Giustizia: con i decreti del Governo due piccoli passi, ma nella giusta direzione di Sandro Gozi e Federica Resta Il Manifesto, 2 gennaio 2014 Nei decreti varati dal governo misure importanti. Ma ora vanno approvati amnistia e indulto. Saranno pure piccoli passi, quelli del decreto carceri il cui esame comincerà il prossimo 7 gennaio in commissione giustizia alla camera. Ma certamente, vanno nella giusta direzione e con la procedura "accelerata" del decreto-legge, che consente l’immediata applicazione di alcune norme essenziali per ridurre il sovraffollamento penitenziario. Opportuna e attesa è la rimodulazione della disciplina degli illeciti minori connessi agli stupefacenti, dopo la Fini- Giovanardi puniti con sanzioni così elevate da alimentare, essi soltanto, un flusso rilevantissimo di ingressi in carcere. Importanti - anche in termini di "civiltà giuridica" - sono poi le misure volte a consentire l’identificazione degli stranieri detenuti direttamente in carcere, così da sottrarli a quella "pena aggiuntiva" e del tutto ingiustificata consistente nel trattenimento nei centri d’identificazione ed espulsione (oggi anche fino a 18 mesi) per mere esigenze di identificazione. Importante la valorizzazione delle misure alternative alla detenzione, realizzata "stabilizzando" l’esecuzione domiciliare per fine pena ed estendendo i casi di affidamento al servizio sociale anche rispetto a pene residue di 4 anni, così da favorire non solo la riduzione della popolazione penitenziaria ma anche quel reinserimento sociale necessario per evitare la recidiva e rendere la pena una misura utile alla società oltre che al condannato. Rilevanti sono, inoltre, le misure volte a garantire la tutela dei diritti nei luoghi di detenzione, rendendo più incisiva la tutela giurisdizionale rispetto al diritto di reclamo e affidando alla magistratura di sorveglianza funzioni di garanzia anche nei casi di inerzia dell’amministrazione penitenziaria (e si tratta di ipotesi tutt’altro che infrequenti). Sotto questo profilo, altrettanto importante è l’istituzione del Garante nazionale dei diritti delle persone sottoposte a misure limitative della libertà personale, con cognizione estesa non soltanto alle carceri ma anche ai centri d’identificazione ed espulsione, alle camere di sicurezza, agli ospedali psichiatrici giudiziari, agli istituti penali e le comunità di accoglienza per minorenni. Il Garante dovrà quindi assicurare che l’esecuzione di misure limitative della libertà personale - nelle forme, con le procedure e nei luoghi più vari- avvenga nel rispetto della legge, del diritto internazionale e, soprattutto, della dignità umana. Pur non delineando una riforma organica del sistema penale e penitenziario - che sarebbe certamente necessaria ma che richiede un iter parlamentare più complesso e non può passare quindi per la decretazione d’urgenza - il provvedimento agisce su alcuni dei principali fattori del sovraffollamento dovuti a una politica penale espansiva tanto quanto recessiva sul fronte dell’inclusione sociale, del welfare e dell’accoglienza degli stranieri. Con il risultato, quindi, di criminalizzare la marginalità sociale e di rendere il carcere una misura socialmente selettiva, come dimostra la composizione della popolazione penitenziaria, fatta in prevalenza da stranieri e soggetti socialmente ed economicamente vulnerabili. Per il sovraffollamento e il degrado che ne caratterizza le condizioni, il carcere non solo si dimostra del tutto incapace di promuovere- come dovrebbe secondo Costituzione - il reinserimento sociale, ma addirittura rischia di favorire la recidiva, come ha dimostrato più volte Luigi Manconi. In tale contesto, una radicale revisione delle politiche penali e penitenziarie è allora - come ha scritto il Capo dello Stato- non solo un dovere giuridico e politico ma, addirittura, un "imperativo" morale cui la politica deve assolvere con assoluta priorità e con la consapevolezza che su questo campo si gioca la partita più importante per una democrazia liberale e rispettosa dei diritti e della dignità umana. Con questo provvedimento e con il decreto-legge di luglio (che ha ridotto l’area della custodia cautelare ed esteso, per converso, la sfera di applicazione di alcune misure alternative, vincendo quelle presunzioni astratte di pericolosità contrarie a un diritto penale "del fatto" e non dell’autore), il Governo ha fatto molto. Il Parlamento deve ora agire con non minore determinazione, anzitutto approvando definitivamente i disegni di legge sulla custodia cautelare e sulle pene detentive non carcerarie, già votati dalla Camera. E inoltre approvando i provvedimenti di amnistia e indulto necessari a restituire alle condizioni delle nostre carceri quel minimo di umanità senza il quale la pena rischia di divenire, come ci insegna la Corte europea dei diritti umani, vera e propria tortura. Giustizia: sulla situazione delle carceri l’accusa dei Radicali "lo Stato è fuorilegge" di Daniele Di Mario Il Tempo, 2 gennaio 2014 Sovraffollamento, malati non curati, agenti di polizia penitenziaria senza contratto da 7 anni. Dal contratto nazionale degli agenti di Polizia penitenziaria al dramma de sovraffollamento. Nelle carceri italiani regna uno stato di latente illegalità. A denunciarlo sono i Radicali, che se ne sono resi conto di persona per l’ennesima volta. Una delegazione dei Radicali ha infatti deciso di trascorrere il giorno di Capodanno tra i detenuti romani, visitando ieri mattina il carcere di Regina Coeli e il pomeriggio Rebibbia. La delegazione era guidata da Marco Pannella e costituita da Rita Bernardini, Laura Arconti, Mina Welby, Isio Maureddu, Paola Di Folco e Giulia Crivellini. "Siamo rimasti all’interno dei due penitenziari tante ore - ha raccontato Rita Bernardini in serata - A parte il sovraffollamento i problemi sono enormi e numerosi". La Bernardini ha sottolineato le differenze tra Regina Coeli (un carcere "ormai vecchio") il nuovo complesso di Rebibbia che, benché più recente, ha gli stessi problemi del carcere della Lungara. "Tanto per fare un esempio - ha raccontato la Bernardini - nelle celle singole abbiamo trovato tre detenuti, la stanza della socialità era occupata da letti. Si tratta di episodi di illegalità". Ma a colpire la delegazione radicale sono stati anche tanti episodi singoli. "Un detenuto napoletano - ha ricordato Rita Bernardini - si ha raccontato di essere stato costretto a farsi punire di proposito per poter incontrare l’educatrice, una figura, tanto per capirci, che deve redigere le relazioni per il magistrato di sorveglianza. A Rebibbia ogni c’è un’educatrice per trecento detenuti". C’è poi la situazione dei malati. "Praticamente non vengono curati, il medico non arriva mai - ha detto l’ex parlamentare. Abbiamo incontrato un ragazzo del peso di 270 chili su una carrozzella: una situazione incompatibile col regime carcerario. E poi ci sono altri casi gravi: malati di tumore, pazienti in attesa di un trapianto di fegato. Ma c’è un altro aspetto grave: su 1.700 detenuti solo 170, il dieci per cento, lavora. Gli stranieri sono assistiti da avvocati d’ufficio che se ne fregano. Pannella è stato accolto con amore: i detenuti si aspettano solo quello che gli è dovuto. sono stanchi di essere sottoposti a tortura. Molti vivono a centinaia di chilometri dalle famiglie che non hanno soldi per andare a trovarli, con figli minori con problemi psicologici". C’è poi il problema della polizia penitenziaria. "Il contratto è scaduto da 7 anni, non vengono equiparati alle altre forze dell’ordine e non vengono pagati neanche gli scatti di carriera. È normale che si crei uno stress tale da sfociare nell’esasperazione completa". Giustizia: quel brindisi di Capodanno con i condannati a "fine pena mai" di Roberto Giachetti Il Tempo, 2 gennaio 2014 A Tempio Pausania oltre quel muro alto 4 metri brindisi e auguri agli ergastolani. Tra Olbia e Tempio Pausania ci sono circa una quarantina di chilometri ancora segnati dalle ferite prodotte dall’alluvione di qualche settimana fa che solo a Tempio ha fatto 3 vittime precipitate con la macchina nella voragine che aperto in due la strada provinciale n.38. Il carcere si trova a circa un 1 km dal comune, ma fa un certo effetto perché è un bestione di cemento con le mura di cinta alte circa 4 metri. In quel chilometro non c’è niente, ma davvero niente tolti i terreni a tratti coltivati. Sanno bene i detenuti come funzionano le cose per arrivare qui all’interno dell’isola. Certo non è Pianosa ma riuscire a garantire ai detenuti ed ai loro familiari di incontrarsi è davvero difficile e, soprattutto, non poco costoso. L’anno scorso con Pannella "sequestrammo" detenuti e personale di Polizia Penitenziaria per quasi circa 5 ore, nel 2013 