Giustizia: sovraffollamento, al detenuto uno sconto di pena di Glauco Giostra (Componente Consiglio superiore della magistratura) Il Sole 24 Ore, 21 gennaio 2014 Intervengo nel dibattito sul decreto-carceri per avanzare una proposta, nella convinzione che quello critico-costruttivo sia l’unico approccio confacente alla non più tollerabile situazione dei nostri istituti di pena, cui questo importante provvedimento cerca di porre rimedio. Di certo non si sentiva il bisogno di talune scomposte reazioni che ne stanno accompagnando la conversione in legge. Ciò non significa che il provvedimento non presenti soluzioni discutibili (segnatamente, in materia liberazione anticipata speciale), cui si deve porre rimedio, ma gli ansiogeni scenari prospettati dai detrattori, ricorrendo ad esempi improbabili e suggestivi, quando non a prognosi tecnicamente sbagliate, rischiano soltanto di creare un ingiustificato allarme sociale. Quello stesso allarme che, demagogicamente cavalcato, ha ispirato negli anni passati una sciagurata politica carcero-centrica, determinando l’attuale situazione che ci ha esposto all’umiliante condanna (cosiddetta "sentenza Torreggiani") della Corte europea dei diritti dell’uomo per il trattamento inumano cui sono sottoposti i detenuti nei nostri penitenziari. Come è noto, la Corte ha sospeso per un anno l’esame dei ricorsi aventi ad oggetto il sovraffollamento carcerario in Italia, ormai vicini a quota 4.000 (sic!), "in attesa dell’adozione da parte delle autorità interne delle misure necessarie". Tra queste misure ha individuato come prioritaria l’introduzione di "un ricorso in grado di consentire alle persone incarcerate in condizione lesive della loro dignità di ottenere una qualsiasi forma di riparazione per la violazione subita". Gli stessi giudici di Strasburgo, dunque, fanno implicito riferimento a forme "riparative" diverse dall’indennizzo economico, che il decreto legge in esame, avendo introdotto un procedimento giurisdizionale di reclamo al magistrato di sorveglianza, già oggi consente. Si potrebbe allora pensare di offrire al detenuto che ha subito un trattamento inumano, in alternativa al ristoro economico, una forma di riparazione che consista in una congrua riduzione della pena detentiva eventualmente ancora da scontare: all’ingiusta afflittività aggiuntiva di una pena espiata in condizioni degradanti dovrebbe compensativamente corrispondere una diminuzione di afflittività in termini di minor durata della pena espianda (fermo restando, naturalmente, il diritto ad una congrua riparazione di tipo economico qualora un tale meccanismo non possa trovare in tutto o in parte applicazione). Si tratta di una soluzione che la Corte europea ha già preso in considerazione, affrontando un caso omologo di sovraffollamento carcerario, in una recente pronuncia (sentenza Ananyev contro Russia), nella quale ricorda di aver riconosciuto in molte occasioni - sia pure con riferimento alla riparazione del "danno" da irragionevole durata del processo- l’adeguatezza del meccanismo di riduzione della pena quale rimedio compensativo. Oltre che rispondere ad esigenze di giustizia, la soluzione proposta assicura non indifferenti vantaggi. Anche a voler tacere quello di natura economica - solo per i ricorsi sino ad oggi pendenti a Strasburgo, l’Italia potrebbe essere condannata ad un esborso di molte decine di milioni di euro - il meccanismo di riduzione della pena, a differenza del ristoro pecuniario, concorrerebbe al decongestionamento carcerario. Va da sé che, soprattutto per i ricorsi pendenti, l’efficacia dello strumento sarà inversamente proporzionale al tempo impiegato per introdurlo: più si ritarda, infatti, più è probabile che il ricorrente abbia espiato la pena in gran parte o per intero, il che ne ridurrebbe sensibilmente o annullerebbe l’utilità. Di qui, l’importanza di inserirlo da subito nella legge di conversione del decreto legge carceri. Sui detrattori di questa e delle altre soluzioni all’esame incombe l’onere di indicare valide alternative, perché l’attuale situazione carceraria "non può protrarsi ulteriormente", come ha perentoriamente ammonito la Corte costituzionale (sentenza n. 279/2013), ventilando, in caso di "inerzia legislativa", persino rimedi drastici, quali l’ineseguibilità della pena, se da espiare in condizioni indegne di un uomo. Ma non avremmo bisogno dei moniti di giudici sovra-nazionali e nazionali qualora tutti, oggi, ci sentissimo doverosamente responsabili "pro quota" del trattamento inumano inflitto a persone private della libertà: capiremmo che restituire loro dignità significherebbe restituirla anche a noi stessi. Giustizia: custodia cautelare, la riforma entra nel decreto-carceri Il Sole 24 Ore, 21 gennaio 2014 Il tema della custodia cautelare entra nel decreto carceri. Ieri sera i capigruppo di maggioranza in commissione Giustizia della Camera hanno presentato un emendamento al Dl con il quale si riprende il provvedimento sulla custodia cautelare, approvato da Montecitorio e ora all’esame del Senato, e lo si ripropone identico nel decreto. Secondo Walter Verini del Pd, l’esigenza è quella di assicurare tempi di approvazione più rapidi unificando in un unico testo "una materia che di fatto è omogenea e complementare". Verini ricorda che, per lo stesso ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri, la parte riguardante la custodia cautelare non era stata inglobata nel decreto solo perché era già all’esame del Parlamento. E sempre ieri il Guardasigilli ha indicato, nella direttiva ministeriale le priorità per il 2014: completamento del piano straordinario di edilizia penitenziaria e razionalizzazione delle risorse umane, soprattutto dopo la nuova geografia giudiziaria. Per il numero uno di via Arenula questo "sarà un anno fondamentale per il completamento delle riforme organizzative che abbiamo avviato". Una maggiore efficienza della giustizia passa anche attraverso la cooperazione internazionale, anche in vista dell’assunzione della presidenza italiana dell’Unione nel secondo semestre 2014, "per garantire la partecipazione dell’Italia nella trattazione dei negoziati Ue ed extra Ue nelle materie della cooperazione giudiziaria e del mutuo riconoscimento dei diritti umani". Nella "lista" del ministro anche: "l’incremento e la diffusione dei progetti di innovazione tecnologica nei procedimenti giudiziari, civile e penali" e il sistema unico delle intercettazioni. Una semplificazione è prevista per le spese giustizia, il pagamento degli indennizzi per la violazione dei termini di durata del processo, in materia notarile e di ordini professionali. Da Lega e M5S presentati circa 450 emendamenti Il gruppo della Lega Nord e del Movimento 5 stelle della Camera hanno presentato al decreto Carceri circa 450 emendamenti: 260 circa della Lega e 210 circa del M5s. È quanto si apprende da fonti parlamentari. Al momento, gli uffici legislativi non hanno finito di contare tutti gli emendamenti arrivati dai gruppi, ma - a quanto si apprende - sul decreto a firma della ministra Annamaria Cancellieri sono in arrivo oltre 700 proposte di modifica. Ferranti (Pd): risolveremo criticità, particolare attenzione su sicurezza cittadini I temi della sicurezza e della tutela dei cittadini saranno al centro della discussione della commissione Giustizia della Camera che sta esaminando il cosiddetto decreto svuota carceri. Lo assicura il presidente dell commissione, Donatella Ferranti. "In fase di esame del decreto Cancellieri sui diritti dei detenuti e sulla riduzione della popolazione carceraria la commissione Giustizia sarà particolarmente attenta a evitare allentamenti per quello che riguarda l’esigenza della sicurezza e la tutela dei cittadini", afferma Ferranti in vista delle votazioni sugli emendamenti che prenderanno il via domani. "Valuteremo con scrupolo - aggiunge - tutto ciò che è emerso in audizione e quanto segnalato nel dibattito sul decreto. Non dubito che attraverso emendamenti mirati si potrà acquietare ogni allarme e risolvere le maggiori criticità, specie in relazione al rischio che la misura della liberazione anticipata speciale sia applicata anche ai condannati per mafia o che i minorenni che spacciano piccole quantità di droga siano esclusi dalle misure cautelari con specifico riferimento al collocamento in comunità". L’obiettivo, conclude, "è trovare il giusto equilibrio tra l’urgenza di ridurre il sovraffollamento carcerario e la necessità di garantire, specie per i delitti gravi, la certezza e la funzione rieducativa della pena". Mattiello (Pd): rivedere liberazione anticipata boss "Ho depositato lo scorso venerdì due emendamenti al Dl Cancellieri ("Misure urgenti per la tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria") in discussione alla commissione Giustizia della Camera. Il primo emendamento chiede l’abrogazione del comma 4 dell’art. 4 del Decreto che prevede l’istituto della "liberazione anticipata speciale" - cioè uno sconto di 75 giorni di reclusione ogni sei mesi espiati - anche per i mafiosi che si siano comportati bene. Il secondo emendamento, in alternativa, propone una modica dell’attuale comma agganciando lo sconto di pena a quella forma di "recupero sociale" qualificato che è la collaborazione con i magistrati. Un mafioso dimostra di voler girare pagina non quando fa il bravo in carcere, ma quando dice la verità su quel che sa. Ritengo comunque che la modifica del comma attuale sia necessaria per interpretare in modo corretto il difficile rapporto tra severità e giustizia, tra pena e riscatto". È quanto rende noto Davide Mattiello, deputato del Pd, componente delle commissioni Giustizia e Antimafia. M5S: no a reato piccolo spaccio stupefacenti No all’autonoma fattispecie di reato per la detenzione illecita di stupefacenti, quindi all’introduzione del reato di piccolo spaccio di droga con pene minori. Lo chiedono con un emendamento al decreto Carceri i deputati M5s della commissione Giustizia alla Camera. I 5 stelle hanno presentato al dl circa 210 proposte di modifica. Tra le norme contenute nel provvedimento, uno dei primi interventi riguarda la legge Fini-Giovanardi in materia di stupefacenti: viene prevista infatti l’ipotesi di ‘piccolo spacciò. La norma non impedisce l’arresto e l’applicazione di misure cautelari e prevede la riduzione, nel massimo della pena edittale, da sei a cinque anni. I 5 stelle, invece, con la proposta chiedono di tornare al testo attuale della Fini-Giovanardi, distinguendo però pene e sanzioni rispetto al tipo di stupefacenti. Quindi allo spaccio di stupefacenti della tabella I si applica una pena da uno a sei a anni di reclusione e la multa da euro 3mila a euro 26mila euro. Per lo spaccio delle sostanze della tabella II, invece, si applicano una pena da sei mesi a tre anni di carcere e la multa da euro 1.500 a euro 13mila euro. Tra gli stupefacenti riportati nella tabella I ci sono: oppio e derivati oppiacei (morfina, eroina, metadone, etc.); foglie di coca e derivati; preparati attivi della cannabis; amfetamina e derivati amfetaminici (ecstasy e designer drugs); allucinogeni (dietilammide dell’acido lisergico - Lsd mescalina, psilocibina, fenciclidina, ketamina, ecc.). Per quanto riguarda la tabella II, invece, troviamo: medicinali a base di morfina e sostanze analgesiche oppiace; medicinali di origine vegetale a base di cannabis; barbiturici; benzodiazepine (diazepam, flunitrazepam, lorazepam, etc.). Fanetti (Lega): decreto è un grosso sbaglio "La direzione intrapresa con il decreto svuota carceri di provvedere alla liberazione anticipata di parte della popolazione detenuta è, a mio personale avviso, un grosso sbaglio". Lo dichiara Fabio Fanetti, presidente della Commissione speciale Situazione carceraria in Lombardia e consigliere regionale del gruppo "Maroni Presidente". "Le scarcerazioni facili - spiega - non hanno mai costituito un valido antidoto al problema del sovraffollamento carcerario: nessun risultato positivo, infatti, è stato raggiunto