Giustizia: indulto risposta all’Europa, i ricorsi sulla legge Pinto costano 387 milioni di Donatella Stasio Il Sole 24 Ore, 22 gennaio 2014 L’unico numero che cambia nelle deprimenti statistiche sulla giustizia riguarda il carcere: il 9 gennaio 2014, nelle patrie galere c’erano 62.326 detenuti, in progressiva decrescita rispetto non solo a un anno fa ma persino a un mese e mezzo fa, visto che il 4 dicembre 2013 se ne contavano 64.056. Per il resto, la relazione del ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri al Parlamento - con cui si apre il nuovo anno giudiziario - riproduce cifre analoghe a quelle snocciolate dai suoi predecessori, soprattutto per l’arretrato di processi civili -5.257.693 - e penali - 3,5 milioni -nonostante la produtività dei magistrati italiani sia "ai primi posti" in Europa. Guai, però, a "far prevalere il pessimismo della ragione sull’ottimismo della volontà" dice il ministro, consapevole che le difficoltà spesso costituiscono "un alibi per l’immobilismo". Del resto, proprio il carcere dimostra che le misure strutturali "pagano", anche se la Cancellieri ammette che "strumenti straordinari" - cioè amnistia e indulto evocati dal Capo dello Stato - consentirebbero all’Italia di "rispondere in tempi certi e celeri alle sollecitazioni del Consiglio d’Europa". Che ci attende al varco, a maggio, per verificare se abbiamo colmato il gap tra la nostra "offerta" carceraria e quella degna di un paese civile. L’appuntamento di maggio è cruciale: senza risultati concreti, sul bilancio statale rischiano di rovesciarsi migliaia di risarcimenti chiesti dai detenuti per le condizioni inumane e degradanti in cui sono costretti a vivere anche per il sovraffollamento. E il bilancio statale già deve sopportare i costi dell’eccessiva durata dei processi: a ottobre 2013 il debito accumulato dalla Giustizia per le condanne subite dallo Stato ammontava a 387 milioni di euro e il ritardo nei pagamenti ha aperto ulteriori contenziosi, con ulteriori spese; senza contare che già ci sono mille ricorsi alla Corte di Strasburgo per il ritardato pagamento degli indennizzi. In questo quadro, il ministro ha annunciato di voler proseguire sulla strada già intrapresa. Cioè: nuova geografia giudiziaria, efficienza complessiva del servizio, allentamento della tensione derivante dal sovraffollamento carcerario. Un’azione sostenuta dalla maggioranza, ma duramente contestata dall’opposizione: Lega e M5S non solo non condividono le scelte fatte finora ma ieri hanno anche presentato al Senato una mozione di sfiducia del ministro. Sulla geografia giudiziaria Cancellieri non ha parlato delle modifiche in cantiere (il ripristino delle sezioni distaccate nelle isole minori, contestato da Anm e Csm) ma solo di "correzioni" e "aggiustamenti" alla riforma, che resta "strategica" non solo per i risparmi di spesa ma anche per "il netto recupero di efficienza" che comporterà. Non ha aspettato molto, tuttavia, per sentire dalla viva voce di tutti i parlamentari che la riforma va, difesa sì, ma corretta. Il Pd ha parlato di "distorsioni oggettive", per esempio nelle isole minori, ricordando al ministro di essersi "impegnata" a provvedere. Sul processo civile, Cancellieri ha segnalato la contrazione della pendenza, rispetto al 2012, del 4% per tutti i gradi di giudizio e del 20% nei ricorsi in materia di equa riparazione per l’irragionevole durata dei processi (Il M5S ha però obiettato che sono diminuiti solo perché è cambiata la legge). Ha poi ribadito di procedere sulla via della mediazione obbligatoria; su quella della velocizzazione con il ddl approvato un mese fa (ma di cui si sono perse le tracce in Parlamento); dell’informatizzazione. Nel penale ha ribadito l’arrivo di un ddl per ridurre i tempi e deflazionare l’arretrato. Quanto al carcere, ha segnalato anche gli interventi di ordine amministrativo per favorire l’attività trattamentale e il recupero, entro l’anno, di 4.500 posti letto. Oltre naturalmente alle novità legislative, in corso di approvazione e già approvate, che hanno già dato "risultati incoraggianti" sugli ingressi in carcere, dimezzandoli. In questa situazione, eventuali provvedimenti di clemenza aiuterebbero ad adempiere puntualmente gli obblighi che l’Europa ci ha imposto ma "non avrebbero affetti nel breve periodo, come inpassato, in quanto si sono adottate e si stanno adottando una serie di misure volte a contenere anche nel futuro i nuovi ingressi in carcere". Giustizia: abbiamo un sistema da terzo mondo, pendenti quasi 9 milioni di processi Ansa, 22 gennaio 2014 Allarme del Guardasigilli Anna Maria Cancellieri. Che preme per amnistia e indulto. Il ministro Anna Maria Cancellieri lancia l’allarme sulla giustizia in Italia. "Alla data del 30 giugno 2013 si contano 5.257.693 di processi pendenti in campo civile e quasi 3 milioni e mezzo in quello penale". Resta alle Camere valutare amnistia e indulto, misure di clemenza che "certamente ci consentirebbero di rispondere in tempi certi" all’Europa. Il guardasigilli nella "Relazione sull’amministrazione della Giustizia per l’anno 2013" ha aggiunto: "L’attuale condizione di difficoltà in cui versa il sistema giudiziario non deve far prevalere l’erronea convinzione che le cose non possano migliorare, né costituire un alibi per l’immobilismo. Tutti possiamo contribuire a far sì che l’ottimismo della volontà prevalga sul pessimismo della ragione". Sono "assai incoraggianti" i primi risultati dell’applicazione del decreto sulle carceri, ha detto ancora Cancellieri. "Al Parlamento resta la responsabilità di scegliere se ricorrere a quegli strumenti straordinari evocati dal Presidente della Repubblica e che certamente ci consentirebbero di rispondere in tempi certi e celeri alle sollecitazioni del Consiglio d’Europa", ha quindi affermato il ministro della Giustizia parlando di amnistia e indulto. "Al 9 gennaio 2014 i detenuti in carcere erano 62.326 (59.644 uomini e 2.682 donne), in progressivo decremento rispetto alla precedente rilevazione del 4 dicembre 2013 quando il numero era di 64.056 detenuti", ha spiegato ancora il ministro. "Il sistema continua ad essere in sofferenza - ha aggiunto il guardasigilli - nonostante la risposta offerta dalla magistratura italiana che l’ultimo rapporto della Commissione europea per l’efficienza della giustizia colloca ai primi posti in termini di produttività". "Il 2013 ha visto il Ministero della giustizia impegnato a fondo su alcuni temi fondamentali nei più delicati settori di competenza, tutti connotati da una situazione prossima all’emergenza e tutti essenziali per la corretta tutela dei diritti, soprattutto delle persone più vulnerabili", ha poi sostenuto Cancellieri. "Il sistema è in sofferenza nonostante la risposta offerta dalla magistratura italiana che l’ultimo rapporto della Commissione Ue per l’efficienza della giustizia colloca ai primi posti in termini di produttività", ha insistito il ministro, ricordando che "aumentano carichi di lavoro e spazio di azione dei magistrati: da qui traggono origine insoddisfazioni per le lentezze dei giudizi e timori che la sovraesposizione della Magistratura possa alterare il delicato equilibrio tra i poteri dello Stato". Passa alla Camera la risoluzione della maggioranza - Dopo la relazione del Guardasigilli davanti ai deputati, è arrivato il sì della Camera alla risoluzione di maggioranza che approva il documento della Cancellieri a proposito dell’amministrazione della giustizia. I voti a favore sono stati 296, 142 i contrari, 32 gli astenuti, tutti, questi, di Sel e Fdi. "Ritardi e inefficienze pesano sul debito" - "Le inefficienze della giustizia - ha poi sottolineato nella relazione annuale alla Camera - hanno pesanti ricadute anche sul debito pubblico. I ricorsi per il riconoscimento della responsabilità dello Stato per i ritardi in materia giudiziaria, regolati dalla legge Pinto, costituiscono larga parte del contenzioso seguito dal ministero". "Numero ed entità delle condanne - ha proseguito - rappresentano annualmente ancora una voce importante del passivo del bilancio della Giustizia, la cui eliminazione va posta come prioritario obiettivo". "Debito legge Pinto ammonta a oltre 387 mln" - In particolare, ha precisato, "l’alto numero di condanne ed i limitati stanziamenti sul relativo capitolo di bilancio, hanno comportato un forte accumulo di arretrato del cosiddetto debito Pinto che, ad ottobre 2013, ammontava ad oltre 387 milioni di euro". "Sono circa mille i ricorsi proposti alla Corte Europea dei Diritti Umani per lamentare il pagamento ritardato degli indennizzi, che comporteranno ulteriori esborsi a carico dello Stato", ha sottolineato il Guardasigilli. "Giudici italiani tra i primi in Ue per efficienza" - "Il sistema è in sofferenza nonostante la risposta offerta dalla magistratura italiana che l’ultimo rapporto della Commissione Ue per l’efficienza della giustizia colloca ai primi posti in termini di produttività". Così il ministro Cancellieri ricordando che "aumentano carichi di lavoro e spazio di azione dei magistrati: da qui traggono origine insoddisfazioni per le lentezze dei giudizi e timori che la sovraesposizione della magistratura possa alterare il delicato equilibrio tra i poteri dello Stato". "L’indulto darebbe risposte all’Europa" - Sul tema amnistia-indulto la Cancellieri è chiara: "Spetta al Parlamento la responsabilità di scegliere se ricorrere a quegli strumenti straordinari evocati dal Presidente della Repubblica e che certamente ci consentirebbero di rispondere in tempi certi e celeri alle sollecitazioni del Consiglio d’Europa". "Dopo dl 62mila detenuti e metà ingressi" - Facendo un bilancio degli esiti del decreto carceri varato a dicembre, il ministro ha parlato di "primi risultati incoraggianti". "Al 9 gennaio 2014 i detenuti in carcere erano 62.326, in progressivo decremento rispetto alla rilevazione del 4 dicembre 2013 quando il numero era di 64.056. Si registra inoltre un sostanziale dimezzamento degli ingressi mensili", ha spiegato. Verini (Pd): 2014 sarà anno riforma, anche per le carceri "Il 2014 potrebbe essere l’anno delle riforme: se è così, allora, senza più l’assillo delle leggi ad personam, non potrà mancare anche l’impegno decisivo per affrontare i temi reali del funzionamento della giustizia insieme a quello, disumano, del sovraffollamento delle carceri. Il Pd è pronto ad affrontare questo percorso con lo stesso impegno e la stessa volontà che hanno caratterizzato il lavoro di questi mesi di legislatura". Lo ha detto il capogruppo del Pd in commissione Giustizia, Walter Verini, intervenuto oggi in Aula dopo la relazione del ministro Cancellieri che Verini ha definito "realistica e corretta e che conferma l’esigenza, per certi aspetti drammatica, della riforma della Giustizia, indicando anche alcune strade da seguire". Verini ha spiegato che il Partito democratico è disponibile anche "a prevedere sessioni parlamentari specifiche, intense e con tempi certi, nelle quali discutere e approvare provvedimenti per la semplificazione del processo civile. Siamo pronti a continuare poi lungo la strada di deflazione del carico penale, di forme di depenalizzazione mirata e di semplificazione e di un nuovo sistema delle pene; ad affrontare i temi della modernizzazione e riorganizzazione degli Uffici Giudiziari, nell’ambito della riforma della geografia giudiziaria; a continuare a discutere e approvare temi che potranno rendere il nostro paese più europeo e più civile, dopo la legge contro l’omofobia ad esempio il divorzio-breve, le adozioni nazionali e internazionali, le misure di tutela dei minori. è necessario poi superare la vergogna del reato di clandestinità, le norme sbagliate della Fini-Giovanardi che non distinguono tra gli spacciatori e i ragazzini che si scambiano lo spinello. Siamo anche pronti, perché difendiamo rigorosamente l’indipendenza della magistratura, a discutere - insieme e non contro la stessa - forme più trasparenti di responsabilizzazione dei giudici, su cui il Pd ha presentato un serio progetto di legge. Siamo pronti ad avviare questo percorso, consapevoli che il 2014 può essere finalmente l’anno delle riforme", conclude. Morani (Pd): andare avanti più decisi su strada riforme "Siamo convinti che dobbiamo andare avanti con più determinazione sulla strada delle riforme, considerati i problemi gravissimi in cui versa la giustizia del nostro Paese. Riguardo al carico giudiziario, i cui numeri sono ancora impressionanti, ritengo che, sul piano penale soprattutto, si possano adottare alcune misure che consentano di ridurre il numero e la durata dei processi senza comprimere le garanzie della difesa e, tanto meno, diminuire la sicurezza dei cittadini". Lo afferma in una nota la deputata Alessia Morani, responsabile Giustizia del Partito democratico. "Penso al provvedimento sulla messa alla prova, - prosegue - alla sospensione del processo per gli irreperibili, alla riduzione dell’area penale, la cosiddetta depenalizzazione, a un nuovo e più efficace sistema delle pene, alla revisione della disciplina della prescrizione, delle nullità e delle notificazioni e ad una ristrutturazione del sistema delle impugnazioni nonché attraverso l’introduzione della particolare tenuità del fatto come causa di non punibilità". Morani quindi aggiunge: "Sul carico di giudizio civile, che è quello che pesa di più sulla nostra economia, riteniamo che gli interventi approvati siano ancora parziali e per questo vogliamo contribuire con le nostre proposte alla semplificazione del processo civile, con una revisione organica delle impugnazioni e attraverso il completamento del processo civile telematico". "Vengo al tema del carcere, che è il tema anche più sentito, - scrive Morani - consapevoli della condizione inumana in cui vivono i detenuti in alcune carceri del nostro Paese. Qualcuno prima di noi questa emergenza non l’ha affrontata, anzi ha generato leggi, come la ex Cirielli, la Fini-Giovanardi, che purtroppo hanno riempito le nostre carceri. Il Presidente Napolitano ha fatto bene con il suo messaggio alle Camere a invitarci a prendere in esame la questione carceraria. Il Partito Democratico ha scelto un approccio riformatore attraverso l’introduzione di alcune importanti novità, come la probation, la riforma della custodia cautelare, l’attenuazione degli aspetti della recidiva, l’introduzione di pene detentive