Giustizia: amnistia-indulto; in Commissione al Senato ripreso l’esame dei quattro ddl di Calogero Giuffrida Blasting News, 30 gennaio 2014 Mentre alla Camera dei Deputati viene rinviata a data da destinarsi - a causa del protrarsi del dibattito per la conversione in legge del decreto Imu-Bankitalia - la discussione generale sul messaggio alle Camere di Giorgio Napolitano relativo all’emergenza carceri, al Senato della Repubblica riprende l’esame dei quattro ddl per la concessione di indulto e amnistia. In commissione Giustizia a Palazzo Madama, infatti, è ripreso oggi l’esame congiunto del ddl 20 presentato dal senatore Luigi Manconi (Pd), presidente della commissione parlamentare dei Diritti umani, che è stato connesso ai ddl 21, 1081 e 1115 rispettivamente presentati dai senatori Compagna, Barani, Buemi più altri. Tutti e quattro i disegni di legge prevedono al concessione di indulto e amnistia, i provvedimenti di clemenza generale chiesti più volte dal Capo dello Stato Giorgio Napolitano, dal ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri e chiesti anche dal primo presidente della Suprema Corte di Cassazione Giorgio Santacroce in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2014 per far fronte entro maggio alle richieste che arrivano dall’Europa dopo la condanna dell’Italia da parte della Corte di Strasburgo per le condizioni degradanti e inumane nelle carceri. I relatori dei ddl su amnistia e indulto alla commissione Giustizia del Senato, presieduta da Francesco Nitto Palma, sono i senatori Ciro Falanga (Forza Italia) e la senatrice Nadia Ginetti (Partito democratico). Nella seduta di mercoledì 29 gennaio è proseguito l’esame congiunto dei quattro ddl per indulto e amnistia con la discussione generale nel corso della quale sono intervenuti e il sottosegretario alla Giustizia Cosimo Ferri - secondo il quale solo l’indulto non basterebbe contro il sovraffollamento carceri se non viene accompagnato da un provvedimento di amnistia - e la senatrice Monica Cirinnà del Pd di Matteo Renzi in cui è molto acceso il dibattito su indulto e amnistia con il segretario fortemente contrario e molti parlamentari del suo partito a favore e anzi promotori di ddl e manifestazioni. La discussione dei ddl per indulto e amnistia è rinviata a giovedì 30 gennaio. Giustizia: Vietti (Csm); subito la riforma, servono soluzioni alternative alla pena detentiva di Pietro Perone Il Mattino, 30 gennaio 2014 Riforma anche per la Giustizia? Se lo augura Michele Vietti, vice presidente del Consiglio superiore della magistratura, che consiglia ai partiti di non puntare troppo in alto perché "più si annuncia grande", più si corre il rischio di una riforma "vaga e irrealizzabile". Ma Vietti annuncia che sta per arrivare una novità sulla produttività delle toghe: "Stiamo lavorando con il ministero - conferma - agli standard di rendimento. Una nuova stagione riformatrice deve mettere al centro la tempestività e l’efficienza della risposta: la giustizia come servizio ai cittadini più che come potere". Modificata la legge elettorale toccherà al moloch dell’ultimo ventennio, la Giustizia? Lo auspica Michele Vietti, vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, che però consiglia ai partiti di non puntare troppo in alto perché "più si annuncia grande", più si corre il rischio di mettere a punto una riforma "vaga e irrealizzabile". Nel frattempo Vietti spiega che sta per arrivare una novità sulla produttività delle toghe: "Stiamo lavorando con il ministero - conferma - agli standard di rendimento". Anche lo staff di Renzi sarebbe al lavoro sulla riforma della giustizia: ci sono le condizioni per un’accelerazione, come quella che c’è stata sulla legge elettorale? "Di riforma della giustizia si parla da almeno due decenni: più si annuncia "grande" più diventa vaga e irrealizzabile. La condizione di estrema difficoltà in cui versa il sistema giudiziario è nota a tutti e imporrebbe non pannicelli caldi ma ricette radicali. Bisogna però intendersi su quale il livello di intervento. Per molte legislature si sono annunciate "riforme epocali", anche di rango costituzionale che, toccando in vario modo l’assetto istituzionale della magistratura nei suoi rapporti con gli altri poteri dello Stato, hanno suscitato infinite discussioni e polemiche, finendo nel nulla. Una nuova stagione riformatrice deve mettere al centro la tempestività e l’efficienza della risposta: la giustizia come servizio ai cittadini più che come potere. Da questo punto di vista i temi su cui intervenire non mancano: dalla riduzione dei gradi di giudizio, ai sistemi alternativi di risoluzione delle liti civili, alla revisione della prescrizione e del numero dei reati. Se Renzi dimostrerà in materia di giustizia la stessa determinazione dimostrata sulla legge elettorale forse sarà possibile rianimare il malato con un elettroshock", Dopo le intercettazioni, le registrazioni "personali" del caso De Girolamo: ormai siamo ben oltre il Grande Fratello e la politica tace. Che fare? "Fare, innanzitutto. E possibilmente smettere dì lamentarsi di fronte all’ennesimo episodio di cronaca che sbatte il "privato" in prima pagina. Sono almeno tre legislature che ci si accapiglia sul bavaglio alla stampa, sugli ostacoli alle investigazioni e sui limiti della privacy. Forse è venuto il momento di trovare un ragionevole equilibrio tra queste tre dimensioni e salvaguardare almeno il diritto alla riservatezza dei terzi estranei alle indagini". La vicenda Scajola: lapidato mediaticamente e poi assolto: come arginare i processi in piazza? "Il caso presenta profili diversi che si incrociano: quello politico, che ha determinato le dimissioni del ministro ben prima dell’iniziati va giudiziaria nei suoi confronti; quello mediatico, che tocca l’eterno problema dei limiti delle inchieste giornalistiche e che sconta difetti di comunicazione nell’autodifesa; quello processuale che, allo stato, ha escluso la responsabilità penale". Ricerca della notorietà: male endemico della magistratura, italiana? "Il modello di magistrato che preferisco è quello che parla con i suoi provvedimenti e non cerca la ribalta del palcoscenico. L’attività giudiziaria non può essere ricondotta all’iniziativa del singolo, ma è il risultato faticoso e costante di una macchina organizzativa che si inserisce nel più generale buon andamento della pubblica amministrazione. Alla giustizia non servono solisti che peraltro rischiano le stecche. Servono coristi in grado di seguire uno spartito che produca una melodia. Solo questo può garantire quella tempestività e prevedibilità della risposta giudiziaria che connotano un servizio affidabile e tranquillizzante per ì cittadini e in particolare per gli operatori economici". Ammette dunque che c’è un problema dì credibilità delle toghe? "La credibilità nasce quando la sentenza è fondata su un’interpretazione del diritto che non urti il buon senso e l’equilibrio: è credibile un atto che venga percepito come l’espressione di una sintesi. Ogni interprete di buona fede, anche se di diverso avviso, deve poterne percepire il fondamento razionale e misurarne le ricadute. Immaginare che il giudice possa essere sganciato completamente dall’esigenza di verificare quel che fa attraverso quel che provoca significa negarne il compito". A quando controlli anche sul rendimento dei magistrati? "Stiamo lavorando con il ministero della giustizia agli standard di rendimento dei magistrati. Il compito non è facile perchè il lavoro giudiziario è particolare e ogni procedimento è diverso dall’altro. Le medie statistiche devono essere ben ponderate ciò consentirà di monitorare con maggiore precisione la reale produttività dei magistrati e di conseguenza distribuire meglio carichi di lavoro e risorse esistenti. Sapere quanto e come lavora un magistrato non è una curiosità poco rispettosa; è indispensabile per valutarne in modo oggettivo la carriera. Ciò deve consentire anche di eliminare quelle sacche improduttive che penalizzano chi fa il proprio dovere e l’intero servizio". Indulto o amnistia? "La situazione delle nostre carceri è nel mirino dell’Europa che ci accusa di trattamento inumano. Occorrono interventi strutturali che riducano la generale criminalizzazione dei comportamenti e offrano soluzioni alternative alla sola pena detentiva. È vero perché per farlo ci vuole tempo, anche se prima o poi bisognerebbe cominciare se si vuole davvero arrivare da qualche parte. Le soluzioni emergenziali possibili sono l’indulto e l’amnistia o anche solo uno dei due. Il Primo Presidente della Cassazione ha detto solo pochi giorni fa: "non c’è altra via che l’indulto". L’avvocatura italiana e soprattutto quella napoletana nuovamente sul piede di guerra sulla nuova geografia giudiziaria: chi sbaglia il ministro o gli avvocati? "L’accorpamento delle sezioni distaccate e di alcuni, pochi, tribunali è ormai un dato di fatto e combatterlo è una battaglia contro i mulini a vento. Il Csm ormai da quasi un anno non copre gli organici degli uffici soppressi, non ne nomina ì direttivi e ha disposto le modalità dì trattazione dei fascicoli trasferiti nelle sedi accorpanti. Pensare di tornare indietro equivarrebbe a ripristinare " sezioni fantasma" oltre ad interrompere il circuito virtuoso della razionalizzazione della geografia giudiziaria. La riforma porterà risparmi di spesa, economia di scala e specializzazione nella risposta di giustizia. Mi auguro che la proroga temporanea concessa alle sezioni insulari sia davvero l’eccezione che confermala regola. Giustizia: Gozi (Pd); calendarizzare subito dibattito rinviato su messaggio Napolitano Public Policy, 30 gennaio 2014 "La drammatica condizione di illegalità in cui versa il Paese in materia di giustizia va affrontata con urgenza. Occorre calendarizzare il dibattito parlamentare sul messaggio del presidente della Repubblica il più presto possibile. Anche perché, senza una forte iniziativa riformatrice e uno sforzo congiunto di governo e parlamento, non potremo rispettare la scadenza del 28 maggio, con la messa in mora del nostro Paese da parte dell’Europa per effetto della sentenza della Corte europea dei diritti umani sul caso Torreggiani". Lo dice in una nota il deputato Pd e presidente della delegazione italiana al Consiglio d’Europa, Sandro Gozi. Sappe: rinvio dibattito sintomatico disinteresse politica "Il rinvio a data indefinita dell’annunciato dibattito alla Camera dei Deputati sui contenuti del messaggio del Capo dello Stato sui temi penitenziari non è una buona notizia. Conferma anzi il disinteresse del Parlamento sulla grave emergenza e sull’invivibilità delle condizioni delle carceri italiane". Lo dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, il primo e più rappresentativo della Categoria. Il Sappe, che in più occasioni si è detto scettico sulle possibilità che il Parlamento possa votare un provvedimento di clemenza come l’amnistia e l’indulto, sottolinea una volta di più come "la situazione resta allarmante, anche se gli uomini e le donne della Polizia Penitenziaria garantiscono ordine e sicurezza pur a fronte di condizioni di lavoro particolarmente stressanti e gravose. Amnistia e indulto da soli non bastano: serve una riforma strutturale dell’esecuzione della pena. Eppure la Camera dei Deputati non solo risolve questi problemi: neppure inizia un dibattito". "Il Parlamento, su questo scandalo delle sovraffollate carceri italiane nelle quali il 40% dei detenuti è in attesa di un giudizio definitivo, ignora persino l’autorevole messaggio del Capo dello Stato dell’8 ottobre scorso" conclude il leader del Sappe. Noi ribadiamo di non credere che amnistia e indulto, da soli, possano risolvere le criticità del settore carceri. Quello che serve sono vere riforme strutturali sull’esecuzione della pena. La realtà oggettiva è che le carceri restano invivibili, per chi è detenuto e per chi ci lavora. E neppure la vigilanza dinamica, voluta dai vertici dell’amministrazione penitenziaria e dal Capo del Dap Giovanni Tamburino in primis, ha migliorato la situazione". Giustizia: le Regioni chiedono il rinvio al 2017 della chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari di Stefano Cecconi, Giovanna Del Giudice (Comitato StopOpg) Ristretti Orizzonti, 30 gennaio 2014 La Conferenza delle Regioni ha proposto un emendamento alla legge "Mille proroghe" con cui chiede di rinviare al 1 aprile del 2017 la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. La motivazione ufficiale in sintesi: non sono pronte le Rems, i cosiddetti mini Opg regionali, le Residenze