attraverso questo tipo di provvedimento. Al contrario, le statistiche dimostrano che dopo poco tempo dall’adozione di queste misure, gli istituti di pena si sono nuovamente saturati, risultando in alcuni casi anche più sovraffollati di prima, a causa del rientro in carcere di soggetti che ne erano appena usciti". "Pur nella convinzione che un intervento legislativo sia indispensabile e urgente -prosegue il presidente- , ritengo tuttavia che questo debba tendere alla trasformazione del carcere in un luogo di effettiva rieducazione, proficuo recupero e utile reinserimento sociale del condannato. L’ammodernamento dell’intero sistema penitenziario passa anche per la costruzione di nuove carceri, che rispondano a standard adeguati alle attività che si svolgono al loro interno. In quest’ottica, appare indispensabile ridimensionare il numero della popolazione carceraria: considerato che circa il 60 per cento dei detenuti negli istituti penitenziari lombardi è costituito da stranieri, tale obiettivo potrebbe essere raggiunto attraverso la sigla di accordi internazionali con gli Stati di origine, in modo tale che tali soggetti possano scontare la pena nel loro Paese". Coisp: pronti a graziare chi delinque a scapito delle vittime "Ci risiamo. Incredibile ma vero, siamo nuovamente qui ad attendere che il Parlamento dia il suo placet all’ennesimo provvedimento concepito per fronteggiare un’emergenza che necessiterebbe di interventi strutturali e non ‘pezze a colorì, ma che nei fatti altro non è se non un ulteriore modo di graziare chi delinque a scapito, ovviamente, delle Vittime di cui nessuno sembra preoccuparsi minimamente. Il ridicolo è che un giorno si inveisce contro i condannati, ovviamente solo se Poliziotti che devono scontare pene minime, perché marciscano in galera anche se non dovrebbero neppure entrarci, ed il giorno dopo si studiano misure per mandare a casa tutti gli altri. La verità è che le misura premiali contenute nel nuovo svuota-carceri garantiscono grasse riduzioni sulla pena da scontare proprio a chi ha condanne elevate, perché 75 giorni di sconto (e cioè oltre due mesi!) per ogni sei mesi scontati giovano certamente a chi in cella deve starci a lungo, e quindi a chi ha commesso reati gravi, altro che piccoli spacciatori! E comunque, al di là di tutto, mandare dei condannati dietro le sbarre per poi cercare affannosamente un modo per tirarli fuori ha certamente dello schizofrenico". Franco Maccari, Segretario Generale del Coisp, Sindacato Indipendente di Polizia, interviene così a proposito del nuovo Decreto "Svuota carceri" del Ministro Annamaria Cancellieri, varato dal Governo prima di Natale ed in attesa di conversione il legge da parte del Parlamento. "Non è la prima volta che esprimiamo i nostri forti dubbi su provvedimenti come questo - aggiunge Maccari. Lo abbiamo fatto ad ogni precedente svuota-carceri (siamo già al terzo), ed in generale ad ogni intervento teso a provvedere prima alle esigenze di chi delinque che a quelle delle Vittime (vedi istituzione del Garante dei detenuti, senza che però esista alcun Organo deputato ad occuparsi di chi rimane solo con il proprio dolore di vittima). Certo, poi siamo stati anche quelli che hanno dovuto affrontare l’onda oceanica dell’ipocrisia quando abbiamo fatto notare che proprio la legge che non volevamo non è stata applicata i Poliziotti perché era loro favorevole, e perché i colleghi, invece, devono essere i capri espiatori per il male universale. Ma oggi, di fronte all’ennesimo schiaffo anche al lavoro nostro e delle altre Forze dell’Ordine, chiamate a fare la propria parte perché alcune persone vengano mandate in carcere come richiede la legge che evidentemente si reputa giusta, torniamo a puntare il dito contro atteggiamenti incomprensibili e contorti. E a ribadire che quello che sta per diventare legge dello Stato comporterà benefici per tantissimi detenuti di fonte ai quali non ci sarà indignazione che tenga". "Certi - conclude il Segretario del Coisp - che da questi benefici i Poliziotti saranno tenuti accuratamente fuori (come provano senza tema di smentita tutti i fatti giudiziari che li hanno riguardati e che li hanno visti gravemente penalizzati rispetto agli altri cittadini), ci rimane solo una domanda senza risposta alcuna, e cioè: chi lo spiegherà alle Vittime di reati gravi e odiosi che si vedranno passeggiare davanti i propri carnefici persino prima che abbiamo espiato la propria pena?". Giustizia: Direttiva Ministeriale per il 2014, priorità alle carceri e alla geografia giudiziaria Agi, 21 gennaio 2014 Migliorare le condizioni di "detenzione per adulti e minori", anche attraverso il "completamento del piano straordinario di edilizia penitenziaria e degli altri interventi tesi ad attuare una migliore distribuzione degli spazi esistenti", completare le norme "in materia di riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari", per "realizzare risparmi di spesa ed incremento dell’efficienza del sistema". Queste sono alcune delle "priorità politiche" indicate dal Guardasigilli Annamaria Cancellieri nella Direttiva Ministeriale per l’anno 2014, che "sarà un anno fondamentale - scrive il ministro - per il completamento delle riforme organizzative che abbiamo avviato. L’obiettivo è ambizioso, ma sono convinta che sia ormai improcrastinabile eliminare una volta per tutte le storture e le farraginosità che impediscono alla macchina della giustizia di procedere speditamente". Per "l’avvio di una nuova e più efficiente stagione per la giustizia italiana", le priorità indicate da Annamaria Cancellieri riguardano anche la cooperazione internazionale, per cui serve "assicurare il massimo impegno, anche in vista dell’assunzione della presidenza italiana dell’Unione, nel secondo semestre 2014, per garantire la partecipazione dell’Italia nella trattazione dei negoziati Ue ed extra Ue nelle materie della cooperazione giudiziaria e del mutuo riconoscimento dei diritti umani", con il "rafforzamento ed ampliamento dello scambio di informazioni per prevenire e contrastare il terrorismo internazionale e le altre attività criminali transnazionali". Il piano 2014 prevede inoltre la "valorizzazione delle risorse umane", con la "razionalizzazione e riorganizzazione nel sistema di distribuzione del personale, soprattutto in esito alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie e la ricognizione e rimodulazione dei carichi di lavoro", "l’incremento e la diffusione dei progetti di innovazione tecnologica nei procedimenti giudiziari, civili e penali", "l’attuazione del sistema unico delle intercettazioni", la "razionalizzazione e revisione delle infrastrutture giudiziarie, penitenziarie, minorili e degli archivi notarili" e la "promozione di iniziative tese alla semplificazione del funzionamento di alcuni settori particolarmente delicati specie in materia di spese di giustizia e di pagamento degli indennizzi per violazione del termine di ragionevole durata del processo, in materia notarile e di ordini professionali". Va poi attuato, sottolinea il ministro, il programma di "definizione degli standard di qualità dei servizi resi al cittadino, approntando forme più soddisfacenti di rilevazione dei bisogni degli utenti e del grado di soddisfazione rispetto ai servizi resi" e serve l’applicazione "puntuale" delle disposizioni in materia di "trasparenza ed anticorruzione, al fine di facilitare il rapporto con i cittadini". Per quanto riguarda le carceri, il Guardasigilli pone attenzione all’"implementazione delle attività trattamentali e di osservazione, la diffusione e l’incremento delle attività di istruzione, formazione professionale ed avviamento al lavoro all’interno degli istituti penitenziari, avvalendosi, a tal fine, anche della collaborazione degli enti locali e dell’imprenditoria privata e l’adozione di nuove modalità organizzative per la gestione dell’esecuzione penale esterna" e parla di "impulso all’attuazione di più moderni modelli organizzativi per la differenziazione dei circuiti detentivi". Infine, una delle priorità è la "revisione del sistema dei Servizi minorili della Giustizia, anche per il tramite dell’elaborazione di un ordinamento minorile che regoli il trattamento penitenziario dei minorenni, anche in funzione di prevenzione della devianza minorile". Giustizia: l’80% della popolazione detenuta è ammalata, serve un Osservatorio di Paolo Ferrario Avvenire, 21 gennaio 2014 Se l’80% della popolazione di una città fosse malata, il sindaco ordinerebbe quanto meno una profilassi collettiva per arginare la trasmissione del virus. Ciò non avviene, invece, nel sistema carcerario italiano che, per dimensioni (64.758 i detenuti presenti al 30 settembre scorso), potrebbe benissimo stare tra i comuni italiani di medie dimensioni. In questa cittadina con le sbarre e circondata da alte mura, la concentrazione di malattie ha ormai abbondantemente superato il livello d’allarme, come confermano i dati che la Società italiana di medicina e sanità penitenziaria, ha recentemente consegnato al Parlamento. "Sono anni che chiediamo al Ministero della Salute di attivare un Osservatorio nazionale sullo stato di salute dei detenuti - osserva Enrico Giuliani, consigliere della Simspe. Soltanto così avremo la possibilità di effettuare un serio studio epidemiologico sulle patologie più sviluppate in carcere". Le ultime stime dicono, appunto, che il 60-80% dei ristretti ha almeno una patologia e, per la maggior parte (48%), si tratta di malattie infettive. I tumori rappresentano l’1% circa di tutte le patologie e riguardano soprattutto linfomi, leucemia, neoplasie del polmone e neoplasie epatiche. "In genere - ricorda Giuliani, medico del carcere di Viterbo - questi pazienti sono curati negli ospedali e, dove esistono, vengono ricoverati nei reparti di Medicina protetta, come nel caso del "Belcolle" di Viterbo". Un terzo dei carcerati (32%), ha problemi di tossicodipendenza, condizione che, stando agli ultimi dati del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, riguarda 15.663 persone (di cui 4.864 stranieri). Al terzo posto tra le patologie più comuni tra i carcerati, ci sono i disturbi psichiatrici maggiori, che colpiscono il 27% della popolazione delle celle. Nella "classifica" della Simspe entrano quindi le malattie strettamente legate alla forzata inattività cui è costretto chi sta scontando un pena detentiva. Il 17% soffre di malattie osteorticolari, il 16% presenta patologie cardiovascolari, l’11% ha problemi metabolici e il 10% malattie dermatologiche, la cui trasmissione è favorita dall’alto tasso di sovraffollamento. Lo scorso anno è arrivato al 136%, pari a 17.143 detenuti presenti oltre la capienza massima di 47.615 posti letto offerta dai 206 istituti di pena presenti sul territorio nazionale. L’affollamento delle celle aumenta il rischio di contagio da infezioni; quelle maggiormente presenti sono la tubercolosi (ne soffre il 22% dei detenuti), il virus Hiv (4%), l’epatite B (5%), l’epatite C (33%) e la sifilide (2,3%). Migliorare le condizioni di "detenzione per adulti e minori", anche attraverso il "completamento del piano straordinario di edilizia penitenziaria", è quindi in cima alle priorità indicate dal ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri, nella direttiva ministeriale per il 2014. Per affrontare in maniera non estemporanea il problema della cura delle malattie in carcere, la Società dei medici penitenziari ha rivolto una serie di "istanze al legislatore". Tra le più urgenti, dopo l’Osservatorio, c’è l’adeguamento dei Livelli essenziali di assistenza (Lea) alle "specificità penitenziarie". Inoltre, i sanitari chiedono l’istituzione del "fascicolo sanitario elettronico nazionale, elemento sostanziale per creare ed integrare la continuità diagnostico-terapeutica territorio-carcere-territorio". E per evitare i casi come quello, denunciato dall’associazione Antigone, di Federico Perna, morto a Poggioreale (Napoli), l’8 novembre scorso ufficialmente per