Giustizia: l’incertezza della pena e l’incapacità di promuovere la legalità nelle carceri di Riccardo Polidoro (Presidente "Il Carcere Possibile Onlus") Ristretti Orizzonti, 29 gennaio 2014 L’aumento dei giorni in meno da scontare, da 45 a 75, con il beneficio della "liberazione anticipata", rappresenta l’incompetenza a percorrere la strada maestra per ridurre il sovraffollamento. Nelle carceri italiane si continuano a subire vessazioni e umiliazioni che giorno dopo giorno privano l’essere-detenuto della propria dignità, bene inviolabile di cui lo Stato non può disporre. Vessazioni e umiliazioni dovute al sovraffollamento dei nostri istituti, luoghi tra l’altro spesso non idonei ad ospitare persone nel rispetto dei principi costituzionali e delle norme dell’ordinamento penitenziario. Le condizioni igieniche precarie e la ridotta mobilità favoriscono patologie, che non trovano risposte adeguate, ma si aggravano a volte fino alla morte. Mentre per la disperazione si arriva spesso al suicidio. Tale situazione viene subita senza alcuna protesta, per non incorrere in rapporti disciplinari che non consentirebbero l’applicazione del beneficio della "liberazione anticipata", quarantacinque giorni di detenzione in meno - di recente diventati settantacinque, grazie al decreto-legge varato la scorsa vigilia di natale - ogni sei mesi scontati. Lo Stato incapace e inerte aumenta l’offerta e, in cambio delle sofferenze patite, riduce ogni anno di pena scontata a sette mesi. Per comprendere: una condanna a 5 anni di reclusione, se scontata senza protestare, diminuisce a 3 anni e un mese. Non è poco. Il Governo e il Parlamento, disinteressati e immobili per la vergogna nazionale delle nostre carceri, hanno reso ancora più appetibile il beneficio della "liberazione anticipata", istituto previsto per incentivare la partecipazione dei detenuti a piani di recupero e rieducazione, ma nell’impossibilità di applicazione di tali programmi, diventato, nella prassi, metodo di repressione di proteste che sarebbero giuste e condivisibili da parte di coloro che ritengono che il carcere non deve godere di un’extra-territorialità dove non viene rispettata la legge dello Stato. La recente cronaca, ha portato alla ribalta il caso di Vincenzo Di Sarno, detenuto di Poggioreale, gravemente ammala! to di tu more, che, solo grazie all’intervento del Capo dello Stato, ha ottenuto il trasferimento presso un Ospedale cittadino, dopo che numerose istanze portate all’attenzione della magistratura non avevano trovato accoglimento. Di Sarno non rappresenta un caso unico e speciale. In tutta Italia vi sono detenuti che andrebbero curati fuori dal carcere o che dovrebbero almeno scontare la pena in condizioni che non agevolino l’aggravarsi della malattia. Nulla viene fatto per loro. Il sovraffollamento, la mancanza di risorse, di mezzi e uomini, sono barriere insormontabili, ma anche, a volte, facili giustificazioni per non intervenire concretamente e presto per salvare vite private della libertà, ma non dei loro diritti. Per i detenuti che non hanno la fortuna di ricevere l’occasionale visita del Capo dello Stato, che da anni, invano, invita il Parlamento a concreti interventi che necessitano di "prepotente urgenza"; per quelli i cui familiari non hanno il numero di telefono del Ministro della Giustizia, non vi sono speranze. Nemmeno l’ammonizione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che ha invitato lo Stato italiano a eliminare il sovraffollamento entro il prossimo 24 maggio, ha scosso i nostri politici che hanno in questi ultimi tempi emanato solo provvedimenti c.d. "svuota carceri" che non hanno affatto risolto il problema, ma hanno solo sollevato l’indignazione di quella parte dell’opinione pubblica - purtroppo non minoritaria - che, sbagliando, ritiene che le nuove norme sono un "indulto occulto", ignorando i principi costituzionali che rappresentano le fondamenta di un Paese Civile. La strada da percorrere è stata più volte indicata dall’Avvocatura ed è oggetto di progetti di legge che vengono continuamente accantonati. Inutili le manifestazioni delle Camere Penali, che hanno proclamato anche astensioni dalle udienze per sollecitare interventi urgenti. Inutili i digiuni dei Radicali, da sempre portatori di questa battaglia di civiltà. Occorre, allora, la mobilitazione di tutti coloro a cui sta a cuore il rispetto della legge e la certezza della pena. Si facciano sentire, con forza e con azioni di protesta, anche la Magistratura, l’Università, tutte le eccellenze che applicano e insegnano la Legge, affinché venga recuperata la dignità nelle nostre carceri. Venga chiesto che il Parlamento si occupi in via di urgenza, esclusiva e senza alcuna interruzione, delle morti di cittadini a cui deve essere tolta solo la libertà e non altro, affrontando definitivamente la soluzione di questo cancro della nostra civiltà. Giustizia: alla Camera rinviato dibattito su messaggio Napolitano, protestano i Radicali Dire, 29 gennaio 2014 A causa dell’allungamento dei tempi dell’esame del decreto legge Imu-Bankitalia, salta, nell’aula della Camera, il dibattito sulla relazione della Commissione Giustizia sui temi oggetto del messaggio del presidente della repubblica Giorgio Napolitano (emergenza carceri). Il dibattito era previsto per oggi. Bernardini (Radicali): troppo pochi 110 giorni per lorsignori "Salta a Montecitorio il dibattito sul messaggio (sulle carceri; Ndr) del presidente" Giorgio Napolitano "alle Camere, previsto per oggi, 29 gennaio. Per il momento, non è prevista la data in cui si terrà. La manifestazione dei Radicali è pertanto rinviata a quando il dibattito verrà calendarizzato". Lo rende noto su Facebook l’ex deputata e segretario dei Radicali Italiani, Rita Bernardini. "110 giorni dalle solenni parole del presidente Napolitano erano troppo pochi per lorsignori - commenta Bernardini. Occorrerà ancora attendere che lo sfascio della giustizia e della tortura nelle carceri porti ancora disperazione, morte, malattia senza che alcuno si senta responsabile di questa barbarie". Gozi (Pd): Italia deve uscire da grave condizione di illegalità "La discussione di domani alla Camera del messaggio del Presidente della Repubblica in materia di giustizia è un’occasione importante per dare un nuovo, forte e profondo impulso al programma di riforme ed uscire dalla grave condizione di illegalità in cui si trova l’Italia. Alcuni passi in avanti si stanno compiendo, cito ad esempio la riforma della custodia cautelare, ma senza un provvedimento mirato di amnistia e indulto - più volte sollecitato dallo stesso Capo dello Stato - non potremo rispettare la scadenza del 28 maggio, con la messa in mora del nostro Paese da parte dell’Europa per effetto della sentenza della Corte europea dei diritti umani sul caso Torreggiani. Senza uno scatto e un’azione decisa di Parlamento e Governo vi è il rischio concreto di cominciare il semestre di presidenza italiana dell’Unione Europea in questo stato di grave infrazione. La giustizia va riformata per garantire certezza della pena, certezza del recupero e depenalizzazione, a partire dall’abolizione di leggi come la Bossi-Fini e la Fini-Giovanardi che ho sempre definito "cancerogene". Abbiamo l’obbligo morale ed etico di passare da Paese pluricondannato per gravi violazioni dei diritti fondamentali a comunità rispettosa dei valori riconosciuti dalla nostra Costituzione e dalla Convenzione europea". Così l’On. Sandro Gozi, Pd, Presidente della Delegazione italiana al Consiglio d’Europa. Bossio (Pd): aderisco a manifestazione radicale per amnistia e indulto "Aderisco con convinzione alla manifestazione indetta dai radicali in Piazza Montecitorio in concomitanza con il dibattito che si terrà domani alla Camera sui temi dell’amnistia e dell’indulto". Lo afferma Enza Bruno Bossio, deputata del Pd. "In queste settimane ho avviato un tour nelle carceri della mia regione, la Calabria, e ho avuto modo di iniziare a rendermi conto non solo delle spesso precarie condizioni di vita dei detenuti, ma anche delle grandi difficoltà che il personale carcerario deve affrontare quotidianamente. A tre mesi dal messaggio che il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha indirizzato alle Camere proprio per sollecitare un provvedimento che metta fine a questa drammatica situazione delle nostre carceri, un primo importante, anche se insufficiente, risultato si è potuto raggiungere con il decreto 146/2013 con il quale si fissano norme per la tutela dei diritti dei detenuti e per una diminuzione controllata della popolazione carceraria la cui conversione è in discussione proprio in queste settimane alla Camera". "Purtroppo - prosegue la deputata del Pd, continuano a prevalere visioni populiste e demagogiche del problema tendenti a non assumersi la responsabilità di spiegare all’opinione pubblica l’urgenza politica ed umana di provvedimenti di risposta a questa emergenza che sta esponendo l’Italia alla condanna della Corte di giustizia europea. All’opinione pubblica bisogna avere il coraggio di dire che le nostre carceri sono piene per leggi sbagliate come la Fini-Giovanardi e per l’abuso che spesso si fa della carcerazione preventiva, grande anomalia del sistema giudiziario italiano. Rinunciare a spiegare al Paese che la civiltà di uno Stato si misura anche e soprattutto dalla qualità dei suoi istituti carcerari e che la pena è solo una parte di un processo che deve portare al reinserimento sociale del detenuto, rappresenterebbe, infatti, l’ennesima sconfitta culturale della politica. A Marco Pannella e a Rita Bernardini, dunque, ribadisco il mio convinto sostegno a questa battaglia che, ancora una volta, intende mettere in primo piano il tema dei diritti del cittadino, anche di quello detenuto". Giustizia: il Pg di Torino Marcello Maddalena "con lo svuota-carceri lo Stato si è arreso" di Luca De Carolis Il Fatto Quotidiano, 29 gennaio 2014 I nostri tribunali non hanno personale per smaltire il lavoro ordinario, ora sono sommersi di richieste per uscire di galera. Il decreto svuota-carceri favorisce i delinquenti peggiori, a cominciare dai mafiosi, e sta mandando in tilt i tribunali di sorveglianza. Siamo come quelli che fanno i compiti all’ultimo minuto: per ridurre in fretta il numero dei detenuti, diamo l’immagine di uno Stato che cede terreno ai criminali". Marcello