in cui eseguire le misure di sicurezza detentive. Rinviare ancora una volta la chiusura degli Opg - luoghi "indegni per un paese civile", come li ha definiti il Presidente Napolitano - è grave in sé, ma riteniamo sia intollerabile con una simile motivazione. Ribadiamo che il problema non è il ritardo nella costruzione delle REMS, quanto piuttosto il fatto che così facendo la chiusura degli attuali Opg determinerebbe solo la "regionalizzazione" degli stessi. Per di più nelle REMS programmate dalle regioni sono previsti mille posti, più degli attuali internati. Pur convinti che senza modifiche del Codice Rocco, alla base della misura di sicurezza detentiva in Opg, non si possa affermare sconfitta la logica del doppio binario, che separa il destino del "folle reo" dai "sani" (come al tempo dei manicomi), sappiamo che oggi il problema va affrontato: - attraverso il rafforzamento di una cultura della responsabilità e della presa in carico delle persone internate, da parte dei dipartimenti di salute mentale, insieme ad una aumento delle risorse verso gli stessi. - attraverso l’applicazione da parte della magistratura delle sentenze della Corte Costituzionale del 2003 e 2004 che favoriscono le misere alternative all’internamento. Per questo stopOPG insiste nel chiedere lo spostamento del finanziamento della Legge 9/2012 e dell’attenzione dei programmi regionali a favore dei "percorsi terapeutico - riabilitativi" , che assicurino il diritto alle cure e al reinserimento sociale. Questo significa orientare i finanziamenti verso i Dipartimenti di Salute Mentale nei budget di salute. Ecco perché una ulteriore proroga della chiusura degli Opg è inaccettabile senza introdurre precisi vincoli di legge che favoriscano le dimissioni e le misure alternative alla detenzione e pongano fine alle proroghe delle misure di sicurezza spesso motivate dalla mancanza di presa in carico da parte dei servizi nel territorio. Emendamento ex Opg "Al comma 4 dell’articolo 3-ter della legge 17 febbraio 2012, n. 9, sono apportate le seguenti modificazioni: le parole: "1 aprile 2014" sono sostituite dalle seguenti: "1 aprile 2017". Motivazione L’art. 3-ter della L. n. 9/2012 stabiliva il 1 febbraio 2013 quale termine ultimo per il completamento del processo di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari. Con la legge n. 57/2013 (art. 1 comma 1 lett. b) del decreto-legge 25 marzo 2013, n. 24) il termine di cui sopra è stato sostituito stabilendo altresì che "Dal 1° aprile 2014 gli ospedali psichiatrici giudiziari sono chiusi…". Nonostante il fatto che le Regioni abbiano presentato, entro i ristretti termini assegnati (15 maggio 2013), i programmi per la realizzazione delle strutture sanitarie alternative agli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, le stesse non saranno in grado di poter nemmeno avviare nei pochi mesi rimasti, le procedure di gara per la scelta del progettista e dell’impresa esecutrice dei lavori. Per tale motivo risulta necessaria una proroga di almeno quattro anni per realizzare le strutture alternative agli ex O.P.G. consentendo la chiusura definitiva di quest’ultimi. Giustizia: dagli Stati Uniti proposte per risolvere i problemi di sovraffollamento delle carceri www.ilpost.it, 30 gennaio 2014 L’ex direttore del New York Times mette insieme le proposte più promettenti tra quelle che circolano negli Stati Uniti, e alcune di queste possono interessarci. Bill Keller, ex direttore e ora columnist del New York Times, ha scritto un articolo in cui fa il punto sulle nuove strategie proposte e adottate da alcuni stati americani per risolvere il problema del sovraffollamento nelle carceri americane e limitare la recidiva. Keller spiega che negli ultimi anni l’atteggiamento dell’opinione pubblica verso le carceri è cambiato, anche grazie alla generale diminuzione dei reati commessi. Molte persone pensano che "il sovraffollamento delle carceri sia uno spreco di vite e denaro": il costo annuale per mantenere un detenuto è pari alla retta per una buona università, e le persone scarcerate hanno difficoltà a reinserirsi nella società e cadono in un circolo vizioso di crimine e povertà. Sempre più americani sono favorevoli a utilizzare pene alternative - come gli arresti domiciliari - per i reati meno gravi e i detenuti non pericolosi. Anche gli stati si stanno attrezzando per risolvere il problema del sovraffollamento: l’anno scorso 13 stati hanno chiuso prigioni e negli ultimi tre anni la popolazione carceraria è diminuita. Dopo aver discusso con alcuni esperti di giustizia criminale, Keller suggerisce diverse alternative considerate generalmente promettenti: sono pensate ed esposte in relazione al contesto statunitense, ma molte di queste possono suggerire riflessioni anche in Italia, dove la questione delle carceri e del loro scandaloso sovraffollamento entra ed esce periodicamente dal dibattito pubblico. Cambiare le leggi sulle condanne Dagli anni Settanta gli Stati Uniti hanno adottato un approccio particolarmente duro, soprattutto per combattere la diffusione dell’uso di crack e la conseguente paura che ne era nata. Furono approvate leggi come il mandatory sentence, che per alcuni reati - soprattutto legati alla droga - impongono al giudice l’applicazione della condanna più severa possibile. La durata delle condanne è stata aumentata anche dalla "legge dei tre strike" (il nome deriva dal baseball), che obbliga il giudice a comminare pene più dure a chi è stato condannato a un reato per la terza volta, e dall’obbligo che un detenuto sconti l’85 per cento della pena. Queste leggi sono applicate soprattutto per i reati di droga e quando gli imputati sono neri, provocando un notevole aumento della popolazione carceraria nonostante il recente calo del crimine: tra il 1984 e il 2008, per esempio, il numero di persone condannate all’ergastolo è quadruplicato, arrivando a oltre 140 mila detenuti. Questo sistema comporta anche che molte persone restino in carcere a lungo anche se non sono più pericolose o dannose per la società e negli ultimi tempi alcuni stati e città - come New York e la California - hanno provato a modificare e ammorbidire queste leggi. I pubblici ministeri si oppongono però a questi tentativi dato che utilizzano spesso la minaccia di lunghe pene per ottenere in cambio la cooperazione degli imputati. Cambiare il sistema di controllo e sostegno Per ogni detenuto nelle prigioni statali e federali, ce ne sono altri due in libertà vigilata sotto la sorveglianza di assistenti sociali. Questi ultimi sono sottopagati e costretti a seguire un numero eccessivo di casi, finendo per limitarsi a registrare le volte che i detenuti sgarrano fino al frequente ritorno in carcere. Alcuni comuni stanno cercando di rendere il tempo della libertà vigilata utile al reinserimento nella società dell’ex detenuto: hanno tolto gli assistenti sociali dagli uffici e li hanno mandati nelle comunità a occuparsi soprattutto delle persone più a rischio di recidiva. Sono state anche introdotte nuove tecnologie per aumentare la supervisione, come le cavigliere GPS e un sistema di blocchi alle auto che si attiva in presenza di livelli pericolosi di alcol, per impedire di guidare a chi ha avuto problemi di alcolismo. Diversificare i tribunali Negli ultimi tempi sono stati aperti più di duemila tribunali speciali che si occupano solo di casi di droga, e che inviano i tossicodipendenti non violenti in clinica a curarsi anziché in carcere. Il loro esempio è stato seguito in altri campi, e sono nati tribunali specializzati per i veterani dell’esercito e per la violenza domestica, che cercano di risolvere i problemi oltre che dare una punizione al colpevole. Ridurre la recidiva Keller scrive che ogni anno negli Stati Uniti vengono scarcerate più di 650 mila persone: due terzi di loro sono arrestate nuovamente nel giro di tre anni. Ci sono numerosi programmi che cercano di offrire ai detenuti una possibilità di iniziare una nuova vita, trovare un lavoro e non restare poveri, senza casa e inclini a commettere altri reati. Alcuni prevedono una consulenza prima della scarcerazione, che coinvolge spesso i membri della famiglia. Nel frattempo è in corso una campagna che invita i datori di lavoro a eliminare nei curriculum la casella che chiede se il candidato ha avuto precedenti penali. Un’altra chiede di abrogare le norme che vietano a un ex detenuto di ottenere la licenza di barbiere o estetista. Polizia Un approccio mirato da parte della polizia ha permesso di ridurre la popolazione carceraria a New York, Chicago, Philadelphia, New Orleans e in altre città, e di ridurre nello stesso tempo i crimini violenti. Anziché fermare indiscriminatamente gli abitanti dei quartieri più malfamati, i poliziotti sono diventati più selettivi e si sono concentrati su singole zone - come gli angoli di spaccio della droga - e sui gruppi più violenti e pericolosi. Sono soluzioni applicabili su vasta scala? Keller scrive che il governo ha intensificato gli studi di tutti questi programmi, ma si tratta ancora di tentativi. Il movimento per la riforma per ora è ostacolato dalla mancanza di studi scientifici e dall’impazienza dell’opinione pubblica. Nel momento in cui il tasso di criminalità continuerà a salire, le persone si rivolgeranno nuovamente alle carceri come soluzione contro il crimine. La ricerca di alternative alle carceri è inoltre osteggiata dai procuratori, dai sindacati dei lavoratori che lavorano nelle carceri e dalle prigioni private (in cui vive circa il 9 per cento dei detenuti totali e che sono pagate in base al numero delle persone che ospitano). Altri sottolineano che questi programmi non risolvono il problema alla radice, ovvero i fattori che fanno proliferare i crimini: le comunità a rischio, la mancanza di buone scuole, case popolari degradate, i servizi insufficienti e la mancanza di lavoro. Keller risponde: "io sono favorevole a dare una mano a quelli intrappolati nel fondo della società. Ma nel frattempo, perché non provare a salvare alcune vite?". Giustizia: la Cancellieri va difesa dall’eventuale "rimpasto"… lo dimostra il caso Alessio Ricco Gli Altri, 30 gennaio 2014 Cancellieri sensibile solo al caso Ligresti? Non è così. E ai cento casi portati ad esempio dallo stesso ministro della Giustizia per dimostrare il suo interesse nei confronti di tutti i carcerati, da qualche giorno se ne aggiunge un altro. Il caso di Alessio Ricco. Emilio Quintieri, un giovane e combattivo esponente dei Radicali italiani, aveva inoltrato un appello al ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri per segnalarle la preoccupante condizione di salute di un giovane detenuto ammalato, allegando anche la lettera che Francesca Scornaienchi , moglie del recluso, aveva mandato al direttore del carcere. Le condizioni del detenuto (29 anni) sono incompatibili con il regime carcerario avendo l’artrite reumatoide, una malattia del sistema immunitario, invalidante e degenerativa: rischia di non poter camminare più. Dopo l’appello, il radicale e la deputata del Pd Enza Bruno Bossio si sono recati nel carcere "Ugo Caridi" di Catanzaro, esattamente dove "vegeta" il detenuto Ricco. E hanno potuto denunciare le condizioni vergognose e incivili della struttura; nel loro comunicato stampa congiunto, così l’hanno descritto: "A Catanzaro, i detenuti sono costretti a sopravvivere in una struttura fatiscente, in delle celle piccolissime, piene di muffa ed umidità e prive di riscaldamento. Inoltre, come se non bastasse, la struttura è invasa dai topi e non funzionano nemmeno le docce i cui locali sono completamente malridotti ed insalubri. Anche il personale di polizia penitenziaria che ha accompagnato la delegazione durante l’ispezione ha confermato le lamentele dei reclusi specialmente per quanto attiene la presenza numerosa dei roditori nell’istituto". Qualche giorno fa, il segretario del guardasigilli Edoardo Sottile, per conto della Cancellieri stessa, ha contattato telefonicamente sia la parlamentare democratica Enza Bruno Bossio che all’attivista radicale Emilio Quintieri per portarli a conoscenza dell’interessamento della ministra per la vicenda del detenuto Ricco. In particolare, Cancellieri, ha chiesto alla direzione del carcere di Catanzaro di avere ampie ed esaustive delucidazioni in ordine alle problematiche di salute del detenuto cetrarese ed ha dato incarico al dottor Francesco Cascini, vice capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria di seguire con attenzione il caso e di tenerla aggiornata. Eppure - vi ricordate? - Cancellieri è stata