da solo ne ho impiegate circa due e mezza! Certo i detenuti sono molti di meno anche se nondimeno il sovraffollamento si fa sentire: 183 detenuti a fronte di una capienza di 154. E, come in tutti i carceri, ai tanti detenuti rispetto ai pochi posti si contrappongono i pochi agenti rispetto a quanti ne sono previsti in pianta organica: 90 su 137. La struttura è nuova e l’argomento non è irrilevante. Chi come me ha visitato molte carceri italiane sa bene cosa vuol dire e come incide la fatiscenza e la vetustà delle strutture. Qui si respira aria di pulito, alle pareti bianche si contrappongono le inferriate color celeste vivo, ad eccezione degli spazi per gli incontri con i familiari tutti dipinti dai detenuti stessi con scene di quasi tutti i film di Walt Disney per cercare di rendere più caldo possibile il colloquio con i bambini. Arriviamo verso le 23 con la Direttrice Carla Ciavarella ed il Capo della Polizia Penitenziaria, Pietro Masciullo. Lei ha trascorso molti anni in missioni all’estero, dai Balcani all’Afghanistan al Sudafrica, per conto dell’Agenzia Onu contro la droga e il crimine; lui si è girato quasi tutte le carceri italiane. Hanno lavorato insieme per più di un anno in Kossovo per la riorganizzazione del sistema penitenziario. Ad attenderci davanti all’entrata il Sindaco di Tempio, Roneo Frediani che i detenuti conoscono bene a tal punto che uno di loro durante gli auguri gli ha detto: "Sindaco tu ormai sei uno di noi!" e lui, persona di grande umanità ed ironia, ha risposto: "Sì ora passo in matricola!". Sbrigate rapidamente le formalità di rito ti rendi subito conto di quale crocicchio di umanità sia capace una comunità come il carcere. Mentre per i detenuti è un giorno di festa grazie al fatto che in previsione della mia visita la socialità era stata prolungata fino alle 24 e 30, sotto alla portineria che fa da prima accoglienza per le visite c’è un agente che vive ore di angoscia perché la sua figlioletta di 4 anni qualche giorno fa è stata ricoverata in ospedale a Sassari per problemi cardiaci. Sono le 23.20 e iniziamo dalla sezione C, i detenuti hanno cucinato per il cenone e stanno camminando nel corridoio ci vedono e si radunano nella sala mensa, sono contenti, si vede, saluti e auguri e poi Enrico l’"intellettuale" (ergastolo) con già qualche decina di anni alle spalle mi fa qualche battuta sullo sciopero della fame; gli altri sorridono. Via rapidi alla sezione D. Saluti e battute, si parla un po’ di politica e si sente il countdown dalla sezione accanto che annuncia l’arrivo della mezzanotte. Non si brinda perché l’alcool è vietato ma si festeggia un Capodanno insolito e prima di uscire un detenuto mi dice che in un anno il carcere ha fatto passi enormi e che per un ergastolano conservare la speranza è la ragione di vita e che questo concetto va fatto capire a tutti quegli italiani che sono stati spinti a ragionare con la pancia. È passata da 10’ la mezzanotte quando entriamo nella sezione B la chiamano la sezione degli artisti, ci sono attori, cantanti, poeti. Mi ringraziano per questa visita che gli ha consentito 3 ore in più di socialità e mi raccontano dei progetti artistici futuri. Il Comandante Masciullo ha posto come limite le 24.30; gli ultimi 20’ li trascorriamo nella sezione A. Auguri e strette di mano di rito e poi però lo sfogo. Sono quelli in regime di 4 bis. Gli ergastolani ostativi cioè coloro che non hanno diritto né a permessi premio né a misure alternative. Perché questa misura che impedisce qualche minimo benefico a persone che in tanti anni si sono comportate bene? Una domanda alla quale è difficile rispondere, una riflessione che è obbligatorio fare. In realtà siamo in un carcere dove sono ospitati detenuti per reati gravi legati alla criminalità organizzata, al traffico internazionale di stupefacenti, omicidi vari, condannati a parecchi anni, una quarantina dei quali a quel ‘fine pena mai’ che a pensarci fa davvero rabbrividire. Ovviamente penso anche alle vittime di quei reati, ai familiari di tante persone uccise e mi domando se alla fine dopo decine di anni di carcere il recupero ed il reinserimento nella società di queste persone non possa essere una conquista per tutti, anche per loro. Il Direttore Artistico del teatro, Alessandro Achenza mi racconta l’aneddoto di un detenuto che durante uno spettacolo veniva infastidito da una falena, agitava le mani facendo ridere i compagni seduti intorno a lui. Uno di questi gli dice non agitarti, ammazzala! E lui per tutta risposta gli dice: "Fuori da qui ho fatto soffrire tanta gente, ora, qui dentro, voglio far sorridere". Si conclude così la nostra visita ai detenuti. Rimaniamo un’altra oretta a parlare con la Direttrice, il Comandante e tutti gli operatori dei tanti problemi aperti ed ai quali occorre fare fronte. Prendo appunti. C’è lo spazio per un brindisi. L’una è passata da una quarantina di minuti ora la vita della Casa di reclusione di Tempio Pausania riprende la sua normalità si chiudono i cancelli dietro a noi ma tanti interrogativi e pensieri ci inseguono. Giustizia: mio figlio è stato ucciso da un pirata della strada, no allo svuota carceri di Elisabetta Cipollone www.tgcom24.it, 2 gennaio 2014 Dopo aver perso suo figlio Andrea De Nando travolto e ucciso da un’auto, la signora chiede certezza delle pene per i pirati della strada. Sono passati quasi tre anni da quando Elisabetta Cipollone ha perso suo figlio Andrea Di Nando, investito a Peschiera Borromeo mentre attraversava le strisce pedonali. Ancora con il dolore che strazia il cuore ha deciso di scrivere i suoi pensieri al Ministro Cancellieri giusto per la fine dell’anno. Di seguito la lettera integrale. Egregio Ministro Cancellieri, ho atteso la fine di questo anno terribile per esprimerle il mio dissenso più profondo nei confronti del nuovo decreto svuota carceri. Sono la mamma di un ragazzo ucciso dall’irresponsabilità alla guida altrui. Un pomeriggio di tre anni fa, Andrea attraversava la strada, a piedi ad un incrocio con il semaforo verde e sulle strisce pedonali (tutto agli atti processuali), noi lo stavamo aspettando ma mio figlio a casa non è mai rientrato. Alta velocità in pieno centro urbano e il non rispetto delle più elementari regole del Codice Stradale hanno posto fine alla sua vita a soli 15 anni. Inutile raccontarle lo strazio quotidiano che ci troviamo a dover vivere, questa vita spezzata che ha distrutto al contempo le esistenze di chi tanto lo amava. Ciò su cui mi voglio soffermare in questo momento è il dissenso misto ad indignazione, verso il decreto svuota carceri da Lei emanato ed approvato pochi giorni fa dal Consiglio dei Ministri. Non posso e non voglio entrare in merito al suddetto decreto, e neppure in merito alle sanzioni della Corte di Strasburgo e alle sollecitazioni continue del Presidente della Repubblica, ciò che mi preme sottolineare è il senso di assoluta ed ulteriore Ingiustizia che emerge leggendo le dichiarazioni al riguardo. "Nessuno tocchi Caino", e su questo potrei anche concordare, ma sentirvi parlare di diritti dei detenuti quale fosse unica ed essenziale priorità senza mai aver fatto un solo cenno ai diritti delle Vittime, è totalmente e completamente Ingiusto. Leggo poi che è prevista l’introduzione del Garante dei Diritti dei detenuti e qui credo si sia toccato il fondo. E noi Ministro, quali diritti abbiamo? Qualcuno si è mai preoccupato ed occupato di tutta quella schiera di persone che quei reati li ha subiti? Perché dal Vostro decreto non è emersa in alcun modo, l’esigenza di istituire un Garante per i Diritti delle Vittime che, quantomeno, riequilibrerebbe la situazione venutasi a creare? Esistiamo anche noi sa Signor Ministro? Esiste tutta una schiera di persone che quei reati li ha subiti e che, allo stato attuale, non gode di alcuna attenzione da parte delle Istituzioni. A cominciare dalle aule dei Tribunali nelle quali, durante il processo penale, sebbene rappresentiamo la parte lesa in assoluto, non ci è neppure concesso di proferire una sola parola, che dico neppure un cenno con il capo pena l’espulsione immediata e garantita dalle aule ed il tutto sperimentato personalmente e sulla mia pelle (ma tutto ciò Lei lo saprà perfettamente). E potrei andare avanti all’infinito poiché il percorso che ci troviamo a dover affrontare , nostro malgrado, è pieno fino all’inverosimile di diritti calpestati o neppure mai acquisiti, se non uno: quello di morire, di una morte lenta però, quella della sopravvivenza a chi è stato strappato alla Vita e al nostro amore. Ai lettori e a Lei lascio trarre le conclusioni di una situazione Insostenibile, inaccettabile, incredibile e per concludere, nella speranza che il mio messaggio possa arrivarle, vorrei lasciarla con una riflessione