sabelli - non ha senso da un lato chiedere più severità e dall'altro sostenere una riforma della custodia cautelare che, se approvata, renderebbe più difficile applicare misure agli autori di un delitto come questo". Non sono ancora chiari i punti su cui il ministro Cancellieri vuole agire, di concerto con il Viminale e il ministero dei Trasporti. A convincerla dell'urgenza dell'intervento sono stati i recenti episodi di cronaca (tra l'altro, proprio ieri, si è costituito l'uomo che il 31 aveva investito madre e figlia sull'autostrada Salerno - Reggio Calabria) ed è un fatto che agli atti delle due camere esistano già progetti di legge in cui si prevedono fino a 18 anni di carcere, elevabili a 21 nel caso in cui nell'incidente muoiano più persone, oltre all'istituzione delle lesioni personali stradali. Tra gli interventi da inserire nel nuovo testo, che potrebbe finire nel prossimo ddl penale, anche il cosiddetto "ergastolo della patente", che in alcuni casi sarebbe ritirata a vita, e una corsia preferenziale che renda più facile l'attivazione del rito direttissimo e di quello immediato. In realtà, l'intervento del 2008 aveva già portato ad un consistente aumento delle pene. Pochi mesi dopo l'approvazione di quel testo un giovane senza patente investiva a Roma una coppia di fidanzatini e, circa un anno dopo, finiva condannato a dieci anni per omicidio volontario. "Credo sia stato uno spartiacque", dice ora Francesco Caroleo Grimaldi, l'avvocato che assisteva le famiglie delle vittime: "Anche se in appello la pena è stata ridotta perché non si riuscì a dimostrare il dolo eventuale. Oggi anch'io credo che sia necessario introdurre un reato specifico. Nei regimi di Common law si arriva già attualmente a 21 anni di carcere". Favorevole all'introduzione del nuovo testo, oltre al Pd, la Lega nord che tramite il suo deputato Marco Rondini fa notare come "il 40% degli incidenti sulla strada è causato da guida in stato di ebbrezza". D'accordo anche il ministro dei Trasporti Maurizio Lupi: "Si tratta di uno dei punti qualificanti del nuovo codice della strada, per il quale ho chiesto la delega al Parlamento già nel settembre scorso". Fermamente critico è invece Valerio Spigarelli, presidente dell'Unione camere penali: "Se introduci l'omicidio stradale irrobustendo le pene per l'omicidio colposo - spiega Spigarelli - devi anche prevedere che non sia punito in maniera parossistica rispetto ad altri reati colposi". Giustizia: G8, i superpoliziotti agli arresti 13 anni dopo l’orrore della Diaz di Giuseppe Filetto La Repubblica, 3 gennaio 2014 "Meglio tardi che mai, ora le scuse". Rifiutati i servizi sociali, dovranno scontare i domiciliari.Da due giorni sono agli arresti domiciliari, i tre superpoliziotti condannati definitivamente per l’irruzione alla scuola Diaz del capoluogo ligure durante il G8 del luglio 2001. Negata l’alternativa dell’affidamento ai servizi sociali da parte del Tribunale di sorveglianza di Genova, formalmente Giovanni Luperi, ex dirigente dell’Ucigos ora in pensione (deve scontare ancora un anno), Francesco Gratteri, ex numero tre della polizia (anche per lui un anno di pena), e Spartaco Mortola, che allora dirigeva la Digos di Genova (otto mesi da scontare) sono stati arrestati. "Meglio tardi che mai - commenta Vittorio Agnoletto, portavoce del Genoa Social Forum nel luglio 2001 -. Dopo quasi 13 anni dai fatti, tre dei poliziotti più alti in grado presenti a Genova durante il G8 sono stati arrestati per la "macelleria messicana" della notte della Diaz". E aggiunge: "Le vittime della violenza stanno ancora aspettando una parola di scuse". I tre hanno ricevuto il decreto di arresto negli scorsi giorni, anche se potranno beneficiare di alcune ore di libertà al giorno (fino a 4) e gli è stato concesso l’uso del telefono. Nel frattempo, potranno chiedere il riconoscimento della buona condotta e avere uno sconto di pena. Inoltre, i loro avvocati sperano in un ulteriore ricorso alla Cassazione o alla Corte di Giustizia Europea, contro la decisione del Tribunale di Sorveglianza. Trattamento leggermente diverso, i giudici lo hanno riservato a Pietro Troiani, il vice questore che materialmente portò il sacchetto con le bottiglie molotov nella scuola che ospitava i no- global. A lui, che ha avuto la stessa pena, è stato concesso l’affidamento ai servizi sociali, la possibilità di prestare la sua opera alla Caritas di Roma. La richiesta era stata avanzata dalla stessa Procura generale di Genova e deriva anche dalle motivazioni espresse dal terzo grado di giudizio definitivo della Cassazione. Pur riconoscendo a Troiani la consapevolezza di quello che aveva fatto, è stato ritenuto una "pedina", l’esecutore materiale di un ordine partito dall’alto. Gli arresti di Luperi, Mortola e Gratteri si aggiungono a quelli eseguiti nelle scorse settimane nei confronti di Nando Dominici (ex capo della Squadra mobile di Genova), dei dirigenti Massimo Nucera e Maurizio Panzieri, di Fabio Ciccimarra (ex dirigente della questura di Napoli), Salvatore Gava (ex commissario capo a Roma) e Filippo Ferri (ex dirigente della Squadra mobile di La Spezia). Risparmiato soltanto Carlo Di Sarro, ex funzionario della questura di Genova poi passato a dirigere il commissariato di Rapallo, a cui è stato concesso l’affidamento in prova ai servizi sociali. Il no alla pena alternativa, per tutti gli uomini che rappresentarono la catena di comando durante i giorni del G8, era stato espresso dalla Procura generale. Inoltre, l’indulto, sopraggiunto dopo la sentenza, non ha eliminato i residui di pena, che devono essere scontati. Così, per quasi tutti i poliziotti considerati responsabili a vario titolo delle lesioni gravi ai 93 manifestanti, si è ritenuto opportuno applicare gli arresti domiciliari. Anche se Vittorio Agnoletto ricorda: "Nei lunghi anni del processo, mentre i magistrati li inquisivano, le loro carriere progredivano vertiginosamente, di promozione in promozione, con il beneplacito del governo di turno e con il silenzio del Parlamento". Lettere: gli operatori carcerari di cui non si parla mai di Maria Giovanna Medau Ristretti Orizzonti, 3 gennaio 2014 Del carcere si parla troppo poco e sempre per denunciare situazioni limite. Non si parla affatto, degli operatori che si occupano del trattamento, gli esperti ex art.80 dell’O.P., psicologi e criminologi clinici, forse perché pochi, prevalentemente donne, precari a vita e sottopagati: 17, 63 euro lorde(!) all’ora. .Eppure è proprio la loro presenza, che ha fatto "la differenza " nella legge 354/1975.Per lavorare in carcere hanno superato un concorso nazionale e dal 1994 regionale .Personale civile, a contratto libero professionale, rinnovato annualmente da 35 anni. Precari a vita .Con la loro opera hanno impedito che le carceri scoppiassero, non solo per sovraffollamento. In un sistema penitenziario lontano, ancora, dallo spirito della riforma, essi si occupano dell’osservazione scientifica della personalità finalizzata al trattamento individualizzato per il recupero del reo. I loro utenti sono detenuti /e comuni, mafiosi, camorristi, sex offender, extracomunitari ecc.. Partecipano ai consigli di disciplina, esprimono un parere sulle eventuali richieste di misure alternative alla detenzione . I l lavoro dentro il carcere, è stato pioneristico e difficile, quanto può esserlo quello relativo alla salute mentale e all’equilibrio psicofisico della persona, in una istituzione totale, un tempo ancora militarizzata .Negli anni hanno perfezionato le loro competenze professionali, non solo attraverso una esperienza diretta, ma frequentando corsi universitari di specializzazione, superando esami di stato per l’iscrizione agli ordini, aggiornando le problematiche del