attaccata duramente per i suoi presunti favoritismi nei confronti degli amici potenti. Aveva appena finito di pronunciarsi a favore dell’amnistia, indulto e "umanizzazione" delle carceri, compreso l’abuso della custodia cautelare , che immediatamente sono spuntate le intercettazioni "fuoriuscite" dalla Procura di Torino riguardanti proprio lei: la "lady di Ferro". Stesso temperamento di Thatcher, ma per fortuna con sensibilità differente a proposito della condizione disastrosa delle carceri, in virtù della quale siamo pluricondannati dalla Corte Europea. Quella storia brucia ancora, anche perché spesso evocata quando si parla di rimpasto e si chiede la testa del ministro della Giustizia. Al telefono, il ministro Cancellieri a metà luglio dice alla compagna di Ligresti, Gabriella Fragni, un generico "qualsiasi cosa io possa fare - anche se davvero non saprei cosa - conta su di me". Un mese dopo, appreso del peggioramento delle condizioni di salute di Giulia Maria Ligresti, che era in custodia cautelare (meglio definito "carcere preventivo), si attiva e parla con i due vice capi del Dap, per sensibilizzarli sul fatto che la donna soffre di anoressia. Pochi giorni dopo Ligresti esce dal carcere e viene messa ai domiciliari. I giustizialisti di prim’ordine, ovvero Flores D’Arcais, Travaglio, Barbara Spinelli tramite il loro giornali come Micromega e il Fatto Quotidiano, hanno subito dopo sparato una serie di articoli velenosi per stimolare quell’indignazione a comando che serve a mantenere lo status quo. Chissà allora se questi fabbricanti dell’indignazione reazionaria avranno la decenza di raccontare anche questa telefonata della Cancellieri per aiutare un detenuto comune e in condizioni degenerative come Alessio Ricco. Giustizia: la prima risposta ai problemi sociali è diventata l’incarcerazione... di Angela Davis Gli Altri, 30 gennaio 2014 Quegli stessi problemi sono stati tutti raggruppati insieme nella categoria "criminalità". L’essere dei senza tetto, la disoccupazione, il disagio mentale, l’analfabetismo sono alcuni di questi problemi, che scompaiono dalla scena pubblica quando gli esseri umani che ne sono protagonisti vengono relegati e chiusi in una gabbia. E la pratica di far scomparire un vasto numero di persone dalle comunità dei poveri, degli immigranti e da quelle dei neri è diventata letteralmente un grosso affare economico. Quando si fa scomparire un gran numero di esseri umani per dare l’illusione di risolvere un problema sociale è necessario creare infrastrutture penali, merci e servizi devono essere resi disponibili per tenere viva la popolazione imprigionata. A volte bisogna trovare il modo di tenere questa popolazione impegnata mentre talvolta - soprattutto nei carceri di massima sicurezza- bisogna privarla di qualsiasi attività significativa. Tutto questo lavoro, che era una volta competenza primaria del governo, viene ora svolto da corporation private il cui legame con il governo nel campo che viene eufemisticamente chiamato della "correzione" è pericolosamente affine con il complesso militare industriale. I dividendi dell’industria della punizione, proprio come quelli derivanti dagli investimenti nella produzione di armi consistono fondamentalmente nella distruzione sociale. Tenendo dunque presenti le somiglianze strutturali e il legame tra questa industria e il governo, l’espansione del sistema penale si può caratterizzare come un "Complesso industriale delle prigioni". Quasi due milioni di persone sono oggi rinchiuse nell’immensa rete carceraria americana. Circa cinque milioni - inclusi coloro che sono in libertà condizionata o liberi sulla parola - sono gli individui posti sotto la diretta sorveglianza del sistema giudiziario. Tre decadi fa la popolazione carceraria era circa un ottavo di ciò che è adesso. Se le donne costituiscono ancora una percentuale relativamente piccola di questa popolazione, oggi il numero di donne incarcerate in California per esempio, è quasi il doppio di quello che era negli anni Settanta la popolazione carceraria femminile dell’intero Paese. Mentre le carceri occupano sempre più spazio nel paesaggio sociale, sempre di meno ce n’è per altri programmi governativi di aiuto ed assistenza alle famiglie che ne hanno bisogno, così come decade il livello della scuola pubblica e soprattutto sbiadiscono le politiche di finanziamenti speciali nelle scuole collocate in comunità povere. E questo è direttamente collegato alla soluzione "prigioni" per i problemi sociali. Il profitto dei capitali privati coinvolti nell’industria della punizione invece aumenta. E se le prigioni gestite direttamente dal governo sono spesso in palese violazione delle leggi internazionali sui diritti umani quelle private sono ancora peggiori. La Correction Corporation of America (Cca), la più consistente compagnia del ramo, ha 54,944 letti in 68 penitenziari negli Stati Uniti, Porto Rico, Regno Unito e Australia. Con il suo fiuto per gli affari, avendo annusato la tendenza ad imprigionare sempre più donne, ha aperto recentemente una nuova casa di pena femminile a Melbourne e ha definito la California la sua nuova "frontiera". Wackenhut Corrections Corporation (Wcc), la seconda corporation americana, ha chiesto contratti per gestire 46 istituti nel Nord America, Regno Unito e Australia. Possiede in totale 30424 letti e si occupa della salute, il trasporto e la sicurezza di altrettanti prigionieri. Sia le azioni della Cca che della Wcc stanno andando davvero bene in Borsa. Tra il 1996 e il 1997 le rendite della Cca sono aumentate del 58%, la Wwc ha guadagnato 210 milioni di dollari. Tra l’altro, al contrario degli istituto di pena pubblici, quelli privati si giovano di forza lavoro non sindacalizzata. Le compagnie private dell’industria della punizione sono solo la componente più evidente del Complesso industriale delle prigioni. I contratti del governo con i costruttori per erigere nuove carceri hanno impresso un forte movimento al settore edilizio e alle finanziarie ad esso collegate, come la Merril Lynch. E ci sono moltissime compagnie i cui prodotti consumiamo quotidianamente che utilizzano il lavoro carcerario come fanno con il lavoro delocalizzato nel Terzo Mondo. Alcune di esse: IBM, Motorola, Compaq, Texas Instruments, Honeywell, Microsoft, and Boeing. E non solo: la Nordstrom vende jeans chiamati "Prison Blues," così come t-shirts e giacche prodotte nelle prigioni dell’Oregon. Lo slogan pubblicitario per questi indumenti è: "Fatti dentro per essere indossati fuori"… I carcerati del Maryland dal canto loro controllano le bottigliette di vetro e i barattoli usati dalla Revlon e Pierre Cardin. Naturalmente il lavoro carcerario viene pagato molto al di sotto del salario minimo. E sebbene questo produca ricchezza privata, il sistema penale nell’insieme non produce affatto ricchezza ma al contrario divora la ricchezza sociale che potrebbe essere usata per migliorare le condizioni dei poveri e degli emarginati. Se in California negli ultimi dieci anni sono state costruite 20 nuove prigioni, un solo campus è stato aggiunto all’Università statale; da quando poi la legge sulle azioni positive è stata dichiarata incostituzionale in quello Stato è sempre più ovvio che l’educazione e la cultura sono riservati a un certo tipo di persone, mentre un altro tipo di persone ne è esclusa. Un esempio: i neri in prigione sono cinque volte più numerosi di quelli che siedono sui banchi dei collage. Si è creata una nuova segregazione che ha implicazioni pericolose per l’intero Paese. Mentre l’enfasi delle politiche governative si sposta dal welfare al controllo del crimini, il razzismo penetra profondamente nelle strutture economiche e ideologiche della società americana. È necessario combattere e opporsi all’espansione dell’industria della punizione. È necessario costruire movimenti in difesa dei diritti umani dei carcerati che argomentino che ciò di cui il Paese ha bisogno non sono nuove prigioni ma case per i senzatetto, programmi di recupero dalla droga, scuole, lavoro per i disoccupati. Giustizia: il decreto svuota-carceri… un regalo per la mafia? di Emiliano Federico Caruso www.antimafiaduemila.com, 30 gennaio 2014 La storia dell’Italia è piena di leggi emanate in buona fede, poi trasformate in armi a doppio taglio: dalla famosa legge Biagi, che in teoria avrebbe dovuto tutelare anche chi viene assunto per un breve periodo, ma che in realtà si è rivelata la rovina dei lavoratori, fino al recente decreto svuota carceri. Proprio in questi giorni, in concomitanza con l’inizio dell’anno giudiziario, il primo presidente di Cassazione, Giorgio Santacroce, ha dichiarato che indulto e amnistie sarebbero l’unica strada per l’emergenza carceri, che vede il nostro paese al terzo posto dopo Grecia e Serbia. Voluto dal ministro della giustizia Annamaria Cancellieri, il decreto dovrebbe in teoria essere la soluzione al sovraffollamento delle nostre 205 carceri, che ormai accolgono più di 62mila detenuti a fronte di una capienza massima di 48mila e, sempre in teoria, dovrebbe riguardare solo i colpevoli di reati minori, come furti e piccoli spacci di droga. Tra le caratteristiche del decreto: lo sconto di pena passa dai 45 giorni ogni sei mesi a 60-75 giorni. In pratica per ogni anno di carcere si possono togliere fino a 150 giorni di detenzione dalla condanna. E non sono pochi. Con questo meccanismo sono tornati liberi Gilberto Caldarozzi, già condannato a tre anni e otto mesi per lesioni gravi, calunnia e falso per i fatti della scuola Diaz, oltre a Massimo Nucera e Maurizio Panzieri. Il primo era agente scelto durante il G8 di Genova e, per giustificare la violenta condotta delle forze dell’ordine in quella notte del 21 luglio 2001, presentò il suo giubbotto antiproiettile con dei tagli a suo dire provocati da uno dei ragazzi presenti nella Diaz. La versione di Nucera venne confermata da Panzieri, all’epoca ispettore capo dello stesso nucleo. Solo in seguito si scoprì che i tagli erano artefatti e si arrivò a una condanna a tre anni e cinque mesi per entrambi. Ora gli agenti sono di nuovo liberi e Caldarozzi potrebbe persino tornare in servizio. Il problema principale di indulti, amnistie e svuota carceri sta nella difficoltà nel porre dei limiti agli abusi: mettere sullo stesso piano il piccolo spacciatore e il boss mafioso, con il rischio che il regalo più grande il decreto possa farlo proprio alla criminalità organizzata. Il 23 dicembre 2013 il presidente Napolitano emanò il decreto, e già il giorno dopo, dietro istanza del difensore Giovanni Castronovo, tornò libero Carmelo Vellini, con precedenti per omicidio e accusato di essere il boss del clan di Naro. Vellini venne arrestato l’8 aprile 2008, e condannato in seguito a cinque anni e sei mesi, durante l’operazione Mercurio, indagine che portò all’arresto anche di Giuseppe Sardino, commerciante incensurato del centro storico di Naro e in seguito divenuto collaboratore di giustizia, e dell’avvocato Gaetana Luisa Maniscalchi, già tra i dirigenti della Ast (Azienda siciliana trasporti). Tutti e tre accusati di associazione a delinquere di tipo mafioso (punita dal 416bis) e favoreggiamento aggravato: tra le altre cose, avrebbero nascosto la latitanza di Giuseppe "Ling LIng" Falsone, a sua volta boss di Campobello di Licata. Considerato all’epoca uno dei 30 ricercati più pericolosi d’Italia e latitante per più di un decennio, Falsone venne infine catturato il 25 giugno 2010 a Marsiglia. Fino a quel momento imprendibile e astuto, il boss di Campobello di Licata non disdegnava le tecnologie moderne: in una mafia talvolta ancora tradizionale e abituata ai pizzini, Falsone amava diramare i suoi ordini tramite internet, veloce, comodo e difficile da intercettare. Poco dopo la scarcerazione di Vellini è tornato libero anche Nicola Ribisi, accusato insieme allo zio Ignazio (già uomo di fiducia di Bernardo Provenzano) di voler rinnovare il clan di Palma di Montechiaro, in pessime condizioni in seguito alle guerre di mafia degli anni ‘90. Grazie al ritrovamento di alcuni pizzini nell’ultimo covo di Provenzano, e alle rivelazioni dei pentiti Maurizio di Gati e Giuseppe Sardino, i due Ribisi vennero infine arrestati il 18 settembre 2009 e ora, vista accolta l’istanza presentata dall’avvocato difensore Daniela Posante, Nicola è di nuovo libero. Individuo, tra l’altro, talmente potente da poter gestire il suo clan anche dal carcere. Fatti altri calcoli di giorni scontati rispetto alla pena, entro la fine di quest’anno potrebbe tornare libero anche Salvatore "Totò" Cuffaro. Già medico