che riassume quanto finora detto: Il mio paese non può istituire un Garante nazionale per i diritti dei detenuti, o meglio potrebbe farlo, se avesse già provveduto ad istituire un garante nazionale per i diritti delle Vittime. Il mio paese non può non considerare e annullare la dignità di chi quei reati li ha subiti. Il mio paese non può non dire mai una sola parola a garanzia di chi si trova a vivere un destino che non ha scelto. Il mio paese non può fare tutto ciò. Credevo questo fosse il mio amato paese. Giustizia: il ministro Cancellieri "l’omicidio stradale sarà reato" di Silvia Barocci Il Messaggero, 2 gennaio 2014 Il governo esaminerà le misure entro gennaio. Renzi: "Basta annunci". Prevedere un reato autonomo di "omicidio stradale" o, ancor meglio, una corsia preferenziale nei processi in cui ci sono vittime di pirati della strada o di automobilisti che guidano sotto l’effetto di alcol o di stupefacenti. È su queste due ipotesi che si sta lavorando al ministero della Giustizia. Il ministro Annamaria Cancellieri ne ha parlato con il responsabile del Viminale Angelino Alfano e presto i tecnici dei due dicasteri studieranno la novità normativa che - ha annunciato il Guardasigilli - farà parte di una serie di misure da portare "entro gennaio" in Consiglio dei ministri. Siamo di fronte a "reati gravi", rispetto ai quali - secondo Cancellieri - è bene che "le vittime abbiano la giustizia che meritano. Spesso infatti le famiglie delle vittime si sentono offese nel loro dolore perché non hanno i riscontri che meriterebbero". Il pensiero è al padre di Stella Manzi, la bambina romana di 8 anni uccisa a Santo Stefano da un automobilista ubriaco, sotto effetto di droga e senza patente. Un’analoga tragedia si è ripetuta nella notte di Capodanno in Calabria sull’autostrada Salerno-Reggio: due donne sono state sbalzate dalla loro auto in seguito allo scontro con un’altra vettura e sono morte dopo essere state investite da una terza auto il cui conducente non si è fermato. Della nuova fattispecie di reato di omicidio stradale si parla da anni, prospettando anche il cosiddetto "ergastolo della patente", ossia il divieto assoluto di guidare nei casi più gravi. Cancellieri si è sentita ieri con Alfano, per studiare una linea comune. Ma trovare una soluzione giuridica non è facile. La difficoltà è nello stabilire con chiarezza, in caso di omicidio commesso alla guida sotto l’effetto di alcol o droga, la differenza di situazione in cui il fatto è compiuto, se si tratti cioè di una colpa cosciente o di un dolo eventuale. È una delicata linea di confine che l’introduzione nel codice di un nuovo reato rischia di non chiarire ma di confondere ulteriormente. Anche perché - è il ragionamento di diversi giuristi - già ora le aggravanti previste per coloro che provocano incidenti stradali, guidando in stato di ebbrezza o dopo aver assunto droghe, consentono di innalzare le pene fino a dieci anni. Ma a detta di molti non basta. "Basta annunci! Se c’è volontà si faccia subito, senza perdere tempo": Matteo Renzi irrompe nel dibattito con un tweet, ricordando il suo impegno da tre anni nella raccolta delle firme promossa da parenti delle vittime della strada. Convinta della necessità di una norma ad hoc anche la Lega Nord, che lo scorso luglio ha presentato una proposta di legge per introdurre il reato di omicidio stradale e per innalzare le pene da un minimo di sei a un massimo di dodici anni. All’annuncio della Cancellieri plaude la Fondazione Ania per la sicurezza stradale che con il suo presidente, Umberto Guidoni. Sulla stessa linea l’Associazione sostenitori della polizia stradale, Asaps, che calcola: nei primi 11 mesi del 2013 sono stati rilevati 902 episodi gravi di pirateria con 105 morti e 1.089 feriti. La stessa associazione, però, si interroga su "come la nuova figura dell’omicidio stradale potrà poi conciliarsi con la progettata riforma della giustizia". La bozza di ddl annunciato dalla Cancellieri è pronta da tempo: oltre a modifiche processuali su impugnazioni e archiviazioni per un sistema penale più snello, il provvedimento prevede una delega al governo su diversi altri punti, alcuni dei quali in passato già oggetto di polemiche (è il caso dell’introduzione di un collegio, non più un giudice unico, per decidere sulle misure cautelari in carcere). Il testo è però ancora un "cantiere aperto". E il nuovo annuncio del ministro Cancellieri sul reato di omicidio stradale ne è una riprova. Asaps: impegno Cancellieri è buona notizia "Consideriamo l’impegno del ministro Cancellieri, che entro gennaio porterà in Consiglio dei Ministri un pacchetto di norme sulla giustizia che conterrà anche l’introduzione del reato di omicidio stradale, la prima buona notizia del 2014. L’impegno delle associazioni Lorenzo Guarnieri, Asaps e Gabriele Borgogni, promotrici da quasi due anni della raccolta delle firme (arrivate a quota 75.700 con la prima firma del sindaco di Firenze Matteo Renzi), trova finalmente la dovuta attenzione, dopo che per troppo tempo sia nel Governo che nel parlamento si evidenziavano posizioni contraddittorie che avevano sempre di fatto accantonato la proposta". Lo sottolinea il presidente dell’Associazione sostenitori Polstrada (Asaps); giordano Biserni. "La tragedia della piccola Stella (la bimba di 8 anni investita a Roma da un romeno 20enne senza patente e morta all’ospedale Bambin Gesù, ndr) è stata l’ultima di un elenco lunghissimo di inaudite violenze stradali che da anni non hanno avuto quasi mai vera giustizia", aggiunge Biserni. "Ci ha anche stupito l’arresto a scoppio ritardato dell’omicida, avvenuto solo dopo una durissima presa di posizione dei genitori della piccola delle associazioni impegnate sul versante della sicurezza stradale. La vita di un innocente sulla strada non può essere stroncata da chi beve e si droga con l’applicazione di sanzioni penali che, nel concreto, sono paragonabili ad una condanna (quasi mai scontata) per borseggio". L’Asaps, con le associazioni promotrici, annuncia che "seguirà con attenzione affinché l’impegno del ministro Cancellieri che ora consideriamo irrevocabile (e irrinunciabile) e del Governo, proceda con celerità e non si spiaggi come nella scorsa legislatura in un Parlamento nel quale l’ex ministro di Giustizia si era dichiarato non favorevole all’adozione di questa nuova figura di omicidio. Si tratterà di capire come la nuova figura dell’Omicidio stradale potrà poi conciliarsi e incasellarsi con la progettata riforma della giustizia, e quindi del sistema di procedura penale di cui si parla in questo periodo. In un Paese serio la sistematica configurazione del dolo eventuale per questo tipo di omicidi alla guida alcol-narco correlati, sarebbe potuta bastare. Ma i fatti hanno dimostrato ampiamente che non è così. Il nodo di fondo sono poi le pene minime (2 o 3 anni) previste per l’omicidio colposo dal codice penale anche nelle ipotesi di violazioni del Codice della strada o di guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di stupefacenti". Asaps e le associazioni promotrici chiedono anche per i casi di Omicidio stradale il cosiddetto ‘ergastolo della patentè: "chi elimina dalla vita per abuso di alcol e droga - sottolinea Biserni - deve essere eliminato dalla guida". Giustizia: Arcivescovo Betori; sulle carceri troppe promesse annegate nel nulla Ansa, 2 gennaio 2014 La "ri-nascita" dei detenuti "significa il superamento della non-vita per non-persone che siamo costretti a subire". È quanto scrivevano in una lettera consegnata all’arcivescovo di Firenze cardinale Giuseppe Betori, un gruppo di detenuti del carcere fiorentino di Sollicciano. Una lettera che Betori ha voluto leggere stasera, durante la messa per la solennità di Maria Santissima, rilanciando la loro voce soffocata, il loro appello contro la condizione carceraria: "Possa la mia voce" ha detto l’arcivescovo far risuonare quelle parole "con maggior forza nella coscienza di quanti possono e debbono provvedere. Troppe promesse sono purtroppo annegate nel nulla. Non questa volta, per favore!". Prendendo spunto dal messaggio per la Giornata della Pace di Papa Francesco, Betori ha ricordato la sua ultima visita a Sollicciano dove, ha detto ai fedeli presenti nella cattedrale di Santa Maria del Fiore, "ho potuto vedere di nuovo come il sovraffollamento delle carceri e la loro organizzazione renda crudeli e barbare le pene inflitte ai detenuti - ha spiegato - che il carcere dovrebbe non annientare nella loro umanità ma al contrario redimere per un reinserimento positivo nella società". "Per noi, la luce da seguire è sempre più piccola e sempre più lontana - scrivevano i detenuti all’arcivescovo -; ogni giorno è una lotta per restare umani, per non perdere noi stessi e la