Giustizia: Italia al top per ricorsi a Corte Strasburgo, salita da terzo a secondo posto, dietro a Russia Ansa, 31 gennaio 2014 Nel 2013 l’Italia è risultata seconda solo alla Russia per il numero di cause pendenti, ben 14.400, davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo. Nel 2012 era risultata al terzo posto alle spalle di Mosca e della Turchia. È quanto emerge dal rapporto annuale della Corte reso noto oggi. Dietro l’ascesa dell’Italia nella "top ten" dei Paesi con più ricorsi pendenti alla Corte di Strasburgo c’è l’incapacità di ridurre il contenzioso, diversamente da quanto fatto da altri Paesi, attraverso l’introduzione nell’ordinamento nazionale di norme che risolvano alla radice i problemi - come il sovraffollamento delle carceri o i tempi eccessivi della giustizia - alla base delle azioni legali avviate a Strasburgo. La Russia, per esempio, grazie alle misure prese è passata in un anno da 28.600 a 16.800 ricorsi pendenti, quelli della Turchia sono diminuiti di quasi 6.000 unità e la Polonia, che alla fine del 2012 aveva 3 mila ricorsi pendenti, in un anno è riuscita a uscire dalla "top ten" dei Paesi peggiori. Tuttavia, l’Italia ha comunque fatto registrare una tendenza positiva per quanto riguarda l’aumento dei ricorsi registrato su base annua. Per la prima volta dal 2008, il loro numero è cresciuto ‘solò di 200 unità, passando dai 14.200 della fine del 2012 ai 14.400 della fine del 2013. Nel 2012, rispetto al 2011, i ricorsi italiani pendenti erano risultati invece essere 450 in più mentre tra il 2008 e il 2010 erano aumentati al ritmo di 3mila ogni anno. Dietro l’ascesa dell’Italia nella "top ten" dei Paesi con più ricorsi pendenti alla Corte di Strasburgo c’è l’incapacità di ridurre il contenzioso, diversamente da quanto fatto da altri Paesi, attraverso l’introduzione nell’ordinamento nazionale di norme che risolvano alla radice i problemi - come il sovraffollamento delle carceri o i tempi eccessivi della giustizia - alla base delle azioni legali avviate a Strasburgo. La Russia, per esempio, grazie alle misure prese è passata in un anno da 28.600 a 16.800 ricorsi pendenti, quelli della Turchia sono diminuiti di quasi 6.000 unità e la Polonia, che alla fine del 2012 aveva 3 mila ricorsi pendenti, in un anno è riuscita a uscire dalla "top ten" dei Paesi peggiori. Tuttavia, l’Italia ha comunque fatto registrare una tendenza positiva per quanto riguarda l’aumento dei ricorsi registrato su base annua. Per la prima volta dal 2008, il loro numero è cresciuto "solo" di 200 unità, passando dai 14.200 della fine del 2012 ai 14.400 della fine del 2013. Nel 2012, rispetto al 2011, i ricorsi italiani pendenti erano risultati invece essere 450 in più mentre tra il 2008 e il 2010 erano aumentati al ritmo di 3mila ogni anno. Giustizia: Eurispes; italiani contro indulto e legalizzazione droghe leggere, sì ad abolizione Bossi-Fini Tm News, 31 gennaio 2014 Abolire la Bossi-Fini, ma niente indulto o amnistia, bene legalizzare la prostituzione, ma non le droghe leggere, via le province, ma non si tocchino le regioni, e sì alla responsabilità civile dei magistrati: gli italiani fotografati dal Rapporto Italia 2014 dell’Eurispes hanno le idee chiare su molti dei temi più dibattuti a livello politico. L’abolizione della legge Bossi-Fini e la conseguente riformulazione di una legge sull’immigrazione insieme alla revisione della legge elettorale rappresentano delle emergenze non più rinviabili per l’opinione pubblica (71,9% e 83,4%). Se una nuova legge sull’immigrazione trova un accordo diffuso tra i cittadini, si rileva invece un alto numero di contrari a proposte di interventi di riforma in tema di amnistia (77,3% contro il 20,7% dei favorevoli) e indulto (71,8% contro il 26,1% dei favorevoli). La legalizzazione della prostituzione accoglie il consenso del 54,5% dei cittadini, mentre i contrari sono il 43,8%. In maniera simile ma inversa, riguardo alla possibilità di introdurre una norma che legalizzi le droghe leggere i favorevoli non superano la metà degli intervistati (40,3%) mentre i contrari rappresentano la maggioranza (58,1%). L’indagine realizzata dell’Eurispes ha rilevato quest’anno un orientamento degli italiani ancora più netto per quanto riguarda l’abolizione delle Province: se i favorevoli erano nel 2011 il 46,6%, a tre anni di distanza si evidenzia un aumento significativo di quanti, oggi a larga maggioranza, approvano la riforma (61,5%). A differenza del giudizio registrato per le Province, la maggioranza dei cittadini (59,3%) ha manifestato la propria contrarietà ad eliminare le Regioni, il 27,8% si è detto favorevole, mentre il 12,9% non si esprime al riguardo. Per quanto riguarda la fiducia nei magistrati, la maggioranza dei cittadini ammette l’esistenza di un condizionamento delle idee politiche dei magistrati nel loro operato: il 41,6% lo riconosce per l’intera categoria, mentre il 33,6% soltanto per alcuni magistrati. Solo il 20,2% ritiene che i magistrati non siano influenzati politicamente. E la larga parte dei cittadini ritiene necessario introdurre nel nostro ordinamento una legge sulla responsabilità civile dei magistrati. La pensa in questo modo il 65,2% a fronte del solo 18,3% che si dichiara contrario. Giustizia: intervista a Emilio Santoro (L’Altro Diritto); sì a svuota-carceri, ma servono altri interventi di Andrea Lattanzi www.notizie.tiscali.it, 31 gennaio 2014 Il decreto legge 146 del 23 dicembre scorso, lo svuota carceri a firma del ministro della Giustizia Cancellieri, potrebbe effettivamente aiutare l’Italia a evitare la pesante sanzione che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha minacciato di comminare al paese, se entro maggio i metri quadrati a disposizione dei singoli detenuti dovessero essere inferiori ai quattro. Lo afferma Emilio Santoro, docente di Filosofia e Sociologia del Diritto all’Università di Firenze ed esperto di sistema carcerario. Ma attenzione a gridare "vittoria". I problemi delle carceri, infatti, son ben altri ed andrebbero risolti con riforme ben più incisive e strutturali. Abuso della detenzione e della custodia cautelare in primis, ma anche cronica difficoltà di reinserimento dei detenuti nella società, con tagli sempre più pesanti al mantenimento, assistenza, rieducazione e trasporto dei detenuti. Sovrappopolamento: entro maggio sotto soglia limite Grazie all’articolo 4 del decreto e a un aumento dei posti disponibili stimato attorno alle 4.500 unità, si dovrebbe arrivare - anche se non tutte le previsioni sono concordi - a una riduzione del gap fra posti disponibili e detenuti effettivi al di sotto dei 10.000 detenuti, con la popolazione complessiva che da 64.047 individui (rilevazione del 30.11.2013) dovrebbe arrivare attorno a quota 55.000. L’articolo 4, che aumenta i premi di buona condotta da 45 a 75 giorni per semestre di detenzione (ai condannati che, a decorrere dal 1° gennaio 2010, abbiano già usufruito della liberazione anticipata), è definito da Santoro come un "indultino" in un provvedimento di per sé "confusionario" che non risolve almeno due delle problematiche basilari delle carceri. Troppe pene detentive e abuso di custodia cautelare. Così scoppiano le carceri "Mandiamo troppa gente in galera" - dice Santoro. Confrontando infatti dati di paesi a noi equiparabili, come Inghilterra, Francia e Germania, si nota che mentre in Italia vi sono "tre persone in carcere per ogni condannato che sconta la pena fuori con misure alternative", negli altri paesi "per ogni detenuto" ce ne sono tre che scontano la pena con "misure alternative". In Italia perciò il rapporto è invertito. Analogo è il discorso per l’utilizzo della custodia cautelare di coloro che sono in attesa di sentenza definitiva. Negli altri paesi questi sono il 20% dei detenuti, in Italia "siamo attorno al 40%". Agendo su questi due fattori la popolazione carceraria potrebbe più che dimezzare, attestandosi attorno alle 30.000 unità. Il carcere di Sollicciano e "L’Altro diritto" In Toscana abbiamo circa 4000 detenuti, dei quali più di mille occupano il carcere di Sollicciano, dove il sovrappopolamento è arrivato a picchi del 189% (dato Fondazione Michelucci). Nelle parole di Santoro, dati demografici alla mano, Sollicciano è "il più grande ospedale psichiatrico della Toscana, il più grande albergo popolare, la più grande comunità per tossico-dipendenti e il più grande centro di identificazione per immigrati clandestini". Il docente è direttore e fondatore dell’associazione L’Altro diritto, che si occupa di consulenza giuridica ai detenuti in carcere e nella quale sono impiegati nella sola Firenze una quarantina di volontari, per lo più studenti. Il carcere la prima volta I ragazzi de L’Altro diritto, riunendosi una volta a settimana, discutono collettivamente caso per caso le problematiche dei singoli detenuti, cercando di fornirgli un supporto giuridico adeguato altrimenti ad essi precluso a causa delle loro difficili situazioni personali. A rotazione, una volta a settimana, sei di loro entrano in carcere per parlare direttamente con i reclusi. "Le prime volte che entri non è semplice - spiega una volontaria - anche perché ti trovi davanti un mondo che non ti immaginavi". L’autolesionismo è infatti una pratica molto comune all’interno del carcere per attirare l’attenzione e ottenere qualcosa. "Ma poi - le fa eco un’altra - tristemente ti abitui e neanche ci fai molto più caso". Dopo due anni di associazione si possono anche incontrare più di 400 detenuti. Un modo per mettere in pratica le tante nozioni che la facoltà di Giurisprudenza mette a disposizione ma che spesso rimangono pura teoria. Ma, soprattutto, un viatico per crescere umanamente ed imparare sin da giovani a cosa ci riferiamo per davvero quando parliamo di carcere. I problemi veri, infatti, non si risolvono mai con un colpetto di spugna. Uno di loro chiosa: "lo svuota carceri è come quando hai un tubo rotto in casa. Puoi mettere un secchio sotto il lavandino. Ma