non carcerarie, la depenalizzazione di alcuni reati di minore allarme sociale e la modifica della cosiddetta legge Fini Giovanardi, che non possiamo più rinviare per il numero altissimo di detenuti che abbiamo in carcere per colpa di questa legge". "L’aver scelto la via delle riforme piuttosto che quella dei provvedimenti di clemenza va nella direzione di una soluzione definitiva a questi problemi", conclude la responsabile Giustizia del Pd. Lumia (Pd): con misure alternative svolta storica "Siamo di fronte ad una scelta senza precedenti con un adeguamento del sistema delle pene e l’applicazione di misure alternative al carcere". Lo ha detto Giuseppe Lumia, capogruppo Pd in commissione Giustizia al Senato, nel corso della dichiarazione di voto per il gruppo Dem sul ddl in materia di pene detentive non carcerarie. "Finalmente il Parlamento volta pagina e la nostra Carta costituzionale viene pienamente applicata - ha spiegato - Si indica una nuova dimensione del sistema delle pene all’interno del quale alle pene principali (ergastolo e detenzione) viene aggiunta la reclusione domiciliare e l’arresto domiciliare, anche attraverso il braccialetto elettronico, per limitare un sovraffollamento incivile delle nostre carceri. Sono comunque esclusi i reati di grave allarme sociale, cosicché per le pene gravi resta il carcere severo e per i reati mafiosi il 41 bis, mentre per i reati lievi si potranno applicare pene non detentive e, per la prima volta, l’istituto della messa alla prova, che è già stato utilizzato nel settore minorile. In particolare, su quest’ultima misura è bene che venga applicata una sola volta e possa essere revocata". "Si tratta di una soluzione che nel suo complesso permette di tenere insieme sia la tutela della sicurezza e che la civiltà della pena - ha aggiunto - Riguardo poi alla depenalizzazione del reato di clandestinità, sul quale alcune forze politiche hanno sollevato polemiche strumentali, occorre sottolineare che un sistema democratico è forte quando è in grado di colpire i trafficanti che riducono in schiavitù altri esseri umani. E ‘questo fino ad ora non è avvenuto". "è evidente che - ha concluso Lumia - il sistema penale sanzionatorio non ha funzionato, relegando nei Cie esseri umani per lunghissimi periodi. Ora si volta pagina e dobbiamo dimostrare di saper amministrare meglio un problema complesso che riguarda la nostra società". Gozi (Pd): senza provvedimento clemenza si rischia illegalità "I passi avanti che stiamo finalmente compiendo in questo anno in materia di Giustizia, a partire dalla riforma della custodia cautelare sono importanti. La giustizia va riformata per garantire certezza della pena, certezza del recupero e depenalizzazione. Dobbiamo proseguire su questa strada e lavorare per una riforma profonda della giustizia italiana, tra le più condannate d’Europa, che comprende anche l’abolizione di leggi "carcerogene" come la Bossi Fini e la Fini-Giovanardi. Tutto questo però, come lo stesso ministro ha chiaramente affermato, vale per il futuro e non basta a far cessare le gravi violazioni dei diritti fondamentali per le quali l’Italia è stata pluricondannata e messa in mora. Senza un provvedimento mirato di amnistia e indulto - più volte sollecitato anche dal presidente della Repubblica Napolitano - da aggiungere alle riforme in corso non potremo rispettare la scadenza del 28 maggio. E rischiamo così di cominciare il semestre di presidenza italiana dell’Ue in questo stato di grave illegalità. Se vogliamo promuovere l’Europa dei diritti dobbiamo cominciare a rispettare i diritti riconosciuti dalla Costituzione e dalla convenzione europea dei diritti fondamentali in Italia". Cosi dichiara l’on. Sandro Gozi, Pd, Presidente della delegazione italiana al Consiglio d’Europa. Mazziotti (Sc): amnistia e indulto? solo per reati lievi "Io sarei favorevole a misure di clemenza coerenti con le modifiche strutturali che il parlamento ha approvato e sta approvando in materia penale. Penso a provvedimenti circoscritti alle condotte più lievi, ad es. i reati minori in materia di stupefacenti, per le quali le nuove norme tendono ad escludere o limitare il ricorso al carcere. Sono molto meno favorevole ad amnistia o indulto generalizzati". Lo ha dichiarato, intervistato da Radio Radicale, Andrea Mazziotti responsabile giustizia di Scelta Civica e membro della Commissione Affari Costituzionali. Leva (Pd): buona politica si riappropri di autonomia "Nel nostro Paese la legalità va rifondata e abbiamo bisogno di una buona politica, perché è la buona politica che fa la buona giustizia e non viceversa". Lo ha chiarito Danilo Leva del Pd, nel suo intervento oggi in aula a Montecitorio durante le comunicazioni del ministro Annamaria Cancellieri sull’ amministrazione della giustizia italiana. "In questi anni abbiamo sbagliato delegando la costruzione di un’idea di giustizia ai soli tribunali, dobbiamo riappropriarci della nostra autorevolezza e delle nostre autonomia", ha avvertito. Leva ha quindi posto l’accento sulla necessità di lavorare "nel solco delle riforme strutturali avviate, come la riforma della custodia cautelare, il decreto carceri. Ineludibile affrontare anche il tema del ricorso a un provvedimento straordinario di clemenza, è un nostro dovere innanzitutto morale", ha avvertito. Canzio: detenzione deve essere extrema ratio Presidente Corte Appello Milano, carcere non può essere unica misura, "Il carcere deve essere l’extrema ratio, non sta scritto da nessuna parte che l’unica misura deve essere il carcere". Lo ha affermato il presidente della Corte d’Appello di Milano, Giovanni Canzio, rispondendo ad una domanda dei cronisti in relazione ai lavori della commissione ministeriale per una riforma delle misure cautelari, a cui ha partecipato, assieme ad altri esperti, lo stesso Canzio. "Nel testo approvato dalla Camera che riprende alcune proposte della commissione a cui ho preso parte - ha spiegato Canzio, nel corso della presentazione del Bilancio della Corte d’Appello milanese - si è ridato spazio alle misure interdittive e si è reso più stringente l’obbligo di motivazione delle misure cautelari per coniugare la garanzia dell’Habeas Corpus con le esigenza della difesa sociale". Nessun "allentamento" da parte della giustizia, dunque, secondo Canzio, ma "un testo equilibrato per coniugare garanzie e esigenze di difesa sociale". Giustizia: svuota carceri, primo passo… detenzione domiciliare per pene fino a sei anni Il Manifesto, 22 gennaio 2014 Una delega al governo per ridisegnare il sistema delle pene e varare norme che pongano sollievo alla situazione di sovraffollamento della carceri italiane. È quanto contiene il disegno di legge sulle pene alternative approvato ieri dal Senato. Le pene diventerebbero: ergastolo, reclusione, reclusione domiciliare, arresto domiciliare, multa e ammenda. Per i reati per i quali è prevista la pena dell’arresto o della reclusione non superiore ai 3 anni si delega il governo a prevedere che questa possa essere sostituita dalla reclusione domiciliare o dall’arresto domiciliare, mentre per i delitti per i quali la condanna va dai3 ai5anni il governo dà la possibilità al giudice di decidere se applicare o meno la reclusione domiciliare. Non possono beneficiare delle misure alternative delinquenti abituali, professionali e per tendenza. Né chi non disponga di domicilio idoneo ad assicurarne la custodia. In caso di detenzione domiciliare, il giudice può prescrivere l’uso dei braccialetti elettronici o può applicare anche la sanzione del lavoro di pubblica utilità. Ma il testo approvato ieri in Senato dà la delega al governo anche a rivedere la disciplina sanzionatoria trasformando, ad esempio, in illeciti amministrativi i reati per i quali è prevista la sola pena della multa o dell’ammenda. Fanno eccezione reati che riguardano ambiente, salute, sicurezza sui luoghi di lavoro, sicurezza pubblica, edilizia, proprietà intellettuale, giochi d’azzardo-scommesse, elezioni e finanziamenti ai partiti. Per quanto riguarda la messa alla prova, si applicherà anche agli adulti una misura prevista da tempo per i minori che consiste nell’affidare l’imputato al servizio sociale per svolgere anche lavori di pubblica utilità e attività di volontariato non retribuiti. In tale fase si sospendono processo e prescrizione del reato. Se la misura si conclude con esito positivo, il giudice dichiara estinto il reato. "Il numero dei destinatari della norma - ha spiegato in mattinata il ministro della Giustizia Cancellieri - potrebbe essere di circa 4mila detenuti". Giustizia: liberazione anticipata "speciale" e detenuti domiciliari, eccezione di incostituzionalità La Sicilia, 22 gennaio 2014 "È incostituzionale non applicare il decreto svuota-carceri anche nei casi in cui si tratta la posizione di persone in detenzione domiciliare". A sostenerlo è l’avvocato penalista nisseno Giuseppe Dacquì, che ha sollevato un’eccezione di incostituzionalità davanti al Tribunale di Sorveglianza di Caltanissetta riguardo alla vicenda di un nisseno attualmente in detenzione domiciliare e che non ha ottenuto il beneficio della liberazione anticipata "speciale" Il decreto legge dello scorso 23 dicembre, infatti, esclude il beneficio della liberazione anticipata "speciale" per i condannati già ammessi alla detenzione domiciliare o all’affidamento in prova, ma questo, secondo il ricorso presentato dall’avvocato Dacquì al Tribunale di Sorveglianza, violerebbe l’articolo numero 3 della Costituzione, che stabilisce l’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge. "È evidente - ha sostenuto l’avv. Dacquì - la disparità di trattamento tra il condannato detenuto in carcere ed il condannato ammesso alla detenzione domiciliare o all’affidamento in prova. La liberazione anticipata speciale sarebbe in contrasto contro il principio di uguaglianza sancito dalla Costituzione. La stessa Corte costituzionale, in passato, ha equiparato lo status del condannato detenuto in carcere con quello del condannato ammesso alle misure alternative". Giustizia: Buemi (Psi); agevolare lavoro per i detenuti rispetta dettato costituzionale 9Colonne, 22 gennaio 2014 "È un passo importante da parte del governo accogliere gli ordini del giorno dei socialisti al ddl 925 sulle pene detentive in discussione oggi al Senato, che puntano ad agevolare le aziende private finalizzate ad attività produttive o di servizi all’interno e/o all’esterno degli istituti penitenziari, seppur non sia state accolte le stesse proposte in termini di emendamenti al provvedimento relativo alle "Pene detentive non carcerarie e messe alla prova". è quanto dichiara il senatore socialista Enrico Buemi, capogruppo Psi in Commissione giustizia "Con la nostra iniziativa abbiamo chiesto al governo di azzerare le aliquote della contribuzione per l’assicurazione previdenziale e assistenziale dovuta dalle cooperative sociali per la retribuzione corrisposta alle persone svantaggiate - continua Buemi - di prevedere agevolazioni fiscali per le aziende che svolgano questa attività; di affidare a persone giuridiche estranee all’amministrazione penitenziaria la qualificazione professionale; di concedere contributi per l’attuazione di progetti di formazione e inserimento lavorativo dei detenuti, consapevoli che l’attività lavorativa avrebbe un duplice effetto, produrre reddito e ridurre i costi di reinserimento dei detenuti nel modo economico legale." "Incentivare il lavoro nelle carceri significa recuperare la finalità rieducativa della pena - conclude il senatore socialista - costituzionalmente sancita è degno di un Paese civile e laico che superi il concetto di pena intesa come sanzione vendicativa e non come deterrente e azione rieducativa, preparando il reo al suo reinserimento nella vita sociale". Giustizia: Cirinnà (Pd) alla Cancellieri; mai più bambini in carcere, con legge su case-famiglia Agenparl, 22 gennaio 2014 "Nessun bambino deve varcare più le soglie del carcere, la ministra Cancellieri deve dire parole chiare sull’applicazione della legge che istituisce le case famiglie, entrata in vigore dal 1° gennaio e totalmente inattuata". Lo ha chiesto la sen. Monica Cirinnà intervenendo in aula nel corso del dibattito sull’informativa della ministra della Giustizia. "La cronaca di questi giorni - ha spiegato - che ha scosso l’Italia intera con la storia di Cocò ucciso a soli tre anni, vissuti in gran parte dietro le sbarre di una cella, è la lampante dimostrazione che quella dei bambini detenuti è una vera emergenza umanitaria e sulla quale in modo inspiegabili da mesi la ministra Cancellieri non dà risposte né in Commissione Giustizia né nell’aula del Senato, nonostante l’approvazione nella seduta del 28 novembre all’unanimità della mozione sui diritti dell’infanzia che testualmente recitava "s’impegna il governo a riconoscere i diritti dei bambini e delle bambine figli di madri private delle libertà, favorendo il soggiorno con le mamme fuori dalle strutture carcerarie, in case famiglia protette, come previsto dalla legge 62/2011". "Ad oggi - ha aggiunto - permangono nelle carceri italiane circa 50 bambini, per lo più figli di donne straniere, soprattutto rom senza fissa dimora. Non vorrei che fosse questa l’inconfessabile ragione per la quale non si interviene in maniera pronta ed incisiva per l’applicazione di una legge in vigore. Affinché la morte di Cocò non sia inutile abbiamo solo un’opportunità: fare in modo che le colpevoli disattenzioni dell’intera macchina della giustizia, dai servizi sociali alla Corte di Cassazione, non si ripetano più e che il Ministero identifichi e punisca i responsabili di tutte le omissioni relative a questa tragica vicenda che poteva essere evitata". "Sono mesi che la ministra Cancellieri mi risponde che non ha risorse per le case protette - ha concluso Cirinnà - so bene che la legge 62/2011 prevede la costruzione delle case protette senza spese per l’amministrazione pubblica, ma la stessa legge prevede corposi finanziamenti per la costruzione di nuove Icam (istituti di custodia attenuata per detenute madri). Mi domando allora perchè, sia alla Camera che al Senato, il governo ha respinto l’emendamento presentato dal Pd che stornava una parte di questi fondi, per altro ad oggi inutilizzati, per destinarli all’apertura di case-famiglia". Giustizia: il "tour" dell’Ugl parte da Torino, dopo l’omicidio-suicidio