Giustizia: il sovraffollamento delle carceri per colpa di leggi sbagliate di Nello Scavo Avvenire, 18 gennaio 2014 C’è un modo per alleggerire le carceri di 15 mila detenuti nel giro di pochi giorni. "Ma ci vuole coraggio e volontà politica", avverte Donato Capece, storico segretario del Sappe, il Sindacato degli agenti penitenziari. In cella ci sono oltre 4mila persone arrestate per immigrazione irregolare e più di 10mila tossicodipendenti, che dietro le sbarre ricevono "metadone e nessun percorso di disintossicazione e recupero". Se questi ultimi venissero affidati a comunità terapeutiche e "se venisse abolito il reato di immigrazione clandestina, di colpo porteremmo la popolazione carceraria al di sotto delle 48mila persone", cioè entro i limiti della capienza delle strutture penitenziarie. E si potrebbe fare ancora di più: altre centinaia di posti si potrebbero liberare cancellando "la norma che equipara il possesso di marijuana a quello di cocaina o eroina". Quella di Capece non è una proposta spot. "Non è vero, come sostiene qualche politico, che il problema non sono i numeri dei detenuti, ma l’insufficienza dei posti disponibili. La questione è prima di tutto politica e culturale". Per il sindacalista occorre decidersi: "Se vogliamo che le carceri siano un contenitore di tutto ciò che la gente non vuole vedere per strada, allora non ci saranno mai posti a sufficienza. Se invece devono essere un luogo per offrire una nuova opportunità, bisogna ricominciare daccapo". Gli specchietti per le allodole non mancano. L’ultimo è il provvedimento che consente l’apertura delle celle per non tenere i detenuti rinchiusi in pochi metri, consentendo di poter passeggiare nei corridoi per alcune ore al mattino e al pomeriggio. "Il risultato è che molti ci chiedono di tenere le celle chiuse". Perché? "Ma è chiaro, perché così si favorisce la legge del più forte - osserva Capece. Il personale può intervenire solo in caso di situazioni critiche, perciò i condannati che vantano uno spessore criminale rilevante entrano ed escono dalle altre celle prendendo sigarette, generi alimentari e altri beni di detenuti che non sono in condizione di ribellarsi". Anche i dirigenti penitenziari da mesi lamentano il ritardo della politica. "Per la verità ripetiamo oramai da anni che l’emergenza penitenziaria discende da problemi strutturali che traggono origine da una cultura errata", sostiene Rosario Tortorella, segretario nazionale del sindacato dei direttori delle strutture penali (Sidipe). Una mentalità "secondo la quale il carcere è l’unica pena utile", alimentata "dall’ipertrofia del diritto penale, dal depotenziamento delle misure alternative, dall’uso eccessivo della custodia cautelare, dall’enorme durata dei processi". Circa il 40% dei detenuti, infatti, è in attesa di una sentenza. Perciò dal Sidipe ribadiscono che "il rispetto dei diritti della persona è una condizione essenziale senza la quale non può esistere vera giustizia, ma solo una forma di arcaica vendetta". Giustizia: droga, stranieri, custodia cautelare, ecco i motivi dell’emergenza carceri di Filippo Facci Libero, 18 gennaio 2014 Il tema delle carceri sta diventando una galera, un intrico di dati e opinioni che si incrociano con altri temi come la sicurezza e la giustizia. Dopo mesi di numeri e di ipotesi, e ovviamente di polemiche, si potrebbe addirittura azzardare un vademecum riassuntivo. Eccolo. 1) Le carceri italiane fanno schifo indipendentemente dal numero dei detenuti. Fanno schifo perché nessun governo ci ha speso soldi in tempo di crisi perenne. I posti cella sono pochi in assoluto (per uno Stato di 60 milioni di individui) e indulti e amnistie resteranno inevitabili sinché non sopraggiungano soluzioni. La direttiva europea sui suini prevede che ciascun maiale disponga di almeno 6 metri quadri, ma la Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia perché un detenuto a Rebibbia viveva in 2,7 metri: per non incorrere in sanzioni abbiamo tempo sino a maggio. 2) Moltissimi detenuti sono stranieri, ma i Paesi di provenienza non li rivogliono: li liberiamo da un problema e peraltro spendiamo 300-400 euro al giorno per mantenere i delinquenti loro. Ovvio che si debba potenziare gli accordi bilaterali per mantenerli all’estero, piuttosto: ma la verità è che non li rivogliono e basta. I trasferiti, in tutto il 2012, sono stati solo 131. 3) Moltissimi detenuti, quasi la metà, sono drogati o piccoli spacciatori, questo per colpa della Fini-Giovanardi che non distingue tra droghe leggere e pesanti: è una legge che ormai convince solo Fini e Giovanardi. Non funziona. Il consumo resta identico, da noi, ma in galera per droga abbiamo il 33 per cento dei detenuti contro il 14 di Francia e Germania. I tossicodipendenti inoltre abbisognano di strutture attrezzate e separate che o non ci sono o costano un sacco di soldi. Si tratta di decidere se favorire loro o circa 35mila reclusi per reati contro il patrimonio (furti, estorsione, usura) o altri 24mila reclusi per reati contro la persona (violenza, sequestro). 4) La legge Gozzini, quella che ha liberato gli "evasi" Gagliano ed Esposito, non va toccata perché funziona, A fuggire è meno dell’1 per cento dei detenuti che ottiene un permesso premio: per uno che scappa ce ne sono migliaia che rientrano dai permessi e dalla semilibertà e dal lavoro esterno, benefici concessi solo a chi si comporta bene: il che per ora, statistiche alla mano, si è rivelato il miglior modo di ripulire le strade dalla delinquenza. 5) Accanto a questo c’è la certezza che le carceri sono una fabbrica o un corso di perfezionamento per delinquenti. Il 67 per cento di chi sconta la pena (tutta) torna in carcere perché delinque ancora, un fallimento che non tiene conto di quelli che non vengono beccati (tanti). La percentuale scende al 33 per gli indultati e solo al 13 per cento per chi fruisce di misure alternative alla detenzione, come gli arresti domiciliari o i lavori socialmente utili. I forcaioli ricordino che in Norvegia i detenuti hanno celle con palestra e internet e conforti vari: col risultato che la percentuale di recidivi nei due anni successivi alla scarcerazione, da loro, è del 20 per cento, mentre da noi sfiora il 70. Bene quindi la concessione dei domiciliari a chi ha 18 mesi di pena residua, bene che la buona condotta sconti sino a 75 giorni ogni sei mesi, bene che restino fuori dal carcere gli ultrasettantenni rei di certi reati: ma, come al solito, qui dipende molto anche dai magistrati che applicano le leggi, vecchie o nuove che siano. 