L’illusione della sicurezza Il Mattino di Padova, 20 gennaio 2014 Un grande parcheggio, un dormitorio con gente incattivita dall’ozio e dalla sensazione di buttare anni di vita nel nulla: queste sono tante carceri oggi, e chi pensa che qualche mese di sconto di pena sia più pericoloso di anni passati in questo tipo di galere, forse si sta solo illudendo. Uno sconto di pena che è come un risarcimento per anni passati in carceri fuori legge L’ultimo decreto legge sull’emergenza delle carceri, adottato dal Governo come misura tampone per far fronte a condizioni detentive dichiaratamente illegali, concede, a titolo in qualche modo risarcitorio, un aumento dello sconto di pena ai detenuti rinchiusi nelle nostre prigioni, costretti a trattamenti disumani e di estremo degrado. Qualcuno ha scritto che si tratta di un indulto mascherato, noi detenuti diciamo chiaramente che si tratta di un decreto legge che fa qualcosa per migliorare le cose, che va nella direzione giusta, ma la strada da fare è ancora molto lunga e appare davvero tortuosa. Se le norme previste dal decreto hanno lo scopo di ridurre in qualche maniera il danno per chi subisce una detenzione che ha poco di umano, riconosciuta ufficialmente illegale da tutti gli organi di controllo italiani e dell’Unione Europea preposti a garanzia del rispetto dei diritti umani per le persone private della libertà, ebbene, questo decreto dovrebbe prevederne l’applicazione per tutti, non solo per quei pochi considerati meritevoli perché hanno avuto l’opportunità di partecipare ad attività con funzioni rieducative. Si dovrebbe tenere in seria considerazione che le possibilità di accedere a percorsi risocializzanti sono disponibili per meno della metà dei detenuti presenti nelle carceri. Oggi infatti, a fronte di una disponibilità di circa 38.000 posti letto sono rinchiusi circa 65.000 detenuti. Fra questi quasi il 40% è in attesa di giudizio nelle Case circondariali, dove non è possibile partecipare ad attività con funzione rieducativa, giacché la funzione rieducativa non è prevista per coloro i quali non sono stati ancora riconosciuti colpevoli e condannati definitivamente, mentre è prevista nelle Case di reclusione, dove però non ci sono né spazi né personale sufficiente per predisporre questi percorsi. Per queste ragioni noi sosteniamo che l’aumento di 30 giorni di riduzione della pena, per ogni semestre, dovrebbe essere concesso a prescindere dalla partecipazione all’opera di rieducazione, altrimenti a quei detenuti che rappresentano più della metà della popolazione carceraria, per i quali non è possibile accedere alle attività con finalità rieducativa, si andrebbe a infliggere una disparità di trattamento ingiusta. L’offerta rieducativa manca perché le istituzioni non la concedono, questo deve essere chiaro. La vita quotidiana delle persone detenute in quelle condizioni è percorsa da tensioni che non si riesce a mediare, e per questo in tanti si affidano agli psicofarmaci. Nelle carceri infatti c’è una distribuzione a pioggia di questo genere di farmaci, gli addetti ai lavori lo chiamano, stigmatizzandolo, "contenimento chimico". Ecco perché siamo del parere che anche a coloro i quali sono incorsi in qualche sanzione disciplinare spettino i 30 giorni di ulteriore riduzione della pena per ogni semestre. Così come sono oggi, invece, le norme previste nel decreto legge rischiano di essere applicate poco o con ritardo, e in questa maniera si vanno a ledere i diritti che dovrebbero essere, invece, garantiti da una immediata scarcerazione degli aventi diritto, che con il sovraffollamento stanno già espiando una pena aggiuntiva. Bruno Turci Le buone leggi servono, ma devono anche essere applicate "Svuota carceri" sono state chiamate tutte le misure emesse in materia penitenziaria negli ultimi anni, ma per chi in carcere c’è la situazione non è cambiata. Sempre più detenuti che ogni giorno devono abituarsi a vivere negli spazi più ristretti, i servizi e il personale sono meno di quelli che dovrebbero essere se in carcere ci fossero 45.000 detenuti, e invece siamo più di 65.000. In occasione dell’ultimo "svuota carceri" si è data enorme risonanza al non rientro dal permesso di un detenuto che era certificato non sano di mente, quando anche senza il nuovo decreto fra qualche mese lui comunque era già fuori. Ogni norma che è uscita, con l’intenzione di eliminare le condizioni degradanti nelle quali si trovano le carceri italiane, è stata accompagnata da una propaganda mediatica tale, che quasi quasi ho rischiato di convincermi anch’io che la norma è sbagliata. In realtà la convinzione che si deve fare urgentemente qualcosa rimane eccome. Rimane ogni volta che vedo le persone ammassate nelle celle e imbottite di psicofarmaci per non far casino, rimane ogni volta che vedo delle persone che si autolesionano solo per dire che esistono, o che arrivano a suicidarsi perché proprio non ce la fanno più. Tra le nuove misure, si è anche alzato il tetto dell’affidamento ai Servizi Sociali da 3 a 4 anni, che vuol dire che chi deve fare gli ultimi anni di pena potrebbe uscire con questa misura, che permette di reinserirsi gradualmente nella società, ma conosco tanti detenuti ai quali per la posizione giuridica nulla impediva di avere questo beneficio, eppure sono ancora dentro. Le buone leggi servono, ma devono anche essere applicate, perciò oltre a fare dei provvedimenti bisogna trovare la maniera che quei provvedimenti producano degli effetti. Oggi fare il magistrato di Sorveglianza, che è quello che si occupa dell’esecuzione delle pene, è difficile, è facile che si possa trovare sulle prime pagine dei giornali per aver concesso il permesso a chi non rientra in carcere o peggio ancora chi durante l’evasione commette qualche reato. Ma per la paura di concedere il beneficio alla persona che poi non si dimostra in grado di usufruirne nel modo giusto, non si può negare il beneficio a chi ha fatto un percorso difficile in queste condizioni di sovraffollamento, proprio con la speranza di iniziare una vita nuova diversa da quella di prima. La percentuale di evasioni dai permessi è molto inferiore all’1%, ma sono invece tantissimi i detenuti nelle condizioni di usufruire dei benefici di legge già esistenti a cui viene rigettata la richiesta. Bisogna pensare anche al fatto che non applicare la legge (quando ci sono le condizioni) può portare chi le regole le ha già infrante a non credere nella legge stessa, a sentirsi sfortunato di essere stato arrestato e non invece in colpa per aver sbagliato commettendo un reato. Çlirim Bitri Quanto è facile perdere quei giorni, che potrebbero accorciarti la pena Come sempre, quando si parla di carcere, la disinformazione prende corpo e descrive alla società una realtà completamente distorta. Mi riferisco al nuovo decreto legge che riguarda la liberazione anticipata, portata da 45 giorni a 75 a semestre per un periodo di 5 anni a partire dal 2010. Nei soliti dibattiti politici, si sta cercando di far passare l’idea che una persona entra in carcere con già uno sconto di pena dato da questi giorni. Io sono un detenuto che ha fatto parecchie carcerazioni, dunque so quanto sia facile perdere quei giorni che dovrebbero avvicinare una persona a riabbracciare la propria famiglia. Voglio partire dall’inizio di una carcerazione. Quando ti arrestano, devi aspettare i vari gradi di giudizio per avere la condanna definitiva, solo in quel momento potrai avanzare la richiesta di liberazione anticipata. Il momento dell’arresto è il periodo più delicato per una persona, perché emotivamente è un uomo distrutto e questo incide sul suo comportamento. Infatti credo che sia il periodo dove questo comportamento ti porterà più rapporti disciplinari da parte della direzione che, quando sarai definitivo, avranno come conseguenza che ti verranno rigettati i giorni di liberazione anticipata. Voglio portarvi un esempio su di me. Quando sono stato arrestato, 2009, avevo appena assistito al funerale di mio figlio. Ero distrutto. Vedevo solo nemici attorno a me. Sapevo che sarei arrivato a una condanna molto alta e che la mia vita stava subendo una catastrofe, ovviamente creata dal sottoscritto, ma non avevo mezzi per capirlo, dunque addossavo la colpa alle istituzioni. Dopo tre anni di detenzione sono arrivato ad avere la condanna definitiva a 30 anni per un cumolo giuridico e mi sono ritrovato nel carcere di Alessandria, dove ho cercato di riprendermi la vita, di provare a dare un senso a tutto quello che mi stava capitando. In poche parole depositare l’ascia di guerra e pensare a un riscatto per me e per la mia famiglia. Così decisi di studiare e diplomarmi geometra. Dopo 2 anni di buona condotta, il 27 dicembre 2012, mi trasferirono senza che avessi combinato niente. Per motivi di "Opportunità". Ancora oggi non capisco che motivo sia, comunque ero a 5 anni di detenzione e i giorni di sconto di pena sono andati tutti a farsi fottere. Oggi le carceri vivono una situazione di sovraffollamento e questo problema incide molto sul comportamento della persona. Porto degli esempi molto banali. A Padova le celle sono predisposte per una sola persona, ci vivono in tre. Mettiamo caso che si è in due e ti vogliono mettere il terzo e ti rifiuti perché così facendo violano un diritto, ti fanno rapporto, vuol dire quasi certamente 45 giorni in più in carcere. Sono stato nel carcere di Cuneo e lì la liberazione anticipata potevi perderla anche se non andavi all’aria o a messa, con la motivazione che non stavi risocializzando. Potrei andare avanti a descrivere altre situazioni che portano la perdita dei giorni, ma non voglio apparire come un detenuto che è capace solo di lamentarsi. Voglio però far capire che a volte è difficile arrivare ad usufruire di un beneficio, proprio per le condizioni di disagio che si vivono. Io, oggi, ho la fortuna di far parte della redazione di Ristretti Orizzonti, dove mi viene data la possibilità di rivedere il mio passato criminale e di pensare a un futuro diverso. Tra i tanti progetti che abbiamo, ce n’è uno di vitale importanza per me, il progetto "Scuola Carcere" che vede entrare migliaia di studenti l’anno. Questo confrontarsi con i ragazzi è un motivo di riflessione per tutti noi. Quello che mi chiedo è: invece di lamentarsi, di mettere in piedi delle vere e proprie campagne contro dei decreti che aiuterebbero a rendere più civile un carcere, perché non sforzarsi di riflettere sulla utilità della pena? Vedete noi in redazione cerchiamo di aprire sempre di più le porte e dare la possibilità di