nostra dignità, quando le necessità sono quelle primarie" perché "siamo gli ultimi degli ultimi, e il carcere funziona come una discarica, dove nascondere i problemi sociali". Lettere: al confronto B. era un dilettante… di Bruno Tinti Il Fatto Quotidiano, 2 gennaio 2014 Ma allora non era solo B a volere la distruzione della legalità e della giustizia in Italia. Anche questi non scherzano. Hanno già ridisegnato il calendario carcerario: 1 anno di prigione vale 5 mesi e mezzo; così, quando un giudice condanna uno stupratore a 10 anni, il suo avvocato gli strizza l’occhio e "tranquillo, 3 anni mal contati e sei fuori". Hanno già stabilito che gli ultimi 4 anni di galera non contano, tornatevene a casa e ogni tanto andate a parlare con gli assistenti sociali; così, quando un giudice condanna un corruttore, frodatore fiscale, falsificatore di bilanci, inquinatore - a 4 anni (pene superiori non esistono, questa è la tariffa, persino B, con una frode milionaria, 4 anni si è preso), gli avvocati hanno già pronta la lista dei servizi di pubblica utilità più gettonati: vuoi occuparti degli studi sul ritorno della foca monaca in Sardegna (puoi lavorare a casa...) oppure preferisci la Fondazione per il Recupero dell’Etica nella Vita Pubblica? Sai, qui ci lavorano già un paio di valenti colleghi... Adesso sono pronti a chiudere il cerchio. In galera non ci si va anche se condannati; ok, questa è fatta. Però c’è sempre il rischio che qualche Pm pazzo e comunista chieda a qualche Gip appiattito e tremebondo di arrestare un amico infliggendogli la barbarie della carcerazione preventiva. E qui c’è poco da fare, in prigione ce lo mettono. Cancellieri e tutti noi faremo quello che potremo per tirarlo fuori ma lo sappiamo com’è, con questi non si può ragionare. Così ecco il nuovo progetto: la cattura concordata, detta anche sale sulla coda. Perché si arresta un delinquente? Beh, perché è un delinquente, prima di tutto; quindi ci vanno gravi indizi di reità, deve essere praticamente certo che ha commesso un reato (grave). Poi deve essere un delinquente che non collabora. Quelli che ho conosciuto io erano tutti così, ma certo sono stato sfortunato. Però tutti, ma proprio tutti, cercavano di scappare prima di farsi arrestare, distruggevano o ordinavano di distruggere i documenti che li incastravano e pagavano o minacciavano o anche ammazzavano i testimoni. Niente spirito sportivo, li dovevi acchiappare subito se no giocavano scorretto. E infine deve essere un delinquente che non si pente, che - se appena può - commette altri reati. Questa è una cosa un po’ più difficile da provare (la sfera di cristallo costa troppo, i Pm ancora non ce l’hanno in dotazione) però che direste di un impiegato comunale dell’ufficio tecnico che ha la lista delle stecche già prese e di quelle che ancora deve ricevere? Insomma, arrestare un delinquente presuppone un lavoro di indagine, la raccolta di prove e la esistenza di una o più delle situazioni sopra descritte. Ma adesso non basta più. Bisogna chiedere a lui cosa ne pensa. "Senta, io vorrei arrestarla e ho chiesto al Gip di sbatterla in galera. Dovremmo vederci tutti, lei, il suo avvocato e io davanti a questo Gip il giorno tale; così lei potrà dirci se è giusto che lo facciamo oppure no. Scusi per il disturbo, neh?". Io non lo so come si può commentare una cosa del genere, mi mancano le parole. Faccio finta che sia una cosa seria e adotto un atteggiamento propositivo. Se l’obbiettivo è quello di risparmiare la prigione a tanti poveri innocenti arrestati ingiustamente, forse si potrebbero coniugare le ragioni della legalità, della giustizia, della sicurezza pubblica con quelle della cieca ferocia dei Pm pazzi comunisti, semplicemente requisendo qualche decina di pensioni da una stella, alloggiarvi le vittime dei Pm per una notte (magari nemmeno, li si prende alle 6 di mattina e li si interroga alle 9; quando la legge ancora lo permetteva, io lo facevo sempre) e interrogarle il giorno dopo. Così se il Pm impazzito ha fatto un’altra vittima, il disagio per il poveretto sarebbe minimo. Un’altra peculiare "pensata" riguarda chi deve decidere se arrestare il delinquente. Fino adesso, il Pm chiede e il Gip decide. Ma scherziamo: uno solo non basta, ce ne vanno 3. Per me, anche 5 o 7 o 21. Solo che bisogna averli tutti questi magistrati e invece, già così siamo scarsi assai. Se lo sono dimenticato che il processo penale italiano dura in media 8 anni, che ci va una riforma, che siamo la vergogna dell’Europa...? E dove li prendiamo questi giudici catturatori? I quali, attenzione, poi non possono più occuparsi del delinquente, arrestato o no che sia: si sono già espressi, non sono imparziali!! Un mio amico chirurgo commentava stupito che, con questo criterio, il ginecologo che ha visitato la donna poi non deve assolutamente operarla, ci mancherebbe altro! Quindi non solo ci servono n giudici in più (che non abbiamo) ma non possiamo più utilizzare nel prosieguo del processo quelli che hanno deciso sull’arresto. Poi, naturalmente, tutto deve essere riesaminato dal Tribunale della Libertà; altri 3 giudici che stabiliscono se il Pm e i 3 colleghi precedenti c’hanno colto oppure no. Ma qui non c’è problema, questo già ce lo abbiamo. Così come già abbiamo la Cassazione a cui il delinquente può fare ricorso tutte le volte che vuole. Insomma, con una piccola aggiustatina, il nostro processo penale sarà assolutamente perfetto. Ci bastano appena 23 giudici per ogni arrestato: 1 Pm, 3 Gip per decidere sulla cattura, 3 giudici del Tribunale della Libertà, 5 di Cassazione per il ricorso al Tribunale della Libertà, 3 giudici del Tribunale di primo grado, 3 giudici d’appello, 5 Giudici di Cassazione per la sentenza definitiva. Secondo me, così non è ancora proprio perfetto: bisognerebbe prevedere almeno 2 referendum popolari: il primo quando si cattura e il secondo dopo la sentenza definitiva. In questo modo saremmo di fulgido esempio per il mondo intero. Liguria: un solo direttore deve gestire tre penitenziari... la denuncia del Sappe www.rsvn.it, 2 gennaio 2014 "Anno nuovo, problemi vecchi per le carceri liguri. Ieri, 31 dicembre, ben tre penitenziari liguri tra loro significativamente distanti - Sanremo, Genova Marassi ed Imperia - erano retti da un solo direttore, quello di Valle Armea. Gli altri dirigenti sono in ferie o, come a Imperia, sono in attesa di essere nominati da molti mesi, da quando cioè il titolare è andato in pensione. Ma come può un direttore reggere tre penitenziari contemporaneamente, anche con caratteristiche diverse? Questo è il risultato di dieci anni di politiche regionali penitenziarie sbagliate, che hanno declassato la nostra regione ad un livello di serie B nonostante la grande professionalità e gli sforzi quotidiani dei poliziotti penitenziari e degli altri operatori. La mancanza di un punto di riferimento certo e autorevole in carcere come dovrebbe essere il direttore mina la quotidianità e l’operatività nei tre penitenziari: e fa ricadere le stratificate incapacità gestionali penitenziarie che hanno portato questo stato di cose a far ricadere disagi e disservizi sulle spalle delle donne e degli uomini della Polizia Penitenziaria, che in carcere stanno in prima linea 24 ore al giorno". A denunciarlo è il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, il primo e più rappresentativo dei Baschi Azzurri, per voce del segretario generale aggiunto Roberto Martinelli. "Anche l'incarico di provveditore regionale penitenziario della Liguria è vacante e retto provvisoriamente dall'omologo della Toscana, E sotto il fronte del comando dei reparti di Polizia Penitenziaria, in Liguria c’è da anni una approssimazione spaventosa che porta ad avere Istituti gestiti a mezzo servizio e uno spreco di risorse economiche per le quali interessamento a breve la Corte dei Conti per eventuali spese ingiustificate. Il carcere di Chiavari ha il Comandante della Polizia Penitenziaria 3 giorni alla settimana: gli altri tre giorni va a fare il Comandante nella Scuola di Polizia di Cairo Montenotte, dov’è in atto un Corso di formazione per neo Agenti. E il Comandante del carcere di Pontedecimo è stato mandato in missione in quello di Savona: al suo posto c’è il Funzionario di Polizia Penitenziaria che a Marassi coordina il Nucleo Traduzioni e Piantonamenti. E fino a poco fa a Pontedecimo c’era il Comandante del carcere di La Spezia! Ma che senso hanno tutti questi provvedimenti ingiustificati di mobilità provvisoria, decisi da un provveditore penitenziario ora in pensione, se non destabilizzare i Reparti di Polizia Penitenziaria? Auspico che l'Amministrazione Penitenziaria centrale ponga attenzione a tutte queste anomalie liguri. E che lo faccia al più presto". Viterbo: rissa con