6) In tema di custodia cautelare, per esempio, sono i magistrati ad applicarla in modo estensivo. Nelle nostre galere ci sono 11mila persone metà delle quali, statisticamente, sarà assolta dopo il primo grado e dopo ingiusta detenzione. Abbiamo 27mila detenuti in attesa di giudizio (anche se l’Italia ha un tasso di criminalità tra i più bassi d’Europa) e questo perché i magistrati usano il carcere per dare anticipi di pena o per costringere a confessioni. Ma anche questo già lo sapevate. Fine del vademecum. Giustizia: la riforma delle carceri richiede anche più agenti di Sandro Favi (Responsabile nazionale carceri del Pd) L’Unità, 18 gennaio 2014 Già dal 2010, quando è stata conclamata la crisi e lo stato di emergenza del sistema penitenziario italiano, il Partito democratico ha chiesto l’apertura di un dossier sulla situazione numerica e professionale della polizia penitenziaria e degli operatori penitenziari preposti al trattamento e all’aiuto delle persone detenute. Nell’ambito della legge Alfano del novembre 2010, avevamo già impegnato il governo dell’epoca a svolgere una ricognizione sulle necessità di adeguamento e di valorizzazione di queste professionalità, che corresse in parallelo allo sviluppo del Piano carceri, finalizzato all’ampliamento della loro ricettività, nonché all’auspicato incremento delle misure alternative alla detenzione. Quell’impegno, assunto solennemente davanti al Parlamento, è stato disatteso dai ministri della Giustizia che si sono succeduti fino ad oggi ed i problemi della Polizia penitenziaria e degli operatori professionali sono stati fagocitati dalle politiche più generali del pubblico impiego, dalla riduzione degli assetti organizzativi della pubblica amministrazione, da una spending-review che non sa riconoscere le professioni in cui l’apporto umano e di relazione è parte essenziale del servizio reso, rispetto a quelle in cui le innovazioni di metodo e le tecnologie possono giustificare una progressiva riduzione e razionalizzazione degli organici. Per il carcere e per l’esecuzione delle pene in misura alternativa, la desertificazione di riferimenti nelle professioni di aiuto alla persona e di sostegno a progetti di reinserimento sociale è la rappresentazione della de-personalizzazione della vita reclusa, la riduzione della crisi a contabilità di spazi ed a burocrazia formale per accedere ai benefici penitenziari, a seconda delle esigenze del sistema in emergenza ovvero della ricorrente campagna securitaria dettata dalla cronaca. Questa disattenzione non ha fatto altro che accrescere il senso di frustrazione e la demotivazione degli operatori, che hanno percepito come le incertezze e le inconcludenze della politica e dell’apparato amministrativo scaricassero sulle loro spalle la crisi del sistema, senza indicare obiettivi percorribili e senso condiviso di una istituzione che progetta nuovi metodi, buone pratiche ed un equilibrio credibile fra le condizioni di sicurezza e le finalità della rieducazione. Dopo anni di richiami al senso di responsabilità e di retorico compiacimento per aver impedito la deflagrazione dell’emergenza, sono urgenti segnali concreti di riconoscimento e di investimento sulle professioni penitenziarie. Per questo indichiamo la necessità di adeguare gli organici di educatori, assistenti sociali di almeno mille unità, di incrementare significativamente gli interventi di sostegno psicologico rispetto alla irrisoria dimensione a cui si sono ridotti negli anni. Il ministro della Giustizia colga l’occasione del riordino delle carriere delle Forze di polizia per valorizzare davvero e dare dignità ai ruoli della Polizia penitenziaria e promuova la rimozione del blocco del turn-over, almeno finché non siano completate le piante organiche degli istituti penitenziari interessati dal programma di costruzione ed ampliamento della capacità ricettiva. Dia fine alla paradossale vicenda del primo contratto di lavoro della dirigenza penitenziaria, che si protrae da quasi otto anni, affinché i direttori degli istituti penitenziari e degli uffici territoriali dell’esecuzione penale esterna assumano pienamente ruolo e responsabilità professionale rispetto agli obiettivi di umanizzazione, di rispetto della dignità della persona, di efficienza dell’istituzione, di vocazione alle finalità di rieducazione della pena e di trasparente legalità delle condizioni di detenzione. Giustizia: intervista a Danilo Leva (Pd) "bene le riforme, ma servirà anche l’amnistia" di Vincenzo R. Spagnolo Avvenire, 18 gennaio 2014 "Abbiamo il dovere politico e morale di portare a termine il lavoro iniziato in questi mesi. La scadenza del 28 maggio fissata dalla Corte di Strasburgo dev’essere vissuta come un’occasione imperdibile per ridisegnare il sistema delle pene e rendere più umani gli istituti penitenziari. È una battaglia di civiltà, non un mero adempimento burocratico". Deputato del Pd e già responsabile giustizia del partito, Danilo Leva sostiene con forza la necessità di porre fine, adoperando tutti gli strumenti necessari, alla drammatica situazione delle carceri: "Bisogna varare subito gli interventi strutturali al vaglio delle Camere, che incideranno in maniera significativa sul sovraffollamento carcerario, introducendo innovazioni legislative - afferma. Mi riferisco alla liberazione anticipata "speciale", alle misure alternative, all’istituto della messa alla prova e alla riforma della custodia cautelare. Sono provvedimenti ancora in itinere che bisogna portare a compimento nelle prossime settimane". Basteranno, secondo lei, a far scendere entro maggio i 62mila detenuti ora in carcere alla capienza regolamentare di 48mila? Incideranno, ma rischiano di non essere sufficienti. Perciò diventa ineludibile affrontare il tema di un provvedimento straordinario di clemenza. Una forza riformista come il Pd non può indietreggiare, svilendo tali ragionamenti con atteggiamenti pregiudiziali che richiamano altre culture politiche... Nel suo partito c’è chi non la pensa così. Il nuovo responsabile giustizia, la renziana Alessia Morani, esclude che indulto e amnistia siano nell’agenda del Pd... Lungi da me l’idea di suscitare polemiche, ma resto convinto che nel Pd ci siano diverse sensibilità. Un minuto dopo il messaggio di ottobre del capo dello Stato, dicemmo: prima le riforme strutturali, poi valuteremo la necessità di un provvedimento straordinario di clemenza. Io credo che siamo arrivati a questo punto e va fatta una valutazione. Personalmente, ritengo che sia necessario anche un provvedimento di clemenza. Quando si affrontano certi temi, serve più coraggio e meno cinismo... Non c’è il timore, nel suo e in altri partiti, che amnistia e indulto possano essere elettoralmente "impopolari"? Ci sarà pure questo timore, ma in politica le battaglie si fanno quando e perché sono giuste. C’è chi, come la Lega e M5S, insiste: costruiamo nuove carceri. Sul fronte dell’edilizia penitenziaria si può fare ancora qualcosa, magari ripristinando in economia alcuni istituti in disuso? Bisogna ragionare a 360 gradi, sulla base del messaggio del presidente della Repubblica, e dunque anche esplorare tale possibilità. Certo, in tempi di ristrettezze di bilancio, bisogna accertare quali siano i reali spazi d’intervento. E d’altro canto, non si crea maggiore sicurezza solo inasprendo le pene o aumentando il numero dei penitenziari: è solo propaganda. Ma la Lega protesta, chiedendo di non abolire il reato d’immigrazione clandestina... Ancora oggi ci sono posizioni politiche, e relative polemiche, che cedono a rigurgiti medievali. Noi non stiamo in quel solco. La Bossi-Fini non ha risolto i problemi che si proponeva di affrontare. E il reato d’immigrazione clandestina è una norma inutile, oltre