radiologo, ex presidente della Regione Sicilia (aiutato da una poderosa campagna elettorale, nel 2006 vinse contro Rita Borsellino, sorella del noto magistrato ucciso dalla mafia il 19 giugno 1992) e persino senatore della Repubblica, Cuffaro, detto il "vasa vasa" (bacia bacia) per una sua abitudine tipicamente siciliana, venne condannato a gennaio del 2008 all’interdizione dai pubblici uffici. Allora si credeva che fosse solo colpevole di favoreggiamento semplice. Non ancora verificata l’aggravante mafiosa, il Vasa festeggiò a cannoli siciliani, ma venne infine condannato a gennaio del 2011 a sette anni per favoreggiamento aggravato dalla componente mafiosa e per rivelazione di segreto d’ufficio: rivelò a "uomini d’onore" l’esistenza di indagini nei loro confronti. Tra le altre cose, il Vasa era in stretti rapporti con Giuseppe Guttadauro, anch’egli medico e capo mandamento di Brancaccio, e aiutò l’uomo d’affari Michele Aiello, protettore di Provenzano e detto "il re Mida della sanità siciliana", a stilare l’esoso tariffario delle cure della clinica Santa Teresa, della quale l’imprenditore era proprietario e in seguito confiscata insieme a 800mln di euro in beni vari. Tutto ciò nonostante Cuffaro abbia sempre basato la sua carriera politica sul motto "la mafia fa schifo". Processato e condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, si è sempre difeso sostenendo di non poter filtrare le sue numerose compagnie. Come se un uomo politico non disponesse dei mezzi necessari per informarsi sulle persone che frequenta. Nonostante lo stesso ministro Cancellieri abbia quindi affermato più volte che il decreto "non è un indulto mascherato", e dopo aver specificato che il rilascio dei detenuti deve essere esaminato caso per caso dal giudice (manovra che sembra tanto uno scaricabarile nei confronti dei magistrati), il nuovo svuota carceri sembra più un dono fatto alla mafia, piuttosto che un metodo per migliorare i nostri penitenziari. Giustizia: dalla galera Riina comanda ancora? c’è un uomo che può rispondere… di Annachiara Valle Famiglia Cristiana, 30 gennaio 2014 Giovanni Tamburino, una vita in magistratura (sua, per esempio, l’inchiesta sull’eversione nera della Rosa dei Venti), direttore dal 2012 del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), risponde pacato alle domande sulle intercettazioni di Totò Riina a colloquio con un boss della Sacra corona unita da cui si ricavano pesanti minacce nei confronti del pm palermitano Nino Di Matteo ("Deve fare la fine del tonno", è la frase del boss). Riina è in isolamento speciale, in regime da "41-bis", come si dice in gergo citando l’articolo del Codice di procedura penale. Tamburino chiarisce che "a proposito del 41-bis non si può parlare di trattamenti contrari al senso di umanità" e che "è una misura ancora utile". Forse addirittura da inasprire? Che due detenuti sottoposti al 41-bis come Riina e Lorusso possano parlare liberamente di attentati lascia perplessi... "Intanto bisogna ricordare che il regime di 41-bis non prevede l’isolamento assoluto. La norma dice che i detenuti in 41-bis possono stare assieme, per poche ore al giorno, in gruppi non superiori a quattro persone. Nel caso citato è prevista una sola persona per due ore, ma non si può mai arrivare a zero. L’isolamento assoluto porrebbe problemi di compatibilità con la Convenzione europea di salvaguardia dei diritti umani. Se protratto per anni, comprometterebbe le condizioni minime di umanità del trattamento penitenziario. A lungo andare, questa situazione può determinare lesioni anche gravi sul piano psichico. Inoltre, la legge prevede che le persone che vengono messe a contatto siano sottoposte al medesimo regime. Per chi è in 41-bis ci sono sezioni speciali, preferibilmente collocate in carceri in zone insulari. È questo il bacino in cui si scelgono le persone di quello che in gergo si chiama gruppo di socialità". Dalle intercettazioni risulta che i due conoscevano e-mail riservate tra magistrati. Come è stato possibile? "Si tratta di una situazione da valutare per capire se erano notizie, commenti, tentativi di inviare segnali o altro ancora. In ogni caso ritengo che quello del 41-bis sia un sistema piuttosto robusto sul piano normativo. Sul piano pratico è chiaro che occorre sempre un elevato grado di attenzione e di impegno. Per questo il Dap prevede un certo turnover nei confronti degli agenti di Polizia penitenziaria, al quale è destinato questo compito molto delicato. Anche perché il contatto con soggetti che spesso hanno notevoli capacità non soltanto criminali, ma anche intellettuali, può far correre dei rischi di insufficiente attenzione". È allarmato dalle parole di Riina? "Riina è detenuto ininterrottamente dal 1993. Questo farebbe pensare a un affievolimento delle sue capacità operative, però sappiamo che le organizzazioni mafiose, specialmente Cosa nostra, mantengono nel tempo i rapporti e le gerarchie interne. Ritengo che non ci debba essere nessuna sottovalutazione del rischio, anzi occorre valutare il tutto con assoluta cautela, immaginando che vi possano essere ancora delle capacità. Sappiamo che ci sono altre organizzazioni in cui il vertice, "il capo", rimane tale a vita, anche se vi sono dei periodi lunghissimi in cui rimane, per così dire, in sonno". Se un Riina può permettersi queste minacce, il 41-bis non è inadeguato? "Non direi proprio. Innanzitutto perché, dopo il 1992, da quando inizia a funzionare, assistiamo a un calo molto forte degli episodi criminosi di mafia più estremi, delle violenze, degli omicidi. E anche le stragi e i tentativi stragisti del 1993 e 1994 sono finalizzati a ottenere la riduzione di questo regime. Chi, allora, meglio dei mafiosi stessi, è in grado di misurare e di valutare l’importanza dì questo strumento? La guerra che hanno condotto contro lo Stato gli esponenti delle maggiori organizzazioni mafiose è essa stessa una conferma dell’utilità e dell’efficacia di questo strumento. Questa è anche l’opinione generale dei magistrati. Un punto sul quale tra loro, cosa abbastanza rara, c’è praticamente l’unanimità". C’è anche chi chiede l’abolizione del 41-bis per ragioni umanitarie... "Ricordo che non stiamo parlando di un’applicazione generalizzata, ma utilizzata solo nei casi necessari. Parliamo di 706 persone su oltre seimila detenuti per reati di mafia. Inoltre, la prosecuzione di questo regime dipende soltanto da chi vi è sottoposto. Se l’interessato dimostra di rompere con la cosca di appartenenza il 41-bis cessa immediatamente. E rompere con la cosca significa evitare omicidi, salvare la vita a qualcuno. Rimane la pena da scontare per persone che spesso si sono macchiate di reati gravissimi. Ma il regime dipende esclusivamente dal comportamento dell’interessato". Umbria: dai Radicali un incontro con i candidati Garante dei detenuti della Regione Notizie Radicali, 30 gennaio 2014 L’Associazione Radicaliperugia.org, promuove un’assemblea pubblica dei candidati Garanti dei detenuti della Regione Umbria, mercoledì 12 febbraio 2014 a partire dalle ore 16,00 presso la sala Fiume di Palazzo Donini, sede della Giunta Regionale, corso Vannucci 96 a Perugia. L’Associazione che ha seguito fin dall’inizio la tormentata vicenda della legge regionale, approvata ormai da quasi otto anni e ancora non applicata, con questa nuova iniziativa vuole offrire al Consiglio regionale dell’Umbria un’ulteriore occasione di dialogo sulle responsabilità politiche che derivano da un’ulteriore dilazione della nomina di questa importante figura istituzionale di garanzia. L’assemblea - aperta al dibattito di tutti gli operatori, associazioni, movimenti e partiti interessati alla questione - costituirà quindi l’occasione per fare il punto della situazione sul mondo carcerario, in particolare umbro. Sarà anche l’occasione per monitorare le politiche regionali in materia di reinserimento e di sanità penitenziaria. Lecce: detenuto morto per sciopero fame, gip archivia inchiesta a carico dei medici Agi, 30 gennaio 2014 Il gip presso il tribunale di Lecce, Annalisa De Benedictis, ha disposto l’archiviazione dell’inchiesta a carico di 18 medici in servizio presso il carcere di Borgo San Nicola, indagati per omicidio colposo in relazione alla morte di un detenuto albanese, Cristian Virgil Pop, avvenuta il 13 maggio 2012, in seguito a un prolungato sciopero della fame. L’archiviazione era stata sollecitata dal sostituto procuratore Carmen Ruggiero, che ha ritenuto infondata la notizia di reato, dopo aver esaminato tutta la documentazione sanitaria relativa alla vittima e la relazione sulle cure somministrate firmata dai consulenti tecnici d’ufficio. Pop - stando a quanto ricostruito - si trovava nel carcere di Lecce dall’ottobre 2011, per scontare una condanna a 21 anni di reclusione e aveva effettuato ripetuti scioperi della fame, rendendosi protagonista anche di aggressioni contro il personale medico e la polizia penitenziaria, nonché di atti di autolesionismo. A Lecce, nello specifico, aveva più volte rifiutato il cibo, per periodi piuttosto lunghi, iniziando l’ ultimo sciopero il 13 maggio 2012. Il 10 maggio poi era stato ricoverato d’ urgenza all’ospedale Vito Fazzi e il giorno successivo era morto a causa della denutrizione. Le indagini hanno consentito di verificare che le condotte diagnostico-terapeutiche a cui Pop era stato sottoposto nel penitenziario erano conformi alla legge e "tempestive", che il detenuto era stato sottoposto anche a visite psichiatriche e che lo stesso aveva rivelato di voler raggiungere una condizione di denutrizione per indurre i magistrati di sorveglianza a rivedere il suo caso. I medici - scrive il pm nella richiesta di archiviazione - lo hanno ripetutamente informato dei pericoli della sua condotta e hanno disposto il trasferimento in ospedale ogni volta che è stato male. Secondo i consulenti della Procura, i sanitari "sono tenuti ad assistere la persona che consapevolmente rifiutava di nutrirsi ma non potevano in alcun modo assumere iniziative coattive di nutrizione artificiale". Non potevano, secondo il pm, costringere Pop a mangiare nè nutrirlo artificialmente, per questo motivo non possono essere ritenuti responsabili della sua morte. Milano: sovraffollamento condizioni igieniche da migliorare e mancanza di fondi www.notizie.tiscali.it, 30 gennaio 2014 Sovraffollamento, condizioni igieniche da migliorare, carenze strutturali e mancanza di fondi per dar vita ad attività in grado di preparare un proficuo ritorno in libertà. Sono queste alcune delle problematiche del panorama carcerario emerse durante l’incontro "Sguardi esterni all’interno delle carceri" svoltosi a Milano. Tanti nodi da affrontare, per una situazione che rivela notevoli criticità anche se analizzata relativamente al territorio della Lombardia, Regione che secondo gli ultimi dati del Ministero di Giustizia dello scorso autunno si pone in prima posizione a livello nazionale per numero di detenuti con quasi 9mila persone rinchiuse a fronte di poco più di 6mila posti disponibili. Una realtà ben rappresentata dalle principali strutture della città di Milano: "San Vittore è una sede di valore, ma anche vecchia e con problemi igienici - sottolinea Alessandra Naldi, Garante dei diritti dei detenuti del Comune di Milano - e inoltre la sua popolazione carceraria presenta emergenze di carattere sociale, con molti stranieri privi di permesso di soggiorno e detenuti affetti da problemi di salute mentale e di tossicodipendenza. Ad Opera e Bollate, case di reclusione destinate a soggetti già condannati, l’esigenza è quella invece di creare adeguati percorsi formativi e di reinserimento nella società". Qualche segnale positivo in realtà ci sarebbe, anche dal punto di vista della tutela della dignità della persona. Ad esempio il piano di riorganizzazione avviato a livello ministeriale che ha portato a ridurre il numero delle ore che un detenuto è costretto a passare fisicamente nella cella aumentando le possibilità di movimento all’interno della struttura detentiva: "Altre iniziative necessarie sono quelle miranti ad ampliare l’offerta di attività formative e ricreative - prosegue Naldi - in questo Bollate è diventata un vero e proprio modello per la sua capacità di sfruttare le risorse dal territorio; Opera invece deve ancora completare questo processo di apertura verso l’esterno". Miglioramenti per i quali è necessario confrontarsi con un altro grande ostacolo, quello della mancanza di fondi: "Assistiamo a un estremo impoverimento del sistema penitenziario - spiega Daniela Ronco, coordinatrice