Giustizia: alla Camera prossima conclusione iter Decreto Legge su riduzione detenuti Asca, 28 gennaio 2014 La Commissione Giustizia continuerà in settimana l’approfondimento del DL 146 di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e riduzione controllata della popolazione carceraria. Il testo mira anche a dare risposta alle sollecitazioni ad affrontare l’emergenza carceri rinnovate dal Capo dello Stato con il Messaggio inviato in Parlamento. In merito sono state svolte nei giorni scorsi numerose audizioni di magistrati, di dirigenti del Ministero dell’Interno e del Capo della Polizia. Sulla situazione carceraria e, più in generale sui problemi della giustizia si è soffermato il Ministro Cancellieri nella relazione svolta martedì scorso a Palazzo Madama e nel suo intervento venerdì alla inaugurazione dell’anno giudiziario presso la Corte di Cassazione. La Commissione d’inchiesta sulla criminalità organizzata ha svolto giovedì un’audizione del Capo della Polizia, Pansa La Commissione esteri, in sede di Comitato permanente sui diritti umani, svolgerà domani l’audizione informale di rappresentanti della comunità ucraina in Italia. Giustizia: la Fondazione "Con il Sud" finanzia con 3,4 mln di euro 12 progetti per le carceri Vita, 28 gennaio 2014 Da un Invito della Fondazione rivolto alla società civile meridionale per "idee innovative" sul tema della detenzione (detenuti, famiglie, minori e lavoro) sono stati sostenuti con 3,4 milioni di euro 12 progetti "speciali e innovativi" sul tema carceri al sud coinvolgendo: - oltre 1.000 detenuti, circa 150 minori e 450 internati degli Opg. - circa 90 organizzazioni tra non profit, enti pubblici e imprese presenti nelle partnership - 3 Opg e 40 Istituti penitenziari e Comunità per minori di Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sardegna e Sicilia La Fondazione "Con il Sud" finanzia 12 nuovi progetti "speciali e innovativi" su un tema delicato e drammatico come quello delle condizioni di detenzione negli istituti di pena e in particolare sulle opportunità di reinserimento socio-lavorativo dei detenuti e il loro rapporto con le famiglie di origine. Una iniziativa che coinvolge complessivamente oltre 1.000 detenuti (di cui il 60% stranieri) e 150 ragazzi di 40 istituti penitenziari e comunità per minori del Mezzogiorno, 450 internati degli Opg di Barcellona Pozzo di Gotto (Messina), Napoli e Anversa (Caserta). I progetti, sostenuti in media con 280 mila euro, coinvolgono complessivamente circa 90 organizzazioni tra associazioni, cooperative sociali, enti pubblici, parrocchie, imprese e prevedono interventi con al centro il lavoro e le relazioni sociali e familiari e la partecipazione delle realtà coinvolte, comprese le famiglie dei detenuti. "La situazione degli istituti detentivi è ormai nota - commenta Carlo Borgomeo, presidente della Fondazione "Con il Sud" - siamo in "stato di emergenza" per sovraffollamento e degrado. L’Italia è stata condannata più volte dalla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo di Strasburgo per trattamenti degradanti e inumani ai detenuti. A questa difficile situazione si aggiungono altre problematiche legate alla mancanza di opportunità reali di reinserimento sociale. Crediamo che il lavoro, le relazioni umane, sociali e i rapporti familiari possano agire positivamente e rappresentare un forte veicolo di riscatto. Non è un caso che oltre l’80% dei recidivi è rappresentato da soggetti che non hanno avuto accesso a misure alternative alla detenzione, mentre il tasso di recidiva scende sotto il 3% tra coloro che hanno avviato tirocini guidati presso aziende. Per questo abbiamo sostenuto interventi dal carattere speciale che prevedono la collaborazione tra terzo settore e volontariato - che ricoprono un ruolo insostituibile su questi ambiti - istituzioni, famiglie e imprese. La sfida, dal forte valore simbolico e sociale, che abbiamo voluto lanciare è stata quella di portare innovazione su questo tema con un massiccio contributo di idee da parte della società civile meridionale: dai singoli cittadini alle realtà organizzate". L’iniziativa Carceri è stata lanciata nel 2013 dalla Fondazione "Con il Sud", rivolgendosi a tutti, cittadini e organizzazioni (non profit, volontariato, istituzioni pubbliche o altro), per proporre soluzioni innovative sul tema e ricevendo circa 600 idee. Dopo un attento processo di verifica e valutazione, le idee più interessanti sono state trasformate in proposte più dettagliate. Le 62 proposte di progetto pervenute in Fondazione sono state nuovamente vagliate e valutate, giungendo a finanziarne 12 (con 3,4 milioni di euro, destinando 1 milione in più rispetto alla dotazione finanziaria iniziale) ritenute maggiormente in linea con lo spirito dell’iniziativa. Campania. Due progetti saranno avviati a Napoli: "Liberare la Speranza", promosso dall’Associazione Liberi di Vivere Onlus, prevede percorsi di orientamento e accompagnamento al lavoro, con un’agenzia interinale, e l’attivazione di Housing Sociale con il coinvolgimento delle famiglie; "Pescaturismo con i ragazzi di Napoli", promosso dall’Associazione Giovani Amici del Mare Onlus, intende offrire opportunità lavorative che portino a costituire una cooperativa per la promozione del territorio attraverso il mare, con il pescaturismo e formando manodopera nell’ambito cantieristico navale. A Salerno sarà attivato "Nessuno è straniero" dell’Associazione La Tenda Onlus rivolto agli immigrati detenuti con l’obiettivo di offrire loro servizi informativi, di orientamento, sanitari, di alfabetizzazione, per l’inserimento abitativo, lavorativo e per il riavvicinamento familiare. In Irpinia sarà attivato "Liberare la pena" promosso dalla Fondazione Opus Solidarietatis Pax Onlus per stabilizzare un’infrastruttura per l’alloggio di detenuti che non possono beneficiare della L.199/2010 (pena eseguita presso il domicilio), costruendo percorsi di affiancamento alle famiglie e percorsi di formazione e inserimento lavorativo in diverse attività (tessili, fattoria sociale, artigianato, arte sacra e realizzazione di ostie, recupero rifiuti apparecchiature elettriche ed elettroniche, officina specializzata nella manutenzione delle carrozzerie di auto d’epoca). Sicilia. In tutte le province siciliane sarà avviato il progetto "Oltre i confini" promosso dalla Cooperativa sociale Prospettiva Onlus per favorire l’inserimento socio-lavorativo, con tirocini formativi, sperimentazioni di percorsi personalizzati di occupabilità presso la rete delle cooperative e delle fattorie sociali siciliane. A Palermo sarà avviato il progetto "Buoni dentro…e fuori" promosso da I.n.f.a.o.p. per la costituzione di un’impresa sociale con 10 detenuti che si occuperà della produzione e trasformazione delle farine di cultura biologica in pasta secca; sono previsti inoltre laboratori di arte-terapia per i figli dei detenuti. Puglia. Sarà realizzato a Foggia il progetto "Atelier dell’Ausilio" della Cooperativa sociale L’Obiettivo che prevede il coinvolgimento dei detenuti in attività di rigenerazione degli ausili per disabili (dalle carrozzine alle protesi). Basilicata e Calabria. Il progetto "Parentesi Aperta" della Cooperativa sociale Centro accoglienza L’Ulivo prevede l’apertura di due centri diurni a Potenza e a Cosenza per la presa in carico del minore dal momento dell’arresto, prevedendo azioni di mutuo-aiuto per i ragazzi detenuti e le famiglie, attività di formazione scolastica e professionale. Sardegna. Il progetto "Turismo ResponsAbilMente", che sarà realizzato a Sassari dalla Cooperativa sociale Andalas de Amistade, è rivolto ai detenuti ammessi alle misure alternative alla detenzione che provengono dagli istituti penitenziari del nord della Sardegna, prevedendo per 20 di loro un corso di formazione per l’inserimento lavorativo nel settore turistico. L’iniziativa "Coltiviamo l’amicizia, l’orto biologico e il vigneto di Carignano" sarà avviata dalla Cooperativa sociale Dimensione Umana Onlus nella provincia di Carbonia-Iglesias e prevede la coltivazione e lavorazione di orti e vigneti con la partecipazione di ragazzi e minori segnalati, coinvolgendo la rete di tutte le componenti educative (famiglie, scuole, associazioni di volontariato, istituzioni, media, extra scuola). Interregionale. Il progetto "Uomini del Sud", promosso dalla Cooperativa sociale Impresa a rete Onlus, interessa i tre Opg meridionali di Barcellona Pozzo di Gotto (Me), Napoli e Aversa (Ce). L’intervento si basa su un modello di integrazione socio-sanitaria e di sviluppo dell’economia sociale per gli internati degli Opg, sul modello della Fondazione di Comunità di Messina: mediante l’utilizzo dei budget di salute si intende favorire la fuoriuscita degli internati e la loro presa in carico attraverso l’inclusione abitativa, lavorativa (in cooperative sociali aderenti alla rete) e sociale-affettiva. Giustizia: Bagnasco (Cei): nelle carceri italiane situazione insostenibile e poco dignitosa Ansa, 28 gennaio 2014 "Da tempo è all’attenzione della pubblica opinione la situazione insostenibile delle carceri italiane. La Chiesa, consapevole che il sistema carcerario è segno della civiltà giuridica e non solo di un Paese, è presente ogni giorno accanto ai detenuti tramite i Cappellani e i volontari, ai quali chiunque può riferirsi, favorendo anche così la funzione rieducativa della pena. Ai detenuti, alla polizia penitenziaria e alle amministrazioni, rivolgiamo il nostro pensiero di Pastori, e auspichiamo una situazione più dignitosa per tutti. In particolare, incoraggiamo quanti scontano una pena a fare di questo tempo un’occasione di riflessione e di ricupero per affrontare il rientro nella società": così il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei, nella prolusione al Consiglio episcopale permanente in programma a Roma da oggi al 30 gennaio. Giustizia: Sarno (Uil-Pa); ben 5 i Provveditorati Regionali privi di un dirigente generale Ansa, 28 gennaio 2014 "Col trasferimento di Gianfranco De Gesu dal Provveditorato regionale della Sardegna alla Direzione generale dell’Ufficio beni e servizi del Dipartimento amministrazione penitenziaria sono ben 5 i Provveditorati Regionali privi di un dirigente generale". Lo afferma Eugenio Sarno, segretario generale della Uil-Pa Penitenziari. "Io credo - aggiunge - che il ministro della Giustizia non possa più tergiversare sulle nomine dei dirigenti generali da preporre quali provveditori regionali in Calabria, Triveneto, Liguria, Marche e ora anche in Sardegna. Ciò significa che i circa 12.900 detenuti ristretti in quelle regioni non possono essere adeguatamente seguiti perché manca il dirigente generale che deve sovraintendere, coordinare e orientare le attività. Se poi si considera che tali provveditorati sono retti dai provveditori di Basilicata, Toscana, Emilia Romagna, Umbria ne consegue che il totale dei detenuti cui è negato il diritto a una amministrazione efficiente sale a circa 23mila, ovvero oltre un terzo dell’intera popolazione detenuta". "Come si può pensare - si chiede Sarno - che un solo Provveditore possa gestire realtà territoriali come il Triveneto e l’Emilia Romagna per un totale di circa oltre 8mila detenuti e di una trentina di carceri? Come pensa il ministro di poter gestire il trasferimento dei 41-bis in Sardegna se manca il provveditore regionale? Gli apprezzamenti del ministro al personale penitenziario, per quanto apprezzati, sono inutili se chi è alla guida del ministero non si adopera per rendere efficiente il sistema penitenziario". "Nel previsto incontro a Via Arenula - conclude Sarno - già convocato per mercoledì 29, non mancheremo di ribadire al ministro tutte le nostre perplessità sulla doppia velocità in materia penitenziaria". Lettere: ratio della pena e coerenza dell’ordinamento ai tempi dell’indulto di Edoardo Ferraro (Avvocato) www.ateneoweb.com, 28 gennaio 2014 Era il febbraio del 2012, quando la Camera dei Deputati votò a maggioranza il Ddl di conversione del decreto legge c.d. svuota-carceri, nello stesso testo già approvato dal Senato. Si disse, al tempo, che tale normativa fosse assolutamente necessaria per risolvere i problemi del sovraffollamento carcerario (quella del 2010, evidentemente, non era stata sufficiente). Molte polemiche ci furono, giusto due anni fa, tra chi riteneva tale norma un "indulto mascherato" e chi pensava che vi fosse l’improrogabile necessità di far uscire dalle strutture penitenziarie un numero certo di detenuti, al fine di migliorare le condizioni di vita di coloro che affollano le patrie galere. Il decreto "svuota-carceri" del 2012 prevedeva l’ampliamento della possibilità di detenzione