loro intervento alla mutata realtà penitenziaria, attraverso i corsi del Ministero di Giustizia su droga, terrorismo, la malavita organizzata, i sex offender .L’O.P. italiano pur avanzato nei principi, trova nelle strutture edilizie, e in leggi che hanno favorito la detenzione e il sovraffollamento, le condizioni più avverse per la sua applicazione. Dal 1987, gli esperti svolgono anche il servizio nuovi giunti attivato per prevenire il rischio di suicidio o di violenza eterodiretta per detenuti provenienti dalla libertà. Garantito 365 giorni all’anno, nonostante la riduzione di ore, sino al passaggio del servizio all’Asl, avvenuto in Sardegna nel 2013. Nell’ultimo decennio il loro ruolo è stato, di fatto, marginalizzato dall’Amministrazione, con la progressiva riduzione delle ore assegnate, specie in Sardegna, sino al limite raggiunto nel 2013, quando, ai quattro esperti di Buon Cammino, sono state assegnate 8 ore ciascuno, a fronte di una media di presenze in carcere giornaliera di oltre 350 detenuti e lo stesso è avvenuto a Nuoro, Sassari Oristano e Tempio! Pagati per decenni nel capitolo relativo alle attività ricreative dei detenuti (art.8), dal 31 dicembre 2013 hanno perso il posto. Ritenuti illegittimi i loro contratti, per la legge Fornero e da un rilievo della Corte dei Conti sul falso carattere libero professionale del lavoro, il Ministero di Giustizia ha superato il problema, mai affrontato, di una loro stabilizzazione, con nuove selezioni per esperti .Costretti a ripetere un concorso per un titolo già in loro possesso, sono stati discriminati, dalla possibilità di avere in graduatoria una posizione utile, dalla regola che i titoli post laurea fossero successivi al 2005 e dallo scarso o nessun rilievo dato all’esperienza pregressa in carcere .Un ricorso al Tar del Lazio ha sancito il diritto dello Stato a rottamarli .E la Sardegna, ultima in Italia nelle procedure del passaggio dalla medicina penitenziaria all’Asl si è distinta, per efficienza, nelle nuove selezioni, con una Commissione che, dovendo valutare anche le competenze professionali di psicologi, non aveva al suo interno nessun iscritto all’Ordine professionale! Sorge spontanea una riflessione . Oggi, le Asl pagano il servizio nuovi giunti, svolto prima dagli esperti, 3600 euro al mese! Il decreto svuota carceri, che prevede meno celle chiuse e più attività alternative, necessita di personale stabile e non precario. Il carcere diventa, un lavoro ambito . I vari master in scienze criminologiche delle nostre università, attivati, spesso, per moltiplicare incarichi più che per garantire sbocchi professionali, acquisterebbero credibilità se servissero ad una selezione di lavoro. L’apertura delle nuove carceri porterà il numero dei detenuti in Sardegna a 2500 presenze tra essi ci saranno i detenuti col 41 bis .Buon senso vuole che gli operatori penitenziari non abbiano solo un titolo, ma anche esperienza di lavoro in carcere! Buon senso vuole, ma non in Italia. Lettere: Cancellieri... e secondini di Filippo Facci Libero, 3 gennaio 2014 La Cancellieri non serve. Le lagne di chi non vuole cambiare il carcere preventivo sono vergognose e basta, non c'è da fare dibattiti, non è uno scontro tra visioni procedurali: è uno scontro ventennale tra chi vuole tentare di migliorare le cose e chi invece non vuole cambiare nulla, anzi, vuole continuare a servirsi comodamente del potere più delicato del mondo-togliere la libertà altrui-per coprire le proprie pigrizie investigative e per vellicare le depressioni del forcaiolo italiota, del servo di procura, dell'infangatore professionale. È da trenta anni che la custodia cautelare dovrebbe essere "extrema ratio" e invece è regola: e questo perché i magistrati se ne fottono, punto, tanto nessuno li punisce, ripunto: nelle nostre galere ci sono 13mila persone metà delle quali, statisticamente, sarà assolta dopo il primo grado e dopo ingiusta detenzione. Abbiamo 27mila detenuti in attesa di giudizio (anche se l'Italia ha un tasso di criminalità tra i più bassi d'Europa) e il perché lo sappiamo tutti: perché i magistrati usano il carcere per dare anticipi di pena o per costringere a confessioni, talvolta per finire sui giornali: mentre pm e giudici stanno solo attenti a non pestarsi troppo i piedi e propongono, per risolvere il dramma della carcerazione preventiva, esattamente questo: niente. Ora hanno paura che si rompa il giocattolo, mastiano tranquilli: la riforma allo studio è un decimo di quanto servirebbe. La Cancellieri non serve, ne servono dieci. Lazio: il Garante regionale Marroni; il 2014 si apre con detenuti sotto le settemila unità Adnkronos, 3 gennaio 2014 "Il 2014 si apre all’insegna della speranza per le carceri del Lazio. Per la prima volta dopo mesi, infatti, i detenuti presenti nelle 14 carceri della Regione scendono sotto quota 7.000, attestandosi a 6.904, duecento in meno rispetto ad un mese fa, a fronte di una capienza regolamentare di 4.799 posti". I dati sono stati resi noti dal garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, secondo cui, "a livello nazionale, nelle 205 carceri italiane (con 47.709 posti disponibili) i detenuti sono 62.716, circa 1.400 in meno rispetto ai 64.084 censiti il 2 dicembre scorso e con un tasso di sovraffollamento del 31%". "Il Lazio si conferma, però, la terza regione italiana per numero di detenuti dopo la Lombardia (8.765 reclusi) e la Campania (7.987), con un tasso di sovraffollamento del 44%", aggiunge. "Il 2013 - ha detto il garante dei detenuti Angiolo Marroni - si aprì con la condanna della Corte di Giustizia Europea sulla carceri italiane. Quest’anno, invece, la notizia è che i reclusi diminuiscono. È presto per affermare che la situazione sta cambiando ma, certo, questi numeri sono un tenue segnale di speranza in un quadro che resta, purtroppo, ancora drammatico". "L’ennesima spia di quanto sia tesa la situazione all’interno delle carceri italiane arriva dalla rissa scoppiata, a Capodanno, all’interno del carcere Mammagialla di Viterbo, che ha causato diversi feriti, fra i quali anche un agente di Polizia Penitenziaria", ha aggiunto. "Quanto accaduto a Viterbo - ha proseguito il garante - è una ulteriore conferma dello stato di invivibilità delle carceri dovuto soprattutto al sovraffollamento. A Viterbo, in particolare, a fronte di una capienza regolamentare di 444 posti, c’è una presenza effettiva di 705 detenuti a fronte di 444 posti disponibili, con un tasso di sovraffollamento del 58%, il doppio rispetto alla media nazionale. Bisogna dare atto alla Direzione del Carcere e alla Polizia Penitenziaria e agli operatori sanitari della struttura ospedaliera protetta di Belcolle, che stanno gestendo una situazione estremamente delicata con risorse limitate. Tuttavia si è intervenuto prontamente per fronteggiare una tensione probabilmente prodotta anche dalle festività vissute in carcere oltre ché da conflitti tra etnie diverse le cui cause al momento sono al vaglio della magistratura". "Occorre ribadire - ha concluso il garante - che per risolvere il problema del sovraffollamento bisogna intervenire sui nodi strutturali che producono carcere: pene alternative, intervenire sui reati connessi alle tossicodipendenze e affrontare il tema degli stranieri in carcere. Sotto questo punto di vista, il Parlamento deve agire tempestivamente e in coerenza con gli appelli che, autorevolmente, giungono da più parti. Non da ultimo, quello del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel suo messaggio di fine anno alla Nazione". Umbria: stesso direttore per le carceri Maiano e Orvieto; situazione delicata, subito bando www.umbria24.it, 3 gennaio 2014 Si tratta di un incarico ad interim provvisorio, ma da Spoleto parte il