dell’Osservatorio Nazionale sulle condizioni di detenzione dell’Associazione Antigone - mancano i fondi per qualunque tipo di attività all’interno del carcere, per il lavoro, per lo studio e per tutti gli altri progetti che potrebbero rendere meno afflittiva la vita nelle strutture detentive". Una situazione nella quale la Lombardia potrebbe fare appello ad altri tipi di risorse: "Siamo una Regione molto particolare dal punto di vista carcerario - dice Valeria Verdolini, presidente lombardo dell’Associazione Antigone - con ben 19 diversi istituti detentivi. Un fenomeno di grandi dimensioni, quindi, ma al quale è possibile approcciarsi in maniera costruttiva grazie alla rete esistente a livello locale e che unisce le strutture di volontariato, le associazioni e le istituzioni". Una circuito per il cui funzionamento è fondamentale un monitoraggio costante della situazione: "Poter visitare periodicamente le carceri e raccontare ciò che vediamo all’interno crea una dialettica proficua che collega le esigenze di miglioramento delle strutture con l’attività di denuncia delle problematiche all’esterno". Modena: Sappe; impiegare i detenuti per lavori utili, come pulizia dei parchi e delle strade Adnkronos, 30 gennaio 2014 Impiegare i detenuti non pericolosi, compresi quelli già destinatari di misure alternative, nelle attività di pubblica utilità. È la proposta lanciata dal segretario regionale del Sappe, Francesco Campobasso, a seguito dell’alluvione verificatasi a Modena e sulla scorta di quanto già avvenuto in occasione del sisma del 2012. "Nei giorni scorsi infatti - precisa Campobasso - un consistente numero di poliziotti penitenziari si è adoperato per aiutare i colleghi colpiti dall’evento meteorologico". Il segretario regionale del sindacato di Polizia penitenziaria sottolinea inoltre che: "tale proposta richiama i contenuti dell’intesa sottoscritta tra l’Anci (associazione comuni italiani), ministero della Giustizia e Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, che consente, appunto, a determinate categorie di detenuti, di accedere ai lavori esterni di pubblica utilità, come pulizia dei parchi e delle strade". "Riteniamo tale iniziativa di grande interesse, anche nell’ottica delle attività di reinserimento sociale dei detenuti" conclude Campobasso. Lecco: istituito un Garante per i diritti dei detenuti, per il carcere di Pescarenico www.merateonline.it, 30 gennaio 2014 È stata istituita dal consiglio comunale nella serata di Lunedi 27 la figura del "Garante dei diritti delle persone private della libertà personale". Un’autorità comunale che si occupa della tutela dei diritti di quanti sul territorio comunale, con particolare riferimento quindi al carcere di Pescarenico, vivono in una condizione di limitazione delle proprie libertà. Una figura che in Svezia esiste già da più di 2 secoli: era infatti il 1809 quando vi venne istituita un’autorità simile. Sulmona (Aq): situazione carcere è esplosiva, sciopero bianco della Polizia penitenziaria www.primadanoi.it, 30 gennaio 2014 I poliziotti penitenziari del carcere di Sulmona protestano contro quello che ritengono "il totale immobilismo dimostrato dai politici di fronte ad una situazione carceraria esplosiva". Chiedono uno stop allo straordinario, o in subordine il recupero delle ore già fatte attraverso riposi compensativi; annunciano un sit-in dinanzi al Ministero, uno sciopero in bianco con l’applicazione assidua di tutte le disposizioni di servizio e la riconsegna, provocatoria, delle tessere elettorali. Le decisioni, dopo un’assemblea, ieri pomeriggio, con la partecipazione di tutte le organizzazioni sindacali di categoria. Le richieste vanno dalla ridefinizione della pianta organica (attualmente operativi in 240 contro le 328 unità previste dal Decreto Ministeriale del 2001), all’invio immediato di un adeguato numero di agenti ed assistenti, dalla concessione di tutti i diritti soggettivi quali ferie, riposi, recupero ore, alla realizzazione delle docce all’interno delle celle dei detenuti, l’automatizzazione di tutti i cancelli e un nuovo apparato di videosorveglianza. "A causa della gravissima carenza di personale - afferma il segretario provinciale e vice regionale della Uil Penitenziari, Mauro Nardella, i turni svolti dai poliziotti penitenziari arrivano in talune situazioni anche a 12 ore continuative. Se si pensa al fatto che sono circa un centinaio gli ergastolani o pluriergastolani presenti nel carcere ben si può capire la conseguente compressione psicologica che ne deriva nel gestirli a volte con un poliziotto per 100 di essi". Lucca: "Sprigioniamo la solidarietà", successo raccolta nei supermercati a favore dei detenuti www.luccaindiretta.it, 30 gennaio 2014 "Sprigioniamo la solidarietà" è stato un invito a cui la cittadinanza del territorio lucchese ha risposto con particolare sensibilità. Tanto risulta dall’esito del progetto sulla Giornata del detenuto, conclusosi lo scorso 25 gennaio. L’iniziativa, promossa dal Prefetto di Lucca Giovanna Cagliostro con il direttore della Casa Circondariale di Lucca Francesco Ruello, è stata realizzata col prezioso supporto dei volontari di Gruppo Volontari Carcere, Amici del Villaggio & Amici del Villaggio, Aeliante, Agesci-gruppo Lucca 3, Agesci-gruppo Lucca Ponte 1, Agesci-gruppo Lucca 4, Comunità di Sant’Egidio, Pastorale Giovanile di Lucca e Liberamente. I volontari hanno provveduto alla raccolta di prodotti per l’igiene personale davanti ad alcuni punti vendita dei supermercati Coop, Conad ed Esselunga. Consistenti e generose sono state le donazioni, superiori ad ogni aspettativa. È stato poi registrato un significativo interesse per il progetto posto che il pubblico, nella circostanza, si è intrattenuto con i volontari formulando domande sulla natura dell’iniziativa. Esemplare è stata la collaborazione delle associazioni di volontariato che hanno operato con responsabilità ed assoluta disponibilità. Significativo è stato anche l’apporto dei giovani studenti del liceo scientifico Vallisneri, come aderenti all’associazione Liberamente, che si sono proposti con idee originali nella elaborazione dei bozzetti destinati alla stampa dei manifesti e volantini dedicati all’evento. Il prefetto ed il direttore della casa circondariale, hanno ringraziato tutto il personale del volontariato per il rilevante contributo offerto ai fini del raggiungimento dell’obiettivo del progetto. L’iniziativa è stata anche l’occasione per ricordare due importanti figure che hanno profuso il massimo impegno verso la popolazione carceraria: don Enzo Tambellini (1923 - 2008) e don Giuseppe Giordano (1943 - 2013). Proseguiranno poi fino al prossimo 28 febbraio le operazioni di raccolta di biancheria personale al Villaggio del Fanciullo dalle 10 alle 19, dal lunedì al sabato. Cosenza: Corbelli (Diritti Civili); i genitori di Cocò detenuti, vogliono incontrare il Papa Corriere della Calabria, 30 gennaio 2014 Antonia Iannicelli e Nicola Campolongo, detenuti a Castrovillari, hanno espresso il loro desiderio in una lettera indirizzata al Pontefice consegnata a Franco Corbelli. I genitori di Nicola Campolongo, il bimbo ucciso e bruciato a Cassano allo Jonio, vogliono incontrare Papa Francesco. Antonia Iannicelli e Nicola Campolongo, entrambi detenuti nel carcere di Castrovillari, hanno espresso il loro desiderio in una lettera indirizzata al Pontefice consegnata al leader del Movimento Diritti Civili, Franco Corbelli. Nella lettera i genitori di Cocò Campolongo ringraziano il Papa per le sue preghiere e le parole pronunciate nell’Angelus di domenica. "La lettera che mi hanno consegnato i genitori del piccolo Cocò, e che recapiterò subito al Pontefice, è commovente, dignitosa e particolarmente toccante". Lo afferma il leader del Movimento Diritti Civili, Franco Corbelli, che ieri ha incontrato nel carcere di Castrovillari, Antonia Iannicelli e Nicola Campolongo, i genitori del bimbo ucciso e bruciato a Cassano allo Jonio. "La mamma e il papà del bambino ucciso - aggiunge Corbelli - desiderano fortemente questo incontro con il Papa. Dopo essersi commossi e aver pianto, domenica, ascoltando il Pontefice che ricordava il loro piccolo Cocò vorrebbero incontrare il Papa per ringraziarlo e per raccontare il loro dramma, il loro immane, devastante, indelebile dolore, per cercare di trovare la forza per continuare. Sono certo che Papa Francesco esaudirà questo desiderio e presto ci sarà questo incontro con i genitori di Cocò". "Oggi intanto - prosegue - si aspetta il provvedimento del giudice di sorveglianza del tribunale dei minori di Catanzaro che dovrebbe dare l’assenso alla concessione dei domiciliari alla mamma del bambino ucciso. Questo permetterà alla giovane donna di lasciare il carcere di Castrovillari e di raggiungere le altre due figlie nella casa famiglia dove sono ospitate insieme ai tre cuginetti ed alla zia Simona. Continuerò ad aiutare i genitori del piccolo Cocò come faccio ininterrottamente da oltre un anno". Genova: Sappe; detenuto di Marassi sputa sangue e aceto su un poliziotto penitenziario Asca, 30 gennaio 2014 Stava protestando con veemenza perché voleva la porta blindata della sua cella aperta e, nonostante ciò non fosse possibile, non si è fatto scrupoli nello sputare addosso al poliziotto penitenziario di servizio sangue e aceto. Protagonista un detenuto straniero, nato in Nepal, ristretto per il reato di omicidio nella VI^ Sezione del carcere di Genova Marassi. "Non è certo il primo episodio con cui gli agenti di Polizia Penitenziaria del carcere di Marassi devono fare i conti ma questa volta si è superato il limite", denuncia Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, il primo e più rappresentativo dei Baschi Azzurri, che esprime al graduato dei Baschi Azzurri coinvolto "solidarietà e vicinanza". Per quest’ultimo il medico di turno in carcere ha disposto i doverosi accertamenti per scongiurare eventuali infezioni. "La situazione del Reparto di Polizia Penitenziaria del carcere di Genova Marassi è diventata insostenibile per il costante sovraffollamento della struttura e per il continuo verificarsi di eventi critici" aggiunge. "Eravamo convinti di avere visto tutto: bocche cucite, tentati suicidi, colluttazioni, risse ed aggressioni. Ora persino sangue e aceto sputati su un poliziotto la cui una colpa è quella di fare servizio in una realtà ogni giorno di più incandescente. Per fortuna delle Istituzioni, gli uomini della Polizia Penitenziaria svolgono quotidianamente il servizio in carcere con professionalità, zelo, abnegazione e soprattutto umanità, pur in un contesto assai complicato per l’esasperante sovraffollamento e per il ripetersi di eventi critici. Ma devono assumersi provvedimenti concreti per Marassi, una realtà nella quale più del 63% dei detenuti sono stranieri, perché non si può lasciare solamente al sacrificio e alla professionalità delle donne e degli uomini della Polizia Penitenziaria la gestione quotidiana del più grande carcere della Liguria. E deve fare la sua parte, importante, anche il Parlamento, che invece ignora persino l’autorevole messaggio alle Camere del Capo dello Stato dell’8 ottobre scorso sulla situazione carceraria". Merate (Lc): il carcere entra a scuola… una cella per simulare la condizioni dei detenuti www.merateonline.it, 30 gennaio 2014 Provare a trascorrere pochi minuti nel buio di una cella, stretti fra quattro pareti, con spazi in condivisione con altri, rappresentando le condizioni delle carceri italiane. È quanto sarà possibile sperimentare dal 9 al 15 gennaio, su iniziativa della Caritas ambrosiana con il progetto "Extrema ratio", presso il liceo Agnesi di Merate. nell’istituto sarà installata una cella realizzata dagli stessi detenuti di Bollate. L’esperimento consiste nell’invitare gli studenti a trascorrere cinque minuti nella cella della grandezza di otto metri quadri in compagnia di altre cinque compagni, simulando così la situazione delle carceri italiane. Ai ragazzi, dopo essere stati spogliati dagli effetti personali, verranno prese le impronte digitali e fatta la foto segnaletica. Potranno così sperimentare direttamente cosa significa essere incarcerati e potranno riflettere con i volontari della Caritas sui problemi dei carcerati (in particolare sul tema del sovraffollamento) e sul significato della pena detentiva. La cella sarà visitabile dalle ore 13 alle ore 14 anche dagli esterni che fossero interessati. L’iniziativa si concluderà con una conferenza che si terrà il 17 gennaio alle ore 14.30 nell’aula magna del Liceo. Il relatore è