riflettere sul reato commesso e di avvicinarsi alla società con incontri diversi. Ecco questo è l’obiettivo vero che non solo i politici dovrebbero avere, ma anche tutti quegli organi d’informazione che hanno la possibilità di far riflettere su quali sono le pene che tendono veramente alla rieducazione della persona e aiutano fortemente il suo riscatto. Lorenzo Sciacca Quanto è difficile che le persone detenute imparino ad assumersi le loro responsabilità di Ornella Favero Ristretti Orizzonti, 20 gennaio 2014 È difficile oggi più che mai, perché l’esempio che dà chi rappresenta le istituzioni e dovrebbe risolvere i problemi del sovraffollamento è spesso una desolante manifestazione di irresponsabilità Mai come in questi ultimi anni il mio "mestiere" di volontaria e giornalista in carcere è diventato insopportabilmente difficile. Quando per esempio leggo certe notizie e certi commenti sull’ultimo decreto, superficialmente definito "svuota carceri", la rabbia mi monta dentro perché è davvero un’impresa disperata cercare di ragionare con le persone detenute sulla loro responsabilità, sulla difficoltà di tanti di loro a riconoscere il ruolo delle istituzioni, sulla "antipatia" che troppe volte hanno mostrato per le regole, se poi lo Stato, le Istituzioni, la Società, l’Informazione, sono spesso rappresentati da persone che si dimostrano disattente, manipolatrici, acritiche, irresponsabili. A me non piace fare "la maestrina dalla penna rossa", ma qualche domanda la vorrei fare, per esempio all’ex dirigente dell’Amministrazione penitenziaria Sebastiano Ardita, che Il Fatto Quotidiano definisce "una delle persone più competenti in materia essendo stato per nove anni direttore generale dei detenuti del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria" e che, in Commissione Giustizia alla Camera, ha dichiarato a proposito del decreto "Non serve a risolvere il problema del sovraffollamento, è molto peggio di un indulto. E, soprattutto, premia i mafiosi". Prima domanda: oggi ci sono circolari dell’Amministrazione penitenziaria che parlano di "umanizzazione delle carceri", quindi ammettono tranquillamente che negli anni passati le carceri sono diventate "disumane", e non solo per i numeri del sovraffollamento, ma forse perché qualcuno se ne è fregato alla grande delle condizioni di detenzione, finché non è arrivata l’Europa a metterci con le spalle al muro. Ora, il dottor Sebastiano Ardita è stato responsabile "dei detenuti e del trattamento" in quegli anni, in cui la situazione è degenerata, senza che nessuno capisse fino in fondo la drammaticità del problema delle carceri "disumane": ci può aiutare allora a individuare le responsabilità, e a capire perché si è fatto così poco prima che l’Europa ci "minacciasse"? Seconda domanda: questo "terrore" per l’aumento della liberazione anticipata "speciale" mi fa pensare che qualcuno stia barando nel seminare il panico, se quegli 8, dico 8 mesi di carcere in meno (due all’anno dal 2010), che arriveranno massimo a 12 nel 2015, dato che poi il provvedimento cessa, spaventano così tanto i cittadini. Perché comunque le persone, qualche mese prima o qualche mese dopo, poi finiscono di scontarla, la pena, e allora poniamoci piuttosto il problema di come la scontano. Sempre Ardita sostiene che "anche un penitenziarista poco esperto può ben comprendere come uno strumento così concepito venga a minare alle fondamenta i principi stessi del trattamento penitenziario, che presuppone sempre percorsi nei quali i benefici siano il frutto di sacrificio, attraverso la revisione critica del proprio passato criminale e la provata volontà di reinserirsi nel tessuto sociale". "Un regalo, bello e buono, a chi ha commesso gravi delitti e non ha mostrato neanche il minimo segno di pentimento" commenta il quotidiano. Scusate, ma di cosa stiamo parlando? Ma qualcuno sta davvero raccontandoci che in carcere si rispettano oggi "i principi del trattamento penitenziario"? Mi viene da chiedere allora: lo Stato che tratta le persone in questa maniera, l’ha fatta una "revisione critica" del suo passato e del suo presente di continue e reiterate illegalità? Terza domanda: Dice Ardita: "La misura prevista dal decreto si applica a tutti i detenuti, 416-bis compresi, perché si basa come unico presupposto sull’opera di rieducazione. Che, attenzione, non vuol dire altro che colloqui con la famiglia, attività teatrali, attività sportive". No guardi, dottor Ardita, "l’opera di rieducazione", non dovrebbe essere affatto una banalità come "colloqui con la famiglia, attività teatrali, attività sportive", dovrebbe essere costituita da percorsi di studio, lavoro, confronto con la società, rientro graduale in famiglia, RESPONSABILITA’ che dovrebbero poi sfociare nelle misure alternative, le sole che sono in grado di abbattere la recidiva. Ma il piccolo dettaglio che le chiedo è: secondo lei, lo Stato garantisce ai suoi cittadini detenuti questi percorsi di risocializzazione? In realtà succede spessissimo che non gli viene data la liberazione anticipata, quella "normale", perché non si comportano bene, ma spesso non si comportano bene perché sono trattati in modo illegale e non vedono in alcun modo rispettati i loro diritti. Quindi forse quei pochi mesi in più di sconto di pena andrebbero dati a tutti, senza intasare gli uffici dei magistrati di Sorveglianza, che già sono pochi, obbligandoli a fare sottili distinzioni fra chi li ha meritati e chi no, e impedendogli così di occuparsi di cose ben più importanti, come i permessi e le misure alternative. Io in carcere ci sono ogni giorno, e quando con i detenuti della mia redazione incontriamo tantissimi studenti, io chiedo che chi porta la sua testimonianza, spiegando come è arrivato a commettere reati, si assuma la sua responsabilità, senza cercare alibi. Ma è dura, molto dura parlare di responsabilità con i detenuti, se chi rappresenta le istituzioni è autorizzato a violare le regole e a maltrattare impunemente. Quarta domanda: Gentile dottor Ardita e gentile Il Fatto Quotidiano: qualcuno davvero è convinto che far scontare le pene parcheggiati in carceri disumane, non solo per le ristrettezze ma anche e soprattutto per l’assenza di qualsiasi attività, carceri in cui le persone passano il tempo spesso imbottite di psicofarmaci, arrabbiate, incattivite per la mancanza di speranza, renda la società più sicura? È difficile, io credo, immaginare qualcosa di più inutile, e anzi dannoso delle attuali galere, e allora smettiamola di fare a finta che far scontare un po’ di tempo in più rinchiusi lì dentro possa portare qualcosa di buono. E partiamo da lì, dalla necessità di ridare senso alle pene, anche "accorciando" le attuali carcerazioni: mandiamo un po’ di gente a casa qualche mese prima, come forma di modesto risarcimento per l’illegalità dello Stato, così ridurremo almeno parzialmente il sovraffollamento, e chissà che intanto la politica metta mano alle leggi "carcerogene" e l’Amministrazione penitenziaria pensi a fare quello che non è stato fatto dopo l’indulto, quando i detenuti erano scesi a 37.000: "umanizzare" le galere, come si dice ora. A proposito di umanità e di responsabilità, nel nostro sito qualche famigliare ci ha segnalato che ci sono carceri dove ancora si va a colloquio con i vecchi, disumani banconi con i divisori in vetro, che il Regolamento penitenziario del 2000 imponeva di rimuovere. Ma qualcuno si occupa di far rispettare la legge, oltre cha ai delinquenti, anche ai bravi cittadini responsabili delle nostre galere? Un uomo ombra risponde a Sebastiano Ardita di Carmelo Musumeci Ristretti Orizzonti, 20 gennaio 2014 La legalità prima di pretenderla va data (Frase trovata scritta nella parete di una cella di un detenuto impiccatosi fra le sbarre della propria cella). Sulla Rassegna Stampa di Ristretti Orizzonti del 15 gennaio 2014 leggo: "Si parla di un indulto mascherato, ma è peggio. L’indulto opera in maniera generalizzata, uguale per tutti, invece con il meccanismo previsto dal decreto lo sconto cresce con il crescere della pena" e "non essendovi sbarramento, vi è la possibilità di far uscire i soggetti più pericolosi sul piano criminale". È la stroncatura del procuratore aggiunto di Messina Sebastiano Ardita della cosiddetta "liberazione anticipata speciale", prevista dal decreto Cancellieri sulle carceri. Ricordo all’ex Consigliere del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria che il carcere in Italia è diventato il posto più illegale di qualsiasi altro luogo e che l’uomo detenuto non è certo un oggetto, un pezzo di legno da tenere accatastato in una cella per farlo a pezzi e distruggerlo, perché dopo, vedendo che il sistema è peggiore di lui, uno finisce per non provare nessun rimorso né vergogna per il male che ha commesso. Purtroppo, nel nostro paese il carcere non ha più nulla di umano anche perché non c’è più logica né razionalità. E i detenuti ormai si muovono come zombi intorno al nulla aspettando il niente, e molti si tolgono la vita perché non accettano l’assoluta disumanità del carcere in Italia. D’altronde se si chiudono in uno spazio limitato, in una gabbia, dei topi, una volta raggiunta una certa densità, questi si lasciano morire o diventano aggressivi. Leggo pure: Ardita critica anche il "risarcimento equitativo" di 100 euro al giorno per ciascun detenuto nel caso di mancata ottemperanza alle disposizioni imposte dai magistrati di sorveglianza, per l’impatto economico che l’attuale formulazione potrebbe avere. Su questo punto ricordo che uno Stato di Diritto ha l’obbligo di rispettare la legge, sia interna sia sovranazionale e internazionale, e non può infrangere le sue stesse regole come ha fatto finora. Per questo, se i funzionari del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria non applicano i provvedimenti della magistratura di Sorveglianza, la Stato è giusto che paghi e risarcisca i prigionieri, perché la legalità prima di pretenderla bisogna darla. Ricordo anche che molti mafiosi della liberazione anticipata non sanno che farsene perché sono condannati all’ergastolo ostativo. E il sottoscritto ergastolano ha chiesto la revoca di quella che ha già ottenuto. Per ultimo, mi permetto di ricordare che la liberazione anticipata speciale contestata serve allo Stato per riportare legalità nelle carceri e risarcire i prigionieri per averli costretti a vivere in uno stato inumano e degradante. Personalmente, da ex criminale, credo che combattere la mafia in carcere con la legalità porta più risultati di quelli che si ottengono con i regimi