Maddalena è Procuratore generale a Torino. Tra le sue inchieste, quella sul caso Telekom Serbia. Procuratore, perché questo decreto non funziona? Non va bene perché contraddice lo scopo primario di ogni seria politica criminale, far diminuire il tasso di delinquenza. L’obiettivo di questo testo invece è ridurre il sovraffollamento delle carceri, tramite sconti di pena che quasi annullano l’effettività della stessa. Da molte procure arriva l’allarme sulle porte spalancate in anticipo a mafiosi e camorristi… È una conseguenza grave quanto inevitabile: gli sconti più forti sono previsti per chi è stato condannato alle pene più alte. Ma c’è un altro punto molto dannoso del testo: il decreto ha trasformato la lieve entità dello spaccio da attenuante a reato autonomo, con pena massima di 5 anni. E ciò renderà impossibile arrestare e mandare in comunità gli spacciatori minorenni, punibili solo per i delitti con la reclusione "non inferiore nel massimo a 5 anni". Poiché in base al codice la minore età è attenuante che comporta automaticamente una riduzione di pena, nel caso di spaccio di lieve entità la riduzione anche di un solo giorno fa sì che la pena teorica diventi inferiore nel massimo a 5 anni. Quindi niente comunità obbligatoria? No. Ed è evidente che ora le mafie correranno a reclutare spacciatori minorenni, ben sapendo che sono intoccabili a norma di legge. Un altro favore involontario alle mafie… Di fatto è così. Nel frattempo da tutta Italia piovono richieste di scarcerazione…. Sì, stanno venendo inondati tutti i tribunali di sorveglianza, compreso quello di Torino. E ciò a fronte di una grave carenza negli organici. Nell’inaugurazione dell’anno giudiziario, lei ha parlato di "grave vuoto" anche per la Procura generale… Siamo 12, compresi me e l’avvocato generale. Avremmo bisogno di almeno 3 persone. A scadenza regolare si riparla di indulto e amnistia. Sono contro indulto e amnistia, perché danno il segnale di uno Stato che cede, rinunciando all’effettività della pena. E comunque, se proprio vogliono farlo, dicano la verità: svuotare massicciamente le carceri manderà in libertà tante persone potenzialmente pericolose. Se ne assumano la responsabilità. Come si svuotano le carceri? Innanzitutto, va ricordato che il rapporto tra detenuti e popolazione in Italia è uno dei più bassi in Europa. Detto questo, vanno sperimentate soluzioni come le carceri a bassa sicurezza, per persone condannate a reati brevi, e quindi a basso rischio di evasione. Giustizia: in Italia non si finisce in carcere per reati finanziari, nel resto d’Europa sì…. di Angelo Deiana www.formiche.net, 29 gennaio 2014 È la fotografia, sintetizzata forse in modo un po’ brutale ma realistico, dell’Università di Losanna, che ha esaminato i dati sui detenuti nelle carceri europee per reati in materia fiscale, economica e finanziaria. Detenuti che in Italia sono appena lo 0,4%, contro il 4,1 della media europea e il 38,6% del Liechtenstein, che sarà pure un paradiso fiscale, ma non fa sconti a chi infrange le regole. Proprio le regole, e il rispetto delle stesse, sono il cuore della questione: quanto incide il mancato rispetto delle regole, o meglio l’incapacità e la mancanza di volontà di farle rispettare, sulla competitività del sistema economico del nostro Paese? La storia di Al Capone docet: qualche autorevole commentatore, forse provocando un pò troppo, ha suggerito l’ipotesi che se la Germania è storicamente la locomotiva d’Europa mentre l’Italia arranca in retrovia, lo si deve anche al fatto che le sue carceri ospitano 55 volte più detenuti per reati finanziari rispetto a quelle nostrane. Senza voler essere così provocatori, ma molto più banalmente, guardando l’Italia sembra di vedere una lampante connessione tra la scarsa sanzione ai reati fiscali e la più alta evasione fiscale e contributiva in Europa. Badate bene, lungi da me e da tutti noi sostenere la tesi che l’evasione fiscale e l’economia sommersa si curino a colpi di codice penale e misure restrittive. Come afferma un vecchio adagio manageriale, in tutti i sistemi umani compreso quello fiscale, vale molto di più l’esempio del precetto. Però è di tutta evidenza che la oggettiva mancanza di un deterrente possa incoraggiare comportamenti illeciti. Comportamenti che poi, non mi stancherò mai di ricordarlo, al tirare delle somme fanno la differenza tra un’economia che stenta e una che si sviluppa in maniera florida. In conclusione, forse si può provare a ribaltare il ragionamento: non più galera per gli evasori - fermo restando che alcune misure come la ri-penalizzazione del falso in bilancio potrebbero essere utili - ma metodi innovativi per il contrasto dell’infedeltà fiscale e finanziaria, a cominciare dalla creazione di un vero sistema a interessi contrapposti che faccia degli stessi cittadini le prime sentinelle anti-evasione. Avremmo tanti vantaggi: una base imponibile molto più ampia di quella attuale, molte più risorse per rilanciare la nostra economia ed una fotografia più realistica e vera della nostra economia e della nostra società. Senza neanche bisogno di sovraffollare ulteriormente le patrie galere. Giustizia: caso Ligresti, la Procura di Roma valuta l’audizione del ministro Cancellieri Corriere della Sera, 29 gennaio 2014 Al setaccio i tabulati del Guardasigilli e del marito. Un’audizione per chiarire i contorni dell’affaire Cancellieri-Ligresti. La Procura della Repubblica di Roma sta vagliando la possibilità di ascoltare il ministro della Giustizia, alla luce dei chiarimenti forniti l’altro ieri al procuratore Giuseppe Pignatone da Antonino Ligresti, fratello di Salvatore, il patron di Fon-sai finito agli arresti l’estate scorsa assieme alle figlie Jonella e Giulia (si veda anche altro articolo a pagina 23). E proprio per le vicissitudini giudiziarie di quest’ultima, il Guardasigilli è finito in una bufera politica e giudiziaria. Perché negli atti della Procura della Repubblica di Torino, che indagava su Fonsai, sono spuntate le sue conversazioni e quelle di suo marito Sebastiano Peluso, con la famiglia Ligresti. Conversazioni che avrebbero avuto lo scopo di far revocare la misura cautelare in carcere per Giulia, con la più lieve detenzione domiciliare. Oltre alle audizioni, comunque, la Procura di Roma - divenuta competente - sta passando al setaccio anche i tabulati telefonici della Cancellieri e del marito, per verificare che non ci siano altre conversazioni che potrebbero risultare sospette. Il controllo, comunque, ha anche lo scopo di svelare se, nei fatti, le telefonate tra Cancellieri-Peluso e la famiglia di imprenditori, siano effettivamente - come ampiamente detto anche ieri da Antonino Ligresti -ripetute nel tempo o se invece si concentrino soprattutto nel periodo degli arresti. Tra le telefonate captate dagli investigatori, per esempio, ce n’è una del 17 luglio, in cui il ministro parla con Gabriella Fragni, compagna di Salvatore: "Qualsiasi cosa, veramente, con tutto l’affetto di sempre (...) proprio qualsiasi cosa adesso serva, non fate complimenti, guarda non è giusto, guarda non è giusto". Il ministro, comunque, ha sempre tenuto a precisare che "non ho mai avuto rapporti con Giulia Ligresti. Ho sbagliato forse con un’imprudenza ma dal punto di vista di illeciti stiamo parlando del nulla". Giustizia: da Riina minacce per il Ministro Alfano "glielo do a lui il 41 bis…" Corriere della Sera, 29 gennaio 2014 Nei colloqui del boss intercettati in carcere gli insulti al ministro dell’Interno: "Quell’agrigentino è accanito". Per un mafioso in carcere, un ministro dell’Interno che fa rispettare la legge non può essere altro che "un delinquente". E infatti così Totò Riina definisce Angelino Alfano. Parlando con il suo compagno di carcere Alberto Lorusso, il mafioso continua a lanciare strali contro politici, magistrati e anche altri mafiosi. Nelle conversazioni che sono state depositate al processo Stato-mafia, il boss si concentra in particolare sulle ristrettezze del 41 bis e sul presunto "colpevole" delle sue pene: il ministro Angelino Alfano. "Perché quel disgraziato di ministro dell’agrigentino, là al ministero dell’Interno... - dice Riina - questo è proprio accanito con questi quarantunisti, questo è accanito proprio... è un canaglia, è un canaglia. Sì, sì... e lo aggrava sempre, sempre che parla del 41, stiamo facendo carceri nuovi così, i carceri li facciamo in modo che non possono rispondere con quelli della porta accanto... tu... tu... sta facendo tutto per... il carcere duro... duro... glielo do io a lui, il duro lo abbiamo noi qua dentro... quando viene lo trovi sempre duro... disgraziato". Il vecchio capomafia non ha perso il suo desiderio di rivalsa contro i magistrati, rei, a suo dire, di costruire i processi sui teoremi. A traballare, secondo Riina, è proprio il procedimento Stato-mafia. "Questo processo finisce così - spiega a Lorusso - rimanere con gli occhi pieni e le mani vuote. Questo c’è... ma che devono sperimentare? Vogliono fargli cantare delle cose, vogliono fargli dire delle cose. Gli ho detto all’avvocato: che vogliono fare i processi con tutto quello che pensano loro? Perché loro tutte cose pensano. Però non ci funzionano, non ci funzionano. In questo processo... tutti teoremi, tutti teoremi di loro, tutte trovate di loro". Secondo Riina, i magistrati "non hanno niente". "Perché sono condannato? Per tutti questi teoremi che fanno loro - aggiunge - tutte queste calunnie che fanno loro". Non mancano le critiche a Bernardo Provenzano, che non solo voleva fare "il carabiniere" ma era anche tirchio con i carcerati. "Quello camminava con la tasca cucita cu ferru filatu (con il fil di ferro, ndr) - dice - era un periodo che tasche non se ne devono cucire, tasche non se ne devono cucire". Lettera a Mauro Palma: per migliorare le carceri… ascoltate la Polizia Penitenziaria www.poliziapenitenziaria.it, 29 gennaio 2014 Ill.mo Presidente Palma, abbiamo letto il suo commento su questo sito web, con il quale ha smentito la notizia di un possibile incarico come Capo Dap, circolata dopo l’incontro tra il Ministro Cancellieri e i vertici dell’amministrazione penitenziaria, che si è svolto qualche tempo fa a via Arenula. Tra le righe del suo intervento, abbiamo apprezzato molto la sensibilità nei confronti delle problematiche di tutti gli operatori che lavorano in carcere e