coltellate tra detenuti italiani e romeni, tredici feriti di cui tre gravi Ansa, 2 gennaio 2014 La lite è scoppiata nella zona di socializzazione. In ospedale anche un agente della Polizia penitenziaria. Capodanno violento in carcere. Una maxi rissa, nel corso della quale sono stati sferrati anche dei colpi di coltello, si è verificata nella struttura penitenziaria di Viterbo Mammagialla. Sono setto i detenuti trasportati in ospedale, di cui tre ricoverati in gravi condizioni (codice rosso) e uno in pericolo di vita. Tra le persone al pronto soccorso anche un agente della Penitenziaria che presenta ferite alle mani e a un braccio. Il violento scontro che ha coinvolto una ventina di reclusi, secondo una prima ricostruzione, è scoppiato poco dopo le 14: di fronte una decina di detenuti italiani e altri di origine romena che si trovavano all’interno dell'area di socializzazione. Dopo l’intervento degli agenti di polizia penitenziaria per dividere i due gruppi, a Mammagialla sono arrivate diverse ambulanze del 118, che hanno trasportato d’urgenza a Belcolle con codice rosso tre detenuti. Le altre persone coinvolte sono rimaste ferite lievemente. Rissa per motivi di supremazia tra italiani e stranieri "Qui comandiamo noi". "E invece no, siamo noi ad avere il controllo". Sarebbero più o meno questi i toni della furibonda lite finita a coltellate avvenuta nella tarda mattinata di ieri nel penitenziario viterbese. Undici i detenuti coinvolti, due le fazioni contrapposte. Una composta da italiani, la seconda da romeni. Gli accertamenti sono in corso ma, stando alle prime ricostruzioni, pare che il motivo della maxi rissa sia riconducibile a questioni di supremazia. Di "potere" all’interno del carcere di Mammagialla. In un primo momento era stato segnalato che le persone rimaste ferite in maniera gravissime erano tre ma, nel corso nel pomeriggio, anche le condizioni di un quarto detenuto, già ricoverato all’ospedale Belcolle in codice giallo, sono peggiorate. "Quattro sono ricoverati in codice rosso, in gravissime condizioni, ma non in pericolo di vita; sei in codice giallo. L’ultimo ha riportato ferite lievi e sta per essere dimesso". Così è stato segnalato nella tarda serata dagli operatori sanitari del pronto soccorso cittadino. Secondo quanto si è appreso i dieci detenuti erano in una sorta di sala di socializzazione dove insistono tavoli da ping-pong, biliardino e così via, quando si è scatenata la feroce rissa. "Una violenza inaudita", hanno riferito gli agenti della Polizia penitenziaria che, con estrema professionalità, hanno saputo gestire la situazione. Nella sala sono stati trovati coltelli ed altri oggetti contundenti. E, adesso, sarà compito delle forze dell’ordine accertare come abbiano fatto i detenuti ad entrarne in possesso. Il terribile episodio ha generato nuovi ed accesi interventi da parte dei sindacati che tornano a gran voce sulla carenza di organico. "A Viterbo non sono stati più inviati agenti dal 2002, siamo in carenza di organico e l’amministrazione ci ha abbandonato", dicono i rappresentanti di Osapp (Gennaro Natale), e Sappe (Luca Floris). Per i sindacati, ma anche per gli agenti di polizia penitenziaria, inoltre, è necessario maggiore controllo, ad esempio attraverso un sistema di videosorveglianza installato anche nelle sale di socialità. L’unica figura istituzionale che sembra funzionare egregiamente all’interno della struttura carceraria viterbese è quella del comandante Daniele Bologna. "È sempre presente - affermano gli agenti di Mammagialla - anche ieri se non fosse stato per il suo intervento sarebbe finita anche peggio". Sappe: mega-rissa causata dall’indifferenza del Dap "Quel che è accaduto oggi nel carcere di Viterbo è grave ed inquietante. La mega rissa tra detenuti ed i numerosi feriti sono la risultanza della diffusa indifferenza dei vertici del Dap alle criticità del carcere di Viterbo, note a tutti ma mai risolte. Abbiamo in più occasioni detto che le gravi condizioni di vivibilità delle carceri italiane incidono negativamente principalmente sulle condizioni di lavoro dei poliziotti penitenziari che vi lavorano in prima linea. Ma poco o nulla è cambiato, anche in sede parlamentare. E i risultati di questa diffusa indifferenza sono questi. Risse e feriti nelle carceri, come dimostra quel che è accaduto oggi a Viterbo". Lo afferma Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria (Sappe). "Troppi se ne fregano del carcere e dei suoi problemi. La politica ed i vertici dell’Amministrazione Penitenziaria. Ogni tanto si varano provvedimenti che impropriamente si definiscono svuota-carceri ma la realtà è che la situazione di affollamento dei penitenziari è sempre drammaticamente grave, a tutto danno del lavoro dei poliziotti penitenziari. Basta un dato: il 31 dicembre 2009 i detenuti erano 64.791 e, nonostante tre leggi presunte "svuota-carceri" Alfano-Severino-Cancellieri i detenuti sono 64.047, lo scorso 30 novembre 2013. E il Parlamento, su questo scandalo delle sovraffollate carceri italiane nelle quali il 40% dei detenuti è in attesa di un giudizio definitivo, ignora persino l’autorevole messaggio alle Camere del Capo dello Stato dell’8 ottobre scorso. Noi ribadiamo di non credere che amnistia e indulto, da soli, possano risolvere le criticità del settore carceri. Quello che serve sono vere riforme strutturali sull’esecuzione della pena: lavoro in carcere per i detenuti, espulsioni degli stranieri, detenzione in comunità per i tossicodipendenti ed alcool dipendenti che hanno commesso reato in relazione al loro stato di dipendenza. La realtà oggettiva è che le carceri restano invivibili, per chi è detenuto e per chi ci lavora. E la vigilanza dinamica, voluta dai vertici dell’Amministrazione Penitenziaria, non ha affatto migliorato la situazione ma si è rivelata un bluff se ai detenuti non li si fa lavorare ma si permette loro unicamente di girare liberi nel carcere, con controlli sporadici della Polizia Penitenziaria". Padova: parlamentari Pd Santini e Miotto trascorrono l’ultimo giorno dell’anno in carcere Il Mattino di Padova, 2 gennaio 2014 Giorgio Santini e Margherita Miotto, accompagnati dall’europarlamentare Franco Frigo e dal consigliere regionale Claudio Sinigaglia hanno vistato il Due Palazzi. I parlamentari democratici Giorgio Santini e Margherita Miotto, insieme all’europarlamentare Franco Frigo e al consigliere regionale Claudio Sinigaglia hanno trascorso l’intera mattinata dell’ultimo giorno dell’anno presso la Casa di Reclusione e la Casa Circondariale di Padova. La visita presso le due strutture si inerisce all’interno di un’iniziativa nazionale promossa da cinquanta parlamentari cattolici, per richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica su una drammatica emergenza del Paese e compiere un gesto di concreta vicinanza a quella parte della popolazione fatta di uomini e donne che, pur scontando una pena, rimangono a pieno titolo cittadini. Dopo aver incontrato il vertice dell’amministrazione penitenziaria ed il personale della polizia penitenziaria che opera presso il Due Palazzi, la delegazione parlamentare si è a lungo intrattenuta con alcuni detenuti. I temi trattati sono stati molteplici: l’affollamento delle sezioni, le condizioni di vita e le opportunità di lavoro e rieducazione ed i prossimi provvedimenti che saranno all’attenzione del Parlamento, in particolare il recente decreto voluto dal ministro della Giustizia Cancellieri. La delegazione parlamentare ha poi incontrato la redazione della Rivista Ristretti Orizzonti, il giornale della Casa di Reclusione realizzato da alcuni detenuti. "Il nostro gesto è stato una prima risposta concreta al messaggio di Giorgio Napolitano alle Camere l’8 ottobre scorso - ha spiegato Giorgio Santini ai detenuti. Il Presidente della Repubblica ha infatti denunciato i disagi ed i problemi della situazione carceraria in Italia. A partire dalla riapertura del Parlamento dopo la pausa natalizia, ci impegneremo affinché il Governo e le Camere affrontino l’emergenza carceri. - ha assicurato il senatore del Pd. Fermo restando il principio che chi sbaglia deve scontare una pena e che questa deve avere un fine rieducativo, dovremo intervenire su molteplici fronti". "È necessario individuare strumenti legislativi affinché il fine rieducativo della pena sia non solo principio costituzionale, ma concreta realizzazione di percorsi carcerari che restituiscano il cittadino alla collettività senza il pericolo della reiterazione dei reati. - spiega Santini. Per fare questo bisogna dare centralità al percorso rieducativo del condannato attraverso il lavoro e la formazione civica. E ancora realizzare istituti carcerari attenuati, dove far scontare la pena in tutti quei casi, in cui ciò sia