che particolarmente odiosa. Intanto il 28 maggio s’avvicina: il rischio di un diluvio di richieste di risarcimento per condizioni detentive non dignitose, potrebbe costare allo Stato centinaia di milioni di euro... Il rischio di una esorbitante "mannaia" risarcitoria esiste, non c’è dubbio. Ma l’aspetto più importante riguarda la dignità delle persone detenute. Giustizia: intervista a Alessia Morani (Pd) "ce la faremo senza soluzioni d’emergenza" di Gianni Santamaria Avvenire, 18 gennaio 2014 I Pd di Matteo Renzi sceglie la via delle riforme, piuttosto che dei provvedimenti di clemenza per arrivare a una "soluzione definitiva ai problemi" delle carceri. Alessia Morani, nuova responsabile giustizia del partito, promette: "Ci prendiamo la responsabilità di farlo davvero". Si avvicina il 28 maggio, data dopo la quale rischiamo una valanga di ricorsi per le condizioni detentive. Come far scendere la popolazione carceraria dagli attuali 62mila ai 48mila previsti? Dall’inizio della legislatura ci siamo concentrati sull’emergenza, consapevoli della condizione inumana in cui vivono i detenuti in alcune carceri. Ci siamo trovati ad affrontare l’ennesima emergenza, perché qualcuno prima di noi non solo non ha fatto riforme importanti, ma ha prodotto leggi come la Fini-Giovanardi e la ex Cirielli che hanno riempito le carceri. È paradossale che Nitto Palma, ex ministro della Giustizia del governo Berlusconi, oggi invochi amnistia ed indulto, quando sono proprio le leggi della destra ad avere causato il sovraffollamento. Il Colle ha invitato il Parlamento a prendere in considerazione anche le ipotesi di amnistia e indulto. Sia lei che Renzi avete più volte escluso tali ipotesi. Perché? Il presidente Napolitano ha invitato a prendere in esame la questione carceraria e la sentenza Torreggiani. Le tematiche oggetto del messaggio possono suddividersi sostanzialmente in tre: riduzione del numero dei detenuti attraverso provvedimenti di carattere strutturale, aumento della capienza degli istituti di pena, ricorso a provvedimenti di clemenza. Noi riteniamo di seguire l’approccio riformatore attraverso l’introduzione della probation (la messa alla prova), la riforma della custodia cautelare, l’attenuazione degli aspetti della recidiva, l’introduzione di pene detentive non carcerarie, la depenalizzazione di alcuni reati di minore allarme sociale e la modifica della Fini-Giovanardi con l’introduzione della fattispecie autonoma del piccolo spaccio e la distinzione tra droghe. Nel Pd c’è, invece, chi propende per amnistia e indulto. Riuscirete a fare sintesi? Ci sono diverse sensibilità che vanno tenute in considerazione. Tuttavia, l’avere scelto la via delle riforme piuttosto che quella dei provvedimenti di clemenza va nella direzione di una soluzione definitiva ai problemi. L’indulto, l’abbiamo già sperimentato nel 2006, alleggerisce solo temporaneamente il sovraffollamento. Noi vogliamo risolvere il problema definitivamente e ci prendiamo la responsabilità di farlo davvero. La freddezza verso tali misure di carattere generale è dettata dalla loro possibile impopolarità? No. Ci siamo prima di tutto interrogati sul messaggio di impunità che deriverebbe da provvedimenti di clemenza in un Paese in cui la certezza della pena è già un obiettivo difficilmente raggiungibile. Ci siamo poi chiesti cosa farebbero e come potrebbero reinserirsi nella vita sociale i detenuti in un momento in cui non c’è lavoro e ci siamo domandati che fine farebbero tutti coloro che non hanno fissa dimora senza un luogo dove dormire, in mancanza di strutture in grado di ospitarli. È in discussione il ddl sulla messa alla prova e ci sono gli interventi auspicabili su pene alternative e riforma della custodia cautelare. C’è poi chi spinge per modificare Bossi-Fini e Fini-Giovanardi. Quali le priorità e la tempistica? Il ddl sulla messa alla prova, in cui sono inserite l’abrogazione del reato di clandestinità e la depenalizzazione di altri reati, sarà approvato al Senato la prossima settimana per tornare velocemente alla Camera, la riforma della custodia cautelare vorremmo inserirla nel dl carcere in cui vi sono altre misure importanti. Entro fine marzo saremo in grado di presentare una serie di provvedimenti risolutivi per il sovraffollamento. Vietti (Csm): servono interventi strutturali "Non c’è dubbio che l’Europa ci ha chiesto e, quindi, l’Italia deve fare, interventi per deflazionare le presenze in carcere. Certo bisogna stare attenti a non limitarsi ad interventi che, non essendo strutturali, dopo qualche tempo riproducano gli stessi problemi". È quanto ha risposto il vice presidente del Csm Michele Vietti, a margine di un incontro, a proposito del tema del sovraffollamento carcerario. "Per quanto riguarda la custodia cautelare - ha aggiunto - non c’è dubbio che sia diffusa l’esigenza di interventi riformatori, che evitino il dato allarmante, anche questo rilevato in sede europea, di una presenza eccessiva in carcere di persone, che non sono state condannate in via definitiva". Berretta: se problema permane intraprendere strade più coraggiose "Ci sono provvedimenti che abbiamo già adottato e che vogliamo che il Parlamento converta al più presto perché diano tutti i frutti che possono dare, ma se il problema dovesse permanere dovremo intraprendere strade diverse, anche più coraggiose". Lo ha dichiarato il sottosegretario alla Giustizia Giuseppe Berretta, che oggi ha visitato il carcere napoletano di Poggioreale, prima di recarsi all’ospedale Cardarelli per visitare Vincenzo Di Sarno, il detenuto trasferito per l’aggravarsi delle sue condizioni di salute. "Nel valutare i provvedimenti da adottare - ha aggiunto Berretta - bisogna tener conto della condizione drammatica nella quale si vive nelle carceri italiane". "I provvedimenti già adottati allevieranno il problema, ma se questo dovesse permanere - ha concluso - dovremo intraprendere strade più coraggiose, non perché ce lo chiede l’Europa ma perché ce lo chiede la dignità dei detenuti". Giustizia: Bernardini (Ri); Renzi dice no all’amnistia, ma vicini a scadenza sentenza Cedu Public Policy, 18 gennaio 2014 Matteo Renzi ci ha risposto "l’amnistia no, bisogna fare le riforme" ma mancano 130 giorni al termine fissato dalla sentenza Torreggiani della Corte europea dei diritti umani contro il sovraffollamento carcerario nel nostro Paese. Lo dice il segretario nazionale di Radicali italiani, Rita Bernardini, durante il suo intervento al Comitato nazionale convocato dopo il XII Congresso del partito che si è tenuto a Chianciano Terme a novembre 2013. Giustizia: rimpatrio detenuti stranieri, vittoria della Lega a Bruxelles Agenparl, 18 gennaio 2014 "Una grande vittoria della Lega Nord e di tutti i cittadini che hanno sottoscritto la petizione. Un successo frutto del lavoro di un anno sul territorio e in sede europea". Esulta Lorenzo Fontana, eurodeputato del Carroccio, che si è visto accogliere dal Parlamento europeo la petizione (di cui è stato promotore) che invoca una politica europea per "l’espiazione delle pene detentive, per reati commessi all’estero, dei cittadini comunitari ed extracomunitari nei loro