se non chiami l’idraulico e non lo fai cambiare, l’acqua, prima o poi, tornerà ad uscire". Giustizia: alla Camera primo via libera a pdl di conversione decreto-carceri, tra proteste e polemiche Tm News, 31 gennaio 2014 Ok in Commissione, ma Molteni: "Impedito voto su emendamenti". Primo via libera in commissione Giustizia della Camera al decreto sull’emergenza carceri. Ma la Lega protesta: "Il Pd e la maggioranza, con metodi da regime fascista, hanno impedito alla Lega di votare gli oltre 200 emendamenti presentati per bloccare il decreto svuota-mafiosi. Un atto senza precedenti che avrà ripercussioni gravissime in Aula. Siamo stati gli unici a votare contro l’ennesimo indulto che altro non è che un salva-mafia. La Lega Nord presenterà una relazione di minoranza", dichiara il capogruppo della Lega Nord in commissione Giustizia alla Camera, Nicola Molteni. Sel: Caos M5S, soccorre Governo e affonda detenuti "Dopo aver prodotto in settimana lo slittamento della discussione in Aula sul messaggio del Presidente della Repubblica sull’emergenza carceraria, questa mattina il M5s, con la tentata occupazione dell’aula della Commissione Giustizia, ha prodotto la fine dell’esame in Commissione del Decreto carceri. Esame non concluso e mandato al relatore". Lo afferma il capogruppo Sel in Commissione Giustizia on. Daniele Farina. "Tanta voglia di scontro fisico, continua l’esponente di Sel, ha prodotto solamente l’affossamento degli emendamenti presentati, e già muniti di parere positivo, comprese le tanto attese modifiche al Testo Unico sugli stupefacenti. La tecnica del far west, e la perdurante sfida all’Ok Corral renderà difficile in Aula approvare le modifiche attese e sollecitate da più parti. D’altro canto", conclude l’on. Daniele Farina, "il preannunciato ostruzionismo conferma la posizione del Movimento di Grillo sui detenuti nelle carceri: impiccali più in alto". Ferranti scrive a Boldrini: profili rilevanza penale La presidente della commissione Giustizia di Montecitorio Donatella Ferranti (Pd) ha scritto una lettera alla presidente della Camera Laura Boldrini nella quale ha spiegato le ragioni del rinvio dei lavori per cause di forza maggiore e ha evidenziato come il comportamento dei deputati del Movimento 5 Stelle possa avere anche profili di rilevanza penale. È quanto viene riferito al termine dell’Ufficio di presidenza della Camera. "Gentile presidente - si legge nella lettera - le comunico che la seduta della commissione Giustizia convocata ieri al termine delle votazioni" dell’Aula, i lavori sul dl carceri non sono potuti avvenire "in quanto l’Aula della commissione è stata occupata da deputati M5s". "Le comunico ancora - prosegue la lettera - che la seduta della commissione Giustizia convocata questa mattina alle ore 8.30, per concludere l’esame del provvedimento è stata rinviata alle ore 10.15 per tenersi nella nuova Aula del Palazzo dei Gruppi parlamentari, in quanto il deputato Vittorio Ferraresi, del gruppo Movimento cinque stelle, prendendo posto al banco della presidenza, ha impedito alla commissione di lavorare nella propria Aula". "Tanto le comunico - si conclude - in quanto ritengo che il comportamento dei deputati del gruppo Movimento cinque stelle, che hanno impedito ad un organo parlamentare di svolgere le proprie funzioni, possa avere profili di rilevanza penale". Molteni (Ln): da maggioranza metodi fascisti senza precedenti "Il Pd e la maggioranza, con metodi da regime fascista, hanno impedito alla Lega di votare gli oltre 200 emendamenti presentati per bloccare il decreto svuota mafiosi. Un atto senza precedenti che avrà ripercussioni gravissime in Aula. Siamo stati gli unici a votare contro l’ennesimo indulto che altro non è che un salva-mafia. La Lega Nord presenterà una relazione di minoranza". Lo dichiara il capogruppo della Lega Nord in commissione Giustizia alla Camera, Nicola Molteni. Mattiello (Pd): da Cancellieri disponibilità a rivedere norma su mafiosi "La ministra Cancellieri ha detto oggi durante l’audizione in parlamento che è disponibile a rivedere la norma sulla liberazione anticipata speciale riferita ai mafiosi". Lo rende noto Davide Mattiello, deputato del Partito democratico della commissione Antimafia, il quale aggiunge: "il Pd ha presentato un emendamento al Dl sulle carceri (n. 146) che elimina la possibilità di applicare ai mafiosi la liberazione anticipata speciale: il mafioso in carcere è meritevole di qualsiasi beneficio soltanto se collabora con la magistratura contribuendo a fare luce suoi propri ed altrui crimini. Dopo questa presa di posizione della ministra Cancellieri, confidiamo quindi che il governo durante l’esame dell’Aula darà parere favorevole al nostro emendamento abrogativo". Giustizia: protesta davanti alla Camera, si cospargono di benzina contro l’affollamento delle carceri Ansa, 31 gennaio 2014 Hanno creato un piccolo prefabbricato in piazza Montecitorio e hanno minacciato di darsi fuoco: denunciati due manifestanti contro il sovraffollamento delle carceri. Due attivisti pro amnistia e indulto sono stati fermati dalla Polizia all’alba dopo aver piazzato un piccolo prefabbricato in legno in piazza di Montecitorio e aver minacciato di autolesionarsi. All’arrivo degli agenti i due giovani avevano appena sistemato il loro prefabbricato e si erano cosparsi di benzina, minacciando di darsi fuoco qualora gli fosse stato impedito di proseguire nelle loro intenzioni. Gli agenti sono riusciti ad avvicinarli con molta calma e, dopo aver ascoltato le ragioni della loro protesta, li hanno convinti a desistere e si sono fatti consegnare la tanica di benzina e i due accendini che tenevano in mano. I due giovani hanno raccontato ai poliziotti di essere venuti a Roma per partecipare a una manifestazione organizzata per oggi contro il sovraffollamento delle carceri. Identificati e accompagnati in ufficio, sono stati denunciati in stato di libertà per manifestazione non autorizzata e procurato allarme. Giustizia: la Cancellieri tifa per l’indulto "comunque, se passa, i mafiosi resteranno in carcere" di Angelo Perfetti La Notizia, 31 gennaio 2014 "L’indulto è una prerogativa del Parlamento, ma di regola questi detenuti sono condannati per tipologie di reato da sempre escluse da provvedimenti di clemenza". Il Guardasigilli Annamaria Cancellieri prova a smorzare le polemiche scaturite dopo la messa in onda in tv e via web delle intercettazioni di Totò Riina nelle quali il boss commentava, minacciando magistrati e politici, le ultime vicende nazionali. Nel corso di un’audizione alla Commissione parlamentare antimafia, la Cancellieri ha sottolineato l’esclusione dei detenuti sottoposti al regime di 41 bis da quelli che potrebbero beneficiare di un eventuale indulto. "È gravissimo - ha detto - che in tv siano andati i filmati di detenuti al 41 bis. Sono stati fatti accertamenti e approfondimenti, ma non sono emersi elementi per procedere". Ma il caso Riina non è l’unico pensiero della Cancellieri: "Escludo che ci siano stati accordi tra il Dap e l’Aisi diversi da quelli stabiliti dalla convenzione". Oggetto della precisazione è il cosiddetto "protocollo farfalla", ossia un accordo intercorso tra servizi e Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria per raccogliere elementi utili dai detenuti in 41bis. Il ministro ha fatto riferimento ha quanto aveva già riferito sempre di fronte alla commissione parlamentare Antimafia il capo del Dap, Giovanni Tamburino, che sentito l’8 gennaio scorso, aveva dichiarato di non essere a conoscenza del protocollo farfalla, mentre attualmente, sulla base di una norma del 2005 che regola i rapporti tra servizi e pubbliche amministrazioni, esiste una convenzione formalizzata tra Aisi e Dap. Quella stessa convenzione a cui ha fatto riferimento Cancellieri. "Tutte le volte - ha spiegato il ministro - che la polizia penitenziaria viene a conoscenza di fatti che possono essere notizie di reato, è tenuta a informare l’autorità giudiziaria. Sarebbe di estrema gravità un accordo o un atto di indirizzo che violasse questa fondamentale norma". Sui 41 bis nessun accordo tra Dap e Aisi Il cosiddetto "protocollo farfalla" non esiste: non c’è nessun accordo tra Dap e Aisi per raccogliere informazioni dai detenuti nelle carceri, specie da quelli in regime di 41 bis. "Escludo che ci siano stati accordi tra il Dap e l’Aisi diversi da quelli stabiliti dalla convenzione", ha sottolineato il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri in commissione Antimafia. Una convenzione che "ha disciplinato e reso trasparenti" i rapporti tra Dap e Aisi. Il Guardasigilli ha ricordato che il Dap è tenuto a informare l’autorità giudiziaria di tutte le notizie di reato di cui viene viene a conoscenza e "sarebbe di un’estrema gravità un atto che viola tali norme: chi lo violasse ne risponderebbe in sede penale", ha concluso. Riina ora non fruisce "socialità" in carcere "Attualmente Riina non fruisce dei momenti di socialità", cioè i contatti con altri detenuti predisposti in carcere con un preciso protocollo ai fini del recupero del detenuto. Lo ha detto il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri in commissione Antimafia, interpellata sul caso delle minacce di Riina ai pm di Palermo. "A mio avviso - ha aggiunto - non c’è stata nessuna triangolazione tra Riina, suo figlio Giovanni e Alberto Lorusso", il detenuto ora trasferito, con cui Riina parla nei video contenenti le minacce. Cancellieri ha spiegato come funziona la procedura per definire l’abbinamento dei detenuti per i momenti di socialità e ha escluso la "triangolazione", cioè che ci possa essere stato un abbinamento tra Lorusso e Giovanni Riina, al di là di quello tra Lorusso e Totò Riina. "L’individuazione dei detenuti per i momenti di socialità - ha spiegato il Guardasigilli - spetta alla Direzione generale detenuti e trattamento e prevede la condivisione con la Procura nazionale antimafia". In sostanza la Direzione che fa capo al Dap, quindi