possibile, ad esempio per i detenuti malati o tossicodipendenti. Non possiamo più voltarci dall’altra parte e dobbiamo affrontare con urgenza anche il dramma dei suicidi in carcere, offrendo in concreto un supporto psicologico e psichiatrico all’interno delle strutture carcerarie. Mi auguro infine che le forze politiche, in linea con quanto auspicato da più parti, si confrontino e prendano in considerazione con equilibrio e senza ideologismi, gli istituti dell’ indulto o dell’ amnistia anche per contenere il sovraffollamento delle carceri". Salerno: internato in Opg per aver lasciato testa di maiale nell’androne del palazzo del Sindaco Ansa, 2 gennaio 2014 Aveva tentato di estorcere con minacce un posto di lavoro al sindaco di Salerno nonché vice ministro alle Infrastrutture e ai Trasporti, Vincenzo De Luca. Non solo. Lo scorso 26 novembre, lasciò nell’androne del palazzo del primo cittadino una testa di maiale. Non nuovo a gesti eclatanti, Marcello De Martino, 32 anni, è stato fermato. Ed ora è nell’Opg di Aversa (Caserta). Ieri sera la polizia, nei suoi confronti, ha eseguito il provvedimento di applicazione provvisoria della misura di sicurezza presso l’ospedale psichiatrico giudiziario, emesso dal Gip del tribunale di Salerno Donatella Mancini. Su di lui pesa l’accusa di aver lasciato, la sera del 26 novembre scorso, la testa di maiale sulle cassette postali nell’androne dello stabile dove abita il primo cittadino di Salerno. L’uomo è ora indagato per tentata estorsione con il metodo mafioso. De Martino non è nuovo a episodi eclatanti. Alcune settimane fa si era impossessato di un minibus del Cstp, l’azienda pubblica di trasporto urbano. Inseguito per alcuni chilometri, De Martino fu bloccato dagli agenti del commissariato a Cava de Tirreni (Salerno), prima che riuscisse a raggiungere Nocera Inferiore. Pochi giorno dopo questo episodio, per il quale il 32enne fu affidato dal magistrato ai familiari, De Martino non ha desistito, incappando nuovamente nelle forze dell’ordine per minacce nei confronti di Giuseppe Beluto, direttore di "Salerno Pulita", la municipalizzata che provvede alla raccolta di rifiuti nel capoluogo. L’uomo, infatti, in passato aveva prestato servizio come lavoratore interinale presso l’azienda municipalizzata e pretendeva dal direttore Beluto di essere riassunto. In quella occasione si recò nella sede di "Salerno Pulita" imbrattando le pareti con una busta di escrementi. Per il 32enne fu fatta anche richiesta di un trattamento sanitario obbligatorio. Le indagini degli agenti della Digos, diretti dal vicequestore Luigi Amato, e della squadra mobile della questura, diretta dal vice questore Claudio De Salvo, coordinati dai magistrati Cassaniello della Dda e Colamonici della Procura di Salerno, sono arrivate alla svolta decisiva grazie anche all’esame dei filmati dell’impianto di videosorveglianza installati in via Lanzalone. In alcuni fotogrammi si distingue nettamente la fisionomia del 32enne. Dal sospetto si è arrivati poi alla certezza, in seguito ad una perquisizione domiciliare. Nell’abitazione di De Martino la polizia ha rinvenuto il casco ed il giubbotto indossati dal 32enne la sera del 26 novembre scorso. Concluse le indagini, gli investigatori della questura di Salerno hanno consegnato una dettagliata relazione ai magistrati, ricostruendo tutti i passaggi della vicenda, che la procura ha inquadrato come una sequenza precisa di fatti tutti rivolti a raggiungere uno scopo ben preciso: ottenere la riassunzione presso l’azienda municipalizzata del Comune di Salerno. Da qui il provvedimento restrittivo, eseguito oggi dagli agenti della questura di Salerno. L’uomo si trova ora nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa, in provincia di Caserta, dove sarà interrogato nei prossimi giorni con il supporto di uno psichiatra. Salerno: carcere, apre lo Sportello "Sos" per i ricorsi alla Corte europea di giustizia La Città di Salerno, 2 gennaio 2014 Anno nuovo, sfide nuove: con l’arrivo del 2014 e, per la precisione, a partire da gennaio, i Radicali salernitani hanno annunciato l’attivazione dello sportello "Sos Carcere", in collaborazione con il circolo "Fiore" di "Nessuno Tocchi Caino". Il servizio sarà ospitato dal Comune di Salerno e servirà, come spiega il segretario del gruppo salernitano, Donato Salzano, a "presentare ricorsi presso la Corte europea di giustizia, al fine di richiedere risarcimento per processi troppo lunghi ed il maltrattamento dei detenuti nelle carceri". I giorni di apertura dello sportello saranno il martedì ed il giovedì e - continua Salzano - "per contattare da subito i nostri volontari è possibile scrivere all’indirizzo email: francofiore@yahoo.it". Ma con la chiusura dell’anno è Anche tempo di bilanci, in primis per quanto riguarda il carcere di Fuorni. La casa circondariale, infatti, conterebbe il numero più alto in Europa di detenuti in attesa di giudizio. "Il 60per cento degli ospiti è ancora in attesa di una sentenza definitiva - dichiara Salzano. Di questi, 140 ancora devono subire un processo di primo grado, il 30 per cento. Sono circa 96 gli appellanti in secondo grado, il 20per cento. 70, invece, i ricorrenti in Cassazione, il 14 per cento. Parliamo quindi di 306 detenuti in attesa di giudizio, contro 50 definitivi". Preoccupa, inoltre, il sovraffollamento delle celle: "A Fuorni sono presenti 430 uomini e 60 donne, più 16 semi- liberi - continua il segretario dei Radicali - quindi parliamo di 506 persone presenti in una struttura che ha a disposizione 280 posti, di cui 46 sono in ristrutturazione". Pungente anche il richiamo rivolto al procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti: "Domenica 22 dicembre, durante un convegno ospitato al San Luca di Battipaglia, Roberti ha definito procedimenti come l’amnistia e l’indulto criminogeni - afferma Salzano. Ora, o l’articolo 79 della Costituzione italiana è, a sua volta, criminogeno, oppure stiamo parlando di provvedimenti strutturati che, di fatto, prevedono la grazia solo per quegli individui che hanno commesso reati minori". Salzano conclude la conferenza stampa con una constatazione: "Si tenga conto che, dopo l’indulto del 2006, solo il 29 per cento dei condannati si è dimostrato recidivo, rientrando in carcere". Firenze: Radicali Associazione "Andrea Tamburi" espongono striscione per indulto e amnistia Ansa, 2 gennaio 2014 I Radicali fiorentini dell’associazione "Andrea Tamburi" hanno manifestato oggi al piazzale Michelangelo per chiedere al Parlamento l’approvazione dei provvedimenti di amnistia e indulto, "unici - si legge in una nota - in grado di ristabilire la legalità costituzionale ed europea, così come auspicato dal Presidente della Repubblica nel suo messaggio alle Camere e ancora ieri nel messaggio di Capodanno". L’associazione "A. Tamburi" prosegue "l’iniziativa per il ripristino di una giustizia giusta e dello stato di diritto". Roma: a Rebibbia il laboratorio di "Arte utile", aperto nel 2007 da Luca Modugno di Camilla Baracco www.blogspot.it, 2 gennaio 2014 L'Italia è il Paese con le carceri più affollate della Ue, ma, per fortuna, a volte, si inventano strategie per "evadere": esempio i laboratori di design. Nella sezione G8 di Rebibbia, si respira un'aria particolare: decine di gatti possono entrare e uscire, passando attraverso le grate dei cancelli chiusi a chiave, ma quasi tutti ritornano, perché qui hanno chi li accudisce: i detenuti. La direttrice Maria Carla Covelli, della sezione G8 di Rebibbia, quella che ospita i condannati a lunga pena, ovvero dai 5 anni in poi, lascia che i carcerati si occupino degli animali, se hanno piacere di farlo, e permette loro di portarli via terminata la condanna, o se sono dentro, di regalare i gattini ai figli. Maria Carla Covelli è una donna elegante e gentile, non il prototipo di persona che si immagina alla sezione penale di un carcere complicato come quello di Rebibbia a Roma: 1800 detenuti contro una capienza di 1.250 circa. Nel carcere romano è attivo anche un laboratorio di Arte utile dove un piccolo gruppo di detenuti lavora alla produzione, tra le altre cose, di Doing Time, l'orologio pensato dalla designer Sara Ferrari, proprio per essere realizzato dai carcerati del G8. Sara Ferrari è uno dei 16 artisti e designer, chiamati a ideare, ciascuno un'opera, nel laboratorio di Arte utile, aperto nel 2007 a Rebibbia da Luca Modugno. L'orologio Doing Time, è un orologio da parete, all'interno l'immagine quella di una cella e, tra le sbarre, c'è scritto "non vedo l'ora". Questo laboratorio è nato per tante cose, ma per primo motivo per tenere libera la mente, per non pensare sempre di essere rinchiusi, con altra gente che fuori va al bar e accompagna i figli a scuola tenendoli per mano. L'umore