paesi d’origine". "Adesso è importante - continua Fontana - che la Commissione proponga una politica europea che faciliti la reciprocità dei meccanismi tra Stati Ue ed extra Ue per far scontare agli stranieri la pena nel loro Paese. In Italia ci sono oltre 62 mila detenuti di cui 22 mila sono stranieri, dunque questa sarebbe un’ottima soluzione per risolvere l’emergenza del sovraffollamento carcerario senza liberare migliaia di delinquenti e salvaguardando i principi di legalità e certezza della pena". "A differenza di indulti, indultini e svuota-carceri, semplici palliativi del tutto inefficaci sul medio-lungo periodo - evidenzia il Segretario Federale della Lega Nord, Matteo Salvini - qui ci troviamo di fronte a una risposta strutturale al problema del sovraffollamento carcerario". "Una soluzione - continua Salvini - che andrebbe a beneficio di tutti: renderebbe più vivibile l’ambiente carcerario per i detenuti e per chi ci lavora, generando peraltro un significativo risparmio per le casse dello Stato, senza tuttavia nuocere alla sicurezza pubblica rimettendo in libertà pericolosi delinquenti". Il riferimento al decreto "svuota-carceri" in discussione a Roma - su cui la Lega sta facendo ostruzionismo - non è casuale: "Decreto che non è altro che un indulto mascherato e un insulto dichiarato ai cittadini onesti", chiosa Fontana, che domani guiderà la protesta leghista contro il provvedimento fuori dal penitenziario veronese di Montorio. La Lega manifesterà davanti a trenta carceri italiane. Giustizia: manifestazioni della Lega davanti a varie carceri, contro l’indulto Adnkronos, 18 gennaio 2014 Presidio della Lega Nord davanti al carcere di San Vittore, a Milano, per protestare contro la legge "svuota carceri". Sotto una pioggia insistente, una cinquantina di militanti del Carroccio chiedono, come recitano diversi cartelli "Nessun indulto ai condannati, pene certe", "Clandestino fuorilegge", "La clandestinità è un reato". Su uno striscione lungo una trentina di metri si legge ancora "Vergogna no all'indulto svuota carceri". Ad un centinaio di metri dall'ingresso del carcere di San Vittore, tenuti a distanza da un cordone di poliziotti, una decina di giovani appartenenti ai collettivi stanno contestando il presidio della Lega rivolgendo insulti anche pesanti nei confronti del segretario Matteo Salvini e spiegando che, come si legge su uno striscione, "Il carcere non è una soluzione ma è parte del problema". Salvini: Lega in piazza contro porcheria partiti "La Lega è l’unica opposizione in piazza contro questa porcheria romana approvata da quasi tutti i partiti". Lo ha detto il segretario Matteo Salvini, parlando con i giornalisti al presidio di protesta contro il ddl svuota carceri davanti al penitenziario di San Vittore a Milano. Salvini ha ribadito che "l’immigrazione clandestina è reato" e che la Lega protesta "per affermare il principio di diritto che chi sbaglia paga e che chi commette un reato deve scontare fino alla fine la sua pena". Secondo il leader del Carroccio, fra l’altro, i detenuti stranieri in Italia dovrebbero "scontare la pena nel loro Paese d’origine". Torino: domani presidio davanti a carcere Vallette Presidio domani davanti al carcere torinese delle Vallette promosso dalla Lega Nord contro il cosiddetto decreto svuota-carceri. Ad annunciare la mobilitazione, che si svolgerà in concomitanza con i presidi organizzati dalla Lega di fronte a tutte le carceri del Nord, Stefano Allasia, deputato torinese della Lega Nord, e Alessandro Benvenuto, segretario provinciale del Carroccio che sottolineano: "domani saremo davanti al carcere delle Vallette per ribadire a tutti che i delinquenti devono restare in prigione". Milano: protesta Lega in piazza contro Cancellieri Una delegazione di una decina di militanti della Lega ha raggiunto piazza della Scala per protestare contro il ministro della Giustizia Cancellieri e lo svuota-carceri. Il guardasigilli si trova, infatti, attualmente a Palazzo Marino per la presentazione del bilancio sociale realizzato dal tribunale di Milano; il Carroccio ha quindi portato la propria protesta in piazza della Scala da San Vittore, dove questa mattina aveva organizzato un presidio per la stessa ragione. “Non ce l’abbiamo con la figura del ministro - ha spiegato il capogruppo della Lega in Consiglio comunale, Alessandro Morelli - ma con la politica che porta avanti. La Lega è contraria in modo assoluto allo svuota-carceri e c’è quindi un fil rouge che ci porta da San Vittore a Qui”. In piazza della Scala tra la delegazione che ha mostrato un cartello con scritto “Cancellieri vergogna”, non c’era il segretario, Matteo Salvini, che invece era presente a San Vittore; secondo quanto spiegato dai presenti, sarebbe infatti impegnato in un appuntamento a Padova. Nessuna contraddizione, neanche con la presenza del presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni, in sala Alessi dove si sta tenendo il convegno. Secondo quanto sottolineato da Morelli, infatti, “Maroni è al governo della Regione e rappresenta le istituzioni. È ragionevole - ha concluso - che sia presente”. Maroni a Cancellieri: ddl svuota carceri è norma sbagliatissima “Ho detto al ministro Cancellieri che lo svuota carceri è una norma sbagliatissima”. Lo ha affermato Roberto Maroni, presidente della Regione Lombardia, parlando a margine di un evento oggi a Milano a cui ha partecipato anche il Guardasigilli. “Il provvedimento è ingiusto, sbagliato, è una vergogna, quindi la Lega giustamente si oppone”, ha aggiunto Maroni, nel giorno in cui il Carroccio sta manifestando contro il ddl anti-carceri in diverse città. “Il problema delle carceri si risolve costruendo nuove carceri, non con indulti e sanatorie - ha concluso - questa è la strada sbagliata, dannosa per la sicurezza dei cittadini”. Cancellieri: Lega non vuol capire o non mi spiego “Probabilmente non riusciamo a far comprendere i provvedimenti, non riusciamo a spiegarli bene o non vogliono comprenderli: delle due è l’una”: così il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri ha commentato la protesta organizzata oggi dalla Lega Nord contro lo svuota carceri. “Io - ha detto - cerco di essere chiara. Se non lo sono ve lo ripeto ancora, più di così non posso fare”. Padova: lancio di fango e uova contro presidio Lega Una ventina di esponenti del Centro popolare occupato Gramigna hanno creato momenti di tensione stamane davanti al carcere Due Palazzi di Padova. I manifestanti sono arrivati lì per protestare contro il presidio organizzato dalla Lega Nord contro il decreto carceri. Ne è nato immediatamente un acceso scontro verbale concluso con una sassaiola di fango e uova fatta dagli attivisti della sinistra antagonista e con una carica di alleggerimento della polizia. Altri momenti di tensione si temono nel pomeriggio, in occasione dell’arrivo in città del segretario del Carroccio Matteo Salvini. Zaia: no ad atti di violenza “Democrazia fa rima con libertà, con quella libertà di confronto, che talvolta può essere anche muscolare, ma non deve mai superare la dialettica e sfociare in inaccettabili atti di violenza”. Lo dice il presidente