disumani. Il carcere così com’è invece di recuperare esclude ed emargina e fa uscire persone ancora peggiori e più mafiose di quando sono entrate. Giustizia: le carceri nella Mozione Generale del Comitato Nazionale di Radicali italiani www.radicali.it, 20 gennaio 2014 Il Comitato Nazionale di Radicali italiani, riunito a Roma dal 17 al 19 gennaio 2014, ribadisce l’obiettivo primario della fuoriuscita del nostro Stato dalla condizione indiscutibile e indiscussa di flagranza criminale per la sua reiterata, ultradecennale violazione di diritti umani fondamentali sanciti dalla Costituzione italiana e tutelati dalla Convenzione Europea sui diritti umani relativi al divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti e all’irragionevole durata dei processi (art. 3 e art. 6). Saluta il successo della lotta nonviolenta condotta da Marco Pannella e da oltre 350 cittadini che ha portato, finalmente, alla calendarizzazione del dibattito in aula alla Camera dei deputati sul messaggio inviato al Parlamento dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, l’8 ottobre scorso. Un messaggio senza precedenti - il primo e unico dei suoi due mandati e l’undicesimo della storia della Repubblica -, in cui Napolitano ha sottolineato quanto espresso recentemente dalla Corte Costituzionale secondo la quale "è fatto obbligo per i poteri dello Stato, ciascuno nel rigoroso rispetto delle proprie attribuzioni, di adoperarsi affinché gli effetti normativi lesivi della Convenzione cessino". In vista del dibattito alla Camera, rilancia la lotta nonviolenta sull’"Amnistia per la Repubblica" impegnando gli organi dirigenti e il Movimento tutto: a mobilitarsi per estendere lo sciopero della fame in corso - o altre forme di Satyagraha - ai detenuti, ai loro familiari, al volontariato e a tutti i componenti a vario titolo della comunità penitenziaria; a manifestare e intervenire, il 25 gennaio, all’inaugurazione dell’anno giudiziario che si terrà presso tutte le 26 Corti d’appello; a organizzare una manifestazione in Piazza Montecitorio durante il dibattito previsto alla fine di gennaio sul messaggio alle Camere del Presidente Napolitano. Il comitato rilancia l’atto di significazione e diffida firmato da Marco Pannella e Giuseppe Rossodivita - inviato a tutti i responsabili dell’amministrazione della giustizia e del carcere italiani - volto a garantire l’esecuzione di una pena "legale" che non può mai consistere in trattamenti contrari al senso di umanità, promuovendo denunce e ricorsi alle giurisdizioni sia nazionali che internazionali. Il Comitato rivendica il connotato politico-statutario di Radicali italiani quale soggetto costituente del Partito Radicale Nonviolento Transnazionale Transpartito, che si trova in una gravissima situazione dal punto di vista economico e finanziario superabile solo con un grande rilancio politico a partire dalla sua vocazione federalista che proprio grazie al Partito Radicale vive oggi nelle scelte autonomiste e non indipendentiste del Dalai Lama e della leader degli Uiguri Rebiya Kadeer; da tale rilancio dipende anche la vita del Movimento. Il Comitato denuncia che per le prossime elezioni nazionali si conferma il proposito di violare, come è già accaduto in passato, principi stabiliti da accordi internazionali sottoscritti dall’Italia che prevedono che passi almeno un anno tra la riforma della legge elettorale e la sua prima applicazione; ribadisce che sono in causa non solo doveri democratici ma formali obblighi di carattere innanzitutto costituzionale e si associa alla lotta promossa da Marco Pannella per difendere il rispetto dello Stato di diritto, della legalità, della democrazia. Nel persistere ed aggravarsi dell’ostracismo da parte del Servizio pubblico radiotelevisivo nei confronti delle iniziative del movimento radicale e dei suoi leader Emma Bonino e Marco Pannella - ostracismo documentato dal Centro d’Ascolto e istituzionalmente riconosciuto e sanzionato senza alcun esito - il Comitato sostiene l’iniziativa di Marco Beltrandi nei confronti della Commissione parlamentare di Vigilanza volta ad ottenere sia la dovuta e immediata riparazione del danno recato ai cittadini italiani, privati della conoscenza e del dibattito sulla stato della giustizia e del carcere, sia una indagine conoscitiva sul mancato rispetto per anni da parte del Servizio pubblico delle delibere dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni. Il Comitato Nazionale di Radicali italiani si impegna a dare il via a una campagna politica che si proponga di riformare la legge sulle fondazioni bancarie al fine di dare un nuovo e concorrenziale assetto proprietario del sistema delle Banche italiane chiedendo la separazione tra le Fondazioni bancarie, controllate dai partiti, e la proprietà degli Istituti di credito stessi; interrompendo così il circolo vizioso "partiti - enti locali - fondazioni - banche - imprese assistite - partiti". Il Comitato si impegna, affermando l’impropria e fallimentare gestione diretta da parte degli Enti locali di società che operano in mercati concorrenziali nella fornitura di servizi alla municipalità, a proporre su base nazionale e locale misure di trasparenza e promozione di concorrenza anzitutto attraverso la cessione delle partecipazioni pubbliche e l’utilizzo di gare competitive per l’approvvigionamento dei servizi di competenza dell’Ente Locale. Il Comitato si impegna altresì, al fine di spezzare la commistione tra politica ed economia in settori affidati al mercato, a proporre la fine dei sussidi diretti a tutte le aziende di mercato, con utilizzo delle stesse risorse per finanziare misure di tutela del reddito dei disoccupati e riduzione delle imposte sul reddito delle aziende. Il Comitato invita gli organi dirigenti a chiedere al Senato del Partito Radicale nonviolento transnazionale e transpartito l’inserimento all’ordine del giorno della questione degli assetti statutari e proprietari della galassia radicale e della loro funzionalità per l’iniziativa politica. In particolare, indica la necessità di discutere in quella sede dei criteri di apertura e democrazia interna indispensabili per i soggetti costituenti di natura più direttamente politica, impegnati a garantire la vita e gli obiettivi del partito radicale sui vari fronti tematici e territoriali, e a discutere delle forme - statutarie e societarie - adeguate per una valorizzazione del patrimonio storico, politico ed economico finalizzata a proseguire quella storia e non a gestirne l’eredità. Giustizia: i delitti violenti sono "made in Italy", italiani il 70% dei condannati di Beatrice Migliorini Italia Oggi, 20 gennaio 2014 Lo studio della Fondazione Leone Moressa sulla relazione tra nazionalità e crimini. Nei delitti contro la persona gli italiani doppiano gli stranieri. Su un totale di 23.897 detenuti per questa tipologia di reato, 16.522 (69%) sono cittadini italiani, mentre sono 7.375 (31%) gli stranieri. Simile l’andamento anche per i reati contro la famiglia. Su un totale di 2.081 detenuti, 1.543 (74%) sono italiani mentre 538 (26%) sono stranieri. Meno marcata la differenza nei reati contro la pubblica amministrazione e la fede pubblica. Per quanto riguarda i primi, su un totale di 8.109 detenuti, 5.034 (62%) sono italiani mentre 3.075 (38%) sono stranieri. Nei reati contro la fede pubblica, invece, su un totale di 4.611 soggetti reclusi, 2.888 (62,6%) sono italiani, mentre 1.723 (37,3%) sono stranieri. Questo il risultato emerso dallo studio condotto dalla fondazione Leone Moressa, a seguito dei dati diffusi dal Ministero della giustizia sulla nazionalità dei detenuti nelle carceri italiani. Analizzando lo studio condotto, salta all’occhio come, nei reati aventi ad oggetto persone fisiche, sono gli italiani quelli più coinvolti. Al 31 dicembre 2013, infatti, i detenuti italiani per reati contro la persona (comprendenti i delitti contro la vita e l’incolumità individuale, contro l’onore, contro la personalità individuale, contro la libertà personale e contro la libertà morale) erano 16.522 ed incidevano sul totale della popolazione carceraria italiana per il 16,7%, secondi solo ai detenuti per i reati contro il patrimonio che incidevano per il 24,4%. Simile la situazione anche per i reati contro la famiglia (delitti contro il matrimonio, contro la morale familiare, contro lo stato di famiglia e contro l’assistenza familiare). Per questa tipologia di reati, infatti, i detenuti italiani sono 1.543 contro i 538 stranieri. La loro incidenza sul totale della popolazione carceraria italiana è, però, dell’1,6%. Meno marcata, invece, la differenza nei reati contro la p.a. e la fede pubblica. Nel primo caso, infatti, i cittadini detenuti (5.034) incidono sul totale della popolazione carceraria italiana per il 5,1%, mentre nei reati contro la fede pubblica l’incidenza è del 2,9%. Fanalino di coda, i reati di prostituzione. Sono solo 198, infatti, i detenuti italiani per aver commesso questo tipo di reato e la loro incidenza sul totale della popolazione carceraria italiana è pari allo 0,2%. Giustizia: la Cancellieri diserta l’assemblea dell’Oua, avvocati in rivolta di Mariolina Iossa Corriere della Sera, 20 gennaio 2014 Sei mesi dopo il labiale colto da Sky ("Me li levo dai piedi") nuovo conflitto tra Guardasigilli e legali. "Napoli non è più importante di Mosca". La replica: "Un ministro non parla così" Torna fortissima la tensione tra il ministro Cancellieri e gli avvocati, sei mesi dopo quel labiale del responsabile della Giustizia ("li vado ad incontrare così me li levo dai piedi") colto da Skytg24. Accadde durante un dibattito a Napoli mentre il Guardasigilli lasciava la sala per andare ad ascoltare le richieste dei legali napoletani che protestavano contro la riorganizzazione dei tribunali e i tagli delle sedi. Da allora il rapporto si è incrinato e giovedì scorso, sempre a Napoli, lo scontro è proseguito ma a distanza. Il ministro era a Mosca per un impegno istituzionale e all’assemblea nazionale dell’Organismo unitario, gli oltre mille avvocati provenienti da tutte le regioni italiane, hanno rivolto al sottosegretario Cosimo Ferri, che parlava a nome del ministro, la loro offensiva. Fischi, urla e vibrate proteste: c’è stata molta agitazione durante l’incontro, anche perché gli avvocati speravano di avere un confronto con il ministro e la sua assenza ha finito per esacerbare gli animi. I legali sono pronti a dare battaglia sull’accorpamento dei tribunali e sulla riforma della geografia giudiziaria, che secondo l’avvocatura ha creato il caos e moltiplicato