domiciliare per i detenuti che debbano scontare gli ultimi 18 mesi di pena (estendendo i 12 mesi di una norma precedente, del 2010), lasciando comunque al Giudice una valutazione sul punto. Si disse che tale norma non comportasse l’applicazione di un automatismo, che non fosse un indulto mascherato, e che solo un numero limitato di detenuti potrà accedervi. Ovviamente di poteva rispondere facilmente a tali affermazioni sottolineando che la valutazione del Giudice non è di fatto metro oggettivo che garantisca una tutela dei cittadini in ordine alle previste scarcerazioni, ovvero che, se il numero degli interessati fosse stato davvero limitato, non si vede quale potesse essere l’efficacia della norma rispetto agli obiettivi posti. Poi nel 2013, un altro decreto "svuota-carceri" venne predisposto dal governo Letta (quasi in sordina, durante l’estate): ancora si parlò di indulto o di amnistia nascosti. Proseguendo sulla strada tracciata dal governo precedente, il ministro Cancellieri ha impresso una accelerazione, puntano molto sulle misure alternative al carcere e sui tempi di scarcerazione. Lo scopo, come sempre, è esclusivamente quello di liberare spazi all’interno delle prigioni italiane, al fine di migliorare le condizioni di vita dei detenuti e, incidentalmente, di evitare le sanzioni dell’Unione Europea che vengono regolarmente comminate all’Italia a causa della situazione carceraria. Se poi si ascoltano le dichiarazioni dei ministri, risulta evidente come tali interventi siano solamente dei palliativi, e come ciò che serva (dalle loro stesse parole) sia una riforma del sistema carcerario... eppure son passati 7 mesi, nessuna riforma complessiva è stata neppure abbozzata, e siamo di nuovo al punto di partenza. Tutti abbiamo sentito, all’apertura dell’anno giudiziario 2014, infatti, il Primo Presidente della Corte di Cassazione dire testualmente che "per ridurre il numero dei detenuti, l’indulto è l’unica soluzione". Siamo, quindi, di nuovo in uno stato di emergenza, in ordine la quale tutti (politici, magistrati e, sfortunatamente pure molti colleghi avvocati) si limitano a guardare, giorno dopo giorno, al contingente, senza affrontare alla radice quelli che sono i veri problemi del sistema penitenziario italiano. La cosa va detta in modo chiaro: un ordinamento giuridico non si regge su norme affastellate l’una sull’altra destinate a coprire un arco temporale limitato (dal 2010 ad oggi abbiamo avuto tre provvedimenti "svuota-carceri"), ma su di un complesso ordinato di regole e norme, tali da definire e regolare nel tempo i fenomeni sociali, senza bisogno di continui interventi modificativi o di aggiustamento. Dato ciò, non si può che considerare questa richiesta di indulto per risolvere il sovraffollamento delle carceri (che peraltro suona come un’evoluzione rispetto al mero "svuota-carceri") come l’ennesimo chiodo sulla bara del sistema giuridico italiano, nonché sulla credibilità dell’ordinamento nel suo complesso. Richiamando brevemente (e semplificando) i ricordi dei corsi universitari di Filosofia del Diritto, si può dire che un qualsiasi ordinamento giuridico deve essere caratterizzato da una ragionevolezza e da una coerenza interna: deve presentarsi e strutturarsi come un insieme di norme che si sorreggono e si incastrano l’una con l’altra, che si danno credibilità a vicenda, venendo poste dal legislatore in virtù dell’autorità che il popolo ad esso concede, al fine di regolare i rapporti tra i cittadini. L’esempio più eclatante di tale patto tra cittadini e Stato riguarda certamente l’ambito del diritto penale, nel quale i primi delegano al legislatore il compito di mantenere la pace sociale, punire le violazioni, nonché garantire, oltre ad una vita sicura, anche un ristoro per i danni eventualmente patiti a causa della violazione delle regole. Ed il modo in cui lo Stato punisce chi sbaglia è la pena. Questo orribile termine, la pena (valutato oggi dai più come sinonimo di tortura), ha avuto nelle teorizzazioni del diritto tre funzioni principali: retributiva (ovvero deve punire il colpevole per il male da lui provocato), dissuasiva (ovvero deve spaventare e convincere i cittadini a non violare le norme per non esservi sottoposti) e rieducativa (ovvero deve consentire al colpevole di capire i propri errori, ed aiutarlo a rientrare produttivamente nella società). Orbene, cosa resta oggi, in Italia, di questo istituto, dal punto di vista puramente giuridico? Assolutamente nulla. La funzione retributiva, da tempo considerata retaggio di Stati non liberali, è stata piano piano smontata da leggi che prevedono pene alternative, riduzioni di pena, concessione di permessi ed altre forme di premialità tali da ridurre in modo considerevole l’afflizione che si dovrebbe patire a seguito di una condanna penale oltre, ovviamente, i tempi della pena stessa. Oltre a ciò si aggiungano le predette periodiche amnistie, indulti, grazie e tutta quella serie di provvedimenti che in Italia si rendono necessari per risolvere il ricorrente "problema carceri". La funzione dissuasiva, di conseguenza, ne viene minata grandemente: tanto, si dirà il condannato di turno, mi danno tre anni ma ci sarà l’indulto, me ne danno dieci ma non li farò tutti in carcere, mi mancano ancora cinque anni da scontare ma magari mi danno la semilibertà. Appare evidente che uno Stato che, a monte, si rimangia le sue stesse norme non possa dimostrare alcuna forza cogente nei confronti di chi tale norme le vìola. E la funzione rieducativa? Oggi sembra essere l’unica finalità accettata ed accettabile per la pena: non conta sanzionare chi ha compiuto il reato, ma consentire che questo possa riabilitarsi e rientrare nella società da cittadino onesto. Ma anche tale funzione è strettamente collegata con le precedenti: se lo Stato non rispetta le sue stesse regole, che spinta psicologica alla rieducazione verso il rispetto delle stesse può dare a chi sconta la pena? Ovviamente, nessuna. Si badi bene: non intendo dire che lo Stato debba essere un sanguinario aguzzino che tortura i colpevoli e non si cura di un loro possibile nuovo ingresso in società. Il nocciolo della questione è che il sistema, demolito dalle sue stesse leggi (che non ne sono più appendici coerenti, ma strappi e lesioni), perde la sua stessa forza e tradisce il patto coi cittadini. Ed ora, sulla scena, appare di nuovo (per la quarta volta in 5 anni) il problema del sovraffollamento delle carceri, che deve essere risolto per evitare violazioni dei diritti umani a causa delle condizioni di vita negli istituti di pena: ovviamente però, le modalità scelte sono come la pallina della teoria del piano inclinato, che ha iniziato a rotolare senza più fermarsi, ma correndo dalla parte sbagliata. L’indulto prospettato e richiesto, come i precedenti provvedimenti, sono minati alla base dal fatto che il principio ispiratore di tali norme distorcono quella che è la funzione del sistema penitenziario e della normativa in materia. Infatti, da una breve e verificabile analisi della situazione carceraria, i problemi del sovraffollamento delle carceri potrebbero essere fortemente arginati, se non risolti, con due tipi di provvedimenti conformi ai principi dell’ordinamento. In primo luogo, essendovi in carcere molte persone in attesa di giudizio (in quanto sottoposte a misure cautelari) si potrebbe trovare una soluzione alternativa per tali situazioni, magari applicando a loro la custodia non negli istituti di pena (domiciliari o ristrutturando vecchie caserme dismesse). Si può obiettare che ci sono pericolosi assassini, mafiosi e altri imputati di reati gravi, ma quel che va tenuto presente è che, a norma di Costituzione, queste persone sono tutte presunti non colpevoli, e dal punto di vista della legge dovrebbero aver diritto a maggior tutela rispetto a chi è in carcere a seguito di una intervenuta condanna (è ovvio, poi, che vi possono e vi debbono sempre essere le dovute eccezioni). In secondo luogo, si potrebbero aprire ed utilizzare quella quarantina di istituti di pena praticamente pronti da venti o dieci anni, non ancora inaugurati o sottoutilizzati per chissà quale arcano motivo. Liberati i 206 istituti di pena oggi funzionanti dalla presenza di chi ancora non ha subito una condanna, e ridistribuiti i restanti carcerati anche nelle nuove strutture, il problema potrebbe avviarsi ad una soluzione coerente con l’ordinamento: i colpevoli scontano la loro pena, e chi ancora non lo è non ne paga in anticipo le conseguenze (magari non dovute). Va da sè che, in ogni caso, nulla vieta di costruire nuove strutture carcerarie per dare applicazione alla sentenze di condanna (non mi soffermo neppure sul fatto che potrebbe anche essere un volano per l’economia). Ma in Italia una prospettiva del genere sembra paradossale: qui dove la notizia è l’indagine in corso, mentre la sentenza diventa un optional non necessario e quasi fastidioso (specie se di assoluzione), emanare una normative come i decreti "svuota-carceri" o chiedere con insistenza amnistie ed indulti, diventa un esempio di lungimirante politica carceraria, laddove, al contrario, appare evidente l’incongruenza rispetto alle norme dell’ordinamento, nonché lo svilimento delle funzioni tutte facenti capo alla pena. Ci si potrà sorprendere che sia un avvocato a criticare provvedimenti di questo genere, invece di fare i salti di gioia per la prossima scarcerazione di un suo eventuale cliente. Il fatto è che non è mia intenzione, in questa sede, far emergere un piccolo interesse di bottega, ma fissare l’attenzione su due questioni che i miei professori universitari spesso citavano come fondamentali: la certezza del diritto (e quindi della pena) e la coerenza dell’ordinamento. Il problema del sovraffollamento delle carceri esiste, non lo si può negare, ma va risolto secondo quelli che sono i principi dell’ordinamento. Non si deve violare la certezza del diritto nè sacrificare la coerenza del sistema giuridico sull’altare di pretese difficoltà tecniche. Perché se si inizia a far traballare questi, che sono i capisaldi di ogni ordinamento giuridico, non si può che minarne la credibilità: e una volta che tale credibilità sarà definitivamente infranta, come potrà lo Stato, allora, pretendere da parte dei cittadini il rispetto delle norme da esso stesso poste? Emilia Romagna: Cancellieri ed Errani firmano protocollo per umanizzazione della pena Tm News, 28 gennaio 2014 Siglato accordo Errani-Cancellieri, 1 milione dal Dap in tre anni. Corsi di formazione, orientamento al lavoro, ricerca di misure alternative alla detenzione e al reinserimento dei carcerati. Sono alcune delle azioni previste nel protocollo che è stato siglato tra Regione Emilia-Romagna e ministero della Giustizia, con l’obiettivo di rendere più "umane le pene" dei detenuti. Per il progetto gli assessorati alla Formazione professionale e alle Politiche sociali della Regione investiranno tre milioni in tre anni, mentre il ministero attraverso la Cassa delle Ammende garantirà un contributo di 1 milione. La sentenza "Torreggiani" della Corte Europea dei diritti dell’Uomo, che è stata pronunciata lo scorso anno e che condanna l’Italia e il suo sistema penitenziario "ci ha messo le spalle al muro - ha spiegato il ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri, al termine della firma del protocollo. È un piano con tante sfaccettature" e una di queste "riguarda la qualità di vita del detenuto". Vengono richiesti tra l’altro "strumenti di formazione/lavoro" che aiutino i detenuti a "inserirsi in società, senza amarezza". Attraverso il protocollo firmato in Regione, secondo il ministro, si vogliono "portare a maturazione certi processi di civiltà giuridica. In Emilia-Romagna faremo qualcosa di importante, qui c’è l’humus giusto per ottenere risultati". Questa "è una sfida che vogliamo vincere: qui troveremo le risposte giuste per un modello che esporteremo in tutt’Italia". Il protocollo tra Regione Emilia-Romagna e ministero della Giustizia parte dal presupposto che all’interno delle carceri regionali sono presenti alcune categorie di persone con problematiche legate alla dipendenza, al disagio mentale o disabili, e persone che "hanno bisogno di interventi di particolare valenza". Vista l’incidenza di stranieri negli istituti penitenziari, c’è la necessità di misure specifiche, in particolare rispetto all’apprendimento della lingua italiana e alla mediazione culturale. Un capitolo a parte riguarda la formazione professionale: grazie alla sinergie con gli enti presenti sul territorio, i progetti già attivi a livello regionale e questa ulteriore collaborazione con il Dap, si dovrà "individuare