l’affermazione che qualunque intervento sulle carceri non possa prescindere da queste. Non abbiamo alcun motivo di dubitare della sua onestà e correttezza. Pur tuttavia volevamo approfittare di questa occasione per poterle esprimere l’amarezza, i dubbi e il profondo senso di malessere che pervade tanti miei colleghi della Polizia Penitenziaria, di fronte al modo in cui si continuano ad affrontare i problemi che affliggono le carceri italiane. In primis vorremmo evidenziarle un aspetto che è prima di tutto formale e poi, di conseguenza, sostanziale. Lei è stato nominato Presidente di una Commissione incaricata di trovare soluzioni alla cosiddetta “emergenza carceri”, ma nella stessa Commissione non è stato inserito alcun appartenente al Corpo di Polizia Penitenziaria. La preghiamo, non si affretti a dire che nella Commissione ci sono esponenti di spicco dell’Amministrazione penitenziaria, perché dal Dap, ancorché rappresentati, siamo ignorati e mortificati ogni giorno. Per noi quei vertici non possono rappresentare i bisogni della Polizia Penitenziaria né possono essere in grado di suggerire soluzioni plausibili all’emergenza carceri perché, a nostro avviso, sono in parte responsabili di quell’emergenza. Dal punto di vista formale sarebbe bastato nominare anche un solo Commissario della Polizia Penitenziaria e la “facciata” sarebbe stata quantomeno salvata. E’ pur vero che c’era il rischio che la nomina potesse ricadere su un appartenente alla Polizia Penitenziaria di quelli che si vedono al Dap, impegnati più ad accondiscendere i dettami dall’alto che a farsi portatori delle esigenze dei loro colleghi, ma il fatto stesso di non aver voluto nemmeno salvaguardare l’aspetto formale, non può che essere considerata un’offesa e un’ulteriore messaggio di disprezzo da parte delle Istituzioni nei confronti delle migliaia di appartenenti alla Polizia Penitenziaria che in carcere ci lavorano, ci si impegnano e, me lo lasci dire, ci sputano il sangue ogni ora del giorno, ogni giorno dell’anno. Detto questo, le assicuriamo che il nostro non è uno sfogo personale, ma la sintesi (ci creda) molto edulcorata di come la pensiamo e per questo Le vogliamo rivolgere una richiesta: trovi Lei, per favore, il modo, l’occasione, la scusa (se serve) per inserire nella Sua Commissione una voce della Polizia Penitenziaria. Siamo l’Istituzione dello Stato che in carcere lavora più tempo di tutti, che conosce uno ad uno ogni singolo detenuto. Non crede anche Lei sia assurdo continuare ad istituire tavole rotonde e Commissioni, per parlare di carcere, senza dare voce a chi in carcere lavora con profonda abnegazione e sacrificio come i poliziotti penitenziari? Non crede che il coinvolgimento diretto della Polizia penitenziaria sarebbe utile per tutti (tranne che per la dirigenza del Dap che pensa solo a difendere il proprio orticello)? Siamo davvero stufi di lavorare tra l’incudine dei problemi delle carceri e il martello dei provvedimenti caduti dall’alto, senza un minimo di raziocinio, impartiti da chi il carcere lo amministra da comode poltrone senza mai aver, non dico risolto, ma nemmeno affrontato i reali problemi. Nella sua lunga carriera passata a cercare di risolvere i problemi delle carceri, alla quale la Presidenza di questa Commissione rende anche merito, avrà certamente avuto modo di conoscere come la burocrazia e le decisioni prese dall’alto senza conoscere minimamente le dinamiche reali, sono piuttosto di ostacolo alla corretta applicazione dei dettami della nostra Costituzione e delle riforme penitenziarie che si sono succedute negli anni. La salutiamo cordialmente, con la convinzione che Lei ha assunto questo incarico davvero con impegno sincero, considerata l’onestà intellettuale che traspare “dall’umile gesto” di intervenire in una discussione tutto sommato secondaria come questa, invitandola nuovamente ad ascoltare anche “formalmente” le richieste e i consigli che possono arrivare dal Corpo di Polizia Penitenziaria. Il commento di Mauro Palma Sono e resto alla guida di quel meccanismo che dovrebbe portarci a rientrare nei parametri fissati da Strasburgo (per il bene di chi in carcere è detenuto e di chi in carcere lavora). Però un punto mi preme sottolineare: durante i lavori della Commissione e anche in questi giorni ho sempre sottolineato che ogni miglioramento di condizioni detentive esiste solo se si accompagna al miglioramento di condizioni di lavoro di chi in carcere opera, mai contro di esse o trascurando gli effetti di ciò che si propone. Questo solo perché sia chiara la mia personale posizione. Napoli: Dap; no a strumentalizzazioni sulle presunte violenze sui detenuti di Poggioreale www.fanpage.it, 29 gennaio 2014 In merito al servizio sul presunto pestaggio denunciato dall’ex detenuto e sull’esistenza della "cella 0" nel carcere di Poggioreale, il Vice Capo Vicario del Dap Luigi Pagano dichiara: "Se la Procura avvierà un’indagine sui fatti denunciati, il Dap offrirà, come sempre, la massima collaborazione affinché sia fatta chiarezza su quanto riportato nell’intervista. Da parte mia, ribadisco, e non per dovere d’ufficio ma per conoscenza diretta, con altrettanta chiarezza la serietà, la professionalità, il senso del dovere, sino al limite del sacrificio personale, con cui opera il Corpo di Polizia Penitenziaria di Poggioreale, come in tutte le carceri d’Italia. Spero che questo servizio non venga strumentalizzato per gettare discredito, ancora una volta, sull’istituzione penitenziaria e sul Corpo che, è bene ricordarlo, fornisce un servizio essenziale alla collettività, e lo fa spesso in condizioni difficili determinate dal sovraffollamento e dalla carenza di risorse. Napoli: Rita Bernardini (Radicali); della "cella zero" di Poggioreale se ne parla da anni www.fanpage.it, 29 gennaio 2014 Rita Bernardini, Segretario dei Radicali, tratteggia un quadro a tinte fosche del carcere di Poggioreale. E sospetti sulla presenza della criminalità organizzata. "In occasione della mia ultima visita ispettiva da deputata, il 12 Febbraio 2013, visitando il reparto Napoli del carcere di Poggioreale almeno tre detenuti mi hanno denunciato pestaggi nella cella zero. Per quel che riguarda il penitenziario partenopeo, pare si tratti di una cosa quasi sistematica". A parlare è Rita Bernardini, segretario dei Radicali italiani ed ex parlamentare, commentando il servizio di Fanpage.it su un detenuto che ha avuto il coraggio di denunciare le umiliazioni e le percosse che avrebbe subito all’interno del penitenziario, e sulle cinquanta denunce per maltrattamenti che la garante dei detenuti della Campania Adriana Tocco ha raccolto e presentato. La cella zero - Rita Bernardini tratteggia un quadro di violenza e disperazione: squadrette adibite ai pestaggi, spazio vitale ridotto al minimo, cella zero, sospetti sulla presenza della criminalità organizzata in tutto questo. Sulla cella zero, "un’indagine è sicuramente in corso - spiega il segretario dei Radicali - Io sono stata chiamata nel settembre 2013 dalla Digos di Napoli, che mi ha interrogata sull’argomento". Il carcere di Poggioreale è il più sovraffollato d’Europa: "Tutti coloro che hanno visitato il carcere hanno potuto constatare che c’è chi vive in meno di due metri quadrati - spiega - In questi spazi così ristretti i detenuti vivono per molte ore al giorno; tolte le due ore di aria, stanno chiusi in questa situazione da impazzimento nelle celle. I magistrati di sorveglianza, poi, non hanno mai visitato le celle detentive come prescrive l’ordinamento penitenziario. Se si fossero trovati di fronte alla situazione che io ho potuto vedere con i miei occhi, non avrebbero potuto fare altro che intervenire per interrompere quei trattamenti inumani e degradanti per i quali siamo stati condannati con una sentenza pilota dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo". D’altra parte, come si legge anche nel rapporto 2014 di Antigone, "Poggioreale è la prigione del disciplinamento assoluto, dove tutto è regolato, interdetto, impedito o prescritto". Il sovraffollamento e le presunte violenze - "Esiste un problema di sottodimensionamento del personale di polizia penitenziaria in tutte le strutture, ed è difficile mantenere l’ordine in un carcere dove la vita è così innaturale", spiega Bernardini. "Queste persone non possono nemmeno disperarsi, se c’è qualcuno che si lamenta può essere tranquillizzato con certi metodi". Si tratta, ovviamente, di un "discorso che non riguarda tutti gli agenti di polizia penitenziaria", tiene a precisare l’ex parlamentare. "Ma sicuramente - continua - ci sono delle squadrette a questo adibite. E in tanti anni non si sono voluti capire i perché". Mancate risposte dalle istituzioni - "Al Ministero non sono fessi", commenta l’ex deputato radicale. "Fino a questo momento si sono adagiati su una situazione che per ora non è esplosa. Ma sarebbe il momento, i provvedimenti disciplinari si possono prendere, fino a che non si riscontrino profili penali, che per me ci sono". L’ombra della camorra - Rita Bernardini si sofferma su un altro aspetto inquietante. Il suo sospetto è che "la camorra non sia totalmente esclusa da questa gestione: conti correnti di un certo valore che vengono costantemente rimpinguati, circolazione del denaro, circolazione di sostanze stupefacenti. Di fronte a tutto questo, io credo che farebbero bene coloro che indagano a vedere quali siano i rapporti stretti con la criminalità organizzata". Torino: ispezione al carcere dopo omicidio-suicidio; agente sparò a ispettore, poi si uccise Ansa, 29 gennaio 2014 Un’ispezione da parte del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, su richiesta del Ministero della Giustizia, è in corso da stamattina nel carcere di Torino dopo l’omicidio-suicidio dello scorso 17 dicembre, quando un agente di polizia penitenziaria sparò ad un superiore e poi si uccise con l’arma di ordinanza. Secondo quanto si apprende, l’iniziativa durerà alcuni giorni ed è stata disposta allo scopo di verificare se esistessero provvedimenti disciplinari nei confronti della gente e, più in generale, quali fossero i turni di lavoro e le condizioni della polizia penitenziaria. La mattina del 17 dicembre l’agente Giuseppe Capitano sparò all’ispettore Giampaolo Melis, poi si tolse la vita. Il fascicolo aperto dal sostituto procuratore Cesare Parodi non è ancora