i costi per le notifiche degli atti giudiziari, e hanno attaccato la Cancellieri chiedendone nuovamente le dimissioni. "Gli atteggiamenti verso gli avvocati, e quindi verso i cittadini, sono incompatibili con la funzione ministeriale", hanno scritto gli avvocati in un comunicato. Da Mosca il Guardasigilli aveva ribadito la propria disponibilità a dialogare con l’avvocatura ma aveva anche criticato quella "gazzarra indegna di un Paese civile", sottolineando di non essere andata a Napoli "perché ero qui, e loro pensano che Napoli sia più importante di Mosca". Ma a Napoli non c’erano solo gli avvocati campani, c’erano i rappresentanti di tutta la categoria, ribattono i difensori, e si discuteva di questioni importanti su cui il governo deve dare risposte. Il sottosegretario Ferri ha provato comunque a placare gli animi, offrendo all’assemblea una data per incontrare il ministro, il 28 gennaio, data che tuttavia gli avvocati hanno rifiutato. Alla platea infuocata, Ferri ha detto che "la critica è giusta ma bisogna pure ascoltare le risposte e cercare insieme soluzioni". Questa è la linea del ministro che ieri, parlando di quanto accaduto con i suoi collaboratori, ha sostenuto che "questa situazione non può proseguire così a lungo, bisogna trovare una mediazione". L’occasione potrebbe essere l’inaugurazione dell’anno giudiziario. Intanto gli avvocati hanno ribadito la loro road map di proteste: astensione dal lavoro dal 18 al 20 febbraio e manifestazione nazionale a Roma. Giustizia: svista nella legge, restano in libertà i baby spacciatori di Luigi Ferrarella Corriere della Sera, 20 gennaio 2014 Impossibile anche la custodia in Comunità. La modifica di un comma di legge, realizzata nel contesto del cosiddetto "decreto svuota carceri", nasconde un rischio paradossale: impedisce l’arresto di baby spacciatori, consentendo ai trafficanti di droga di affidarsi, per il commercio in strada, a ragazzini come manodopera ideale immune da provvedimenti giudiziari. La nuova norma impedirebbe quella che molto spesso era l’unica preziosa chance educativa di "riagganciare " in tempo il minorenne indirizzandolo in comunità come misura cautelare. Il Parlamento ha tempo di intervenire fino al 23 febbraio. Ragazzini usati dalle organizzazioni di trafficanti per spacciare in strada piccole quantità di droga perché una nuova norma li immunizza da arresti e altre misure cautelari: è il paradossale rischio creato, al di là delle buone intenzioni della legge ma per un difetto di coordinamento con la normativa minorile, da un comma del decreto legge 146/2013 entrato in vigore la vigilia di Natale. Tra le varie misure adottate per cercare di ridurre il numero di detenuti nei sovraffollati istituti di pena, con il cosiddetto "decreto svuota carceri" il governo ha infatti modificato la legge sulla droga al quinto comma dell’articolo 73 del dpr 309/90. Mentre prima la "lieve entità " dello spaccio (lieve "per la qualità o quantità dello stupefacente " oppure "per i mezzi, la modalità e le circostanze dell’azione") era una circostanza attenuante del reato, ora il nuovo quinto comma la trasforma in una autonoma fattispecie di reato, la cui pena massima è ridotta da 6 a 5 anni, e la minima è 1 anno. La norma è stata pensata dal governo per alleggerire il numero di tossicodipendenti detenuti a pene dure (ostative alle misure alternative al carcere) per episodi di micro spaccio appesantiti dall’aggravante della recidiva. Ma di questa norma sembra essere sfuggito il riflesso di una controindicazione nel mondo della giustizia dei minorenni, il cui codice di procedura del 1988 consente la misura cautelare del "collocamento in comunità" solo per i delitti puniti con la reclusione "non inferiore nel massimo a 5 anni". Siccome in base al codice la minore età è attenuante che comporta automaticamente una riduzione di pena, ora nel caso di spaccio di "lieve entità " la riduzione anche di un solo giorno fa sì che la pena teorica diventi "inferiore nel massimo a 5 anni": e dunque renda impossibile ai magistrati, in assenza di aggravanti, applicare misure cautelari ai minorenni che facciano spaccio di droga di "lieve entità". Il primo contraccolpo è di natura pedagogica, giacché si perde quella che molto spesso era l’unica preziosa chance educativa di "riagganciare" in tempo il minorenne (che diventa piccolo spacciatore quando quasi sempre è già anche piccolo consumatore di droga) e di indirizzarlo in comunità, per riportarlo sulla strada giusta prima che diventi un delinquente vero o un tossicodipendente pesante: ora, infatti, non solo non si può arrestarlo, ma soprattutto non si può più collocarlo come misura cautelare in una comunità, e persino non è più possibile accompagnarlo almeno negli uffici di polizia in attesa (per un massimo di 12 ore) che i genitori, di solito sino ad allora ignari dei suoi problemi, lo vengano a prendere. Il secondo rischio è che minorenni "difficili", che spacciano piccoli dosi di droga senza ora poter più essere né arrestati né messi in comunità, costituiscano la manodopera ideale per quelle gang di adulti che vogliano reclutarli come intoccabili "cavalli" di strada, cioè come rete di micro spacciatori di piccole quantità di droga, perfetti proprio perché paradossalmente immunizzati dall’arresto proprio dalla nuova legge. Quand’anche colti in flagranza, infatti, possono solo essere indagati a piede libero, ma devono essere ogni volta rilasciati, visto che "recidivi" diventeranno solo tra molti anni quando eventuali condanne passeranno in giudicato. Chi lavora con i minorenni concorda sul fatto che l’impatto con uno stop giudiziario, sotto forma di affidamento in comunità educativa, serviva spesso ad arginare malintesi sensi di onnipotenza giovanile e a far riconoscere l’antigiuridicità di una condotta quale lo spaccio di droga. Ora tra i magistrati c’è chi prova a forzare alcuni elementi dello spaccio (la vicinanza a scuole, oppure il fatto che gli acquirenti del piccolo spacciatore minorenne siano altri minorenni o tossicodipendenti abituali) per trarne la possibilità di contestare specifiche aggravanti in grado di far di nuovo scattare la misura cautelare della messa in comunità; e c’è chi invece vede questi tentativi come degli escamotage scorretti e incompatibili con il tenore della norma del decreto legge del 24 dicembre 2013. Il Parlamento, chiamato come per ogni decreto legge a convertirlo in 60 giorni, per intervenire ha dunque tempo ancora sino al 23 febbraio. Giustizia: sit-in della Lega in molte città contro la legge svuota-carceri Ristretti Orizzonti, 20 gennaio 2014 Verona: uova degli anarchici contro il presidio leghista (L’Arena) Tensione a Montorio, ma nessun incidente. Enzo Flego: "Da ex marinaio mi vergogno perché gli invasori vanno fermati, non raccolti in mare". Salvini contestato a Padova. Tensioni ieri davanti al carcere di Montorio tra militanti della Lega che manifestavano contro il decreto "svuota carceri" del governo dietro allo striscione "Clandestino è reato" e un gruppo di antagonisti che, separati da un cordone di polizia in tenuta anti sommossa, esponevano un manifesto con la scritta "Fuori tutti dalle galere". I leghisti sono stati oggetto anche di un lancio di uova da parte del drappello di anarchici, quattro tiri in tutto, fermatisi però a qualche metro di distanza. Intanto, il deputato Matteo Bragantini rilancia la proposta del sindaco Flavio Tosi di ovviare al sovraffollamento delle carceri usando le caserme dismesse". Ed esclama: "Abolire il reato di clandestinità è assurdo perché è l’unico modo per fare le espulsioni". Da una parte, sotto la pioggia, si danno appuntamento una settantina di militanti del Carroccio. Ci sono anche Vito Comencini dei Giovani padani, la capogruppo in Comune Barbara Tosi, il consigliere regionale Paolo Tosato e l’assessore comunale Enrico Corsi. Il segretario provinciale Paolo Paternoster è assente per lavoro. Fra i presenti qualcuno, a bassa voce, lamenta l’assenza di Tosi, che è anche segretario veneto e l’eurodeputato Lorenzo Fontana, col megafono, definisce eroici i presenti che hanno sfidato il maltempo. Dall’altra una decina di giovani vestiti di nero e alcuni col volto coperto da passamontagna. Le due fazioni non si risparmiano insulti e sfottò. "Vi mascherate perché avete la faccia da c..." li apostrofa l’ex deputato Enzo Flego. Dall’altra parte l’avvertimento: "Veniamo a trovarvi nella vostra sede di Montorio". Si va avanti così per un’ora. L’eurodeputato Lorenzo Fontana esulta: "La Lega, nata per combattere e non per governare, è tornata quella di una volta, chi commette delitti non può essere lasciato libero di mettere a rischio la sicurezza altrui". E rivolgendosi ai contestatori li chiama "cani da guardia del regime". Per Fontana il pericolo viene dagli stranieri: "Su 60mila detenuti 20mila sono stranieri, devono scontare la pena nel paese di origine, così si risparmierebbe un miliardo di euro". E aggiunge: "Nel 2010 con il nostro ministro Maroni ci furono 4.400 sbarchi di clandestini, nel 2013 sono diventati 43mila". L’anziano Flego è inferocito. "Sono invasori non emigranti e da ex marinaio mi vergogno perché la marina militare deve difendere il paese, non raccogliere gli invasori". Poco prima delle 15 gli anarchici se ne vanno salutando con il dito medio di bossiana memoria al grido "buffoni". Dal fronte opposto ribattono: "Drogati". Dopo 15 minuti i leghisti smontano il gazebo. Nelle stesse ore, a Padova, le forze dell’ordine intervenivano contro gli esponenti del centro sociale Gramigna che hanno attaccato con uova e fango il presidio della Lega guidato dal segretario federale Matteo Salvini davanti al carcere Due Palazzi. Episodio su cui è intervenuto il presidente della Regione Luca Zaia. "Democrazia fa rima con libertà di confronto che talvolta può essere anche muscolare, ma non deve mai superare la dialettica e sfociare in inaccettabili atti di violenza". Como: il Carroccio manifesta davanti al Bassone (Il Corriere di Como) La Lega di lotta torna in strada. A distanza di una settimana dalla protesta messa in atto ai caselli autostradali contro gli aumenti tariffari, il Carroccio ha mobilitato nuovamente i propri militanti e simpatizzanti. Questa volta, per chiedere lo stop a ogni intervento normativo sulle carceri che attenui le pene o, peggio, "svuoti" le galere italiane troppo affollate. Ieri mattina, sotto una pioggia incessante e fredda, una cinquantina di leghisti si sono radunati davanti ai cancelli del Bassone. Striscioni, bandiere con il Sole delle Alpi, un