della Regione del Veneto, Luca Zaia, in riferimento ai momenti di tensione verificatisi stamane a Padova, davanti al carcere Due Palazzi, dove esponenti del Centro sociale Gramigna ha attaccato con fango e uova il presidio organizzato dalla Lega Nord contro il “decreto carceri”, costringendo le forze dell’ordine a intervenire. “Se davvero tutti rispettassero l’assunto che la propria libertà finisce dove comincia quella dell’altro - sottolinea Zaia - non assisteremmo a questi episodi riprovevoli. Non è accettabile che con l’aggressività e la prepotenza si impedisca a chiunque di esprimere le proprie opinioni”. Bitonci: attaccato presidio Lega, stop ai violenti “Durante i nostri cortei e presso i nostri gazebo non si è mai verificato un episodio di violenza. Peccato che questa mattina alcuni militanti della Lega siano stati aggrediti da personaggi legati agli ambienti dell’estrema sinistra, davanti al carcere Due Palazzi”. Lo dichiara Massimo Bitonci, senatore e candidato sindaco di Padova per il Carroccio, alla luce delle minacce ricevute da parte di esponenti dei centri sociali che hanno aggredito con lanci di uova e fumogeni i militanti della Lega Nord che manifestavano davanti al carcere Due Palazzi contro il decreto svuota Carceri. “Per questo rivendichiamo il diritto a poter manifestare in massima libertà, senza dover impegnare le forze dell’ordine, che ringraziamo - spiega - ma che dovrebbero potersi dedicare alla lotta al crimine, senza dover proteggere chi esprime le proprie opinioni. A Padova la democrazia è messa a repentaglio da pochi violenti, legati agli ambienti del Centro Pedro e Gramigna”. Vicenza: Lega, espellere i clandestini “Lo svuota carceri e l’abolizione del reato di clandestinità sono due schifezze in piena regola che avranno effetti devastanti sulla sicurezza dei nostri territori. Siamo di fronte a dei provvedimenti criminali che fanno scempio dello Stato di diritto e che rappresentano un vero e proprio affronto ai danni dei cittadini onesti”. Lo dichiara l’europarlamentare leghista Mara Bizzotto, vice segretaria veneta della Lega Nord, che questa mattina ha partecipato alla manifestazione di protesta davanti al carcere San Pio X di Vicenza. “I carcerati devono stare in galera e i clandestini vanno espulsi, come succede in ogni Paese del mondo - afferma Bizzotto. L’Italia, invece, è diventato ormai un Paese che va letteralmente al contrario, con un Governo che libera i delinquenti dalle prigioni e la totale mancanza della certezza della pena. Avanti di questo passo, con una giustizia che non funziona e i carcerati rimessi in libertà da indulti e indultini, non stupiamoci se a qualcuno viene in mente di farsi giustizia da sé”. Trento: presidio Lega Nord davanti a carcere La Lega Nord Trentino ha tenuto questa mattina un presidio davanti alla Casa circondariale di Trento, a Spini di Gardolo, per protestare contro il decreto del governo Svuota carceri e per chiedere provvedimenti per far fronte ai recenti episodi di criminalità avvenuti nel capoluogo. Una contromanifestazione è stata organizzata nei pressi del carcere da un piccolo gruppo di anarchici. "Alla nostra provincia, già in difficoltà a causa della crisi economica che ha colpito le famiglie e le imprese trentine - dice un documento distribuito della Lega - non serve altra delinquenza ma solamente delle decisioni ferme volte ad intensificare i controlli delle forze dell’ordine sul territorio e a contrastare duramente il dilagare del fenomeno della criminalità sotto ogni forma". Lo svuota carceri - prosegue la Lega - è ancor peggio dell’indulto e, come conseguenza, avrà la fuoriuscita di centinaia di delinquenti anche dal carcere di Spini di Gardolo". "Noi vogliamo più sicurezza, non più crimini, vogliamo politiche a favore dei cittadini, non dei malviventi, vogliamo serenità perché poter camminare tranquilli per le vie del proprio borgo è un diritto, non avere paura di uscire di casa a qualsiasi ora del giorno e della notte", conclude il documento leghista. Treviso: Lega "delinquenti in galera, basta clandestini" Presidio della Lega Nord, oggi, di fronte al carcere di Treviso. Gli attivisti, uniti dallo slogan "Delinquenti in galera, basta clandestini", protestano contro il decreto "svuota carceri", in corso di esame al senato, a cui la senatrice di Castelfranco Patrizia Bisinella ed i colleghi del Carroccio si sono opposti. "Siamo dalla parte dei cittadini onesti, siamo contrari a decreti come lo svuota-carceri e a indulti che rimettono in libertà i delinquenti - dichiara Bisinella. Un Paese serio non affronta così il problema del sovraffollamento carcerario, ma appronta politiche vere di edilizia carceraria, utilizzando i propri immobili dismessi, e rimanda i carcerati extracomunitari a scontare la pena nei propri paesi di origine. Un Paese serio - prosegue - dovrebbe dare garanzia di legalità e giustizia, certezza della pena, non di resa di fronte all'incapacità di risolvere il problema. Vogliamo mantenere il reato di immigrazione clandestina, perché garantisce eseguibilità alle espulsioni di chi non ha titolo di rimanere nel nostro territorio". Varese: i detenuti "giorno di colloqui, inopportuna la manifestazione della Lega" Un operatore del carcere di Varese racconta come è stata accolta dalle persone detenute la notizia della manifestazione leghista contro il provvedimento "svuota-carceri". "Sabato è giorno di colloqui con i familiari, la scelta della Lega di manifestare proprio domani potrebbe interferire con questo importante momento per i detenuti e le loro famiglie". Sergio Preite, operatore nel carcere di Varese dei Miogni, ci racconta come è stata accolta dalle persone detenute nell’istituto la notizia del presidio di sabato 18 gennaio organizzato dalla Lega Nord. La manifestazione - a cui dovrebbero partecipare anche i parlamentari e i consiglieri regionali del territorio - è in programma sabato 18 gennaio alle ore 10.30 davanti all’ingresso di via Felicita Morandi. L’obiettivo della protesta è diretto contro lo "svuota carceri". Ma la scelta del giorno e dell’ora sembra non essere stata ben accolta dai detenuti. "Lasciateci in pace" è un po’ il sentimento che circola - spiega Preite. Sabato mattina sono in programma come sempre i colloqui con le famiglie, ci saranno anche tanti bambini. Si poteva scegliere un altro luogo per il presidio, ad esempio il centro città". Al momento dal carcere di Varese per effetto dello "svuota carceri" sono tornate in libertà due persone. Giustizia: caso Di Sarno; detenuto ricoverato in ospedale, visita del sottosegretario Beretta Ansa, 18 gennaio 2014 "Mio figlio è ammalato e ora spero che riceva tutte le cure". Maria Cacace, la mamma di Vincenzo Di Sarno, il detenuto gravemente ammalato per il quale è intervenuto il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha sussurrato solo queste parole al sottosegretario alla Giustizia, Giuseppe Berretta, che oggi si è recato all’ospedale "Cardarelli" di Napoli per accertarsi delle condizioni di salute dell’uomo. Di Sarno, nella lettera che la madre aveva scritto giorni fa a Napolitano per chiedere la grazia, aveva espresso