pressing su Dap. Promuovere ogni azione utile per ottenere al più presto dal Dipartimento di amministrazione penitenziaria (Dap) un bando per l’individuazione del nuovo direttore del carcere di Maiano (Spoleto), resosi necessario dopo il pensionamento di Ernesto Padovani. Questa la richiesta indirizzata al sindaco Daniele Benedetti dal consigliere comunale Sergio Grifoni (Prima Spoleto) preoccupato per la "precarietà" dell’incarico affidato ad interim al direttore della casa di reclusione di Orvieto, Luca Sardella. Si attende avviso del Dap Stando a quanto risulta circa due mesi fa il Dap ha chiesto al provveditorato regionale di individuare un responsabile provvisorio per l’istituto in attesa, riferiscono da ambienti sindacali, della pubblicazione di un avviso per la selezione del nuovo responsabile. La reggenza è stata quindi affidata al dottor Sardella che, a oggi, è impegnato quattro giorni a settimana a Spoleto e due a Orvieto. La procedura del caso, riferiscono i rappresentanti degli agenti della penitenziaria, dovrebbe essere attivata nel giro di un mese anche se poi prima della conclusione dell’iter trascorreranno altre settimane. Il monito Il consigliere Grifoni, a scanso di equivoci e sorprese sgradite, mette comunque in guardia: "Analoghi avvisi di disponibilità sono stati già pubblicati in relazione ad altri istituti sprovvisti di un direttore, non vorrei quindi - argomenta - che anche sul carcere di Maiano sia iniziata l’opera di svilimento già sperimentata su altre realtà del territorio, come l’ospedale, e considerando la realtà dell’istituto in termini occupazionali e pure di valore aggiunto in relazione al potenziamento del nostro tribunale, chiedo al sindaco di attivare tutte le iniziative del caso per fare chiarezza sulla vicenda". Vasto (Ch): il carcere dopo il carcere, una vita da internati tra chi resta dentro dopo la pena di Maria Amato (Deputato Pd) Il Centro, 3 gennaio 2014 Un viaggio sconvolgente tra i 170 reclusi, soli e dimenticati. Hanno pagato il debito con la giustizia, ma non li rilasciano. Nell'istituto ci sono circa 170 "ospiti", la definizione è internati, persone che hanno finito di scontare la loro pena, che il magistrato ritiene ancora socialmente pericolosi e pertanto destina alle case lavoro, luoghi in cui, grazie ad esperienze di lavoro, col sostegno di operatori, dovrebbero riconquistare un normale rapporto con la quotidianità che li preservi dal tornare a delinquere. Definizioni a parte, quello che ho trovato è un coacervo di disagio e di povertà. Qualcuno che ha famiglia e casa, ma senza aspettativa di lavoro, qualcuno che non ha né casa, né famiglia e né speranza di tornare a qualcosa. Ero già stata in questo istituto quando era ancora carcere, qualche mese fa, quando era in corso la riorganizzazione ed era viva negli agenti di polizia penitenziaria la preoccupazione che, non essendoci aree di lavoro già in essere, gli internati non avrebbero vissuto la parte principale del percorso riabilitativo: il lavoro. Il direttore dell'Istituto, Massimo Di Rienzo, persona per cui sia gli internati che gli operatori hanno avuto parole di rispetto e di gentilezza, mi ha fatto vedere e immaginare un luogo diverso, con spazi fruibili per una quotidianità quasi normale. Ma mentre col direttore con l'immaginazione abbiamo visto un refettorio, un capannone per lavorazione industriale, un'area per imparare l'arte bianca, l'arte della panificazione, una nuova palestra, la realtà è che se la burocrazia non libera i 350 mila euro già assegnati da mesi per il 2013, chi ha già scontato la sua pena continua ad essere ancora solo un detenuto. La burocrazia! Un'infida palude in cui si perde lo slancio e la volontà di semplificazione. Le leggi non bastano, ci vuole una nuova cultura in chi lavora per la pubblica amministrazione: mentre quei soldi sono fermi in qualche passaggio tra uffici e autorizzazioni, 170 persone aspettano nelle loro celle strutture in cui lavorare, persone che hanno finito di scontare la propria pena. Lo ripeto perché questo fatto colpisce davvero: colpisce il dolore con cui un giovane salentino ripete "io ho pagato, sono qui perché devo lavorare per riabilitarmi, invece sono ancora di fatto un detenuto". Mi mostra il suo foglio Inps, ha fatto il cuoco. Mi pressa perché io veda il gabinetto, nella cella, poco più di un metro quadrato, un piccolo lavabo, il water e un lava piedi. L'acqua freddissima. Mi chiedo perché in un posto sul mare, con una così ampia insolazione, non ci siano i pannelli solari per avere l'acqua calda con poca spesa. Un altro, campano, sta per andare a casa, lo ritroviamo più volte sul nostro percorso, col direttore si parlano un linguaggio familiare, fatto di monito e di "quasi" affetto. Un uomo con occhi vivaci, inquieti, mi incalza chiedendo che la politica si occupi della situazione delle carceri, è d'accordo con me che la rivoluzione della dignità si può fare solo tutti insieme. La dignità del nostro sistema carcerario viaggia insieme alla riforma della giustizia, ad un diverso approccio alla immigrazione, alla trasformazione della normativa sulla tossicodipendenza, ma soprattutto ha bisogno della massa critica, un numero crescente di persone che si convinca che in un paese moderno il carcere non è pena ma percorso rieducativo. Un giovane mi ha detto: "Vedi, signora, noi per voi li fuori siamo la feccia, siamo una discarica umana", parole forti che il direttore ha tentato di mitigare trasformandole in "contenitore di disagio", ma la traduzione non ha alleggerito il senso doloroso dell'immagine. Stavo concludendo il giro quando un uomo all'apparenza mite ha richiamato la mia attenzione dicendo: "Sei medico, vieni a vedere". Sdraiato nel suo letto, un giovane con una gamba difettosa e le mani contratte per un problema neurologico mi guardava con lo sguardo dei semplici, per non so quale situazione di ritardo psichico. L'uomo che aveva richiamato la mia attenzione ha detto con voce bassa e gentile "Che male può' fare? Fatela scontare a me la sua pena". È li perché se esce finisce col mendicare, questa è stata la spiegazione che non senza pathos mi ha dato il direttore. Spero che da questi brevi riferimenti si colga il perché della mia inquietudine: pensavo di trovare storie di delinquenza e ho trovato prevalentemente storie di disagio e di povertà. E si è rafforzata la mia convinzione che la rieducazione avviene, oltre che con il carcere per la pena, con percorsi di sostegno, di studio, di esperienze di lavoro, di esercizio al rispetto delle regole, ma con la sinergia del dentro e fuori le mura, dentro operatori e polizia penitenziaria, fuori una rete sociale di sostegno, una società prudente, ma solidale. Ho riportato la confortante impressione di una grande umanità e professionalità delle guardie di polizia penitenziaria, gente che fa un lavoro difficile, duro, psicologicamente usurante ma che non dimentica il rispetto per chi ha di fronte, la fermezza con la devianza, l'attenzione per la fragilità. Il direttore parla di quello che immagina e spera sarà la casa lavoro al termine del processo di trasformazione strutturale. Torna costantemente sulla necessità di far vivere agli internati una quotidianità quanto più vicina possibile alla vita da uomini liberi; mi ha mostrato tutte le aree, sottolineando la positività dei cambiamenti già in essere, la sala colloqui, il campo sportivo, la palestra, la lavanderia con due nuove lavatrici ed una moderna asciugatrice, la cucina linda, con i carrelli termici per la distribuzione delle vivande. Una cinquantina di ospiti era fuori in permesso per le festività del Natale, molti dentro arrabbiati per aver avuto negato il permesso dal magistrato. Ho cercato di guardare a tutto