all’amministrazione penitenziaria, "propone una rosa di nomi tra i quali la Procura antimafia sceglie". Inoltre "i gruppi di socialità non sono mai superiori a quattro detenuti e nella scelta si tiene conto di vari fattori: risultanze giudiziarie, gravità del reato, fine pena. Questo - ha spiegato il ministro - per evitare che facciano parte del gruppo degli ‘esordienti ‘ oppure dei soggetti non definitivi o con un fine pena troppo ravvicinato, il che comporterebbe il rischio di una possibile diffusione di informazioni". Nel caso di Riina, dove l’abbinamento era di due sole persone - ha detto Cancellieri - la Direzione detenuti e trattamento ha indicato 4 nomi: due affiliati alla camorra, fine pena mai; un affiliato alla sacra corona unita, anch’egli fine pena mai; e un quarto esponente della sacra corona unita, Lorusso, appunto, fine pena il 15 ottobre 2022. La scelta della Procura nazionale antimafia è caduta su Lorusso. A Procura antimafia gli atti riguardanti caso Riina Ogni atto o relazione raccolti sul caso riguardante Salvatore Riina e i suoi comportamenti in carcere in regime di 41 bis "sono stati inviati alla Procura nazionale antimafia e delle diverse Dda per eventuali sviluppi investigativi". È quanto ha riferito il ministro Annamaria Cancellieri, che ha parlato nel corso di una audizione in Commissione parlamentare antimafia. Facendo riferimento al caso delle minacce a Nino Di Matteo, pm di Palermo che ha ricevuto esplicite minacce dal boss mafioso, il Guardasigilli ha poi definito "gravissimo" il fatto che la conversazione con l’altro detenuto Alberto Lorusso siano finite in televisione aggiungendo però il Dap, dopo gli "approfondimenti possibili" non è riuscito a raccogliere "elementi per procedere ad accertamenti ulteriori". Grave video in tv ma no sviluppi accertamenti "È gravissimo che in tv siano andati i filmati di detenuti al 41 bis. Sono stati fatti accertamenti e approfondimenti, ma non sono emersi elementi per procedere". Così il Guardasigilli Annamaria Cancellieri, nel corso di un’audizione in Commissione antimafia, ha risposto in merito al video su Totò Riina e agli approfondimenti messi in atto dopo la diffusione in tv. Giustizia: attività extra-murarie dei detenuti, nota di chiarimento del Dap sul lavoro per i Comuni Agenparl, 31 gennaio 2014 Con la sottoscrizione del protocollo tra l’Anci e il ministro della Giustizia (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria), volto a promuovere sul territorio un programma sperimentale di attività lavorative extra-murarie per i soggetti in stato di detenzione attraverso progetti in favore delle comunità locali gestiti dai Comuni, sono derivate molteplici esperienze sui territori. I Comuni infatti si sono attivati utilizzando le modalità previste dal Protocollo, attraverso la formula del lavoro all’esterno di cui all’art. 21 della legge 26 luglio 1975, n. 354, con la corresponsione di buoni lavoro o borse lavoro nonché con il versamento dei contributi Inps e Inail per la relativa copertura assicurativa dei soggetti interessati. A seguito dell’introduzione del comma 4ter al suddetto art. 21 (operata dall’art. 2 del decreto legge 1 luglio 2013, n. 78 convertito con modificazioni dalla L. 9 agosto 2013, n. 94) si sono riscontrate problematiche, anche di carattere interpretativo, circa la previsione secondo la quale i detenuti e gli internati possono essere assegnati a prestare la propria attività a titolo volontario e gratuito nell’esecuzione di progetti di pubblica utilità in favore della collettività. Per tale ragione, l’Anci ha scritto al ministero della Giustizia chiedendo di fornire chiarimenti, per assicurare la corretta applicazione del Protocollo da parte delle amministrazioni comunali, a garanzia delle stesse e dei soggetti interessati. Si pubblica pertanto la nota di risposta del ministero della Giustizia-Dap con la quale si specifica la distinzione tra il lavoro di pubblica utilità di cui all’art. 54 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 e il lavoro all’esterno, nella ulteriore formulazione del comma 4- ter all’art. 21 della L. 354/75. Anche se il citato comma 4ter prevede, per il lavoro volontario e gratuito, l’applicazione delle modalità previste per il lavoro di pubblica utilità, si chiarisce che si tratta di istituti analoghi sul piano degli effetti ma comunque distinti giuridicamente. Il lavoro volontario e gratuito nell’esecuzione di progetti di pubblica utilità in favore della collettività è riferito a soggetti sottoposti a misure restrittive e non è una sanzione alternativa alla pena detentiva, come nel caso del lavoro di pubblica utilità. Giustizia: Ilaria Cucchi accusata di diffamazione "Cerco la verità, non mi fermerò mai" La Repubblica, 31 gennaio 2014 Dopo la morte del fratello, dopo una sentenza di assoluzione degli agenti penitenziari che lei non ha mai accettato, dopo le tante polemiche adesso Ilaria Cucchi deve affrontare anche l’accusa di diffamazione. La sorella di Stefano, morto nel 2009 in ospedale durante la custodia cautelare, è stata denunciata dal Coisp, il sindacato dei poliziotti, per "vilipendio dell’immagine della Polizia di stato". E con la stessa accusa sono indagate anche Lucia Uva, sorella di Giuseppe, deceduto nel 2008 dopo essere stato fermato dai carabinieri e Domenica Ferulli, figlia di Michele, morto nel 2011 mentre quattro agenti lo stavano arrestando. A denunciarle è stato Franco Maccari, segretario generale del Coisp, lo stesso sindacato che si rese protagonista di una manifestazione quantomeno discutibile in favore dei quattro agenti condannati nel caso Aldrovandi, proprio sotto gli uffici del comune di Ferrara dove lavora la mamma del ragazzo, Patrizia Moretti. "Credo che la motivazione della querela - spiega Fabio Anselmo, avvocato delle tre donne - possa essere legata proprio alle parole di solidarietà pronunciate in quell’occasione nei confronti della signora Moretti". La querela di Maccari è stata depositata alla procura di Roma pochi giorni dopo la sentenza di assoluzione degli agenti penitenziari coinvolti nel caso Cucchi. "Ebbene sì-scrive la Cucchi sul suo blog sull’ Huffington Post - sono indagata per aver reclamato verità e giustizia per la morte di Federico, di Michele, di Giuseppe, di Dino e di tanti altri morti di stato. Sono indagata per essermi ribellata alla mistificazione ed alle infamanti menzogne sulla morte di mio fratello. Io non mi fermerò, mai. Non avrò pace fino a quando non avrò ottenuto giustizia. Io voglio confessare tutto, ogni cosa. Queste morti offendono la polizia, questo è sicuro. Offendono lo stato. Questo è altrettanto sicuro. Offendono tutti". "Maccari sta querelando tutti - si legge in un post su Facebook lasciato da Patrizia Moretti - ci sono due alternative: o è l’uomo più diffamato del mondo, oppure ha un capitale notevole da spendere in avvocati. Non mi meraviglio della potenza economica della categoria da quando gli uccisori di mio figlio si fecero rappresentare dallo Studio Niccolò Ghedini". Giustizia: la famiglia Aldrovandi "quei quattro poliziotti non meritano più di lavorare per lo Stato" di Checchino Antonini www.popoff.globalist.it, 31 gennaio 2014 I genitori di Federico alla vigilia del rientro in servizio di chi uccise un diciottenne in un’alba di settembre a Ferrara. "Non voglio che questi assassini restino in circolazione, non voglio pagare lo stipendio a quelli che hanno ammazzato mio, non voglio pagarlo io non voglio che lo paghi tu o nessun altro. Queste persone non meritano di lavorare per lo Stato", dice in lacrime Patrizia Moretti e racconta alle Iene, per l’ennesima volta, la storia più straziante della sua vita. Quella dell’uccisione di suo figlio, Federico Aldrovandi, avvenuta a Ferrara all’alba del 25 settembre 2005, da parte di quattro agenti di polizia che, per quell’omicidio colposo, sono stati condannati a 3 anni e 6 mesi, ne hanno scontato uno scampolo di sei mesi e dopo altri sei mesi di sospensione tre di loro sono tornati - o stanno per farlo - in servizio. Eppure il loro non è un banale omicidio colposo, come se avessero investito un pedone sulle striscie o facendo manovra. In fondo al servizio, Lino Aldrovandi, il padre di Federico, ricorderà la scia di depistaggi e bugie (c’è un altro processo che ha già prodotto condanne) che seguì quella morte fino alle sentenze e oltre. Ma proprio mentre la famiglia, dopo tre gradi di giudizio, si aspettava un provvedimento disciplinare adeguato è arrivato il momento degli attacchi. Ad esempio dal Coisp, un sindacato che - senza curarsi di leggere sentenze e ordinanze - chiedeva, sotto l’edificio in cui lavora Patrizia, l’applicazione del decreto salva carceri per i quattro colpevoli e denuncia chiunque critichi i suoi metodi di proselitismo e propaganda. Tra le forze dell’ordine è vivido il fastidio per una sentenza del genere. Un poliziotto, travisato dalla telecamera, riassume al reporter delle Iene il senso comune del Corpo per casi come questo, dice che i colleghi sono stati sfortunati e che Federico doveva essere fermato a schiaffi. Chi se l’aspettava che ci sarebbe rimasto? E già, nemmeno lui s’è mai preso la briga di leggersi le carte. Ecco, perciò, un piccolo promemoria. "Non riesce il tribunale a individuare qualsivoglia elemento di meritevolezza atto a sostenere la concessione e poi la corretta fruizione, ai fini rieducativi, dei benefici penitenziari": quattro fitte pagine per respingere le istanze di affidamento in prova, di detenzione domiciliare o di semilibertà. Così esattamente un anno fa il Tribunale di sorveglianza di Bologna ha stabilito che tre dei quattro agenti che infierirono con calci, pugni e manganelli su Federico Aldrovandi, un diciottenne solo, in stato di agitazione e disarmato, avrebbero dovuto scontare sei mesi di carcere, gli altri tre anni sono indultati perché il delitto è stato commesso prima del 2006. Per il quarto la decisione era solo rinviata per un difetto di notifica. I quattro