periodicamente i fabbisogni di formazione professionale, tenendo conto delle possibilità di sviluppi lavorativi". C’è inoltre l’impegno a "sostenere progetti e azioni finalizzate all’accoglienza del detenuto nel territorio di residenza attraverso percorsi di inserimento abitativo e orientamento al lavoro in particolare per le persone prive di risorse economiche e familiari. Il protocollo, in sintesi Detenuti in condizioni di particolare fragilità All’interno delle strutture presenti sul territorio regionale, sono presenti alcune categorie di persone (con problemi di dipendenza, di disagio mentale, transessuali, autori di reato a sfondo sessuale, disabili, donne con figli minori) e altre che, per le loro caratteristiche di particolare fragilità, hanno bisogno di interventi di particolare valenza. A questo proposito i firmatari concordano sulla necessità di collaborare insieme per la ricerca di risorse umane, tecniche e finanziarie e per la sensibilizzazione di enti pubblici e privati che possano offrire un contributo qualificato nell’assistenza dei soggetti fragili detenuti. Gli stranieri Sono necessarie inoltre - vista l’alta incidenza di cittadini stranieri all’interno degli istituti penitenziari dell’Emilia-Romagna - misure specifiche, in particolare rispetto all’apprendimento della lingua italiana e alla mediazione culturale. I firmatari si impegnano inoltre a promuovere programmi di rimpatrio assistito e a favorirne l’accesso da parte dei detenuti che abbiano i requisiti necessari. Formazione professionale e lavoro La formazione professionale e l’attività lavorativa rappresentano un elemento fondamentale nell’esperienza dei detenuti, finalizzata al reinserimento sociale. La Regione e il Provveditorato dell’Amministrazione penitenziaria si impegnano a individuare periodicamente i fabbisogni di formazione professionale della popolazione carceraria, tenendo conto delle possibilità di sviluppi lavorativi. Regione e Provveditorato, infatti, nell’ambito dei comitati locali per l’esecuzione penale adulti, condividono con gli assessorati provinciali e comunali competenti l’elaborazione e l’implementazione dei periodici piani programmatici, che dovranno tenere conto della dislocazione dei plessi penitenziari idonei a gestire adeguatamente i processi formativi. Misure alternative alla detenzione e reinserimento I firmatari del protocollo condividono il principio secondo cui il carcere non rappresenta l’unica esperienza penale possibile, e concordano nel supportare misure alternative alla detenzione attraverso azioni orientate al reinserimento della persona ristretta nel tessuto socio-economico esterno. A questo fine c’è l’impegno a sostenere progetti e azioni finalizzate all’accoglienza del detenuto nel territorio di residenza attraverso percorsi di inserimento abitativo e orientamento al lavoro, in particolare per le persone prive di risorse economiche e familiari. Il Provveditorato, la Regione, i singoli istituti e gli Uffici Esecuzione penale esterna che saranno individuati, in collaborazione con gli enti locali, si impegnano a sottoporre alla Cassa delle Ammende (Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria del Ministero) il co-finanziamento di progetti che possano consentire l’accesso a misure alternative in favore di coloro che, per situazione sociale, familiare ed economica, non siano nelle condizioni di essere ammessi. La Regione si impegna, anche utilizzando le reti di volontariato presenti sul territorio e già coinvolte in progetti in corso, a definire strumenti e percorsi per la realizzazione - nei tre anni successivi alla sottoscrizione del protocollo - di almeno quattro esperienze progettuali di questo tipo diffuse nel territorio. Detenuti. Nei 12 istituti penitenziari della regione sono presenti 3.706 detenuti secondo i dati del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) aggiornati al 30 aprile 2013. Di questi, le donne sono il 4% e gli stranieri il 51,6%. Il 37% è in attesa di sentenza definitiva (1.373 detenuti), di cui quasi la metà in attesa del primo giudizio. Gli ingressi nel 2012 sono stati 4.011. Sovraffollamento. Il numero dei detenuti supera di oltre 1.300 unità la capienza regolamentare delle carceri, con un tasso di affollamento pari a 154 detenuti per ogni 100 posti letto (la media europea è di 107 detenuti). Condanne e reati. I condannati con sentenza definitiva sono 2.114 (Dap al 30 aprile 2013). I reati più diffusi sono quelli contro il patrimonio, contro la persona e contro la legge sulla droga (questi ultimi sono commessi principalmente da stranieri). Figli. Al 31 dicembre 2012 nelle carceri della regione era presente una detenuta madre con un figlio all’interno dell’istituto. Misure alternative. Le condanne non si scontano solo in carcere: nel 2012 sono state 1.522 le persone che hanno usufruito di misure diverse rispetto alla detenzione. Sono infatti 423 i condannati in affidamento in prova ai servizi sociali, 267 gli affidati tossicodipendenti e 444 quelli in detenzione domiciliare (misure alternative), 220 quelli in libertà vigilata (misure di sicurezza) e 168 i lavori di pubblica utilità (misure sostitutive). Detenuti usciti per effetto della legge 199/2010. In Italia sono oltre 10mila i detenuti usciti dagli istituti penitenziari ex legge 199/2010 dall’entrata in vigore al 31 maggio 2013, di cui 696 donne e 3.077 stranieri. In regione sono 328 i detenuti usciti con questa normativa: 36 le donne, 157 gli stranieri (di cui 15 donne). Lavoro. Nel 2012 sono 651 i detenuti che hanno lavorato alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria (poco meno del 20% del totale) di cui 301 stranieri. Poco più del 3% sono i detenuti che lavorano non alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria, di cui la metà stranieri. Su 110 detenuti i semiliberi sono 38 (di cui 3 lavorano in proprio e 35 (per datori di lavoro esterni), quelli che lavorano all’esterno ex articolo 21 sono 31, mentre sono 41 quelli che lavorano in istituto per conto di imprese (25) e cooperative (16). Opg. Rientrano nella popolazione carceraria anche gli internati nell’Ospedale psichiatrico giudiziario (Opg) di Reggio Emilia, dove vengono reclusi i detenuti con infermità psichica. Al 31 dicembre 2012 le presenze nell’Opg sono 173, di cui 88 provenienti dalle regioni di bacino (25 gli emiliano-romagnoli), 65 da quelle extrabacino (34 i lombardi) e 20 i senza fissa dimora. È prevista per il 31 marzo 2014 la chiusura definitiva degli Opg in Italia. La Regione Emilia-Romagna ha avviato un programma per il definitivo superamento di queste strutture attraverso la costruzione di Residenze esecuzione misure di sicurezza (Rems) come indicato dalla Legge 9/2012. Condizioni sanitarie. Circa il 70% dei detenuti ha problemi di salute. Il 60% fuma. Quasi il 30% ha una diagnosi specifica di tossicodipendenza. Nel 2008 tutte le funzioni sanitarie svolte dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e dal Dipartimento di giustizia minorile sono state trasferite al Servizio sanitario nazionale (Ssn), comprese quelle che riguardano il rimborso alle comunità terapeutiche per i tossicodipendenti e per i minori affetti da disturbi psichici. Le funzioni trasferite sono garantite dalle Regioni attraverso le Aziende sanitarie locali. Nel 2012 la Regione Emilia-Romagna ha destinato 17 milioni di euro alla sanità penitenziaria, coprendo con proprie risorse le spese sostenute dalle Ausl. Suicidi in carcere. Nel 2012 i suicidi nelle carceri regionali sono diminuiti passando da 6 a 3 (anche il valore nazionale è in calo, passando dai 63 del 2011 ai 56 del 2012), 157 gli episodi di autolesionismo. Minori e carcere. I minori che violano il codice penale sono sottoposti al sistema della giustizia e devono scontare una pena in istituti o comunità. Nel 2011 sono stati 103 gli ingressi nell’Istituto penale per minorenni di Bologna (12 posti), mentre nel Centro di prima accoglienza sono stati 109 nel 2012 e 147 quelli nella Comunità ministeriale (per le misure sostitutive o alternative alla detenzione, messa alla prova, misure di sicurezza o cautelare). Il lavoro di pubblica utilità. Rappresenta una sanzione sostitutiva della pena detentiva attraverso la prestazione di un’attività volontaria e non retribuita a favore della collettività. Al 31 dicembre 2012 le persone ammesse ai Lpu sono 168, quasi tutti per la violazione dell’articolo 186 del Codice della strada (Guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti). Volontariato nelle carceri. Oltre 500 i volontari e gli operatori all’interno delle strutture carcerarie regionali attraverso 44 realtà (dati aggiornati al 2012). La mappatura è stata realizzata con il progetto "Cittadini per sempre". Toscana: il Garante dei detenuti Corleone in visita a Grosseto, Massa Marittima e Massa Adnkronos, 28 gennaio 2014 Giornate di visite in diversi istituti carcerari, domani e dopodomani, per il garante regionale dei detenuti della Toscana, Franco Corleone, che sarà prima a Grosseto e Massa Marittima, quindi nella città di Massa. Il garante delle persone delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale svolge la sua attività a favore di chi è recluso negli istituti penitenziari, negli istituti penali per minori, negli ospedali psichiatrici giudiziari, ma anche nei centri di identificazione ed espulsione e nelle strutture sanitarie in cui vi sono soggetti sottoposti a trattamento sanitario obbligatorio. Il suo fine è promuovere la conoscenza e il rispetto delle norme che riguardano i detenuti e contribuire ad assicurare la finalità rieducativa della pena e il reinserimento sociale dei condannati, oltre al rispetto dei diritti civili e sociali all’interno delle strutture di pena. Corleone sarà nella mattinata di domani, 28 gennaio, ore 11, alla casa di reclusione di Grosseto e alle 14,30 alla casa circondariale di Massa Marittima sempre nel Grossetano. Dopodomani, mercoledì 29 gennaio, sarà invece alle 10,30 al carcere di Massa. Catanzaro: caso Alessio Ricco; il carcere di Siano andrebbe immediatamente chiuso… di Emilio Enzo Quintieri (Radicali Calabria) Ristretti Orizzonti, 28 gennaio 2014 Apprendo dalla stampa le dichiarazioni rilasciate dal Dottor Antonio Montuoro, Referente della Sanità Penitenziaria dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Catanzaro, a seguito della visita ispettiva effettuata, nei giorni scorsi, presso la Casa Circondariale "Ugo Caridi" di Catanzaro sita in Località Siano. Nello specifico, il Dottor Montuoro, non ha fatto altro che rendere pubblica la relazione del 20.01.2014 che è stata redatta dal Medico Penitenziario ed inviata alla Seconda Sezione Penale della Corte di Appello di Catanzaro in riferimento alle condizioni di salute del detenuto Alessio Ricco. Inoltre, coglieva l’occasione per rappresentare all’Onorevole Enza Bruno Bossio, Deputato Pd, che "pur in presenza di una situazione difficile della sanità calabrese, sottoposta ai vincoli del piano di rientro, vi è una particolare attenzione dell’Azienda Sanitaria di Catanzaro per la medicina penitenziaria, per il bisogno della salute dei detenuti, espressi o inespressi." precisando che "l’assistenza sanitaria a favore dei detenuti viene quotidianamente fornita all’interno degli Istituti Penitenziari ricadenti nell’ambito territoriale, ed all’esterno del carcere, in caso di necessità, per l’attività specialistica non altrimenti eseguibile in sede intramuraria o per ricoveri ospedalieri. Nella nostra azione portiamo sempre nella mente e nel cuore l’Art. 32 della Costituzione: "La Repubblica garantisce la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della comunità e garantisce cure gratuite agli indigenti". Mi sarebbe piaciuto che il Dottor Montuoro dicesse qualche parola sulla preoccupante ed illegale condizione strutturale ed igienico - sanitaria in cui versa, ormai da diverso tempo, la Casa Circondariale di Siano oppure sulla vasta colonia di topi che ha invaso gli spazi detentivi interni ed esterni nonché i posti di servizio del personale di Polizia Penitenziaria (circa 50 Agenti Penitenziari sono dovuti assentarsi dal servizio per "problemi gastrointestinali"), sulla mancata apertura del Centro Diagnostico Terapeutico (34 posti), sull’alto tasso di sovraffollamento esistente (157%) ed altro ancora. La sua "difesa d’ufficio" si è limitata all’operato dei Medici che, peraltro, a mio avviso, non è stato così efficiente come lui sostiene. Nei giorni scorsi, del resto, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario anche il Presidente Vicario della Corte di Appello di Catanzaro Dottor Bruno Arcuri, ha evidenziato lo stato allarmante