è scherzoso a Rebibbia, e, quando arriva qualche fotografo o giornalista dall'esterno, i detenuti li chiamano profumo di libertà, i carcerati sono pronti ad aprirsi al racconto, visibile dai loro occhi, del dolore passato e presente che porteranno sempre nel cuore. Alcuni detenuti, che nel carcere romano hanno aderito al lavoro nel Laboratorio di Arte Utile, una volta usciti, vanno a lavorare nella cooperativa di Luca Modugno, la Artwo. Il laboratorio è importante e qui i detenuti sono privilegiati, perché le porte sono sempre aperte: dalle 8,30 alle 20,30 possono circolare liberamente nella sezione. L'atmosfera è diversa da quella che si immagina: più che un luogo di pena, questa sezione appare una realtà parallela, dove ognuno riscopre un ruolo e ha un lavoro da svolgere; si tratta di lavoro vero (in cucina, nelle pulizie ecc.) e attività che vanno dal teatro ai corsi di scrittura creativa, fino al laboratorio Artwo, appunto. Ai lettori si rammenta, però, che le carceri non sono un luogo dove risiedere come un albergo, ma posti correttivi dove fare dei propri errori, almeno grazie all'ausilio di persone come la direttrice di Rebibbia, una coscienza per non delinquere più perché con le regole della società, che vanno rispettate libero è bello, la vita è bella. Ascoli: romanzo "Il nome della rosa" vietato a detenuto. Prap: approfondiremo… ma perplessi Ansa, 2 gennaio 2014 A un detenuto in regime di 41-bis nel carcere di Marino del Tronto (Ascoli Piceno), il boss di Gela Davide Emmanuello, verrebbe impedita la lettura del "Manifesto" e del libro "Il nome della rosa" di Umberto Eco per motivi "politici". Lo denuncia il blog "Le urla del silenzio", che riporta la lettera inviata da un altro detenuto, Pasquale De Feo, alla direttrice del quotidiano Norma Rangeri. "Faremo ulteriori approfondimenti - è la replica del Provveditorato regionale amministrazione penitenziaria delle Marche, interpellato dall’Ansa - ma la cosa ci lascia molto perplessi". "Per ragioni oscure - scrive De Feo - la direzione del carcere ha sospeso a Emmanuello la distribuzione del Manifesto quando gli arriva tramite posta. Siccome con l’ultima legge del famigerato duo Alfano-Berlusconi, hanno reso questo infame regime simile ai centri di detenzione psichiatrici che usano tutte le dittature per rinchiuderci i dissidenti, per annullarne la personalità e annichilirne il pensiero. Per farle un esempio, qualche mese addietro gli rifiutarono di fargli leggere il libro della biblioteca del carcere "Il nome della rosa" perché ritenuto pericoloso dall’area educativa". "Credo - suggerisce De Feo - che il motivo sia tutto nell’orientamento politico; nel sistema penitenziario non adorano tutto ciò che si volge a sinistra". "È altamente improbabile - commenta il Dap - che l’area educativa neghi al detenuto la lettura del quotidiano e del libro per i loro contenuti. Su questo non esiste alcun divieto. Molto più probabile, invece, che il diniego sia legato all’impaginazione del libro (la copertina rigida, ad esempio) se questa dovesse costituire un pregiudizio alla sicurezza. Domani, comunque, sentiremo gli educatori e approfondiremo la questione. E se il detenuto ci tiene a leggere Eco, gli verrà fornito il libro, ma in formato diverso". Ascoli Piceno: Eco diventa pericoloso, negata anche lettura del quotidiano "Il Manifesto" di Mario Di Vito Il Manifesto, 2 gennaio 2014 Letture di evasione nel carcere di massima sicurezza. Una lettera indirizzata alla direttrice del manifesto Norma Rangeri da Ascoli Piceno per denunciare la mancata consegna del manifesto e l’accesso negato alla lettura del capolavoro di Umberto Eco Il nome della Rosa al boss siciliano Davide Emmanuello, "ristretto nel regime di tortura del 41 bis" dopo essere stato condannato a tre ergastoli per altrettanti omicidi, più qualche reato "minore" legato al traffico di droga. Il mittente è un detenuto comune, Pasquale De Feo, perché "la direzione non farebbe mai partire una lettera del genere". La denuncia ha il sapore della libertà offesa: "Per ragioni oscure - scrive De Feo - la direzione del carcere ha sospeso ad Emmanuello la distribuzione del manifesto quando gli arriva tramite posta". Non solo: "Qualche mese addietro, gli rifiutarono di fargli leggere il libro della biblioteca del carcere Il nome della rosa di Umberto Eco, perché ritenuto pericoloso dall’area educativa". Messa così, siamo ai limiti della triste fama che le carceri italiane portano cucita addosso: luoghi "disumani e degradanti". De Feo insiste, e richiama alla memoria le prigioni di Antonio Gramsci durante il Ventennio: "A lui permettevano di avere quattro libri in cella e in libertà di leggere tutti i libri della biblioteca. Parliamo di ottant’anni fa. Siamo nel terzo millennio e ci sono ancora le censure. Credo che il motivo sia tutto nell’ordinamento politico; nel sistema penitenziario non adorano tutto ciò che si volge a sinistra". La storia ha già fatto nella giornata di ieri il giro del web, dopo che qualche giorno fa era stata lanciata dal sito "Le urla dal silenzio" e anche dalla giornalista Francesca De Carolis, che aveva già fatto cenno a questa vicenda in un post uscito sul suo blog "L’altra riva" alla fine di ottobre. Dal carcere di Ascoli, però, negano fortemente che il problema risieda nei contenuti del romanzo di Eco e del quotidiano comunista. "I detenuti al 41 bis - spiegano - non hanno accesso a tutto, come i detenuti comuni. I libri devono rispettare determinati parametri e tutto questo solo ed esclusivamente per motivi di sicurezza", e in effetti risulta difficile credere che il giallo storico più venduto di sempre possa essere considerato una lettura "pericolosa" dietro le sbarre. Diverso il discorso legato al manifesto, e anche su questo la direttrice del carcere Lucia Di Feliciantonio è impegnata a fare luce già in queste ore. Il "carcere duro", secondo l’ordinamento penitenziario italiano, si articola su più livelli, a seconda della pericolosità sociale del detenuto. In molti, ad esempio, non hanno accesso ai quotidiani locali "sempre e solo perché in passato si sono verificati episodi gravissimi di minacce o peggio ancora". Ad Ascoli, intanto, la direzione sta verificando le affermazioni di De Feo, e i dubbi aumentano di ora in ora, insieme ai particolari più inquietanti. A leggere le cronache, infatti, viene fuori che qualche mese fa, Salvatore Calone - 44 anni, condannato per tentato omicidio, detenuto al 41 bis tra il 2001 e il 2010, attualmente in carcere a Padova, fratello del pentito di camorra Ciro - ha denunciato a Giampiero Calapà del Fatto Quotidiano il mancato accesso a un libro che aveva richiesto: Il nome della rosa di Umberto Eco. Troppa paranoia oppure nelle pagine del romanzo c’è davvero un messaggio da decifrare? Tra paventate querele e questioni deontologiche irrisolte ("Le notizie su quella lettera comunque non sono state verificate", tuonano ancora da Ascoli), l’unico dato certo che emerge è la condizione devastata e devastante del sistema carcerario italiano, ormai al collasso: il sovraffollamento è arrivato a quota 134% (dati Antigone del 2013), le misure alternative al carcere per i detenuti in attesa di giudizio vengono quasi sistematicamente scartate dalle procure del Belpaese, l’Europa minaccia sanzioni pesantissime, gli episodi di violenza da parte dei secondini sono diventati un classico della cronaca giudiziaria, gli appelli all’amnistia lanciati soprattutto dai Radicali e amplificati da Napolitano cadono sempre nel vuoto. Immigrazione: Capodanno al Cie di Ponte Galeria "qui si rischia la follia…" di Sara Menafra Il Messaggero, 2 gennaio 2014 Cous cous e lasagne, agnello e fritto all’italiana. Il pranzo di Capodanno nel Cie di Ponte Galeria mette insieme tradizioni diverse come se bastasse un battimano e un sorriso a far svanire l’incubo di una detenzione che sembra infinita. Passata da poco la protesta di Natale, la nuova giornata di festa si svolge in modo apparentemente sereno. La delegazione guidata dal presidente della commissione diritti umani del Senato Luigi Manconi e dal parlamentare Fabio Lavagno di Sel e accompagnata da alcuni giornalisti entra in un centro di identificazione ed espulsione tornato alla calma, tanto più che i protagonisti della protesta delle bocche cucite per la maggior parte sono usciti e il centro è tutt’altro che pieno: gli ospiti maschi sono al momento 58, le donne circa 20, in uno spazio che può contenere fino a 360 persone. Al netto delle alte cancellate, dei bagni scrostati, delle stanze coi letti inchiodati al pavimento, lo spazio è l’unico vantaggio rispetto alle carceri strapiene a cui questo Cie assomiglia fin troppo. Per contro ci sono i tempi di detenzione incerti, la mancanza di attività sociali