di un mese fa Asca, 22 gennaio 2014 Inizia proprio da Torino il tour dell’Ugl Polizia Penitenziaria che prevede la visita dei maggiori istituti di pena nazionali per verificare le condizioni di lavoro del personale della Polizia Penitenziaria. "L’Ugl in campo per dare voce agli eroi silenziosi, questo il motivo delle assemblee e delle visite", dichiara il segretario Nazionale Ugl Polizia Penitenziaria Giuseppe Moretti, ricordando che la tragedia di Torino, dove una guardia carceraria ha sparato a un ispettore togliendosi poi la vita, "deve far riflettere in molti su quali siano le reali condizioni di lavoro per il personale". "Un tema toccato e rilanciato con il personale è quello dello stress correlato da lavoro", aggiunge Luca Pantanella, Segretario generale Territoriale dell’Ugl, che con amarezza sottolinea "come dall’emanazione della legge 81/08 su questo tema, si sta andando esattamente all’opposto, in quanto si lavora di più e si guadagna meno visto il blocco economico che agisce sul comparto sicurezza, e quindi è normale che aumenta in maniera pericolosa lo stress". Governo affronti carenze Polizia penitenziaria "Apprendiamo con soddisfazione il riconoscimento del lavoro della Polizia Penitenziaria da parte del ministro Cancellieri ed auspichiamo che l’impegno ad affrontare le gravi carenze di organico e di risorse economiche si traduca presto in misure concrete". Lo dice il segretario nazionale dell’Ugl Polizia Penitenziaria, Giuseppe Moretti, oggi a Torino per l’iniziativa "L’Ugl in campo per dare voce agli eroi silenziosi", attraverso la quale la Federazione si propone di analizzare i problemi del personale e promuovere il benessere lavorativo. Per il sindacalista "il fatto che lo stesso ministro della Giustizia abbia parlato nella sua Relazione alla Camera di carenze di organico ci conforta, perché questa è una rivendicazione che, con dati alla mano, avanziamo da tempo e per la quale non abbia mai ricevuto riscontri". "Tanto per fare un esempio, aggiunge Moretti, nel carcere Lo Russo Cotogno di Torino operano poco più di 750 agenti a fronte di 1.480 detenuti. Ciò comporta che la turnazione del personale preveda otto ore giornaliere anziché sei, come da contratto, e che il ricorso allo straordinario sia quindi irrinunciabile. Questa condizione non solo genera molteplici difficoltà per il personale, a causa di un grave stress lavorativo, ma provoca anche scompensi all’organizzazione del lavoro che purtroppo si traducono spesso in avvenimenti tragici ed irreparabili, proprio come quello occorso qualche settimana fa a Torino, dove un collega ha prima affrontato un suo superiore uccidendolo e poi si è a sua volta tolto la vita". "Ciò che per noi conta davvero non è l’attuazione di modelli detentivi più aperti anziché più rigidi, o che si preferisca il deflazionamento delle carceri ad altri provvedimenti: l’importante - conclude il sindacalista - è che non continuino a ricadere sulle spalle della Polizia Penitenziaria scelte discutibili e sbagliate". Giustizia: Fns-Cisl; bene dichiarazioni ministro Cancellieri sulla Polizia penitenziaria Ansa, 22 gennaio 2014 "La Fns Cisl considera positivamente le dichiarazioni del Ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri, che oggi alla Camera ha denunciato la grave carenza di organico in cui versa la polizia penitenziaria". Lo dichiara in una nota Pompeo Mannone, segretario generale della Fns Cisl, la Federazione della Sicurezza della Cisl, commentando quanto detto dal Ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri in merito alla carenza di organico negli istituti penitenziari. "Finalmente il Ministro ha capito che la polizia penitenziaria vive negli istituti di pena una condizione pesante e non più gestibile - continua Mannone - una situazione che, data la carenza di unità, vede il personale farsi carico di massacranti doppi turni di lavoro. Di sicuro questa condizione mette a dura prova la capacità psico-fisica del personale che subisce sulla propria pelle i disagi complessivi di un ambiente spesso invivibile". "Ecco perché - conclude Mannone - per il ruolo che la polizia penitenziaria riveste nelle carceri, è necessario valorizzarne le tante professionalità con riconoscimenti giusti e specifici. speriamo che adesso dalle parole si passi ai fatti". Giustizia: sabato prossimo mobilitazione dei Radicali presso le Corti d’Appello di tutta Italia Notizie Radicali, 22 gennaio 2014 Associazioni radicali, dirigenti e militanti radicali presenzieranno pressoché in tutta Italia alle inaugurazioni dell’Anno Giudiziario che si terrà presso tutte le Corti d’Appello. Lo faranno sia partecipando alle cerimonie ufficiali con loro interventi, sia fuori con sit-in in cui esporranno striscioni e manifesti sull’Amnistia. L’obiettivo della campagna - che vede da anni in prima fila il leader Marco Pannella con i suoi prolungati scioperi della fame e della sete - è quello dell’"Amnistia per la Repubblica" per la fuoriuscita del nostro Stato dalla condizione indiscutibile e indiscussa di flagranza criminale per la sua reiterata, ultradecennale violazione di diritti umani fondamentali sanciti dalla Costituzione italiana e tutelati dalla Convenzione Europea sui diritti umani relativi al divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti e all’irragionevole durata dei processi (art. 3 e art. 6). La mobilitazione nazionale è in attuazione sia della Mozione approvata dal Congresso di Chianciano di Radicali italiani tenutosi a Novembre 2013, sia di quella approvata nello scorso fine settimana dal Comitato Nazionale. Le manifestazioni e gli interventi sono previste presso le Corti d’Appello di Torino, Milano, Brescia, Trieste, Venezia, Bologna, Genova, Firenze, Perugia, Roma, L’Aquila, Napoli, Salerno, Bari, Lecce, Potenza, Reggio Calabria, Catania, Palermo e Cagliari. Giustizia: Moretti (Ugl), governo affronti carenze polizia penitenziaria Adnkronos, 22 gennaio 2014 "Apprendiamo con soddisfazione il riconoscimento del lavoro della Polizia Penitenziaria da parte del ministro Cancellieri ed auspichiamo che l’impegno ad affrontare le gravi carenze di organico e di risorse economiche si traduca presto in misure concrete". È quanto afferma il segretario nazionale dell’Ugl Polizia Penitenziaria, Giuseppe Moretti, oggi a Torino per l’iniziativa "L’Ugl in campo per dare voce agli eroi silenziosi", attraverso la quale la Federazione si propone di analizzare i problemi del personale e promuovere il benessere lavorativo. Per il sindacalista, "il fatto che lo stesso ministro della Giustizia abbia parlato nella sua relazione alla Camera di carenze di organico ci conforta, perché questa è una rivendicazione che, con dati alla mano, avanziamo da tempo e per la quale non abbia mai ricevuto riscontri". "Tanto per fare un esempio -aggiunge Moretti- nel carcere "Lo Russo Cotugno" di Torino operano poco più di 750 agenti a fronte di 1.480 detenuti. Ciò comporta che la turnazione del personale preveda otto ore giornaliere anziché sei, come da contratto, e che il ricorso allo straordinario sia quindi irrinunciabile". "Questa condizione -rimarca Moretti- non solo genera molteplici difficoltà per il personale, a causa di un grave stress lavorativo, ma provoca anche scompensi all’organizzazione del lavoro che purtroppo si traducono spesso in avvenimenti tragici ed irreparabili, proprio come quello occorso qualche settimana fa a Torino, dove un collega ha prima affrontato un suo superiore uccidendolo e poi si è a sua volta tolto la vita". "Ciò che per noi conta davvero -conclude il sindacalista- non è l’attuazione di modelli detentivi più aperti anziché più rigidi, o che si preferisca il deflazionamento delle carceri ad altri provvedimenti: l’importante è che non continuino a ricadere sulle spalle della Polizia Penitenziaria scelte discutibili e sbagliate". Giustizia: "agibilità politica" quasi piena per Berlusconi affidato ai servizi sociali di Vittorio Nuti Il Sole 24 Ore, 22 gennaio 2014 Su quali spazi di manovra - o "agibilità politica" - potrà contare Silvio Berlusconi nei prossimi mesi, dopo l’accelerazione sulla riforma elettorale che rimette in agenda l’ipotesi urne? Una risposta certa si avrà solo il io aprile, quando il tribunale di sorveglianza di Milano deciderà sulla richiesta di affidamento in prova ai servizi sociali avanzata dall’ex premier dopo la condanna definitiva in Cassazione per frode fiscale sui diritti tv Mediaset. È bastata la fissazione dell’udienza per rilanciare gli interrogativi sull’attività politica del leader di Fi durante i mesi di possibile "affidamento". Il nodo sono le regole di condotta che il condannato Berlusconi sarebbe obbligato a rispettare: non tanto quelle cosiddette "positive" (luogo di dimora, contatti periodici con l’ufficio esecuzione, tempo per attività sociali), quanto quelle "negative". Parliamo di limitazioni alla libertà di movimento (divieto di frequentare certi luoghi o lasciare il Comune, rientro notturno), del divieto di svolgere certe attività o di frequentare pregiudicati o ambienti controindicati (come classificare un Cda se il reato all’origine della condanna è la frode fiscale?), perché possibile occasione di recidiva. Il reato è del tipo "colletti bianchi" e, ricorda un magistrato di un Tribunale di sorveglianza del nord Italia, "la situazione specifica del condannato Berlusconi costituisce un unicum nel panorama giuridico. È chiaro quindi che le prescrizioni dovranno essere particolarmente personalizzate rispetto ad altri casi ordinari", mentre una "interpretazione troppo severa metterebbe a rischio la frequentazione di particolari soggetti, luoghi o situazioni". Nessun problema invece per la partecipazione a comizi, lancio di appelli, e confronti pubblici, caratteristici di una campagna elettorale: durante l’affidamento tutto ciò che non è proibito è permesso, proprio per "mettere alla prova" il condannato. E poi, la pronuncia che ha chiuso la vicenda diritti Tv. Nell’ambiente dei tribunali di sorveglianza si è soliti dire che il punto di partenza per l’affidamento è sempre la sentenza, e in questo caso particolarmente negativa per Berlusconi. I giudici dovranno attenersi alla qualificazione giuridica e alle motivazioni della Cassazione, piuttosto pesanti nel definire i comportamenti di Berlusconi. In altre parole, spiegare il rigetto della richiesta è quasi più facile che accoglierla. "Una decisione è sicuramente complessa, essendoci seri argomenti giuridici sia a favore che contro", conclude un altro magistrato di sorveglianza. L’affidamento in prova (che Berlusconi si riserva comunque di accettare) non è comunque scontato, perché deve essere preceduto da un chiaro ravvedimento, nel caso specifico platealmente contraddetto dal fatto che il Cavaliere ha più volte sbandierato la propria estraneità ai fatti. Per dire, lo stesso atteggiamento da parte di alcuni condannati per i fatti di Genova ha valso loro il no all’affidamento nonostante avessero già intrapreso una sorta di progetto riparatorio rispetto ai fatti contestati. Alessandro de Federicis, del gruppo carceri delle Camere penali, sottolinea come l’obbligo di una "revisione critica" da parte del condannato sia ormai "una sorta di totem un po’ annacquato", che dovrebbe continuare ad avere uno spazio nel sistema italiano della probativo, "ma insieme ad altri fattori che possono egualmente confermare che il condannato in prova si asterrà da compiere altri reati". Nel caso di Berlusconi, "risulterebbe strano che il giudice ritenga il reato reiterabile", in presenza di un personaggio pubblico senza più la carica di senatore "e per il quale 0 carcere sarebbe una forzatura". Affidamento in prova e arresti domiciliari "sono ipotesi entrambe possibili", ma nel primo caso i "paletti" imposti a Berlusconi dovrebbero riconoscergli un’ampia autonomia di movimento e obbligo di dimora poco ferreo. Giustizia: il carcere duro che ha lasciato al boss solo le minacce di Francesco La Licata La Stampa, 22 gennaio 2014 Parafrasando lo splendido incipit del ritratto che Gianpaolo Pansa dedicò a Genco Russo, per descrivere il declino di don Totò Riina si potrebbe dire che "Il padrino tramonta" in uno squallido cortile del carcere di Opera, dove il "presidente onorario" di Cosa nostra - ormai costretto ad una recita solitaria - finge di essere ancora il dittatore della mafia, quasi volesse esorcizzare la triste realtà di uno stato di debilitazione provocato anche da un regime carcerario che gli ha tolto potere e sudditi. Pochi sanno, infatti, che - proprio per la sua condizione di supersorvegliato - don Totò ha dovuto subire anche l’umiliazione di essere più volte rifiutato come compagno di cella. Toppi controlli, l’incubo delle "cimici" che carpiscono ed ascoltano, il timore di dover condividere il trattamento speciale riservato allo stragista: tutti buoni motivi per evitare di finire a far compagnia a Riina. Per questo ‘u curtu sembra, oggi, ossessionato dall’esigenza di affermare un comando e un carisma che non esistono più. È stato sempre il suo chiodo fisso, il rifiuto di restare relegato all’angolo e considerato la più grande sventura che Cosa nostra abbia mai subìto. E così, come il segretario di un partito che ha perso per sempre le elezioni, fa comizi odiosi e velenosi, confessando i progetti cruenti, dedicati specialmente al pm Nino Di Matteo, che non esiterebbe a mettere in atto se ne avesse la possibilità. È dal 15 gennaio del 1993, data della sua controversa cattura, che Totò Riina cerca di sfuggire dalle maglie dell’isolamento per non perdere il contatto con la sua gente e coi suoi soldati, ormai dispersi e sbandati, alcuni addirittura transitati verso altri eserciti. Il carcere duro, il famigerato 41 bis, ha funzionato fino a un certo punto, fino a quando l’emergenza mafiosa seminava il panico e legittimava le maniere forti. Funzionò fino a quando restarono operative Pianosa e l’Asinara che - non a caso - erano considerate le "fabbriche dei pentiti", luoghi talmente "scomodi" da indurre alla collaborazione anche i più irriducibili. In quelle isole Riina (e non solo lui) era davvero tagliato fuori, monitorato notte e giorno da una telecamera che lo seguiva anche in bagno e che necessitava di una luce artificiale, per tutte le 24 ore. Scambiava l’alba per il tramonto, don Totò, e perdeva contatto col mondo, salvo i rari incontri con l’adorata