degli Istituti Penitenziari calabresi facendo particolare riferimento proprio alla Casa Circondariale di Catanzaro. Secondo l’alto magistrato l’Asp di Catanzaro ha sospeso tutti gli incarichi specialistici, lasciando quindi l’Istituto senza assistenza psichiatrica, cardiologica, neurologica, odontoiatrica, urologica e pneumologia. Non si è realizzato, per quanto annunciato da tempo, il reparto destinato alla degenza dei detenuti nel policlinico universitario. Ormai da anni si attende l’apertura del Centro Diagnostico Terapeutico con 34 posti. "Si tratta di ambienti - scrive il Presidente Arcuri - assolutamente adeguati, perfettamente realizzati e arredati, con presenza di ampi spazi ben distribuiti; dotati perfino di piscina per la riabilitazione e soprattutto di numerose e preziose attrezzature inutilizzate". In attesa degli insopportabili tempi della burocrazia italiana, succede, però, l’irreparabile. Arcuri sottolinea come "nel corso del periodo preso in considerazione si sono verificati tre suicidi, l’ultimo dei quali, il 2 maggio 2013, di un detenuto straniero, per il quale era stata disposta l’osservazione psichiatrica e che, nelle more della relativa esecuzione ingiustificatamente ritardata, si toglieva la vita". Mi sembra che, quanto affermato dal Presidente Vicario della Corte di Appello di Catanzaro, smentisca nella maniera più categorica le dichiarazioni rilasciate alla stampa dal Referente della Sanità Penitenziaria dell’Asp di Catanzaro. Altro che "particolare attenzione dell’Azienda Sanitaria di Catanzaro per la medicina penitenziaria, per il bisogno di salute dei detenuti, espressi o inespressi" !!! Venendo poi al caso di Alessio Ricco ebbene evidenziare che dal 9 di agosto è stato visitato dallo specialista reumatologo il 10 ottobre (dopo 63 giorni) che ha chiesto di rivedere il paziente dopo 20 giorni previa sospensione dei cortisonici somministrati ed effettuazione di ulteriori accertamenti diagnostici (esami di laboratorio e radiologici). Tali accertamenti sono stati effettuati, rispettivamente il 31 ottobre ed il 16 novembre ed in data 4 dicembre (dopo altri 55 giorni) il Ricco è stato inviato nuovamente in visita dal reumatologo ma senza la documentazione sanitaria per cui, prima di diagnosticare la patologia e quindi la terapia da svolgere, veniva richiesto alla Direzione del Carcere di visionarla. Dal 4 dicembre al 19 gennaio (sono passati altri 47 giorni) questi documenti non sono stati consegnati allo Specialista Reumatologo. Soltanto il 20 gennaio, il giorno seguente la visita ispettiva, il Medico Penitenziario ha contattato telefonicamente lo Specialista dicendogli che, a breve, avrebbe ricevuto quanto richiesto affermando che "purtroppo per una serie di circostanze sfavorevoli (festività natalizie e successiva malattia di chi aveva il compito di recapitarle al reumatologo) non sono arrivate all’attenzione dello specialista causando un ritardo." In definitiva, il Ricco ha dovuto attendere 165 giorni (circa 5 mesi), prima di veder diagnosticata e ricevere una cura efficace (al di la della somministrazione dei cortisonici e degli antinfiammatori) per l’artrite reumatoide, una malattia molto veloce che riduce pesantemente la qualità della vita di chi ne soffre provocando danni irreversibili. Non c’è dubbio che questo "ritardo" abbia contribuito a peggiorare le condizioni del Ricco perché una diagnosi tempestiva con una terapia farmacologica appropriata avrebbe contrastato la progressione della malattia che se non viene adeguatamente trattata ha esiti altamente invalidanti. E, probabilmente, se non ci sarebbe stato il clamore sollevato da Pd e Radicali il detenuto Alessio Ricco ancora starebbe aspettando in cella che il "fattorino" recapitasse le sue radiografie allo Specialista in Reumatologia. A nulla sarebbe servito anche lo sciopero della fame ed il rifiuto della terapia praticato dal detenuto dal 15 al 18 gennaio posto che non è stato convocato e ascoltato da nessuno come dallo stesso riferito durante la visita ispettiva. La Casa Circondariale di Catanzaro, a mio avviso, andrebbe immediatamente chiusa per le notorie criticità strutturali ed igienico sanitarie già ampiamente evidenziate che costituiscono per i detenuti un trattamento inumano e degradante severamente proibito dal diritto interno, comunitario ed internazionale, per il quale lo Stato Italiano è stato già pesantemente condannato dalla Corte per i Diritti dell’Uomo del Consiglio d’Europa. Napoli: accade a Poggioreale… nudo, umiliato e picchiato dalle guardie di Patrizia Capua L’Espresso, 28 gennaio 2014 Le denunce dei carcerati al Garante dei detenuti che scrive alla procura: "Nel carcere di Napoli squadre di agenti penitenziari compiono violenze di notte. Nella ‘cella zero’ pareti sporche di sangue". Squadracce di agenti penitenziari che massacrano i detenuti in una camera chiamata "cella zero". Violenze gratuite, trattamenti disumani, abusi continui e pareti macchiate dal sangue dei carcerati picchiati. Benvenuti nell’inferno del carcere di Poggioreale, Napoli. Un luogo dell’orrore che somiglia ad Abu Ghraib, almeno a leggere la terribile denuncia che il garante della Regione Campania per i diritti dei detenuti ha mandato alla procura partenopea. E che "L’Espresso" ha letto in esclusiva, intervistando - a pochi giorni dalla denuncia del presidente della Cassazione sulle condizioni inumane dei carcerati italiani - anche uno dei detenuti picchiati. È il garante Adriana Tocco ad aver raccolto una serie di storie agghiaccianti che ha inviato tramite esposto al procuratore aggiunto della Repubblica di Napoli Giovanni Melillo. "Le comunico - si legge nel documento - le gravi notizie di reato che mi sono pervenute e ho apprese durante alcuni colloqui intercorsi con i detenuti del carcere di Poggioreale". La Garante riferisce che "moltissimi detenuti lamentano abusi consistiti in violentissime percosse, spesso cagionanti lesioni gravi, che si consumano di notte ad opera di alcuni agenti penitenziari riuniti in "piccole squadre". Alcuni mi hanno riferito i nomi degli agenti coinvolti. La maggior parte dei reclusi ha paura di denunciare le violenze subite per timore di ritorsioni". I racconti sarebbero tutti coerenti, "ed evidenziano alcuni elementi comuni: i detenuti raccontano di essere stati prelevati dalle loro celle senza criterio, il fine univoco degli agenti chiaramente tra loro programmato, è dare sfogo alla loro violenza gratuita e costringerli a subire trattamenti disumani". Il racconto di un quarantaduenne che ha deciso di denunciare la violenza subita da alcuni agenti penitenziari mentre si trovava nel carcere napoletano. I dettagli sono drammatici: "La cella in cui si consumano tali atrocità è stata denominata "cella zero": molti raccontano che le pareti sono spesso macchiate dal sangue dei detenuti percossi, che dopo gli abusi questi vengano abbandonati per ore e poi riaccompagnati al reparto di appartenenza. Molti compagni di cella confermano lo stato di agitazione, mortificazione e soggezione degli sfortunati deportati", che rientrano gonfiati di botte. Nell’esposto Tocco si dice convinta che "subire abusi così atroci costituisca una possibile causa concorrente ad altri fattori determinanti l’aumento del rischio di suicidi, rilevato il precario stato psicologico di tanti detenuti che ascolto". E chiede la punizione dei responsabili. Uno dei carcerati picchiati si chiama Luigi (è un nome di fantasia). È stato condannato a due anni e dieci mesi, nel marzo 2011, per ricettazione di buoni pasto per un valore di trentamila euro. Durante la permanenza nel carcere di Poggioreale è stato vittima di atti di violenza da parte di tre guardie penitenziarie: trascinato di notte in una cella isolata dell’istituto di pena, ha spiegato di esser stato costretto a denudarsi completamente per poi essere percosso con pugni e calci. L’ex detenuto è uscito dall’istituto di pena lo scorso 10 gennaio, ma già dietro le sbarre aveva deciso di denunciare le violenze subite. Luigi, 42 anni, comproprietario di una salumeria a Napoli, sposato con figli adolescenti, dopo un primo periodo detentivo, in appello ottiene gli arresti domiciliari con successiva autorizzazione a riprendere il lavoro. Un giorno, andando al negozio, fa tardi e sfora l’orario assegnato dai giudici. Per lui ricominciano i guai. La Corte di appello aggrava la misura restrittiva e così Luigi finisce di nuovo a Poggioreale. Nei due mesi e mezzo di detenzione che deve ancora scontare gli capita un incidente: cade dal letto a castello, un terzo piano a quattro metri dal pavimento, e si frattura una caviglia. Poi, in una notte di luglio arriva il pestaggio da parte di tre agenti penitenziari. Scontata la pena e tornato libero, Luigi ha messo nero su bianco il racconto dei maltrattamenti subiti dietro le sbarre. Lo ha fatto per se stesso e, sottolinea, soprattutto nell’interesse dei suoi compagni di reclusione ancora in cella. E attende di essere convocato dal magistrato per fare nomi e cognomi. Una vicenda, questa napoletana, che richiama alla mente le dichiarazioni sull’indulto del primo presidente della Cassazione, Giorgio Santacroce nella relazione all’inaugurazione dell’anno giudiziario: "In attesa di "riforme di sistema" non c’è altra via che l’indulto per ridurre subito il numero dei detenuti", scarcerando chi "non merita di stare in carcere ed essere trattato in modo inumano e degradante". Roma: domani manifestazione Radicali in piazza Montecitorio, per legalità, amnistia e indulto www.radicali.it, 28 gennaio 2014 Mercoledì 29 gennaio 2014, si terrà una manifestazione organizzata dal Partito Radicale Nonviolento Transnazionale Transpartito e da Radicali italiani, davanti piazza Montecitorio, dalle ore 11.30 alle ore 15.00, in concomitanza con il dibattito alla Camera dei Deputati sul Messaggio alle Camere del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano dell’8 ottobre scorso, relativo alle ineluttabilità ed indifferibilità anche e soprattutto di provvedimenti legislativi straordinari per fare rientrare la situazione carceraria italiana nella legalità, oggi violata nei confronti di ogni detenuto, in base anche ad una sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che ha imposto all’Italia di risolvere la questione del sovraffollamento carcerario entro il prossimo 28 maggio. Corte Europea che nel cinquantennio 1959-2009 ha condannato il nostro Paese per l’eccessiva durata dei procedimenti civili e penali per ben 1.095 volte, a fronte delle 278 condanne della Francia, le 54 della Germania e le 11 della Spagna. Si manifesta dunque contro la "tortura di Stato" ma anche per quei provvedimenti di amnistia e di indulto ritenuti le sole strutturali premesse per riportare alla legalità la vita nelle carceri ma anche per riformare la giustizia da una mole mostruosa di procedimenti penali e cause civili pendenti, confermata, ahinoi, dalle cerimonie di inaugurazione dell’Anno Giudiziario appena tenutesi presso la Corte di Cassazione e le 26 Corti d’Appello italiane. Saranno presenti e interverranno i dirigenti responsabili delle Associazioni della galassia radicale, gli operatori del settore e parlamentari italiani di diversi schieramenti politici. Milano: dall’Associazione Antigone e l’Ucpi un aggiornamento sulla condizione delle carceri Ristretti Orizzonti, 28 gennaio 2014 Far conoscere ai cittadini ciò che realmente accade negli istituti di pena italiani. È il significato di "Sguardi esterni all’interno delle carceri", incontro organizzato dal Garante dei diritti delle persone private della libertà personale, Alessandra Naldi. L’iniziativa è in programma oggi, martedì 28 gennaio, alle ore 18, all’Urban Center in Galleria Vittorio Emanuele II, a Milano. "Chi si occupa di carcere e pena - ha detto il Garante Naldi - sa quanto sia importante avere informazioni costanti su quello che accade quotidianamente all’interno degli istituti di detenzione, luoghi normalmente preclusi agli sguardi esterni. Da anni soggetti autorevoli come l’associazione Antigone e l’Unione delle Camere penali promuovono propri Osservatori sul carcere e pubblicano periodici rapporti sulle condizioni detentive in Italia. Oggi la presenza di questi soggetti esterni diventa ancor più importante per monitorare la reale efficacia dei cambiamenti in atto". All’incontro parteciperanno Vinicio Nardo e Antonella Calcaterra, membri dell’Unione delle Camere penali e Daniela Ronco e Valeria Verdolini, esponenti dell’Osservatorio sulle condizioni di detenzione dell’associazione Antigone. "Sguardi esterni all’interno delle carceri" è il terzo appuntamento del ciclo "Consigli di lettura su carceri