paio di cartelli, qualche momento di tensione con un parente di un detenuto: nulla è mancato del tradizionale corredo delle manifestazioni di piazza. Nemmeno il piccolo megafono a batteria, spuntato fuori dalla selva di ombrelli e giacconi impermeabili per i brevi comizi conclusivi del deputato Nicola Molteni e del consigliere regionale Dario Bianchi. I discorsi dei due esponenti di punta della Lega comasca si sono sviluppati a metà tra la mobilitazione identitaria e la protesta politica, Non sono passati infatti inosservati gli attacchi al Movimento 5 Stelle e il richiamo ai propri elettori a tornare alla base. "Molti hanno votato Grillo sperando in un cambiamento - ha detto Dario Bianchi - ma adesso si rendono conto che è stato un errore". Molteni ha insistito in modo analogo sulla "forza della Lega e sul radicamento del movimento nel territorio", ma ha anche toccato i punti nodali della manifestazione, ovvero il no al decreto cosiddetto "svuota carceri". "Il governicchio di Letta e Alfano vuole mettere in libertà migliaia di delinquenti - ha urlato il parlamentare del Carroccio nel megafono - Soltanto noi ci opponiamo a una simile scelta sciagurata". Secondo Molteni, lo "svuota carceri" metterebbe in discussione "alcuni tra i principi giuridici fondamentali di uno Stato di diritto, ovvero la sicurezza dei cittadini e la certezza della pena". Per risolvere il problema dell’affollamento, ha concluso il deputato comasco, "bisogna ristrutturare e riaprire le 38 carceri oggi inutilizzate". Sondrio: decreto svuota carceri, protesta della Lega (La Provincia) Manifesti con lo slogan stampato "Basta indulti", bandiere del Carroccio e striscioni fatti in casa per dar voce alla rabbia contro i furti nelle case di Valtellina e Valchiavenna. Anche a Sondrio ieri mattina è arrivata in strada la protesta della Lega contro il decreto "svuota-carceri": come in molte altre città del Nord, i militanti valtellinesi hanno allestito un gazebo davanti al penitenziario di Sondrio, per incontrare i cittadini e manifestare, in un luogo-simbolo, contro il provvedimento già al centro di accese critiche e azioni di protesta dei parlamentari del Carroccio. "I presidi davanti alle carceri sono stati organizzati in un paio di giorni e siamo soddisfatti della riuscita della manifestazione, anche in città", spiega il segretario provinciale della Lega Christian Borromini. Un impegno che la segreteria provinciale leghista vuole tradurre in tempi brevi anche in un’iniziativa concreta sul territorio: "Nei Comuni interessati - spiega Borromini - abbiamo intenzione di proporre dei corsi per "osservatori cittadini". Non parliamo di ronde, sia chiaro, ma di un percorso di formazione tenuto da esperti per spiegare ai cittadini come riconoscere i segnali di situazioni sospette da segnalare alle autorità, collaborando con le forze dell’ordine che in questo periodo stanno facendo un gran lavoro per contrastare il fenomeno". Trento: Lega e anarchici si scambiano insulti a Gardolo (L’Agige) La Lega Nord Trentino ha tenuto questa mattina un presidio davanti alla Casa circondariale di Trento, a Spini di Gardolo, per protestare contro il decreto del governo "svuota carceri" e per chiedere provvedimenti per far fronte ai recenti episodi di criminalità avvenuti nel capoluogo. Una contromanifestazione è stata organizzata nei pressi del carcere da un piccolo gruppo di anarchici. "Alla nostra provincia, già in difficoltà a causa della crisi economica che ha colpito le famiglie e le imprese trentine - dice un documento distribuito della Lega - non serve altra delinquenza ma solamente delle decisioni ferme volte ad intensificare i controlli delle forze dell’ordine sul territorio e a contrastare duramente il dilagare del fenomeno della criminalità sotto ogni forma". "Lo svuota-carceri - prosegue la Lega - è ancor peggio dell’indulto e, come conseguenza, avrà la fuoriuscita di centinaia di delinquenti anche dal carcere di Spini di Gardolo". "Noi vogliamo più sicurezza, non più crimini, vogliamo politiche a favore dei cittadini, non dei malviventi, vogliamo serenità perchè poter camminare tranquilli per le vie del proprio borgo è un diritto, non avere paura di uscire di casa a qualsiasi ora del giorno e della notte", conclude il documento leghista Ravenna: protesta della Lega Nord davanti alla Casa Circondariale (www.ravennanotizie.it) Oggi alle ore 11.00 - davanti alla Casa Circondariale di Ravenna - la Lega Nord Romagna ha protestato contro il decreto svuota carceri. A sostegno del Presidio, di seguito riportiamo i dati emersi dall’interrogazione del Consigliere Comunale della LN Romagna Paolo Guerra all’Assessore alla Sicurezza. "Il carcere di Ravenna vede una presenza media di 120 persone di cui oltre il 50% di stranieri in prevalenza maghrebini e albanesi. Le pene detentive inflitte alla popolazione carceraria sono mediamente di 2-3 anni e, dal 2010 ad oggi, i magistrati hanno concesso arresti domiciliari a una decina di persone". "Ribadisco oggi, - prosegue Guerra - come nella discussione in Consiglio Comunale di allora, che fra le risposte possibili alla procedura di infrazione europea sulle condizioni di sovraffollamento delle carceri italiane, non può esservi lo svuotamento per Decreto o, ancora peggio, la riduzione dell’entità della pena. Ciò in quanto ne beneficiano i criminali che maggiormente insidiano ed influenzano la sicurezza dei cittadini e delle famiglie. E fra questi anche l’incolumità delle donne in quanto sono previste riduzioni detentive anche per quei criminali che si sono macchiati di stalking e di violenza femminile". Conclude Guerra: "Il Governo ha il dovere di tutelare i cittadini, e il lavoro delle Forze dell’Ordine e del Sistema Giudiziario, evitando di approvare simili provvedimenti. Semmai dovrebbe ricercare quei meccanismi legislativi affinchè almeno una quota parte degli stranieri, comunitari ed extracomunitari, vadano a scontare la pena detentiva nei propri Paesi di origine". Treviso: la Lega "Siamo dalla parte dei cittadini onesti" (Il Gazzettino) Gli attivisti, uniti dallo slogan "Delinquenti in galera, basta clandestini", protestano contro il decreto "svuota carceri". Presidio della Lega Nord, oggi, di fronte al carcere di Treviso. Gli attivisti, uniti dallo slogan "Delinquenti in galera, basta clandestini", protestano contro il decreto "svuota carceri", in corso di esame al senato, a cui la senatrice di Castelfranco Patrizia Bisinella ed i colleghi del Carroccio si sono opposti. "Siamo dalla parte dei cittadini onesti, siamo contrari a decreti come lo "svuota carceri" e a indulti che rimettono in libertà i delinquenti - dichiara Bisinella. Un Paese serio non affronta così il problema del sovraffollamento carcerario, ma appronta politiche vere di edilizia carceraria, utilizzando i propri immobili dismessi, e rimanda i carcerati extracomunitari a scontare la pena nei propri paesi di origine. Un Paese serio - prosegue - dovrebbe dare garanzia di legalità e giustizia, certezza della pena, non di resa di fronte all’incapacità di risolvere il problema. Vogliamo mantenere il reato di immigrazione clandestina, perché garantisce eseguibilità alle espulsioni di chi non ha titolo di rimanere nel nostro territorio". Monza: tensioni tra Lega e centro sociale Foa Boccaccio (Il Cittadino) La pioggia battente non ha fermato i manifestanti che questa mattina si sono dati appuntamento in via Sanquirico, davanti alla casa circondariale di Monza. Un cordone di forze dell’ordine tra Polizia e carabinieri ha tenuto separati i due gruppi: il presidio della Lega Nord, che si è appostato a pochi passi dai cancelli di ingresso del carcere, e quello dei ragazzi del centro sociale Foa Boccaccio, che si sono fermati all’inizio di via Sanquirico. Bandiere e slogan per i padani che hanno protestato contro il decreto svuota carcere in discussione in questi giorni a Roma. "Protestiamo contro questo decreto che va contro ogni buon senso - ha dichiarato il segretario provinciale della Lega, Alberto Rivolta. Questo governo vuole riempirci di clandestini e svuotare le carceri, proprio mentre in Brianza assistiamo a furti, scippi e reati contro il nostro territorio. Questo decreto va contro gli interessi della nostra gente". Chiare le idee del segretario provinciale leghista anche in merito al sovraffollamento. "La soluzione è semplice: dal momento che oltre il 50% della popolazione carceraria è straniera, la misura alternativa al carcere è l’immediata espulsione dei detenuti stranieri nei loro Paesi d’origine". Eppure oggi nel carcere di Monza sono detenuti 690 persone a fronte di una capienza regolare di 364. "La manifestazione della Lega è una gravissima provocazione, frutto di una visione della società completamente chiusa in se stessa", è la risposta dei componenti del Boccaccio. Peccato che loro per primi si siano chiusi in se stessi, non rilasciando alcuna dichiarazione e impedendo ai giornalisti di avvicinarsi e filmare o fotografare il presidio. A parlare per loro solo lo striscione appeso all’ingresso di via Sanquirico: "Basta Lega, basta galere". Novara: picchetto del Carroccio davanti al carcere (Corriere di Novara) Presidio del Carroccio, questa mattina, sabato 18 gennaio, davanti al carcere di Novara. Un’iniziativa per protestare contro lo svuota-carceri. Titolo della battaglia promossa dal Carroccio in tutta Italia, come ha spiegato il segretario provinciale e vicepresidente della Provincia, Luca Bona, "I criminali in galera e basta clandestini". A partecipare al picchetto, una decina di persone, tra cui Bona e il capogruppo a Palazzo Cabrino, Mauro Franzinelli. "Una misura, quella dello svuota carceri, come anche quella relativa all’abolizione del reato di clandestinità - ha sostenuto Bona - che avrà effetti devastanti per la nostra sicurezza. A favore dei criminali ben 4 provvedimenti in due anni, tra Governo Monti e Governo Letta. La nostra gente ha bisogno di sicurezza e di lavoro, per questo vogliamo dare voce alla gente "normale", quella ignorata dalla politica "del pensiero unico"". Come striscione esposto: "Renzi-Grillo-Letta-Alfano Vergogna Nessuno liberi Caino Piacenza: Lega; lo svuota-carceri libererà anche gli stalker (Piacenza Sera) Arriva anche la voce delle giovani padane piacentine sulle polemiche relative allo "svuota carceri", in questi giorni in discussione al Senato. Infatti, con una nota, le giovani intervengono sul tema: "Il Governo, tramite diversi suoi membri, tra cui anche il premier Letta, il 25 novembre 2013 durante la Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne si è dichiarato sensibile e interessato alla questione, garantendo il massimo impegno". "Peccato che meno di due mesi dopo - continuano le giovani, capeggiate dall’assessore del comune di Castelsangiovanni Valentina Stragliati e da Lorenza Rossi di Fiorenzuola - abbiano inserito tra le persone che godranno di uno sconto di pena anche coloro che si sono macchiate del reato di stalking. Cioè alle belle parole non sono seguiti i fatti, anzi proprio il contrario! Nel 2013 le vittime del femminicidio sono salite a 128, mentre le chiamate al telefono rosa per problemi relativi allo stalking sono salite del 10%. A cosa serve nominare Cavaliere la donna sfregiata con l’acido dall’ex fidanzato, come ha recentemente fatto Napolitano, se poi il Governo vuole far uscire di galera anche coloro che hanno compiuto atti contro le donne?" "Tra l’altro, oltre allo stalking, anche reati come prostituzione minorile e violenza privata sono entrati nella lista di quelli "meno gravi" con conseguente sconto di pena. È una vergogna e sottolineiamo che la Lega Nord è l’unica che sta facendo di tutto per evitare l’approvazione dello "svuota carceri", arrivando anche ad occupare gli uffici del presidente del Senato Grasso. I parlamentari che voteranno questo decreto avranno sulla coscienza eventuali nuove vittime". "La soluzione al problema del sovraffollamento delle carceri è facile: basterebbe far scontare ai detenuti stranieri la pena nel loro paese d’origine, infatti ben 21854 carcerati sono stranieri (dato che proviene dal Ministero della Giustizia, corrispondente al 35% della popolazione carceraria totale). In un attimo le carceri si svuoterebbero e non ci sarebbe più il sovraffollamento con i conseguenti indulti voluti sempre dalla sinistra. I nostri parlamentari e ministri si dovrebbero impegnare in tal senso, ma purtroppo solo quelli della Lega Nord stanno portando avanti questa battaglia all’Europarlamento che, nel silenzio più totale dei media, è appena stata accolta dal Parlamento Europeo, che ha infatti accolto la petizione leghista per "l’espiazione delle pene detentive, per reati commessi all’estero, dai cittadini comunitari ed extracomunitari nei loro paesi d’origine". Ora tutti i paesi dell’UE devono impegnarsi per facilitare i rapporti tra stati Ue ed extra Ue in questa direzione". Ferrara: Lega; costruire nuove carceri (La Nuova Ferrara) Un drappello di leghisti ha manifestato ieri mattina sotto la pioggia davanti al carcere di via Arginone: per protestare contro l’abrogazione del reato di immigrazione clandestina e contro il provvedimento "svuota carceri". "Per quanto riguarda il reato di immigrazione clandestina -rileva la Lega - ci basti sapere che rispetto a Maroni, Monti ha avuto + 201% di sbarchi di clandestini e Letta +874%! L’unica risposta è reato di clandestinità e respingimenti in alto mare. Saremo davanti al carcere a manifestare e informare i cittadini della gravità di questi provvedimenti". Per quanto riguardo il sovraffollamento delle carceri, il rimedio proposto è quello di "costruire nuove carceri". Giustizia: De Pasquale (Sippe); basta agenti imboscati nei ministeri Ansa, 20 gennaio 2014 "Prima di chiedere le assunzioni di donne e uomini della polizia penitenziaria bisogna restituire ai compiti istituzionali migliaia di agenti penitenziari finiti imboscati nei vari ministeri ed enti locali". Questo è quanto ha dichiarato il Segretario generale del Sippe, Alessandro De Pasquale, il quale nella sua protesta si riferisce in particolare "a quei poliziotti penitenziari adibiti a mansioni di uscieri o archivisti in sedi che non hanno niente a che fare con il Dap, come ad esempio presso il ministero della Salute. I rinforzi servono, ma per porre fine al caos nelle carceri e rendere il lavoro un po’ più tollerabile per coloro i quali svolgono con abnegazione i propri compiti istituzionali; sarebbe opportuno che questi poliziotti "fortunati" indossassero l’uniforme e facessero ciò per cui sono stati assunti. Oltre 6mila e 500 appartenenti alla polizia penitenziaria sono distaccati in vari ministeri ed enti locali". "Sembra inverosimile - ha dichiarato De Pasquale - che qualcuno chieda a "gran voce" l’assunzione di poliziotti penitenziari quando invece si potrebbe prima procedere al rientro in sede di buona parte del personale distaccato, restituendolo ai servizi istituzionali". Il sindacalista ha precisato inoltre che gli appartenenti al corpo della polizia penitenziaria "non possono essere impiegati in compiti che non siano direttamente connessi ai servizi d’istituto. Per il Sippe il rientro nelle carceri e nei servizi istituzionali degli imboscati sarebbe un atto di civiltà giuridica e una forma di rispetto per il lavoro che svolgono i colleghi, i 37 mila 967 uomini e le 7 mila donne della penitenziaria che svolgono i compiti istituzionali, gestendo in condizioni operative disagiate 63 mila 628 detenuti. Inoltre, secondo il sindacato, c’è anche il problema del sovraffollamento delle carceri, che ospitano quei detenuti a fronte di una capienza massima di 45 mila 225 posti. Occorrono provvedimenti coraggiosi, per azzerare il fallimento del sistema penitenziario e quello della giustizia, tracciando così un nuovo percorso. Lo svuota carceri da solo non basta e neppure l’ennesimo indulto risolverebbe il problema. Il sistema penitenziario deve essere rivisto completamente, partendo intanto da chi sta nei palazzi del potere imboscato". Lettere: io, suora missionaria nelle carceri… di Suor Viera (Francescana dei Poveri) www.firenzepost.it, 20 gennaio 2014 Il racconto di una religiosa dietro i cancelli di Solliccianino. Sono suor Viera, Francescana dei Poveri e svolgo il mio volontariato all’interno di quattro carceri italiane. Ho iniziato questo servizio circa venti anni fa per puro caso ed ho visto quanto sia preziosa la presenza di una religiosa all’interno del carcere. Il mio compito è quello di ascoltare le loro sofferenze e aiutarli a fare un cammino di fede per vivere il meglio possibile la loro detenzione, portare dentro biglietti fatti da me, penne, francobolli, immagini sacre e braccialetti e i Tao di S. Francesco. Per esperienza posso dire che alcuni detenuti che hanno sbagliato la prima volta o che hanno commesso reati piccoli, non devono entrare in carcere ma in comunità specifiche che li aiutano a fare un percorso di recupero. Questo perché dentro vengono segnati per sempre da una sofferenza a volte disumana, che li segnano per tutta la vita creando disagio e sofferenze anche ai familiari stessi. Io sono sempre grata a Dio per l’intuizione che ha avuto fra Beppe Priori di fare le missioni dentro le carceri. Ringrazio chi ha accolto la proposta di fare quattro giorni di missione a Solliccianino. Si sono fidati e i risultati sono stati grandiosi, tutto si è svolto nella più totale serenità e semplicità francescana, ed abbiamo avuto una bella collaborazione con gli agenti di custodia. La presenza dei frati è stata significativa e importante per la maggior parte dei detenuti: appena li hanno visti entrare nei reparti si leggeva nei loro volti una grande meraviglia. L’esperienza dei detenuti di Solliccianino è stata straordinaria e particolare perché ognuno ha potuto sperimentare la gioia di una fratellanza mai sperimentata prima. Tutti sono stati coinvolti a condividere giorni diversi, fatti di colloqui personali sia nelle proprie celle, nei corridoi, a pranzo e in attività, ci sono stati anche momenti in cui si cantava, ballava e giocava. Vedere i volti dei detenuti più rilassati e gioiosi mi hanno fatto percepire quanto è importante far respirare all’interno della struttura momenti di pace in cui il detenuto percepisce di essere amato per quello che è, e non per quello che ha fatto. Al loro posto potevo starci benissimo io se nel lontano 1973 nel momento più drammatico della mia vita non avessi conosciuto la persona giusta. Sentirsi accolti e dato loro la possibilità di sfogarsi senza paura di non essere giudicati, li ha aiutati ad essere più responsabili verso se stessi e le loro famiglie. Dopo una settimana qualcuno mi ha detto: "suor Viera, per quattro giorni ci siamo sentiti diversi, la semplicità dei frati, il loro starci accanto ad ascoltarci e condividere con noi quelle sette ore, ma soprattutto il sentirci amati in questo ambiente dove si fa fatica ad andare avanti ci hanno fatto sentire diversi: persone consapevoli dei nostri sbagli, tanti di noi siamo anche pentiti di aver commesso furti, di essere caduti nella droga etc.; sì abbiamo sbagliato ma siamo essere umani. Il direttore e tutto il personale fanno di tutto per venirci incontro, ma quello che serve a noi è un lavoro dentro per non pesare sulle nostre famiglie e quando usciamo fuori, siamo preoccupati per il futuro, siamo convinti che tanti di noi rientreranno dentro proprio perché non sanno come andare avanti. Terminare con la messa e il saluto è stato emozionante". Tolto due tre detenuti che non sanno ancora il motivo per cui sono dentro, il resto affermano che hanno sbagliato e che è giusto che paghino i loro reati. Altrettanto giustamente rivendicano il diritto di vivere meglio la loro detenzione. E di poter lavorare. Firenze: sovraffollamento carceri, le drammatiche condizioni di Sollicciano di Annalisa Dorigo Blasting News, 20 gennaio 2014 Il problema del sovraffollamento delle carceri e delle drammatiche condizioni di vita dei detenuti continua ad essere al centro dell’interesse dell’opinione pubblica e dell’ambiente politico italiano. Ricordiamo che l’Unione Europea ha intimato all’Italia di trovare una soluzione a questo drammatico problema entro il 28 maggio 2014 ma, sebbene manchino pochi mesi, ad oggi non è stata trovata una soluzione adeguata. Per lo più la vita nei penitenziari italiani continua ad essere ai limiti della sopportazione. Per questo alcuni Radicali di Firenze, appartenenti all’associazione "Andrea Tamburi" hanno deciso di aderire allo sciopero della fame, già in atto dal loro principale esponente Marco Pannella. Lo scopo è quello di fare in modo che il Parlamento approvi quanto prima dei provvedimenti in materia di amnistia e indulto. I due esponenti radicali, in particolare, vogliono protestare contro la situazione del carcere fiorentino di Sollicciano, dove da settimane sono in corso proteste dei detenuti per una struttura ai limiti della disumanità sia per i detenuti che per le stesse guardie carcerarie. Si aggiunge il fatto che pochi giorni fa, durante una partita di calcio, ha avuto luogo una rissa tra circa