sospetto ictus. I compagni di cella raccontano però che "da una settimana sputava sangue", forse a causa della grave patologia epatica di cui soffriva da tempo. In carcere dal 2010, in tre anni Federico è stato detenuto a Regina Coeli (Roma), Velletri, Cassino, Viterbo, Napoli-Secondigliano e, infine, Poggioreale, dove è morto. Sul caso sono state aperte due inchieste, una amministrativa e una giudiziaria, ma non occorre attendere gli esiti per dire, con Antigone, che "questo girovagare tra gli Istituti di pena non ha giovato alla salute del detenuto". Per evitare altri casi come questo, nel suo ultimo Rapporto, Antigone ha sollecitato la politica a creare le condizioni per una "tutela effettiva della salute" dei detenuti, "anche attraverso una figura che sia realmente intesa quale medico di fiducia". Un’opportunità ancora negata alla maggior parte dei carcerati. Giustizia: Unione Camere Penali "il nuovo 416 ter cp... ovvero il harakiri della politica" Comunicato Ucpi, 21 gennaio 2014 La data del 21 gennaio, nella quale al Senato è prevista l’approvazione della modifica all’art. 416 ter cp, potrebbe segnare il punto di non ritorno per una politica che, incapace di riformare se stessa, decide di essere selezionata ad opera della magistratura. Una politica che non comprende che la divisione dei poteri può esistere soltanto in presenza di norme penali chiare, precise e tassative, che impediscano al giudice di creare ex novo il diritto. In quella data, infatti, non sarà solo in discussione l’approvazione o meno della modifica del reato di scambio elettorale politico-mafioso, ma l’equilibrio fra poteri dello Stato. È sufficiente leggere il nuovo art. 416 ter c.p., approvato in Commissione Giustizia del Senato, per accorgersi che esso rappresenta l’apoteosi della indeterminatezza e rimette all’arbitrio del pubblico ministero la valutazione sulla "disponibilità’’ del politico verso l’interesse - anch’esso indeterminato - dell’associazione criminale, oltre a prescindere da un patto serio, specifico, dettagliato. Il tutto con il paradossale effetto di punire i rapporti dei politici con il singolo appartenente alle consorterie con pene esagerate, superiori rispetto alla stessa partecipazione in associazione mafiosa. Insomma, un triplo passo indietro che apre la strada a condanne in assenza di condotta. La politica - che ha sempre colpevolmente delegato alla magistratura la lotta alle mafie - nemmeno nel 1992, a seguito delle stragi palermitane, ha approvato norme come quella oggi in esame che annienteranno il potere legislativo di fronte a quello giudiziario. Modificare il reato di scambio elettorale politico-mafioso c.p., come licenziato dalla Commissione Giustizia del Senato, certificherebbe un vero e proprio harakiri della politica. A riprova di ciò, basti considerare che la "disponibilità" del politico stabilita dall’articolo in esame non ha un connotato materiale e finirà per essere provata sulla base di argomenti presuntivi, magari tratti da dialoghi tra terzi che manifestano fiducia sull’operato futuro in loro favore del candidato da votare. Nel 1948 i Costituenti avevano un obiettivo, quello di impedire il ricrearsi di un regime autoritario attraverso un bilanciamento dei poteri dello Stato, ma mai avrebbero immaginato di trovarsi di fronte ad un potere politico così debole come quello attuale; se lo avessero soltanto ipotizzato sicuramente il titolo IV della Costituzione sarebbe stato diverso. Sottrarre i politici ai condizionamenti dei mafiosi è necessario, ma l’obiettivo va raggiunto con altri sistemi, non già sovvertendo la Costituzione, che prevede la separazione e non la subordinazione di un potere all’altro. Cosa che è addirittura ineluttabile quando si inseriscono norme indeterminate che sono il miglior veicolo per quelle invasioni di campo che condizionano la storia civile del Paese da oltre vent’anni. Giustizia: Cisal-Funzioni Pubbliche Centrali; gli Uffici Giudiziari paralizzati dallo svuota-carceri Il Moderatore, 21 gennaio 2014 Lo avevamo detto e ridetto e, purtroppo, così sta avvenendo. Il provvedimento c.d. "svuota carceri" inserito dal Governo in fretta e furia tra quelli di urgente attuazione senza un’efficace valutazione dei cosiddetti effetti collaterali, sta producendo una situazione ai limiti della sopportabilità che ben presto condurrà ad una paralisi dei tribunali. Questo decreto governativo, o indulto mascherato sotto mentite spoglie per non infastidire l’opinione pubblica, che vuol risolvere "a costo zero" il problema del criticatissimo (dall’U.E.) sovraffollamento delle carceri, rischia di liberare i detenuti, rinchiudendo giudici e personale giudiziario. Del resto non potrebbe essere diversamente considerato che in meno di un mese i magistrati di sorveglianza si sono visti seppellire, da nord a sud della penisola, da montagne di fascicoli contenenti richieste di sconti di pena e liberazione anticipata. Il numero esatto delle istanze di scarcerazioni, che avvengono nelle media di circa 200 a settimana, a quanto pare non è dato di sapere (atteso che nella fretta di varare il provvedimento non si è dato modo agli specialisti del settore di aggiornare il sistema informativo di trasmissione dati telematico delle ordinanze) ma, basta considerare che in meno di un mese in una città del sud, in Puglia, sono arrivate ben 270 richieste di liberazione anticipata a cui dovranno rispondere solo tre magistrati e che al nord, in questo caso, le cose non vanno meglio che al sud (nella sola Milano sono giunte in circa tre settimane oltre 500 richieste), per rendersi conto che il sistema potrebbe presto andare letteralmente in tilt e giungere alla paralisi. Gli addetti non riescono neppure a contare tutte le istanze presenti che già ne ricevono tante altre e, la necessità di dare priorità a quelle "speciali, le c.d. "svuota celle", rischia di creare uno squilibrio ed un iniquo trattamento tra detenuti "in uscita" e tutti gli altri. Come poter effettuare, in simili condizioni, vigilanza e controlli di legalità sull’esecuzione della pena. Molti potrebbero aver già guadagnato la libertà o l’accesso alle misure alternative e, benché i magistrati facciano di tutto per evitare un pericoloso effetto deflattivo - così per come affermato dal coordinatore nazionale dei magistrati di sorveglianza, dr. Pavarin - non è escluso che ciò possa accadere, anche alla luce del fatto che non è assolutamente facile intuire quali fra le tantissime richieste, potranno dare luogo ad un effetto liberatorio del condannato e, contemporaneamente, stare attenti a chi si rimette in libertà. Molte richieste riguardano casi con un fine pena talmente lontano da non poter in nessun modo rientrare tra i benefici, ma poiché vengono comunque presentate, devono seppur velocemente essere vagliate. Per ogni istanza va istruita la pratica, valutato l’intero "curriculum" del richiedente costituito da sentenze, relazioni comportamentali ecc…; il tutto mentre gli addetti alle cancellerie devono dare risposte alle "solite" richieste degli avvocati. Ad affermarlo, Paola Saraceni, Segretario Generale del Dipartimento Ministeri-Sicurezza-Presidenza del Consiglio dei Ministri della Cisal-Fpc, che già oltre un mese fa, in tempi non sospetti, parlando del concreto pericolo che ciò avvenisse aveva detto: "A nulla potrà servire un simile provvedimento di clemenza se non ad un temporaneo svuotamento delle carceri - che consentirà al massimo all’Italia di tamponare l’emergenza carceri e non incorrere nelle pesanti sanzioni previste dall’U.E.". Non potrebbe essere diversamente - prosegue la dirigente sindacale - difronte a un provvedimento d’urgenza non supportato dallo studio e conseguente adozione di nuove misure alternative alla detenzione; che non tiene conto del notevole aggravio del carico di lavoro che ha già colpito il personale giudiziario di tutta Italia, causato dalla recente rivisitazione della geografia giudiziaria che ha comportato la soppressione di numerosi uffici dei giudici di pace e sedi distaccate di tribunali con il conseguente trasferimento dei grossi carichi di lavoro e dei numerosissimi fascicoli, nelle altre sedi rimaste aperte ma che, in costante sottorganico, avevano già difficoltà a smaltire l’enorme mole di lavoro " tradizionale" esistente. Alla luce di tutto ciò- chiosa la Saraceni - la Cisal non può che ribadire - ancora una volta e con maggior forza - la propria richiesta di un riposizionamento verso l’alto (riqualificazione) di tutto il personale di tutte le figure professioni giudiziarie oggi esistenti con adeguamento, per tutti i dipendenti, degli stipendi agli standard europei; l’immissione di nuovo personale all’interno dell’Amministrazione giudiziaria, che vada ad affiancare e coadiuvare quello già in servizio, allo strenuo delle forze e sull’orlo di un collasso psico-fisico e, infine ma non da meno, riaffermare il suo no ad una riforma della Giustizia " A costo zero" fatta sulla pelle dei lavoratori, che non tenga nella debita considerazione una riforma/rivisitazione dell’organizzazione del personale giudiziario e dei mezzi a sua disposizione. Giustizia: caso Cucchi; la Cassazione rimanda a nuovo processo dirigente Prap assolto in appello Ansa, 21 gennaio 2014 Ci sono dei "vizi" in alcuni passaggi della sentenza di assoluzione in appello di Claudio Marchiandi, direttore dell’ufficio detenuti e del trattamento del Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria (Prap), dai reati di falso in atto pubblico, abuso di ufficio e favoreggiamento nel caso della morte di Stefano Cucchi. Per questo la Cassazione ha disposto un nuovo processo davanti ad un’altra sezione della Corte d’Appello, che "in piena libertà" dovrà "sorreggere il deliberato con motivazione conforme alle regole della logica e del diritto". La quinta sezione penale della Cassazione ha accolto il ricorso del Pg della Corte d’Appello di Roma contro i "capisaldi" della sentenza di assoluzione, che aveva ribaltato la condanna che gli era stata comminata con rito abbreviato. L’accusa nei confronti di Marchiandi era quella di avere concorso alla "falsa rappresentazione" delle reali condizioni di Stefano Cucchi, attestando che fossero meno gravi di quelle che erano in realtà, per consentire il suo ricovero al "Pertini" nell’ottobre del 2009 e di avere abusato del suo ufficio redigendo personalmente in ospedale in orario extra lavorativo la richiesta di disponibilità del posto letto, aiutando così gli agenti della penitenziaria ad eludere le investigazioni. Secondo la Cassazione - sentenza n. 2252, udienza del 17 ottobre 2013 - la corte d’appello avrebbe dovuto, come richiesto dalla procura generale nel ricorso, soffermarsi "sul protocollo della struttura complessa di medicina protetta", sottoscritto tra il provveditorato per le carceri e la Asl, che secondo l’accusa prevedeva solo ricoveri programmabili, escludendo invece i pazienti "in situazione di acuzie", come Cucchi. Inoltre, secondo la Corte non si può escludere, in base a quanto emerso nel processo - come invece hanno ritenuto i giudici di appello - che il dirigente fosse a conoscenza, seppure indirettamente (perché non lo aveva mai incontrato) delle reali situazioni di salute del detenuto. Infine, la Corte rileva come "non sia conforme a logica sostenere che il ricovero in uno struttura protetta comporti un’attenuazione dello stato di isolamento del detenuto", e che pertanto sarebbe stato illogico esporre Stefano dopo le presunte percosse subite a più sguardi, poiché la sicurezza dei reparti viene in questi casi comunque affidata alla polizia penitenziaria "in misura non diversa da quella che caratterizza gli istituti penitenziari". Giustizia: Berlusconi, il 10 aprile udienza per l’affidamento ai servizi sociali Ansa, 21 gennaio 2014 È stata fissata per il 10 aprile, davanti al tribunale di sorveglianza di Milano l’udienza per discutere l’affidamento in prova ai servizi sociali di Silvio Berlusconi, condannato definitivamente a 4 anni di