e dintorni", iniziativa promossa dal Garante dei diritti delle persone private della libertà personale per conoscere, approfondire e discutere i vari aspetti del mondo detentivo, della pena e della privazione della libertà. I testi presi come spunto di riflessione per l’incontro sono "Prigioni d’Italia - La difesa degli ultimi", a cura dell’Osservatorio Carcere dell’Unione delle Camere penali italiane e "L’Europa ci guarda", decimo Rapporto sulle condizioni di detenzione in Italia, realizzato dall’associazione Antigone. Genova: Osapp; Casa Circondariale Ponte Decimo, pessime condizioni mensa di servizio La Presse, 28 gennaio 2014 "Un ulteriore esempio del completo sfascio dell’amministrazione penitenziaria e del fatto che oramai ci si preoccupa solo dei detenuti e non delle pessime condizioni in cui il personale di polizia penitenziaria vive e lavora nelle carceri italiane". Questo è il commento con cui il segretario generale dell’Osapp (Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria), Leo Beneduci, descrive la protesta attraverso cui il personale di polizia penitenziaria in servizio presso la Casa Circondariale Genova Ponte Decimo si astiene da oltre una settimana dal consumare il pasto nella mensa di servizio "per le pessime condizioni del vitto che viene somministrato". "Mai avremmo immaginato - aggiunge Beneduci - che le carceri italiane fossero consegnate in mano ai detenuti e che nel contempo si lasciasse morire il corpo di polizia che vi opera, come invece sta accadendo grazie alla guardasigilli Cancellieri e ai capi e vicecapi dell’amministrazione penitenziaria. Purtroppo, di tale situazione, dopo gli appartenenti al corpo, i primi a farne le spese saranno i cittadini italiani". "L’augurio nel comune interesse - conclude Beneduci - è che l’attuale ministro della Giustizia lasci l’attuale incarico prima che i danni al sistema penitenziario e alla sicurezza della collettività diventino irreparabili". Milano: Kabobo in tribunale, i giudici decideranno sul suo trasferimento in Opg Corriere della Sera, 28 gennaio 2014 La perizia chiesta dalla difesa ha accertato che il ghanese va trasferito in un ospedale psichiatrico giudiziario. Adam "Mada" Kabobo, il ghanese che l’11 maggio 2013 uccise a colpi di piccone tre passanti a Milano, è stato accompagnato lunedì mattina al piano terra del Palazzo di Giustizia di Milano, dove si è tenuta l’udienza davanti ai giudici del Riesame, incaricati di decidere se trasferire o meno l’immigrato dal carcere di San Vittore in un ospedale psichiatrico giudiziario. Kabobo, che portava un berretto nero di lana, è stato scortato dagli agenti di polizia penitenziaria. I giudici si sono riservati di decidere e lo faranno nelle prossime ore o nei prossimi giorni. Il processo con rito abbreviato per il ghanese è fissato per il prossimo 6 febbraio. Nell’udienza gli avvocati difensori hanno chiesto che il ghanese venga trasferito, sempre in regime di custodia cautelare, nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere (Mantova). La difesa di Kabobo, nella discussione davanti al collegio del Riesame, presieduto da Lucia Spagnuolo Vigorita, si è richiamata alla perizia medico-legale disposta dai giudici e redatta da Marco Scaglione, che ha individuato la necessità di trasferire l’immigrato dal carcere di San Vittore in un ospedale psichiatrico giudiziario, dove potrebbe ricevere cure più adeguate in relazione alla forma di schizofrenia di cui soffre. Secondo i difensori, il ghanese, come accertato dal perito, potrebbe ricevere cure più adeguate per la sua forma di schizofrenia a Castiglione delle Stiviere, luogo adatto, secondo le norme del codice, anche come "casa di cura e custodia". Nell’opg mantovano, inoltre, potrebbero essere soddisfatte, secondo la difesa, anche le esigenze di sicurezza evidenziate dal perito che ha parlato della "pericolosità sociale" di Kabobo. Pavia: visita alle carceri di due Consigliere regionali del Movimento 5 Stelle La Provincia Pavese, 28 gennaio 2014 Visita a sorpresa in carcere a Pavia e Voghera delle consigliere regionali del Movimento 5 Stelle Iolanda Nanni e Paola Macchi. "Abbiamo incontrato la disponibilità immediata e delle direttrici e degli agenti - spiega Nanni in una nota stampa - che ci hanno accompagnato in visita sia presso le ali "vecchie" sia presso i nuovi padiglioni. Abbiamo quindi potuto parlare con i detenuti e con il personale medico riscontrando condizioni di disagio presso l’infermeria del carcere di Pavia dove sono in corso lavori per la riqualifica degli spazi e l’ampliamento in vista dell’apertura del nuovo padiglione che già ospita 190 detenuti "protetti" e ne potrà ospitare altri 100". I detenuti sono arrivati nel nuovo padiglione a inizio novembre, ma non era presente un’infermeria attrezzata. "Le celle del nuovo padiglione sono ampie e dotate di servizi igienici - prosegue Nanni - c’è una spaziosa cucina tenuta pulita e in ordine. Ma come a Voghera l’ala nuova è stata progettata in maniera poco funzionale rispetto agli spazi comuni e di socializzazione. Al primo piano del padiglione, si parla di un polo psichiatrico per detenuti, ma mancano risorse mediche e attrezzature e non vi sono disposizioni sulla sua apertura per cui gli spazi restano inutilizzati". A Voghera i 5 stelle hanno vistato il reparto dei collaboratori di giustizia e dei detenuti in regime di alta sicurezza, alcuni dei quali in celle singole. "Voghera soffre la carenza di organico medico e ha due soli educatori - dice Nanni. Vengono organizzati corsi di alfabetizzazione, scuole medie, ragioneria, geometra, nonché diverse iniziative di socializzazione". Positivi i commenti sul panificio e le borse lavoro a Torre del Gallo, su spazi interni e sale colloquio: "Purtroppo in carenza di risorse è spesso lasciata alla buona volontà del personale interno e dei detenuti la risoluzione di criticità legate alla struttura più vecchia", chiude Nanni. Siracusa: dalle carceri un bollettino di guerra, convegno Rotary nella sede dell’Isisc di Mariolina Lo Bello La Sicilia, 28 gennaio 2014 "Il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri". Da queste parole di Voltaire e di quanti come lui hanno ammonito le Nazioni che non rispettano i diritti umani dei detenuti, i relatori del convegno "Carcere: soluzione o problema? Viaggio nella disinformazione" hanno tratto spunti per un’analisi approfondita di un problema sociale di grande attualità. Organizzato dal club Rotary di Siracusa, è stato ospitato nella sede dell’Isisc (Istituto Superiore Internazionale di Scienze Criminali) e introdotto dall’avvocato Ezechia Paolo Reale, direttore amministrativo dell’istituto. Con il presidente del Rotary Valerio Vancheri, in veste di moderatore, sono intervenuti l’avvocato Ettore Randazzo, già presidente dei penalisti italiani, il gip del tribunale di Siracusa Michele Consiglio e il prof Pippo Ruiz, educatore volontario dell’istituto penitenziario di Cavadonnna e curatore del testo "Lunedì", laboratorio autobiografico Cavadonna. "Tutti i partecipanti al laboratorio (docenti, detenuti ed educatori), che da tempo si è trasformato in laboratorio autobiografico - spiega il prof Ruiz - hanno avviato un percorso di consapevolezza di sé e di capacità di narrarsi. Il testo rappresenta un momento di grande svolta nella considerazione di sé dei detenuti partecipanti". Fondamentale diventa entrare in relazione con il personale e con i detenuti. Il laboratorio rappresenta una rivoluzione a Cavadonna. Tutti sono soddisfatti e grati al prof Ruiz per la rivoluzione culturale che va avanti da un anno e che permette ai detenuti di appropriarsi di un pezzo di cultura che li avvicina a chi questa risorsa la possiede. Era una scommessa, e lo sapeva bene anche il direttore penitenziario Angela Gianì, in forza all’istituto fino a giugno scorso. "È partito - continua Ruiz - come una delle tante iniziative che sono ormai frequenti negli istituti penitenziari. Oggi, a distanza di oltre un anno, continuiamo a parlare del laboratorio ed è un traguardo importante. Il laboratorio è un appuntamento fisso il lunedì e il giovedì. Vi partecipano una ventina di detenuti, seguiti dall’educatore, dalla prof di scuola media e dai volontari. Il gruppo è ormai legato da forte affetto ma sempre pronto a mettere in discussioni certezze, conquiste apparentemente acquisite". Il tema del carcere e dell’esecuzione della pena è di grande attualità alla luce dei numeri allarmanti sui quali è necessario fornire maggiore e più obiettiva informazione. Oggi, in Italia, il 40% dei detenuti si trova in regime di custodia cautelare, mentre il 60% è ancora in attesa di una sentenza definitiva. Secondo gli addetti ai lavori dinanzi a un sistema penitenziario che sembra implodere, è quanto mai urgente interrogarsi sulle soluzioni che possano assicurare a tutti l’esecuzione di una pena giusta, secondo i dettami della Costituzione. "Non pensava certamente al nostro sistema carcerario - dice l’avvocato Randazzo - però aveva tristemente ragione Pascal nel sostenere che l’uomo, non riuscendo a far sì che il giusto fosse forte, ha fatto in modo che il forte fosse giusto. Ormai Voltaire, secondo cui la civiltà di un popolo si saggia visitando le sue carceri e non i suoi bei palazzi, non può più visitare le nostre. Notoriamente il carcere è sotto molti aspetti un bollettino di guerra. Strutture inadeguate, soprusi e vessazioni inconcepibili, spazi indecorosi. Nel nostro paese la realtà detentiva fatica a convivere con la legalità costituzionale. Ammiro chi trova la forza d’animo per entrare negli istituti carcerari e portare umanità e generosità. E quindi ammiro il prof Ruiz e tutti gli altri che si battono per una condizione di vita carceraria meno abbrutita". Venezia: Progetto Teatrash, creazioni delle detenute di Rebibbia al Carnevale dei ragazzi La Nuova Venezia, 28 gennaio 2014 Il progetto Teatrash, realizzato dalle detenute del corso di decorazione pittorica tenuto, a Rebibbia, dal liceo artistico Enzo Rossi, è stato selezionato per la quinta edizione del Carnevale internazionale dei ragazzi organizzato dalla Biennale di Venezia. Lo afferma in una nota il garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni: "È una magnifica novità", ha detto Marroni, "che premia gli sforzi di queste donne, dei loro docenti e, in definitiva, di quanti credono che lo studio e l’arricchimento culturale siano fattori decisivi per diffondere in carcere la cultura della legalità e per consentire un nuovo inizio a tante persone, nello spirito di quanto previsto dall’articolo 27 della Costituzione. I laboratori di arte del tessuto, di ceramica, di discipline plastiche di decorazione pittorica e mosaico organizzati a Rebibbia femminile mirano, inoltre, a fornire risorse spendibili come forma di reinserimento sociale". Teatrash prevede la progettazione e la realizzazione di un teatro delle marionette con l’utilizzo esclusivo di materiale di riciclo. L’idea è quella di stimolare la creatività e suscitare curiosità, creando un punto di contatto tra l’arte e le azioni della vita quotidiana. Attraverso il riutilizzo di scarti, si vogliono trasformare gli oggetti, modificandone la funzione. Il materiale riciclato passa così da scarto a materiale di nuovo utilizzo modificando, in tal modo, la percezione estetica dell’oggetto. Nei Giardini della Biennale, la fondazione presieduta da Paolo Baratta organizzerà la quinta edizione del suo Carnevale internazionale dei ragazzi - dal 22 febbraio al 4 marzo, intitolato "La Casina dei biscotti" - con la partecipazione anche quest’anno di diversi Paesi esteri. Il programma sarà suddiviso in più sezioni. Ferrara: "Breaking limits", un progetto teatrale per infrangere i limiti delle carceri www.estense.com, 28 gennaio 2014 Numerosi i teatri ed istituti di ricerca che collaborano a questo nuovo progetto europeo. Giovedì 29 gennaio si tiene a Ferrara presso la sede dell’Asp, e successivamente nella Casa Circondariale, il primo incontro di "Breaking limits", un nuovo progetto di ricerca e scambio di buone pratiche tra diverse realtà che, in Europa, conducono esperienze di teatro in carcere, recentemente approvato dalla commissione europea. In un momento cruciale, nel quale l’Italia è sorvegliato speciale dell’Europa a causa dell’emergenza carceraria, questa iniziativa si pone opportunamente in positivo, segnalando una eccellenza italiana, quella del teatro in carcere. Presso l’Asp, i diversi partner saranno accolti dall’assessore ai servizi sociali, Chiara Sapigni, e presenteranno le proprie pratiche. Successivamente, nella casa circondariale incontreranno la direzione e gli educatori per partecipare ad