hanno operato in concorso tra loro e hanno sempre teso a rendere indistinguibili le condotte. L’ordinanza del tribunale, presieduto da Francesco Maisto, richiama le motivazioni delle sentenze tutte concordi nel sottolineare la violenza esercitata dai quattro agenti delle volanti accorsi in via Ippodromo all’alba del 25 settembre del 2005: lo hanno percosso "anche quando il ragazzo ormai era a terra e nonostante le sue invocazioni di aiuto, fino a sovrastarlo letteralmente di botte (e anche a calci) e con il peso del corpo... fino a provocarne in definitiva la morte". I quattro sono venuti meno al dovere di "interrogarsi sull’azione dei colleghi, se del caso agendo per regolarla, moderandola". Hanno agito come un branco "anche se erano al corrente dei rischi per la salute derivanti dall’esercizio di una notevole, continuata e intensa forza". Ecco perché nemmeno sono state concesse loro le attenuanti: i loro difensori hanno ricordato che erano incensurati ma per il giudice è "una condizione doverosa" per chi fa un mestiere del genere. Non solo: "Pubblici ufficiali, privi di precedenti disciplinari, sono infatti portatori di un ben diverso onere di lealtà e correttezza processuale, rispetto a un imputato comune, e avrebbero dovuto portare un contributo di verità, ad onta delle manipolazioni ordite dai superiori. Il non avere voluto squarciare il velo della cortina di manipolazioni delle fonti di prova, tessuta fin dalle prime ore ... getta una luce negativa sulla personalità degli appellanti". Con buona pace dell’"onorevole stato di servizio" vantato dalle difese. Ma i quattro anche al processo "hanno omesso di fornire un contributo di verità, da reputarsi doveroso da parte di pubblici ufficiali". Invece no, loro hanno coperto i superiori che li coprivano! "Alla gravità della colpa - scrive ancora il Tribunale - si associano gli aspetti negativi più propriamente processuali con l’assenza di concreti segni di pentimento e di consapevolezza degli errori commessi, tradottisi in palesi menzogne e ostacoli all’accertamento della verità". Inaffidabili, dunque, senza autocontrollo né capacità di gestire adeguatamente una situazione. Ecco perché, per i giudici "non è dato di individuare una positiva evoluzione della personalità dei soggetti" che non hanno nemmeno "provato a mostrare l’effettiva comprensione della vicenda delittuosa". E autocritica o gesti simbolici, in sintesi, nemmeno a parlarne. Lettere: Mauro Palma risponde… e apre un dialogo con la Polizia penitenziaria www.poliziapenitenziaria.it, 31 gennaio 2014 Scrivo alla Redazione della rivista on-line, intendendo così rivolgermi anche a coloro che hanno letto la lettera aperta che mi è stata indirizzata e, più in generale, a quanti nel condurre il proprio importante e complesso lavoro nella Polizia Penitenziaria hanno a cuore il mandato che esso racchiude nelle sue molteplici dimensioni: di tutela della sicurezza della società, di contributo essenziale alla corretta esecuzione delle pene legali, di garanzia dei diritti delle persone private della libertà. Devo innanzitutto ringraziare per la fiducia nei miei confronti, espressa nella lettera. Ma, al contempo devo precisare che la Commissione per elaborare proposte in materia penitenziaria, costituita con decreto ministeriale il 13 giugno scorso, aveva un mandato strettamente connesso alla definizione di azioni secondo la linea indicata dalla Corte Europea dei diritti umani, nella sua sentenza del gennaio 2013 (la nota sentenza Torreggiani e altri c. Italia). Un mandato con termine il 30 novembre scorso, data in cui l’Italia doveva presentare il Piano d’azione per adempiere a quanto richiesto dalla Corte. La Commissione ha, quindi, consegnato un complessivo Rapporto al Ministro e tale elaborato, centrato sul modello di detenzione, è stato ripreso per punti e, unitamente a quanto elaborato come proposte normative da altre Commissioni, inserito in tale Piano. La Commissione ha così concluso il proprio lavoro. Ora il problema è quello dell’attuazione di queste linee e io ho attualmente l’incarico di seguire questo percorso, essendo stato nominato a tal fine Consigliere del Ministro. Ho spiegato questi passi per precisare innanzitutto che, oltre a non essere stato assolutamente mio compito definire la composizione della Commissione, non esiste un’attuale possibilità di integrazione, giacché essa non è più operante. Inoltre, il processo di attuazione nonché l’individuazione di modalità per stabilire la necessaria cooperazione con chi opera nel sistema, restano responsabilità del Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria e sono certo che verranno attuate le forme per il vero coinvolgimento degli operatori e, in particolare della Polizia Penitenziaria che ha un ruolo diretto nella gestione della quotidianità detentiva ed è in grado di cogliere aspetti che a chi, come me, esamina il sistema da un punto di vista più distante, possono sfuggire. Chiarito, quindi, che a me non spettano responsabilità gestionali, ma solo di accompagnamento dei processi di trasformazione e di indicazione di soluzioni possibili, non mi sottraggo a esprimervi le mie valutazioni. Tralascio le valutazioni negative espresse nella lettera relative a chi ha attualmente responsabilità del Dipartimento che non mi trovano concorde, mentre colgo l’esigenza che condivido di come sia difficile operare in un settore così complesso, quale quello in cui opera la Polizia Penitenziaria, con la sensazione di essere "tra l’incudine dei problemi delle carceri e il martello dei provvedimenti calati dall’alto". Mi rendo conto che ci sia una chiara necessità di avere forme di comunicazione dei processi che si vogliono avviare, in modo tale da sentirsi sempre più accomunati da obiettivi condivisi, pur con i differenti punti di vista, le diverse opinioni e la varietà delle soluzioni da prospettare. Del resto, ribadisco quanto da me affermato nel mio breve commento sul sito e cioè che non esistono riforme che non prevedano condivisione degli obiettivi e miglioramenti per tutti coloro che sono "attori" del sistema che si vuole trasformare: gli attori sono in questo caso coloro che lavorano nel carcere, coloro che in esso sono per periodi più o meno lunghi detenuti, coloro che lavorano nell’area penale esterna e anche coloro che dall’esterno devono creare condizioni perché al carcere si ricorra solo in situazioni di ineludibile necessità. Un processo condiviso sarà anche utile per coloro che, da cittadini, magari non toccati affatto dal sistema detentivo, devono comunque vedere il carcere come parte del proprio sistema sociale e non interessarsi a esso solo in maniera episodica e sensazionalistica. Costruire la condivisione richiede comunque uno sforzo da parte di tutti costoro che ho prima elencato, riconoscendo con chiarezza gli aspetti che richiedono un radicale ripensamento, proprio perché tali aspetti non devono essere visti come errori o colpe di una sola parte del sistema, qualunque essa sia, ma come elementi di criticità che è obiettivo di tutti rimuovere, superare, cambiare. Un sistema che non funziona infatti non incide mai soltanto su una sua parte, ma sul suo complesso: così una situazione detentiva non dignitosa, sovraffollata e passivizzante, non incide solo sulle condizioni di chi è detenuto, ma anche e fortemente su quelle di chi in carcere lavora; e spesso celle fatiscenti sono l’altra immagine di fatiscenti alloggi o di mancanza di luoghi di aggregazione per i lavoratori. Ripeto, non c’è miglioramento effettivo che non sia complessivo. Un utente del vostro sito, in suo messaggio in risposta al mio, ha scritto di non aver visto alcun miglioramento delle sue condizioni di lavoro: credo abbia ragione. Ma credo anche che il processo di cambiamento che abbiamo cercato di delineare nel Rapporto della Commissione anche se può inizialmente apparire come maggiormente oneroso per chi lavora, ha invece la potenzialità di essere, nel suo divenire sistema e non solo episodico, di maggiore soddisfazione anche per la Polizia Penitenziaria e di arricchimento della professionalità dei suoi operatori. Naturalmente sono disponibile a discutere sia del progetto, sia delle mie opinioni che lo sostengono e anche questa lettera vuole essere l’apertura di un dialogo. Ferme restano la volontà di guardare in avanti e di saper riconoscere le cose che non vanno, senza offrire coperture, e agire insieme per cambiarle. Questo è quanto nei limiti della mia attuale funzione posso proporre con schiettezza e apertura. Ricambio il cordiale saluto e rinnovo il ringraziamento per la lettera. Mauro Palma Puglia: Pastore (Psi); con decreto-carceri usciranno in pochi, ma bene istituzione Garante nazionale Agenparl, 31 gennaio 2014 Intervento del Consigliere regionale del Gruppo Misto-Psi, Franco Pastore sul decreto svuota carceri. "3.000 detenuti in meno, quanti sono quelli stimati che dovrebbero uscire dal carcere in seguito al decreto che è all’esame del Consiglio dei Ministri in queste ore, non sono tanti a fronte dei 30.000 stimati quali detenuti in eccesso rispetto alla capacità carceraria italiana. Ma quello che potrebbe sembrare un piccolo numero, un numero esiguo, contiene comunque un indirizzo importante, che sta soprattutto in altri provvedimenti dello svuota-carceri della ministra Cancellieri. Fra essi quello dell’istituzione del Garante nazionale dei detenuti, che nella nostra regione abbiamo istituito due anni fa. Garante che potrà verificare le condizioni di rispetto dei diritti e della dignità dei detenuti nelle cercare ma anche quello che avviene in caserme, centri di identificazione ed espulsione e commissariati. Altro aspetto molto importante è la filosofia che sottende questo decreto e che si trasforma in atti concreti nella misura in cui va a scalfire sia la Bossi-Fini, sul reato di clandestinità, avviando da subito le procedure di espulsione per chi commetta reato, senza aspettare che finisca di scontare la pena qui, sia