questo con razionalità e, al di là della pietas, ho toccato con mano Ta inadeguatezza del sistema: la pena è la limitazione della libertà non la lesione della dignità. La mia prima azione alla ripresa dell'attività parlamentare sarà un' interrogazione in commissione Giustizia al ministro per sapere dove sono fermi i fondi già assegnati per il 2013 per le aree di lavoro dell' Istituto di Vasto, con l'impegno a partecipare a tutte le iniziative con cui si possa dire al mondo che nessuno ha il diritto di togliere a un uomo o a una donna la sua dignità. Educazione e lavoro per recuperare i detenuti alla società Il carcere di Torre Sinello di Vasto è stato inserito in un progetto del ministero della Giustizia per la rieducazione e il recupero sociale dei detenuti attraverso il lavoro. L'istituto vastese da fine marzo ha cominciato a cambiare pelle. Molti dei detenuti sono stati trasferiti nei penitenziari di Lanciano, Pescara e Sulmona. A Vasto sono arrivati e arriveranno altri internati da avviare al lavoro. L'iniziativa rientra in un progetto molto più ampio deciso dal governo per promuovere e potenziare le attività già in essere nell'istituto e promuovere vere e proprie filiere produttive. Lavoro come speranza di vita, come trattamento rieducativo. La "Casa lavoro" seguirà i dettami dell'articolo 27 della Costituzione che prevede la rieducazione e reinserimento sociale degli internati. Il nuovo progetto oltre a favorire il riscatto sociale dei detenuti, porterà anche un notevole risparmio alla casse del ministero. La scelta del carcere vastese non è casuale. Più volte il carcere di Torre Sinello ha dimostrato di essere un istituto-modello pervia dei progetti di reinserimento lavorativo degli ospiti. Da anni in collaborazione con il Comune, alcuni detenuti vengono utilizzati per la pulizia della riserva di Punta Aderci. Nel 2009 grazie all'associazione Opificio AlterArs ai detenuti è stata offerta l'opportunità di dar vita a un laboratorio di arte itinerante ed esporre quadri sulla Loggia Ambling. Catanzaro: scrive un detenuto di Siano "inizio lo sciopero della fame" di Giuseppe Mercurio (ex consigliere comunale di Crotone) www.catanzaroinforma.it, 3 gennaio 2014 Accusato per voto di scambio aggravato dal metodo mafioso. "Scrivo questa lettera dalla casa circondariale di Siano dove mi trovo ristretto dal 9 ottobre scorso, in seguito al pronunciamento della Suprema Corte di Cassazione che, confermando la sentenza della Corte di Appello di Catanzaro, mi ha condannato per voto di scambio elettorale aggravato dal metodo mafioso alla pena di anni quattro e mesi reclusione. Voglio subito precisare che in tutti questi anni ho lottato duramente per riuscire a dimostrare la mia innocenza e per evitare una condanna ingiusta che ha stravolto la mia vita e quella della mia famiglia. E voglio continuare a combattere anche da dove mi trovo ora, perché tutti sappiano che non mi sono rassegnato a subire supinamente un’ingiusta detenzione. Ho, infatti, iniziato dal 14 dicembre lo sciopero della fame ed inoltre mi rifiuto di prendere qualsiasi tipo di medicinale che può aiutarmi in questa situazione. Preciso che si tratta di una protesta pacifica che non riguarda minimamente l’istituto penitenziario dove mi trovo, anzi li ringrazio pubblicamente tutti (direzione, agenti, staff medico, ecc.), ma protesto per una ingiusta detenzione a causa di una sentenza nella quale si dice che avrei commesso uno scambio elettorale politico - mafioso per la realizzazione del mega villaggio Europaradiso, mai realizzato. Ebbene nella sentenza si sostiene che io avrei "mantenuto tale condotta" quando tutti sanno che: 1) mi sono immediatamente dimesso da consigliere comunale appena sono venuto a conoscenza dell’indagine; 2) prima ancora di dimettermi ha partecipato ad un incontro pubblico presso Bastione Toledo dove, in presenza di Mr. Appel, mi sono apertamente schierato contro la realizzazione di Europaradiso; 3) anche in consiglio comunale avevo ribadito che ero contro qualsiasi ipotesi di speculazione edilizia e comunque non ho mai fatto pressioni in tal senso; 4) d’altronde il piano regolatore generale era stato già approvato diversi anni prima dal sindaco Senatore ed allora io che ero consigliere di opposizione mi incatenai in segno di protesta; 5) i terreni oggetto della vicenda Europaradiso erano, quindi, già stati trasformati da agricoli in edificabili e quindi non avrei potuto da semplice consigliere modificare nulla. Ma di tutto questo non si è verificato nulla, nel senso questo mega villaggio, come tutti sanno, non è stato realizzato, eppure si sostiene nella sentenza che io avrei mantenuto l’impegno. Sono l’unico a pagare con riferimento a questa vicenda che ha visto coinvolti l’ex Sindaco Reggente, l’ex Direttore Generale del Comune di Crotone, i promotori dell’iniziativa turistica, agenti immobiliari e tanti altri nei cui confronti non ho nessun rancore, anzi sono contento che sono riusciti a dimostrare la loro innocenza rispetto ad una vicenda che, in realtà, poi non si è mai concretizzata. Né riservo rancore per quei collaboratori di giustizia che mi hanno coinvolto in questa vicenda, le cui dichiarazioni, peraltro, non sono state neanche precise, univoche e concordanti, anzi contraddittorie tra di loro. Un ultimo chiarimento sulla mia vicenda processuale merita una particolare telefonata con la quale è stato scritto che stavo parlando con il fratello di un mafioso, mentre in realtà stavo parlando con un’altra persona con la quale in quel periodo collaboravo politicamente. Né me la prendo con coloro che hanno mal interpretato questa mia telefonata, che facilmente poteva essere verificata. Quello che, invece, veramente non sopporto è che pur sapendo di essere innocente mi ritrovo a vivere una situazione assurda per me e per la mia famiglia che, insieme a me, combatterà fino a quando non sarà tutto finito". Milano: 35 anni di lavoro a San Vittore, l’uomo che dietro le sbarre ha messo anche la mediazione di Paolo Di Stefano Corriere della Sera, 3 gennaio 2014 Non ci sarebbe bisogno di avere i suoi occhi chiari, per esprimere al meglio l’incredulità di dover cambiare vita. Ma certo gli occhi chiari di Giovanni Fumagalli aiutano a capire: lasciare San Vittore dopo trentacinque anni di lavoro come educatore non è facile. Anzi, è uno strazio. Pensare che tanti non vedono l’ora di lasciare queste mura. Fumagalli no: è un uomo per cui la dedizione non ha limiti d’età. E i suoi occhi chiari lo dicono con un sorriso triste: "Io non me ne andrei mai". Ma la pensione è una barriera crudele. A otto anni era già lontano da casa, perché i genitori lo mandarono a studiare dai Salesiani, lui bergamasco cresciuto a Genova, in San Pier d’Arena. Da allora non è più tornato in famiglia ed è probabile che il carcere di San Vittore, dal gennaio 1979, sia diventato un po’ la sua casa. A quell’epoca, quando cominciò, gli educatori erano guardati con sospetto sia dalla polizia penitenziaria sia dai detenuti. Corpi estranei, inutili, ingombranti. "Chiesi di restare qui solo perché avevo una fidanzata nel Varesotto, ma stavo in ufficio con i miei due colleghi educatori senza trovare un senso. Quando entrammo, fummo chiamati dal maggiore: ad ascoltarci c’era un corpo di agenti di polizia sull’attenti. Carichi di letture dopo i corsi di formazione teorica, cominciammo a presentarci con discorsi assurdi e credo che nessuno capì niente...". Era il tempo delle bande della mala, Vallanzasca, Turatello, rapine, i primi sequestri calabresi, i primi giri di droga, poi il terrorismo, l’immigrazione... "All’inizio degli 80 il carcere era ancora segnato da certe figure carismatiche di detenuti: si respirava la loro presenza. Ricordo che passavo