Ninetta che gli portava notizie dei figli ormai cresciuti: le femmine in via di sistemazione e i maschi, purtroppo, in carcere anche loro. Fu, quello, un momento di grande silenzio. Poi sopraggiunse la necessità di uniformare il 41 bis ai dettami costituzionali e si aprirono le maglie. Il diritto di presenziare alle udienze dei suoi processi portarono don Totò in giro per l’Italia e gli consentirono di "comunicare" con l’esterno. Dalle gabbie dei tribunali, a modo suo, pensava di intimidire, ricattare e minacciare. Recitò la parte di vittima dei comunisti e della magistratura: "A me mi hanno rovinato Casella, Violanti e Allacchia". Poi, entrato nella vicenda della trattativa tra Stato e mafia, non gli è parso vero di poter depistare: "Chiedetelo a loro (allo Stato, ndr) chi ha ucciso Borsellino. Io servizi segreti non li ho mai visti, altrimenti non mi chiamerei Riina". Ma tutta questa drammaturgia non gli è servita: la sua partita Riina l’ha persa quando ha trascinato Cosa nostra nello stragismo, provocando la frattura persino col suo vecchio sodale, Bernardo Provenzano, divenuto il leader della corrente dei moderati e quindi opposta a don Totò. Da quel momento ha cercato di giocarsi la carta della "riabilitazione " e della riconquista del carisma. Sapendo di essere intercettato, ha recitato la parte del capo saggio. Ha consigliato al figlio, ergastolano come lui, di accettare il triste destino e si accredita come una "persona tranquilla". "Noi - dice - siamo di Corleone. Io mi sento in forma, tuo papà è un fenomeno, un giovanotto, un padre che non ce n’è sulla terra". E della moglie: "Un gioiello, Giovà, è tua madre". Tra tanta scena, non tralascia la captatio benevolentiae verso le istituzioni: "Napolitano non deve andare a testimoniare" e "Tutte fasulle le accuse a Berlusconi, perché se doveva fare un accordo non lo faceva coi Graviano ma lo faceva con me che sono il capo". Questo gli interessa, far credere di non essere decaduto. Lettere: c’è urgenza e necessità di cambiare il carcere di Vincenzo Andraous Ristretti Orizzonti, 24 gennaio 2014 Leggo di tante menti alte che offrono il fianco a ogni causa nobile e giusta, quando c’è di mezzo il carcere, penso che occorra avere rispetto per le vittime del reato, ma anche per il cittadino detenuto. Indipendentemente dalle strumentalizzazioni, dalle speculazioni, dalle pance bene pizzicate, questa marmellata di parole e pronunciamenti, non è di oggi, né di ieri, ma dell’altro ieri. Allora perché un Governo dovrebbe accettare un’eredità imposta e non condivisa? Perché dovrebbe sopportare un nodo storico che non le appartiene, legando a propria volta una zavorra che la sua antitesi politica non ha voluto impegnarsi a sciogliere. Di certo si potrà obiettare che impedimenti di ordine tecnico e giuridico hanno fatto si che tale argomento restasse a mezz’aria. Sta di fatto che ora il fardello è rimpallato a destra, a sinistra, di volta in volta rinculando senza alcun gioco di sponda. Ecco perchè Le scrivo caro Presidente, vorrei dirLe che davvero gli uomini cambiano, perché davvero l’uomo della pena non è più l’uomo della condanna: nonostante il carcere mantenga perversamente il suo meccanismo di deresponsabilizzazione e infantilizzazione, di maggior riproduttore di sottocultura. In questa condanna alla condanna, ci sono attimi che attraversano l’esistenza dell’uomo detenuto, e proprio nel sapere, nella ricerca della propria dignità, nasce l’esigenza di un’autoliberazione possibile e non più prorogabile. La vita, anche all’interno di una prigione, può riservare incontri con te stesso e con gli altri, che disotturano le intercapedini dell’anima: le visioni unidimensionali, gli assoluti, i vicoli ciechi si sgretolano, i dis-valori di un tempo si accasciano nei valori che sono venuti avanti. Allora l’uomo che convive con la propria pena, coglie il senso di ciò che si porta dentro, il peso del dramma, quel bagaglio personale come non è possibile immaginare. Venti, trenta, quarant’anni di carcere demoliscono certezze e ideologie, rendono l’uomo invisibile a tal punto da risultare difficile dialogare con un’identità scomposta, che occorre ritrovare e ricostruire, unicamente insieme agli altri. Caro Presidente, chi sbaglia e paga (assai meglio sarebbe ripara), il suo debito con la collettività con decenni di carcere, attraversa davvero tempi e contesti di un lungo viaggio di ritorno, lento e sottocarico. Non c’è più l’uomo sconosciuto a se stesso, ma qualcuno che tenta di riparare al male fatto, con una dignità ritrovata, accorciando le distanze tra una giusta e doverosa esigenza di giustizia per chi è stato offeso, quella società che è tale perché offre, a chi è protagonista della propria rinascita, opportunità di riscatto e di riconciliazione. Lei ha parlato con lo sguardo in alto del fallimento e dell’ingiustizia in cui versa il carcere italiano, ritengo sia stato un atto doveroso il Suo, che non Le porterà voti o ulteriori consensi, un atto coraggioso oltre che giusto, soprattutto per la ricerca ostinata di una Giustizia giusta perchè equa, che comprenda un granello di pietà, perché la pietà non è un atto di debolezza. Penso ai tanti uomini che in un carcere sopravvivono a se stessi, inchiodati alle loro storie anonime, blindate, dimenticate. Non esiste amnistia, indulto, sanatoria d’accatto, per il detenuto, non esistono slanci in avanti utopistici, esistono solamente uomini sconfitti, perché in un carcere non sopravvivono miti vincenti, ma esistenze sconfitte dal tempo e dalle miserie che ci portiamo addosso. Caro Presidente, in conclusione che dirLe ancora, se non che quando il carcere è allo stremo fino al punto di uccidere, è un carcere senza scopo né utilità, forse c’è davvero bisogno di cambiarlo, non cancellarlo, ma neppure mantenerlo così com’è. C’è urgenza e necessità di un nuovo percorso penitenziario che sappia finalmente scegliere fra tanti dubbi, un progetto significativo su cui giocarsi un pezzo di vita, per il bene di tutti, società libera e cittadini detenuti. Lazio: "Semi di libertà", un progetto-pilota dell’Istituto Agrario di Roma Dire, 22 gennaio 2014 "I detenuti hanno bisogno di fare un percorso di umanizzazione e insieme di responsabilizzazione. Allora, proprio in questa ottica, penso che "Semi di libertà", il progetto pilota messo in piedi dall’Istituto Agrario di Roma Emilio Sereni, offra a chi è in carcere un’opportunità bellissima: quella di rimettersi in gioco grazie ad una reale possibilità lavorativa". Lo dice Maria Claudia Di Paolo, provveditore regionale dell’Amministrazione Penitenziaria del Lazio, intervenendo al convegno "Violenza e minori. Prevenzione e recupero nella scuola e nel lavoro", organizzato dall’Istituto agrario romano "Emilio Sereni", in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione, il Ministero della Giustizia, la fondazione Lions International, l’Arsial - Regione Lazio e l’Istituto di Ortofonologia. "Siamo orgogliosi di questo progetto, che vedrà - spiega il provveditore regionale - un gruppo ristretto di detenuti lavorare accanto a giovani studenti, esperti della materia, per creare un piccolo birrificio. Ci auguriamo tutti che questa esperienza venga poi messa a sistema". Di Paolo ha quindi parlato del carcere, "un mondo di separatezza - ha detto - non sempre raccontato dai media nel modo giusto. E se da una parte c’è questa difficoltà nel descrivere cosa accade veramente dentro a un penitenziario, dall’altra c’è l’Europa che, tirandoci per le orecchie, ci chiede di umanizzare la pena o di ridurre il sovraffollamento". Una battuta, infine, anche sugli operatori penitenziari: "Loro-ha concluso- sono chiamati a svolgere un compito molto difficile, quasi impossibile, che è quello suggerito dalla Costituzione: punire chi ha infranto un patto sociale, facendogli scontare la pena, ma allo stesso tempo rieducarlo". Bologna: Uil-Pa; detenuto nigeriano di 37 anni muore alla Dozza, probabile un infarto Ristretti Orizzonti, 22 gennaio 2014 Un detenuto nigeriano di 37 anni è morto nel carcere della Dozza di Bologna, probabilmente d’infarto. A darne notizia il Coordinatore Provinciale della Uil Penitenziari di Bologna Domenico Maldarizzi. Il corpo senza vita di N.U., nigeriano di 37 anni, appellante per i reati di cui all'art.73 e 80 DPR 309/90, continua Maldarizzi, è stato scoperto questa mattina da un Agente di Polizia Penitenziaria che, appena accortosi dell’accaduto, ha subito avvisato il sanitario di turno, che ha avviato le procedure d’urgenza con l'intervento del 118 che non ha potuto far altro che constatare il decesso. Sarebbe un errore rubricare "morte per malattia" il decesso di quest’uomo – afferma Domenico Maldarizzi - perché il problema è il contesto in cui è avvenuta. Al carcere della Dozza, su una capienza regolare di 500 detenuti ad oggi ne sono ristretti circa 900. Al 31 dicembre del 2013 nelle 203 strutture penitenziarie per adulti erano ristrette 62.536 (59.842 uomini e 2.694 donne) persone a fronte delle 65.701 (62.897 uomini e 2.804 donne) detenute alla stessa data del 2012. Oltre al calo delle presenze complessive, afferma il sindacalista della Uil Penitenziari, il 2013 fa registrare importanti e generalizzate diminuzioni degli eventi critici più significativi. Un segnale incoraggiante che premia i sacrifici e la professionalità del personale impegnato nelle frontiere penitenziarie, ma che è anche conseguenza di scelte intelligenti operate dai vertici del Dap. L’auspicio, conclude Maldarizzi, è che il Governo, Cancellieri in testa, ma il Parlamento, lavorino per sostenere lo sforzo organizzativo ed innovativo posto in campo dall’Amministrazione Penitenziaria garantendo mezzi e risorse idonee oltre a mettere in campo misure concrete (strutturali, giuridiche e organizzative) per garantire un trattamento dignitoso e rispettoso della persona in regime carcerario. Venezia: Marin (Ucpi); le condanne più dure sono inutili, serve maggiore prevenzione di Annamaria Bacchin Il Gazzettino, 22 gennaio 2014 La responsabile della commissione carceri di Venezia, Annamaria Marin: "È più utile lavorare sulle misure alternative alla cella". "La maggiore severità delle pene che dà voce a paura e allarme sociale rispetto ai reati contro la persona non corrisponde all’obiettivo di un trattamento penitenziario dei condannati più idoneo a prevenire ulteriori reati della stessa specie". Lo afferma Annamaria Marin, avvocato, componente del Consiglio direttivo e responsabile della commissione carceri della Camera Penale veneziana. "Non è la condanna più severa lo strumento per la diffusione di una cultura dell’antiviolenza e dell’integrazione. Servirebbero interventi di prevenzione generale". Quanto i media possono incidere sull’opinione diffusa che si muove verso l’inasprimento delle pene? "Tv e giornali puntano giustamente i riflettori sui reati compiuti contro donne, omosessuali e immigrati. Ma ciò che manca è la capacità di promuovere una consapevolezza che vada al di là del dato di cronaca giudiziaria, per aiutarci a capire le ragioni di questi reati; per entrare, quindi, nelle complesse problematiche della violenza domestica e nelle relazioni tra partner, dei reati contro i "diversi", omosessuali o stranieri che siano, fornendo anche dati frutto di studi criminologici, sociologici e altro, per una riflessione più approfondita". Ma si dovrebbero davvero aumentare gli anni di carcere? "Le pene che in Italia puniscono questi gravi reati sono già molto pesanti anche in paragone alle pene previste negli altri Paesi dell’Unione Europea. Ripetutamente la politica ha risposto alla richiesta di giustizia su questi temi semplicemente con l’inasprimento delle pene, con pressoché nulla capacità dissuasiva. Continua, invece, a mancare un serio impegno sul fronte della realizzazione di politiche penitenziarie che diano effettiva attuazione alla previsione dell’articolo 27 della Costituzione, che impegna lo Stato a perseguire, attraverso la pena, non certo la mera privazione della libertà personale, bensì la rieducazione degli autori di reati. Un principio che trova ostacolo innanzitutto nella condizione di sovraffollamento dei nostri istituti penitenziari e nella carenza di progetti di recupero mirato come per i cosiddetti sex offendere che, dove applicato (ad esempio nel carcere di Bollate - Milano), ha consentito praticamente di azzerare la recidiva". Le misure alternative come migliore deterrente per prevenire la ricaduta nel reato? "Da tempo i dati ufficiali - del ministero della Giustizia e del dipartimento per l’Amministrazione penitenziaria - dimostrano che gli ex detenuti tornano a delinquere in percentuale assai più ridotta se hanno espiato la pena attraverso una misura alternativa alla detenzione, rispetto a coloro che hanno scontato l’intera pena in carcere". E il decreto "svuota carceri" come si inserisce in questo progetto di rieducazione del detenuto? "Potrebbe costituire un primo passo in un’ottica di intervento strutturale, tuttavia non consentirà di cogliere migliori risultati se non sarà accompagnato da una riduzione del sovraffollamento - come l’Europa ha chiesto all’Italia, già condannata a ristabilire entro il maggio 2014 condizioni dignitose per i detenuti - e dei relativi costi di mantenimento dei penitenziari attraverso provvedimenti di clemenza quali amnistia e indulto, a cui il nostro Parlamento è stato più volte richiamato anche dal Presidente della Repubblica; così come da un potenziamento di "uomini e mezzi": educatori e assistenti sociali, progetti per il lavoro ai condannati, implementazione delle misure alternative al carcere". Roma: a Rebibbia ci sono 1.762 detenuti, in spazi in grado di alloggiarne 1.250 Prima Pagina News, 22 gennaio 2014 A Rebibbia ci sono 1.762 detenuti, in spazi in grado di alloggiarne 1.250, 650 agenti in organico a fronte di un’esigenza di almeno 900 uomini. Basterebbero solo queste due cifre per rendere evidente la situazione di grave sovraffollamento di Rebibbia Nuovo complesso, e sottoscrivere in pieno il monito lanciato dalla Ministra Cancellieri sulla necessità di accelerare i tempi per sfollare le carceri e far diminuire il numero di suicidi dietro le sbarre". Marta Bonafoni, consigliera del gruppo Per il Lazio, ha visitato nei giorni scorsi l’istituto carcerario di Roma, dove appena due settimana fa, lo scorso 5 gennaio un detenuto di 