carcere, tre dei quali coperti da indulto, per il caso Mediaset. L’atto di fissazione dell’udienza è stato notificato oggi alla difesa. Da quanto è stato riferito l’udienza in cui si discuterà la richiesta di affidamento in prova ai servizi sociali per Berlusconi è stata fissata nel pomeriggio, alle ore 17. Il collegio dovrebbe essere formato dal presidente del Tribunale di Sorveglianza Pasquale Nobile De Santis e dal giudice Beatrice Crosti. Dopo l’udienza, alla quale Berlusconi dovrebbe partecipare, i magistrati avranno cinque giorni di tempo per emettere il provvedimento di accoglimento o meno dell’istanza depositata lo scorso ottobre dai suoi difensori, il prof. Franco Coppi e l’avvocato Niccolò Ghedini. Inoltre, se la richiesta del Cavaliere dovesse essere accolta dai 12 mesi da scontare (tre dei quattro anni della pena inflitta sono coperti da indulto), potrebbero essere tolti 45 giorni, come prevede la legge, se nei primi sei mesi il percorso di messa in prova sarà giudicato positivo. Dunque l’affidamento in prova potrebbe essere di 10 mesi e mezzo. Giustizia: "no-global" G8 detenuto ingiustamente, la Cassazione dice no al risarcimento La Repubblica, 21 gennaio 2014 No al risarcimento per "ingiusta detenzione" al no-global, accusato per gli episodi di devastazione e saccheggio avvenuti nel corso del G8 di Genova nel 2001, e poi assolto in via definitiva da ogni accusa. La quarta sezione penale della Cassazione ha rigettato il ricorso avanzato da un uomo, accusato di aver preso parte ai danneggiamenti avvenuti nel capoluogo ligure nel corso delle manifestazioni anti-G8, il quale, assolto in appello dai reati che gli erano stati contestati, aveva presentato domanda di "riparazione" per l’"ingiusta detenzione" subita nel dicembre 2002 per quegli stessi fatti. La Corte d’appello di Genova aveva rigettato la sua istanza, e questa decisione è stata condivisa dalla Cassazione. La Suprema Corte, sulla base dei provvedimenti emessi nel giudizio penale a carico del ricorrente, ha rilevato che "le pronunce assolutorie non hanno escluso le condotte", ritenendole "ai fini del giudizio penale non idonee a dimostrare la partecipazione attiva dell’imputato". I giudici genovesi, nel respingere la domanda di riparazione, avevano ravvisato la "grave colpa ostativa" nel fatto che l’uomo "era stato ripreso nella documentazione filmata relativa agli episodi di danneggiamento e devastazione". Giustizia: inchiesta su istigazione a suicidio, i Pm di Palermo convocano il figlio di Provenzano Corriere della Sera, 21 gennaio 2014 Al centro dell’interrogatorio dovrebbero esserci le frasi dette dal boss ai familiari durante colloqui intercettati. La Procura di Palermo ha convocato il figlio del capomafia Bernardo Provenzano, Angelo, per un interrogatorio. Provenzano sarà sentito come persona informata sui fatti nell’ambito dell’inchiesta per istigazione al suicidio aperta dalla Procura dopo il presunto tentativo di togliersi la vita compiuto dal boss in carcere il 12 maggio scorso. Al centro dell’interrogatorio dovrebbero esserci le frasi dette dal capomafia ai familiari durante colloqui intercettati. Sul punto è stato sentito anche il fratello di Angelo Provenzano, Francesco Paolo. Il boss avrebbe detto che all’interno dell’istituto di pena qualcuno gli fa del male. Una constatazione su cui i magistrati vogliono vedere chiaro soprattutto alla luce di quanto accaduto a maggio scorso a Provenzano, che venne sorpreso con un sacchetto in testa che fece pensare a un tentativo di suicidio, e alla luce dei numerosi incidenti avuti in carcere dal boss. La Procura - i pm titolari del caso sono gli stessi che indagano sulla trattativa Stato-mafia - sta cercando di accertare se ci sia stato un piano per eliminare in carcere il padrino di Corleone. Giustizia: Cocò, una vita con tossici e sbirri bruciata dalla vendetta dei clan La Repubblica, 21 gennaio 2014 La madre arrestata implorò: non fatelo crescere dietro le sbarre. "Cocò" aveva già visto tutto. A tre anni aveva visto la droga girare per casa, i tossici bussare alla porta a tutte le ore del giorno e della notte; aveva visto gli "sbirri" portarsi via mamma e papà. E poi le celle del carcere, l’aula bunker di Corigliano, le divise dei secondini e le toghe nere di giudici e avvocati. Tutto, fino all’esecuzione di nonno "Peppino" e di "zia Betty". Tutto, fino al buio che se lo è portato via. Ha visto tutto, anzi gli hanno fatto vedere tutto. "Cocò" lo chiamavano. E così diceva di chiamarsi quando qualcuno gli chiedeva il nome. "Cocò" era Nicola Campolongo, e qualcuno lo chiamava Junior perché aveva lo stesso nome del padre. Un bimbo nato nel posto sbagliato, al momento sbagliato, da una famiglia sbagliata. Una vita senza speranza perché nessuno gliene aveva data. Nicola è morto con un colpo di pistola alla testa, poi le bestie che gli hanno sparato hanno dato fuoco al suo corpo, facendogli fare la stessa fine del nonno Giuseppe Iannicelli e della sua fidanzata Ibtissa Taoussa. Tutti e tre consumati con 10 litri di benzina nel rogo della Fiat Punto grigia appiccato per cancellare le tracce dei sicari. "Cocò" è morto così sul sedile posteriore di un’auto in una contrada sperduta di Cassano. Era il terzo di tre figli. La madre Antonia Iannicelli di 24 anni e il padre di 26 erano finiti in manette il 10 giugno del 2011 per una storia di droga. "Cocò" all’epoca era ancora in fasce e le sue sorelle avevano 2 e 4 anni. Nella stessa operazione vennero arrestati anche la zia Simona, sorella della madre e a sua volta madre di due figli, e la nonna Carmela Lucera. L’inchiesta della Dda di Catanzaro si chiamava "Tsunami" e di questo si era realmente trattato per la famiglia Iannicelli. Di una calamità che aveva investito e travolto anche cinque ragazzini. Tutti dentro, ad esclusione di nonno "Peppino" che di suo aveva già scontato 8 anni di carcere ed ora aveva l’obbligo di dimora notturna a casa. "Cocò" aveva visto così per la prima volta le divise e le celle, i carabinieri armi in pugno e i ferri ai polsi. Antonia dopo poche ore venne messa ai domiciliari e fino a dicembre del 2012 quando tornò in carcere per aver violato gli obblighi di legge. Aveva preso i suoi tre figli ed era andata con loro a far visita al marito in carcere. Solo che lei per quel colloquio non era autorizzata. "Cocò" era finito in cella assieme alla madre, recluso tra i reclusi, di fatto agli arresti anche lui. A vivere tra sbarre e porte chiuse. La storia di quei ragazzini era stata raccontata dai cronisti di giudiziaria, che durante le udienze del primo grado del processo avevano visto comparire Antonia e sua sorella Simona (incinta) nelle gabbie dell’aula bunker con i bimbi in braccio. Un’immagine che aveva scosso le coscienze e scatenato la reazione di Franco Corbelli dell’associazione Diritti Civili che a più riprese aveva chiesto di trovare una sistemazione per i bambini. Per Simona sono stati decisi i domiciliari, Antonia era rimasta in carcere, mentre "Cocò" e i suoi fratelli erano stati affidati al nonno. Il piccolo viveva con Giuseppe Iannicelli, le due più grandicelle con la zia Simona. Li avevano sistemati, ma nessuno si era realmente occupato della loro sicurezza. Un tema, quello del rischio per i bambini, che è poi riesploso a luglio scorso. Giuseppe Iannicelli aveva scritto al Quotidiano della Calabria chiedendo il rilascio di Antonia: "Lo so, mia figlia ha sbagliato, ma bisogna capire che è ancora una ragazzina che non ha retto a quella che a noi sembra un’ingiustizia. È necessario che venga perdonata adesso che la situazione è diventata ingestibile, prima che succeda qualcosa di grave". Nonno Peppino forse si era reso conto di non essere adeguato a fare da padre a quei nipoti, oppure aveva intuito di navigare in acque agitate. Nello stesso periodo Antonia aveva scritto un appello disperato. Una lettera indirizzata a Corbelli nella quale chiedeva perché a lei non era stato concesso, avendo figli minori di 6 anni, "di stare a casa". Dal suo punto di vista la revoca dei domiciliari era stata ingiusta perché in fondo aveva solo "portato i figli a incontrare il padre che non vedevano da due anni, e che il piccolo Cocò neppure conosceva". Droga, carcere, sicurezza, affetti familiari e bambini, tutto in un grande calderone. Gestito da una macchina della giustizia che, in generale, ha mostrato le sue falle. Non a caso dopo il triplice omicidio e la fine orribile del bimbo in tanti iniziano ad interrogarsi sulle evidenti disattenzioni dello Stato. Antonio Marziale, Presidente dell’Osservatorio nazionale per i diritti dei minori, è esplicito: "Lo Stato ha gravi responsabilità. Storie come quella di Cassano sono emblematiche dell’insipienza del nostro Paese. E d’altra parte non si dimentichi che l’Italia è il luogo dove i minorenni stranieri ospiti dei centri di accoglienza, riescono ad allontanarsi senza lasciare traccia di loro. Abbiano un ritardo spaventoso sui temi del disagio dei bambini". Simile l’opinione di Mario Nasone, Presidente del Centro comunitario Agape: "Serve un monitoraggio da parte dei Tribunali per i Minorenni e dei Servizi Sociali, di queste situazioni di rischio. Una presa in carico e l’attivazione dei provvedimenti necessari ed idonei per la tutela dei minori". Per Nasone "si tratta di superficialità inaccettabili e moralmente pesanti. Non è un Paese civile quel Paese che si arrende ritenendo alcuni ragazzi, solo dei ragazzi a perdere". Giustizia: Nicola poteva essere salvato di Mario Nasone (Centro comunitario Agape Reggio Calabria) Corriere della Calabria, 21 gennaio 2014 La vita di Nicola, il bambino di Cassano Ionio barbaramente ucciso, poteva essere salvata? Accanto alla esecrazione e alla condanna dell’atto brutale è questa la domanda che bisogna porsi anche per evitare che nel futuro analoghi eventi tragici colpiscano altri bambini. In particolare bisogna interrogarsi sul perché il bambino sia stato affidato ad un nonno destinatario del provvedimento di sorveglianza speciale con tutto quello che ne consegue, con l’aggiunta che aveva lui stesso e pubblicamente espresso dei timori sulla sorte del bambino, forse presagendo quello che sarebbe accaduto. Considerata la detenzione in carcere della madre non sarebbe stato più idoneo per esempio un provvedimento di affidamento etero familiare o ad una casa-famiglia? Una famiglia terza, avrebbe potuto garantire una protezione del bambino senza recidere i legami con la famiglia d’origine. In altre situazioni questo è stato fatto dai Tribunale per i Minorenni della Calabria. Come centro comunitario Agape, siamo stati protagonisti e testimoni di famiglie affidatarie e di comunità che hanno accolto minori figli di testimoni di giustizia o coinvolti in faide o appartenenti a famiglie mafiose. Provvedimenti che hanno permesso di salvare le loro vite ed in molti casi di assicurare un loro futuro diverso da quello criminale. Purtroppo va registrato come la condizione di rischio per i minori che crescono in contesti familiari e mafiosi non è entrata nell’attenzione della politica e nella coscienza collettiva nonostante ci venga continuamente sbattuta in faccia dalla cronaca e dalle indagini giudiziarie. Il rischio è che tutto venga rubricato come un affare interno alle famiglie mafiose con lo Stato e la comunità spettatrici limitandoci, nonostante i precedenti, a mostrare stupore per una ‘ndrangheta che uccide anche i bambini. Serve invece un impegno di istituzioni e società civile per avviare una vera e propria ingerenza umanitaria in quelle situazioni in cui si registrano, come recita la legge, "condotte pregiudiziovoli all’interesse del minore". Esporre i minori a rischio di vendette o a pratiche di reclutamento mafiose non sono forse condotte pregiudizievoli che hanno bisogno perlomeno di essere attenzionate dalla magistratura minorile e dai servizi sociali? Serve quindi un monitoraggio da parte dei Tribunali per i Minorenni, dei servizi sociali, di queste situazioni di rischio, una presa in carico e