tutta la sua disperazione per le precarie condizioni di salute, fino a chiedere l’eutanasia. Ieri il detenuto, in seguito alla decisione del tribunale di sorveglianza, ha lasciato il centro clinico del penitenziario di Poggioreale ed è stato condotto nell’ospedale "Cardarelli" dove, come ha detto lo stesso sottosegretario, viene costantemente seguito dai medici e dove riceverà tutte le cure riabilitative necessaria a causa di un rapido dimagrimento. Per Di Sarno, come ha assicurato parlando da Mosca il ministro Annamaria Cancellieri si è "fatto tutto quello che si poteva. Abbiamo sempre monitorato le sue condizioni di salute e tutto quello che dovevamo fare sul piano dell’iter burocratico lo abbiamo fatto". Lo Stato "è attento e rispettoso della dignità di tutti i detenuti, anche di chi ha commesso, ed è bene ricordarlo, un reato molto grave, come nel caso di Vincenzo", ha detto invece a Napoli il sottosegretario Berretta. Di Sarno, in carcere per scontare una pensa di sedici anni per l’omicidio di un uomo a seguito di una lite, è ora ricoverato nel reparto del Cardarelli, riservato ai detenuti. E dopo questo trasferimento dal centro clinico del carcere di Poggioreale "è più sereno ma sta ancora tanto male, e continua ad avere ancora tanto freddo", ha ripetuto la mamma ai giornalisti con un filo di voce. Comunque quella della grazia per il detenuto napoletano è "un’ipotesi che verrà vagliata" perché "le condizioni di difficoltà e di salute che ha rappresentato al Presidente della Repubblica saranno un ulteriore elemento di valutazione - ha detto ancora il sottosegretario - ma la cosa che chiediamo a Vincenzo e alla sua famiglia è di reagire, sapendo che lo Stato è attento". Una vicenda che comunque ha riacceso i riflettori sul disagio che vivono, in particolar modo in alcuni istituti, i detenuti a causa del sovraffollamento. Il sottosegretario, sempre oggi, ha visitato alcuni padiglioni del carcere napoletano di Poggioreale. Per migliorare la situazione nelle carceri italiane, ha spiegato ancora Berretta "ci sono dei provvedimenti che abbiamo adottato e che vogliamo che il Parlamento converta al più presto". Misure che "possono dare tutti i frutti attesi ed alleviare il problema. Se il problema dovesse permanere, non perché è richiesto dall’Europa ma dal rispetto della dignità dei detenuti - ha concluso il sottosegretario - dovremmo intraprendere strade più coraggiose". Berretta incontra detenuto che ha chiesto la grazia "Al carcere di Poggioreale ho ricevuto rassicurazioni sull’attenta ponderazione delle condizioni di salute di Vincenzo Di Sarno da parte dello staff medico del carcere napoletano. A Vincenzo ho rassegnato una attenzione specifica e il nostro caloroso appello a reagire, per sé, per la sua famiglia, per sua madre, dandogli un messaggio positivo di speranza e di attenzione da parte dello Stato, attenzione che c’era già a Poggioreale e che c’è anche in questa struttura sanitaria così importante dedicata ai detenuti, così come mi ha confermato il primario del reparto penitenziario del Cardarelli dottor Filippo Manzi". Lo ha dichiarato il sottosegretario alla Giustizia Giuseppe Berretta, oggi dopo la visita all’ospedale Cardarelli a Vincenzo Di Sarno, il detenuto malato che ha rivolto nei giorni scorsi un appello al Presidente della Repubblica per ottenere la grazia. Rispondendo alle domande dei cronisti circa l’iter della domanda di grazia presentata dalla madre di Di Sarno, Berretta ha dichiarato: "Il provvedimento sarà vagliato e naturalmente i problemi di salute e le difficoltà che Vincenzo ha rappresentato al Presidente della Repubblica saranno un ulteriore elemento di valutazione, ma la cosa che chiediamo tutti in questo momento a Vincenzo e alla sua famiglia è di reagire, sapendo che c’è uno Stato attento e rispettoso della dignità dei detenuti, anche verso chi, come lui, ha commesso un grave reato". Il sottosegretario alla Giustizia questa mattina ha anche visitato il carcere napoletano di Poggioreale dove "ci sono tanti detenuti in condizioni difficili nonostante lo sforzo straordinario che viene posto in essere dall’amministrazione". "Per il problema del sovraffollamento ci sono provvedimenti che abbiamo già adottato e che vogliamo che il Parlamento converta al più presto - ha dichiarato Berretta - perché diano tutti i frutti che possono dare, ma se il problema dovesse permanere dovremo intraprendere strade diverse, anche più coraggiose". Per il sottosegretario "nel valutare i provvedimenti da adottare bisogna tener conto della condizione drammatica nella quale si vive nelle carceri italiane. I provvedimenti già adottati - ha argomentato il sottosegretario - allevieranno il problema, ma se questo dovesse permanere dovremmo intraprendere strade più coraggiose, non perché lo chiede l’Europa, ma perché lo chiede la dignità dei detenuti". D’Elia (Nessuno tocchi Caino): caso Di Sarno non è isolato Persone oneste saranno costrette emigrare per vivere tranquille. "Il decreto svuota carceri che il governo vuole fare passare nel silenzio più assoluto è una vera e propria vergogna. È un decreto che premia, aprendo le porte del carcere, quei detenuti che si sono macchiati di reati gravissimi. Grazie a Letta, al ministro Cancellieri, al Pd e a questo scellerato governo verranno liberati i detenuti incarcerati per prostituzione minorile, furto, truffa, violenza privata, stalking e frode. Una vera e propria indecenza. Ai cittadini onesti: tasse e paura; a chi si macchia di questi orribili reati: premi e libertà. Cose da matti". Lo denuncia Fabio Rainieri segretario nazionale della Lega Nord Emilia, annunciando la mobilitazione del Carroccio che domani scenderà in piazza con una serie di presidi in tutta la regione per dire "no" a "un decreto scellerato". "Tutto senza contare - continua Rainieri - gli oltre 16.000 detenuti già liberati dal governo Letta con quattro indulti mascherati. Intanto i detenuti stranieri aumentano, l’immigrazione clandestina è a livelli mai visti prima e il ministro Kyenge pensa di risolvere i problemi cancellando i reati. Il governo svuoterà pure le carceri, ma così facendo svuoterà anche le nostre città perché le persone oneste e le famiglie saranno costrette a emigrare all’estero per vivere tranquille. Un paradosso che non possiamo permettere". Giustizia: ora è ufficiale, Enrico Triaca fu torturato dal Professor De Tormentis di Samir Hassan Il Manifesto, 18 gennaio 2014 Scaduti i 90 giorni dall’udienza finale, la Corte d’appello di Perugia (nelle persone dei magistrati Ricciarelli, Venarucci e Falfari) ha reso note le motivazioni che lo scorso 15 ottobre portarono all’accoglimento dell’istanza di revisione del processo per calunnia nei confronti di Enrico Triaca, ex militante delle Br arrestato il 17 maggio 1978 nell’indagine sull’omicidio Moro. L’ex brigatista aveva dichiarato di essere stato sottoposto a torture dopo l’arresto, ritrattando confessioni estorte durante il "trattamento" del water-boarding, specialità del Professor De Tormentis - al secolo Nicola Ciocia, ex dirigente dell’Ucigos e capo di una squadra speciale dell’Antiterrorismo che si occupava di far