Francesco Rachetti, garante dei diritti delle persone limitate nella libertà personale del Comune di Sondrio. Treviso: assolti un detenuto e un agente, sotto processo per un presunto scambio di favori La Tribuna di Treviso, 30 gennaio 2014 Erano entrambi finiti a processo per corruzione, detenuto e secondino: secondo l’accusa, l’agente avrebbe prestato il suo cellulare al carcerato in cambio di soldi e favori. Ma Roberto Gallinaro, agente di polizia penitenziaria di 35 anni, residente a Giavera del Montello e in servizio a Treviso, e Raffaele De Pasquale, 39 anni, napoletano, all’epoca dei fatti rinchiuso nella casa circondariale di Santa Bona, sono stati assolti perché il fatto non sussiste. Il pubblico ministero aveva chiesto una condanna a tre anni per il secondino e a quattro anni per l’ex detenuto: Gallinaro avrebbe messo a disposizione un telefono cellulare per poter comunicare con l’esterno ricevendo in cambio alcuni regali, in particolare un orologio. La convivente di De Pasquale in fase di indagini preliminari aveva confermato di aver parlato più volte al telefono con il detenuto. Durante il processo una gioielliera ha testimoniato che il secondino (come aveva sempre sostenuto il diretto interessato) aveva comprato l’orologio "incriminato" per il suo matrimonio. Una testimonianza che ha fatto cadere ogni dubbio sull’innocenza dei due imputati. Salerno: dal carcere al volontariato, la nuova vita di Ugo De Santis di Antonio De Pascale La Città di Salerno, 30 gennaio 2014 Dal carcere di Alta sicurezza, dove ha scontato ben 16 anni di pena, all’impegno civile, sociale e culturale. È la storia di Ugo De Santis, 50enne sanseverinese, che dimostra come, dai propri errori, ci si possa riscattare. Tra il 1992 ed il 2008, De Santis ha scontato 16 anni di carcere, pena a cui era stato condannato per reati di tipo associativo. Ha scontato la pena in vari penitenziari italiani, tra cui quelli di Torino e Bologna. Durante la reclusione, mantenne rapporti epistolari con Parlamentari e rappresentanti istituzionali. Mentre era detenuto, conseguì il diploma di tecnico dell’industria elettrica ed iniziò gli studi universitari: oggi è laureando in Scienze dell’Amministrazione. De Santis è ora un cittadino onesto, completamente recuperato ed inserito nella società, dedito all’impegno civile. Basterebbe ricordare che è stato volontario in Emilia Romagna, nelle zone colpite dal terremoto del 2012. Inoltre, è volontario della Croce Rossa Italiana, presso "La Solidarietà" di Fisciano, l’Isola di Arturo di Roma. Poi, collabora con Gennaro Sammartino, tossicologo forense - sia all’Osservatorio comunale sul disagio giovanile che presso l’ambulatorio delle dipendenze dell’Asl - e con il professor Emilio Esposito, esperto, tra l’altro, in biodiscipline. L’impegno culturale di De Santis lo ha portato, pochi mesi fa, a pubblicare un romanzo, "Stagioni di Passioni", che narra i rapporti tra la società civile e la comunità chiusa dei carceri. Tale volume, a breve, diventerà testo di studio presso l’Università "La Sapienza" di Roma, dove l’autore è in contatto con la docente Barbara Calabrese. A febbraio dovrebbe avere in affidamento un giovane romeno che ha avuto problemi con la giustizia. "Ho riconosciuto i miei errori - dice De Santis - ma mi sono impegnato per riscattarmi. L’esperienza che ho maturato in carcere mi ha fatto maturare la convinzione che è necessario diffondere la cultura della legalità a partire dalle scuole elementari. Va recuperata e rilanciata quella che era l’educazione civica. Un’azione educativa deve contrastare anche fenomeni considerati meno gravi, come il bullismo, da cui possono nascere problematiche più gravi". Ha visitato alcune carceri in Albania, per confrontarle con quelle italiane e per capire la mentalità dei popoli dell’Est Europa, utile per favorire la loro integrazione nella società italiana, in cui spesso arrivano come immigrati. Nel periodo della detenzione, De Santis non fu abbandonato dal Comune. "Non dimentico - conclude - che in quegli anni il sindaco Giovanni Romano mi donò un computer ed una stampante, a me utili per gli studi e per iniziare a scrivere il mio romanzo". Roma: "Insieme per la solidarietà"; jazzisti contro detenuti... è il calcio, bellezza www.affaritaliani.it, 30 gennaio 2014 Esprimere la voglia di libertà, e spostare l’attenzione sulla tematica sociale delle carceri: queste le idee alla base dell’appuntamento in programma venerdì 31 gennaio presso la Casa Circondariale di Rebibbia Nuovo Complesso. Venerdì 31 gennaio, presso la Casa Circondariale di Rebibbia Nuovo Complesso si svolgerà la partita amichevole di calcio "Insieme per la solidarietà" tra la Nazionale di Calcio Rebibbia contro la Nazionale Italiana Jazzisti. La Nazionale Rebibbia, affiliata dell’Associazione Asi/Gruppo Idee, è una squadra di calcio formata da detenuti e agenti di polizia penitenziaria, nata dalla volontà comune di portare avanti il grande lavoro fatto a Rebibbia Nuovo Complesso, che vede da anni la collaborazione di tutte le parti coinvolte, nel delicato lavoro di reinserimento sociale dei detenuti. Il Presidente della Nazionale Rebibbia è Massimiliano Baldoni, volontario in carcere da anni con l’Associazione Gruppo Idee, sottolinea "l’importanza di poter entrare in contatto con artisti di livello internazionale come in questo caso la Nazionale Jazzisti, che si sono dimostrati sensibili, partecipi e generosi nei confronti di una tematica sociale molto delicata come quella della detenzione". Allenatore e responsabile interno della squadra è l’Ispettore Luigi Giannelli che ricorda che "Attraverso il calcio si esprime la voglia di libertà, soprattutto quella interiore". Per la Nazionale Italiana Jazzisti, capitanata da Enzo Pietropaoli e rappresentata dal presidente onorario Franco D’Andrea, scenderanno in campo tra gli altri anche Javier Girotto, Natalio Mangalavite assieme a giovani leve come Dario Germani e Alessandro Presti. Con la casacca nera e arancio, in onore della mitica etichetta discografica "Impulse", la Nazionale dei Jazzisti scende in campo per la seconda volta. Nata quasi per gioco, ha riscosso subito un largo consenso tra i vari musicisti, fino a coinvolgere anche alcuni addetti al settore, giornalisti, manager, etc. Sulla maglia della Nazionale Italiana Jazzisti, è presente anche il logo dell’Associazione "Libera, contro le Mafie", sponsor etico della squadra. Libri: "La pazzia dimenticata", di Adriana Pannitteri, reportage su Ospedali psichiatrici giudiziari Il Velino, 30 gennaio 2014 È un viaggio negli ospedali psichiatrici giudiziari italiani (Opg), da Barcellona Pozzo di Gotto a Castiglione delle Stiviere, scenario già di un precedente reportage ("Madri assassine") dell’autrice, quello che Adriana Pannitteri, giornalista e conduttrice del Tg1, racconta in "La pazzia dimenticata" (L’Asino d’oro edizioni - pag 216, Euro 12). Il libro verrà presentato a Roma venerdì 31 gennaio 2014 presso la sede dell’Associazione Stampa Romana (Sala Angelici, I piano - piazza della Torretta 36 - ore 16.30). Insieme all’autrice intervengono, Maria Bronzi (psichiatra DSM RmA - coordinamento pazienti Opg), Mario Casellato (avvocato penalista), Annelore Homberg (psichiatra e psicoterapeuta), Massimo Ponti (psicologo e psicoterapeuta). Introduce Beatrice Curci (direttrice Stampa Romana). Modera Licia Pastore (giornalista). "L’estremo orrore inconcepibile in un Paese civile". In più di un’occasione istituzionale il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ha lanciato l’allarme sulla situazione degli Opg, nei quali sono ricoverate più di mille persone che hanno commesso reati. La legge Marino ne aveva decretato la chiusura definitiva il 31 marzo 2013, ma l’iter per diverse ragioni ha subito un rallentamento e lo stop è stato prorogato con un decreto al 1 aprile 2014. Nel libro Adriana Pannitteri, racconta la personale testimonianza raccolta durante le visite in alcuni degli Ospedali psichiatrici giudiziari italiani. L’autrice dà voce agli internati, ai direttori, agli agenti penitenziari e ospita gli interventi di giuristi, psichiatri e del senatore Ignazio Marino promotore della legge che decreta la chiusura degli opg. Sullo sfondo il complesso rapporto tra giustizia e cura della malattia mentale. E le contraddizioni della cultura e della politica, da Basaglia alla stessa legge "Marino". Tra gli internati ci sono persone accusate di reati lievi e sostanzialmente abbandonate in quello che viene chiamato l’ergastolo bianco. Di queste persone dovrebbero immediatamente farsi carico i dipartimenti di salute mentale che si trovano però già in grande difficoltà a gestire pazienti che non hanno commesso reati. Ma tra gli internati degli ospedali psichiatrici giudiziari ci sono soprattutto autori di crimini efferati, malati mentali che richiedono cure a attenzioni e che, secondo la nuova legge, dovrebbero trovare accoglienza in piccole strutture residenziali a carattere regionale esistenti al momento solo sulla carta. Se di una svolta epocale si tratta e se lo sdegno per il trattamento inumano subito da questi internati nel tempo è inevitabile, la domanda è: quali possibilità concrete ci sono di giungere all’appuntamento alla data prevista e quale tipo di riflessione è stata fatta dalle istituzioni sulla cura della malattia mentale? Adriana Pannitteri cerca di comprendere davvero le storie e, se possibile, le attese di queste persone, il disagio degli operatori e le prospettive di questa riforma in un confronto serrato tra esperti e medici sulla cura della malattia mentale. Libri: "Mea Culpa", le lettere di Fabrizio Corona dal carcere di Opera pubblicate da Mondadori Brescia Oggi, 30 gennaio 2014 Nelle pagine di "Mea Culpa" c’è spazio anche per Emiliano Dolcetti. E non avrebbe potuto essere altrimenti. Nel periodo di dentenzione che Fabrizio Corona e il 38enne detenuto di Prevalle stanno trascorrendo insieme ad Opera, la cella è diventata un’ampolla in cui si sono fuse due esistenze diversissime, chiamate a pagare ognuna il proprio debito con la giustizia. Il rapporto tra i due detenuti è riportato in alcune pagine di "Mea Culpa - Voglio che mio figlio sia orgoglioso di me", il libro di Fabrizio Corona pubblicato da Mondadori. Il detenuto Corona, da quando è tale, non ha più nulla da nascondere, da celare. Si è liberato di tutto ciò che rappresentava una sorta di fardello. Nel libro fa capire chiaramente che non è stato facile, non lo è, non lo sarà. Ma ammette che è tutto diverso. E, secondo quanto è riportato nel volume, "chiede scusa". E scrive. E mette tutto dentro "Mea Culpa". Ci sono lettere a Nina Moric, Belen, Matteo Renzi. Se non per tutti, ce n’è certamente per tanti. Senza sconti. "Con noi - spiega l’avvocato Marino Colosio, difensore di Dolcetti - Fabrizio Corona è sempre gentilissimo". Con il bresciano si è creato un rapporto di cui la gentilezza è solo una componente. Fabrizio Corona, nei confronti di tutti i destinatari delle sue attenzioni, nel volume, è molto chiaro. "Dopo Angelo "lo Zingaro" - è scritto a pagina 239 - è arrivato Emiliano "il pazzo", trentottenne di Prevalle, in provincia di Brescia. La mia salvezza. Se penso a come è cambiata la mia vita qua dentro è incredibile. In mezzo a questa giungla - scrive Fabrizio Corona - ci siamo anch’io ed Emiliano "il pazzo" (perché è davvero pazzo), che siamo una cosa a parte". Poi Corona si improvvisa scrittore di noir e spiega in che modo Dolcetti si è aggiudicato la reclusione. Romanza l’omicidio della zia da parte del bresciano, fino alla fuga lungo l’amato fiume Chiese. Non ha problemi, Corona ad ammettere, si legge, che da "quando è arrivato lui, la mia vita qui dentro è nuovamente cambiata". A metà pomeriggio, dopo che le celle si sono aperte "ha inizio la processione". Fabrizio ed Emiliano sono due detenuti speciali, regalano momenti, a chi va a trovarli in cella, che evidentemente portano lontano, anche se per pochi minuti. Racconta nel libro Corona: "Io scrivo e lavoro tutto il giorno, lui dorme, cucina e si occupa in toto della cella". Il bresciano "cucina light". Ma ciò che più conta, per Fabrizio Corona, è che "Emi è la miglior valvola di sfogo che potessi desiderare". Televisione: "Giovani a Rischio", con Luisella Costamagna, in onda su Crime + Investigation Il Velino, 30 gennaio 2014 Oggi, 30 gennaio, alle 21 arriva su Crime + Investigation (canale 117 di Sky) "Giovani a Rischio", con Luisella Costamagna (Beyond Scared Straight), il docu-reality che entra nelle carceri Usa. A Luisella Costamagna, apprezzata giornalista