una sessione del laboratorio teatrale con i detenuti. Giunto al quarto progetto consecutivo, questo è un caso assai raro che testimonia il valore che la commissione riconosce al lavoro realizzato dal Teatro Nucleo presso la casa circondariale di Ferrara. Il teatro in carcere infatti dà i suoi frutti migliori quando agisce in relazione forte e non casuale con il sociale, sia nella forma istituzionale che quella delle associazioni, ed è proprio questo che, nei partenariati precedenti, è stato riconosciuto una nostra eccellenza, il "modello ferrarese". Proprio in questo senso si orienta la partecipazione dell’Asp al partenariato, per il suo ruolo chiave nella gestione di tutte le problematiche legate al re-inserimento dei detenuti a fine pena. I partner europei sono l’Alarm theater di Bielefeld, in Germania, che da molti anni conduce i laboratori teatrali nel carcere della sua città, il teatro del Norte delle Asturie, in Spagna, che lavora presso il carcere di Oviedo, per l’Ungheria è presente l’associazione "Ures Ter" che cura le attività teatrali presso il carcere di Pecs e infine per la Turchia il "Ministry of justice bafra branch office of probation and welfare center". A questi si aggiunge il Centre de recherche et d’interventions sociologiques de l’Università di Liegi, in Belgio, il quale curerà il monitoraggio e la valutazione. Questa partecipazione è strategica perché assegna un valore aggiunto al progetto, quello dello sguardo di un importante istituto di ricerca specializzato nello studio delle carceri europee. Le considerazioni finali, infatti, verranno presentate nella forma di un dossier indirizzato al parlamento europeo, perché questo possa utilizzarlo nel momento di fare le raccomandazioni per il miglioramento del sistema carcerario. Milano: Casa di Reclusione di Bollate, quando lo sport aiuta a sentirsi liberi di Luigi Bolognini La Repubblica, 28 gennaio 2014 Si può parlar male del calcio, quando diventa fenomeno di isteria collettiva e di business megalomane. Ma che possa ancora essere uno sport, e quindi un modo per allenare fisico e mente, dare un po’di serenità, lo testimonia l’esempio del carcere di Bollate. Anzi, della "II Casa di Reclusione di Milano", che non è solo il nome burocratico della prigione, ma anche della squadra di calcio formata dai detenuti, maglia gialla, che dal 2005 gioca in Terza categoria, l’ultimo gradino dei campionati dilettantistici, avendo anche messo il naso per un anno (2006) in Seconda. Come regalo per il decimo compleanno arriva il riconoscimento dell’associazione Altropallone, che va a chi riesce a coniugare sport e impegno per un mondo migliore. Il riconoscimento principale sarà assegnato oggi al ct della Nazionale Cesare Prandelli, mentre la "II Casa di Reclusione di Milano" riceverà il premio "Space - sport per la pace, spazio alla pace". Motivazione semplice ma chiara: "Un carcere modello? No: un carcere normale, cioè "a norma". Ed è così che risponde anche la presidentessa e vicedirettore di Bollate, Cosima Buccoliero: "Noi non ci sentiamo diversi. Facciamo solo le cose che ogni carcere dovrebbe fare per poter davvero essere rieducativo peri detenuti, come prevede la Costituzione". La situazione generale delle carceri è ben diversa da Bollate: sovraffollamento, scarsità di fondi e quindi di iniziative. "Ma da noi è un po’ diverso, e anche grazie allo sport". C’è tanto altro, in effetti. Il tennis, con una cinquantina di detenuti che fanno tornei contro i poliziotti sul campo in cemento. Il rugby, ultimo arrivato, che per ora è una serie di allenamenti, "ma confidiamo presto di partire con le gare". L’atletica, con la preparazione per una maratona a staffetta, la "Forza papà", che i carcerati disputano assieme ai figli. La pallavolo femminile, con "Le tigri di Bollate", che da due anni disputano un torneo al Palasport di Gaggiano. E l’equitazione, una serie di corsi che insegnano ad accudire la quindicina di cavalli alloggiati in carcere, frutto di sequestri o alloggiati lì in pensione. "Puntiamo sulla responsabilizzazione dei detenuti, proviamo a fidarci di loro. E finora ci stanno ripagando". La squadra di calcio da sempre è nelle mai di mister Nazzareno Prenna: "Tutto è più complicato, qui, inevitabilmente. I miei giocatori cambiano spesso perché in un carcere sono frequenti sia arrivi che partenze. Nelle partite in casa non possiamo avere tanto pubblico per motivi di sicurezza e il campo è spelacchiato". Il problema principale sono state a lungo le trasferte, perché ogni volta bisognava chiedere il permesso ai magistrati di sorveglianza e alcuni dei giocatori avevano commesso reati troppo gravi per uscire. "Per un anno - prosegue Prenna - in casa giocavano i detenuti, in trasferta le guardie. Poi per fortuna la situazione è cambiata, anche perché non ci sono mai stati episodi spiacevoli". Troppo importante la possibilità di mettere i piedi su un prato vero, la sensazione di libertà che dà correre su una fascia laterale senza mura e sbarre intorno, perché qualcuno sgarri. Magari anzi l’emozione è così forte che a volte la squadra non rende come potrebbe. Quest’anno galleggia nei bassifondi della classifica, ma tanto non ci sono retrocessioni. E comunque l’impegno di Prenna e dei suoi ragazzi è costante: "Facciamo due allenamenti a settimana, sono molto attento alla fase tattica, ho un 4-4-2 ben preciso. Però con poco fuorigioco perché in Terza categoria non ci sono i guardalinee". E forse anche per un altro motivo: che così si può giocare col libero. Ancona: "Liberamente", dopo laboratori arti figurative e poesia, opere detenuti in mostra Ansa, 28 gennaio 2014 È stata inaugurata oggi nella sede del Rettorato di Ancona una mostra di opere visive e poetiche dei detenuti dei carceri di Montacuto e Barcaglione, tappa finale del progetto "Liberamente, l’arte per non essere in disparte", che nel 2011 e 2012 ha coinvolto una cinquantina di reclusi in laboratori creativi. L’iniziativa, è stata illustrata dai promotori: il Garante regionale dei detenuti Italo Tanoni, il responsabile dell’Ufficio scolastico regionale Annamaria Nardiello, i direttori della Casa circondariale di Montacuto e dell’Istituto a custodia attenuata di Barcaglione, Santa Lebboroni e Maurizio Pennelli, e da Daniela Grilli, del Provveditorato regionale dell’Amministrazione penitenziaria. Le lezioni in carcere, realizzate grazie alla partecipazione del Liceo artistico Mannucci di Ancona e del Liceo Classico Perticari di Senigallia (presenti i presidi, Giulietta Breccia e Alfio Albani) sono state tenute anche da artisti e scrittori di fama come Bruno D’Arcevia, Elio Marchegiani, Umberto Piersanti, Gianni D’Elia e il latinista Alessandro Fo. "I laboratori artistici - ha detto Lebboroni - sono molto apprezzati dalla popolazione detenuta, in particolare quando si basano su un’organizzazione ben strutturata come quella di Liberamente, e di presenze di altro livello culturale. Consentono ai detenuti di evadere dalla quotidianità e di esprimersi con poco, imparando a trovare in loro stessi la forza di migliorare". "È stata un’esperienza che ha arricchito non solo i detenuti, ma anche noi. Una scommessa folle, che oggi pensiamo di aver vinto" ha aggiunto Albani. Sulla mostra è stato realizzato anche un libro-catalogo curato dallo stesso Albani e da Bruno Mangiaterra. Tanoni ha annunciato che i laboratori creativi in carcere proseguiranno anche nel 2014 con il progetto Carcere e Scuola, e interesseranno, oltre ad Ancona, anche i carceri di Villa Fastiggi a Pesaro e di Marino del Tronto ad Ascoli Piceno, in collaborazione con le Università. "Gli atenei saranno anche coinvolti in un’ulteriore iniziativa, per creare un polo universitario nel carcere di Fossombrone, mentre per il Barcaglione pensiamo a corsi di scuola media superiore e di formazione professionale". All’inaugurazione era presente anche il prorettore della Politecnica Gian Luca Gregori. Pontremoli (Ms): venerdì all’Ipm la prima de "L’uccello di fuoco", con la regia di Paolo Billi Ristretti Orizzonti, 28 gennaio 2014 Venerdì 31 gennaio prossimo Pontremoli sarà palcoscenico di due eventi molto particolari: uno, il falò di San Geminiano, patrono della cittadina, con il suo palcoscenico all’aperto, l’altro, in un luogo più particolare: l’Istituto Penale per i Minorenni di Pontremoli, in via IV Novembre 15 per assistere alla prima de "L’uccello di fuoco" con la regia di Paolo Billi. Una favola che, ha per il tema il fuoco, protagonista assoluto nella disfida dei falò per la Festa del Patrono di Pontremoli. La suggestione dell’evento-spettacolo è una favola della tradizione russa messa in musica da Igor Stravinsky nei primi del novecento. La trama vede lo scontro tra due elementi antagonisti: un mago, in grado di pietrificare gli esseri umani, e un uccello di fuoco col potere di sfatare gli incantesimi del mago. Due sono i personaggi umani: una principessa prigioniera e il principe Ivan, che, grazie a una piuma magica dell’Uccello di fuoco, riuscirà a liberare la principessa e le dodici fanciulle chiuse nel castello. Unico Istituto Penale Minorile femminile in Italia e anche in Europa, l’IPM di Pontremoli aprirà le porte a piccoli gruppi di spettatori, che entreranno in un luogo magico, trasformato ad arte in un labirinto di un castello, per vedere uno spettacolo, scandito in un percorso di sei stazioni, in cui le protagoniste sono le ragazze dell’Istituto dirette da un regista di fama nazionale. Lo spettacolo è frutto del progetto, avviato a giugno scorso, dal titolo "Saran rose e fioriranno" a cura del regista bolognese Paolo Billi (che da quindici anni lavora all’interno del carcere minorile di Bologna) con l’obbiettivo di costituire una équipe permanente di Teatro presso l’Istituto Penale per i Minorenni di Pontremoli. A tal scopo è stato fondato il Centro Teatro Pontremoli per progettare autonomamente e realizzare attività teatrali, culturali e artistiche con le ospiti dell’Istituto, coinvolgendo gli adolescenti, i giovani e il territorio di Pontremoli e Massa-Carrara. Saran rose e fioriranno è un progetto promosso e sostenuto dal Ministero della Giustizia - Centro Giustizia Minorile Piemonte, Valle d’Aosta, Liguria e Massa Carrara nella persona del dirigente Antonio Pappalardo, con il fondamentale contributo del Direttore Daniela Giustiniani dell’IPM di Pontremoli, del Comandante Martano, degli Agenti di Polizia Penitenziaria e degli Operatori dell’Area tecnica. Il progetto è stato reso possibile grazie all’impegno del Comune di Pontremoli e in particolare dell’Assessorato al Sociale, ed è diretto dal Teatro del Pratello di Bologna, con l’apporto fondamentale dell’Istituto Don Calabria che ha favorito la creazione di laboratori mirati alla preparazione dell’evento. Aspetto importante della complessa progettazione messa in atto è il coinvolgimento di moltissime persone e di Associazioni di Pontremoli: Centro Giovanile "Mons. G. Sismondo", Gruppi Scout Agesci 1 e 2, Lunigianarborea, Musica Cittadina Pontremoli, Associazione Vasco Bianchi, Pro Loco Pontremoli, Cori "Al Sass" di Pontremoli e "Tre Fonti" di Berceto, Arcadia Associazione Musicisti, Scuola di Ballo Lunidanza, Teatro di Castalia. Un gruppo di studenti del Liceo Linguistico e delle Scienze Umane "A. Malaspina" di Pontremoli e del Liceo Scientifico "Da Vinci" di Villafranca ha partecipato al laboratorio di scrittura che ha prodotto alcuni testi dello spettacolo. La Scuola di scenografia della Accademia di Belle Arti di Carrara ha concorso all’allestimento scenico con dodici studenti a tirocinio. Il primo passo del percorso si compirà, dunque, con le repliche del 31 gennaio e con l’ingresso della città nel carcere, il secondo passo, quasi un augurio, sarà quello di poter vedere lo stesso lavoro allestito in teatro quando sarà il carcere a "uscire in città". Avellino: i racconti di Papa Francesco in regalo ai detenuti www.restoalsud.it, 28 gennaio 2014 Trecento copie autografate del libro "I racconti di Papa Francesco", di Rosario Carello scrittore e giornalista Rai, sono state portate in dono ai detenuti del carcere di Bellizzi Irpino (Avellino). Il regalo è stato offerto dai giocatori della A.S. Avellino calcio, squadra che milita nel campionato di serie B, e dalla Calcestruzzi Irpini. Durante la consegna era presente anche l’autore. "Il Pontefice - ha spiegato Carello, conduttore della nota trasmissione ‘A Sua Immaginè - sta conquistando tutti, a cominciare da non credenti e detenuti. Questi ultimi vedono in lui una persona vicina che li conosce e sentono il suo affetto". Una biografia fatta solo di aneddoti, realmente accaduti, dei quali il protagonista è proprio