la Fini-Giovanardi sulle tossicodipendenze, visto che il decreto prevede dei distinguo basati su qualità e quantità di droga. Non sarà la soluzione e non sarà con queste misure che arriveremo a quello che ci chiede la corte europea dei diritti dell’uomo ma tutto quanto va in tale direzione apre a una nuova via". Umbria: Garante dei detenuti, il centrosinistra abbassa il quorum per l’elezione www.umbria24.it, 31 gennaio 2014 Idv, Pd e Prc in Prima commissione lo abbassano dai due terzi alla maggioranza semplice. La vicepresidente Casciari applaude. Forza Italia: "Vergognoso e indecente, è spartizione". Dopo una lunga serie di votazioni andate a vuoto, l’ultima delle quali all’inizio di giugno, in consiglio regionale il centrosinistra trova il modo per arrivare alla (sospirata) elezione del garante dei detenuti, attesa da ben sette anni: abbassare il quorum necessario in aula, portandolo dai due terzi alla maggioranza semplice. La proposta, formulata da Oliviero Dottorini (Idv) e poi firmata anche da Renato Locchi (Pd) e Damiano Stufara (Prc), è stata approvata giovedì nel corso della seduta della Prima commissione senza i voti del centrodestra, fortemente contrario. Una proposta per "evitare una situazione di stallo che provocherebbe l’inefficacia della legge stessa". Se da un lato infatti la maggioranza qualificata "garantisce la massima condivisione nell’individuazione del garante, questa potrebbe comportare - è detto nel testo - la difficoltà di pervenire alla designazione, nel caso risultasse impossibile addivenire ad un accordo". L’elezione del prossimo garante in verità avrà un orizzonte molto limitato, visto che in aula i consiglieri hanno deciso di portare un’altra modifica in base alla quale si stabilirà che il garante (scelto all’interno di una lista di dieci nomi) resterà in carica fino alla fine di questa legislatura, che terminerà nella primavera del 2015. Per quanto riguarda il compenso invece, fissato al 20% dell’indennità di un consigliere, la commissione ha detto sì all’emendamento di Manlio Mariotti (Pd) secondo il quale questa sarà una percentuale da considerare come un tetto massimo e non come una cifra fissa. L’abbassamento del quorum è giudicato positivamente dalla vicepresidente della giunta Carla Casciari, secondo la quale finalmente ora si arriverà "all’elezione di una figura importante non solo - scrive - per la tutela dei diritti delle persone sottoposte a misure restrittive, ma di tutta la realtà carceraria". Netta invece, come accennato, la contrarietà del centrodestra: "Sarà l’ennesima occasione della maggioranza - scrive il capogruppo di Fi Raffaele Nevi - di spartirsi le poltrone. Questa maggioranza divisa su tutto non era riuscita ad eleggere il garante dei detenuti, così oggi con l’ennesima vergognosa, indecente decisione ha abbassato il quorum". "A questo punto - conclude - siamo convinti che sia meglio l’eliminazione di questa figura visto che la legge assegna ai consiglieri regionali la facoltà di svolgere la funzione di garanti della condizione carceraria". Garante detenuti: verso modifica legge regionale La prima commissione del consiglio regionale ha approvato a maggioranza, con il voto contrario delle opposizioni, la proposta di modifica (primo firmatario Oliviero Dottorini, Idv) della legge regionale numero 13 del 2006 sulla Istituzione del garante delle persone sottoposte a misure restrittive o limitative della libertà personale. La proposta di legge, sottoscritta anche da Damiano Stufara (Prc ) e Renato Locchi (Pd), abbassa, a partire dalla quarta votazione, il quorum necessario all’elezione del garante stesso, rendendo sufficiente la maggioranza assoluta dei consiglieri e non più quella dei due terzi. Via libera anche all’emendamento di Manlio Mariotti (Pd) che prevede una maggiore discrezionalità, solo in riduzione, del compenso previsto per il garante. La proposta di legge - spiega un comunicato della Regione - mira ad "evitare una situazione di stallo che provocherebbe l’inefficacia della legge stessa". La maggioranza qualificata prevista dalla legge del 2006, infatti, "se da un lato garantisce la massima condivisione nell’individuazione del garante, potrebbe comportare la difficoltà di pervenire alla designazione, nel caso risultasse impossibile addivenire ad un accordo". Casciari: bene modifica legge su Garante "La proposta di modifica della legge regionale del 2006 per l’istituzione del Garante dei detenuti, approvata oggi dalla Prima commissione dell’Assemblea legislativa, consentirà di superare gli ostacoli che da sette anni si frappongono all’elezione di una figura importante non solo per la tutela dei diritti delle persone sottoposte a misure restrittive, ma di tutta la realtà carceraria". La vicepresidente della Regione Umbria, con delega alle Politiche sociali, Carla Casciari, esprime così la "soddisfazione" per l’approvazione, a maggioranza, della proposta di legge che abbassa il quorum per l’elezione del Garante dopo la terza votazione. "Una modifica normativa - sottolinea - che giunge dopo l’elezione del Garante regionale per l’infanzia e l’adolescenza e che potrà consentire di colmare il vuoto ancora aperto per la figura di garanzia nei confronti dei detenuti e di una realtà, quella delle carceri, che in Umbria, come nel resto d’Italia, rappresenta una vera e propria emergenza". "La Regione Umbria - ricorda l’assessore - continua, con azioni e investimenti, nel suo impegno a garantire i percorsi di riabilitazione e reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti. L’istituzione del Garante, finora ostacolata soprattutto dalle difficoltà a raggiungere una maggioranza qualificata per la sua elezione, contribuirà al lavoro comune che tutte le istituzioni preposte portano avanti per migliorare la qualità della vita carceraria". Sardegna: Socialismo Diritti Riforme; impegno candidati presidenti per rispetto dei diritti dei detenuti Ristretti Orizzonti, 31 gennaio 2014 "I candidati alla Presidenza della Regione Sardegna devono assumere un serio impegno affinché vengano rispettati i diritti dei detenuti e il protocollo d’intesa tra Stato e Regione soprattutto per quanto riguarda la territorialità della pena". Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione "Socialismo Diritti Riforme", sottolineando la necessità di una maggiore attenzione da parte delle Istituzioni regionali della Sardegna verso la dignità dei ristretti e degli operatori penitenziari. "In questi ultimi anni - ricorda Caligaris - si sono acuite le problematiche relative al sistema penitenziario. La situazione, soprattutto per quanto riguarda il diritto alla salute, ha fatto emergere nell’isola diverse criticità. È quindi indispensabile da un lato far rispettare tutte le clausole previste nel protocollo d’intesa sottoscritto con il Governo nel 2006 e dall’altro provvedere alla sua integrazione". "È evidente - afferma ancora la presidente di SdR - che le questioni non riguardano soltanto il sovraffollamento di Buoncammino ma l’intero sistema penitenziario. Occorre rivedere il ruolo, la funzione, le finalità delle Colonie Penali e verificare l’utilità delle nuove mega strutture detentive. Il principio dell’umanizzazione della pena deve davvero coincidere con la riabilitazione del detenuto in modo che anche le persone offese dai reati possano sentire il peso di una giustizia giusta". "Invitiamo infine i candidati Presidenti a prendere in considerazione il ruolo del volontariato carcerario affinché - conclude Caligaris - possa continuare a svolgere il compito di supplenza laddove Stato e Regione non sono in grado di intervenire". Napoli: a Poggioreale, esiste una cella per i pestaggi? La Procura apre un’inchiesta di Gianluca Abate e Titti Beneduce Corriere del Mezzogiorno, 31 gennaio 2014 Dopo la denuncia che segnalava maltrattamenti il pm del lavoro verifica se esiste una "cella zero" nel carcere napoletano. Esiste davvero una "cella zero" nel carcere di Poggioreale? Se sì, dove si trova, chi vi viene condotto e per quali motivi? Un’inchiesta della Procura di Napoli risponderà a queste domande, sollevate nelle scorse settimane da alcuni ex detenuti e poste di recente da un servizio pubblicato su Fanpage seguito poi anche da un articolo dell’Espresso. Si tratta di un atto dovuto dal momento che la garante dei diritti dei detenuti, Adriana Tocco, ha inviato in Procura un dettagliato esposto in merito. A coordinare gli accertamenti, ancora in una fase iniziale, sarà il procuratore aggiunto Alfonso D’Avino. Le testimonianze sulla "cella zero" sono preoccupanti. Ha raccontato per esempio un ex detenuto a Fanpage.it: "Erano le dieci e mezza di sera. All’improvviso, senza motivo sono stato portato giù nella cella zero: le guardie mi hanno fatto spogliare nudo, mi hanno picchiato, mi hanno umiliato. La cella zero è una cella del piano terra dove ti puniscono, ti picchiano, è isolata da telecamere e da tutto". Alcuni hanno riferito anche di schizzi di sangue sulle pareti, di squadre di agenti della polizia penitenziaria che infliggono punizioni ingiustificate quanto dure. Verità o illazioni, magari avanzate per infangare gli agenti "colpevoli" solo di fare il loro dovere in maniera inflessibile? Il punto centrale dell’inchiesta appena avviata è proprio questo. Presto potrebbero essere acquisiti altri documenti in possesso del garante, ma anche di associazioni o di avvocati particolarmente sensibili al tema. Il Dap (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria) ha già fatto sapere che offrirà ai magistrati la massima collaborazione, rivendicando la professionalità e il senso di giustizia del proprio personale. Ma tra i familiari dei detenuti resta la preoccupazione e cresce l’auspicio (comune anche al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano) che si faccia un intervento radicale di riqualificazione del carcere. Il caso della "cella zero", però, potrebbe non essere l’unico sul quale la Procura di Napoli condurrà accertamenti. Adriana