stato chiuso. Gli inquirenti intendono capire chi o che cosa abbia provocato il folle gesto dell’agente Capitano. Sassari: prosegue processo per la morte di Marco Erittu, in cerca della verità che manca di Gianni Bazzoni La Nuova Sardegna, 29 gennaio 2014 Se quello di Marco Erittu è stato un suicidio, ci sono almeno tre o quattro cose ancora da chiarire, e coinvolgono l’organizzazione complessiva del sistema carcerario a San Sebastiano in quel periodo. Se, invece, il detenuto sassarese è stato ucciso, è evidente che chi ha messo in atto l’esecuzione ha potuto avere accesso nella cella di un recluso che doveva essere sorvegliato a vista. E quindi ha trovato la porta aperta. Il processo - a prescindere da quella che sarà la soluzione finale - sulla base anche degli esiti delle perizie, dovrà fornire delle risposte certe. Solo in cella. Marco Erittu era solo in cella il 18 novembre del 2007. Aveva già fatto dei gesti dimostrativi, si era tagliato con una lametta. Voleva attirare l’attenzione e proprio per certi comportamenti di autolesionismo doveva essere sorvegliato a vista. Nel caso avesse deciso di fingere di impiccarsi, perchè avrebbe dovuto farlo nel momento in cui nessuno poteva vederlo? Se ha tagliato la striscia di coperta e l’ha sistemata con un doppio passaggio (non risulta il nodo), qualcuno poteva fermarlo? Il pentito. Giuseppe Bigella, finora, ha raccontato quella che resta la verità di un condannato per omicidio che si autoaccusa anche di un altro. A quella versione mancano alcuni riscontri oggettivi che avrebbero aiutato, per esempio, il medico legale che ha firmato l’ultima perizia a una valutazione più completa. Il collaboratore di giustizia parla come se avesse agito da piccolo boss, addirittura dice di essere uscito dalla cella dopo l’uccisione di Erittu e di avere lasciato l’incarico a un altro detenuto di ultimare la messa in scena con la finta impiccagione. La busta di plastica. Il sacchetto, di quelli consegnati nei supermercati per la spesa, non è mai stato trovato. Bigella dice che è stato utilizzato per soffocare il detenuto e che poi se l’è portato via, quindi l’ha gettato nella spazzatura. Così nessuno dei medici legali (tre) l’ha mai visto. Di fatto non esiste e l’unico strumento disponibile per la perizia sulla morte di Erittu è una striscia di coperta. La coperta. È una coperta le cui misure non tornano mai. Per tagliare una striscia basta sfilacciare l’estremità e poi tirare con le mani. Chiunque può farlo. Ma quel lembo di stoffa scompare - finisce in una cassaforte dell’istituto - e poi ricompare. È la stessa o una vale l’altra? Almeno in quella fase, perchè la morte di Erittu è classificata come suicidio. Solo che poi nasce il giallo e cambia tutto. Per fare quadrare le misure serve una nuova perizia. Le incertezze. La posizione del cadavere è fondamentale. Se uno decide di togliersi la vita volontariamente o se viene ucciso. Marco Erittu era sul letto, disteso, con il braccio penzoloni. Lo vedono così i primi soccorritori. Lo collocano in quella posizione alcuni agenti della polizia penitenziaria intercettati dai carabinieri durante le indagini. Come può uno che si suicida finire poi sulla branda? È stato trasferito di peso? E la striscia di coperta che sparisce e ricompare, che senso ha in tutta la storia? Le indagini. Il corpo di Erittu viene esaminato dai carabinieri del Servizio investigazioni scientifiche il giorno dopo, quando l’ipotesi del suicidio è incrinata da alcune cose che non tornano e c’è bisogno di fare chiarezza. Anche il vomito sulla bocca del detenuto non viene repertato e analizzato. Le foto non bastano. Così nelle perizie quel dato non c’è. Il detenuto diceva di essere un testimone, di sapere cose importanti sulla scomparsa di Giuseppe Sechi (il muratore di Ossi mai tornato a casa, un lembo dell’orecchio era stato inviato ai familiari di Paoletto Ruiu, il farmacista di Orune sequestrato). Aveva parlato con alcuni investigatori senza mettere le dichiarazioni a verbale. E le sue lettere inviate alla Procura non sono mai arrivate a destinazione. Che cosa c’era scritto? Una nuova perizia sulla coperta, di Nadia Cossu In aula le certezze del professor Avato: la morte è compatibile con il suicidio, non posso ragionare su ipotesi fantastiche. Se il processo che si sta celebrando davanti alla corte d’assise di Sassari per far luce sulla morte in cella (avvenuta il 18 novembre 2007) del detenuto Marco Erittu dovesse basarsi soltanto sull’esito dell’ultima perizia eseguita dal professor Francesco Maria Avato, il risultato sarebbe quasi scontato: Erittu si è ucciso impiccandosi con una striscia di coperta che aveva legato alla barra trasversale più alta del letto. A supporto di questa tesi, Avato (che ha ricevuto l’incarico dal presidente della corte, Pietro Fanile) produce una relazione dettagliata. Dall’altra parte ci sono però i dubbi legati proprio a quella striscia di tessuto indicata come "mezzo" per il suicidio. Il lembo fa realmente parte della coperta trovata nella cella della vittima? O qualcuno l’ha portata dall’esterno? E siccome i raffronti tra coperte in dotazione all’epoca a San Sebastiano, fatti ieri in aula con tanto di metro per misurare lunghezze e larghezze, non sono bastati a dipanare la matassa, il presidente della corte ha deciso di disporre una nuova perizia tecnica - così come richiesto dal pubblico ministero Giovanni Porcheddu - nominando un perito industriale tessile di Prato. Il quesito al quale l’esperto dovrà rispondere è il seguente: la striscia proviene o no da quella coperta? La confessione. C’è poi un altro dato non trascurabile (che stride con la tesi Avato). Si tratta della confessione del pentito Giuseppe Bigella che sta scontando la pena per omicidio in quanto si è autoaccusato del delitto: "Ho ucciso io Marco Erittu, l’ho soffocato con un sacchetto di plastica e poi mi sono fatto aiutare per simulare un suicidio". Il tutto sarebbe accaduto in una cella del braccio promiscui di San Sebastiano con la complicità di un agente di polizia penitenziaria (al momento ai domiciliari ndr) e di un altro detenuto. A commissionare l’omicidio, sempre secondo il racconto di Bigella, sarebbe stato Pino Vandi (imputato in questo processo e in carcere), che avrebbe avuto interesse a far sparire Erittu perché quest’ultimo sarebbe stato a conoscenza di informazioni scottanti su un presunto coinvolgimento di Vandi in affari tra la malavita sassarese e quella nuorese. Sono tutti e tre punti fermi: la perizia di Avato, i dubbi sulla striscia di coperta, la confessione di Bigella. La perizia del professor Avato. Le conclusioni sono state illustrate ieri in aula. "La causa della morte? Asfissia meccanica acuta. Le lesioni vitali presenti sul collo della vittima - ha spiegato Avato - mostrano una assoluta compatibilità con la striscia ricavata dalla coperta. Si tratta di lesioni prodotte quando Erittu era in vita, non quindi sul cadavere, in tempi estremamente rapidi. Potrebbe anche essersi trattato di un atto dimostrativo da parte del detenuto, con un esito imprevisto". La vittima avrebbe cioè solo voluto attirare l’attenzione ma poi la situazione gli sarebbe sfuggita di mano. Il sacchetto di plastica. "Non chiedete a un medico legale serio di ragionare su una ipotesi fantastica. È un’illazione. Non l’ho nemmeno ipotizzato questo "mezzo". Dov’è il sacchetto? Chi l’ha mai visto? Non è nemmeno possibile azzardare una compatibilità astratta, teorica. Queste sono cose da Agatha Christie non da medicina legale". La posizione del professor Avato è netta mentre risponde alle domande del pm (che a proposito di questa perizia ha chiesto un rinvio per consentire al suo consulente di presentare le controdeduzioni). La dinamica. Insiste: "La striscia di coperta può esser stata legata alla barra del letto, in seguito c’è stato l’abbandono del capo e la successiva precipitazione gravitazionale". Chiarisce poi il dubbio sollevato dal pm: "Come poteva esserci la sospensione se uno degli agenti intervenuti dopo la morte ha detto che il laccio non era in tensione?". Risposta: "La prima voluta era morbida, la seconda era sicuramente in tensione". La lametta ricomparsa. Nello scatolone dove erano conservate le coperte, ieri è comparsa una bustina trasparente che conteneva una lametta di plastica sequestrata nella cella della vittima. Per cosa è stata utilizzata? Secondo i difensori di Pino Vandi quel reperto non era presente l’ultima volta in cui la stessa scatola venne aperta. Il processo è stato aggiornato al 10 febbraio. Cosenza: Franco Corbelli (Diritti Civili); appello dei detenuti per rilascio mamma Cocò Ansa, 29 gennaio 2014 Franco Corbelli, del movimento Diritti Civili, ha incontrato in carcere la mamma e il papà del piccolo Cocò, il bambino di 3 anni ucciso insieme al nonno ed alla compagna di quest’ultimo ed i cui cadaveri sono stati poi bruciati dentro un’auto a Cassano allo Ionio. È stato, è scritto in una nota, "un incontro particolarmente commovente". Antonia Iannicelli e Nicola Campolongo, prosegue la nota, "hanno abbracciato e ringraziato Corbelli per tutto quello che sta facendo da oltre un anno per aiutarli e gli hanno consegnato una lettera di ringraziamento al Papa per quello che il Pontefice ha detto domenica durante l’Angelus". Oggi, intanto, le detenute e i detenuti del carcere di Castrovillari, è scritto nella nota di Diritti civili, "hanno promosso una clamorosa e significativa iniziativa di solidarietà: con una lettera appello indirizzata a Corbelli hanno chiesto la immediata scarcerazione della mamma del piccolo Cocò. ‘Fatela ritornare dalle sue due bambine - hanno scritto detenute e detenuti - ci rivolgiamo a lei dott. Corbelli che sta conducendo questa battaglia di giustizia, civiltà e umanità. Continui ad aiutare questa sfortunata mammà". Stamani, intanto, ha reso noto Corbelli, l’avvocato della donna ha presentato una istanza urgente anche al giudice di sorveglianza del Tribunale dei minori di Catanzaro. "Tra oggi e domani - ha concluso Corbelli - la mamma del piccolo Cocò dovrebbe lasciare il carcere per andare ai domiciliari nella casa famiglia dove sono ospitate le sue due bambine insieme ai tre cuginetti, alla zia Simona, allo zio minore Giuseppe Iannicelli e all’altro zio Roberto Pavone, che venerdì pomeriggio ho incontrato". Grosseto: il Garante regionale; i detenuti