Bergoglio. Ottanta parole, dalla A alla Z, a descriverne il cammino, le scelte, la tenerezza. "Da ogni parola scaturisce un racconto, ogni storia è una fotografia di Bergoglio e ogni fotografia ti svela perché Bergoglio è diventato Francesco. Si ride molto perché - ha raccontato - Bergoglio è un uomo davvero simpatico". "Ai carcerati già sembra strano ricevere un regalo - ha aggiunto Carello - ma che a consegnarlo siano i loro beniamini, è ancora più strano. E poi c’è grande curiosità intorno alla figura di Francesco e tutti i detenuti, anche quelli di altre religioni, vogliono saperne di più su di lui". Molti carcerati hanno deciso di consegnare al giornalista della Rai alcuni messaggi, chiedendogli di recapitarli al pontefice. "Molto emblematico e commovente - ha dichiarato - quello di un detenuto che mi ha affidato la foto del figlio, da dare al Santo Padre. In quella foto sono racchiusi tutti i sogni di un papà". I trecento ospiti della Casa circondariale Bellizzi di Avellino hanno voluto contraccambiare la visita, donando al presidente dell’Avellino Calio, Walter Taccone, un veliero bianco-verde con le immagini dei giocatori, da loro realizzato. Il loro desiderio è che la nave possa condurre l’Avellino verso mete ambiziose, prima tra tutte la serie A. Ad organizzare la giornata è stata l’Associazione culturale Orizzonti di Avellino, in collaborazione con l’Associazione Sportiva Avellino Calcio e la Calcestruzzi Irpini S.p.a. Immigrazione: Cie Roma, dopo nuova protesta con nuove bocche cucite altri 26 in sciopero fame Corriere della Sera, 28 gennaio 2014 Si allarga la protesta al Cie di Ponte Galeria a Roma. Domenica sera 26 immigrati non hanno cenato, dichiarando di aver intrapreso lo sciopero della fame. Restano 13 gli immigrati marocchini con la bocca cucita da sabato, assistiti da medici e infermieri 24 ore su 24. La nuova rivolta con atti di autolesionismo era iniziata sabato nel centro di identificazione ed espulsione. "Credo che questa situazione si commenti da sola", ha sottolineato lunedì il ministro per l’Integrazione Cecile Kyenge. Sciopero della fame: gli immigrati rifiutano il vitto. Come già avvenuto intorno a Natale 2013, un gruppo di detenuti del centro - sette dei quali erano stati protagonisti della rivolta delle bocche cucite a dicembre - si era sigillato le labbra con pezzi di spago o con filo metallico. Sono tutti marocchini, provenienti da Lampedusa, e hanno anche iniziato lo sciopero della fame, cioè non ritirano i pasti forniti dall’amministrazione. A protestare quindi è un terzo degli ospiti del Centro, che al momento, secondo il Garante dei detenuti del Lazio, sono cento, di cui 71 uomini e 29 donne. "I Cie sono luoghi orribili, un vero orrore per un Paese che si possa definire appena civile", interviene il sindaco di Roma, Ignazio Marino. E prosegue: "I Cie sono la conseguenza di scelte sbagliate fatte in passato come alcune leggi, la Bossi-Fini, che hanno una visione opposta a quella che io e tantissimi altri italiani abbiamo rispetto alla sfida epocale della immigrazione nel nostro tempo". A proposito della nuova protesta degli immigrati del Cie di Ponte Galeria, sottolinea come, "nella maggior parte dei casi stiamo parlando di persone che sono fuggite da stupri, violenze, guerre, povertà e fame e che hanno il diritto di essere accolti con la dignità che ogni essere umano deve avere, a prescindere dalla etnia, dal Paese d’origine o dal colore della pelle". Tra gli ospiti del Cie in sciopero della fame c’è molta rabbia: "Sono stremati disillusi, sono arrivati a Ponte Galeria da Lampedusa a novembre, vogliono sapere il loro destino - spiega Gabriella Guido, portavoce della campagna LasciateCIEntrare. Due degli immigrati che si sono cuciti la bocca vogliono rimanere in Italia per unirsi alle loro famiglie". Sette di quelli che manifestano, conferma, "avevano partecipato alla protesta di dicembre scorso". I marocchini sono tornati a protestare, spiega il direttore del Cie di Ponte Galeria Vincenzo Lutrelli, "a causa del protrarsi della loro permanenza nel centro: si lamentano del fatto che da Natale non è cambiato nulla e dicono di aver avuto notizie da altri loro connazionali che si trovano in altri centri di uscite, mentre loro sono ancora qui". Droghe: Ncd; "no" a sconti di pena per spaccio marijuana, sono l’anticamera della legalizzazione Italpress, 28 gennaio 2014 "Il Partito Democratico non sfrutti l’emergenza carceri come pretesto per reintrodurre la distinzione tra droghe pesanti e droghe leggere, costruendo l’anticamera della legalizzazione di quest’ultime". Lo afferma in una nota Enrico Costa, presidente dei deputati del Nuovo Centrodestra. "Siamo preoccupati perchè nello svuota-carceri è spuntato un emendamento del relatore, che regala uno sconto di pena a chi spaccia hashish e marijuana - spiega Costa. Così facendo si indebolisce la lotta allo spaccio e si svilisce non solo il significato del decreto ma anche del messaggio del Capo dello Stato sull’emergenza carceraria. Sarebbe auspicabile che il ministro Cancellieri assumesse su questo una posizione precisa", conclude il presidente dei deputati del Nuovo Centrodestra. India: caso marò; conclusa missione parlamentari italiani a New Delhi Ansa, 28 gennaio 2014 La missione dei parlamentari italiani a New Delhi si è conclusa oggi con un saluto ai due Marò, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, nella sede dell’ambasciata italiana. I due fucilieri di Marina hanno posato per la foto tradizionale con i rappresentanti di Camera e Senato. Ai due militari i parlamentari hanno inoltre mostrato la rassegna stampa con tutti gli articoli che li riguardano e che Latorre e Girone hanno letto con interesse. Casini: portiamoli a casa, poi inchiesta parlamentare "Voglio dirlo con forza: i ministri Bonino e Mauro si sono comportati in modo ineccepibile. La vicenda, invece, non è chiara, ma dobbiamo aspettare che i due ragazzi siano sul territorio nazionale; solo allora, potremo aprire il capitolo delle responsabilità, bisognerà capire cosa non ha funzionato, chi è responsabile, perché questa vicenda non doveva andare in questo modo. Lo si farà con una commissione d’inchiesta, lo si farà coi metodi che il parlamento deciderà, ma solo dopo, non prima: non possiamo compromettere il buon esito della vicenda per i due ragazzi". Lo ha detto a "Prima di tutto", su Rai Radio 1, Pierferdinando Casini, presidente commissione Affari esteri del Senato, intervenendo da New Delhi dove, insieme a una delegazione di parlamentari, sta seguendo da vicino la vicenda dei due marò detenuti in India. Provati ma persone straordinarie "I due fucilieri sono ovviamente provati per la lunga detenzione, non potrebbero non esserlo, ma sono persone straordinarie. Hanno un senso della dignità, dell’orgoglio nazionale, una consapevolezza dei doveri che hanno indossando la divisa. Sono davvero militari nel senso più nobile del termine". Lo ha detto a "Prima di tutto", su Rai Radio 1, Pierferdinando Casini, presidente commissione Affari esteri del Senato, intervenendo da New Delhi dove, insieme a una delegazione di parlamentari, sta seguendo da vicino la vicenda dei due marò detenuti in India. "Ci hanno manifestato la loro soddisfazione per averci incontrato - ha aggiunto il leader Udc, aspettavano da tempo una delegazione unita che, al di là delle diverse posizione politiche, rappresentasse appieno il senso di una unità nazionale". Ci aspettiamo aiuto maggiore da Europa e Usa "L’iter giudiziario lo seguono gli avvocati, l’ambasciata, c’è un team dell’Avvocatura dello Stato, questi sono aspetti che non ci competono. Noi abbiamo incontrato gli ambasciatori di tutti i Paesi europei, ci siamo recati personalmente all’Ambasciata Usa per incontrare l’ambasciatore, al quale abbiamo spiegato una sola cosa: dopo 2 anni, questi ragazzi non hanno una imputazione, non è possibile mettere sullo stesso piano i terroristi e chi li combatte". Lo ha detto a "Prima di tutto", su Rai Radio 1, Pierferdinando Casini, presidente commissione Affari esteri del Senato, intervenendo da New Delhi dove, insieme a una delegazione di parlamentari, sta seguendo da vicino la vicenda dei due marò detenuti in India. E ha proseguito: "Latorre e Girone erano imbarcati per combattere la pirateria; ebbene, se venissero condannati, il risultato sarebbe facile: nessuno avrebbe più la serenità necessaria per andare in missione militare di pace, a combattere il terrorismo e a lavorare per la pace. Non è ammissibile che il nostro Paese partecipi a missioni militari di pace e veda trattati i suoi militari in questo modo. Vorrei essere chiaro: non è una vicenda bilaterale, Italia e India, è una vicenda che assume un respiro internazionale e che, all’occorrenza, andrà portata all’attenzione delle corti internazionali. In questo senso, ci aspettiamo un aiuto maggiore dall’Europa e dagli Usa, ci attendiamo che tutti facciano capire agli indiani che non è appunto una questione Italia-India ma che le regole della comunità internazionale devono aiutare i due marò. Non possiamo accettare l’idea che i due ragazzi possano in qualche modo pagare colpe non loro, perché erano lì in nome e per conto della comunità internazionale. Se passasse un principio del genere, i pirati sarebbe liberi di scorrazzare a piacimento". Ambasciatore Ue: pena di morte inaccettabile "La pena di morte è inaccettabile" e "il governo indiano si è impegnato ufficialmente a non applicarla" al caso dei marò arrestati due anni fa in India per l’uccisione di due pescatori. Lo ha detto l’ambasciatore dell’Unione Europea a New Delhi, Joao Cravinho, a un settimanale indiano. Il diplomatico, che ieri insieme ai suoi colleghi ha incontrato la delegazione bicamerale in missione a New Delhi, ha ricordato che in Europa non vige la pena capitale neppure nel caso di terrorismo e che l’India ha promesso di non applicarla quando ha ottenuto l’estradizione dal Portogallo del militante Abu Salem, ricercato per gli attacchi a Mumbai del 1993. In un articolo intitolato “Italian tangle” (Pasticcio italiano), The Week sottolinea che esistono dei patti di cooperazione in materia di anti terrorismo, pirateria marittima e sicurezza informatica. "Proprio nei giorni in cui il ministero degli Interni autorizzava la polizia Nia a usare la legge antiterrorismo Sua Act per accusare i due militari italiani - scrive - la nave francese FS Siroco, che opera sotto la bandiera della Forza navale europea (Eu Navfor) catturava una barca di pirati somali salvando l’equipaggio composto da 11 marinai indiani". India: Tomaso ed Elisabetta, ennesimo rinvio del processo che vede coinvolti i due italiani di Mara Cacace www.savonanews.it, 28 gennaio 2014 "Bisogna avere "pazienza" ed "aspettare fiduciosi" così mi ha detto ieri l'avvocato Mukul Rohatgi... e noi lo faremo...". Marina Maurizio dà così la notizia dell'ennesimo rinvio del processo di suo figlio. Era prevista per questa mattina la causa di discussione del caso di Tomaso Bruno ed Elisabetta Boncompagni detenuti in India da ben 4 anni con una condanna all’ergastolo per la morte del loro compagno di viaggio e amico Francesco Montis. I rinvii che questo processo ha subito nel corso degli anni ormai sono così tanti da fare fatica a tenere il conto, ma la speranza dei ragazzi e della famiglia non cessa e ci si augura solo che possa concludersi presto quello che, per i due italiani, è un vero e proprio incubo senza fine. La madre di Tommy, Marina Maurizio si è recata sabato scorso in India per seguire, come sempre da vicino, il caso che vede coinvolto suo figlio ed Elisabetta e per portare la voce dell’Italia e degli amici ai due ragazzi. Ma arriva proprio in questi minuti dalla signora Marina la notizia che anche oggi la speranza è caduta in un ennesimo "nulla di fatto" e così sulla pagina Facebook del gruppo Tomaso Libero si legge come vi sia stato l'ennesimo rinvio della causa che era la n.39 nella lista di quelle programmate per oggi. La Corte è arrivata, invece, solo alla trattazione della causa n.2 e pertanto anche oggi è stato disposto un rinvio. "Bisogna avere "pazienza" ed "aspettare fiduciosi" così mi ha detto ieri l'avvocato Mukul Rohatgi... e noi lo faremo..." la mamma di Tomaso come si può leggere non perde la fiducia e la speranza nonostante i tempi della giustizia indiana sembrano essere interminabili. Siria: "libertà per Dall’Oglio", incontri in varie città, promossi anche per altri rapiti Ansa, 28 gennaio 2014 "Libertà per Abuna Paolo, libertà per tutti i detenuti in Siria". È la richiesta che verrà, a sei mesi esatti dalla scomparsa di padre Paolo Dall’Oglio in Siria, in una serie di raduni e incontri di