l’attivazione dei provvedimenti necessari e idonei per la tutela dei minori. È il momento anche per la Regione Calabria di decidere seriamente di passare dalle politiche di abbandono verso i minori e le famiglie a rischio sociale per investire seriamente in politiche sociali ed educative di prevenzione e di contrasto alla povertà ed alle devianze in tutte le sue forme. Come ha affermato il vescovo di Cassano Nunzio Galantino tutti ci dobbiamo interrogare per cercare di trovare le risposte adeguate a questi eventi drammatici. Non farlo è come tradire la memoria del piccolo Nicola ed il suo estremo sacrificio. Toscana: su iniziativa dell’Asl 11, al via corso formazione per personale istituti penitenziari Agenparl, 21 gennaio 2014 Primo giorno di lezione per i direttori ed i referenti degli istituti penitenziari della Regione Toscana, mercoledì 22 gennaio prossimo, nei locali dell’Agenzia per la formazione dell’Asl 11, nell’ambito del corso "Sviluppo competenze manageriali, di leadership e di gestione del gruppo". Il corso professionale, che terminerà nel mese di marzo, vuole promuovere le competenze relazionali e comunicative del gruppo di lavoro operante in ambito penitenziario. Lavorare sulla cultura e sui valori dei professionisti, la parte non scritta dell’organizzazione, consentirà loro di apprendere, riflettere e sviluppare un’identità collettiva per poter condividere, in maniera efficace, metodologie, strumenti e modelli di lavoro. Da anni la Regione Toscana ha avviato un importante processo di riqualificazione delle attività sanitarie in ambito penitenziario, che ha comportato l’attivazione di una serie di azioni formative volte a implementare buone pratiche per migliorare la salute in carcere e per favorire l’integrazione tra l’area sanitaria e le altre aree all’interno degli istituti penitenziari, allo scopo di aumentare l’efficacia degli interventi sull’utente, grazie allo sviluppo di un lavoro strutturato e condiviso. Considerando la positiva esperienza dello scorso anno e l’importanza di sviluppare un sistema formativo multi-professionale che offra continuità con il precedente, la Regione Toscana ha ritenuto fondamentale avvalersi anche per il biennio 2013/2015 dell’Asl 11, capofila del territorio regionale, per l’organizzazione dei percorsi formativi affinché si possa costruire competenze professionali omogenee sul territorio a garanzia della sicurezza e dell’equità della risposta alla domanda di salute del cittadino detenuto. Il piano formativo 2013/2015 parte nell’Agenzia per la Formazione per poi estendersi anche all’interno degli istituti penitenziari. Le edizioni previste sono 32 e riguardano le tematiche più emergenti: dalla qualità alla prevenzione, dal sistema di emergenza urgenza alla medicina penitenziaria vera e propria, dalla comunicazione e accoglienza agli aspetti medico-legali, dall’assistenza all’applicazione di nuove strategie terapeutiche. Trieste: sabato 25 gennaio mobilitazione dei Radicali sulla giustizia e per l’amnistia di Marco Gentili Notizie Radicali, 21 gennaio 2014 Cari Amici e compagni, mancano 135 giorni all’ultimatum imposto all’Italia dalla Corte Edu con la sentenza Torreggiani affinché siano rimosse le cause strutturali che generano i "trattamenti inumani e degradanti" (Tortura: art. 6 della Cedu) nelle nostre carceri, e il Parlamento ancora non ha discusso il messaggio solenne che l’8 ottobre 2013 il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha inviato alle Camere. Garante supremo del rispetto della legalità da parte dello Stato, il Presidente Napolitano ha voluto utilizzare lo strumento principe che la Costituzione (art. 87) gli affida per rivolgersi al Parlamento. In quella occasione, Napolitano ricordava a deputati e senatori che l’Italia viene "a porsi in una condizione che ho già definito umiliante sul piano internazionale per le tantissime violazioni di quel divieto di trattamenti inumani e degradanti nei confronti dei detenuti che la Convenzione europea colloca accanto allo stesso diritto alla vita. E tale violazione dei diritti umani va ad aggiungersi, nella sua estrema gravità, a quelle, anche esse numerose, concernenti la durata non ragionevole dei processi". Non solo carceri, dunque, ma anche giustizia negata dall’irragionevole durata dei processi. "Confido - scriveva Napolitano oltre tre mesi fa ai parlamentari - che vorrete intendere le ragioni per cui mi sono rivolto a voi attraverso un formale messaggio al Parlamento e la natura delle questioni che l’Italia ha l’obbligo di affrontare per imperativi pronunciamenti europei. Si tratta di questioni e ragioni che attengono a quei livelli di civiltà e dignità che il nostro paese non può lasciar compromettere da ingiustificabili distorsioni e omissioni della politica carceraria e della politica per la giustizia". Per queste ragioni sabato 25 gennaio a partire dalle ore 9.00, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, saremo presenti davanti alla Corte d’Appello a Trieste, con i cartelli e bandiere a sostegno della battaglia per l’amnistia e la riforma della giustizia. Parma: Lucchi (Sindaco Berceto); aiuto detenuti nella prevenzione del dissesto idro-geologico Parma Today, 21 gennaio 2014 Nuova presa di posizione del sindaco di Berceto Luigi Lucchi. Il primo cittadino ha inviato una lettera al Ministro della Giustizia per chiedergli di verificare la possibilità di impiegare i detenuti per azioni di prevenzione contro il dissesto in Appennino. "Gentilissimo Ministro, certamente ricorderà Berceto e il Suo Sindaco anche per l’onore che ha fatto, a questo paese, il 3 luglio 2012, con la Sua graditissima visita per l’intitolazione dei giardini del Comune al Prof. Cesare Bartorelli. Mi rivolgo a Lei, donna del fare, per chiederLe un aiuto che potrebbe invertire le condizioni del territorio montano: predisporre dei progetti per coinvolgere i carcerati che ne faranno richiesta e che saranno ritenuti idonei per svolgere tutte quelle azioni di prevenzione contro il dissesto, per ripristinare e mantenere le sistemazioni idraulico-agrarie, per pulire i rii, governare i boschi e produrre, anche, energia rinnovabile. C’è la sensibilità, da parte dell’Amministrazione Comunale di Berceto, d’intesa con l’assessorato provinciale, per essere coinvolti in questo progetto. Un progetto che nasce dalla mia consapevolezza che ormai non sono più eccezioni gli smottamenti, lo sgretolamento del territorio, con qualche ora di pioggia, con giorni di pioggia. Serve tornare a fare prevenzione, manutenzione. Serve, insomma, governare il territorio come un tempo. Oggi, però, non ci sono le condizioni economiche e la montagna, anche nella ricca Emilia, nella ricca Provincia di Parma, è spopolata ed abbandonata. Le risorse statali facevano fatica anche in passato ad essere utilizzate per la manutenzione, la prevenzione ed ora, complice la crisi economica e la crisi della politica, nei fatti, è impensabile un ritorno, a breve, della salvaguardia del territorio. In poco tempo, con l’accelerazione attuale, verrà cancellata tutta la cultura contadina delle nostre zone, modificato pesantemente il paesaggio, depauperato il patrimonio edilizio e soprattutto si accentueranno i pericoli per la città di Parma e la ricca pianura. Leggo che un detenuto costa mediamente 130 euro al giorno e inoltre, da Maggio, lo Stato potrebbe essere costretto, per il sovraffollamento delle nostre carceri, a pagare sanzioni stimate da 300 milioni ad 1 miliardo, all’Unione Europea. Tutte risorse che potrebbero essere utilizzate, gestendo diversamente parte dei detenuti. Ritengo, poi, che l’opinione pubblica, in considerazione di una martoriante criminalità, o microcriminalità come viene, a torto, definita per chi la subisce, resti contraria a qualsiasi decisione svuota carceri. Diverso, invece, una modalità nuova di approcciare le condizioni, molte volte, disumane delle carceri, e l’inserimento, doveroso, dei detenuti, ex detenuti nella società. Credo, insomma, che senza impiegare nuove risorse, si potrebbero affrontare e risolvere diversi problemi complementari: l’affollamento delle carceri, l’abbandono del territorio montano e la sua fragilità. Nulla è semplice, signor Ministro, e Lei lo sa bene. Desidero, però, vederLa tenace e capace d’essere pratica come ha sempre dimostrato. È l’unica che può favorire questo salto di qualità, nel nostro vivere civile. Io, come Sindaco, sono a Sua disposizione anche per un incontro e resto fiducioso. Desidero, insomma, rivedere il mio territorio governato ed utilizzato al meglio. Grazie dell’attenzione". Cagliari: Sdr; primo "braccialetto elettronico" in Sardegna per detenuta-madre e suo bimbo Ansa, 21 gennaio 2014 "Hanno lasciato il carcere di Buoncammino Claudja Radu, 31 anni, madre di 4 figli, e la piccola Sara, 54 giorni, 28 dei quali trascorsi in cella. La donna sconterà la pena di 2 anni e 2 mesi di reclusione nella sua dimora di Macomer con il braccialetto elettronico". Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione "Socialismo Diritti Riforme", avendo appreso che "stamattina accompagnate alla stazione da un volontario dell’Orsac (Opera Redenzione Sociale Assistenza Carceraria), mamma e figlia hanno potuto riprendere la strada di casa". "È quindi andata a buon fine - sottolinea Caligaris - la richiesta, formulata dall’avv. Rossana Palmas, di accedere per la prima volta in Sardegna al braccialetto elettronico ad una delle due mamme detenute a Buoncammino dal 24 dicembre scorso. I tecnici della Telecom hanno infatti potuto facilmente verificare la compatibilità dello strumento elettronico al luogo di residenza della donna che abita a circa 4 chilometri dal centro urbano". "Sono rimaste invece ancora a Buoncammino Sabrina Marinkovic, 24 anni, e la piccola Valentina, 52 giorni. La donna, raggiunta da un ulteriore provvedimento definitivo di cinque mesi, è in attesa dell’esito del sopralluogo nel campo nomadi di Roma dove si trova il marito". "L’impiego del braccialetto elettronico - ricorda la presidente di SdR - rappresenta una novità nell’ambito dell’esecuzione penale. Aldilà delle polemiche relative ai costi per lo scarso utilizzo, in casi come questo può essere un’utile soluzione ma non può far dimenticare che due creature innocenti sono state rinchiuse in un Istituto Penitenziario mentre in altre realtà la situazione è ben diversa". Genova: Sappe; nel carcere di Marassi scoperto detenuto con telefonino in cella Agi, 21 gennaio 2014 Dopo i due detenuti stranieri che si sono cuciti la bocca per protesta, un nuovo evento critico ha visto protagonista un detenuto straniero ristretto nel carcere di Genova Marassi. È stato il suo anomalo atteggiamento ad avere insospettito il personale di Polizia Penitenziaria. E quando, al cambio turno delle ore 16, il detenuto era chiuso nel bagno della cella, gli Agenti lo hanno scoperto mentre armeggiava con un telefono cellulare. È accaduto questo pomeriggio a Marassi. "I poliziotti penitenziari sono stati bravi ad intercettare il comportamento anomalo del detenuto, un tunisino con la posizione giuridica di giudicabile ristretto al quarto piano della I Sezione detentiva. Al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria chiediamo interventi concreti come, ad esempio, la dotazione ai Reparti di Polizia Penitenziaria di adeguata strumentazione tecnologica per contrastare l’indebito uso di telefoni cellulari o altra strumentazione elettronica da parte dei detenuti nei penitenziari italiani". Lo sottolinea Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe. "Il rinvenimento è avvenuto - spiega Martinelli - grazie all’attenzione, allo scrupolo ed alla professionalità di Personale di Polizia Penitenziaria in servizio a Marassi, uomini che lavorano in difficili condizioni operative per le risapute carenze organiche di ben 130 Agenti". Il Sappe ricorda che "sulla questione relativa all’utilizzo abusivo di telefoni cellulari e di altra strumentazione tecnologica che può permettere comunicazioni non