Tocco - garante dei diritti dei detenuti della Campania - dice infatti al Corriere del Mezzogiorno che "le denunce per maltrattamenti in tutto sono circa 150". Alcune sono individuali, una "è sottoscritta da 50 detenuti, e l’ho già inoltrata alla Procura, un’altra mi è appena arrivata ed è firmata da 70 reclusi". La "cella zero", però, quella non sa se esista: "Ho segnalato alla magistratura ciò che i detenuti hanno riferito. Io non l’ho mai vista, ma chiederò di poter effettuare un sopralluogo nel carcere di Poggioreale per appurare se c’è o meno". Le segnalazioni in questione - precisa la garante - sono "tutte firmate", mentre quelle anonime vengono girate all’ufficio ispettivo del Dap. Che, sul caso della "cella zero", avvierà un’inchiesta interna: "Ho saputo che saranno fatti accertamenti", dice Adriana Tocco. La quale però esclude che si possa parlare di un caso Napoli: "Da Secondigliano non ho ricevuto alcuna segnalazione di maltrattamenti, le denunce riguardano solo Poggioreale. Penso che ciò sia dovuto sia al fatto che gli altri istituti non hanno un numero così elevato di detenuti, sia alla circostanza che questa situazione di affollamento determina una situazione di stress tra il personale della polizia penitenziaria. Beninteso, questo non giustifica nulla, ma per onestà intellettuale devo anche dire che gli stessi reclusi - nella maggioranza dei casi - parlano di agenti molto professionali e collaborativi". Bari: la Polizia penitenziaria scrive al Prefetto "evitare l’affollamento del carcere" La Repubblica, 31 gennaio 2014 Evitiamo le "porte girevoli" al carcere di Bari. A ribadirlo, in una lettera aperta al prefetto di Bari, Antonio Nunziante, il segretario nazionale del Sappe (il sindacato autonomo di polizia penitenziaria), Federico Pilagatti. "Nonostante siano passati anni si legge a tutt’oggi si registrano presso il penitenziario barese numerosi ingressi in violazione proprio della norma voluta dall’allora ministro della Giustizia, Severino". Pilagatti si riferisce a quella parte del decreto in cui si prevedeva che in caso di arresto in flagranza per reati di competenza del giudice monocratico (eccetto furto in appartamento, scippi, rapina e sequestro di persona), nelle 48 ore successive, il magistrato può disporre di tenere l’arrestato ai domiciliari o in camere di sicurezza, così non pesando sul sovraffollamento delle carceri. Trento: per coop Kinè niente più lavoro in carcere dopo proteste della Polizia penitenziaria di Liviana Concin Il Trentino, 31 gennaio 2014 Far lavorare i detenuti all’interno delle carceri non è un compito semplice. Riuscire a mediare fra riabilitazione, sicurezza e necessità di tutte le parti coinvolte lo è ancora meno. Per questo la cooperativa Kinè di Gardolo ha deciso di sospendere la scansione dei documenti tavolari del Catasto di Trento, che fino allo scorso dicembre era affidata ai sei detenuti della casa circondariale di Trento impegnati nelle attività di digitalizzazione di documenti svolta dalla cooperativa. "Uscire dalla logica guardia e ladri è l’unico modo per comprendere il fine sociale del nostro lavoro- ha spiegato il direttore di Kinè Ambrogio Monetti -i progetti che da circa due anni e mezzo stiamo svolgendo all’interno del carcere hanno portato riscontri più che positivi dimostrando che la fiducia che riponiamo nei nostri collaboratori detenuti sia ben posta, ma abbiamo deciso di sospendere questa particolare attività, non tanto perché non la ritenessimo legittima, ma per alcuni dubbi sul fatto che fosse effettivamente opportuna improvvisamente espressi da diversi Sindacati di Polizia penitenziaria nel corso dello scorso mese". I potenziali rischi dell’attività di digitalizzazione dei documenti erano stati messi in luce da alcuni agenti per bocca di tre diverse sigle sindacali, con Sinappe in testa: "Vorremmo sapere se effettivamente i detenuti avessero modo di conoscere fin nei dettagli il mutuo di ogni cittadino compresi reddito, garanzie, nonché la composizione dell’abitazione". A rassicurare in seguito ad un tavolo di confronto è stato il presidente di Kinè Pompeo Viganò: "Vorremmo fosse chiaro che i fascicoli che scannerizzavano i detenuti contenevano dati pubblici- ha spiegato - e inoltre il lavoro viene svolto in maniera massiva e rapida con macchine che digitalizzano interi faldoni: difficilmente qualcuno potrebbe avere il tempo di consultarli. I rogiti e quant’altro sono riportati in termini tecnici, e l’intera attività viene svolta sotto il controllo costante di due educatrici. Nonostante ciò dopo la riunione con i sindacati abbiamo immediatamente sospeso l’accesso al Tavolare proseguendo con altri documenti, ma considerati i vincoli di sicurezza imposti dalla Casa Circondariale, l’impegno degli educatori e il fatto che i detenuti coinvolti sono tutte persone che scontano pene brevi o in attesa di giudizio mi sento di garantire la legittimità e il valore sociale del nostro operato". Secondo il direttivo della cooperativa la visita al laboratorio di scansione interno al carcere dovrebbe aver convinto anche gli agenti: i rischi per la privacy dei cittadini sarebbero pari a zero. Quelli che invece sono dati tangibili sono quelli relativi al vasto impatto sociale positivo prodotto dai programmi di inserimento lavorativo: i 20 detenuti che sono stati assunti dalla cooperativa nel corso dell’ultimo triennio rientrano nella statistica nazionale che vede la percentuale di recidiva dei reati crollare dall’80 al 20% per chi in carcere ha avuto la possibilità di recuperare la propria dignità lavorando. Ogni punto percentuale in meno fa risparmiare allo Stato circa 50 milioni di euro e Kinè si dimostra quotidianamente un ingranaggio ben funzionante di questo meccanismo virtuoso Trento: agente con Tbc forse a causa di un detenuto? Interrogazione consiglieri leghisti Il Trentino, 31 gennaio 2014 L’ipotesi in un’interrogazione provinciale presentata dai consiglieri leghisti Maurizio Fugatti e Claudio Civettini. Un agente di polizia penitenziaria in servizio al carcere di Spini di Gardolo, a Trento, sarebbe stato contagiato da un detenuto affetto da tubercolosi. Lo ipotizzano in un’interrogazione Maurizio Fugatti e Claudio Civettini consiglieri provinciali della Lega Nord in Trentino. Secondo le loro informazioni - e chiedono di fare luce sull’episodio - nelle scorse settimane un uomo, in stato di arresto, era stato ricoverato all’ospedale Santa Chiara di Trento, perchè affetto da tubercolosi. Dal resoconto di Fugatti e Civettini emerge che sarebbe poi evaso e nei giorni successivi sarebbe stato bloccato dalle forze dell’ordine e riportato agli arresti. Dopo questo episodio, i consiglieri sono giunti a conoscenza del fatto che un agente di polizia penitenziaria che lavora a Trento sarebbe affetto da tubercolosi. "Non siamo a conoscenza delle cause di questa infezione, ma potrebbero essere riconducibili proprio a un eventuale contatto con il detenuto. Non sappiamo nemmeno, qualora fosse confermata tale situazione, se questo sia l’unico agente di polizia al quale sia stata trasmessa la presunta malattia" concludono Fugatti e Civettini. Foggia: Cooperativa Sociale L’Obiettivo; nell’Atelier dell’Ausilio i detenuti lavorano per i disabili www.notizie.tiscali.it, 31 gennaio 2014 Sarà realizzato a Foggia l’Atelier dell’Ausilio, il progetto della Cooperativa sociale L’Obiettivo, che prevede il coinvolgimento dei detenuti, in attività di rigenerazione degli ausili per disabili (dalle carrozzine alle protesi). L’idea progettuale rientra tra le 12 finanziate nel Mezzogiorno dalla Fondazione "Con il Sud", che ha voluto premiare le iniziative "speciali e innovative" su un tema delicato e drammatico come quello delle condizioni di detenzione negli istituti di pena e, in particolare sulle opportunità di reinserimento socio-lavorativo dei carcerati e il loro rapporto con le famiglie di origine. "La situazione degli istituti detentivi è ormai nota - commenta Carlo Borgomeo, presidente della Fondazione "Con il Sud" - siamo in "stato di emergenza" per sovraffollamento e degrado. L’Italia è stata condannata più volte dalla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo di Strasburgo per trattamenti degradanti e inumani ai detenuti. A questa difficile situazione si aggiungono altre problematiche legate alla mancanza di opportunità reali di reinserimento sociale. Crediamo che il lavoro, le relazioni umane, sociali e i rapporti familiari possano agire positivamente e rappresentare un forte veicolo di riscatto. Non è un caso che oltre l’80% dei recidivi è rappresentato da soggetti che non hanno avuto accesso a misure alternative alla detenzione, mentre il tasso di recidiva scende sotto il 3% tra coloro che hanno avviato tirocini guidati presso aziende. Per questo - spiega - abbiamo sostenuto interventi dal carattere speciale che prevedono la collaborazione tra terzo settore e volontariato - che ricoprono un ruolo insostituibile su questi ambiti - istituzioni, famiglie e imprese. La sfida, dal forte valore simbolico e sociale, che abbiamo voluto lanciare è stata quella di portare innovazione su questo tema con un massiccio contributo di idee da parte della società civile meridionale: dai singoli cittadini - conclude Borgomeo - alle realtà organizzate". L’iniziativa Carceri è stata lanciata nel 2013 e si rivolgeva a cittadini e organizzazioni (non profit, volontariato, istituzioni pubbliche o altro), per promuovere soluzioni innovative sul tema. Circa 600 le idee pervenute. Dopo un attento processo di verifica e valutazione, quelle più interessanti sono state trasformate in proposte più dettagliate. Le 62 proposte di progetto sono state nuovamente vagliate e valutate, giungendo a finanziarne 12 (con 3,4 milioni di euro, destinando 1 milione in più rispetto alla dotazione finanziaria iniziale), ovvero quelle ritenute maggiormente in linea con lo spirito dell’iniziativa. Cosenza: Franco Corbelli (Diritti Civili); la mamma di Cocò