52 anni si è suicidato, primo nel Lazio e secondo in Italia dall’inizio del 2014. "La situazione di sovraffollamento a Rebibbia è evidente anche solo camminando nei vari reparti del carcere. Particolarmente acuta quella che nelle ex sale ping-pong, trasformate in dormitori dove, 13 detenuti sono costretti ad una convivenza ai limiti della dignità umana. Anche i servizi igienici risentono degli effetti del sovra utilizzo, dalle latrine alle docce i detenuti ci hanno raccontato che gli piove in testa e i muri sono letteralmente mangiati dall’umidità. Molto delicata anche la situazione sanitaria. Pur in presenza di un reparto ambulatoriale di eccellenza e di un personale medico e infermieristico di alta professionalità, come testimoniato dagli addetti ai lavori - i servizi sono inadeguati a garantire un’adeguata assistenza ai detenuti. Mancano tra gli altri, psichiatri e psicologi: figure fondamentali all’interno degli istituti di pena. Occorre accelerare ogni procedimento capace di svuotare le carceri, a cominciare dai detenuti in attesa di giudizio, dagli stranieri reclusi per effetti della legge Bossi - Fini e dai tossicodipendenti vittime della "indegna" legge Fini-Giovanardi". "Di sicuro - afferma la consigliera - non è garantito il diritto alla salute per quelli che sono, prima che reclusi, cittadini del nostro Paese. Nella nostra regione come denunciato dal Garante dei detenuti Angiolo Marroni, la diminuzione del sovraffollamento conseguente al Decreto Cancellieri, procede più lentamente che nelle altre regioni d’Italia, e nel frattempo drammaticamente detenuti più deboli e soli decidono di non poter proseguire oltre con la vita dietro le sbarre. Viterbo: l’Ufficio per la giustizia riparativa sarà allestito con il contributo dei detenuti New Tuscia, 22 gennaio 2014 Il presidente della Provincia Marcello Meroi ha incontrato nella giornata di lunedì 20 gennaio i vertici del Provveditorato dell’Amministrazione Penitenziaria del Lazio, nella persona del provveditore Maria Claudia Di Paolo, unitamente al direttore della casa circondariale di Viterbo Teresa Mascolo e agli operatori del settore educativo e di polizia penitenziaria. Oggetto dell’incontro l’istituzione di un Ufficio di Giustizia Riparativa e di Mediazione Penale e Sociale sul territorio provinciale, e le modalità di collaborazione che fa seguito al protocollo d’intesa fra la Provincia ed il Dap sottoscritto nel novembre del 2012. Attraverso l’istituzione di questo ufficio, attivato in fase sperimentale grazie ad un finanziamento della Regione Lazio, la Provincia di Viterbo, settore Politiche Sociali, promuove la ricerca di soluzioni che possano favorire la conciliazione sia in ambito penale che civile e sociale. L’obiettivo di fondo è quello di attivare percorsi di giustizia riparativa e di mediazione penale per i soggetti in esecuzione di pena che abbiano maturato un senso di responsabilità e una consapevolezza del danno arrecato alle vittime del proprio reato, ai loro familiari e alla comunità civile. Allo stesso tempo l’Ufficio si propone anche la ricerca di soluzioni conciliative nel superamento di piccole e grandi conflittualità che possano presentarsi in ambito scolastico, urbano, familiare o di vicinato. Un servizio che potrebbe anche rivelarsi essenziale per prevenire determinate controversie, intervenendo laddove si dovessero riscontrare liti facilmente risolvibili prima che possano finire in Tribunale. La Provincia metterà a disposizione propri locali che saranno adibiti per le attività dell’Ufficio individuati all’interno di Palazzo Gentili. Il Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria ha manifestato in proposito la possibilità di far svolgere i necessari lavori di ristrutturazione ad un gruppo di detenuti. Proposta che la Provincia ha accolto molto favorevolmente. L’istituzione dell’Ufficio di Giustizia Riparativa e Mediazione Penale e Sociale è infatti un progetto che la Provincia ha sostenuto sin dall’inizio in considerazione dei molteplici impatti positivi che può produrre nei vari ambiti d’intervento. "Impatti che - spiega il presidente Meroi - si concretizzeranno soprattutto su un più agile lavoro dei tribunali, sempre più intasati da controversie giudiziarie che potrebbero facilmente essere risolte con il ricorso alla giustizia riparativa ed alla mediazione. La Provincia intende mettere a disposizione degli operatori idonee strutture dove poter svolgere efficacemente le varie attività. A tale scopo abbiamo individuato insieme al Dap alcuni locali all’interno del nostro Ente, distaccati però dagli altri uffici della pubblica amministrazione, in grado così di garantire quel diritto alla riservatezza per i soggetti che vi dovranno accedere, siano essi autori o vittime di reati". L’Ufficio da un lato consente un maggiore ricorso alla giustizia riparativa per risolvere e spesso prevenire i conflitti fra soggetti; dall’altro, attraverso il ricorso alla mediazione in ambito penale, punta a far maturare nell’autore di un reato la piena consapevolezza di aver commesso un errore, mediando con la vittima eventuali soluzioni riparative, non soltanto in ambito economico, ma anche e soprattutto simbolico. Da parte di tutti si è convenuto sull’importanza di impiegare i detenuti nei lavori di ristrutturazione dei locali che saranno adibiti alle suddette attività. Si tratterebbe anche in questo caso di un gesto dall’alto valore simbolico . Proprio i detenuti, infatti, prestando la loro opera, renderebbero concreta la possibilità di usufruire di questo servizio, facendo maturare in loro la consapevolezza di essere utili alla società e di poter svolgere attività riparative nei confronti della società Lodi: "la direttrice del carcere non ci rispetta", gli agenti chiedono che venga sostituita di Tiziano Troianello Il Giorno, 22 gennaio 2014 Gli agenti della Polizia penitenziaria del carcere di Lodi chiedono l’avvicendamento del direttore Stefania Mussio. Con una lettera sottoscritta dai rappresentanti delle sigle sindacali Sappe, Uil-Pa Penitenziaria e Ugl Polizia Penitenziaria e indirizzata al provveditore regionale dell’Amministrazione Penitenziaria (e per conoscenza al prefetto, al questore e al sindaco di Lodi), snocciolano 28 contestazioni. "Il direttore della Casa circondariale - arrivano a concludere i lavoratori -, non ha alcuna intenzione di tenere corrette relazioni sindacali, non persegue in alcun modo il benessere del personale, non si preoccupa delle condizioni lavorative "abusando del mezzo disciplinare", preoccupandosi soprattutto di gestire (da alcuni anni) una alquanto "discutibile" produzione continua di dolciumi preparati nella cucina detenuti e venduti a nome della Casa Circondariale di Lodi da ristretti in articolo 21 O.P.-Ordinamento penitenziario (norma che regola il lavoro esterno, ndr), in occasione del mercato settimanale cittadino, nel Palazzo della Provincia, agli incontri dell’Ordine degli avvocati e in altri eventi, con incassi di svariate migliaia di euro l’anno". "A tutt’oggi - aggiungono - non conosciamo la titolarità dell’associazione di volontariato che gestisce tali introiti e per quali finalità vengano impiegati, ed inoltre, se sia autorizzata l’automobile di servizio (regolarmente impiegata) per il trasporto dei dolciumi e della bancarella per il raggiungimento dei siti di vendita". Il personale di Polizia penitenziaria sottolinea che i problemi "perdurano da 7 anni". La prima contestazione che viene mossa all’attuale direttore è la "mancanza di rispetto nei riscontri alle note nonché alle prerogative sindacali contrattualmente previste". Inoltre viene criticata la "mancanza di informazione ed esame sull’organizzazione del lavoro", "il Protocollo d’intesa locale ancora non sottoscritto nonostante l’intimazione della Commissione Arbitrale Regionale a definirlo entro il 31 dicembre 2012", "i turni di servizio della sezione Olmo", "interpretazioni errate delle varie circolari dipartimentali e provveditoriali". "Le tessere di riconoscimento della Polizia penitenziaria sono scadute e non rinnovate - denunciano ancora le organizzazioni sindacali -. Manca un regolamento interno, c’è disorganizzazione nella gestione del personale e dell’Istituto, gli ordini di servizio non corrispondono alla realtà strutturale dell’Istituto, con conseguente aggravio di lavoro a carico della Polizia Penitenziaria ed in alcuni casi palesemente illegittimi. La cosiddetta "vigilanza dinamica" e la realizzazione dei circuiti regionali, sono stati gestiti autonomamente dal direttore senza alcun coinvolgimento delle organizzazioni sindacali". Sotto accusa anche la "gestione delle ferie d’ufficio senza rispettare le direttive Prap (Provveditorato regionale Amministrazione penitenziaria) con anche 11 unità al giorno in ferie e con la conseguenza di soppressione di riposi, accumulo di lavoro a carico del personale in servizio e turni che hanno superato le 12 ore di servizio", "piantonamenti effettuati anche con una sola unità e senza la possibilità di fruire dei pasti", "carichi di lavoro e di responsabilità che superano qualsiasi soglia di tollerabilità", "carenze igieniche in sezione, poiché due cani donati all’Istituto sono sovente ricoverati nella sezione "Olmo" nelle ore diurne e spesso anche in quelle notturne notturne e lì (oltre ad essere luogo non idoneo) producono i loro escrementi sul pavimento". "Anche il direttore - aggiungono - porta il proprio cane con sé al lavoro e lo lascia libero di girare per gli uffici". Ragusa: detenuti faranno da guida turistica, illustreranno bellezze del complesso monumentale di Rosalba Panvini La Sicilia, 22 gennaio 2014 Per decenni il carcere lo ha tenuto in gabbia: prima ha fisicamente assorbito, ingoiato, occultato le colonne tortili del chiostro, relegando il cortile all’ora d’aria dei detenuti; poi, per ragioni di sicurezza, lo ha condannato all’oblio, nascosto alla vista e allo stupore del pubblico. Il lieto fine della paradossale vicenda del complesso monumentale di Santa Maria del Gesù potrebbe ora arrivare grazie al piglio di due donne, la direttrice del carcere di Modica Giovanna Maltese e la soprintendente ai Beni culturali Rosalba Panvini, che hanno deciso di fare di necessità virtù: il monumento aprirà e ad aprirlo saranno proprio i carcerati, che si trasformeranno in provette guide turistiche. Un progetto di questo tipo sarebbe il primo in Italia. "Abbiamo pensato - spiega la Panvini - di addestrare i detenuti, facendo in modo che i funzionari della Soprintendenza e l’ordine degli architetti si assumano l’onere di tenere lezioni sulla storia e le caratteristiche del bene monumentale. In questo modo potranno essere loro stessi a guidare i visitatori e noi potremo finalmente aprire questo prezioso bene al pubblico". La chiesa e il chiostro di Santa Maria del Gesù, datati 1478, sono tra le poche testimonianze dell’intero Sud Est siciliano preesistenti non solo al terremoto del 1693. Com’è noto, nel 1865, dopo l’Unità d’Italia, il convento fu sottratto al patrimonio ecclesiastico e destinato a diventare carcere del Regno: da allora nessuno vi ha messo più piede fino al giorno dell’inaugurazione, nell’aprile 2011, dopo il lungo restauro finanziato dalla 433/91. Da ormai quasi tre anni, però, le porte del chiostro rimangono ugualmente chiuse: stando alle carte, infatti, il bene appartiene al demanio dello Stato, che non si è ancora deciso a trasferirlo nella disponibilità della Regione. Per questo nessuno - Regione, Soprintendenza, Comune - ha potuto prendersi la briga di aprirlo e gestirlo. "Il progetto che abbiamo presentato alla Cassa delle ammende per il finanziamento - spiega la direttrice del carcere Giovanna Maltese - è molto ampio e include la possibilità che i detenuti imparino anche a produrre e vendere prodotti tipici, come il miele e il cioccolato. In questo modo qui nascerebbe un grande polo turistico. Naturalmente la possibilità che il progetto venga approvato è legata anche alle opportunità di reinserimento lavorativo dei detenuti fuori delle mura del carcere: per questo pensiamo alla costituzione di una vera e propria cooperativa. Se i finanziamenti non dovessero arrivare, o nell’attesa che arrivino, stiamo già collaborando con il centro territoriale permanente della scuola Giovanni XXIII e abbiamo contatti con il consorzio degli operatori turistici, che potrebbe coprire alcune spese: difatti i detenuti stanno già frequentando un corso sui beni culturali e la settimana prossima faranno i rilievi fotografici e planimetrici del sito, in modo che presto potranno addirittura produrre una brochure dedicata a Santa Maria del Gesù". Roma: si uccide gettandosi dalla finestra all’arrivo della polizia che voleva arrestarlo Agi, 22 gennaio 2014 Un’inchiesta per chiarire la vicenda del suicidio di Giuseppe Cristarelli, imprenditore napoletano di 43 anni, è stata avviata dalla Procura di Roma. L’imprenditore si è ucciso mercoledì mattina: all’arrivo della polizia che avrebbe dovuto arrestarlo su ordine della Direzione distrettuale antimafia di Napoli, si è lanciato da una finestra al quarto piano della propria abitazione. È avvenuto in via Banti, a Collina Fleming, nella Capitale. Cristarelli - finito nell’inchiesta della Dia sugli affari del clan Contini, sfociata in 90 arresti di cui 22 nella Capitale - alla notifica dell’ordine di custodia in carcere, avrebbe detto di sentirsi male - all’arrivo degli agenti c’erano stati momenti di tensione ma successivamente Cristarelli si era calmato. Quindi avrebbe chiesto di poter prendere un bicchiere d’acqua e poi si sarebbe lanciato nel vuoto da una finestra. Gli inquirenti hanno già ascoltato i familiari dell’imprenditore che si trovavano nell’appartamento al momento del suicidio avvenuto. Nei prossimi giorni verranno ascoltati gli agenti che stavano eseguendo l’ordinanza di custodia cautelare. In Procura si attende la relazione della squadra mobile di Roma mentre è già stata disposta l’autopsia. Piacenza: detenuto compie gesti autolesionismo, tagliandosi in più parti del corpo Tm News, 22 gennaio 2014 Ancora un grave episodio vede protagoniste le carceri italiane, stavolta si tratta di Piacenza, dove - rendono noto Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe e Francesco Campobasso, segretario regionale - ieri sera, verso le 21, un detenuto straniero ha compiuto gesti di autolesionismo, tagliandosi