consentite è ormai indifferibile adottare tutti quegli interventi che mettano in grado la Polizia Penitenziaria di contrastare la rapida innovazione tecnologica e la continua miniaturizzazione degli apparecchi, che risultano sempre meno rilevabili con i normali strumenti di controllo". "A nostro avviso - conclude Martinelli - appaiono pertanto indispensabili interventi immediati compresa la possibilità di "schermare" gli istituti penitenziari al fine di neutralizzare la possibilità di utilizzo di qualsiasi mezzo di comunicazione non consentito e quella di dotare tutti i reparti di Polizia Penitenziaria di appositi rilevatori di telefoni cellulari per ristabilire serenità lavorativa ed efficienza istituzionale, anche attraverso adeguati ed urgenti stanziamenti finanziari". Milano: perizia psichiatrica su Kabobo "va trasferito in Opg per cure", attesa decisione del Riesame di Igor Greganti Ansa, 21 gennaio 2014 "Adam "Mada" Kabobo, il ghanese che lo scorso maggio a Milano ammazzò a colpi di piccone tre passanti, potrebbe uscire nei prossimi giorni dal carcere di San Vittore per essere trasferito in un ospedale psichiatrico giudiziario, ma sempre in regime di custodia cautelare. E ciò avverrà se il Tribunale del Riesame del capoluogo lombardo deciderà in questo senso sulla base della perizia, depositata oggi dal medico legale nominato dai giudici, che ha accertato l’incompatibilità delle condizioni di salute mentale dell’immigrato con la detenzione in una casa di reclusione. Nel pomeriggio, infatti, il medico legale Marco Scaglione ha fatto pervenire la sua relazione nella cancelleria del Riesame, dopo poco più di una decina di giorni di visite e accertamenti su Kabobo, detenuto a San Vittore dallo scorso 11 maggio quando uccise con un piccone Daniele Carella, 21 anni, Alessandro Carolé, 40 anni, e Ermanno Masini, 64 anni. Nella perizia, da quanto si è saputo, il medico legale ha spiegato, in sostanza, che le condizioni psichiatriche del ghanese non sono compatibili con il regime carcerario, ma che è necessario che l’uomo venga collocato in un Opg, dove potrebbe ricevere cure più adeguate. Nei mesi scorsi, tra l’altro, il ghanese aveva anche aggredito un compagno di cella tentando di strangolarlo, in preda a quelle "voci" che disse di aver sentito anche quando ammazzava i tre passanti. L’esito della perizia, intanto, ha scatenato alcune reazioni politiche, della Lega e non solo. "Fosse per me lo manderei ai lavori forzati", ha scritto su Facebook il segretario del Caroccio Matteo Salvini. Mentre per l’ex vicesindaco di Milano e consigliere comunale di Fratelli d’Italia, Riccardo De Corato, "in Italia chi ammazza tre persone va in ospedale invece che in prigione". A chiedere che venisse effettuata la perizia (con successivo trasferimento in un luogo di cura) sono stati i legali dell’immigrato, gli avvocati Benedetto Ciccarone e Francesca Colasuonno. Un’istanza che era stata bocciata dal gip di Milano Andrea Ghinetti lo scorso 27 novembre, ma che è stata invece accolta, lo scorso 2 gennaio, dai giudici del Riesame, a cui si è appellata la difesa. Da qui la relazione del perito che verrà discussa in un’udienza al Riesame il prossimo 27 gennaio. Da quella data in poi potrà arrivare la decisione del collegio sul trasferimento o meno in un Opg. La perizia, però, dal punto di vista della difesa, potrebbe incidere anche nel processo con rito abbreviato a carico di Kabobo che si aprirà il prossimo 6 febbraio davanti al gup Manuela Scudieri. In fase di indagini, infatti, il gip Ghinetti, su richiesta del Pm Isidoro Palma, aveva già disposto un accertamento peritale che aveva stabilito che il ghanese era processabile e non era incapace di intendere e di volere al momento delle aggressioni (tre persone erano riuscite a salvarsi) e degli omicidi. Il collegio medico-legale e psichiatrico, nella relazione depositata lo scorso 7 ottobre, aveva in pratica indicato solo una sorta di semi-infermità mentale, dovuta ad una "psicosi schizofrenica". I difensori, però, hanno già chiesto al giudice di condizionare il rito abbreviato a un approfondimento su quella perizia psichiatrica. Il Gup, dunque, in prima battuta dovrà rispondere a questa istanza, mentre i difensori potrebbero anche far depositare agli atti la relazione del medico legale Scaglione sull’incompatibilità con il carcere per convincere il giudice della necessità di ordinare un altro accertamento psichiatrico. Con il riconoscimento dell’infermità mentale in sentenza, infatti, Kabobo verrebbe prosciolto e mandato in Opg, mentre con la semi-infermità avrebbe solo uno sconto sulla pena della reclusione. Fdi: altissima pericolosità Kabobo "Apprendo con rammarico - afferma Barbara Benedettelli, Responsabile Nazionale per Fratelli d’Italia del Dipartimento Tutela Vittime - che Kabobo è stato ritenuto incompatibile con il carcere. Chi non lo è? Credo però che anche le sue vittime fossero incompatibili con la terribile morte a cui Kabobo le ha sottoposte. Difficile pensare che neanche un triplice assassinio di quella ferocia rientri in quella ‘soluzione estremà che secondo alcuni dovrebbe essere il carcere. Mi auguro - prosegue - che i giudici che dovranno decidere se mandarlo in Opg, sapranno valutare non solo l’altissima pericolosità sociale di questa persona, ma anche ciò che questa persona ha tolto a tre cittadini che stavano semplicemente vivendo, mentre sono stati massacrati come accade solo nei film dell’orrore. Non si deprezzi, e disprezzi, la vita umana". Rossano Calabro (Cs): le opere dei detenuti approdano a Casa Sanremo di Adriana Cesarò www.ntacalabria.it, 21 gennaio 2014 La Calabria sarà una delle protagoniste di Casa Sanremo con i sapori dell’enogastronomia ed i colori della sua terra. Casa Sanremo è un’importante appuntamento del 64° Festival di Sanremo, in programma dal 18 al 22 febbraio, nonché una meta gradita ed ambita per tutti i protagonisti della kermesse. Uno spazio interamente dedicato al mondo della musica e dei suoi protagonisti e non solo. Da Rossano approderà, nel salotto culturale di Casa Sanremo, l’arte, con le opere che i detenuti hanno realizzato in carcere. Le opere lignei realizzati dai detenuti, premieranno il talento degli artisti di Casa Sanremo. L’arte è intesa come riscatto sociale di un percorso educativo, un messaggio positivo che parte dal Palafiori con l’attenzione del presidente del consorzio, Vincenzo Russolillo del Gruppo Eventi, organizzatore e ideatore di Casa Sanremo. Molti gli eventi in programma a Casa Sanremo con protagonista la musica live di Radio Italia e interviste ai cantanti tra big e giovani talenti. Quest’anno, tra le nuove proposte ci saranno: Bianca (Emma Fuggetta) con il brano "Saprai"; Diodato con "Babilonia"; Filippo Graziani con "Le cose belle"; Rocco Hunt con "Nu juorno buono"; The Niro con "1969"; Vadim con "La modernità"; Veronica De Simone con "Nuvole che passano"; Zibba con "Senza di te". Tra i Big ci saranno: Arisa con "Lentamente" e "Controvento"; Noemi con "Bagnati dal sole" e "Un uomo è un albero"; Raphael Gualazzi & The Bloody Beetroots con "Liberi o no" e "Tanto ci sei"; Perturbazione con "L’Unica" e "L’Italia vista dal bar" Cristiano De Andrè con "Invisibili" e "Il cielo è vuoto"; Renzo Rubino "Ora" e "Per sempre e poi basta"; Frankie hi-nrg mc con "Pedala" e "Un uomo è vivo"; Giuliano Palma con "Così lontano" e "Un bacio crudele"; Riccardo Sinigallia con "Prima di andare via" e "Una rigenerazione"; Antonella Ruggiero con "Quando balliamo" e "Da lontano"; Giusy Ferreri con "L’amore possiede il bene" e "Ti porto a cena con me"; Francesco Renga con "A un isolato da te" e "Vivendo adesso"; Francesco Sarcina con "Nel tuo sorriso" e "In questa città" e Ron con "Un abbraccio unico" e "Sing in the rain". Casa Sanremo è una vetrina che accoglie con grande ospitalità artisti, musicisti, sfilate di moda, clooking show con chef stellati. Interessante il concorso "Casa Sanremo Writers", un incontro tra scrittori e il pubblico. Importante lo spazio dedicato al Make-up Artist ed hair stylist. Con la Calabria ci saranno le eccellenze enogastronomiche della Campania, in particolare di Salerno e di Montecorvino Pugliano. Una serata sarà dedicata ai territori pugliesi dell’area di Altamura. L’edizione 2014 della manifestazione canora, e per la prima volta, sarà la Rai a portare un pezzo di Festival della canzone italiana, fuori dall’Ariston, curando moltissime iniziative collaterali. Diventa importante il "red carpet" davanti al Teatro Ariston, una passerella destinata agli ospiti del mondo dello spettacolo, ma sarà anche, teatro di interviste e collegamenti televisivi. Casa Sanremo sarà inaugurata domenica 16 febbraio alle ore 18 presso il Palafiori di Sanremo. Agrigento: volontariato, nasce l’Associazione "Un amico per evadere dalla solitudine" www.agrigentonotizie.it, 21 gennaio 2014 L’associazione si occuperà prevalentemente della tutela dei diritti dei detenuti dell’assistenza legale gratuita, della loro integrazione nel mondo del lavoro e nella società civile e della corrispondenza epistolare. Nasce ad Agrigento, per volere del suo presidente Roberta Lala, l’associazione nazionale denominata "Un amico per evadere dalla solitudine". Sede dell’associazione Agrigento Via Unità d’Italia, ad Agrigento. L’associazione si prefigge lo scopo di tutelare i diritti dei detenuti, offrendo loro assistenza legale gratuita. L’associazione si occuperà inoltre della corrispondenza epistolare e del sostegno psicologico del detenuto al fine di evitare l’emarginazione. Uno degli strumenti principali del trattamento rieducativo e risocializzativo del detenuto è il lavoro, strumento necessario per il graduale reinserimento del detenuto nella società civile. Pertanto verranno promosse le cooperative sociali di tipo B con lo scopo della promozione umana e dell’integrazione sociale dei detenuti, vista la scarsità di posti reperibili nell’amministrazione penitenziaria. Le cooperative sociali di tipo B disciplinate dalla legge 8 novembre 1991 n.38; adoperano una politica del lavoro innovativa e dinamica, prevedono sgravi contributivi e fiscali a favore degli imprenditori disposti ad offrire opportunità di lavoro ai detenuti ed infine forme contrattuali "flessibili", capaci di modellarsi secondo le esigenze del lavoratore e del datore di lavoro. Considerato il periodo di crisi economica in cui versa lo Stato italiano gli sgravi contributivi rappresentano un incentivo all’assunzione. Le cooperative sociali possono effettuale il reinserimento delle persone svantaggiate, attraverso la programmazione di progetti di formazione e preparazione professionale in modo da offrire un attività lavorativa concreta, stabile e duratura. Altro programma lavorativo per il reinserimento del detenuto nella società civile potrebbe essere supportato dalla vendita di prodotti artigianali creati all’interno delle carceri e immessi nel mercato. L’associazione promuoverà inoltre iniziative culturali di vario genere in quanto la cultura è un elemento essenziale per combattere la micro criminalità. Il cuore pulsante dello scopo della nascita dell’associazione è la lotta contro il pregiudizio sociale nei confronti dei detenuti, i quali una volta scontata la loro pena, possano vivere la loro vita senza alcuna emarginazione in modo che non avvenga la reiterazione del reato. Particolare attenzione verrà mostrata nei confronti delle detenute madri e dei minori reclusi. I figli minori delle detenute hanno maggiormente necessità di adeguati supporti psicologici onde evitare traumi che possono essere non correttamente elaborati, trasformandosi nell’età evolutiva in problematiche di vario genere. Pertanto l’associazione si avvarrà del supporto di specialisti che interverranno in supporto dei minori. Per quanto concerne i minori reclusi verranno promosse iniziative di vario genere al fine di poter dare loro sostegno rieducativo onde evitare il più possibile il senso di isolamento psicologico. Immigrazione: oggi il voto