televisiva, il compito di introdurre il programma, ogni giovedì alle 21. "Giovani a rischio", tratto dal documentario premio Oscar nel 1978 "Scared Straight". di Arnold Shapiro, racconta le esperienze vissute da alcuni adolescenti che hanno già avuto problemi con la legge e che vengono portati a vivere in carcere per 24 ore, sperimentando così le conseguenze di azioni criminali. Come ha dichiarato la Costamagna, l’obiettivo del programma rieducativo è che questi ragazzi, passando un giorno in carcere, riescano ad evitarlo per tutta la vita. Messi a contatto diretto con la dura realtà dei detenuti, i giovani protagonisti affrontano infatti un percorso che li mette davanti a un bivio: salvare la propria vita o cedere a un destino criminale? Ad un mese di distanza racconteranno alle telecamere quanto questa esperienza li abbia cambiati e cosa abbiamo imparato. Il primo dei 12 episodi della prima stagione si svolge nel Maryland Correctional Institution di Jessup dove vengono reclusi per un giorno alcuni ragazzi con precedenti per furto e spaccio, o anche semplicemente affascinati dalla vita criminale: Steve, 17 anni, a cui piace la vita del "fuorilegge"; Brandon, 17 anni, che è stato arrestato ben cinque volte; Dion, che ha confessato di spacciare la droga; e Sahn, 13 anni, che ruba t-shirt per via della sua "passione per la moda". Affronteranno insieme la paura e la difficile convivenza con veri criminali. Il secondo episodio è stato girato nel Lieber Correctional Facility in South Carolina: sei adolescenti vengono chiusi in isolamento in piccole celle a sperimentare il "Sotto-Chiave", la prigione nella prigione gestita dagli stessi detenuti e destinata ai peggiori criminali; lì i ragazzi ascolteranno i racconti e le vicende personali di ladri e assassini. "Giovani a rischio" è stato utilizzato come programma extra scolastico in diversi Stati Usa, dove è giunto alla quarta stagione. Immigrazione: prosegue da 4 giorni la protesta delle bocche cucite nel Cie di ponte Galeria Ristretti Orizzonti, 30 gennaio 2014 Per il quarto giorno consecutivo, prosegue la protesta dei 13 immigrati marocchini ospiti del CIE di Ponte Galeria che, da sabato scorso, si sono cuciti la bocca per protestare contro i lunghi tempi di permanenza e le condizioni di vita all’interno della struttura. Lo rende noto il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni, che ha aggiunto che da ieri, i manifestanti hanno anche iniziato, oltre a quello della fame, anche lo sciopero della sete. Anche questa mattina gli operatori del Garante, si sono recati a Ponte Galeria per parlare con gli immigrati che stanno protestando e per verificare l’evolversi della situazione. "Quello che stanno vivendo queste persone - ha detto il Garante dei detenuti Angiolo Marroni - è un’emergenza da risolvere al più presto. Le loro storie raccontano un vissuto di povertà ma anche di estrema dignità. Senza precedenti penali, sono agricoltori, piastrellisti, falegnami, meccanici, imbianchini, decoratori, idraulici. Qualcuno è anche laureato. È gente che nella vita ha lavorato duramente e che poi, con il caos seguito alle guerre della "primavera Araba", ha visto spazzate vie le proprie certezze ed ha guardato con speranza all’Europa". "Passato il clamore mediatico - ha concluso il Garante - resta il dramma, la solitudine e la disperazione di queste persone. Anche se le priorità dell’agenda politica sono mutate rispetto alla mobilitazione seguita alla protesta choc di Natale, spero che il Parlamento trovi tempo e forza per approvare le norme necessarie a porre fine a questa vergogna". Immigrazione: bocche cucite nei Cie… anche quelle sono delle torture di Luigi Cancrini e Paolo Izzo L’Unità, 30 gennaio 2014 La notizia che altri tredici migranti abbiano deciso di cucirsi la bocca all’interno del Cie di Ponte Galeria a Roma, ripetendo un estremo gesto di protesta già avvenuto solo un mese fa, deve far tornare a riflettere le istituzioni sull’introduzione del reato di tortura nel nostro ordinamento. "Anche quella che i tredici nordafricani, incolpevoli di alcun reato e in attesa dell’autorizzazione all’asilo politico, si sono oggi come ieri autoinflitti, impedendosi di parlare e di nutrirsi con questa sconvolgente azione continua la lettera potrebbe essere ravvisabile come una forma di tortura da parte dello Stato, che dovrebbe invece scongiurare e prevenire quelle che sono mere conseguenze dei propri abusi e delle proprie negligenze. Inoltre, anche a Roma, per l’inadempienza dei responsabili della struttura e per le condizioni inumane e degradanti in cui si trovano i suoi cosiddetti ospiti, sarebbe opportuna l’immediata chiusura del Centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria, proprio come richiesto a Torino, con una mozione al governo, da esponenti Sel e Pd del Consiglio comunale, per il Cie di corso Brunelleschi". Una decisione possibile, aggiungo io, all’interno del clima nuovo che si comincia a registrare intorno alla questione perché la cancellazione del reato di clandestinità ad altro non può corrispondere ora che alla chiusura di centri pensati, al tempo dei Maroni e dei Berlusconi, come centri destinati a punire e a scoraggiare chi in Italia era venuto a creare loro dei problemi: con loro elettori e con la loro personale difficoltà ad accettare l’idea per cui gli esseri umani hanno (dovrebbero avere) pari dignità. Indipendentemente dal colore della pelle e dal peso dei loro portafogli. Droghe: Sel; in Commissione della Giustizia Camera in atto tentativo di sabotare decreto Italpress, 30 gennaio 2014 "La Commissione Giustizia della Camera ha accantonato questa mattina, su proposta del gruppo "Per L’Italia", l’art. 2 del Decreto del Governo sulle carceri, che modifica il comma 5 dell’art. 73 del Testo Unico sugli Stupefacenti, sui fatti di lieve entità. È l’ennesimo tentativo di bloccare un emendamento, largamente condiviso dai membri della Commissione, che mira a differenziare le pene previste per la cannabis indica, e i suoi derivati, da altre sostanze stupefacenti di maggior pericolosità. Piccola cosa sul piano penalistico ma simbolicamente assai rilevante". Lo afferma il capogruppo Sel in Commissione Giustizia Daniele Farina, primo firmatario della proposta di legge di Sel sulla regolamentazione della coltivazione domestica della cannabis presentata nel giugno del 2013. "Sulla differenziazione delle pene si è espressa persino l’Associazione Nazionale Magistrati durante l’audizione sulla Proposta di Legge n. 1203, a mia prima firma, di riforma del Testo Unico. Un atto legislativo di buon senso di fronte al palese fallimento dell’attuale legislazione che si basava sulla tolleranza zero, condiviso ormai dalla maggioranza del Paese. Non mi sfuggono le straordinarie pressioni in atto in queste ore sui componenti della Commissione Giustizia, da parte di chi vorrebbe continuare, per convinzione o convenienza, a proseguire politiche ormai superate e controproducenti. E proprio per questo - conclude Farina - lancio un appello a tutte le forze politiche affinché questo tentativo non riesca. Gli italiani non capirebbero". Lo rende noto l’ufficio stampa nazionale di Sel. Ferranti (Pd): non si vuol accantonare tema cannabis "Nessuno ha intenzione di accantonare una questione come quella che riguarda il piccolo spaccio di droghe". Ad assicurarlo è il presidente della commissione Giustizia della Camera Donatella Ferranti alla quale è stato chiesto di commentare l’allarme lanciato dal deputato di Sel Farina a proposito del decreto Carceri ora all’esame della commissione. A far discutere i vari gruppi, infatti, è l’emendamento presentato al testo dal relatore Davide Ermini (Pd) che fa una differenza, nell’ambito del piccolo spaccio, tra droghe pesanti e quelle più leggere di origine naturale. Nella sua proposta di modifica si prevede una condanna fino a 5 anni per tutte le sostanze stupefacenti; fino a 3 invece (il che significa che non potranno scattare alcune misure come ad esempio l’arresto in flagranza ecc.) per quelle più leggere di origine naturale come la cannabis. Il deputato Gaetano Piepoli (PI) ha chiesto l’accantonamento della proposta per dar tempo al suo gruppo di mettere a punto una posizione univoca sulla questione. Ma qualche mal di pancia esiste anche nel Nuovo centrodestra visto che si affronterebbe comunque una materia oggetto della legge Fini-Giovanardi. In più, a breve, forse già a metà febbraio, la Corte Costituzionale dovrebbe intervenire proprio sulla legge che porta la firma del senatore del Ncd Carlo Giovanardi. Pertanto, si sarebbe scelto di accantonare il tema per andare avanti con l’esame del provvedimento. Ma della questione, ribadisce Donatella Ferranti, "ce ne occuperemo sicuramente". E questo è senz’altro vero anche perché, sfogliando il calendario dei lavori della commissione si vede che è già cominciato l’esame di una proposta di legge proprio sulla questione che porta la firma dell’esponente di Sel Farina e che vede accorpato anche un progetto di legge del Pd, primo firmatario Gozi. Il fatto è che il decreto Carceri rende reato autonomo il piccolo spaccio che ora è considerato solo un’attenuante. E come tale non avrebbe quasi mai trovato applicazione, spiegano i tecnici della materia, perché le diverse circostanze si sommano anche con le aggravanti e si elidono. E non si calcola anche in caso di recidiva. Si voleva così renderlo reato autonomo anche per dare una giusta dimensione alla condanna. Da quando è stata approvata la legge Fini-Giovanardi dal 2006, infatti, non c’è più una differenza tra droga pesante e leggera. Al momento in carcere ci sono circa 23 mila detenuti per questioni relative allo spaccio, di cui circa 8.000 tossici. Diversi esponenti della commissione di maggioranza assicurano di voler risolvere il problema in tempi rapidi anche per tentare di risolvere l’emergenza del sovraffollamento carcerario: o nel decreto Carceri o in quest’altro progetto di legge Pd-Sel. Sembra, insomma, che sia solo una questione di tempo. Pagano (Ncd): se in dl depenalizzazione spaccio noi non votiamo "Quanto sta accadendo sul decreto svuota carceri è di una gravità inaudita. Qualora, infatti, dovesse essere inserito l’emendamento, che di fatto abbassa la punibilità per chi spaccia droghe, così come spiegato anche da autorevoli voci della magistratura sui quotidiani odierni, sarà impossibile per i giudici, in assenza di aggravanti, applicare persino il "collocamento in comunità" per i minorenni" lo dichiara, in una nota, Alessandro Pagano, capogruppo del Nuovo Centrodestra in commissione Giustizia alla Camera. "Qualcuno dovrebbe spiegare agli italiani la ratio di questa norma visto che si sta spianando la strada alla liberalizzazione delle droghe e all’utilizzo dei minorenni quali pusher da parte del racket della droga. Senza considerare che, da un punto di vista pedagogico, ci sarà una diseducativo orientamento, che Internet provvederà ampliamente a diffondere in tempi rapidissimi, che farà aumentare in maniera esponenziale l’uso di stupefacenti" spiega Pagano. "Per tale motivo, il Nuovo Centrodestra, qualora dovesse restare immutata l’impostazione data in queste ultime ore, voterà contro l’intero provvedimento" conclude il capogruppo Ncd in commissione Giustizia. Droghe: Bernardini (Radicali); bene legge Puglia per farmaci a base di cannabinoidi Ansa, 30 gennaio 2014 La legge approvata ieri all’unanimità dal Consiglio regionale della Puglia sulle modalità di erogazione dei farmaci a base di cannabinoidi per finalità terapeutiche "è una buona legge". Lo ha sottolineato a Foggia, dove partecipa ad un convegno, il segretario di Radicali Italiani, Rita Bernardini, che è anche presidente ad honorem di LapianTiamo, il primo Cannabis social Club italiano che è nato un anno fa a Racale, in provincia di Lecce, grazie alla intuizione e al coraggio di Andrea Trisciuoglio e Lucia Spiri, rispettivamente segretario e presidente di LapianTiamo, e di tante altre persone, soprattutto malati, che si curano con la cannabis. "Adesso - ha aggiunto Bernardini - bisognerà farla funzionare questa legge. Stiamo parlando della cannabis terapeutica che è necessaria a quei malati che non trovano benefici da altri farmaci soprattutto per la loro qualità della vita. La cannabis terapeutica per loro è di grande aiuto". Il Segretario di Radicali Italiani, Rita Bernardini, ha consegnato 11 piante di cannabis, coltivate sul suo terrazzo, al Cannabis Social Club di Racale (Lecce) affinché i malati possano utilizzarle a scopo terapeutico. Lo ha reso noto la stessa