hanno la metà dello spazio degli ospiti del canile di Barbara Farnetani www.ilgiunco.net, 29 gennaio 2014 È tutt’altro che confortante la relazione che Franco Corleone, Garante regionale dei diritti dei detenuti, fa dopo la visita al carcere di Grosseto. "I detenuti - afferma Corleone - vivono in 4 o 5 in celle di 17 metri quadri, 4 metri a testa, la metà dello spazio che il comune dedica ai cani del canile. Gli spazi sono quelli di una casa delle bambole, ma questi sono uomini, giovani perlopiù. Il 40% di loro è straniero, due sono in trattamento metadonico e solo 6 dei 30 detenuti sono lì per scontare la pena, 13 sono ancora in attesa del primo processo, gli altri hanno in ballo appelli e ricorsi". Una situazione drammatica dove i detenuti sono costretti a trascorrere il proprio tempo in cella vista la sostanziale assenza di spazi comuni, "le celle hanno delle volte per cui da un lato possono stare anche i detenuti più bassi, mentre alle finestre, che danno sulla strada, per motivi di sicurezza, oltre alle inferriate sono applicate grate più strette. Cosa questa che va contro la legge e mette a rischio la vista e la salute dei detenuti". L’onorevole Corleone ha visitato questa mattina il carcere assieme al sindaco di Grosseto, e nei prossimi mesi tornerà per visitare quello di Massa Marittima. Di fatto ricorda il garante "l’Italia è stretta in una morsa, con una condanna della Corte europea dei diritti umani per trattamento inumano dei carcerati e il sovraffollamento. È in discussione un decreto per la liberazione anticipata dei detenuti, ma anche per diminuire le pene in caso di condanne per possesso di quantità minime di droghe leggere, così da impedirne l’entrata in carcere". Tra i lati positivi il buon rapporto tra carcerati e carcerieri, visto anche il basso numero dei primi, e la pulizia della struttura. Ma non è sufficiente. E il sindaco di Grosseto prospetta la soluzione di un nuovo carcere: "Abbiamo già individuato l’area, alla Serenissima, che andrebbe acquisita. E il Comune si offre di fare da tramite". Il problema sono le risorse, una nuova struttura carceraria, che potrebbe servire tutta la provincia, costerebbe circa 40 milioni di euro, mentre la vendita dell’attuale carcere non coprirebbe se non in minima parte le spese. "Abbiamo telefonato al prefetto Angelo Sinesio - precisa Corleone - incaricato dell’edilizia carceraria. Attualmente risorse non ce ne sono ma dobbiamo comunque risentirci". Alessio Scandurra membro dell’associazione Antigone e curatore dei dati dell’Osservatorio europeo sulle condizioni di detenzione afferma "In carcere c’è lo spazio per una trentina di detenuti, ma durante l’anno le entrate sono 300 questo vuol dire che c’è un alto turnover ossia gli operatori si trovano a gestire un altissimo numero di entrate, il momento più difficile per i carcerati, con momenti di depressione atti di autolesionismo". Corleone ha infine proposto al sindaco l’istituzione di un garante cittadino per i diritti dei detenuti in modo da creare una vera e propria rete regionale e nazionale. Sulmona: Melilla (Sel); il carcere scoppia, è peggiore della regione, intervenga il ministro Ansa, 29 gennaio 2014 Il carcere di Sulmona (L’Aquila) scoppia. Per quanto riguarda il sovraffollamento è il peggiore in termini assoluti tra gli otto istituti penitenziari dell’Abruzzo. Lo afferma il deputato di Sinistra ecologia e libertà Gianni Melilla che ha presentato un’interrogazione, a risposta in Aula, al ministro della Giustizia. "Il carcere - ricorda il parlamentare abruzzese - ha una capienza massima di 306 detenuti, ma ne ospita 473 con una eccedenza di 167 detenuti costretti a vivere in condizioni inaccettabili per la loro dignità di persone con conseguenze inevitabili anche rispetto alla funzione rieducativa della loro pena, come prescrive la Costituzione italiana". Melilla prosegue: "L’indice di sovraffollamento è pari al 54,6 per cento e ciò è particolarmente grave se si pensa che in questo carcere negli ultimi 10 anni si sono tolte la vita 13 persone, nell’ultimo anno ci sono stati 4 tentati suicidi e 12 atti di autolesionismo gravi. Inoltre, il personale di polizia penitenziaria è costretto a subire questa situazione con un netto peggioramento delle proprie condizioni di lavoro". L’onorevole Melilla, nel ricordare che "l’Italia è stata sanzionata a livello europeo per le condizioni inaccettabili dei detenuti", chiede al ministro "se non intenda prendere iniziative per superare rapidamente questa situazione di sovraffollamento del carcere di Sulmona". Ascoli: attrezzature e vernici ai detenuti, per dipingere muri e stanze del carcere Ristretti Orizzonti, 29 gennaio 2014 Confindustria di Ascoli ha donato al carcere di Marino del Tronto attrezzature e vernici per dipingere muri, spazi comuni e la stanza destinata agli incontri dei detenuti del 41 bis coi familiari, bambini compresi. Una risposta anche a chi sosteneva che ai detenuti soggetti al cosiddetto carcere duro fosse impedito di vedere i minori. "È assolutamente falso poiché il contatto con i figli è tra gli aspetti più importanti nel percorso di recupero dei detenuti, compresi quelli del 41 bis", ha detto oggi la direttrice del carcere Lucia Difeliciantonio nel ricevere insieme a alcuni detenuti il materiale che verrà utilizzato nell’ambito del progetto "Coloriamo il carcere". Erano presenti il presidente del Tribunale Fulvio Uccella e il presidente di Confindustria Ascoli Bruno Bucciarelli che ha dato disponibilità a instaurare un rapporto di collaborazione fra carcere e imprese per introdurre nel mondo del lavoro i detenuti. "Chi già esce grazie all’art. 21 sta facendo un buon percorso, ma vogliamo incrementare questa collaborazione" hanno detto Difeliciantonio e Bucciarelli. Per i detenuti del 41 bis c’è anche un percorso scolastico. "Con il Tribunale è in atto poi una collaborazione che riguarda l’informatizzazione dei fascicoli - ha concluso Uccella. Dobbiamo tutti cercare di fare la nostra parte perché è giusto che chi ha sbagliato paghi, ma dobbiamo fare anche in modo che l’opera di recupero dei detenuti sia reale". Comunicato Redazione de "Io e Caino" "Coloriamo il carcere": portiamo la luce anche nella sala colloqui del 41bis. Il presidente del Tribunale e il presidente di Confindustria consegnano personalmente i materiali davanti ai cancelli dell’istituto. Sono arrivati alle 15 davanti ai cancelli del supercarcere di Marino del Tronto per consegnare personalmente alla direttrice dell’istituto, Lucia Di Feliciantonio, i materiali acquistati per "Coloriamo il carcere". Testimonial d’accezione per la terza fase del progetto sociale sono il presidente del Tribunale di Ascoli, Flavio Uccella, e il presidente di Confindustria Ascoli Piceno, Bruno Bucciarelli. Entra così nel vivo la nuova stagione dei lavori che prevedono la decorazione dei muri di corridoi, cortili e spazi comuni del supercarcere. Dopo le opere realizzate nella sala colloqui della sezione giudiziario e quelle che hanno visto la decorazione del lungo corridoio che conduce alle sale didattiche, nella terza fase del progetto i colori abbracceranno le pareti di uno dei luoghi più delicati dell’intera struttura: la sala colloqui del settore penale, quella in cui i detenuti in 41 bis incontrano figli e familiari. La terza fase del progetto è partita proprio grazie al personale interessamento del presidente del Tribunale di Ascoli Piceno, Flavio Uccella, e del presidente di Confindustria Ascoli Piceno, Bruno Bucciarelli che hanno reperito i fondi necessari all’acquisto delle vernici e degli spray che verranno utilizzati. E vedrà di nuovi impegnati i ragazzi che hanno lavorato in corridoio: il writer ascolano Simone Galiè e le studentesse Marta Alvear Calderon, Laura Galetti e Annalisa Accica. Tutti affiancati dalla squadra di detenuti che chiederanno di partecipare. Il progetto aveva preso il via due anni fa da un’idea del Comandante Pio Mancini, momentaneamente in servizio presso il carcere di Torino, ed è coordinato dalla giornalista Teresa Valiani, direttore di "Io e Caino", il giornale del supercarcere realizzato con i detenuti. I lavori sono realizzati, di volta in volta, da una squadra di professionisti esterni (writers, disegnatori, insegnanti) che viene affiancata dai detenuti del giudiziario. Oltre che a rendere l’ambiente detentivo più gradevole, "Coloriamo il carcere" si propone anche di avvicinare società civile e popolazione detenuta in quello che fino a oggi è stato uno scambio di esperienze estremamente positivo. Appena terminati i lavori in sala colloqui, e con l’arrivo della bella stagione, la terza fase del progetto interesserà le grandi pareti del cortile interno. Modena: lavoro ai detenuti, convenzione tra Comune di Formigine e Casa circondariale www.sassuolo2000.it, 29 gennaio 2014 Detenuti che svolgono servizi per la collettività. È lo scopo della convenzione tra l’Amministrazione formiginese e la Casa Circondariale di Modena, approvata dalla Giunta comunale dopo i positivi riscontri del 2013, che è stata rinnovata anche per l’anno appena iniziato e che prevede progetti di recupero sociale rivolti a un gruppo di soggetti ristretti, nell’ottica di una giustizia "riparativa" anziché "punitiva", che possano contribuire al bene comune. Il progetto, che coinvolge due detenuti in servizio presso il magazzino comunale con cadenza non superiore a due giornate settimanali, si sta sviluppando attraverso vari interventi di manutenzione ordinaria necessari per il mantenimento e il miglioramento del territorio e del patrimonio comunale, in collaborazione con il personale della Casa Circondariale di Modena. Nel dettaglio, le attività riguardano finora interventi di manutenzione dell’arredo urbano, dei veicoli e degli edifici comunali, di spalatura della neve e di trasporto di materiali per l’allestimento di manifestazioni. "Questo progetto sinergico con la Casa Circondariale di Modena - dichiarano gli Assessori alle Politiche sociali Maria Costi e ai Lavori pubblici Giuseppe Viola - persegue il miglioramento della qualità della vita di alcune persone detenute e individua azioni volte al loro inserimento socio-riabilitativo attraverso l’apprendimento di competenze e abilità professionali". Nel dettaglio, le attività concordate consistono nel tempo in piccoli interventi di potatura di cespugli e siepi; nella