preghiera promossi per dopodomani in diverse città italiane, europee e non solo. Ad annunciarlo i confratelli della comunità da lui fondata nel monastero siriano di Deir Dar Musa. Il 29 gennaio saranno sei mesi che Dall’Oglio "è sparito ed è detenuto da qualche parte in Siria - scrivono i suoi confratelli in una nota, lasciando così capire di avere elementi per ritenerlo ancora vivo -. Siamo una di quelle tante famiglie siriane o irachene che soffrono dell’assenza di una persona cara". I raduni - fissati anche a Roma, Milano, Bologna e Trento - sono organizzati "per dire ‘libertà per Abuna Paolo, libertà per tutti i detenuti in Siria - scrivono i confratelli -. Porteremo ritratti di Paolo di altri detenuti, leggeremo estratti dei suoi testi e condivideremo la speranza di rivederlo presto con noi. Lo spirito della manifestazione è spirituale e umano piuttosto che politico". Proprio oggi il ministro degli Esteri Emma Bonino ha detto che di Dall’Oglio non vi sono notizie, nonostante la speranza di maggiori informazioni con l’avvio dei negoziati di Ginevra 2. Gli incontri sono previsti a Strasburgo, Parigi, Grenoble, Le Mans, Lione, Marsiglia e Montpellier in Francia; a Ginevra, Bruxelles, Lussemburgo, l’Aja, Leeds e Berlino in Europa; a Beirut in Libano, a Sulaymaniah nel Kurdistan iracheno, in Qatar e a Scranton (Usa). L’appuntamento a Roma è nella chiesa di San Giuseppe di via Redi, a Milano in quella di S. Fedele, a Bologna nel santuario Madonna di Barraccano e a Trento nei Giardini di S. Chiara. Una parte della comunità di Dall’Oglio resta ancora in Siria, con otto confratelli divisi tra i monasteri di Mar Musa e Mar Elian (dove si trovano anche circa 400 sfollati dalla guerra), mentre altri tre si trovano a Sulaymaniah nel monastero Deir Maryam. Brasile: la "bufala" del Progetto Apac per l’1% dei detenuti, per l’altro 99% un carcere inumano www.poliziapenitenziaria.it, 28 gennaio 2014 Quando gli uomini qualunque indicano la Luna, i "filosofi" delle carceri guardano il dito... Il proverbio non era proprio così, ma è quanto avviene riguardo al "rivoluzionario" sistema Apac adottato in ristrettissima parte nelle carceri brasiliane. Apac è l’acronimo di Associazione per la protezione e assistenza ai condannati ed è l’interpretazione brasiliana del concetto di sorveglianza dinamica. Il metodo Apac è un sistema carcerario utilizzato in Brasile da organizzazioni della società civile ed entrato a far parte dell’impianto carcerario istituzionale brasiliano, caratterizzato dall’assenza di armi e polizia. La sicurezza è garantita dai volontari, cui sono affidate le unità carcerarie, e dagli stessi detenuti. Il modello brasiliano riconosce un’autonomia quasi assoluta ai detenuti consegnando ad ognuno di loro le chiavi della cella e quelle del portone del penitenziario. A sperimentarlo, ormai già da 40 anni, è un gruppo di magistrati brasiliani, confortati dalle statistiche che dimostrano una recidiva ridotta a meno del 10% contro la media del 70% dei detenuti comuni brasiliani. Il progetto Apac è addirittura approdato a Bruxelles perché scelto come modello dalla Commissione europea per gli European Development Days. Fino a qui tutto vero, ma allora la "bufala" dov’è? La fregatura sta nei numeri e nelle considerazioni che se ne traggono, ai limiti della truffa, guardando il dito, appunto, e immaginandolo anche più grande della luna, fantasticando su un modello di carcere che è inapplicabile su larga scala, ubriachi di un "buonismo" che fino ad ora ha creato solo problemi a chi in carcere ci lavora sul serio. Riepiloghiamo: le carceri brasiliane ospitano circa 500.000 persone detenute (cinquecentomila su 300.000 posti disponibili), quasi dieci volte il numero dei detenuti presenti in Italia, su circa 200 milioni di cittadini brasiliani (in Italia siamo circa 60 milioni di abitanti). Ne consegue un sovraffollamento delle carceri brasiliane da record! Minore del nostro in termini percentuali, ma molto maggiore se rapportato alla popolazione della Nazione brasiliana che "vanta" un tasso di carcerazione dello 0,25% contro il nostro 0,1%. Ebbene, quante persone detenute beneficiano del sistema Apac che tanto entusiasma i nostri "filosofi"? Il Procuratore di Minas Gerias (una delle regioni del Brasile) dichiara: "attualmente sono circa 2.000 (duemila) persone, recluse in penitenziari da 140-150 detenuti ciascuno"… cioè lo 0,4% della popolazione detenuta brasiliana. Eccola la vera realtà delle carceri brasiliane e sudamericane. La "sorveglianza dinamica" e il regime delle "celle aperte" si può applicare a meno dell’uno per cento dei detenuti. Corea del Nord: l’attivista fuggito dal Gulag… trattati peggio di animali Ansa, 28 gennaio 2014 Dolore e rabbia filtrano dalla sua voce per l’incapacità di istituzioni, come l’Onu e il suo Human Rights Council, di risolvere il drammatico stato dei diritti umani in Corea del Nord. "Mi chiedete se eravamo trattati come animali? Io dico peggio perché almeno i topi possono girare liberi e decidere cosa mangiare. Ci era vietato tutto, eravamo sottoposti a ogni tortura e la morte poteva essere un sollievo". Shin Dong-Hyuk ha 31 anni e nel 2005 riuscì a fuggire dal Camp 14, uno dei famigerati gulag per detenuti politici, ed è forse l’unico nato dentro un gulag che ufficialmente sia riuscito nell’impresa. "La gente, le prime volte che mi capiva di raccontare, aveva difficoltà a capire le atrocità cui eravamo sottoposti", dice in un incontro al club della stampa estera di Tokyo, nell’ambito di una visita in Giappone per incontrare altri attivisti, tra cui le famiglie di cittadini giapponesi rapiti da agenti del Nord, così come gruppi per i diritti umani. "Sono nato in un campo di prigionieri politici e il mio mondo era fatto di guardie e prigionieri. L’ultima cosa che ho visto prima di scappare non era diversa da quanto visto in una vita intera", racconta Shin, figlio di una coppia detenuta, autorizzata a sposarsi come ricompensa per la buona condotta mostrata. "Non so se mio padre o mio cugino siano ancora lì e vivi. Scappare dalla fame e dalle vessazioni voleva dire superare la recinzione elettrica e tentare la fuga. Sapevo che le guardie avevano l’ordine di sparare, ma l’idea di provare un pasto diverso e migliore non avrebbe reso la fuga inutile, anche se ucciso". Nel suo racconto, Shin, autore di un libro sull’esperienza atroce vissuta ("Escape from Camp 14") e impegnato a promuovere un documentario sulla vita da prigioniero politico, descrive le vessazioni, le torture subite (le sue braccia sono terribilmente storte, ma ci sono altri evidenti segni di quanto subito) e dice di aver assistito all’uccisione di sua madre e suo fratello. Il 17 marzo sarà a Ginevra per lo Human Rights Council: anche se è molto tardi e se molte opportunità sono sfumate, "credo che la commissione e i Paesi coinvolti dovrebbero prendere posizioni forti. Non so quali, ma l’Onu è una grande organizzazione e dovrebbe fare qualcosa per risolvere questo problema". Shin teme che la situazione in Corea del Nord sia peggiorata sotto il regime di Kim Jong-un. "Dalle foto satellitari capisco che i campi di prigionia sono più grandi e ci sono più alloggi da quando è al potere", afferma. E sulla caduta dell’ex numero due e zio del leader, Jang Song-thaek, insieme a tutta la sua famiglia e ai suoi uomini, non è affatto sorpreso. "Secondo le regole della Corea del Nord, se non piaci al dittatore, la tua famiglia e i tuoi amici finiscono nei campi. Con questo sistema, solo una persona ha il potere. Quindi, non sono affatto sorpreso che Kim abbia fatto questo a suo zio". Shin esprime l’auspicio di un cambiamento, pur se pessimista. "Kim usa la paura per avere il controllo, uno strumento molto efficace. Alcuni ipotizzano che le due Coree potrebbero riunirsi in cinque anni: gli esperti lo hanno detto alla morte del nonno, Kim Il-sung, ma anche allora nulla è successo". Stati Uniti: in aumento gli abusi sessuali commessi dai carcerieri, 8.700 casi nell’anno 2011 di Luca Lampugnani www.ibtimes.com, 28 gennaio 2014 Prendete degli studenti di college maschi che siano di ceto medio, equilibrati nei comportamenti e toglietegli la loro identità personale. Inseriteli ora in un finto carcere, dando loro il semplice ruolo di "guardie" o "ladri": entro pochi giorni - due, per l’esattezza - vedrete i primi risultati catastrofici della deindividuazione. Quelli che prima erano amici, conoscenti o anche semplicemente ragazzi della stessa età si trasformano, diventano violenti o depressi in base alla categoria della quale fanno parte. Sevizie, tracolli emozionali e insulti diventano il pane quotidiano di una realtà dove, senza adeguati controlli, i confini tra vittime e carcerieri sfumano, unendosi in un’orgia di rabbia, brutalità e degrado. Quanto descritto fino a questo momento non è altro, in estrema sintesi, che lo svolgimento e la conclusione del più celebre esperimento di psicologia sociale sullo studio comportamentale nelle carceri, condotto nell’estate del 1971 da un team di ricercatori (coordinati dal professor Philip Zimbardo, allora trentottenne) dell’Università di Stanford. La ricerca, che inizialmente sarebbe dovuta durare 1-2 settimane, dovette chiudere i battenti prima tra il disappunto dei carcerieri e la gioia dei carcerati: privati della loro reale identità gli studenti coinvolti si immedesimarono totalmente nel ruolo che gli era stato assegnato, riscontrando un crescente sadismo tra le guardie e un certo passivismo tra i fittizi prigionieri, rassegnati dopo solo 5 giorni alla supremazia dei secondini e piegati alle loro sevizie. Ancora oggi, a 43 anni di distanza dall’estate del 1971, l’esperimento carcerario di Stanford è uno dei punti fermi della psicologia sociale, contribuendo inoltre a farsi fotografia particolarmente realistica di una situazione che, negli anni, non sembra particolarmente cambiata. È proprio in questa cornice che si inserisce un aspetto, forse uno tra i più tremendi, delle violenze in carcere. Secondo quanto riporta Al Jazeera America, che cita un rapporto pubblicato dall’Ufficio Statistiche Giudiziarie, ramo del Dipartimento di Giustizia Usa, sono in aumento le denunce di abusi sessuali perpetrati nelle prigioni a stelle e strisce. Stando ai dati, infatti, nel 2011 le segnalazioni di aggressioni sessuali (in cui rientrano gli atti fisici non consensuali, ma anche gli insulti, le minacce e le molestie verbali) hanno raggiunto quota 8 mila e 700 - in crescita dell’11% rispetto al 2009 e del 4% rispetto al 2010, la metà delle quali - 49% contro il 51% dei casi che coinvolge due o più detenuti - commesse dalle guardie carcerarie. Secondo lo stesso report, d’altra parte, ‘solo’ il 10% dei casi vengono comprovati in sede legale - di questi, nel 55% dei casi i carcerieri si dimettono o vengono licenziati, il 45% invece viene sottoposto ad arresto -, mentre il restante 90% tende a rimanere un’accusa di cui non vengono specificate eventuali inchieste o indagini. Intanto, mentre si attendono i dati del 2013, stando a quanto dichiarato da Allan Beck, uno degli autori del report, durante l’arco dello scorso anno i casi di denunce di violenze sessuali potrebbero aumentare ancora una volta, confermando un trend di crescita decisamente sconfortante. Ma un altro campanello d’allarme, nel frattempo, risuona anche dall’Alabama, precisamente dal carcere femminile della città di Tutwiler, già nel mirino dal 2007 quando è diventata la prigione Usa con il più alto tasso di violenze sessuali. Secondo un altro rapporto del Dipartimento di Giustizia, le "donne incarcerate temono per la loro sicurezza", minata da una situazione di assoluto degrado dove le detenute sono costrette alle violenze sessuali delle guardie, tanto che stando allo studio un terzo dei dipendenti ha avuto rapporti fisici non consensuali con le detenute. "Concludiamo - si legge nello studio - che lo stato dell’Alabama viola l’ottavo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti, non proteggendo le donne incarcerate a Tutwiler dagli abusi e dalle molestie del personale penitenziario". La situazione di violenza nelle carceri - in questo caso non sessuali, spesso veri e proprio far west della giustizia, è però un problema che non tocca certo solo le coste statunitensi. In Italia, ad esempio, continuano a fare scalpore i casi di Stefano Cucchi e Federico Aldrovandi, ma le realtà brutali del mondo penitenziario non si fermano certo qui: nel 2012, ad esempio, il Corriere della Sera pubblicò un’inchiesta sulle carceri italiane a cura di Antonio Crispino, un report da cui uscirono senza ombra di dubbio tutte le brutture del sistema carcerario della Penisola.