cantare i militanti arrestati. Nella sentenza si specifica che le testimonianze di Salvatore Genova (ex commissario Digos) e dei giornalisti Matteo Indice (Il Secolo XIX) e Nicola Rao (attuale direttore del Tg3 Lazio), hanno assunto un’importanza decisiva, poiché "elementi volti a colmare quell’assenza di prove dirimenti di segno opposto e tali da rendere non più idonei gli argomenti di ordine logico valorizzati nel corso dell’originario giudizio". A ciò si aggiunge l’intervista (a firma di Fulvio Buffi) di Ciocia al Corriere della Sera nel febbraio 2012, quando rivendicò con soddisfazione la paternità del nomignolo "De Tormentis". Per i magistrati "la pluralità delle fonti consente di ritenere provato che un soggetto, rispondente al nome di Nicola Ciocia, […]confermò di aver, quale funzionario dell’Ucigos al tempo del terrorismo, utilizzato più volte la pratica del water-boarding"; fonti che consentono "di ritenere suffragato l’assunto fondamentale che a tale pratica fu sottoposto anche Enrico Triaca". Una motivazione che sancisce un’importante verità, sepolta negli armadi di un paese smemorato. E il fatto che sia stata resa nota in questi giorni, inoltre, rappresenta una curiosa coincidenza, con la bufera sulla Rai per "Gli anni spezzati", un maquillage di quart’ordine che - nell’impegno volto ad una revisione sul significato dei cicli di lotta iniziati negli anni 60 - non mira tanto a ribadire una verità ufficiale di Stato, quanto a umanizzare la figura di Calabresi, evitando con cura di prendere di petto le peculiarità (poco umane) del suo operato politico. Più curioso, invece, che mentre la Corte d’appello di Perugia rendeva noto il suo parere, l’allora ministro degli Interni Virginio Rognoni, che aveva disposto la creazione della squadraccia di Ciocia, prendeva parola con una lettera al direttore del Corriere sulla presunta "debolezza" della politica italiana contro il terrorismo, sulla scorta del dibattito sorto tra Paolo Mieli e Stefano Rodotà nella trasmissione Otto e Mezzo. Nel ribadire la vittoria della ragion di Stato sul rischio di una deriva sanguinaria che avrebbe minato le basi della Repubblica, Rognoni affermava che "il terrorismo era una sfida a cui si doveva rispondere, […]e la risposta politica c’è stata; la democrazia non si è imbarbarita". Tornano alla mente le parole di Rognoni a Pannella nel 1982, all’indomani dell’esplosione del caso sulle torture a Di Lenardo quando, stretto nella morsa del dovere d’ufficio, sentenziò che "questa è una guerra, e il primo dovere per difendere la legge e lo Stato è quello di coprire, di difendere i nostri uomini". Sicilia: sono in aumento i casi di devianza in età pre-adolescenziale Ansa, 18 gennaio 2014 Registriamo un aumento dei casi di devianza in età pre-adolescenziale, cioè dai 10 ai 14 anni, soprattutto tra le ragazze, con una forte correlazione tra responsabili dei reati commessi e degrado ambientale e socio culturale, ma emergono anche le denunce che riguardano giovani del ceto medio". Lo ha detto Maurizio Gentile, dell’ufficio scolastico regionale per la Sicilia nel corso dell’iniziativa "Buon compleanno Paole" organizzata dal centro studi Paolo Borsellino nell’istituto penale per minorenni Malaspina di Palermo. "Dalle nostre stime emergono anche nuove manifestazioni di violenza come bullismo - ha aggiunto Gentile - oltre a violenze commesse dentro la famiglia. A preoccupare, però, è il cosiddetto "malessere del benessere" che riguarda soprattutto l’ingresso di giovani del ceto medio nella devianza. Per questo si sta lavorando a una serie di azioni e piani di intervento di intesa con il Miur e il ministero della Giustizia per stimolare l’apprendimento e dare nuove risposte ai giovani perché nessuno sia lasciato ai margini di un percorso". Nella sala gialla dell’istituto penale si discute con docenti e operatori delle scuole di frontiera all’interno delle carceri. Tra i presenti, Rita Borsellino, Angelo Meli, direttore del centro giustizia minorile in Sicilia, Maria Tomarchio, presidente del centro studi Paolo Borsellino, Amalia Settineri, procuratore presso il tribunale per i minorenni di Palermo, Michelangelo Capitano, direttore dell’istituto penale per minorenni Malaspina e Maria Rosaria Gerbino, magistrato di sorveglianza del tribunale per i minorenni di Palermo. "La scuola spesso non è messa nelle condizioni di riservare più attenzioni e strumenti a chi ha bisogno di un’attenzione speciale", ha detto Rita Borsellino. "Molti giovani detenuti pensano che sia meglio il carcere che andare a scuola. Per entrare in questa struttura vuol dire che hanno commesso reati molto gravi o che sono recidivi - ha detto Gerbino. La scuola per i giovani detenuti non è solo luogo di apprendimento ma anche un posto dove trascorrere del tempo che qui appare interminabile. Quei valori di socializzazione che per noi sono scontati qui non lo sono. Ognuno di loro deve capire di essere l’arte di un progetto comune e migliorarsi". "La sensibilità e i risultati provenienti dalla giornata di oggi li considero non un regalo fatto a Paolo, ma un regalo fatto da Paolo, da quella sua sensibilità che lo ha reso capace di avere un approccio umano anche con chi si era macchiato di reati gravi", ha detto Rita Borsellino, presidente del centro studi intitolato al fratello magistrato ucciso nella strage di Capaci, che ha sintetizzato così il senso dell’iniziativa "buon compleanno Paolo" in programma oggi e domenica nell’istituto penale per i minorenni Malaspina, a Palermo. "Abbiamo scelto il 19 gennaio - ha aggiunto - giorno del compleanno di mio fratello come pietra miliare su cui incidere le basi per una società che intende innescare un cambiamento. Paolo domenica avrebbe compiuto 74 anni, io ero la sorella minore e mi è toccato un ruolo da maggiore". Domenica, a partire dalle 10, sono previste altre attività con i giovani detenuti durante le quali interverranno il giornalista Daniele Billitteri e i comici Ficarra e Picone. In mattinata anche lo spettacolo "Un cunto ed una vicariota" di Salvo Piparo e Costanza Licata, poi Rita Borsellino festeggerà il compleanno del fratello pranzando con i detenuti. Sicilia: Rita Borsellino ai ragazzi detenuti nell’Ipm Malaspina "non arrendetevi…" Ansa, 18 gennaio 2014 "La privazione della libertà è la cosa più difficile da dovere sopportare. La vita spesso mette davanti a situazioni dolorose, non arrendetevi, bisogna reagire, siete voi che costruite la vostra vita che offre sempre due possibilità, scegliete quella più giusta". Lo ha detto l’eurodeputata Rita Borsellino, presidente onorario del centro studi intitolato al fratello magistrato, Paolo, incontrando i giovani detenuti del Malaspina di Palermo. Un’iniziativa intitolata "Buon compleanno Paolo" e che proseguirà domenica 19, data in cui ricorre proprio il compleanno del giudice ucciso nella strage di via D’Amelio. A Rita Borsellino e alla presidente del centro studi Maria Tomarchio i ragazzi del Malaspina hanno donato un’immagine digitale prodotta dal laboratorio di arti grafiche e computerizzate frequentato dai giovani detenuti. Durante l’incontro sono stati anche proiettati due