pulizia di aiuole, aree verdi e parchi; nella messa a dimora di essenze fiorite stagionali in aiuole; nei servizi resi necessari a seguito di particolari agenti atmosferici (rimozione della neve da aree pubbliche comunali come parcheggi, marciapiedi e scuole); tinteggiatura di arredo urbano come cestini e panchine. Brescia: processo per quattro agenti penitenziari sorpresi a dormire durante turno di notte di Beatrice Raspa Il Giorno, 29 gennaio 2014 Scandalo al carcere di Verziano: rischiano fino a 4 anni di galera. A innescare il controllo sarebbe stato un detenuto insonne. A processo perchè sorpresi a dormire tutti insieme durante il turno notturno di lavoro. Grattacapi giudiziari per la Polizia penitenziaria di Verziano. Quattro agenti, un sovrintendente e tre assistenti capo ieri sono stati rinviati a giudizio con l’accusa di abbandono del posto di lavoro, una violazione della legge 121 del primo aprile 1981 per cui rischiano 4 anni di carcere. Con in più le aggravanti di aver interrotto il servizio e commesso il reato in compagnia. Il dibattimento inizierà il 7 aprile 2016. La vicenda è venuta alla luce in primavera quando sul tavolo della Procura è arrivata una relazione di un commissario ministeriale di Polizia penitenziaria. Una denuncia inviata in copia anche al provveditorato di settore, nella quale veniva posta in luce una situazione di irregolarità collettiva registrata a Verziano la notte del 14 maggio nel corso di una ispezione a sorpresa. A innescare il controllo, sostengono gli inquirenti, sarebbe stato un detenuto insonne, stufo di non potersi addormentare per i sibili di un russamento che provenivano dall’esterno della sua cella. Infastidito per il rumore, l’uomo avrebbe chiesto lumi e nella Casa di reclusione è scattato un blitz alle quattro del mattino. Risultato: stando a quanto constatato dal commissario, le addette alla sorveglianza del reparto femminile erano vigili e regolarmente operative mentre il personale del settore maschile pareva colto da una misteriosa narcolessia di gruppo. L’addetto alla portineria e il collega del primo e del secondo piano dormivano sdraiati su un giaciglio di fortuna allestito su una scrivania, è la denuncia. Un terzo poliziotto pare invece si fosse ritirato in una stanza esterna alla sezione da sorvegliare e un quarto addirittura che fosse tornato a casa propria. Per il pm Ambrogio Cassiani le guardie hanno abbandonato il posto di lavoro e il servizio "violando le più elementari disposizioni generali inerenti al delicato incarico di sorveglianza dei detenuti e della struttura carceraria, di fatto interrompendo il servizio di sorveglianza stesso". Ma la difesa, che sospetta "una ricostruzione dei fatti partigiana e approssimativa, volta forse a operare una pulizia interna", attacca: "Queste sono persone con alle spalle 30 anni di onorata carriera, gente che lavora con turni massacranti da fonderia, non sono loro le mele marce - stigmatizza l’avvocato Luca Zuppelli. Se qualcosa non è andato come doveva bastava una sanzione amministrativa". Pieno sostegno ai poliziotti da parte dei sindacati: "Non esistono prove per le accuse - lamenta il coordinatore regionale per la Polizia penitenziaria della Fp-Cgil, Calogero Lo Presti. Figuriamoci se qualcuno è tornato a casa a dormire. Metto la mano sul fuoco per la professionalità degli agenti. Sono tutti stravolti per una contestazione così pesante". Solidarietà piena pure dal Sinappe: "La magistratura farà chiarezza, ma noi rinnoviamo la fiducia ai colleghi, di cui abbiamo grande stima", fa eco il coordinatore nazionale Antonio Fellone. Roma: ciclo di incontri su Legalità e Cultura, norme pratiche per il recupero sociale di Maria Grazia Panasci Roma Today, 29 gennaio 2014 Si è concluso il 17 gennaio il ciclo di incontri su Legalità e Cultura, promosso dalla Sapienza e dall’Associazione Punto e Accapo su Legalità e Cultura Un confronto-dibattito dedicato agli studenti dell’università e delle scuole secondarie superiori. L’evento è stato organizzato, tra gli altri, dall’Associazione Stampa Romana, dal Garante Diritti Detenuti Regione Lazio, dall’Associazione studentesca "La Città del Sole" e dal Liceo Artistico Statale "Enzo Rossi". L’argomento, più che mai attuale, è quello della funzione della pena intesa come recupero sociale. Sono intervenuti il Rettore della "Sapienza", Luigi Frati, l’on. Fausto Raciti, Commissione cultura, scienza e istruzione, la dott.ssa Maria Claudia Di Paolo, Provveditore Regionale Amministrazione Penitenziaria, l’avv. Angiolo Marroni, Garante Diritti dei Detenuti Regione Lazio, Mariagrazia Dardanelli, Dirigente Scolastico del Liceo Artistico Statale "Enzo Rossi" e Cosimo Rega, attore e scrittore, nonché detenuto ergastolano. Dopo la proiezione del Film "Cesare deve morire", Orso D’Oro a Berlino dei fratelli Taviani, il dibattito si è aperto. La "giustizia riparativa" è stata oggetto di particolare attenzione: quella forma di risposta al reato che coinvolge il reo e, direttamente o indirettamente, anche la comunità e/o la vittima, nella ricerca di possibili soluzioni agli effetti dell’illecito e nell’impegno fattivo per la riparazione delle sue conseguenze. Altra possibile risposta: la scuola in carcere, il progetto educativo più impegnativo, più delicato e anche quello che ripaga di più in termini di crescita sociale. Interessanti le domande formulate dagli studenti ai relatori, soprattutto dopo la visione del film dei fratelli Taviani, rivisitazione del Giulio Cesare di Shakespeare, messo in scena dalla compagnia teatrale dei detenuti di Rebibbia, di cui Cosimo Rega è il capo attore. Gli attori interpretano i personaggi ognuno nella propria lingua d’origine; ciò crea una grande musicalità tra i dialetti, che vanno dal napoletano, al romano al siciliano, per arrivare anche oltre confine, in Olanda. La rappresentazione teatrale fa da cornice alle vite dei detenuti, una sorta di "racconto nel racconto", in cui questi uomini sperano di trovare il riscatto sociale attraverso l’arte, il romanzo o il teatro. Una performance molto applaudita nella Sala Odeion della "Sapienza; tributo indirizzato soprattutto allo scrittore-detenuto Cosimo Rega, ergastolano che ogni notte rientra nella sua cella che "da quando ha conosciuto l’arte è diventata una prigione". Rossano Calabro (Cs): per la Giornata della Memoria, detenuti-attori e… musicisti www.dirittodicronaca.it, 29 gennaio 2014 Il giorno della memoria, celebrato all’interno della casa di reclusione di Rossano, ha il colore sbiadito delle immagini in bianco e nero degli internati nel campo di concentramento di Auschwitz; ha la forza delle parole capaci di rievocare con pathos il peggiore dei crimini perpetuato ai danni dell’umanità, l’Olocausto; trova lo spazio per ricordare il piccolo Cocò di Cassano allo Jonio, bruciato in un auto per mano della ‘ndrangheta; ma contiene anche messaggi di speranza e di fede che risuonano al ritmo di organetti e fisarmoniche, di canzoni reinterpretate in dialetto e di una rappresentazione teatrale che racconta, attraverso la satira e l’ironia, la vita in carcere e la voglia di riscatto. Sul palcoscenico del teatro dell’istituto penitenziario di contrada Ciminata Greco protagonisti, arte ed emozioni. Essere uomini, prima che detenuti, con una possibilità in più, che non si dovrebbe mai negare a nessuno, una volta fuori dal carcere. La formazione e l’istruzione possono e devono portare alla riscoperta di valori e comportamenti rivolti al bene. La musica e l’arte come strumenti rieducativi e di socializzazione, occasione di riscatto sociale. Sono, questi, alcuni dei passaggi emersi dai vari interventi che si sono alternati nel corso dell’evento tenutosi ieri, lunedì 27, nell’ambito del progetto "Note di libertà", promosso dall’Istituto musicale di Mirto Donizetti all’interno della casa di reclusione di Rossano diretta da Giuseppe Carrà. Tra gli spettatori della particolare giornata della memoria celebrata all’interno del carcere c’erano anche gli studenti del liceo classico di San Demetrio Corone, una nutrita delegazione delle due parrocchie cittadine Maria Madre della Chiesa e S. Giovanni Battista, don Piero Frizzarin, il parroco del carcere, il dirigente scolastico dell’Istituto "Ettore Majorana", Giuseppe Spataro che all’interno della casa di reclusione ha una sezione, il direttore Giuseppe Carrà, soddisfatto ed emozionato per la buona riuscita dell’iniziativa e Antonella Barbarossa, Direttore del Conservatorio statale di musica di Vibo Valentia. Immigrazione: Kyenge, in Cie promiscuità situazioni, difficile dare risposte adeguate Ansa, 29 gennaio 2014 "Dentro i Cie c’è una promiscuità che non ci permette di dare risposte: ci sono ex detenuti (toccano anche il 70% del totale), tossicodipendenti, richiedenti asilo (circa il 5%), donne fuggite dalla strada. Credo che i tempi siano maturi per pensare a strategie alternative". Lo ha affermato il ministro per l’Integrazione, Cecile Kyenge, sottolineando anche il "dispendio di risorse economiche" che vengono impiegate "per i Cie". "In questi centri - ha detto il ministro durante un convegno organizzato dall’associazione Casa Africa, oggi a Roma - si può rimanere fino a 18 mesi, che per chi è dentro possono sembrare anni. Per le condizioni di vita a cui si è costretti si può perdere la salute e senza salute, quando si esce, non c’è lavoro e quindi non c’è il permesso di soggiorno e si diventa irregolari. Bisogna riflettere insieme per utilizzare al meglio le risorse a disposizione: quando si parla di integrazione si parla di interazione. Le politiche di inclusione generano più sicurezza e limitano la devianza". Kyenge ha ricordato che nel decreto svuota-carceri "abbiamo proposto di fare l’identificazione" degli immigrati "dentro il carcere per permettere ai detenuti stranieri di finire di scontare la pena nel paese d’origine. Ma a volte mancano gli accordi bilaterali tra l’Italia e questi paesi". A tal proposito "ci sono percorsi diplomatici in corso". Questi temi, ha concluso Kyenge, sono "trasversali", "non riguardano solo un partito politico, ma tutta la società. Io parlo per il miglioramento dell’Italia, non parlo solo degli immigrati. E chi delinque deve essere giudicato non per la sua origine ma per il crimine che ha commesso. Bisogna essere uguali davanti legge". Droghe: legge Fini-Giovanardi