quaranta persone che ha causato il ferimento di alcuni detenuti. Per questo, come evidenziato nel sito dei Radicali di Firenze, il consigliere provinciale Massimo Lensi chiede "l’immediato intervento della politica locale, auspicando un doveroso sopralluogo sia del sindaco di Firenze, Matteo Renzi, che del presidente della Provincia Matteo Barducci". Staremo vedere se Matteo Renzi, contrario ai provvedimenti di amnistia e indulto, deciderà di agire in qualche modo. Sulmona (Aq): nel penitenziario 480 detenuti, situazione al collasso, agenti protestano www.primadanoi.it, 20 gennaio 2014 Il personale di Polizia Penitenziaria del carcere di Sulmona di stanza presso l’istituto di Via Limaccio, vive un momento di enorme disagio e rabbia per l’aggravio delle condizioni lavorative "derivanti da un organico sempre più carente e che sta logorando sempre più l’aspetto psico-fisico dello stesso". È questa la denuncia della Uil Penitenziari e del segretario Mauro Nardella. Il confronto con un numero di detenuti sempre crescente (480 circa e tutti di elevato spessore criminale) diventa giorno dopo giorno sempre più impari. "Attualmente", spiega Nardella, "sono meno di 240 le unità di Polizia Penitenziaria realmente impiegate nello svolgimento dei compiti istituzionali rispetto alle 310 presenti nel 2010 allorquando il numero di detenuti non superava le 400 unità presenti. Turni fissati inderogabilmente a 8 ore e a volte anche 12; un numero di prestazioni quali traduzioni, multi videoconferenze, colloqui, piantonamenti ospedalieri, visite ambulatoriali sono cresciuti esponenzialmente con notevoli ripercussioni sui carichi di lavoro di tutti gli operatori". A tutto quanto sopra si aggiunge altresì una enorme rabbia e che ha inferocito ancor di più il personale "stanco", spiega Nardella, "di essere preso in giro dettata dal mancato pagamento di questo mese da parte del Ministero degli straordinari e delle competenze accessorie e che di fatto non hanno permesso di riscuotere, in un mese irto di scadenze economiche, in media 300 euro pro capite. A tutto ciò si aggiungono continui disservizi che il Ministero pone in essere e che sta disorientando e non poco la lettura dei diritti economici di tutto il personale. A tutto quanto sopra fa da cornice un carcere immerso dai rifiuti differenziati e non conferiti in discarica dagli addetti del Comune che non certo fa risplendere in efficienza chi dovrebbe essere preposto a questo tipo di servizio". La Uil Penitenziari, fermo restando l’apprezzamento del lavoro sinora svolto dal neo direttore si dice pronta ad attivare una serie di manifestazioni di protesta che saranno decise in un’assemblea con il personale che si terrà entro breve. Genova: Sappe; secondo detenuto in due giorni si cuce la bocca a Marassi Ansa, 20 gennaio 2014 Ancora un drammatico atto autolesionistico da parte di un detenuto del carcere di Genova Marassi che secondo quanto riferisce si è cucito la bocca. Il sindacato spiega che dopo un uomo condannato a 30 anni per omicidio, nella tarda mattina di sabato un altro detenuto nordafricano "ha posto in essere l’analogo l’insano gesto". L’uomo, un tunisino di circa 30 anni proveniente da La Spezia, è ristretto al primo piano della I sezione detentiva. "Due detenuti che si cuciono per protesta le labbra in due giorni fanno seriamente riflettere e dovrebbero far comprendere a quali livelli sia la tensione in carcere, a tutto discapito delle condizioni di lavoro dei poliziotti penitenziari", commenta Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto del Sappe, Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria. Milano: la storia di Sanje, lo srilankese che assiste i connazionali detenuti a Bollate Corriere della Sera, 20 gennaio 2014 Non si parlavano, all’inizio, anche se erano dirimpettai. Negli anni però sono diventati amici e adesso, oltre che nell’ascensore del palazzo, si incrociano in prigione. Uno, Roberto Bezzi, responsabile dell’area educativa al carcere di Bollate, ha coinvolto l’altro, il vicino di casa Sanjeewa Kumanayaka, cingalese, 36 anni, nel servizio di volontariato coi detenuti. Così da due anni al sabato Sanje entra nelle mura del penitenziario e si dedica con passione ai suoi connazionali in fase di recupero. Il suo non è un esempio raro, lo raccontiamo domenica 19 gennaio nelle pagine del Corriere dedicate a La città del bene: gli stranieri che dell’impegno civile fanno un vessillo aumentano di anno in anno. E sembrano avere una sensibilità speciale, forse proprio per le traversie patite o le radici lontane. Voglia di ritrovare un po’ di famiglia, aiutare chi ha bisogno (e loro sanno bene cosa vuol dire essere in difficoltà): è la faccia sempre più colorata della solidarietà meneghina. "I miei connazionali detenuti, pochi di numero, stanno dentro per i reati più vari: violenza in casa, alcolismo, spaccio, clandestinità. Cose che al Paese sono punite in modo durissimo, senza appello, mentre qui a Bollate il tentativo è riabilitare - racconta l’immigrato che ormai, dopo dodici anni in Italia, mastica l’italiano. Per aiutarli traduco, cerco di fare in modo che si capiscano con le guardie, e poi tranquillizzo i parenti in Sri Lanka se loro, da dentro, non riescono a telefonare a tutti". Non che abbia vita facile o molto tempo libero, Sanje: laureato in matematica in Sri Lanka, qui è magazziniere in una farmacia; sua moglie è quasi tutto il giorno fuori come domestica, i genitori son anziani, il figlio di cinque anni frequenta la scuola materna a due passi da Loreto e qualcuno deve pur andare a prenderlo. Ma lui, giunto a Milano con un viaggio infinito attraverso l’Africa e poi in barcone, su dalla Sicilia, è sereno. Anzi, si sente fortunato. Tanto che oltre a offrirsi per il carcere della sua città pensa anche al Paese: ogni anno il 20 novembre, data di compleanno del figlio, manda ad un piccolo villaggio sulle coste dell’Oceano indiano 450 euro, metà del suo stipendio: "Sessanta bambini orfani per lo tsunami del 2004 abitano in una chiesa vicino a dove sono nato. Ho promesso a me stesso di mandare loro con regolarità quella cifra: per il cibo, i libri di scuola. Perché possano avere un’idea di futuro. I miei genitori mi insegnavano a aiutare con il cuore. Io voglio spiegarlo, con l’esempio diretto, a mio figlio Tineth". Roma: l’associazione "A Roma Insieme"… dalla parte dei bimbi in carcere di Sabrina Ferri www.mediapolitika.com, 20 gennaio 2014 Sono solo bambini eppure, spesso, la loro infanzia si trasforma in una specie di incubo, una detenzione forzata dove ogni giorno è uguale all’altro e dove la libertà viene relegata in uno spazio angusto. Sono i figli delle madri detenute italiane e straniere che popolano le nostre carceri, piccoli volti innocenti che imparano a fare di una cella la loro casa. Per loro la vita ha un sapore amaro, quel sapore che sa di sbarre, di ambienti freddi e di cortili chiusi. E’ una realtà raccapricciante quella che emerge, una situazione della quale non si sente parlare quasi mai e che finisce inevitabilmente con il cadere nel silenzio. Eppure quella dei figli che vivono assieme alle madri detenute, è una questione che non può passare inosservata. Dal primo Gennaio 2014, le nuove norme in materia, stabiliscono la possibilità di poter stare insieme dalla nascita sino ai sei anni. Fino ad ora le carceri italiane sono rimaste occupate dai bambini fino a tre anni, piccole creature incapaci di spezzare la monotonia della reclusione. Tuttavia bisogna ammettere che, in Italia, esistono anche delle micro realtà in grado di regalare ai figli delle detenute sprazzi di normalità. A Roma, ad esempio, nel carcere di Rebibbia, opera dal 1991 l’associazione A Roma Insieme, fondata da Leda Colombini. Grazie a decine di volontari, la vita dei bambini nel carcere varca i confini della tristezza e dell’abbandono, aiutando a non perdere il contatto con la vita reale, quella fatta anche di sorrisi, di gioia, di apprendimento e di divertimento. Qui, grazie a un accordo tra il IV Municipio di Roma e il carcere di Rebibbia, i bambini hanno la possibilità, dietro autorizzazione delle madri, di trascorrere le mattinate in asili nido comunali convenzionati. Inoltre, l’associazione si occupa da anni di migliorare il rapporto mamma-bambino e di rendere le giornate più coinvolgenti, il più vicino possibile alla normalità, con laboratori, feste, intrattenimento, musica e passeggiate all’aperto. Anche la biblioteca per i piccoli dai 0 ai 3 anni nel carcere di Rebibbia rappresenta sicuramente un piccolo grande successo. E allora l’attività di A Roma Insieme diviene un esempio per tutti. Perché, oggi, è fondamentale agire per cambiare le cose e restituire ai bambini e alle bambine nelle carceri italiane il loro diritto a una vita dignitosa. Spoleto: proiezione speciale del film "Cesare deve Morire" dei fratelli Taviani www.spoletonline.com, 20 gennaio 2014 Presenti Cosimo Rega e Giovanni Arcuri, i detenuti di Rebibbia, protagonisti della pellicola Orso d’Oro a Berlino 2012. Ingresso libero. Lunedì 20 gennaio ore 17.30. "Ai fratelli Taviani riesce un miracolo (Alberto Crespi, L’Unità), "Tra i più coinvolgenti adattamenti di Shakespeare mai portati sullo schermo" (Kenneth Turan, Los Angeles Times), "Profondamente emozionante" (Philip French, Observer), "I Taviani filmano con la forza e la bellezza dei loro anni migliori (Paolo Mereghetti, Corriere della Sera). Così la critica mondiale ha accolto l’ultimo film di Paolo e Vittorio Taviani, "Cesare Deve Morire", pellicola pluripremiata, vincitrice dell’Orso d’Oro al Festival di Berlino 2012 e di 5 David di Donatello. In occasione del programma di celebrazioni per San Sebastiano organizzate dalla Polizia Municipale per esprimere la vicinanza della città ai detenuti e agli operatori degli istituti di pena, lunedì 20 gennaio alle ore 17.30 alla Sala Frau, ad ingresso libero, verrà proiettato il film di Paolo e Vittorio Taviani. Saranno presenti Cosimo Rega e Giovanni Arcuri, i detenuti di Rebibbia, protagonisti della pellicola. Presenta lo scrittore e giornalista Alfonso Marchese. Sinossi: Teatro del carcere di Rebibbia. La rappresentazione di Giulio Cesare di Shakespeare ha fine fra gli applausi. Le luci si abbassano sugli attori tornati carcerati. Vengono scortati e chiusi nelle loro celle. Sei mesi prima Il direttore del carcere e il regista teatrale interno spiegano ai detenuti il nuovo progetto: Giulio Cesare. Prima tappa: i provini. Seconda tappa l’incontro col testo. Il linguaggio universale di Shakespeare aiuta i detenuti-attori a