in più parti del corpo. Dopo essere rientrato dall’ospedale, verso la mezzanotte, l’uomo ha distrutto tutti i suppellettili della cella. Solo grazie al successivo intervento della polizia penitenziaria si è riusciti a riportare il detenuto alla calma. "Questi fatti - spiegano Durante e Campobasso - seguono quelli ancora più gravi della scorsa settimana e, ormai, si ripetono quasi quotidianamente, mettendo a dura prova il personale di polizia penitenziaria. Sarebbe opportuno un autorevole intervento dei vertici dell’amministrazione per trovare adeguate soluzioni che ripristinino a Piacenza condizioni di normalità". Monza: Osapp; tre agenti aggrediti da detenuto egiziano con problemi psichiatrici Ansa, 22 gennaio 2014 Un detenuto egiziano, ricoverato nel Reparto di Osservazione psichiatrica della Casa Circondariale di Monza ha aggredito tre agenti della Polizia Penitenziaria con calci e pugni mandandoli in ospedale. Ne dà notizia il sindacato della Polizia penitenziaria Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria) che dopo l’episodio ha chiesto un intervento urgente del Provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria per la Lombardia. A due degli agenti - spiega il segretario dell’Osapp Lombardia. Giuseppe Bolena - è stata riconosciuta dal nosocomio San Gerardo di Monza ben 10 giorni di prognosi mentre al terzo una prognosi di 15 giorni. Il detenuto, che proveniva da un altro istituto lombardo, con evidenti problemi psichici, nei giorni precedenti aveva insultato gli agenti in servizio, lanciando loro le proprie urine mentre era sorvegliato a vista, in considerazione dei suoi problemi. "La situazione del Reparto Psichiatrico dell’istituto monzese è diventata insostenibile per il personale di Polizia Penitenziaria - scrive Bolena - in considerazione al fatto che non sono nuovi eventi di questo tipo. Questo reparto del carcere di Monza è giudicato da questa Organizzazione Sindacale, inadeguato, in quanto si tratta di normalissime celle, che non sono adatte ai detenuti con problemi mentali. Tale non conformità dei locali, ricade inevitabilmente sul personale che vi opera all’interno di queste sezioni". Il detenuto risulta ora ricoverato nel reparto psichiatrico cd Villa Serena dell’ospedale San Gerardo di Monza. Roma: il dirigente scolastico Marini; studenti e detenuti preparano la birra www.ontuscia.it, 22 gennaio 2014 "Il nostro obiettivo è sensibilizzare alla pedagogia dell’ascolto che sempre più manca in un mondo che corre troppo e non ha tempo di ascoltare i ragazzi e le loro problematiche. Noi vogliamo fare in modo che i ragazzi vengano ascoltati e aiutati perché il mondo è troppo violento con loro". Così Patrizia Marini, dirigente scolastico dell’ITA Emilio Sereni di Roma, durante il convegno "Violenza e minori. Prevenzione e recupero nella scuola e nel lavoro" svoltosi oggi a Roma presso il centro congressi Frentani. Un tema delicato e complesso che - come riporta l’agenzia Dire - se da un lato riguarda il dramma della violenza sui minori e sui più deboli, dall’altro affronta il problema del disagio giovanile che può portare i minori stessi a commettere reati. "Nella nostra scuola - aggiunge la preside - da molti anni portiamo avanti azioni volte al recupero e al reinserimento. Con il nuovo progetto ‘Semi di liberta", grazie al sostegno del ministero dell’istruzione e del ministero della giustizia, abbiamo realizzato un micro birrificio dove i nostri alunni lavoreranno insieme ad alcuni detenuti che si avvalgono dell’art.21?. Viterbo: megarissa a Mammagialla tra detenuti armati di coltello a Capodanno, 36 indagati www.tusciaweb.eu, 22 gennaio 2014 Sono 36 gli indagati della megarissa in carcere scoppiata a Mammagialla il primo dell’anno. La procura di Viterbo avrebbe iscritto nel registro degli indagati tutti i detenuti coinvolti nella zuffa scoppiata nella sala socialità del penitenziario viterbese, reparto penale D2. Un listone di inquisiti che potrebbe presto accorciarsi: l’indagine, per ora, riguarda tutti i detenuti che, nel giorno di Capodanno, avrebbero preso parte alla lite. Ma è altamente probabile che non tutti fossero armati. C’è da capire chi ha colpito e chi, semplicemente, ha subito, riportando ferite nell’agguerrita lotta scoppiata all’improvviso nel reparto detenuti comuni. Dettagli che dovranno essere chiariti durante gli interrogatori programmati dagli inquirenti. In dodici finirono in ospedale dopo la rissa a coltellate. A Belcolle furono portati a scaglioni, bloccati dalla polizia penitenziaria e soccorsi dai sanitari. In tre sono arrivati al pronto soccorso in codice rosso. Nessuno è mai stato in pericolo di vita. In sei sono stati dimessi subito. Gli altri sono rimasti per più giorni in osservazione a Mammagialla. Sui motivi, l’ipotesi più accreditata, al momento, sembra essere quella del regolamento di conti tra due diversi gruppi di detenuti, italiani da un lato, stranieri dall’altro, a prevalenza romena. Ma sulle ragioni che li hanno portati a impugnare i coltelli, potranno essere più precisi i detenuti stessi. Sempre negli interrogatori. Libri: "Ricci, limoni e caffettiere. Piccoli stratagemmi di una vita ristretta" Redattore Sociale, 22 gennaio 2014 Essere donne in carcere, curare i luoghi, personalizzare e umanizzare uno spazio deprivante. In un libro utile a tutti, i rimedi delle detenute di Rebibbia per "ritrovare e rassicurare" la propria femminilità "Abbiamo deciso di scrivere questo libro non solo per raccontare cosa significa essere donne in carcere, ma anche perché volevamo parlare di donne, tramandare i loro stratagemmi. Quelli ci aiutano a vivere qui dentro". Sono le parole con cui le detenute della Casa Circondariale femminile di Rebibbia, raccontano, in un video di presentazione, il piccolo, agile e leggero manuale dal titolo "Ricci, limoni e caffettiere. Piccoli stratagemmi di una vita ristretta" (Edizioni dell’Asino 2013, pagine 86, euro 8). Il testo raccoglie testimonianze di detenute provenienti da diversi paesi, ognuna ha raccontato la propria storia e confidato il proprio rimedio "per sopperire a ciò che il carcere non contempla, ma che sovente determina il proprio sentirsi donna". Dalla cucina alla salute, dai giochi alla poesia, piccole astuzie necessarie per salvare la mente e condividere col cuore, un universo di piccole e grandi soluzioni che si tramandano da madre a figlia, da nonna a nipote, ingegnosi miscugli per "ritrovare e rassicurare" la propria femminilità, creativi espedienti per arredare strutture e riciclare abitudini. La vita in carcere è difficile, è un luogo che non solo rende ristrette le persone, ma inibisce, delimita e "comprime fortemente la personalità dell’essere e dell’agire di chi vi è ristretto", rendere meno duro il regime della detenzione e raggiungere un grado di necessaria quotidiana ‘normalità" è determinante per la sopravvivenza. Le donne in genere sono fantasiose e per loro natura hanno la capacità di personalizzare il luogo in cui si muovano, forse più che gli uomini detenuti, a prescindere dalla durata della pena, le donne "instaurano un rapporto affettivo con lo spazio e le persone" fa parte "dell’emozionalità femminile". Hanno bisogno di curare i luoghi, personalizzare le celle, ristrutturare, contrastare, umanizzare uno spazio deprivante, rinominarlo e trasformarlo: "qui le donne, a volte inconsapevolmente, rispondono alla coercizione con modalità antiche, agiscono complicità femminili". "Vorremmo che il libro passasse di mano in mano, che arrivasse dappertutto, a tutte le donne, dentro e fuori al carcere, vorremmo anche che arrivasse agli uomini e a tutte le persone che non sanno quello che si prova qui dentro". A volte scrivere richiede sforzo "richiede lasciarsi ubriacare di allegria", le detenute si sono messe in gioco, hanno riso, si sono commosse, sono state in silenzio e hanno anche ballato…". Immigrazione: Senato vota abrogazione reato clandestinità, rimane l’illecito amministrativo Il Velino, 22 gennaio 2014 Ok con 182 sì a emendamento governo a ddl-carceri: sanzione penale solo per chi viola decreto espulsione. Via libera dell’Aula del Senato all’emendamento del governo al ddl sulle carceri che cancella il reato di immigrazione clandestina. A favore hanno votato 182 senatori. I contrari sono stati 16 mentre sette si sono astenuti. Il sottosegretario alla Giustizia Cosimo Ferri ha spiegato che la clandestinità "viene trasformata in illecito amministrativo". Quindi, chi entra per la prima volta irregolarmente in Italia non subirà un processo ma verrà espulso. Se poi dovesse rientrare violando il decreto di espulsione o l’ordine di allontanamento, allora "commetterà un reato". "è stato finalmente abrogato il reato di immigrazione clandestina ed è un’ottima notizia di civiltà per il nostro Paese", ha spiegato il presidente dei senatori del Pd, Luigi Zanda. "Basta leggere la prima parola dell’emendamento, "abrogazione", per comprendere l’intero senso della norma e confutare le tesi di chi pretende di imporre falsità - ha precisato. L’immigrazione clandestina è stata ricondotta nella sua giusta misura: è tornata ad essere illecito amministrativo, come è giusto, e non è più reato. Questo è il senso della norma oggi approvata e voluta dal Pd e che nessuna dichiarazione di segno opposto potrà cambiare". Di parere contrario i senatori di Forza Italia. "Crediamo che trasformare questo reato in mero illecito amministrativo danneggi fortemente non solo i cittadini italiani, ma anche i tanti immigrati regolari che vivono nel nostro territorio - hanno spiegato i senatori veneti di Forza Italia, Marco Marin, Elisabetta Alberti Casellati, Cinzia Bonfrisco e Giovanni Piccoli. La tutela della legalità in tutte le sue componenti è uno dei nostri compiti principali". Critica anche la Lega che non ha partecipato alla votazione dell’emendamento del governo. "Non vogliamo essere complici di questa abnorme manovra contro tutti gli italiani compiuta da questa nuova pseudo maggioranza formata da Pd e 5 stelle rosse - ha attaccato il capogruppo Massimo Bitonci. La bocciatura del nostro emendamento per ripristinare il reato di clandestinità rappresenta un vergognoso passo indietro verso l’inciviltà. Abolire il reato di immigrazione clandestina e demolire i pilastri della Bossi Fini insieme con l’approvazione di continui svuota-carceri sono gravissimi e pericolosi errore per la sicurezza di tutti i cittadini. Letta, Kyenge e Cancellieri facciano i conti con questa prospettiva. Sappiano che saranno complici, insieme con tutti quelli che oggi hanno votato contro la nostra proposta, della deriva del nostro Paese verso il disordine e l’esplosione dei delinquenti". "I criteri di delega in materia di immigrazione - ha osservato il presidente dei senatori del Nuovo centrodestra Maurizio Sacconi - ripristinano integralmente la legge Bossi-Fini là dove considerava illecito amministrativo il primo ingresso, sanzionandolo con l’espulsione, e là ove considera reato i reiterati ingressi clandestini e più in generale tutte le violazioni dei provvedimenti amministrativi adottati dal questore o dal prefetto, come la consegna del passaporto, l’obbligo di dimora, l’obbligo di presentazione presso l’ufficio di polizia o come, ovviamente, la volontà di sottrarsi all’obbligo di espulsione. Mente sapendo di mentire chi pretende di descrivere la legge delega come la fonte dell’abbandono della dimensione penale nel contrasto dell’immigrazione clandestina. Tutto viene confermato - ha concluso - con l’eccezione del ritorno alla Bossi-Fini anche per il primo ingresso in modo che il provvedimento di espulsione sia squisitamente amministrativo e quindi più immediato dando poi luogo, ove non ottemperato, ai reati di cui si è detto". Amnesty: parlamento italiano cancelli reato di immigrazione Alla ripresa del dibattito al Senato sulla riforma del codice penale, Amnesty International ha sollecitato l’Italia ad abrogare il reato di immigrazione irregolare. Sin dalla sua adozione con il "pacchetto sicurezza" del 2009, Amnesty ha ritenuto che il reato di "ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello stato" fosse incompatibile con gli obblighi internazionali dell’Italia in materia di diritti umani, si ricorda in un comunicato. Una ricerca condotta da Amnesty, i cui risultati sono stati pubblicati nel dicembre 2012, ha dimostrato che la criminalizzazione dell’immigrazione irregolare crea ostacoli all’accesso alla giustizia da parte dei migranti irregolari, anche in caso di violazioni dei diritti umani, e li rende più vulnerabili allo sfruttamento lavorativo. L’organizzazione ha incluso l’abrogazione del reato tra le sue raccomandazioni a tutte le forze politiche, formulate prima delle ultime elezioni parlamentari. Cento degli attuali deputati e senatori si sono detti favorevoli a tale richiesta. Il dibattito sul disegno di legge che chiede al governo di introdurre norme alternative alla pena detentiva allo scopo di ridurre il sovraffollamento delle carceri, è iniziato il 15 gennaio al Senato. Un emendamento al disegno di legge, che dovrà essere votato dal Senato al termine del dibattito in corso, prevede l’abrogazione del reato di "ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello stato", che diventerebbe un illecito amministrativo. Palma (Fi) vota a favore ddl, in dissenso da astensione partito Francesco Nitto Palma, presidente della commissione Giustizia del Senato ed esponente di Fi, vota in dissenso dal suo gruppo che si astiene e dice sì al provvedimento sulle pene non detentive, contenente la norma sull’abrogazione del reato di clandestinità. "Ben quattro quinti di questo provvedimento costituiscono oggetto e contenuto di autonomi disegni di legge presentati da senatori di Forza Italia" sottolinea Palma in aula e si chiede "perchè bisogna votare l’astensione a questo provvedimento, solo perchè abbiamo deciso la trasformazione in illecito amministrativo solo ed esclusivamente del reato di ingresso clandestino previsto dall’articolo 10-bis? Ma alla luce delle votazioni che vi sono state in aula, l’intero complesso della cosiddetta Bossi-Fini è rimasto confermato anche dall’approvazione dell’emendamento del governo". "E non ricordate, amici di Forza Italia, che voi avete votato favorevolmente in maniera compatta il subemendamento del senatore Caliendo, che per l’appunto sanciva la trasformazione