all’esame della Consulta, Letta a difesa della norma di Luigi Saraceni Il Manifesto, 29 gennaio 2014 Nell’udienza pubblica del prossimo 11 febbraio, alla Corte costituzionale si discuterà la questione di legittimità della legge Fini Giovanardi sulle droghe, sollevata nel giugno dello scorso anno dalla Cassazione con particolare riferimento all’inasprimento delle pene per le cosiddette droghe leggere. Come si sa, la suddetta legge è stata approvata, nel febbraio 2006, inserendo nel decreto-legge sulle Olimpiadi invernali di Torino, una riforma repressiva del vecchio testo unico sugli stupefacenti. Si tratta dello stravolgimento delle procedure parlamentari, che in altre occasioni la Consulta ha ripetutamente bocciato, come ha recentemente ricordato anche il presidente Napolitano a proposito del cosiddetto decreto salva-Roma, che il governo è stato costretto a ritirare. La questione è, dunque, palesemente fondata e la Corte costituzionale, se resterà fedele alla sua consolidata giurisprudenza, non potrà fare a meno di cancellare questa legge illegittima e ingiusta. È sconcertante, perciò, che il Presidente del Consiglio, per il tramite dell’Avvocatura dello Stato, si sia costituito in giudizio per chiedere alla Consulta di rigettare la questione. Sul piano politico è sconcertante che Enrico Letta chieda di salvare una legge che, nel corso del dibattito parlamentare sulla sua approvazione, fu definita dallo schieramento politico al quale apparteneva e ancora appartiene, una "vergogna istituzionale", che ha segnato "il culmine della volgarità istituzionale e del disprezzo del Parlamento". Oggi, dopo otto anni di sperimentata iniquità della Fini Giovanardi, il Presidente del Consiglio non esita a tesserne l’elogio, affermando che lo spietato inasprimento del trattamento penale della cannabis risponde "ad una esigenza di straordinaria urgenza e necessità di disciplinare una materia ritenuta di fondamentale importanza ai fini della tutela della salute individuale e collettiva, nonché ai fini della salvaguardia della sicurezza pubblica, attraverso il rigoroso e fermo contrasto al traffico ed allo spaccio degli stupefacenti". Sono gli stessi toni e gli stessi vieti fantasmi evocati dalla peggiore propaganda della destra repressiva. Duole, sul piano politico, che il Presidente del Consiglio li faccia propri al cospetto della Corte costituzionale. Non meno sconcertante è la sbalorditiva pochezza degli argomenti giuridici, il principale dei quali è il seguente: la questione va dichiarata inammissibile perché la Cassazione non ha considerato che la pena inflitta all’imputato - accusato del trasporto di circa quattro chili di hashish - avrebbe potuto essere diminuita applicando l’attenuante del "fatto di lieve entità", senza bisogno di scomodare la Consulta. Ebbene, tutti sanno che la Cassazione non può applicare attenuanti, ma solo controllare - come puntualmente ha fatto nel nostro caso - se i giudici di merito le hanno negate legittimamente. L’Avvocatura dello Stato, che rappresenta il Presidente del Consiglio in carica, non dovrebbe ignorarlo, così come non dovrebbe ignorare che le nostre galere sono piene di migliaia di detenuti, cui l’attenuante viene negata dai nostri tribunali per la detenzione di quantitativi di cannabis inferiore anche cento volte a quello che ha indotto la Cassazione ad inviare il processo alla Consulta. In conclusione, l’intervento del Presidente del Consiglio a difesa della Fini Giovanardi è un atto politicamente e giuridicamente insensato. Fino all’11 febbraio c’è tempo per un atto di resipiscenza. Non sarebbe male se quella parte della sinistra che dentro e fuori del Parlamento si mostra sensibile al tema facesse sentire la propria voce. Droghe: Ermini (PD) riformula norma, pene diminuite solo per sostanze "naturali" Dire, 29 gennaio 2014 L’emendamento Pd sulla riduzione delle pene per il piccolo spaccio di droga sta diventando un caso politico alla Camera dentro alla maggioranza con il Nuovo centro destra che ne chiede sempre più insistentemente il ritiro. Tanto che il relatore, David Ermini, ha deciso di riformulare la norma, depositata in commissione Giustizia al decreto svuota-carceri, per cercare di evitare il naufragio totale della modifica che aprirebbe un primo spiraglio nella legge Fini-Giovanardi per quanto riguarda la distinzione tra droghe pesanti e leggere. Nella prima formulazione, l’esponente renziano del Pd proponeva di abbassare da 5 a 3 anni il carcere previsto per il reato di detenzione illecita di stupefacenti, cioè per il piccolo spaccio delle sostanze al numero 6 della tabella I dall’articolo 14 del dpr309/90 (anche le multe venivano ridotte: da 2mila a 12mila euro). La nuova versione invece stabilisce che le pene saranno ridotte, nell’ambito delle droghe leggere, solo per quelle naturali. L’abbassamento del carcere e delle multe sarà quindi limitato solo alle piante e preparati attivi della Cannabis Indica (hashish, marijuana, resina, foglie e infiorescenze). Ermini spiega: "Non so se riusciremo a votare la norma oggi perché ci sono 547 emendamenti in commissione. In ogni caso ho deciso di limitare la modifica solo agli stupefacenti naturali eliminando tutte le droghe sintetiche, che provocano i danni più pesanti. Mi pare però che anche così ci siano ancora problemi perché c’è una questione culturale difficile da superare. Ncd ha detto che vogliamo depenalizzare lo spaccio di droga, che vogliamo rompere l’impalcatura della Fini-Giovanardi, ma non è così. Cerchiamo solo di evitare che chi passa uno spinello per la prima volta a un compagno di giochi o di scuola venga messo sullo stesso piano di chi vende le pasticche di ecstasy in discoteca". Ermini aggiunge: "I numeri in commissione ci sarebbero anche per approvare l’emendamento perché ci sono alcuni partiti di opposizione sulla nostra linea. Ma Ncd sta spostando la questione dal piano tecnico-giuridico al piano politico. Io per il momento mantengo la proposta perché dal mio partito nessuno mi ha chiesto di ritirarla. Vedremo che succederà nelle prossime ore". India: solo Letta può salvare i marò, le missioni dei parlamentari servono a nulla di Michele Pierri www.formiche.net, 29 gennaio 2014 Domenico Cacopardo, ex magistrato e consigliere di Stato, oggi editorialista e scrittore, in una conversazione con Formiche.net commenta la visita dei parlamentari italiani in India e l’evoluzione del nodo giuridico-diplomatico tra Roma e Nuova Delhi Il semestre italiano di presidenza europea può essere un momento utile, forse l’unico, per far sì che il caso dei marò detenuti in India possa essere portato in discussione nei consessi internazionali. A crederlo è Domenico Cacopardo, ex magistrato e consigliere di Stato, oggi editorialista e scrittore, che in una conversazione con Formiche.net commenta la visita dei parlamentari italiani in India e l’evoluzione del nodo giuridico-diplomatico tra Roma e Nuova Delhi. Cacopardo, come valuta la visita dei parlamentari italiani in India? È iscrivibile al turismo, più che alla diplomazia. Per affrontare la situazione servono strumenti giuridici, da esercitare attraverso il ricorso a organizzazioni internazionali come Onu e alti tribunali. Come giudica l’operato tenuto da questo governo e dal precedente? Inesistente e quando c’è stato ho visto azioni sbagliate, come il risarcimento alle famiglie indiane, che è apparso come un’ammissione di colpa. Perché ci si trova in questa situazione? Ci sono due ragioni, una specifica e l’altra generale. La prima è che nel caso della Enrica Lexie i militari avrebbero dovuto rimanere in Italia. Invece c’è stata una divergenza di opinioni tra la Farnesina e il ministero della Difesa. Tra i quali il premier dell’epoca, Mario Monti, ha scelto la Difesa. Se non fossero andati in India, al massimo ci sarebbero stati attriti tra noi e Nuova Delhi, ma poi tutto sarebbe rientrato. Ora invece la situazione è fuori dal nostro controllo. La seconda motivazione è invece che abbiamo molte navi in circolazione con marò a bordo. Ciò dipende anche dal fatto che i militari premono perché le missioni vogliono dire più soldi e avanzamenti di carriera. Ma si espongono anche ad alti rischi. Il governo dovrebbe impedirlo o regolamentare le regole d’ingaggio. Chi può impegnarsi oggi concretamente per liberare i marò? L’unico tentativo serio può arrivare dal presidente del Consiglio Enrico Letta durante il semestre europeo di presidenza italiana. Se il ministero della Difesa o degli Esteri avessero potuto fare qualcosa l’avrebbero già fatta. Dobbiamo sfruttare le presidenza per ottenere una voce unica dell’Europa, anche minacciando veti su altre questioni che apparentemente non c’entrano nulla, come fanno e hanno fatto altri Paesi. Come si concluderà la vicenda dei nostri militari? Sarebbe scorretto parlarne per rispetto alle famiglie. Però posso dire che non rischiano un’esecuzione capitale. È una vicenda complessa che si intreccia con problemi di politica interna indiana, più che per un’avversione contro l’Italia. Anche per il suo passato di colonia, Nuova Delhi è sensibile a questo tipo di avvenimenti e non può far finta di niente davanti alle pressioni dell’opinione pubblica. Come ne esce l’immagine dell’Italia da questa vicenda? A pezzi. Abbiamo dimostrato, purtroppo, tutta la nostra irrilevanza nei contesti internazionali, presi come siamo da discussioni interne. Questa sarebbe stata l’occasione per invertire la tendenza e riportare a casa i nostri marò. India: caso marò, la delegazione parlamentare italiana ignorata dai deputati di Delhi di Virginia Piccolillo Corriere della Sera, 29 gennaio 2014 Bonino accusa: "L’India inaffidabile". Dura presa di posizione del ministro degli Esteri. E spunta l’ipotesi di una "mediazione russa". Hanno insistito invano. Nessuna delegazione, nessun singolo parlamentare indiano ha ricevuto i rappresentanti delle commissioni Esteri e Difesa, di tutti i gruppi, arrivati in India per perorare la causa dei marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. Troppo occupati con i festeggiamenti della repubblica e la campagna elettorale, hanno fatto trapelare. E in una nota e alla stampa indiana la delegazione ha espresso il proprio dispiacere per un comportamento non proprio in linea con la cortesia istituzionale. "Capiamo tutto. I parlamentari non in sede. I fuochi