le giornate seduto nel mio ufficio, in preda all’angoscia e al senso di inutilità". Gli fu diagnosticata la sindrome di burnout, che colpisce chi vorrebbe aiutare ma non trova risposte adeguate allo stress che consuma. "Per disperazione soffrii anche di alopecia... Ogni tanto arrivava qualcuno dei detenuti per esplorare... Ho conosciuto Spedicato, autista e luogotenente di Turatello, era un boss che girava seguito da uno stuolo di gregari... Venivano per "assaggiarmi", per capire come la pensavo su certi temi... Era un carcere vecchia maniera, in cui era difficile dialogare e noi venivamo percepiti come figure di disturbo più che di aiuto". Poi le cose a poco a poco cambiarono. Fu una lunga fase di passaggio di cui Fumagalli va fiero come se quelle conquiste faticose valessero una vita intera. La sua. "I primi tempi se andava bene eravamo assistenti volontari di detenuti per furto, niente di più: toccava al cappellano, il bravo don Giorgio, gestire tutto. C’è voluto molto lavoro e impegno per guadagnare considerazione e sostituire in qualche modo la figura del cappellano, a parte nella cura dell’anima". La svolta avviene nel 1986 con la Legge Gozzini, che punta sulla funzione rieducativa del carcere e favorisce la smilitarizzazione interna: dall’imperativo primario del controllo si passa ad approfondire la conoscenza e il contatto. Fumagalli segue le rivolte, vive gli anni del terrorismo quando "i raggi erano gestiti più dai detenuti che dalla polizia". Ricorda la lunga direzione "illuminata" di Luigi Pagano e il lento riconoscimento del ruolo educativo, che sarebbe diventato centrale per l’equilibrio del carcere: corsi vari di formazione, attività di intrattenimento, arte e terapie, biblioteca... E soprattutto una parola chiave: mediazione, che nasce dal dialogo. "Venivamo quasi tutti da storie personali di sinistra: per noi il detenuto era buono e il poliziotto cattivo. Pensa che bischerata!". Ride, Gianni. Sorride pensando a come l’esperienza l’ha cambiato: "Ci sentivamo superiori agli altri, specialmente alla polizia... Col tempo ho imparato che contano le sfumature tra il bene e il male, l’accettazione, il rispetto dell’altro, la disponibilità all’ascolto senza preconcetti, e senza mai forzature... Qui da noi ci sono detenuti che entrano dalla libertà, gente che non ha mai sperimentato il carcere: il che significa che hanno interrotto ogni legame affettivo e familiare e devono superare lo scoglio di questa realtà nuova". Fumagalli conosce bene i suoi compiti: dare informazioni utili sulla vita quotidiana, tutelare la salute dei carcerati, non aggiungere ulteriori sofferenze alla reclusione, favorire i rapporti con i familiari, dare sostegno nel prefigurare un futuro "fuori". "Il lavoro d’equipe - dice Gianni - un tempo non esisteva, oggi invece su un caso ci si scambia informazioni, affrontandolo in gruppo da più punti di vista". Non tutto è sempre andato per il verso giusto, naturalmente. Gianni ricorda la delusione quando attorno al ’90 aveva avviato un percorso di responsabilità con il tossicodipendente Franco: ne era nato un rapporto stretto di fiducia reciproca, di amicizia. "Mi giurò che una volta fuori non sarebbe ricaduto nell’errore e io ne ero sicuro. Dopo qualche anno l’ho rivisto in carcere... È stata una botta al cuore". Racconta del giorno in cui dovette togliere il bambino a una madre per consegnarlo a una comunità: "Quella donna ebbe una reazione bestiale, struggente. Il fatto è che a volte devi vincere una parte di te che dice che quel che stai facendo, cioè seguire la regola, è assurdo. Devi mediare tra i tuoi sentimenti e un mondo di contraddizioni, il che significa masticare parecchio amaro. Ma questa è la mia vita, non potrei fare altro che incontrare, conoscere e favorire l’incontro... I primi anni dicevo: appena posso, scappo da qui e così mi salvo. Oggi farei di tutto per non andarmene". Viterbo: Sappe; rissa in carcere con 12 feriti è frutto delle politiche sbagliate del Dap Ristretti Orizzonti, 3 gennaio 2014 "La mega rissa di ieri nel Reparto penale D2 del carcere di Viterbo, tra detenuti italiani e romeni, conferma che i tenere i detenuti a non far nulla, anche nei momenti previsti di socialità, può essere grave e pericoloso. Il bilancio di 12 detenuti in ospedale, feriti da coltellate, lamette, punteruoli ed arnesi artigianali deve fare seriamente riflettere anche sulle pericolose condizioni di lavoro dei poliziotti penitenziari, che ogni giorno di più rischiano la propria vita nelle incendiarie celle delle carceri italiane". È quanto dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria (Sappe). "Altro che vigilanza dinamica. Al superamento del concetto dello spazio di perimetrazione della cella e alla maggiore apertura per i detenuti deve associarsi la necessità che questi svolgano attività lavorativa e che il Personale di Polizia penitenziaria sia esentato da responsabilità derivanti da un servizio svolto in modo dinamico, che vuol dire porre in capo ad un solo poliziotto quello che oggi lo fanno quattro o più Agenti, a tutto discapito della sicurezza". "La situazione penitenziaria è sempre più incandescente e rincorrere la vigilanza dinamica ed i patti di responsabilità con i detenuti, come vorrebbe il Dap, è una chimera: cosa dovrebbero fare tutto il giorno i detenuti, girare a vuoto nelle sezioni e nei padiglioni detentivi?", conclude Capece. "In carcere quello che manca è il lavoro, che dovrebbe coinvolgere tutti i detenuti dando quindi anche un senso alla pena ed invece la stragrande maggioranza dei ristretti sta in cella 20 ore al giorno, nell’ozio assoluto. E farli stare fuori dalle celle 12 ore al giorno senza fare nulla non risolve i problemi, anzi! Le idee e i progetti che il Capo del Dap Tamburino si ostina a propinare risponde alla solita logica "discendente" che "scarica" sui livelli più bassi di governance tutte le responsabilità, tenuto conto, a titolo esemplificativo ma significativo, che la vigilanza dinamica, ritenuta congeniale al nuovo modello, mal si concilia con il regime di vigilanza intensificata nei confronti di quei detenuti ritenuti ad esempio a rischio di suicidio. Il Sappe, pertanto, è disposto a sedersi ad un tavolo per discutere possibili soluzioni per mitigare gli effetti negativi del sovraffollamento, purché i vari progetti regionali sui circuiti penitenziari siano ratificati dai vertici del Dap e dalla competente Magistratura di Sorveglianza mediante l’apposizione in calce delle rispettive firme, che diano vita, questo sì, ad un "patto di responsabilità", o meglio di corresponsabilità davanti ad ogni Autorità Giudiziaria, tra il livello di amministrazione centrale, regionale e periferico". Indagini per capire la provenienza dei coltelli È stata avviata un’indagine interna; a breve i detenuti saranno interrogati. Cosa ci facevano coltelli e oggetti contundenti nell’area di socialità del carcere di Mammagialla? Ad accertarlo saranno le forze dell’ordine chiamate ad occuparsi della maxirissa avvenuta mercoledì scorso, il 1° gennaio, tra due fazioni opposte di detenuti: italiani e romeni. Che si sarebbero presi a coltellate per motivi di supremazia e dominio all’interno del penitenziario. Tre i detenuti rimasti feriti in maniera gravissima, ma non in pericolo di vita e condotti all’ospedale Belcolle; poi, nel corso del pomeriggio anche un altro - sulle prime ricoverato con codice giallo insieme ad altre sei persone - era peggiorato. Gli ultimi, due invece, sono stati dimessi già mercoledì e ricondotti a Mammagialla. Adesso è partita un’indagine interna anche e soprattutto per accertare la provenienza dei coltelli e di altri oggetti contundenti rinvenuti dopo la violenza zuffa nella sala di socialità. I detenuti