ha lasciato il carcere per casa-famiglia Agi, 31 gennaio 2014 Antonia Iannicelli, la mamma del piccolo Cocò (il bambino di 3 anni di Cassano Ionio, ucciso e bruciato insieme al nonno e ad una donna marocchina), ha lasciato il carcere di Castrovillari e dal primo pomeriggio ha potuto riabbracciare le sue due bambine, di 4 e 5 anni, nella casa famiglia dove sono ospitate assieme ai tre cuginetti e agli zii Simona e Giuseppe Iannicelli e Roberto Pavone (marito di Simona). Dopo la Corte di appello anche il Tribunale dei Minori ha concesso oggi i domiciliari. A dare la notizia è Franco Corbelli, del movimento Diritti Civili, che da oltre un anno sta aiutando i genitori del piccolo Cocò (il bambino che due anni fa, il 21 dicembre 2012, Diritti Civili era riuscito a far scarcerare insieme alla madre detenuti per oltre un mese nella Casa circondariale della città del Pollino). "Ho appena sentito al telefono la mamma del piccolo Cocò - dice Corbelli - appena arrivata nella casa famiglia. Era serena e contenta (pur nel suo immane, indelebile dolore) di aver potuto riabbracciare le sue bambine che l’aspettavano con ansia. L’hanno abbracciata forte e le hanno chiesto di non lasciarle mai più. Antonia Iannicelli ha voluto ringraziarmi, anche se non ce n’era assolutamente bisogno. Sono commosso e contento. Dopo aver a lungo combattuto, aver contribuito a far uscire dal carcere e riportare la giovane mamma del piccolo Cocò dalle sue due sorelline, è per me motivo di commozione e gioia. Adesso posso fermarmi e riprendere le altre mie battaglie. Anche se continuerò sempre ad aiutare questa sfortunata famiglia. Ringrazio la stampa, in particolare chi ha tenuto accesi, ogni giorno, i riflettori su questo dramma umano e ha sempre dato spazio agli appelli e alle iniziative di Diritti Civili per aiutare e salvare la mamma del piccolo Cocò". Corbelli venerdì pomeriggio era andato a trovare le sorelline del piccolo Cocò, i cuginetti e gli zii nella casa famiglia. Martedì aveva incontrato in carcere i genitori del piccolo Cocò. Oggi ha recapitato al Papa la lettera che hanno indirizzato al Pontefice i genitori del bambino ucciso e che gli hanno consegnato in occasione dell’incontro in carcere. La scarcerazione della mamma del piccolo Cocò era stata chiesta con un appello sottoscritto da tutti i detenuti e le detenute del carcere di Castrovillari e indirizzato e recapitato a Corbelli. Televisione: "Giovani a rischio"; intervista a Luisella Costamagna… in tv con i miei ragazzi difficili di Rocco Di Blasi www.ilsalvagente.it, 31 gennaio 2014 Su "Crime Investigation", un network mondiale che ha fatto il suo esordio in Italia soltanto un mese fa, inizia una nuova avventura di Luisella Costamagna. E parte in una forma decisamente originale con "Beyond Scared Straight", una serie di documentari che in Italia saranno trasmessi col titolo di Giovani a rischio. 12 puntate di un’ora l’una, per altrettanti reportage girati e già andati in onda negli Stati Uniti, la cui visione sarà "accompagnata" dalla conduzione della Costamagna. La serie ha un’origine prestigiosa anche se lontana nel tempo: nel 1978 il film-documentario "Scared Straight" vinse l’Oscar per i documentari sociali. La voce narrante era quella di un grande attore, Peter Falk. Il regista era Arnold Shapiro, che è diventato poi il produttore della serie televisiva nata da quell’esperienza. Luisella, cosa vedrà il pubblico nelle 12 puntate? Il cuore è rappresentato dai programmi riabilitativi che i diversi Stati hanno deciso di adottare. Hanno caratteristiche diverse, ma ci sono ovunque dal Nord al Sud degli Stati Uniti. E coinvolgono "ragazzi a rischio", dagli 11 ai 18 anni, per fargli fare un’esperienza assolutamente diversa dalle solite. Far passare loro "un giorno in carcere per evitarglielo per tutta la vita". Come funziona? La delinquenza minorile negli Usa è più violenta rispetto a quella italiana, lì le gang giovanili sono armate, le pistole girano ovunque, allora il "programma riabilitativo" seleziona alcuni ragazzi che sono "border line", spacciano o rubano nei negozi o, semplicemente fanno assenze prolungate e ingiustificate a scuola (in alcuni Stati per queste c’è l’arresto) e li spedisce un giorno in galera. Si vuole far capire cosa rischiano davvero se proseguono sulla cattiva strada. Una sorta di "gita scolastica"? Altro che gita. La giornata ha un impatto fortissimo perché i ragazzi vengono immersi nella vita vera del carcere: la cella, le docce, i bagni, la mensa. In un caso, per accrescere il realismo, sono stati portati in galera ammanettati in un furgone blindato, come se fossero stati davvero arrestati. Negli Stati Uniti ci sono 25.000 detenuti in isolamento, con una sola ora "d’aria" al giorno. In una delle puntate si vede che i detenuti devono passare anche l’ora di libertà dentro una gabbia metallica. Spaventoso. Ma questo "trattamento" rappresenta un deterrente sufficiente per ragazzi a rischio come questi? C’è una statistica che mi ha confortata: soltanto il 10% è recidivo, il 90% capisce la lezione. I tuoi dati sono chiari, ma non danno una percezione troppo semplicistica del mondo? Per capirli occorre conoscere la durezza e l’irrevocabilità, per molti versi, del sistema giudiziario e penitenziario americano. Ci sono ragazzi che hanno ucciso a 15 anni e si sono presi l’ergastolo e da lì non si esce, non esistono "sconti". La tagliola del "terzo reato" in alcuni Stati è micidiale: c’è chi ha rubato 40 dollari e ha subito una condanna a 50 anni e deve scontarla perché non c’è quella che da noi si chiama la "sospensione condizionale della pena". Ma cosa possono insegnare a questi giovani delle persone spesso condannate per più di un omicidio? Molto. Questi incontri sono gestiti dalla polizia carceraria e da prigionieri che raccontano la loro storia. Ci sono momenti collettivi e anche dei faccia a faccia. Ce n’è uno che mi ha colpita molto. Dice il detenuto a un ragazzo: "Io ero come te, ho ucciso a 15 anni e mi sono preso l’ergastolo". E sembra di vedere due vite allo specchio, una sorta di angosciosa "sliding doors". E i genitori come la prendono? È vero che ogni esperienza dura un giorno solo, ma la puntata è una "narrazione". Spesso si vedono genitori disperati all’inizio, che poi alla fine sono sollevati. Ai ragazzi poi si chiedono delle promesse di cambiamento e dopo qualche tempo si verifica se e quanto le hanno mantenute. Il video mostra anche questi passi avanti. Ora che ti sei fatta tutto il viaggio, qual è l’esperienza che ti ha colpita di più? Ci sono due puntate girate in due carceri femminili, che sono le peggiori di tutte. Un terzo delle donne rinchiuse lo è, infatti, per crimini violenti. Si vedono donne feroci, spietate con le ragazze che poi, negli incontri individuali, diventano madri o sorelle affettuose per salvare loro la vita. In un altro episodio i ragazzi sono stati tenuti dentro, per volere dei genitori, anche la notte. È stato un vero e proprio choc, anche perché hanno subito l’interruzione del sonno: svegliati ogni ora, poi lasciati riaddormentare, quindi svegliati ancora. Un altro momento tremendo è stato nel braccio della morte di San Quintino, dove ci sono 100 detenuti in attesa di esecuzione e i ragazzi hanno potuto toccare con mano le celle d’isolamento". Infine: quanto sono lontani questi Usa dall’Italia? Difficile fare le differenze. Quello che spesso non capiamo da film e fiction sui ragazzi Usa è che non sono Hanna Montana. Ci sono quelli che a 11 anni escono di casa e ai genitori che chiedono dove vanno rispondono con strafottenza: "Non lo so". O quelli che prendono la mazza da baseball e sfasciano la loro cameretta. Programmi riabilitativi come questi sono duri ma offrono loro una "seconda chance". Immigrazione: Manconi (Pd): i Cie sono luoghi orribili, privi di senso e di efficacia… vanno chiusi La Presse, 31 gennaio 2014 Quella dei Cie è una "situazione che definirei desolata. È un luogo alla lettera insensato, perché privo di senso oltre che di efficacia per il fine per il quale è stato realizzato". Lo ha detto ai microfoni di Rai News 24 il senatore Pd Luigi Manconi, da sempre in prima linea per i diritti dei detenuti, commentando la protesta del Cie di Ponte Galeria, alle porte di Roma, dove 13 migranti in sciopero della fame e della sete hanno ancora la bocca cucita, sottolineando che si tratta di "luoghi orribili" che "vanno chiusi". Manconi ha raccontato la vicenda di "Ali e Alia, una coppia di coniugi sposati in Tunisia, lui 34 lei 29 anni. Nel paese di origine, dove hanno abitato fino a novembre, hanno subito una serie lunga di minacce. I familiari di lei non apprezzavano la scarsa fede religiosa di lui. Abbiamo potuto vedere - ha continuato - le cicatrici sul suo corpo, in particolare sull’avambraccio presenta una profonda ferita per i tentativi di difendersi dalle coltellate. Per coronare il sogno d’amore hanno attraversato il mare e sono finiti nel Cie di Ponte Galeria". Immigrazione: Dossier Caritas-Migrantes; stranieri in carcere soprattutto per reati di droga Agi, 31 gennaio 2014 A portare in carcere gli stranieri sono i reati sulla droga (26,6 per cento) che prevalgono leggermente su quelli contro il patrimonio (25,1 per cento); seguono poi i reati contro la persona e quelli contro la pubblica amministrazione. Lo rileva il Rapporto Caritas-Migrantes presentato ieri. Dai dati emerge "una tendenza all’incremento tutto sommato contenuto che si è registrato sia fra le denunce ascritte agli stranieri (276.640 nel 2011) che al numero dei detenuti (23.000) soprattutto se paragonati all’incremento della popolazione residente. Fra la popolazione carceraria straniera, maggiormente concentrata in Lombardia, Lazio, Piemonte e Toscana (in cui vi è, invece, la maggior presenza di stranieri detenuti in regime di semi-libertà), il Rapporto rileva come le nazionalità più rappresentate siano la marocchina (18,9 per cento), la romena (16 per cento), l’albanese (12,4 per cento) e la tunisina (12,2 per cento). La nazionalità romena prevale anche fra le detenute, seguita dalla nigeriana. Il Rapporto dei due organismi sottolinea che "gli stranieri occupano, anche nella criminalità, posizioni di prevalente manovalanza commettendo i reati meno remunerativi, ma più visibili, o comunque diretti a procurare un vantaggio economico immediato; si tratta, per lo più, di una devianza ricollegata alla precarietà delle condizioni di vita e patrimoniali". Inoltre, e non è un fatto irrilevante, "la maggior parte delle azioni criminose commesse da stranieri appartiene alla sfera della criminalità diffusa, quella che si sviluppa in strada, nei luoghi pubblici o all’aperto". Immigrazione: a Milano il Cie di Via Corelli resta chiuso, lavori ancora da terminare di Zita Dazzi La Repubblica, 31 gennaio 2014 Doveva riaprire sabato prossimo, ma il Centro di identificazione ed espulsione di via Corelli restera sbarrato. La prefettura, che un mese fa aveva comunicato la chiusura per la necessità di rimettere a nuovo un’ala della struttura, ieri ha annunciato che "i lavori non sono stati completati" e che dunque "la riapertura è rimandata a data da destinarsi". Nessuno in corso Monforte si sbilancia a dire se e quando verrà effettivamente rimesso in funzione il Cie di Milano, che ha 130 posti e un curriculum infinito di rivolte e incendi fin dalla sua inaugurazione, nel 2001, ancora ai tempi della prima legge sull’immigrazione. Fu la Turco-Napolitano infatti ad istituire i Cie, che oggi un vasto fronte di forze politiche anche di governo, a partire dal Pd, propone di chiudere. Al momento non è stata presa alcuna decisione a livello nazionale, anche se un primo passaggio è stato fatto con l’abolizione del reato di clandestinità. Ma dalla prefettura l’unica cosa che si riesce a sapere è che "non sono nemmeno state completate le procedure della gara d’appalto per aggiudicare la nuova gestione". La Croce Rossa che ha gestito il Cie fino alla fine del 2013 si è chiamata fuori. "Abbiamo terminato il contratto al fine dicembre, con un mese di anticipo -spiega Antonio Arosio, responsabile provinciale della Cri-. Avevamo manifestato comunque la nostra intenzione di non proseguire l’attività, fondamentalmente per aspetto economico. Il ministero degli lnterni offre condizioni non in linea con le nostre spese". Arosio non nega che comunque la Cri si vuole tirare fuori da questa partita, a Milano come nel resto del Paese: "Dal punto di vista gestionale, la nostra attività è destinata a ridursi in tutta ltalia perché siamo più favorevoli a prestare servizio in strutture di accoglienza che di detenzione, come sono i centri simili a via Corelli, luoghi ormai anacronistici". Delle decisioni che stanno maturando sul futuro dei grande centro di identificazione —blindato come un carcere e sovrastato dalla tangenziale est— nulla si sa in Comune. L’assessore alla Sicurezza Marco Granelli, pur avendo passato la mattinata in prefettura, non è stato nemmeno avvisato della posticipazione dell’apertura. L’assessore al Welfare Piefrancesco Majorino, da parte sua, reitera l’appello: "Abbiamo chiesto al governo di non provvedere mai più alla riapertura del Cie di via Corelli. Non si possono piangere i morti di Lampedusa e ignorare la necessità di rivoluzionare il sistema di accoglienza dei vivi. Chiediamo che la struttura diventi un centro d’accoglienza, il Comune è pronto a fare la sua parte". Francia: il killer evaso Bartolomeo Gagliano dà il suo consenso all’estradizione in Italia La Stampa, 31 gennaio 2014 Attualmente detenuto in Francia Gagliano ieri ha confermato la volontà a tornare in Italia per scontare il residuo della sua pena. Bartolomeo Gagliano, ritenuto responsabile di almeno 3 delitti oltre che di numerosi altri reati ha dato il suo consenso all’estradizione in Italia. Il pluriomicida savonese si trova adesso in Francia dopo essere evaso da un permesso premio il 18 dicembre scorso, infatti, era stato catturato a Mentone dopo tre giorni di latitanza. L’udienza si è tenuta ieri ad Aix en Provence e per Gagliano era presente in rappresentanza del suo legale Mario Javicoli l’avvocato marsigliese Joseph Falbo. La Corte ha preso atto del consenso di Gagliano e deciderà a breve nel merito della questione estradizione, l’imputato aveva, ad ogni modo, già espresso la disponibilità a tornare in carcere in Italia dove oltre ad un residuo di pena e ad un nuovo processo dovrà scontare una condanna per una violenza sessuale per la quale era stato condannato nel 2005. La sensazione pare essere, tuttavia, quella che il pluriomicida verrà trattenuto in Francia per scontare tutta o buona parte della condanna, 10 mesi, che gli è stata inflitta il 23 dicembre per detenzione di armi e falsificazione della carta di identità, mentre la decisione sull’estradizione verrà presa in seguito. Stati Uniti: il Presidente Obama cerca detenuti da graziare, condannati per casi non gravi di droga Tm News, 31 gennaio 2014 Obama cerca detenuti da graziare. La Casa Bianca è da tempo al lavoro per commutare le condanne eccessivamente severe nei casi meno gravi legati alle sostanze stupefacenti. Per questo, sta compiendo un passo senza precedenti incoraggiando gli avvocati difensori a suggerire i detenuti che potrebbero ricevere un provvedimento di clemenza da parte del presidente Barack Obama, uscendo così di prigione. Parlando davanti agli avvocati di New York, il vicesegretario alla Giustizia, James Cole, ha detto che il dipartimento vorrebbe consegnare alla Casa Bianca più candidature per un atto di clemenza. "E in questo ci potete aiutare" ha detto. I funzionari delle carceri stanno già diffondendo la notizia tra i detenuti per reati non gravi, in modo che possano valutare la possibilità di presentare la richiesta per la clemenza. La politica della clemenza fa parte dello sforzo dell’amministrazione di porre fine alle discrepanze cominciate decenni fa con l’ampia diffusione del crack. I reati connessi alla sostanza stupefacente largamente diffusa tra gli afroamericani sono stati puniti con condanne più dure rispetto a quelli legati alla cocaina in polvere, solitamente consumata da bianchi e persone benestanti. Secondo il New York Times, in alcuni casi ci sarebbe stata una disparità di 100 a 1 tra le sentenze legate alle due sostanze; l’inasprimento delle condanne ha portato all’aumento dell’800% nel numero dei detenuti negli Stati Uniti. Il Congresso ha eliminato questa disparità nel 2010; a dicembre, Obama ha commutato le condanne di otto detenuti giudicati con le vecchie norme. "Ci sono ancora condannati per reati non gravi che rimangono in prigione e che avrebbero probabilmente ricevuto una condanna molto più bassa se fossero stati giudicati per lo stesso reato oggi" ha detto Cole. "Non è giusto - ha concluso - e danneggia il nostro sistema giudiziario". Testimoniando a Capitol Hill, il segretario alla Giustizia, Eric Holder, ha detto che il Bureau of Prisons, che amministra le prigioni americane, consuma il 30% del budget del dipartimento. Ucraina: presidente parlamento firma legge amnistia, ma per l’opposizione non porterà miglioramenti Ansa, 31 gennaio 2014 Il presidente del parlamento ucraino Volodimir Ribak ha firmato la legge d’amnistia per i manifestanti antigovernativi approvata ieri notte in aula e che prevede la liberazione degli arrestati solo se saranno liberati gli edifici pubblici occupati. L’opposizione - che voleva un’amnistia "senza condizioni" - ha aspramente criticato la legge, che per entrare in vigore deve essere ancora firmata dal presidente Viktor Ianukovich (da oggi in congedo per malattia) e pubblicata sulla Gazzetta ufficiale. Opposizione: legge su amnistia peggiorerà la situazione La legge sull’amnistia ai dimostranti in Ucraina, approvata ieri e condizionata allo sgombero degli edifici governativi occupati, "renderà soltanto la situazione sociale più calda, invece di abbassare la temperatura". Lo ha dichiarato Vitali Klitschko, uno dei leader dell’opposizione, secondo quanto riporta il Kiev Post citando il coordinamento delle proteste EuroMaidan. L’ex pugile ha aggiunto che l’opposizione sta tentando di ottenere il rilascio dei dimostranti. Dichiarazione simile sulla legge è arrivata anche da Oleh Tiahnybok, leader del partito nazionalista Svoboda: sino a quando non saranno state accontentate tutte le principali richieste dell’opposizione, questa continuerà a combattere e a rappresentare le istanze della piazza. Brasile: Corte suprema; carceri infernali, indegne di esseri umani, ma i politici non se ne interessano Ansa, 31 gennaio 2014 Il presidente del Supremo tribunale federale brasiliano, Joaquim Barbosa, ha espresso dure critiche al sistema carcerario nazionale, che ha definito "un inferno" sotto il controllo delle gang di narcotrafficanti "del Primero comando da Capital e del Comando Vermelho". "Le carceri brasiliane sono inadatte per gli esseri umani. Lo scorso anno ne ho visitate alcune e la parola più adatta per definirle è: orrore. I politici non si interessano delle carceri perché le carceri non garantiscono un ritorno, non portano voti", ha detto Barbosa, primo nero ad assumere la presidenza della Corte suprema brasiliana, nel corso di un incontro con gli studenti del King’s College di Londra. La denuncia di Barbosa ha un ampio risalto sulla stampa brasiliana. Venezuela: 500 morti nelle carceri nel 2013, comunque il 14% in meno rispetto all’anno precedente Ansa, 31 gennaio 2014 Sono 506 i detenuti deceduti nelle carceri del Venezuela nel 2013, il 14 per cento in meno rispetto all’anno precedente. Lo sostiene nel suo rapporto annuale la Ong Osservatorio Venezuelano delle Prigioni (Ovp), secondo cui "è comunque un numero ancora troppo elevato". Secondo lo studio, 616 detenuti sono rimasti feriti in ammutinamenti, risse e altri incidenti. Inoltre, nel 2013 il sovraffollamento è aumentato del 20 per cento: gli istituti con una capacità di 16.189 prigionieri ospitano attualmente 53.566 carcerati.