artificiali. Ma un modo si poteva trovare" considera, amaro, Pier Ferdinando Casini, presidente della commissione Esteri del Senato a bordo dell’airbus di ritorno. Un paio di ore prima che il ministro degli Esteri, Emma Bonino, definisca "inaffidabile" l’atteggiamento dell’India sulla vicenda. Dichiarando a Radio 2.0: "Sul dossier dei marò e sull’inaffidabilità del regime indiano io credo che serva un’unità italiana". Un’unità che in questa missione lampo a New Delhi è stata trovata. Infatti non si ferma, anzi si intensifica l’offensiva diplomatica in favore dei due marò, in servizio anti-pirateria nella zona in cui vennero uccisi due indiani su un peschereccio che rischiano l’incriminazione di terrorismo e l’impiccagione "da innocenti una situazione ingiusta", come afferma la compagna di Latorre, Paola. Una innocenza subito testimoniata dall’equipaggio ("rivedete l’intervista a Noviello" invoca Latorre, il militare che testimoniò come dalla Enrica Lexie si sparò solo in acqua". "Una innocenza che non bisogna stancarsi di ribadire" raccomanda il ministro della Difesa, Mario Mauro. Un’offensiva che sarà a tenaglia. l’appello dei 28 parlamentari che chiedono al presidente, Giorgio Napolitano, di poter essere ricevuti. Con l’intenzione di ottenere un supporto nella battaglia internazionale che si intende continuare a ritmo elevato almeno fino al prossimo appuntamento giudiziario. Vale a dire l’udienza del 3 febbraio nella quale il governo dovrebbe formulare per i marò l’accusa, attesa ormai da due anni: omicidio o terrorismo. Ammesso che, come in molti temono, non scelga la via più semplice del rinvio. "Gli indiani hanno capito che la pazienza dell’Italia è arrivata al limite", ha detto l’inviato speciale del governo Staffan de Mistura che ha atteso i parlamentari al ritorno dall’India e che ha definito la missione, alla quale non ha partecipato, "utilissima ". I marò sperano lo sia davvero. E anche i loro bambini: "Mia figlia più piccola mi dice spesso che le manco e mi chiede quanto torno", dice Latorre. "Io rispondo quando avrò finito questo lavoro importante". Il sogno segreto: tornare per Pasqua. Stati Uniti: Obama torna a chiedere chiusura di Guantánamo e trasferimento detenuti Adnkronos, 29 gennaio 2014 Con la fine della missione in Afghanistan è tempo che Guantánamo chiuda. A chiederlo a Capitol Hill, per la prima volta in un discorso sullo Stato dell’Unione, è il Presidente americano Barack Obama: "questo deve essere l’anno in cui il Congresso rimuove le restrizioni al trasferimento dei detenuti e chiudiamo la prigione di Guantánamo". "Non combattiamo il terrore solo con l’intelligence e le azioni militari - ha continuato - ma anche restando fedeli ai principi della nostra Costituzione e diventando un esempio per il resto del mondo". Colombia: incendio in carcere provoca morte di almeno dieci detenuti e il ferimento di 38 Tm News, 29 gennaio 2014 Un incendio in una prigione in Colombia ha provocato la morte di almeno dieci detenuti e il ferimento di altri 38. Lo hanno reso noto le autorità sanitarie locali. Il sinistro si è verificato la scorsa notte nel penitenziario della località portuale di Barranquilla, situata sulla costa caraibica. Secondo le prime ricostruzioni effettuate dagli inquirenti, dei cuscini incendiati dai detenuti durante una rissa sarebbero all’origine del rogo. Sei persone sono morte all’interno della prigione e quattro sono decedute dopo il trasferimento all’ospedale per le gravi ustioni riportate, ha annunciato alla stampa David Pelaez, direttore delle autorità sanitarie della regione di Atlantico, di cui Barranquilla è la capitale. Pelaez ha precisato che 38 detenuti sono rimasti feriti, di cui due gravemente. Il carcere di Barranquilla ospita circa 1.200 prigionieri per una capacità di 400. Bahrein: la morte di un detenuto infiamma la piazza di Monica Ricci Sargentini Corriere della Sera, 29 gennaio 2014 Un giovane detenuto di 19 anni, Fadel Abbas Muslim, è morto in un carcere del Bahrein sabato scorso. L’uomo era stato ferito alla testa dalla polizia qualche settimana fa in un villaggio nei pressi di Manama ed era stato poi arrestato con l’accusa di traffico d’armi. Il principale gruppo d’opposizione sciita al-Wefaq lo ha, però, definito "un martire" e ha denunciato che il ragazzo è morto per aver subito torture "selvagge" durante la detenzione. Oltre alla ferita alla testa, il suo cadavere presentava infatti "lividi sulla schiena, attorno al collo e sul volto". E c’era anche una "ferita profonda sulla spalla destra". Ieri Amnesty International ha chiesto al governo di indagare sulla sua morte. "Le autorità del Bahrein devono condurre un’inchiesta chiara, completa e indipendente per stabilire la verità sulla morte di Fadel Abbas Muslim. I responsabili di questa morte dovranno essere giudicati. Le informazioni contraddittorie emerse in merito alle azioni che hanno portato a questa morte rendono questa indagine ancora più urgente", ha detto il vicedirettore di Amnesty per il Medioriente e il Nord Africa Boumedouha. Dal canto suo il ministero degli Interni di Manama ha spiegato che gli agenti hanno agito per "legittima difesa" perché, quando è stato arrestato l’8 gennaio scorso, Muslim stava guidando un’auto "intenzionalmente" contro la polizia. Secondo il ministero l’uomo e il suo compagno di viaggio, anche lui arrestato, facevano parte di un gruppo sospettato di essere coinvolto in "traffico d’armi e d’esplosivi". La morte di Muslim potrebbe riacuire le tensioni tra l’opposizione sciita e la monarchia sunnita proprio nel momento in cui un fragile negoziato sembrava compiere qualche progresso. Domenica scorsa migliaia di persone hanno partecipato al funerale del giovane a Daraz, un villaggio sciita nei pressi di Manama. Molti mostravano foto di Fadel e gridavano slogan contro il regime. Il padre del ragazzo ha detto in un’intervista che nessuno lo aveva mai avvisato dello stato del figlio ma che domenica ha ricevuto una telefonata in cui gli dicevano semplicemente di andarsi a prendere il corpo. Il Bahrein, governato da una dinastia sunnita, ha represso nel sangue la primavera araba iniziata dalla maggioranza sciita del Paese nel febbraio del 2011 Secondo la Federazione internazionale dei diritti dell’uomo (Fidu) dall’inizio della contestazione sono state uccise 89 persone. Il piccolo Regno ospita la Quinta flotta della marina statunitense. Stati Uniti: in California profilattici distribuiti ai detenuti, contro le malattie sessuali Tm News, 29 gennaio 2014 Profilattici per i detenuti delle prigioni della California. È questa la proposta contenuta in un disegno di legge approvato dalla Camera dello Stato, che potrebbe presto diventare realtà. Il provvedimento prevedrebbe lo sviluppo di un piano quinquennale per la distribuzione dei preservativi nel sistema carcerario statale, dove comunque sono proibiti gli atti sessuali tra i detenuti, anche se consensuali. Il testo sarà molto probabilmente approvato anche in Senato, governato in maggioranza dai democratici come alla Camera. L’opposizione sostiene che la riforma indurrebbe i prigionieri, in un sistema carcerario già sovraffollato, a usare i preservativi per trafficare merce di contrabbando invece di indossarli per praticare sesso sicuro. I democratici pensano invece che in questo modo si possa ridurre drasticamente l’alto tasso di malattie sessualmente trasmissibili tra i detenuti, come l’Aids. Queste patologie sono "una tragica realtà della vita in prigione", ha fatto sapere Rob Bonta, deputato democratico di Oakland promotore del disegno di legge. Bonta ha inoltre fatto notare che il tasso delle malattie sessualmente trasmissibili diffuse in carcere è notevolmente superiore rispetto a quello generale della popolazione. L’Hiv, il virus che causa l’Aids, secondo i dati in suo possesso, sarebbe addirittura fino a 10 volte superiore dietro le sbarre. "Questa - ha concluso Bonta - è semplice politica di sanità pubblica preventiva, guidata da un progetto pilota che ha avuto grande successo e che salverà vite umane". Egitto: processo a Morsi, con accusa di aver fatto evadere più di 20mila detenuti Nova, 29 gennaio 2014 La procura del Cairo ha accusato l’ex presidente egiziano, Mohammed Morsi, e altri 132 imputati di aver fatto fuggire nel 2011 più di 20 mila detenuti dal carcere di Wadi el-Natrun e da altre 11 prigioni egiziane. Nel corso della lunga requisitoria, trasmessa in differita dall’emittente televisiva di stato egiziana, il rappresentante della pubblica accusa ha accusato Morsi e gli altri imputati di aver operato in collaborazione con miliziani palestinesi di Hamas e libanesi di Hezbollah per far entrare nel paese armi e liberare detenuti anche legati alle due formazioni armate, "alcuni dei quali condannati a morte per efferati crimini commessi in Egitto". Mentre la pubblica accusa leggeva i capi di imputazione, gli esponenti dei Fratelli musulmani, tra cui Morsi e Mohammed Badie, hanno scandito slogan nei quali ribadivano di non riconoscere la legittimità del processo a loro carico. Alcuni imputati del processo sono detenuti o morti Alcuni dei 132 imputati nel processo contro l’ex presidente egiziano Mohammed Morsi, i cui nomi sono stati elencati oggi dalla pubblica accusa durante il processo in corso al Cairo, "sono detenuti nelle carceri israeliane o morti in Israele". È quanto ha affermato Sami Abu Zuhri, portavoce del gruppo palestinese di Hamas, intervenendo in diretta all’emittente televisiva "al Jazeera" per commentare il processo che si è aperto oggi in Egitto. "Ci troviamo di fronte a una brutta situazione, nessuno dei capi di imputazione è vero e tutte le accuse sono false, in particolare quelle rivolte contro di noi", ha affermato l’esponente islamico palestinese. "È stato inserito tra gli imputati Hassan Salama, arrestato dagli israeliani nel 1995 e morto nel 2008 in carcere. Non capisco come il giudice egiziano possa accettare la presenza di imputati palestinesi in carcere o morti", ha aggiunto Zuhri che ha negato "qualsiasi coinvolgimento del mio gruppo nella crisi egiziana. "Hamas non deve essere inserita nello scontro interno in Egitto e nella causa palestinese. Per noi l’Egitto resta la speranza e speriamo che si possano mantenere buoni rapporti con quel paese, ma al contempo dobbiamo respingere le bugie dette in tribunale", ha affermato Zuhri.