in illecito amministrativo del reato previsto dall’articolo 10-bis? A fronte di questo, sia pur importante, dettaglio, noi dobbiamo assumere la decisione politica di astenerci da un provvedimento così importante? Per quel che mi riguarda - conclude - non sono d’accordo e per le ragioni che ho fin qui enunciato annuncio il mio voto favorevole al provvedimento". Casson: provvedimento storico, atteso da decenni "Provvedimento storico. Il primo che cerca di intervenire sistematicamente per risolvere i problemi della lentezza processuale penale e del sovraffollamento vergognoso delle carceri". Lo ha detto il senatore Felice Casson, vicepresidente della commissione Giustizia e relatore del provvedimento all’esame dell’aula. "Erano alcuni decenni che il legislatore, sospinto dalla parte più progressista del Paese (sia magistrati che avvocati ed operatori del diritto) - ha aggiunto - cercava di mettere mano al sistema processuale e sostanziale penale. Con questo disegno di legge si modificano in profondità gli istituti delle misure alternative al carcere, della forme di detenzione, della messa in prova anche delle persone adulte, nonché il rito degli irreperibili e degli assenti nel processo. Si propone inoltre la depenalizzazione di condotte di nessun rilievo criminale e sociale, mantenendo la misura del carcere soltanto per i fatti più gravi e di vero allarme sociale". "Inoltre -ha concluso Casson - in materia di immigrazione è stato posto rimedio allo sconcio giuridico e politico del reato di immigrazione clandestina, reato inutile in fase preventiva e idoneo soltanto ad intasare uffici di polizia, di procura e giurisdizionali. Pretendere di sottoporre a processo penale e ad una multa coloro che avevano e hanno la sventura di sbarcare a Lampedusa costituiva una misura frutto di una mentalità grezza e contraria ai principi di solidarietà nella nostra civiltà e della Costituzione". Immigrazione: la clandestinità non è più reato… anzi sì di Carlo Lania Il Manifesto, 22 gennaio 2014 Il reato di clandestinità viene abrogato, ma non del tutto e non definitivamente. Alla fine, dopo tante promesse e altrettante minacce, la soluzione capace come al solito di mettere d’accordo tutti è saltata fuori alle undici di lunedì sera, dopo che per tutto il giorno il Pd aveva promesso che non avrebbe mai ceduto alle pressioni di Alfano per mantenere il reato simbolo della Bossi-Fini. L’accordo messo alla porta fino a poche ore prima, è quindi rientrato dalla finestra consentendo così alla maggioranza di non inciampare, almeno per ora, sulla revisione di una delle peggiori leggi sull’immigrazione. La soluzione - resa possibile grazie a un emendamento del governo al ddl sulle pene alternative al carcere in discussione al Senato - prevede che il reato di clandestinità venga abrogato e torni a essere un illecito amministrativo punito con un’ammenda e l’espulsione. Sanzioni valide però solo per la prima volta in cui un immigrato irregolare viene fermato. Torna infatti ad essere considerato un reato penale - anche se non punibile con il carcere - nei casi di recidiva, vale a dire se l’immigrato non lascia il Paese oppure non rispetta gli altri provvedimenti ammnistrativi emessi nei suoi confronti come, ad esempio, l’obbligo di presentarsi in questura. L’emendamento è stato approvato con 182 voti a favore (Pd, M5S, Ncd e Sc), 16 contrari e 7 astenuti. "Nessun passo indietro" ha assicurato in aula il sottosegretario alla Giustizia Cosimo Ferri, scegliendo non a caso parole capaci di accontentare tutte le anime della maggioranza. "Chi per la prima volta entra clandestinamente nel nostro paese non verrà sottoposto a procedimento penale ma verrà espulso. Ma se rientrasse, a quel punto commetterebbe un reato", ha proseguito Ferri. Di fatto si è tornati alla situazione prevista originariamente dalla Bossi-Fini prima che nel 2009, con il pacchetto sicurezza dell’allora ministro degli Interni Maroni, l’immigrazione clandestina diventasse un reato penale, e dopo l’intervento della Corte di giustizia europea, che nel 2010 vietò il carcere per chi veniva trovato senza documenti. Per dirla con le parole del senatore democratico Nicola Latorre quello di ieri è "il miglior compromesso possibile". Migliore per tutti. Per il Pd e il Ncd che possono presentarsi ai propri elettori vantando di aver mantenuto la promessa fatta (il primo di abrogare il reato di clandestinità, il secondo di mantenerlo). Ma buono anche per la Lega, che ha ricominciato ad agitare lo spauracchio di improbabili invasioni. Peccato che così si sia persa un’occasione per cominciare a mandare in soffitta quella cultura - basata solo su paura e criminalizzazione degli stranieri - che ha caratterizzato le politiche sull’immigrazione degli ultimi venti anni. Lo ricordava ieri il senatore Luigi Manconi, presidente della Commissione diritti umani del Senato e uno dei 16 voti contrari all’emendamento: "Una scelta - ha spiegato - che muove dalla necessità di segnare una forte discontinuità con le politiche del centrodestra, che hanno fatto dell’immigrazione una pura questione penale e di limitazione della libertà" Droghe: appello di 80 giuristi sull’incostituzionalità della Legge Fini-Giovanardi 9Colonne, 22 gennaio 2014 Sono 80 i firmatari dell’appello per l’incostituzionalità della legge sulle droghe Fini-Giovanardi, che approda il 12 febbraio davanti alla Consulta, promosso dall’associazione La Società della Ragione e presentato oggi a Roma durante un seminario alla Sala delle Colonne della Camera. Il documento, promosso in prima persona da Stefano Anastasia, presidente de La Società della Ragione, Franco Corleone, garante dei diritti dei detenuti per la Toscana e dall’avvocato Luigi Saraceni, è stato redatto da Andrea Pugiotto, docente di Diritto costituzionale presso l’Università di Ferrara ed ha avuto l’adesione di importanti giuristi ed esponenti del mondo accademico italiano, oltre a numerosi garanti dei diritti dei detenuti e ad operatori del settore. Questi 80 sono solo i primi firmatari di un appello - tra cui si segnalano anche Stefano Rodotà e Luigi Ferrajoli - che sarà aperto all’adesione degli studiosi e degli operatori del settore fino ai giorni immediatamente precedenti l’udienza, quando sarà inviato al presidente e a tutti i componenti della Corte. Per Anastasia "sono ormai otto anni che la legge Fini-Giovanardi dispiega i suoi effetti nefasti sul funzionamento della giustizia e sulla condizione delle carceri". Nel seminario di Roma - organizzato in collaborazione con Antigone, Cnca, Forum Droghe, Magistratura Democratica e Unione Camere Penali Italiane -, Luigi Saraceni ha commentato le ordinanze dei Tribunali italiani e della Terza sezione Penale della Cassazione che hanno sollevato la questione di fronte alla Corte Costituzionale e la memoria dell’Avvocatura dello Stato per conto del presidente del Consiglio Letta. Tutta la documentazione è raccolta in un dossier pubblicato sul sito www.societadellaragione.it. Droghe: prima picconata alla Fini-Giovanardi, torna distinzione tra "leggere" e "pesanti" Dire, 22 gennaio 2014 Alla Camera il relatore del decreto carceri David Ermini (Pd) ha presentato un emendamento che reintroduce la distinzione per tra droghe leggere e droghe pesanti, abbassando le pene per lo spaccio di hashish e marijuana. L’emendamento modifica il decreto Cancellieri che aveva portato a 5 anni la pena massima del carcere prevista indistintamente dalla Fini-Giovanardi (da 1 a 6 anni). Con l’emendamento Ermini, che ora sarà al vaglio della commissione Giustizia dove è in corso l’esame del dl carceri, le pene per il piccolo spaccio saranno ridotte nel massimo a 3 anni. Il relatore del Pd spiega: "Cambiamo la Fini-Giovanardi nella parte sul reato di detenzione illecita di stupefacenti. Si ricostituisce così la differenza tra droghe leggere, come la cannabis, e droghe pesanti e si consentirà ai piccoli spacciatori di poter usufruire così della messa alla prova invece di finire in carcere". C’è poi una seconda parte, aggiunge Ermini, che garantisce anche l’affidamento in comunità. L’emendamento è in linea con quanto già detto in alcune interviste dal segretario Matteo Renzi". La norma Ermini prevede il carcere per il piccolo spaccio da un minimo di 6 mesi a un massimo di 3 anni. India: i due marò verso l’imputazione per terrorismo, l’accusa prevede la pena capitale Corriere della Sera, 22 gennaio 2014 Ci aspettano settimane, forse mesi, di sorprese nel caso dei due marò italiani trattenuti in India. La confusione e i contrasti tra ministeri a New Delhi sono stupefacenti e non accennano a terminare. Ieri, si è saputo che il ministero degli Interni ha dato il via libera all’agenzia d’investigazione Nia affinché proceda contro Salvatore Girone e Massimiliano Latorre secondo il Sua Act, la legge antiterrorismo e antipirateria che prevede la pena capitale. La notizia è circolata sotto forma di indiscrezione ma è stata riportata da praticamente tutti gli organi d’informazione indiani. I quali hanno aggiunto che la Nia non sarà in grado di formulare ufficialmente i capi d’imputazione prima di un’udienza prevista per il 3 febbraio davanti alla Corte Suprema, che ha ordinato al governo di procedere alle accuse entro quella data. Una fonte della Nia ha anche fatto sapere che, al momento della presentazione dei capi d’accusa, informerà il tribunale speciale incaricato di processare i due militari italiani che, in caso di condanna, dopo il processo non chiederà la massima pena. Questo perché il ministero degli Esteri indiano ha dato all’Italia assicurazione sovrana che i marò non rischiano la pena capitale. Situazione estremamente confusa ma grave. Confusa perché il Sua Act prevede, alla Sezione 3(g), che se l’offesa "in connessione a una nave causa la morte di qualsiasi persona sarà punita con la morte". Girone e Latorre, accusati di avere ucciso due pescatori al largo delle coste dello Stato del Kerala, cadrebbero nella fattispecie. È evidente che il governo di Delhi non vuole che vengano puniti con la pena massima, ma non è chiaro come la Nia possa riuscire a districarsi da un obbligo di legge. Grave perché, al di là della condanna, processare sulla base di una legge antiterrorismo due militari di un altro Paese che al momento dei fatti sotto giudizio erano nel pieno delle loro funzioni antipirateria significa considerare quel Paese in qualche modo coinvolto in attività di terrorismo. Ridicolo se non fosse appunto così grave. Il ministero degli Esteri di Delhi se ne rende conto e ieri dava segnali di essere estremamente irritato per la decisione del ministero degli Interni. Il fatto che quest’ultimo abbia dato il via libera alla Nia il 17 gennaio, mentre una petizione di parte italiana sulla vicenda era all’attenzione della Corte Suprema, ha ulteriormente irritato il ministero. Ciò che preoccupa Salman Khurshid, ministro degli Affari Esteri, sono le possibili ricadute diplomatiche della vicenda, non solo nei confronti dell’Italia ma dell’intera comunità internazionale. Il ministero degli Interni sembra invece più interessato a non mostrarsi tenero con i due italiano per timore di contraccolpi domestici in piena campagna elettorale (le elezioni nazionali si terranno tra aprile e maggio). Cosa succederà ora è questione aperta. Il procuratore generale G. E. Vahanvati ha promesso alla Corte Suprema di appianare le divergenze tra il ministero degli Esteri e quello degli Interni, possibilmente entro il 3 febbraio: dal momento che il documento con i capi d’imputazione per i due fucilieri di Marina è stato preparato ma non ancora steso e presentato, spera di potere intervenire. Di certo la questione sta prendendo quota anche dal punto di vista politico all’interno del governo. Ieri, il ministro degli Esteri italiano Emma Bonino ha detto di sperare che entro luglio "una soluzione sia stata trovata": dopo le dopo le elezioni indiane, insomma. India: la condanna è una corda al collo, così funziona la giustizia indiana di Luca Rocca Il Tempo, 22 gennaio 2014 Le condanne a morte vengono inflitte e spesso non eseguite per svariati motivi. Ma la tendenza è in crescita. Noi speriamo, e preghiamo, che non finisca così. Ma leggendo di come negli ultimi anni le condanne a morte in India, anche se poche, siano aumentate, la preoccupazione per i nostri due marò non può che crescere. La "pena capitale" a Nuova Delhi sta diventando una "roulette russa", che prevede, però, poche condanne a morte eseguite, ma molte sentenziate. E una volta deciso, nessuno può giurare sui tempi, i modi e su come possa andare a finire. A Nuova Delhi i reati capitali sono la cospirazione contro il Governo, la diserzione o la tentata diserzione, intraprendere o tentare di intraprendere una guerra contro il governo centrale, l’omicidio o il tentato omicidio, l’induzione al suicidio di un minorenne o di un ritardato mentale. Il 5 aprile 2013 è entrata in vigore la legge anti-stupri che prevede ergastoli e condanne a morte per chi si macchia di quel reato. Le condanne a morte vengono inflitte ma spesso non eseguite per svariati motivi. Ma la tendenza è in crescita. Fortunatamente sono tante anche le commutazioni della pena. Ieri, per esempio, la Corte Suprema indiana ha commutato in ergastolo le condanne a morte di 15 detenuti. Fanno riflettere anche i tempi lunghi. Lunghissimi. Quattro condanne avvenute nel 2004 si sono "risolte" con il respingimento della richiesta di grazie nove anni dopo. Il reato era stato commesso nel 1993. Secondo un rapporto dell’Asian Centre for Human Right, alla fine del 2012 erano in totale 414 i prigionieri nel braccio della morte in India. Tredici le donne. Il 10 settembre dello scorso anno il giudice ha condannato quattro persone per stupro e mentre leggeva la sentenza, fuori dalla Corte speciale c’era chi urlava "impiccateli". Pochi mesi prima dell’agosto 2013 il ministero dell’Interno si era raccomandato di rifiutare le petizioni alla base della richiesta di grazia di alcuni condannati a morte. Il presidente indiano Pranab Mukherjee accoglie quel "suggerimento" respingendo la grazia di due condannati a morte. Nell’aprile scorso è ancora il presidente a respingere, ma dopo un’attesa di 14 anni, la richiesta di grazia di un condannato. Fino a un anno fa Mukherjee aveva confermato l’esecuzione in cinque casi, mentre in altri due ha commutato la pena di morte