con l’unico svago nel campo di calcio. Finito il pranzo, un gruppo si alza per consegnare due lettere rivolte a Napolitano, una loro e l’altra proveniente dal Lampedusa. Chiedono al presidente della Repubblica di ridurre i tempi di detenzione all’interno dei Cie e modificare la Bossi-Fini: "La colpa più grande ce l’ha inferta il destino, facendoci nascere dalla parte sbagliata del Mediterraneo", legge Lassad, tunisino ed ex detenuto, tra i più disposti a spiegarti come sia la vita lì dentro. Manconi risponde che farà avere il testo al Presidente appena possibile e che alcuni provvedimenti potrebbero essere presi già nei prossimi mesi (nell’ultimo decreto carceri si prevede di anticipare l’identificazione degli extracomunitari già durante la detenzione così da eliminare il successivo passaggio nei Cie). "Mi hanno arrestata all’aeroporto di Fiumicino nel 2010 perché facevo il corriere dall’Olanda", ti dice invece Sarah, nata in Costa d’Avorio ma residente ad Amsterdam: "Sono qui da due mesi, in carcere almeno leggevo, mi ero anche iscritta all’università. Qui non ci danno né libri né penne, non possiamo far altro che fumare e parlare. La noia uccide, ti porta a fare follie". L’attesa, l’incubo di essere allontanati dall’Europa, e magari dalla famiglia, sono i pensieri ricorrenti. Poi c’è chi, come Yassin, a vent’anni ha già visto la guerra: viene dalla Libia dove le milizie di Gheddafi l’avevano costretto ad arruolarsi. Ha perso il padre, è passato per Lampedusa, poi è finito in Francia poi ancora in Italia dove l’hanno arrestato e dal carcere ha fatto domanda per l’asilo politico. Quando è uscito è finito qui, a Ponte Galeria. Due mesi fa c’era l’udienza per discutere la sua richiesta di asilo. Poteva essere la salvezza, e invece la commissione gli ha detto che bisognava aspettare ancora. Ha pensato di uccidersi, l’aveva quasi fatto, poi la protesta della scorsa settimana gli ha dato un po’ di speranza. E il 2014? "Spero solo di non essere espulso dall’Europa". Immigrazione: dal Cie di Ponte Galeria due lettere al Quirinale, consegnate a Manconi Il Manifesto, 2 gennaio 2014 Due lettere per sollecitare il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano a intervenire perché cambi la legge sull’immigrazione. A scriverle sono stati gli immigrati reclusi nel Centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria, a Roma, che ieri l’hanno affidata al senatore Luigi Manconi, presidente della commissione diritti umani del Senato che la prossima settimana le consegnerà al capo dello Stato. Nella prima lettera, firmata dai 16 immigrati marocchini provenienti da Lampedusa che nei giorni scorsi si sono resi protagonisti di una forma di protesta clamorosa cucendosi le labbra. "Egregio presidente, le scriviamo per evitare il rimpatrio in Marocco che sarebbe per noi troppo difficile dopo aver fatto un viaggio così doloroso" per arrivare i Italia, dicono i migranti. Nel testo si sollecita il capo dello Stato a intervenire per cambiare la legge Bossi-Fini sull’immigrazione anche se, prosegue il gruppo di marocchini, "ci rendiamo conto che i tempi del parlamento non ci permetterebbero di usufruire delle eventuali modifiche". "Eppure abbiamo diritto a vivere una vita normale", scrivono i migranti che spiegano anche come, dopo essere partiti dal loro Paese d’origine, siano arrivati in Libia per poi sbarcare a Lampedusa ed essere trasferiti prima a Caltanissetta e infine al Cie di Ponte Galeria dove sono tuttora rinchiusi. E dal quale sperano di uscire grazie a un intervento di Napolitano che possa regolarizzare la loro posizione. Analoghi i contenuti della seconda lettera, scritta questa volta dai restanti 70 immigrati di varie nazionalità presenti nel Cie romano. India: e ora si riaccende la speranza per i marò… Secolo XIX, 2 gennaio 2014 Napolitano li ricorda nel discorso di fine anno. Bonino "fiduciosa". C’è una vicenda che si intreccia, da mesi, a quella degli elicotteri "della discordia". È quella dei marò italiani detenuti dalle autorità indiane con l’accusa di avere ucciso due pescatori scambiati per pirati. Il presidente della Repubblica li ha ricordati nel suo discorso di fine anno e qualche giorno prima il ministro degli Esteri, Emma Bonino, si era detta "speranzosa". La vicenda, ora, sembra essere a un passo dall’imboccare la strada giusta verso la soluzione. "Non dipende da noi - ha chiarito Emma Bonino parlando di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. Questa è una storia molto più lunga, molto più complicata, che questo governo ha ricevuto in base a decisioni prese prima: ci può piacere o non piacere ma alcune decisioni sono state prese precedentemente. Dobbiamo lavorare per portare a casa in dignità questi due marò - ha aggiunto - tenuto conto di esigenze indiane, anche politiche: si politicizzano i casi non solo da noi, anche in India. Io sono speranzosa - ha concluso il ministro -che con determinazione, cocciutaggine e a volte persino un po’ di riserbo verremo a capo di questa questione". Per Latorre e Girone ieri è stato un Capodanno festeggiato con famigliari e amici nel compound dell’ambasciata d’Italia a New Delhi. Quest’anno a differenza dell’anno scorso i due marò non sono potuti venire in Italia a trascorrere le feste. Entrambi sono bloccati in India da oltre 22 mesi in attesa del processo in cui sono implicati per la morte di due pescatori il 15 febbraio 2012 al largo delle coste del Kerala (sono accusati di averli uccisi scambiandoli per pirati). Nel corso del festeggiamento per l’arrivo del 2014 è stato trasmesso il video-messaggio inviato da Dubai dall’"equipaggio tutto" della portaerei Cavour, che ha "commosso". In esso si dice: "Ve l’avranno detto in tanti, ma noi non abbiamo mai smesso di vedere in voi una parte della nostra stessa vita. Avete dimostrato di che pasta sono fatti gli italiani". Dopo il brindisi, Latorre e Girone con parenti e amici hanno ascoltato il presidente della repubblica Giorgio Napolitano leggere alcune delle lettere inviategli da cittadini comuni. "Voglio ricordare - ha detto Napolitano - l’impegno dei nostri militari nelle missioni internazionali tra le quali quella contro la nuova pirateria a cui partecipavano i nostri marò Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, ai quali confermo la nostra vicinanza". Israele: rispettato patto con Usa e liberati 26 prigionieri palestinesi, ma il popolo si ribella di Aurora Scudieri news.you-ng.it, 2 gennaio 2014 Israele ha deciso di liberare 26 detenuti palestinesi, rispettando l’impegno preso per riaprire le negoziazioni di pace sotto richiesta degli Stati Uniti. 18 prigionieri sono arrivati al quartier generale dell’Autorità palestinese a Ramallah in Cisgiordania, dove li attendeva il presidente palestinese Mahmoud Abbas e i loro parenti. Sono stati accolti come degli eroi, in una atmosfera piena di gioia ed emozione, da una folla di diverse centinaia di persone che, con bandiere dei colori della Palestina, hanno celebrato l’evento. Le famiglie sono state riunite in una stanza nella quale era presente un grande ritratto di Yasser Arafat, leader storico palestinese. "Vi prometto che non ci sarà alcun accordo finale con Israele fino a quando tutti i nostri prigionieri non saranno rientrati in patria" ha spiegato Mahmoud Abbas durante la cerimonia. Altri cinque prigionieri sono stati liberati a Gerusalemme e i familiari sono andati a prenderli auto alla frontiera israeliana. Altri tre detenuti, infine, sono arrivati a Gaza, luogo del quale sono originari. Prima della liberazione dei 26, lunedì 30 dicembre circa 200 manifestanti israeliani avevano sfilato davanti all’ufficio del primo ministro Benyamin Nétanyahou al grido di "vergogna", per denunciare la liberazione di cinque palestinesi originari di Gerusalemme. Questo perché il premier Nétanyahou qualche giorno prima aveva assicurato che non avrebbe mai liberato i palestinesi originari di quella zona. La Corte suprema, però, ha rigettato il ricorso presentato e, per evitare incidenti, la casa di uno dei detenuti, Ahmed Hallaf, è stata protetta dal manifestanti che hanno tentato di raggiungerla urlando slogan razzisti e anti arabi, che reclamavano "vendetta" contro i palestinesi. Si tratta "di un passo positivo" per il processo di pace, ha spiegato John Kerry che ha "espresso la sua soddisfazione per la decisione del primo ministro Nétanyahou, per queste nuove liberazioni" conferma il portavoce del dipartimenti di Stato americano, Marie Harf, durante una conferenza stampa. Proprio oggi, 1° gennaio, è infatti previsto in viaggio di Kerry ad Israele, per la decima volta da marzo. Insieme a Benyamin Nétanyahou e al leader palestinese Mahmoud Abbas, Kerry discuterà "delle negoziazioni proposte" per arrivare alla pace.