coinvolti saranno interrogati non appena le loro condizioni di salute lo consentiranno. Cosenza: visita ispettiva alla Casa circondariale, Radicali e Pd monitoreranno gli istituti Ristretti Orizzonti, 3 gennaio 2014 Si è svolta questa mattina presso la Casa Circondariale di Cosenza una visita ispettiva a sorpresa volta a verificare le condizioni di detenzione ed il trattamento riservato ai cittadini detenuti. L’ispezione, durata circa tre ore, è stata effettuata dall’Onorevole Enza Bruno Bossio, Deputato del Partito Democratico, che è stata accompagnata dagli esponenti Radicali Emilio Quintieri e Sabatino Savaglio. La delegazione è stata guidata dal Direttore del Carcere Filiberto Benevento e dal Comandante della Polizia Penitenziaria, il Vice Commissario Pietro Davide Romano. Nella Casa Circondariale di Cosenza, costruita nel 1948, consegnata nel 1982 e ristrutturata negli anni 2005/2006, a fronte di una capienza regolamentare di 209 posti sono rinchiusi 294 detenuti dei quali 197 appartenenti al circuito della Media Sicurezza e 97 a quelli dell’Alta Sicurezza. Tra questi, quelli condannati definitivamente sono 149 mentre quelli in attesa di giudizio sono 145 (81 imputati, 39 appellanti e 25 ricorrenti). I detenuti stranieri sono appena 25; 2 sono i detenuti semiliberi che lavorano all’esterno per conto di privati, 4 sono stati ammessi al lavoro esterno alle dipendenze dell’Istituto Penitenziario, 13 sono i "permessanti" di cui 2 appartenenti al circuito dell’Alta Sicurezza. Purtroppo solo 39 sono i ristretti che riescono a lavorare all’interno del Carcere alle dirette dipendenze dell’Amministrazione Penitenziaria. Dal 2010 ad oggi sono 105 i detenuti che sono stati scarcerati grazie alla Legge "svuota carceri" (350 in tutta la Calabria). Il numero degli Agenti di Polizia Penitenziaria è sottodimensionato : 160 sono quelli effettivamente in servizio contro i 198 previsti nella pianta organica. Carenti anche gli Educatori e gli Psicologi. Buona invece l’assistenza medico sanitaria. 25 sono i Sanitari in servizio presso la Casa Circondariale coadiuvati da 11 Infermieri, attivi sia di giorno che di notte. 12 sono i Medici Specialisti (Cardiologia, Chirurgia, Dermatologia, Ecografia, Radiologia, Infettivologia, Oculistica, Odontoiatria, Otorinolaringoiatria, Ortopedia, Psichiatria) e 12 i Medici di Guardia. Dallo scorso mese di ottobre è stata attivata la "sorveglianza dinamica" nei Reparti di Media Sicurezza che consente ai detenuti di trascorrere 8 ore fuori dalle celle le cui condizioni generali sono abbastanza buone. Non è stato segnalato alcun abuso ai danni dei detenuti da parte degli Agenti di Polizia Penitenziaria. Pochissime anche le aggressioni contro questi ultimi (4 nel 2013, 0 nel 2012). Un fatto importante da tenere in considerazione è che nell’Istituto di Cosenza non si verificano suicidi sin dall’anno 2006. Anche gli atti di autolesionismo sono ridotti ai minimi termini (15 nel 2013, 39 nel 2012). Nella Casa Circondariale di Cosenza i detenuti, eccetto quelli dell’Alta Sicurezza che hanno il divieto di incontrarsi con quelli "comuni", hanno la possibilità di frequentare la Scuola Elementare, Media e Superiore (Alberghiero) e, in virtù di una convenzione stipulata dalla Direzione dell’Istituto con l’Università della Calabria, frequentare e sostenere anche gli studi universitari. Una delle criticità riscontrate è la chiusura della Palestra a causa dell’assenza di un Istruttore che potrebbe mettere a disposizione il Comitato Provinciale del Coni. In merito i Parlamentari hanno garantito il loro impegno per chiedere al Coni di accogliere, per quanto possibile, la richiesta già da tempo avanzata dalla Direzione del Carcere. Per gli altri problemi accertati (sovraffollamento, carenza di personale, impossibilità di frequentare la scuola per i detenuti As, etc.) l’Onorevole Enza Bruno Bossio nei prossimi giorni presenterà una dettagliata Interrogazione al Governo. L’iniziativa promossa dai Radicali ed organizzata unitamente al Partito Democratico, come annunciato, proseguirà negli altri Istituti Penitenziari della Calabria. Ascoli Piceno: Dap, falsa notizia del libro vietato a boss detenuto, non l’ha mai chiesto Ansa, 3 gennaio 2014 Il boss Davide Emmanuello, detenuto in regime di 41 bis nel carcere di Marino del Tronto (Ascoli Piceno), non ha mai chiesto in lettura il libro "Il nome della rosa" di Umberto Eco, come hanno fatto invece, ottenendolo, altri carcerati sottoposti allo stesso tipo di detenzione. Lo precisa il Provveditorato regionale amministrazione penitenziaria delle Marche, replicando alle accuse lanciate sul blog "Le urla del silenzio" da un altro detenuto, Pasquale De Feo, secondo cui il diniego del carcere, esteso anche al quotidiano "Il Manifesto", era di natura politica. De Feo aveva scritto alla direttrice del quotidiano Norma Rangeri sostenendo che l’area educativa del penitenziario ascolano aveva impedito al boss di leggere il libro "perché ritenuto pericoloso" e il quotidiano ricevuto in abbonamento. "Credo - suggeriva De Feo a questo proposito - che il motivo sia tutto nell’orientamento politico; nel sistema penitenziario non adorano tutto ciò che si volge a sinistra". Secondo il Dap, invece, il problema, per quel che riguarda "Il Manifesto", è di carattere tecnico: i detenuti in regime di 41 bis, possono avere i quotidiani e acquistarli ma non possono riceverli, per motivi di sicurezza, con l’intestazione a proprio nome, ma con quella della direzione del carcere, che poi provvede a recapitarli all’interessato. Letture "proibite". Il Dap: problema tecnico (Il Manifesto) Un "problema tecnico". Per questo motivo il boss Davide Emmanuello, detenuto in regime di 41 bis nel supercarcere di Ascoli Piceno, non riesce a ricevere "il manifesto", quotidiano che gli viene spedito grazie a un abbonamento gratuito. Il Dap ha precisato, infatti, che chi è sottoposto al "carcere duro" può leggere e acquistare giornali e riviste ma non può riceverli, "per motivi di sicurezza", con l’intestazione a proprio nome, ma solo con quella della direzione del carcere, che poi provvede a recapitarli all’interessato. Per quello che riguarda, invece, la lettura de "Il nome della rosa" di Umberto Eco, il Provveditorato regionale all’amministrazione penitenziaria delle Marche smentisce che Emmanuello ne abbia mai fatto richiesta, "come hanno fatto, ottenendolo, altri carcerati sottoposti allo stesso tipo di detenzione". Il caso era stato denunciato da un altro detenuto ad Ascoli, Pasquale De Feo, con una lettera indirizzata alla direttrice del "manifesto" Norma Rangeri e rilanciata dal blog "Le Urla dal Silenzio ". Tra rimandi a Gramsci - che poteva avere "quattro libri in cella e leggere quello che voleva in biblioteca" - e sdegno per "il regime di tortura 41 bis", De Feo sosteneva che i due dinieghi fossero di natura politica: "Nel sistema penitenziario non adorano tutto ciò che si volge a sinistra", lanciando accuse al personale dell’area educativa della prigione ascolana, che riterrebbe il romanzo di Eco "pericoloso". In realtà, è il 41 bis in sé che vieta ai detenuti, in base alla loro "pericolosità sociale", l’accesso a determinati volumi (come quelli con la copertina rigida, o quelli in qualche modo segnati) o ad alcuni quotidiani locali. Questo "per evitare comunicazioni con l’esterno", eventuali ritorsioni ed "altri episodi spiacevoli già accaduti in passato". Aosta: auguri ai detenuti di Brissogne dal Garante regionale Enrico Formento Dojot Ansa, 3 gennaio 2014 Il Garante dei diritti delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale della Valle d’Aosta, Enrico Formento Dojot, ha formulato ai detenuti della Casa Circondariale di Brissogne gli auguri per il