in ergastolo. Secondo i dati aggiornati al 31 marzo 2013, tra il 2001 e il 2011 in India sono state condannate a morte circa 1460 persone (una condanna a morte ogni tre giorni) ma solo quattro sono state impiccate. È quanto emerge dalle statistiche del National Crimes Record Bureau indiano, secondo cui sono in media 146 le condanne a morte emesse ogni anno dai tribunali del paese. Le statistiche dell’Ncrb rivelano anche che nello stesso periodo varie Alte Corti hanno commutato le condanne a morte di 4.321 prigionieri in carcere a vita. Quasi il 99 per cento dei condannati a morte evita l’impiccagione. L’India nel 2012 ha giustiziato due sole persone. Un numero basso che però è anche il più alto negli ultimi 20 anni. Il numero di condanne a morte, dopo i molti casi di stupro, è in continuo aumentato. Fino al 13 febbraio 2013 il presidente indiano Mukherjee aveva ordinato la morte di sette prigionieri in sette mesi. Più di ogni suo predecessore negli ultimi 15 anni. Nel gennaio 2013 il ministro della Giustizia indiano, Ashwani Kumar, si dichiarò contrario alla pena capitale con questa motivazione: "Credo che l’ergastolo sia più efficace perché la pena di morte uccide il colpevole in un solo giorno, mentre con la prigione muore ogni giorno". In India le esecuzioni capitali vengono a volte sospese dalla Corte Suprema, alcune condanne a morte invalidate, molte invece inflitte per reati violenti, e ci sono casi di condanne a morte per terrorismo. Il 20 dicembre 2012 l’India ha votato all’Onu contro la moratoria delle esecuzioni capitali. L’anno scorso il Dalai Lama si pronunciò sulla pena capitale in India affermando: "Non mi piace la pena di morte". Poche parole, ma forse più di quanto siano riusciti a dire e fare finora i nostri governanti. Iraq: condanna a morte eseguita per 26 condannati per terrorismo La Presse, 22 gennaio 2014 Sono state eseguite in Iraq le condanne a morte di 26 prigionieri condannati per reati legati al terrorismo. Lo rende noto il ministero della Giustizia in un comunicato sul proprio sito internet, precisando che le esecuzioni dei detenuti, tutti iracheni, sono state portate a termine domenica. Gli uomini, afferma il comunicato, erano stati giudicati colpevoli di avere eseguito "orrendi attacchi terroristici" contro il popolo iracheno. Nel comunicato il ministro della Giustizia Hassan al-Shimari afferma che fra i detenuti uccisi c’era anche Adel-al-Mashhadani, ex leader sunnita contrario ad al-Qaeda condannato a morte a fine 2009 per omicidio e rapimento. I gruppi per i diritti umani hanno criticato per lungo tempo i metodi processuali nelle corti irachene, affermando che alcuni verdetti si basavano su testimonianze ottenute sotto tortura o su dichiarazioni forzate. Baghdad difende il ricorso alla pena capitale affermando che si tratta di un’arma contro gli insorti che mirano a destabilizzare il Paese. Stati Uniti: carcere di Guantánamo, la vergogna in un film presentato al Sundance di Michele Sasso L’Espresso, 22 gennaio 2014 Al festival del cinema indipendente, il film "Camp X Ray" mostra una soldatessa americana che mette in discussione il trattamento disumano dei detenuti. E Amnesty International attacca: "Nonostante le promesse di Obama non è ancora cambiato nulla". È una Guantánamo infinita e diventata sinonimo di maltrattamenti e di abusi quella raccontata dal film presentato al Sundance Festival "Camp X Ray". Nel famigerato campo di prigionia cubano una giovane guardia militare mette in discussione il trattamento disumano dei suoi detenuti. La protagonista, giovane e donna scappata dalla provincia americana, si spinge fino a solidarizzare con uno dei prigionieri islamici. La presentazione della pellicola non è sfuggita all’organizzazione per i diritti umani Amnesty International, che ha attaccato a testa bassa l’amministrazione Obama per il fallimento e la retromarcia sulla chiusura della prigione-simbolo dell’era Bush. Era il 22 gennaio 2009 quando il neopresidente firmava l’ordine esecutivo per chiudere Guantánamo. Cinque anni dopo la struttura continua a restare aperta, un evidente esempio dei doppi standard adottati dagli Usa nel campo dei diritti umani. "Una promessa non mantenuta", la definisce Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia: "Avevamo preso con entusiasmo e fiducia perché sembrava la fine di un epoca, ma così non è stato: la guerra scatenata da Bush non si è ancora fermata perché gli strumenti sono ancora usati: torture (come il water boarding, una forma di annegamento controllato per estorcere confessioni) interrogatori illegali, centri segreti, mancanza di risarcimenti per detenzioni ingiuste, nessuna inchiesta sui metodi disumani. Nel corso degli anni Obama ha trovato sempre degli alibi ma lui è il presidente della svolta che ha vinto con la promessa della fine di questo scempio". A dodici anni di distanza dai primi arrivi restano nell’enclave Usa a Cuba oltre 150 detenuti, la maggior parte dei quali senza accusa né processo. Nove sono morti (sette dei quali per suicidio) dal lontano 2002. Alcuni di loro sta affrontando un iter giudiziario che non rispetta gli standard internazionali sul giusto processo. Cosa succede? "Abbiamo notizie di sei detenuti processati da commissioni militari e classificati come "combattenti nemici" che noi riteniamo debbano essere processati da Corti civili, non con il rischio della pena capitale". I numeri dell’evidente forzatura giuridica sono impietosi: dei quasi 800 detenuti passati da Guantánamo, meno dell’uno per cento è stato condannato e nella maggior parte dei casi a seguito di un patteggiamento. Un altro pasticcio è quello dei rimpatri, cosa non funziona? "Buona parte dei 615 rilasciati non sono stati rimandati a casa perché non erano in grado di controllarli o perché impossibile rispedirli in Paesi che non garantiscono per la loro sicurezza. Washington in pratica si aspetta da altri paesi ciò che essi rifiutano di fare: accogliere i detenuti rilasciati che non possono essere rimpatriati". Emblematico il trasferimento, lo scorso dicembre, di tre cinesi di etnia uigura da Cuba alla Slovacchia dopo che erano trascorsi più di cinque anni dalla sentenza che aveva giudicato illegale la loro detenzione... "In questo pantano gli Usa hanno chiesto ad altri Paesi amici di toglierli da un impiccio: Albania, Isole Bermude e Slovacchia hanno risposto all’appello. Così si decide di non incriminarli e poi spedirli dall’altra parte del mondo". Come è stato possibile? "I detenuti di Guantánamo rimangono in un limbo, le loro vite sospese da anni. Molti di essi hanno subito gravi violazioni dei diritti umani, tra cui la sparizione forzata e la tortura, ma ad oggi l’accesso a un rimedio giudiziario è stato sistematicamente bloccato". Da dove vengono? "Per anni c’è stata una compravendita di persone in Afghanistan e Pakistan: sospetti combattenti consegnati alle forze Usa in cambio di soldi. Un mercato per gente che spesso non centrava nulla". Un paradosso della dottrina della democrazia da esportare: anno dopo anno, mentre tenevano aperto Guantánamo, gli Usa hanno continuato a proclamare il loro impegno per gli standard internazionali sui diritti umani. Quale soluzione auspicate? "Amnesty International chiede di assicurare indagini indipendenti e imparziali su tutte le denunce credibili di violazioni dei diritti umani. Le conclusioni di queste indagini dovrebbero essere rese pubbliche e chiunque venisse giudicato responsabile dovrebbe essere portato di fronte alla giustizia, a prescindere dal suo attuale o passato rango". Una Corte internazionale di giustizia a stelle e strisce vista con sospetto da tutti i presidenti americani. Obama compreso. Brasile: ancora un detenuto impiccato nel carcere degli orrori di Pedrinhas Apcom, 22 gennaio 2014 Ancora una morte violenta a Pedrinhas, il carcere più pericoloso del Brasile, situato nello Stato nord-orientale di Maranhao. Secondo il locale sindacato dei dipendenti del sistema penitenziario (Sindspem), il detenuto Jò de Sousa Nojosa in mattinata è stato trovato impiccato all’interno della sua cella. Si tratta del terzo decesso occorso a Pedrinhas dall’inizio dell’anno: in tutto sono già 63 le vittime registrate tra i reclusi, dal 2003 a oggi. La prigione attualmente è sotto il controllo della Polizia militare e della Forza di sicurezza nazionale. Svizzera: mancano carne e proteine nel menù dei detenuti, proteste al carcere La Stampa www.ticinonews.ch, 22 gennaio 2014 I detenuti scrivono a Gobbi per denunciare la rarefazione delle proteine nei loro menù. Sono state abolite persino le uova fresche. Non è per la scarsa qualità del cibo, bensì per la carenza di carne e alimenti proteici dai menù di questo nuovo anno, che i detenuti hanno minacciato di incrociare le braccia, lunedì pomeriggio al carcere cantonale della Stampa, a Cadro. La notizia di cui vi abbiamo riferito ieri è precisata nei suoi contorni oggi da La Regione. La protesta pacifica dei carcerati fa seguito alla riduzione del budget riservato all’alimentazione dei detenuti. Una misura contenuta nei tagli di bilancio per il Preventivo 2014 e che ha rapidamente creato un forte malcontento in carcere. Se fino all’anno scorso, infatti, la carne finiva quotidianamente nei piatti dei detenuti, ora questo alimento si sarebbe rarefatto, limitandosi a poche apparizioni al mese. Anche il rifornimento di uova fresche, che consentiva ai carcerati di ricevere fuori pasto un alimento in più, è stato abolito. Insomma, si è tagliato sulle proteine. Una decisione che sta suscitando forti lamentele tra i detenuti. Molti dei quali, dopo aver minacciato lo sciopero, hanno preso carta e penna ed hanno scritto una lettera di protesta all’indirizzo del consigliere di Stato Norman Gobbi. "Vogliamo più carne", in sintesi, il contenuto della missiva. E proprio lunedì, il giorno del ventilato sciopero, la Commissione parlamentare di sorveglianza sulle condizioni di detenzione si è recata al penitenziario cantonale per compiere la sua visita mensile. I commissari hanno preso atto del malcontento relativo alla dieta imposta dal Consiglio di Stato, ma non hanno tuttavia ravvisato alcuna violazione sui diritti dei carcerati. Interpellata da La Regione, la Commissione ha assicurato di voler continuare ad essere vigile sulla qualità dei pasti per i carcerati. Al momento, però, non si ravvisano carenze. La presidente della commissione Lara Filippini, dal canto suo, non ha voluto rilasciare dichiarazioni, rimandando al rapporto annuale che sarà consegnato al Parlamento in maggio. La Divisione della giustizia, infine, ha cercato di smorzare i toni della polemica, ricordando come la visita mensile della Commissione sia già oggi efficace quando ci sono tematiche da approfondire. Stati Uniti: in Ohio pena di morte "previa tortura", scatta la denuncia al governo di Susanna Ceccarelli news.supermoney.eu, 22 gennaio 2014 Il detenuto Dennis McGuire, 53 anni, è stato condannato a morte il 16 gennaio per aver brutalmente assassinato e violentato una donna incinta nel 1989. Per giustiziarlo è stata utilizzata una combinazione di farmaci a base di benzodiazepina e idromorfone in via del tutto sperimentale. L’iniezione però sembra aver violato il diritto costituzionale che prevede, per tale pena, una morte rapida e indolore, il detenuto avrebbe impiegato circa 20 minuti per morire straziato dal dolore ed in preda al soffocamento. McGuire aveva scritto anche al procuratore, mostrandosi cosciente delle sue responsabilità. Anche il difensore federale, Allen Bohnert, aveva tentato più volte a richiedere la sospensione della pena in quanto il cocktail letale non era stato mai utilizzato prima, ed esponendo la necessità del detenuto di parlare con la corte per poter raccontare la sua infanzia piena di abusi. Ricordi che avrebbero potuto far luce sul suo comportamento e sulle motivazioni che lo spinsero ad uccidere una giovane donna. Così, giovedì, nel carcere di Lucasville in Ohio, con una doppia iniezione sperimentale, è stato giustiziato il detenuto McGuire, davanti allo sguardo terrorizzato dei due figli e della moglie. Ha continuato a salutarli con la mano sinistra fin che ha potuto. Fino allo scorso anno per questo tipo di esecuzioni, si utilizzava un farmaco chiamato pentobarbital, un forte sedativo prodotto da una casa farmaceutica danese che nel 2011 decise di bloccarne la vendita per gli stati che lo utilizzano durante le esecuzioni. Molte le aziende farmaceutiche che si sono opposte a questo tipo di utilizzo. La famiglia e l’avvocato di Dennis McGuire hanno comunque denunciato il governo, accusandolo di aver torturato il detenuto ingiustamente. Il 19 marzo nello stesso stato ci sarà un’altra esecuzione, staremo a vedere. Stati Uniti: nelle carceri passione per il cibo kosher, anche tra i detenuti non ebrei di Francesca Berardi america24.com, 22 gennaio 2014 Anche i detenuti non credenti chiedono trattamenti speciali, ma i pasti ebraici costano 4 volte tanto. Nelle prigioni americane sta esplodendo la passione per il cibo kosher, anche tra i detenuti non ebrei. La speranza dei carcerati, spiega il New York Times in un lungo articolo sulla prima pagina di oggi, è di trovarsi così sul vassoio pietanze più fresche e cucinate con più cura. L’aumento esponenziale delle richieste, mosse in nome del diritto alla libertà religiosa, sta preoccupando le amministrazioni dei sistemi carcerari e scatenando cause legali: un pasto kosher costa infatti almeno quattro volte quello che viene servito normalmente. E così che in Stati come la Florida, terza in America per il numero di prigionieri, una corte federale ha decretato che solo "i detenuti con una sincera fede religiosa" possono richiedere trattamenti speciali, e che negli altri casi saranno le carceri stesse a decidere. Nello Stato del Sole il sistema delle prigioni ha già infatti un buco in cassa da 58 milioni di dollari e al momento sono più di 4.400 i detenuti a richiedere cibo idoneo alla religione ebraica. A fornire i numeri sulla questione è stato il segretario del Dipartimento di correzione della Florida, Michael Crews: un pasto standard costa ai contribuenti circa un dollaro e mezzo mentre uno kosher quasi 5. "È pane e acqua considerato cibo kosher?", ha chiesto, in tono palesemente provocatorio, il presidente della commissione di giustizia al Senato della Florida, il repubblicano Greg Evers.