Bernardini intervenendo ad un convegno che si tiene a Foggia. "Naturalmente - ha detto Bernardini - ho commesso un reato grave, abbiamo filmato tutto e lo porteremo alla Procura della Repubblica di Foggia, lo facciamo come disobbedienza civile". "Troviamo intollerabile che il Parlamento e tutte le Regioni d’Italia - ha detto Bernardini - non riescono a consentire a questi malati l’accesso al farmaco". Il segretario di Radicali Italiani ha raccontato alla platea: "Voglio raccontarvi quello che ho fatto oggi perché dal giugno dello scorso anno abbiamo seminato, come radicali, insieme all’associazione LapianTiamo, il primo Cannabis Social Club’ italiano nato un anno fa a Racale, in provincia di Lecce, dei semi di cannabis in piazza Montecitorio". "La polizia, non sapendo bene cosa fare, ha sequestrato due vasetti con i semini, ma gli altri - ha continuato Bernardini - ce li ha lasciati. Erano 11 vasetti che ho portato a casa mia e ho coltivato. Sono nate 11 piante che ho coltivato sul mio terrazzo, documentando la loro crescita su Fb. Arrivate a maturazione le ho raccolte e oggi le ho consegnate al Cannabis Social Club di Racale, che raccoglie malati che, malgrado ci sia una legge del 2007, non riescono ad aver accesso a questi farmaci". "Aggiungo che noi - ha detto Bernardini - vogliamo arrivare alla legalizzazione della marijuana, perché troviamo irragionevole che lo Stato appalti un fenomeno alla criminalità organizzata". "Lo Stato - ha aggiunto - deve regolamentare questo settore che vede almeno 3 milioni di consumatori di cannabis, così come fa per il tabacco e per l’alcol. Questa è la strada che viene percorsa un po’ in tutto il mondo". Quindi mi auguro - ha proseguito Rita Bernardini - che la magistratura, gli inquirenti, le forze dell’ordine si comportino nei miei confronti, come fanno nei confronti delle migliaia di giovani che sono sbattuti in galera, perché trovati in possesso di un quantitativo di marijuana che loro considerano finalizzate allo spaccio. Quindi, se non faranno questo io farò due cose: li denuncerò per omissione di atti d’ufficio e mi riterrò autorizzata a fare un’altra coltivazione, sempre destinata ai malati". "Domani mattina - ha detto ancora - andremo a visitare, autorizzati dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, il carcere di Lucera dove recentemente si è verificato il suicidio di un detenuto che ha destato qualche sospetto perché avvenuto nella cella di isolamento. Andrò lì anche per cercare di capire meglio e comunque voglio con questa visita portare conforto ai detenuti che, ricordiamolo, in tutte le carceri italiane, subiscono trattamenti inumani e degradanti, come certificato dalla Corte europea per i diritti dell’uomo". "Subito dopo, come detto - ha concluso - mi recherò alla Procura di Foggia per consegnare il filmato e le foto della cessione e la coltivazione e una mia autodenuncia e poi vediamo li che cosa succede. Dovrebbero arrestarmi. Vedremo se avranno il coraggio di farlo". Droghe: in Brasile giudice assolve trafficante, incostituzionale divieto marijuana Ansa, 30 gennaio 2014 Con una sentenza inedita per il Brasile, un giudice ha assolto un trafficante di marijuana con la motivazione che la proibire tale droga è incostituzionale. La sentenza è dell’ottobre scorso, ma il dispositivo è stato depositato il 16 gennaio e la procura del Distretto federale ha deciso solo oggi di impugnarla e di presentare ricorso. Il giudice Frederico Ernesto Cardoso Maciel ha basato la sua sentenza sul fatto che la legge sulle droghe del 2006 attribuisce al ministero della Salute la competenza sulla distinzione tra droghe lecite e illecite. "Si tratta indubbiamente di un atto amministrativo che restringe i diritti e manca di una qualsiasi motivazione da parte dello stato", scrive il giudice. La procura aveva rinviato a giudizio Marcus Vinicio Pereira Borges, arrestato con 52 ovuli contenenti 46,15 grammi di marijuana nello stomaco mentre entrava nel carcere di Papuda, nel Distretto federale, per visitare un amico detenuto. "È un’ottima sentenza che costituisce un precedente importante per discutere sulla legalizzazione della marijuana. Il giudice sa di cosa parla", è stato il commento del difensore dell’imputato, Jurandir Soares de Carvalho. La liberalizzazione della cannabis, decisa recentemente dall’Uruguay e dal Colorado, non è un tema di discussione in Brasile. Nel maggio scorso, tuttavia, alcune migliaia di persone hanno partecipato a Rio de Janeiro alla Marcha de la Maconha, una manifestazione in favore della liberalizzazione della marijuana. Durante la marcia, un minorenne è stato arrestato sulla spiaggia di Ipanema per aver tentato di vendere una canna a un agente in borghese. India: Cirielli (Fdi) su caso marò; governo dia necessaria autorità a De Mistura Public Policy, 30 gennaio 2014 "Il Governo dia la necessaria autorità all’inviato speciale a New Delhi, Staffan De Mistura, per seguire la vicenda dei due marò, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. A questo punto, è opportuno che riceva un incarico di Governo e abbia la giusta autorevolezza per trattare con l’India, gli alleati e gli altri partner internazionali, per risolvere una vicenda che si trascina ormai da due anni, e che vede illegalmente detenuti due nostri fucilieri della Marina". Lo scrive su Facebook il deputato di Fratelli d’Italia, componente della commissione Esteri, Edmondo Cirielli, aggiungendo: "Pur non avendo condiviso la gestione del caso marò durante il Governo Monti, che ha legittimato un procedimento giudiziario illegale da parte dell’India, atteso che siamo di fronte ad una palese violazione del diritto internazionale, è necessario intervenire immediatamente, dando un’adeguata autorevolezza a De Mistura, consentendogli di internazionalizzare finalmente la controversia con lo Stato indiano". L’Ue ammonisce l’India Sempre nell’ambito del vertice di Bruxelles tra il presidente della Commissione Europea, José Manuel Barroso Manuel e il premier italiano Enrico Letta arriva l’appoggio dell’Europa sul caso dei fucilieri di marina detenuti in India, con un ammonimento: "L’Unione Europea - ha detto Barroso - è impegnata a combattere la pirateria ed è profondamente contraria all’uso della pena di morte e qualunque decisione dell’India sul caso dei due marò avrà un impatto su tutta la Unione Europea". Ogni decisione sul caso dei due militari italiani sotto processo "può avere un impatto sulle relazioni complessive fra l’Unione e l’India e deve essere valutata con attenzione", ha precisato il presidente. Intanto i legali dei fucilieri di risponderanno oggi a una convocazione fissata dal giudice speciale della Session Court di New Delhi, Darmesh Sharma, a cui la pubblica accusa indiana vorrebbe trasferire la tutela giudiziaria dei marò. Bergamini (Fi): da Europa ci aspettiamo di più "La presa di posizione del presidente della Commissione Europea Barroso sulla vicenda dei nostri Marò è apprezzabile ma, in questo momento, ci serve e ci aspettiamo qualcosa in più. Che si prospettino conseguenze nelle relazioni tra Unione Europea e India dopo la decisione sui nostri militari detenuti, che si incoraggi l’India a trovare una soluzione soddisfacente è giusto ma anche il minimo che si possa fare. Da Bruxelles aspettiamo subito un’azione incisiva, nella consapevolezza che i Marò sono anche cittadini europei". Lo dichiara, in una nota, la responsabile comunicazione di Forza Italia Deborah Bergamini. Stati Uniti: in Missouri stop a esecuzioni, non si sa se farmaco possa causare sofferenza Ansa, 30 gennaio 2014 La Corte Suprema degli Stati Uniti ha sospeso temporaneamente l’esecuzione di Herbert Smulls, detenuto nel braccio della morte in Missouri in attesa di stabilire se il nuovo farmaco usato per l’iniezione letale provochi sofferenza. L’uomo, 56 anni, è stato condannato a morte per aver ucciso un gioielliere a St. Louis nel 1991. La decisione del tribunale è arrivata circa due ore e mezza prima dell’esecuzione, che era in programma a mezzanotte e un minuto. L’avvocato di Smulls ha chiesto di bloccare la mano del boia facendo leva sul fatto che le autorità del Missouri hanno rifiutato di rivelare chi produca il pentobarbital, il farmaco usato per l’iniezione letale. Per questo, secondo il legale, non è possibile stabilire se la sostanza può causare dolore e sofferenza al condannato. Ucraina: amnistia per l’opposizione, Parlamento vota in seduta fiume Ansa, 30 gennaio 2014 Il Parlamento dell’Ucraina ha approvato in seduta straordinaria la amnistia per tutti gli oppositori detenuti e arrestati durante le grandi manifestazioni che hanno costellato la storia del Paese negli ultimi mesi. È il nuovo corso di Arbusov, il neopremier disposto a trattare con l’opposizione nazionalista in cambio dello stop al caos. Ma ieri è stato scontro tra nazionalisti ed estrema destra. Il partito ultranazionalista Svoboda ha provato a far sloggiare dal ministero della Agricoltura i militanti di estrema destra di "Spilna Sprava". Risultato: una mezza dozzina di feriti. Ma è evidente che il partito nazionalista sembra pronto a sfruttare l’apertura del governo su nuovi negoziati. Stop proteste condizione inaccettabile La condizione di mettere fine alle proteste, posta dal governo di Kiev per concedere l’amnistia ai dimostranti fermati, è inaccettabile. Lo ha ribadito uno dei leader delle proteste in corso in Ucraina, Arseniy Yatsenyuk, affermando che questa condizione debba essere annullata. "Hanno posto un numero di condizioni, e quella chiave secondo la bozza di legge è lasciar andare i dimostranti soltanto dopo che le proteste saranno state fermate. Questo per noi è inaccettabile", ha dichiarato Yatsenyuk. Il Parlamento discute oggi le proposte per l’eventuale amnistia. I deputati del partito "Patria" di Iulia Timoshenko hanno abbandonato l’aula parlamentare durante una sessione straordinaria per risolvere la grave crisi politica ucraina. Lo scrive l’agenzia Interfax. Oggi in parlamento si sta discutendo una legge di amnistia che consenta la liberazione dei manifestanti antigovernativi. Il partito di maggioranza chiede però in cambio lo sgombero dei tanti edifici pubblici occupati. Filippine: la polizia sottopone i detenuti alla "roulette della tortura" di Riccardo Noury Corriere della Sera, 30 gennaio 2014 Quando non sono annunciate - e dunque i responsabili delle prigioni non hanno il tempo per lustrarli a lucido - le visite nei centri di detenzione da parte degli organismi di monitoraggio sui diritti umani riservano delle sorprese. Sempre amare. L’esito della missione della Commissione sui diritti umani delle Filippine in una cella del centro di detenzione della polizia di Biñan, nella provincia di Laguna, è spaventoso. Quella cella non è neanche elencata nel registro dei centri di detenzione della Polizia nazionale filippina. Dunque ufficialmente non esiste. In quella cella segreta però vi sono dei detenuti comuni. E c’è un tavolo su cui è collocata una roulette. Al posto dei numeri e dei colori, le tecniche di tortura. Si lancia la pallina e via. Se si ferma su "30 secondi da pipistrello", il detenuto viene appeso a testa in giù per mezzo minuto. Se va su "20 secondi di Manny Pacquiao", il malcapitato viene preso a pugni, senza sosta, per il tempo equivalente. I detenuti sottoposti alla "roulette della tortura" sono come minimo 44. Questi, infatti, sono quelli che hanno trovato il coraggio di sporgere denuncia, incuranti delle conseguenze, nei confronti di 10 agenti di polizia: denunciati per tortura ed estorsione, poiché succedeva anche che in cambio di soldi la pallina cambiasse magicamente destinazione. Ecco un nuovo esempio di banalità del male: la tortura per gioco, alimentata da fiumi di alcool, secondo le conclusioni della Commissione sui diritti umani delle Filippine. La polizia di Biñan intendeva servire in questo modo lo stato. Quello stato che non ne sapeva nulla o fingeva di non sapere e che ora, nella persona del suo massimo rappresentante, il presidente Benigno Aquino, deve rimediare. Sospendere gli agenti responsabili delle torture e i loro superiori non è sufficiente, secondo Amnesty International: occorre un processo. Le Filippine hanno ratificato quasi 30 anni fa la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e da cinque anni il parlamento ha promulgato la Legge contro la tortura. Ma se vi sono zone franche, non riconosciute, segrete e illegali in cui agenti di polizia ubriachi lanciano la pallina per scegliere come brutalizzare i detenuti, quella legge rischia di essere priva di valore.