nuovo anno. "Un futuro migliore, in vista della libertà, si può costruire già all’interno di una Casa Circondariale, dove sono presenti valori importanti, quali la solidarietà e la vicinanza morale tra i ristretti. Sono valori fondamentali, che devono permeare la società civile, soprattutto in tempi di difficoltà. John Fitzgerald Kennedy sosteneva che non bisogna perdere l’occasione di una crisi per rinascere. Abbiamo vissuto periodi in cui l’uomo ha messo al primo posto l’avere, l’ostentare; è il momento di riscoprire l’essere, le potenzialità di ognuno di noi, messe al servizio dei nostri simili. A Voi che vivete in una condizione di restrizione e quindi di privazione possono sembrare solo parole ma vi invito ad una riflessione, perché il momento dell’agognata uscita dal carcere e del ritorno alla vita civile avrà una prospettiva diversa e positiva, se l’esperienza detentiva vi lascerà, in luogo di una pur comprensibile amarezza, il ricordo dei tanti esempi di aiuto reciproco con gli altri compagni di cella. Sarà la linfa vitale per ricominciare. Auguro a Voi e alle Vostre Famiglie un sincero e sereno 2014". L’Aquila: applicato il braccialetto elettronico a un detenuto, primo caso in Abruzzo Il Centro, 3 gennaio 2014 Con la fine dell’anno si vedono i primi effetti del decreto legge che ha previsto l’uso di sistemi di controllo elettronici a persone sottoposte a misura cautelare in sostituzione del carcere. Infatti, come si legge in un comunicato della Questura, è stato modificato l’articolo che prevedeva, ma in via eccezionale, la possibilità di effettuare controlli mediante strumenti elettronici di persone sottoposte ad arresti domiciliari nel caso che il sospettato dia il consenso. In virtù di questa norma un paio di giorni fa è stato istituito dalla Questura dell’Aquila, come primo caso in Abruzzo, l’uso del braccialetto elettronico per uno straniero responsabile di spaccio di droga. L’uomo, dunque, dovrà scontare il residuo periodo di custodia cautelare agli arresti domiciliari ma con una sorveglianza speciale data, appunto, dal braccialetto elettronico. Il sistema prevede che, anche nel caso in cui il detenuto esca fuori dall’abitazione, il braccialetto trasmetta un segnale alla sala operativa della Questura dell’Aquila che attiva immediatamente le ricerche della persona evasa. L’impressione è che nelle prossime settimane ci saranno diversi provvedimenti simili in tutta la regione soprattutto in vista dell’intenzione di togliere dalle carcere della regione, quasi tutti sovraffollati, più detenuti possibile. Il provvedimento dovrebbe riguardare soprattutto coloro che sono in custodia cautelare e che, dunque, sono in attesa di giudizio. È chiaro che chiunque dovesse trasgredire quanto previsto dalle disposizioni sul braccialetto rischia l’incriminazione per il reato di evasione con possibile rientro in cella. Napoli: a Nola raccolta benefica per i detenuti alla Parrocchia "Immacolata" di Mauro Romano Ristretti Orizzonti, 3 gennaio 2014 È in corso presso la Parrocchia "Immacolata" della popolosa frazione di Nola, una raccolta di materiale da destinare ai reclusi meno abbienti del carcere di Poggioreale (Na). Intendiamo abbigliamento intimo (pigiama, magliette, mutande, calzini, etc.), oggetti di pulizia della persona quali dentifrici, spazzolini per denti, sapone, sciampo, infradito e altra roba del genere, da portare domenica e lunedì prossimi, 5 e 6 gennaio 2014, e deporre di fianco all’altare della nuova Chiesa, per una "Befana" di alto contenuto umanitario e di solidarietà. Ideatore dell’iniziativa Tonino Caliendo, che ha avuto subito l’approvazione di don Salvatore Luminelli, parroco del nuovo complesso socio/religioso che, ad appena cinque mesi dalla sua inaugurazione - 27.07.2013 - sta diventando sempre di più luogo di incontro, non solo per le ordinarie funzioni religiose, ma anche per i continui eventi a carattere artistico/socio/culturali tendenti all’aggregazione, promossi principalmente dagli istituti scolastici presenti sul territorio, dalle variegate associazioni e così via, ravvivando lo splendido auditorium, che lo stesso sindaco bruniano, Geremia Biancardi, in uno dei suoi interventi, ricordava unico su tutto il territorio comunale. Maggiormente, quanto raccolto, sarà devoluto a sedici detenuti, dai 18 ai 60 anni, che non molto tempo fa, hanno ricevuto per la prima volta nella loro vita, la "Prima Comunione", eccezionalmente dalle mani del cardinale Crescenzio Sepe". E, in questa encomiabile occasione di Fede, è entrato in gioco l’instancabile Tonino Caliendo, in quanto, da diverso tempo, per una volta a settimana, il nostro compaesano si è recato al carcere napoletano di Poggioreale, per fare catechesi ai reclusi interessati. E il risultato è stato "miracoloso", in quanto, i rinchiusi che per un motivo o un altro non erano stati indirizzati sinora al Sacramento, poiché "cittadini" che hanno sempre vissuto in famiglie scombinate e in luoghi poveri, spesso malfamati … ne hanno avvertito l’esigenza a seguito delle lezioni religiose impartite dal Caliendo, il quale ce ne parla con entusiasmo. "Confesso che lo stare a contatto con questa gente che ha quasi sempre vissuto ai margini della società, e vederli così attenti, propositivi, entusiasti di avvicinarsi alle "Cose di Dio", mi ha dato - e continua a darmi, perché questa mia esperienza non si è certa conclusa - tante soddisfazioni e tanta gioia. La stessa gioia che leggevo ogni volta negli occhi di ognuno che si avvicinava alla Fede, fino a quel momento loro preclusa, solo perché avevano avuto la sventura di crescere in ambienti che, evidentemente, non si ponevano proprio il problema, stante le loro condizioni di vita disdicevoli, e collegati ai margini della società civile, non per colpa loro". "Ed è così che, senza sforzo, ma trascinati dal sentimento religioso - prosegue il nostro Tonino - sedici di loro hanno deciso di ricevere la "Prima Comunione", niente poco di meno che dal cardinale Crescenzio Sepe, anch’egli entusiasta di quanto avvenuto. E sarebbe difficile dire a parole le sensazioni che io, personalmente, ho provato in tutto questo tempo, ma soprattutto quando questi hanno ricevuto "l’Ostia Sacra".. Ciò che mi è comunque rimasto impresso nella mente è il pianto a dirotto di uno di loro, che mi ha confessato di piangere di gioia per la prima volta nella sua vita, costellata da tante sventure!". Anche il parroco don Salvatore Luminelli motiva l’iniziativa di voler assicurare una speciale "Befana" ai detenuti, con concetti chiari e con estremo realismo. "In carcere vi sono detenuti di serie A, di serie B ed altri che sono fuori da qualsiasi schema", ha ammonito dall’altare il sacerdote piazzollese invitando i fedeli a compiere questo gesto umanitario che a loro costerebbe pochi euro, mentre per chi lo riceve assume importanza vitale. "Quindi - ha proseguito - in prigione c’è gente che può permettersi champagne ogni giorno; altri hanno condizioni agiate o per ricchezze di famiglia o per il maltolto; altri, quelli che hanno vissuto sempre ai margini della società, in condizioni precarie, drammatiche, di stenti … continuano a perpetrare la loro situazione anche in carcere, dove spesso sono rinchiusi, magari, per aver commesso reati futili, probabilmente legati a motivi di sopravvivenza. Vogliamo abbandonarli questi ultimi??? Non credo sia giusto! Anzi, tutti questi "Ultimi", e specialmente coloro che hanno scelto la via di Dio, ricevendo la "Prima Comunione" anche se in età avanzata, non devono sentirsi ancora più emarginati. E in questo, un nostro piccolo dono sarà per loro un grande regalo e servirà a non farli sentire abbandonati dal prossimo e che, una volta fuori, scontata la propria pena, li aiuterà