sul reato di clandestinità di Carlo Lania Il Manifesto, 21 gennaio 2014 Salta l’accordo con il Ncd, il Pd vota l’abolizione. Presentato ddl sullo ius soli. I tentativi di trovare un accordo si sono esauriti senza portare a nulla. Questa mattina, quando al Senato riprenderà la discussione del disegno di legge sulla messa in prova, il Pd voterà per l’abrogazione del reato di clandestinità senza tener conto della richiesta, avanzata dagli alleati del Nuovo centrodestra, di stralciare la norma rimandandone la discussione. Salvo sorprese, dunque, una delle norme simbolo della legge Bossi-Fini sull’immigrazione già oggi potrebbe essere archiviata definitivamente grazie ai voti di Pd e Movimento 5 Stelle. "Per quanto ci riguarda non prevediamo nessun tipo di accordo con il Ncd di Alfano, e quindi voteremo per l’abrogazione del reato", spiega nel pomeriggio il senatore Giuseppe Lumia, che ha sostituito il relatore Felice Casson assente perché malato. Il disegno di legge è slittato a oggi dopo le protesta messe in atto la scorsa settimana dalla Lega, quando è arrivata a occupare gli uffici della presidenza di palazzo Madama per bloccare l’imminente abrogazione del reato di clandestinità. Ma insieme alle proteste del Carroccio, attuate anche con l’ostruzionismo, in realtà c’era anche il tentativo di evitare una pericolosa spaccatura nella maggioranza, con Pd e Ncd schierati su posizioni opposte. Per il partito di Alfano la cancellazione del reato di clandestinità rappresenta una sconfitta agli occhi del suo elettorato, specie se si tiene conto che a difesa dell’intero impianto della Bossi-Fini, e quindi anche del reato, si è speso più volte lo stesso vicepremier. Da qui la necessità di raggiungere a tutti i costi con il Pd un accordo che permettesse al Ncd di salvare la faccia. E una possibile soluzione sembrava essere stata trovata nella scelta di eliminare il reato di clandestinità ma solo nel caso di mancata reiterazione. Mantenendolo quindi per l’immigrato fermato per due volte senza documenti o che non abbia rispettato l’obbligo di rimpatrio. Ma il capogruppo dei senatori Ncd, Maurizio Sacconi, aveva anche chiesto di non arrivare proprio alla discussione, stralciando la norma e rinviando così ogni decisione. Trattative che, però, sembrano essere naufragate, vista la volontà del Pd di arrivare al più presto al voto. Del resto è stato proprio Matteo Renzi a indicare tra le priorità delle nuovo corso democratico anche l’abrogazione del reato di immigrazione clandestina. Intanto è arrivato alla commissione Affari costituzionali della Camera il disegno di legge di riforma della cittadinanza. Ad annunciarlo è stato ieri il ministro dell’Integrazione Cecile Kyenge. Non si tratta di un disegno di legge del governo, bensì di una proposta (primi firmatari Pierluigi Bersani, Kalid Chaouki e Roberto Speranza oltre alla stessa Kyenge, e uguale a un’analoga ddl presentato al Senato da Luigi Manconi) che partendo dalla proposta di legge di iniziativa popolare avanzata dal comitato "L’Italia sono anch’io" potrebbe rappresentare un buon punto di mediazione con tutte le altre proposte di legge in materia presenti in parlamento. Il testo, nell’ottica di uno ius soli temperato, prevede che la cittadinanza italiana venga riconosciuta a chi è nato nel territorio nazionale da genitori stranieri di cui almeno uno sia nato in Italia o vi risieda legalmente e senza interruzioni da non meno di un anno; a chi è nato in Italia da genitori stranieri di cui almeno uno vi risieda legalmente da almeno cinque anni; ai bambini nati nel nostro territorio da genitori stranieri o che vi abbiamo fatto ingresso entro il decimo anno di età a condizione che abbia completato un ciclo di studi. Immigrazione: violenze al Cara di Brindisi, due nigeriani arrestati Agi, 21 gennaio 2014 Due cittadini nigeriani ospiti del Cara di Restinco (Br), un 18enne ed un 25 enne, entrambi richiedenti asilo politico, sono stati arrestati dalla polizia con le accuse di resistenza e minacce aggravate e lesioni a pubblici ufficiali. Insieme ad altri loro connazionali, rientrati nel centro in evidente stato di ebbrezza alcoolica, ieri sera hanno inveito contro il personale addetto alla vigilanza e innescato una rivolta sollecitando a gran voce l’intervento di altri loro connazionali. Un’ottantina di ospiti hanno aggredito con calci e pugni gli addetti alla vigilanza costretti ad arretrare e a cercare di raggiungere il corpo di guardia. Grazie all’intervento di ospiti di altre nazionalità a difesa degli agenti, la maggior parte è rientrata nei propri moduli abitativi ad accezione di un ristretto gruppo di nigeriani, tra i quali i due arrestati, che hanno continuato con gli atteggiamenti aggressivi e violenti anche nei confronti di personale delle volanti intervenuto in ausilio. I due arrestati sono finiti in carcere, mentre un militare del battaglione san Marco è rimasto lievemente ferito. India: caso marò, la Corte suprema rinvia udienza e chiede decisione a governo Asca, 21 gennaio 2014 La Corte suprema di New Delhi ha rinviato oggi la sua udienza sul caso dei due marò italiani Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, detenuti dal febbraio 2012 a causa dell’uccisione di due pescatori indiani nel corso di un pattugliamento antipirateria. Secondo i media indiani, la suprema giurisdizione dell’India ha deciso in una veloce seduta di aggiornare l’udienza al 3 febbraio prossimo, sollecitando l’esecutivo di Delhi a risolvere il conflitto di vedute al suo interno. Il ministero degli Esteri indiano sembra orientato a una soluzione di maggiore equità che tenga conto delle rassicurazioni in passato fornite all’Italia sul fatto che i due fucilieri non saranno processati sulla base di leggi che prevedano la pena di morte. Il ministero dell’Interno di Delhi invece, almeno inizialmente appariva più vicino alla posizione dell’Agenzia nazionale di investigazione (Nia), la polizia che sta indagando sul caso, che ha fatto trapelare l’intenzione di processare Latorre e Girone sulla base di una legge antipirateria (la cosiddetta Sua Act), in cui l’applicazione della pena di morte è molto frequente. Secondo quanto scritto di recente dal Times of India, tuttavia, anche l’Home Office si starebbe lentamente persuadendo del fatto che un’incriminazione ai sensi del Sua Act potrebbe costituire un precedente troppo pericoloso, per cui l’accusa potrebbe alla fine essere quella di omicidio ai sensi del codice penale. Nelle ultime settimane l’Italia ha intensificato il pressing diplomatico su Delhi, insistendo affinché l’iter processuale sia velocizzato (i marò sono ormai da quasi due anni in India) e siano usate leggi che non prevedono la pena capitale. L’Italia ha anche chiesto che ai due fucilieri del Reggimento San Marco sia consentito il rientro in Italia per attendere i tempi lunghissimi della giustizia indiana. Mauro: Corte suprema ha riconosciuto posizione italiana "La Corte Suprema Indiana riconosce la fondatezza delle rimostranze italiane, perché era stata proprio la Corte Suprema ad annullare il primo verdetto, ritenuto ingiusto, e soprattutto riconosce che da troppo tempo non si rende ragione delle accuse ai nostri Fucilieri di Marina. Quindi, l’impegno a condensare in due settimane un’accelerazione vera e propria dei tempi e dei modi del processo rispetta i diritti dei nostri Fucilieri e noi ci auguriamo che sia l’anticipazione di quella che è per noi la conclusione più ovvia: il riconoscimento della loro innocenza". È quanto ha dichiarato il ministro della Difesa, Mario Mauro ai microfoni del GR1 riferendosi al caso dei fucilieri di Marina detenuti in India. Stati Uniti: Amnesty critica Obama; promesse mancate su Guantánamo, struttura ancora aperta Tm News, 21 gennaio 2014 Il fatto che Guantánamo, cinque anni dopo che il presidente Usa Barack Obama firmò l’ordine esecutivo per chiudere la struttura, continui a restare aperta, è per Amnesty International un evidente esempio dei doppi standard adottati dagli Usa nel campo dei diritti umani. "L’ordine esecutivo firmato il 22 gennaio 2009, che disponeva la chiusura di Guantánamo entro un anno, fu una delle prime decisioni assunte dal presidente Obama dopo la sua entrata in carica" - ha ricordato Erika Guevara Rosas di Amnesty International - cinque anni dopo, quella promessa è diventata un fallimento nel campo dei diritti umani che rischia di perseguitare il ricordo del presidente Obama, come già è successo al suo predecessore". La denuncia - Amnesty ricorda che a 12 anni di distanza dai primi arrivi restano a Guantánamo oltre 150 detenuti, la maggior parte dei quali senza accusa né processo. Una manciata di detenuti sta affrontando il processo nell’ambito del sistema delle commissioni militari, che secondo l’organizzazione umanitaria non rispetta gli standard internazionali sul giusto processo. Dei quasi 800 detenuti di Guantánamo, meno dell’1% è stato condannato dalle commissioni militari e nella maggior parte dei casi a seguito di un patteggiamento. Gli Usa si aspettano da altri paesi ciò che essi rifiutano di fare: accogliere i detenuti rilasciati che non possono essere rimpatriati. Alcuni anche se rilasciati continuano a rimanere a Guantánamo - Il trasferimento, nel dicembre 2013, di tre cinesi di etnia uiguri in Slovacchia è avvenuto dopo che erano trascorsi più di cinque anni dalla sentenza che aveva giudicato illegale la loro detenzione. Più di 70 detenuti, in maggior parte cittadini dello Yemen, sono stati autorizzati al trasferimento ma l’amministrazione Usa si è appellata alla situazione di sicurezza nel loro paese per ritardare la loro uscita da Guantánamo. ‘Anno dopo anno, mentre tenevano aperto Guantánamo, gli Usa hanno continuato a proclamare il loro impegni per gli standard internazionali sui diritti umani. Se qualsiasi altro paese fosse stato responsabile del vuoto di diritti umani rappresentato da Guantánamo, avrebbe certamente attirato la condanna degli Usa. Da molto tempo è necessario che gli Usa pongano fine a questi doppi standard’ - ha proseguito Guevara Rosas. Le richieste - Amnesty chiede alle autorità Usa di assicurare indagini indipendenti e imparziali su tutte le denunce credibili di violazioni dei diritti umani commesse a Guantánamo e in altri centri di detenzione. Le conclusioni di queste indagini dovrebbero essere rese pubbliche e chiunque venisse giudicato responsabile di crimini di diritto internazionale dovrebbe essere portato di fronte alla giustizia: a prescindere dal suo attuale o passato rango. India: troppi ritardi nelle esecuzioni, 15 detenuti scampano al braccio della morte www.rainews.it, 21 gennaio 2014 La sentenza pronunciata dalla corte di tre magistrati ha commutato delle condanne alla pena capitale in ergastoli a causa dei ritardi nelle esecuzioni. La Corte suprema indiana ha commutato 15 condanne a morte in ergastoli a causa dei ritardi nelle esecuzioni. "Il ritardo giustifica una commutazione della pena capitale nel carcere a vita, al pari dell’infermità mentale e della detenzione in isolamento", si legge nella sentenza pronunciata dalla corte di tre magistrati presieduta da Palanisamy Sathasivam. I 15 detenuti del braccio della morte avevano chiesto la commutazione della pena per il troppo tempo trascorso dalla presentazione della domanda di grazia al presidente. Tra i beneficiari della sentenza c’è Devinder Pal Singh Bhullar, un militante islamico originario del Punjab, condannato per un’autobomba a New Delhi nel 1993 che provocò nove morti. In India le esecuzioni capitali, previste per casi "più che rarissimi", erano state congelate per otto anni fino al novembre 2012, quando fu giustiziato l’unico superstite del commando terroristico autore della strage di Mumbai del 2008. Nel febbraio 2013 era stato messo a morte Mohammed Afzal Guru, un militante separatista del Kashmir autore di un attentato mortale contro il Parlamento indiano nel 2001. La sentenza ha creato un precedente per i 400 detenuti nel braccio della morte in