immedesimarsi nei personaggi. Il percorso è lungo: ansie, speranze, gioco. Sono i sentimenti che li accompagnano nelle loro notti in cella, dopo un giorno di prove. Ma chi è Giovanni che interpreta Cesare? Chi è Salvatore - Bruto? Per quale colpa sono stati condannati? Il film non lo nasconde. Lo stupore e l’orgoglio per l’opera non sempre li liberano dall’esasperazione carceraria. Arrivano a scontrarsi l’uno con l’altro, mettendo in pericolo lo spettacolo. Arriva il desiderato e temuto giorno della prima. Il pubblico è numeroso e eterogeneo: detenuti, studenti, attori, registi. Giulio Cesare torna a vivere, ma questa volta sul palcoscenico di un carcere. È un successo. I detenuti tornano nelle celle. Anche "Cassio", uno dei protagonisti, uno dei più bravi. Sono molti anni che è entrato in carcere, ma stanotte la cella gli appare diversa, ostile. Resta immobile. Poi si volta, cerca l’occhio della macchina da presa. Ci dice: " da quando ho conosciuto l’arte questa cella è diventata una prigione". India: si apre oggi l’udienza sui marò, intanto la Bonino vola a Bruxelles di Antonio Angeli Il Tempo, 20 gennaio 2014 Giorno fondamentale per Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, i fucilieri di marina detenuti in India. Nel giro di poche ore la Corte suprema indiana terrà la prima udienza, dopo la petizione urgente presentata dall’inviato di Palazzo Chigi, Staffan de Mistura. Contemporaneamente il ministro degli Esteri Bonino porterà la vicenda dei due marò al Vertice di Bruxelles. Il "caso marò" sarà così sul tavolo dei lavori del Consiglio Affari Esteri dell’Ue, che vedrà riuniti nella giornata di oggi nella capitale del Belgio i capi delle diplomazie dei 28 paesi. Vicinato Meridionale (in particolare Siria ed Egitto), processo di pace in Medio Oriente, Afghanistan, Iran, preparazione del Vertice UE-Russia, Repubblica Centroafricana e Sud Sudan saranno gli altri principali temi su cui si articoleranno i lavori. In queste stesse ore la Corte suprema indiana esamina la petizione urgente depositata dal governo per chiedere che i due fucilieri di marina possano rientrare in Italia in attesa del processo, definendo subito il capo di imputazione e scongiurando contemporaneamente la legislazione che prevede la pena capitale. L’udienza sarà probabilmente interlocutoria, ma permetterà agli avvocati dei due soldati italiani di insistere fortemente perché si accelerino i tempi. Nei giorni scorsi il governo italiano ha chiesto espressamente che l’India "mantenga le promesse" riguardo al fatto che il caso non sia considerato tra quelli che prevedono la pena di morte. L’Italia, attraverso la petizione alla Corte Suprema indiana, è intervenuta diplomaticamente e con energia perché, a due anni ormai dalla morte dei pescatori indiani, siano immediatamente chiariti i reati contestati, escludendo il ricorso alla legge antiterrorismo (Sua Act) e che si permetta ai marò di rientrare in Italia in attesa del processo, che era già stato promesso per il luglio 2013. L’intervento italiano è comunque ampio. Le Camere hanno anche deciso di inviare una delegazione per manifestare vicinanza e sostegno ai marò. La responsabile del dicastero degli Esteri aveva chiarito nei giorni scorsi l’importanza dell’intervento diplomatico "a tutto campo" relativamente alla delicata vicenda. Il ministro Bonino non ha infatti escluso nuove misure se non ci sarà, ora, un’accelerazione nella soluzione del caso o, peggio, se fosse contemplata la pena di morte. Il vicepresidente della Commissione Ue, Antonio Tajani, del resto lo ha detto chiaramente: qualora l’India dovesse far ricorso alla legge antiterrorismo, "l’Ue sarebbe costretta a interrompere le trattative per gli accordi per libero scambio e anche a sospendere le facilitazioni tariffarie in atto". "I valori dell’Ue - ha aggiunto Tajani - non possono essere barattati con il business, per noi è fondamentale la tutela dei diritti umani e l’Ue ha anche ricevuto il Premio Nobel per la Pace proprio per questo". Non solo. A livello internazionale, il governo ha vagliato varie forme di intervento: se dovessero presentarsi scenari negativi il ministro degli Esteri ha avvertito che "tutte le opzioni" sarebbero sul tavolo per la diplomazia italiana. La Bonino ha fatto cenno anche alla possibilità di ostacolare in tutte le sedi le ambizioni di New Delhi per un seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Anche perché, come ha ricordato il ministro Mauro in svariate sedi, e anche ieri stesso in una intervista, "i due marò sono innocenti": non sono stati loro a sparare ai due pescatori indiani. "Nel frattempo - ha aggiunto il responsabile della Difesa - che l’India si decida e ci rimandino indietro i due marò". India: il ministro Mauro; sui marò pressione Italia per far rispettare regole Tm News, 20 gennaio 2014 Sul caso di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, i due marò italiani detenuti in India con l’accusa di aver ucciso due pescatori, c’è "una forte pressione" da parte del governo italiano perchè siano rispettate "norme e regole" fissate dalla stessa Corte suprema indiana. Lo ha detto il ministro della Difesa italiano, Mario Mauro, ospite di Sky Tg24. "C’è un’azione congiunta non solo in ambito europeo ma anche sullo scenario internazionale", ha detto il ministro, "e c’è una forte pressione attraverso atti formali presso la Corte suprema indiana perchè vengano rispettate le norme e le regole fissate da quella stessa corte". "Dopo un anno dalla sentenza di quella corte, non abbiamo ancora un atto d’accusa e dal nostro punto di vista è giusto che i nostri fucilieri di marina tornino a casa per aspettarne la formalizzazione", ha aggiunto, "soprattutto c’è un’azione contraria alle disposizioni della corte da parte degli inquirenti indiani perchè la corte aveva chiaramente detto che non si poteva far riferimento alle leggi speciali anti-pirateria, quelle che prevedono la pena di morte". Ora, ha concluso Mauro parlando di azioni diplomatiche, "non è escluso nulla, perchè il comportamento finora doveva essere equo e tendente al risolvere in modo rapido il caso. Non abbiamo avuto né rapidità né equità". Giappone: ex pugile condannato a morte da 45 anni, ora forse una speranza Corriere della Sera, 20 gennaio 2014 Avrebbe ucciso quattro persone. Ma le dimissioni del giudice che lo condannò potrebbero dare il via a un nuovo processo. È il "dead man walking" più longevo della storia. Da 45 anni attende di essere giustiziato. Ma oggi la sorte dell’ex pugile professionista Hakamada Iwao, il detenuto giapponese, originario del distretto di Shizuoka, condannato alla pena capitale dal 1968 per l’omicidio del suo ex capo, di sua moglie e dei suoi due figli, potrebbe non essere ancora segnata. Grazie all’intervento di Amnesty International, che da anni rivendica l’innocenza dell’ex atleta ormai 77 enne, e alle dimissioni di un giudice che al tempo seguì il suo caso, il prossimo marzo potrebbe essere celebrato da capo il processo contro il presunto killer. In Giappone i detenuti condannati a morte non sanno mai qual è la data della loro esecuzione. Dal 1968 Hakamada, che ha trascorso ben 30 anni in isolamento, aspetta che arrivi il fatidico giorno. Ma la sua condanna è stata fin dall’inizio contestata dalle associazioni contro la pena di morte e lo stesso detenuto ha sempre dichiarato di essere innocente. All’indomani dell’arresto Hakamada fu interrogato per 14 ore di fila, per tre settimane, e dopo lunghe torture - rivela Amnesty International - sembra sia stato costretto a confessare la strage. Il caso è stato riaperto dopo le recenti dimissioni di Norimichi Kumamoto, uno dei giudici del processo che ha sempre creduto alla sua innocenza a differenza di altri due colleghi che decisero di condannarlo alla pena capitale. Kumamoto, dopo le nuove prove del dna che dimostrerebbero come il sangue trovato sul corpo delle vittime non appartenga all’ex pugile, ha spiegato di essersi dimesso perché "l’ingiusta condanna di un innocente era troppo per la sua coscienza". La prossima settimana si saprà se un nuovo processo prenderà il via. Amnesty International chiede di accelerare i tempi perché nel corso degli ultimi anni l’incertezza sulla data della sentenza capitale ha pesato sullo stato di salute mentale del pugile. Anche l’attore Jeremy Irons, testimonial per Amnesty, lanciò un appello in suo favore. Intanto una petizione per chiedere la riapertura del processo è stata lanciata dall’associazione pugilistica giapponese (Japan Pro Boxing Association) e l’iniziativa ha già raccolto oltre 74.000 firme: "Se non mettiamo in discussione l’idea che le sentenze sono scolpite nella pietra - taglia corto Sakae Menda, promotore della petizione - non ci sarà mai fine alle condanne ingiuste". Chissà quanto dovrà attendere ancora Hakamada. Svizzera: l’appello del direttore Comandini… più agenti per le carceri ticinesi di Emanuele Gagliardi www.cdt.ch, 20 gennaio 2014 "Se potessi avere più agenti". A lanciare il messaggio alla politica è Fabrizio Comandini, direttore generale delle carceri ticinesi che però non si fa grandi illusioni: "Sarei ben felice di poter disporre di più personale, ma bisogna evidentemente tener conto dello stato delle finanze cantonali". Intanto i detenuti attualmente rinchiusi sono 132, la maggioranza di loro, ovvero nella misura dell’80%, sono stranieri. Una situazione che crea tensioni e non permette di abbassare la vigilanza, dato che i detenuti possono arrivare da nazioni in conflitto tra loro. Per combattere il sovraffollamento (il tutto esaurito alla Stampa si situa attorno ai 138 detenuti) c’è ora una nuova valvola di sfogo. Si tratta di 15 celle ricavate al termine della ristrutturazione dell’ex sezione femminile. Questi spazi sono stati pensati anche per arrestati provenienti dal circuito dell’asilo. Egitto: nuovo processo per Morsi, l’accusa è oltraggio alla giustizia Adnkronos, 20 gennaio 2014 Nuovo processo, il quarto, per l’ex presidente egiziano Mohammed Morsi, che, insieme ad altre 24 personalità, tra le quali esponenti politici, giornalisti, attivisti e avvocati, dovrà rispondere dell’accusa di oltraggio alla giustizia. Lo hanno riferito fonti giudiziarie riportate dalla Bbc. Il nuovo processo nei confronti dell’ex presidente deposto a luglio conferma la volontà dei militari di mantenere forte la pressione nei confronti dei Fratelli Musulmani, dei quali Morsi era espressione, e fa seguito al referendum nel quale, secondo i dati ufficiali, il 98% dei votanti ha approvato la nuova Costituzione egiziana.