a riprendere con fiducia il cammino nella società, non ripetendo gli sbagli che li hanno condotto in carcere". L’invito è quello di non restare sordi, insensibili, alla lodevole iniziativa, ma di provvedere, ciascuno nella misura in cui meglio crede, a regalare anche un piccolo oggetto che a questi sfortunati servirà tanto! Immigrazione: Garante detenuti dell’Emilia Romagna; doverosa chiusura del Cie di Modena Ansa, 3 gennaio 2014 "La chiusura del Centro di Identificazione ed Espulsione di Modena ad opera del Ministero degli Interni è un fatto positivo e costituisce la presa d’atto di una situazione non più sostenibile per le persone trattenute e per coloro che vi lavoravano". Lo afferma la Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale, Desi Bruno. "Le condizioni di degrado e di violazione dei diritti umani all’interno del Cie in questione - aggiunge - in particolare dopo l’assegnazione all’ultimo ente gestore a seguito di una gara al massimo ribasso con base d’asta fissata in 30 euro pro-capite, che ha provocato un netto peggioramento del clima all’interno, con incremento degli atti di autolesionismo e aumento della conflittualità, impongono, ha rilevato la Garante, una riflessione, che è in atto, sul tema dei migranti e sulla funzione e utilità di questi Centri". "Nei Cie, prima denominati Cpt (Centri di Permanenza Temporanea), sono ristrette le persone straniere - ricorda Desi Bruno - destinate all’allontanamento dallo Stato italiano e le persone subiscono una restrizione della libertà personale che può raggiungere i 18 mesi ex lege n. 129/2011, non per effetto della commissione di reati, come stabilisce l’art. 13 Cost., che sancisce l’inviolabilità della libertà personale e i casi in cui la persona può esserne privata, ma per la mera irregolare presenza sul territorio, qualunque sia la causa pregressa che ha determinato tale irregolarità. Si tratta di una condizione di privazione difficilmente accettata dalle persone che la subiscono, sia che provengano dal carcere, e che quindi abbiano già scontato la pena inflitta per i reati eventualmente commessi, sia per le persone che sono al Cie per non essere muniti di permesso di soggiorno o perché lo stesso è scaduto e non è stato più rinnovato (anche solo per la perdita di un lavoro). A ciò si accompagna quasi sempre il fallimento del progetto migratorio che aveva accompagnato l’abbandono del paese d’origine, con tutto ciò che comporta di drammatico il dover ritornare indietro". Allora "è doverosa" - sottolinea la Garante - la chiusura del Cie di Modena "se a queste persone non si riesce ad assicurare un trattamento umano e rispettoso della dignità (cibo, vestiario, assistenza medica e psicologica, mediazione culturale), come prevede la legge, ma è utile chiedersi quale sia l’utilità di Centri che non sono comunque in grado di espellere una quota infinitesimale di stranieri irregolari rispetto ai numeri complessivi (e nonostante il Cie di Modena avesse la percentuale più alta di espulsioni a livello nazionale), che necessitano di importanti risorse destinate spesso ad improbabili enti di gestione, che sottraggono forze dell’ordine al territorio. Bisogna allora lavorare su altri fronti, come il rimpatrio assistito, la corretta identificazione delle persone da espellere in carcere, come prevede l’ultimo decreto Cancellieri, espulsioni che si realizzano se ed in quanto esistano e siano operanti gli accordi di riammissione con i paesi interessati, ma soprattutto bisogna ripensare il meccanismo di ingresso previsto dalla legge Bossi-Fini, che condanna alla clandestinità e quindi al trattenimento ai Cie nonché dare piena attuazione alla Direttiva Ue 115/2008". "Sarebbe adesso ragionevole - conclude la Garante - che la struttura, per la vicinanza al carcere, fosse utilizzata per favorire l’accesso a misure alternative mediante la creazione di alloggi o impiegata per attività lavorative". Israele: bambini palestinesi torturati, per mesi rinchiusi in gabbie all’aperto di Dario Ferri www.giornalettismo.com, 3 gennaio 2014 Il governo israeliano tortura i bambini palestinesi e li tiene per mesi rinchiusi in gabbie all’aperto, anche durante l’inverno. È la denuncia choc del Public Committee Against Torture in Israel (Pcati), organizzazione israeliana indipendente per la difesa dei diritti umani nata nel 1990 e continuamente attiva nel paese nella lotta per il rispetto del diritto internazionale e nella realizzazione di campagne di sensibilizzazione. Secondo un rapporto del Pcati bambini sospettati di reati minori in Israele vengono sottoposti ad "ingabbiamento pubblico", a minacce, a violenza sessuale e processi militari senza rappresentanza. Il documento degli attivisti per i diritti umani in particolare riporta di alcune visite compiute dai legali del Public Defender’s Office (Pdo) israeliano in alcuni centri di detenzione. Sul proprio sito web il Dpo ha raccontato che alcuni detenuti hanno raccontato ai funzionari di reclusi trasferiti in gabbie esterne anche in piano inverno, una procedura che, a quanto si apprende, sarebbe durata diversi mesi. Nel suo rapporto il comitato israeliano contro la tortura dunque definisce la pratica emersa come un gravissimo "atto di abuso" e giudica insufficiente l’interessamento al caso del ministro della giustizia Tzipi Livni. Il documento degli attivisti afferma innanzitutto che la tortura, come descritto nel protocollo di Istanbul, è un mezzo per attaccare il "funzionamento psicologico e sociale delle persone" e che la tortura può influire direttamente o indirettamente su un bambino, ad esempio quando ne è vittime e quando ne è semplice testimone. Poi il Pcati ricorda che "la maggior parte dei detenuti minorenni in Israele vengono accusati del lancio di pietre" e che "nel 74% dei casi essi sono vittima di violenza fisica durante l’arresto, il trasferimento e l’interrogatorio". Gli attivisti, infine, sottolineano che Israele è l’unico paese che giudica sistematicamente i bambini nei tribunali militari. Egitto: al via il 28 gennaio processo a ex presidente Morsi per fuga dal carcere nel 2011 Adnkronos, 3 gennaio 2014 È stata fissata per il 28 gennaio la prima udienza del processo al deposto presidente egiziano Mohammed Morsi che lo vede accusato di aver organizzato un’evasione dal carcere di Wadi El-Natroun al Cairo durante la rivoluzione del 25 gennaio 2011 contro il regime di Hosni Mubarak. Insieme a Morsi evasero altri 30 detenuti, mentre oltre 20mila fuggirono da altri carceri dell’Egitto, tra cui membri del movimento libanese di Hezbollah e militanti palestinesi di Hamas. Insieme ad altri 132 coimputati, Morsi è accusato di evasione, attacco al carcere e omicidio di agenti il 28 gennaio 2011. Morsi sta affrontando tre processi con varie accuse, tra cui quella di aver fomentato l’uccisione di manifestanti di fronte al palazzo presidenziale a dicembre 2012 e di aver condotto attività di spionaggio a favore dei palestinesi di Hamas. Arabia Saudita: 3 mesi di carcere e 80 frustate per insulti a cantante su twitter Aki, 3 gennaio 2014 Tre mesi di carcere e 80 frustate è la condanna emessa da un tribunale saudita nei confronti di un uomo accusato di aver diffamato una cantante kuwaitiana, accusandola di adulterio su Twitter. Fan di una star "rivale", l’uomo è stato condannato per aver "accusato (la cantante kuwaitiana, ndr) Shams di adulterio senza fornire prove", si legge sul sito Saudi Sabq. La sentenza è stata emessa in base a quanto prevede la Sharia, la legge islamica, che prevede la fustigazione per chi accusa un altro di aver avuto rapporti sessuali fuori dal matrimonio senza fornire prove. Oltre alle frustate e al carcere, l’uomo dovrà pagare una multa di 10mila rial, pari a 2.700 dollari.