India. Si è infatti ipotizzata un’incriminazione che preveda la pena capitale anche per i due marò italiani fermati nel 2012 in India per l’uccisione di due pescatori del Kerala, anche se il governo di New Delhi ha escluso che possano essere condannati a morte. Corea del Nord: troppi detenuti muoiono nei gulag, chiesto l’aiuto alle famiglie di Leone Grotti Tempi, 21 gennaio 2014 Il terribile Campo di rieducazione numero 12 ha aperto alle visite dei familiari per i detenuti, che potranno ricevere cibo e vestiti. "La maggior parte dei detenuti è stata mandata nelle miniere e sono morti in troppi". Per la prima volta nella storia dei gulag nordcoreani sarà permesso alle famiglie di visitare e rifornire i detenuti di vestiario e cibarie. La notizia sulla nuova politica vigente al Campo di rieducazione numero 12 è stata fornita a Radio Free Asia da un residente della provincia North Hamgyeong, ma la motivazione del cambiamento è tutt’altro che umanitaria. Il gulag situato in Hoeryung City è conosciuto per le violazioni dei diritti umani che avvengono all’interno, tra cui lavori forzati in condizioni di vita disumane, torture, pestaggi ed esecuzioni sommarie pubbliche. Di solito, vengono internati criminali violenti, violatori delle leggi sulla droga e disertori che cercano di scappare dal paese ma vengono scoperti. Secondo la fonte, solo ai detenuti con pene superiori ai sette anni veniva ordinato di lavorare nelle miniere di rame, dove le possibilità di sopravvivere sono bassissime. "Ma dall’inizio dello scorso anno, la maggior parte dei detenuti è stata mandata nelle miniere e sono morti in così tanti che le autorità non hanno avuto altra scelta che cercare di farli sopravvivere con l’aiuto delle loro famiglie". Ora molti detenuti "riescono a sopravvivere grazie al cibo e all’acqua portato dalle loro famiglie". Per la prima volta l’Onu sta conducendo un’indagine sulle violazioni dei diritti umani nei gulag della Corea del Nord, dove sono rinchiuse ancora oggi circa 200 mila persone. Il quadro che esce dai primi racconti ascoltati è drammatico: torture sistematiche, morti per mancanza di cibo, esecuzioni sommarie, trattamenti disumani. Il giudice Michael Kirby, che conduce l’indagine, non ha rivelato molti dettagli ma tra i casi più terribili che l’hanno mosso fino alle lacrime ci sono quelli di una donna costretta dagli aguzzini comunisti ad annegare il proprio figlio. Il testimone più attendibile della vita nei gulag è Shin Dong-hyuk, nato e cresciuto in un gulag, da cui è riuscito a scappare a 23 anni. Iraq: missione Onu chiede revisione del codice penale e moratoria su pena di morte Nova, 21 gennaio 2014 La Missione delle Nazioni Unite in Iraq (Unami) ha chiesto oggi di modificare la legge sul "terrorismo" in linea con il diritto internazionale e la Costituzione, con attenzione alla necessità di fermare la pena di morte e garantire la piena attuazione della la strategia nazionale per combattere la violenza contro le donne. Una modifica, richiesta al governo centrale di Baghdad e alla regione del Kurdistan, è stata proposta anche per garantire il lavoro dei giornalisti contro pressioni e violenze. "Il governo iracheno modifichi la legge sul terrorismo, compresi il diritto a un processo equo e la riforma dell’amministrazione delle carceri", si legge nella relazione semestrale sulla situazione dei diritti umani in Iraq di Unami. Siria: il rapporto sulle torture del regime di Bashar al Assad Il Post, 21 gennaio 2014 Il Guardian e la Cnn hanno diffuso lo studio di un team di esperti con "prove dirette" sulle "sistematiche torture e uccisioni" del regime di Bashar al Assad. Lunedì 20 gennaio il Guardian e la Cnn hanno pubblicato le conclusioni di un rapporto - ottenuto in esclusiva - realizzato da un team internazionale di importanti giudici, avvocati, antropologi, esperti in immagini digitali e patologi forensi che dimostrerebbe l’esistenza di "prove dirette" di "sistematiche torture e uccisioni" compiute dal regime del presidente siriano Bashar al Assad durante la guerra civile in Siria. Il rapporto è basato su migliaia di fotografie di corpi di persone uccise mentre erano in custodia del governo siriano: queste prove, dice il rapporto, potrebbero essere decisive per incriminare il regime siriano in un tribunale internazionale, con le accuse di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Le fotografie contenute nel rapporto, circa 27mila, sono state consegnate al team di esperti da un disertore dell’esercito siriano, il cui nome in codice è "Caesar" (la sua identità naturalmente non è stata svelata). Secondo il rapporto, "Caesar" lavorava come fotografo per la polizia militare siriana e il suo lavoro consisteva principalmente nel fare le foto ai detenuti uccisi. "Caesar" ha detto di avere fotografato circa 50 corpi al giorno: le sue foto mostrano corpi con segni di denutrizione, violente contusioni, strangolamento e altre forme di tortura. Dall’analisi di 150 corpi ritratti in un insieme di fotografie, gli esperti hanno concluso che il 62 per cento dei corpi mostra segni di deperimento fisico: si tratta per la maggior parte di uomini di età compresa tra i 20 e i 40 anni. Il fatto che ci fosse una persona incaricata di fotografare i corpi, hanno scritto gli autori del rapporto, fa pensare che "le uccisioni fossero sistematiche, ordinate e dirette dall’alto". I giudici e gli avvocati coinvolti sono stati incaricati di scrivere il rapporto dallo studio legale britannico Carter-Ruck, che a sua volta è stato finanziato dal governo del Qatar (che dall’inizio della guerra è schierato a favore dei ribelli e contro il regime di Assad). Uno degli giudici che ha lavorato nel team ha spiegato che la validità delle conclusioni raggiunte "dipende dall’integrità delle persone coinvolte" e che tutto il team è ben cosciente del fatto che ci siano interessi diversi nella crisi siriana - sia nazionali che internazionali. CNN ha specificato di non essere stata in grado di confermare direttamente l’autenticità delle fotografie, dei documenti e delle testimonianze riportate nel rapporto. David Crane, uno degli autori del rapporto e procuratore capo del Tribunale Speciale per la Sierra Leone dall’aprile 2002 al luglio 2005, ha spiegato che le prove raccolte nel rapporto sono decisive: "Questa è una pistola fumante. Qualsiasi procuratore vorrebbe avere questo tipo di prove - le foto e l’intera operazione. Questa è la prova diretta della macchina omicida del regime". Desmond de Silva, un altro ex procuratore capo del Tribunale speciale per la Sierra Leone, ha paragonato le immagini raccolte a quelle dei sopravvissuti dell’Olocausto. In un’intervista a Cnn, de Silva ha detto che il deperimento fisico prodotto dalla insufficiente alimentazione come metodo di tortura "ricorda le fotografie delle persone che furono trovate ancora vive nei campi di concentramento nazisti dopo la Seconda Guerra Mondiale". Nonostante negli ultimi mesi diverse organizzazioni internazionali e sovranazionali abbiano parlato di crimini di guerra e contro l’umanità compiuti da Bashar al Assad in Siria - tra cui l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani - il regime siriano ha sempre negato di essersi reso responsabile di questi crimini. Assad ha accusato in diverse occasioni i suoi oppositori, definendoli "terroristi". Ad ogni modo, scrive il Guardian, le prove di abusi e uccisioni sistematiche da parte di Assad messe insieme dal team di esperti sono le più documentate e solide mai raccolte dall’inizio della guerra in Siria. Il rapporto è stato ora reso pubblico e disponibile alle Nazioni Unite, ai governi e alle organizzazioni internazionali e di difesa dei diritti umani, a pochi giorni dall’inizio della conferenza di Ginevra, in Svizzera, in cui si terranno dei colloqui tra governo e parte dell’opposizione siriana: lo scopo dei colloqui è quello di arrivare a una tregua degli scontri armati e di creare un organo di governo provvisorio di comune accordo tra le due parti. Secondo diversi esperti non è ancora chiaro che effetto possano avere queste ultime rivelazioni sull’esito della conferenza di pace. Corea Nord: americano detenuto chiede aiuto per liberazione, Usa pronti a inviare emissario Ansa, 21 gennaio 2014 Kenneth Bae, il cittadino americano detenuto in Corea del Nord da oltre un anno, ha rinnovato la sua richiesta d’aiuto per una liberazione rapida e per un ritorno alla sua famiglia il più presto possibile. Bae, un missionario cristiano di 45 anni di origine coreana, ha potuto incontrare un numero limitato di media a Pyongyang, tra cui l’agenzia nipponica Kyodo, esprimendo la fiducia che gli Stati Uniti possano fare tutti gli sforzi possibili per ottenere la sua liberazione. L’arresto risale a novembre 2012 mentre era impegnato in un tour della regione di Rason, nel nordest del Paese: ad aprile dello scorso anno è stato condannato a 15 anni di lavori forzati essendo stato riconosciuto colpevole di imprecisate attività atte "a rovesciare il regime nordcoreano". Bae, che si ritiene essere il cittadino Usa detenuto più a lungo nel Paese comunista dalla Guerra di Corea del 1950-53, ha potuto beneficiare dell’inconsueta opportunità di un incontro coi media internazionali che potrebbe indicare la volontà di Pyongyang di riprendere le trattative con Washington dopo lo stop deciso l’estate scorsa in risposta all’uso da parte Usa dei bombardieri B-52 nelle manovre militari con la Corea del Sud. Nel breve colloquio, durato circa tre minuti e mezzo, Bae, con indosso una divisa grigia da detenuto, ha ammesso la sua colpevolezza dicendo di voler "tornare alla sua famiglia il più presto possibile", prima di essere portato via da due guardie. Sua madre, Myunghee Bae, ha visitato la Corea del Nord ad agosto, dopo il trasferimento di suo figlio in un ospedale di Pyongyang a causa di problemi di salute. Usa pronti a inviare emissario Gli Stati Uniti sono pronti a inviare un emissario a Pyongyang per riportare a casa un americano detenuto in Corea del Nord, che è apparso oggi davanti dei giornalisti. "Abbiamo proposto di inviare l’ambasciatore (Robert) King a Pyongyang per la liberazione di (Kenneth) Bae", condannato a 15 anni di lavori forzati per aver tentato di "rovesciare" il regime nord coreano, ha dichiarato un responsabile Usa in condizione di anonimato. La stessa fonte ha detto "di sperare che la decisione delle autorità nord coreane di autorizzare il detenuto a tenere una conferenza stampa sia "il segnale della loro volontà di liberarlo". Kenneth Bae, di origine coreana è apparso oggi insieme a due guardie, in tenuta da prigioniero, e ha ammesso la sua colpevolezza, chiedendo nel contempo al governo americano di aiutarlo a ricongiungersi con la sua famiglia al più presto", secondo l’agenzia nipponica Kyodo. Responsabile di tour operator, 45 anni, Bae era stato arrestato il 3 novembre 2012 nella città portuale di Rason in possesso di un visto turistico. Cina: detenuto editore di Hong Kong che pubblica i dissidenti www.ilmondo.it, 21 gennaio 2014 Un editore di Hong Kong, che si apprestava a pubblicare il libro scritto da un dissidente cinese sul presidente Xi Jinping, è detenuto in Cina da circa tre mesi. È quanto riporta martedì il giornale anglofono di Hong Kong, "South China Morning Post", precisando che Yao Wentian, 73 anni, stava per pubblicare "Il padrino cinese Xi Jinping" di Yu Jie, fuggito negli Stati Uniti. Secondo il quotidiano, l’editore starebbe stato "attirato" a Shenzhen, la prima città del continente cinese al confine con Hong Kong, dove sarebbe stato circondato da una decina di uomini in abiti civili e condotto in un centro di detenzione. La polizia non ha precisato i capi di accusa a suo carico. "Penso che la ragione principale del suo arresto sia da ricercare nel suo lavoro sul mio libro", ha detto Yu Jie, il cui libro dovrebbe essere pubblicato ad aprile. Il dissidente ha già scritto "Il miglior attore della Cina: Wen Jiabao", graffiante critica dell’ex premier cinese.