dei cinque video vincitori del concorso indetto dal centro studi Paolo Borsellino, uno intitolato Manichini e l’altro Dipende da te, scelti per il messaggio sottinteso a non lasciarsi condizionare, perché "criminali non si nasce, ma si diventa". "Per voi questo è un periodo in cui dovete imparare a usare questa privazione per vivere meglio fuori da qui - ha aggiunto Rita Borsellino - quando davvero potrete respirare quel fresco profumo di libertà di cui parlava mio fratello. Ognuno di voi può essere aiutato a reagire, ma siete voi a decidere chi essere. In questi anni ho affidato la figura di Paolo soprattutto alle persone che non lo hanno conosciuto, a chi non era ancora nato, perché portasse avanti con il proprio impegno il ricordo di una traccia importante che Paolo ha lasciato nella società civile". "A breve uscirà il bando per la seconda edizione del concorso. "Quel fresco profumo di libertà" - ha detto Maria Tomarchio, presidente del centro studi Paolo Borsellino - avrà una veste più articolata e sarà aperto da quest’anno anche agli studenti della scuola primaria. Una sezione sarà dedicata ai lavori prodotti dalle scuole presenti negli istituti penali minorili". L’iniziativa prosegue con un incontro con i responsabili, i docenti e gli operatori delle scuole carcerarie siciliane. Parma: Sappe; detenuto suicida, resta alta la tensione nelle carceri italiane Ansa, 18 gennaio 2014 Resta alta la tensione nelle carceri italiane: in poche ore si sono infatti registrati tre gravi eventi critici. Il suicidio di un detenuto a Parma, una aggressione a tre poliziotti a Prato e la protesta di un altro detenuto ad Alessandria, che è salito per protesta sul tetto del carcere. La situazione resta allarmante nelle nostre carceri. Quello di oggi a Parma è il terzo suicidio di un detenuto in un carcere italiano. Segue quelli di Roma Rebibbia e Ivrea. Alla luce degli accadimenti che stanno attraversando le dinamiche penitenziarie in questo ultimo periodo occorre rivedere il sistema dell’esecuzione penale il prima possibile, altro che vigilanza dinamica nelle galere". La notizia arriva dal Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, il primo e più rappresentativo della Categoria, per voce del leader Donato Capece. "Quella del suicidio è una notizia triste, che colpisce tutti noi che in carcere lavoriamo in prima linea, 24 ore al giorno. Ed è una sconfitta per lo Stato che a morire sia una persona in attesa di giudizio. Ma in poche ore abbiamo registrato una grave aggressione ai poliziotti della Penitenziaria a Parma, feriti da un extracomunitario che ha dato in escandescenza, e un altro detenuto straniero salito sul tetto del carcere di Alessandria per protesta, nonostante recentemente fossero stati spesi ben 16mila euro per una fantomatica "messa in sicurezza". La situazione resta grave: ma va detto che il Parlamento ignora colpevolmente il messaggio del Capo dello Stato dell’8 ottobre scorso, che chiedeva alle Camera riforme strutturali per il sistema penitenziario a fronte dell’endemica emergenza che tra l’altro determina difficili, pericolose e stressanti condizioni di lavoro per gli Agenti di Polizia Penitenziaria", tuona Capece, segretario generale Sappe. "Addirittura il Capo del Dap Tamburino, che nostro malgrado è anche Capo della Polizia Penitenziaria, ha avuto l’ardire di sostenere che l’Italia non sarà in grado di adottare entro il prossimo maggio 2014 quegli interventi chiesti dall’Unione Europea per rendere più umane le condizioni detentive in Italia". Capece torna a sottolineare le criticità delle carceri italiane: "Nei 206 penitenziari del Paese il sovraffollamento ha raggiunto livelli patologici ma il Capo Dap Tamburino alza le mani di fronte alla sentenza Torreggiani. Il nostro organico è sotto di 7mila unità. La spending review e la legge di Stabilità hanno cancellato le assunzioni, nonostante l’età media dei poliziotti si aggira sui 37 anni. Altissima, considerato il lavoro usurante che svolgiamo". Trento: ecco la "rete" di aiuti per chi esce dal carcere di Paolo Piffer Il Trentino, 18 gennaio 2014 Mentre a Roma il senatore Divina "occupa" l’ufficio del presidente Grasso contro il decreto svuota-carceri, Trento si prepara ad accogliere chi lascerà Spini con una fitta rete di associazioni. A ieri i detenuti nel carcere di Spini di Gardolo, tra uomini e donne, erano 282 a fronte di una capienza massima prevista di 240. Oltre il 70% dei reclusi è straniero. Nei giorni scorsi, a seguito del decreto svuota carceri entrato in vigore alla vigilia di Natale, ne sono usciti 10, tutti uomini, mentre una trentina è in attesa che le porte si aprano. C’è da chiedersi come, a seconda delle situazioni, queste persone possano eventualmente cercare di reinserirsi nella società e ritornare alla vita di ogni giorno senza correre il rischio di "ricadere". Un percorso che dovrebbe iniziare, per dettato costituzionale teso al recupero, già dietro le sbarre e che nella Casa circondariale di Trento è affidato in gran parte a diverse cooperative che impiegano i detenuti che vogliono lavorare. Una panoramica non certo esaustiva ma comunque indicativa condotta dal "Trentino" ha individuato i "punti d’appoggio" che per mission possono cercare di incanalare l’ex carcerato nei binari di una vita normale, per quanto in un momento di forti ristrettezze economiche. L’Apas (Associazione provinciale aiuto sociale) è uno di questi. "Già un nostro operatore - afferma il direttore Fabio Tognotti - entra in carcere ogni settimana anche per progettare un percorso riabilitativo. In seguito, all’uscita dalla struttura, l’ex detenuto può rivolgersi a noi, e in questi giorni qualcuno è già arrivato anche se gli effetti dello svuota carceri si vedranno tra un po’ di tempo. Per ogni persona cerchiamo di elaborare un percorso a seconda della situazione. Non è certo facile anche perché parecchi sono stranieri con le pratiche per i permessi piuttosto complesse oppure inesistenti vista, a volte, la condizione di clandestinità". Anche l’Ufficio esecuzione penale esterna (Uepe) del Ministero della giustizia, diretto da Salvatore Piromalli, può offrire collaborazione se l’ex detenuto si presenta. Se richiesto, l’Uepe segnala ai servizi sociali la persona per un possibile inserimento lavorativo in percorsi protetti o indica corsi di formazione professionale ma fornisce anche informazioni di carattere generale sulle strutture di accoglienza. "Per particolari situazioni di indigenza di chi sta per uscire - sottolinea Piromalli - la segnalazione ci arriva direttamente dal carcere. Comunque, per ora, in seguito al decreto svuota carceri, nessuno si è presentato da noi". Al Punto d’approdo di Rovereto è in corso un progetto per il reinserimento di donne ex detenute segnalate dai servizi sociali comunali. Ci viene riferito che finora una donna straniera è riuscita a trovare lavoro a seguito di percorso personalizzato. Il consigliere provinciale del Pd Mattia Civico intanto sottolinea che ripresenterà il disegno di legge, stoppato nella scorsa legislatura, sull’istituzione del garante dei detenuti. "Figura fondamentale, che in Trentino manca - dice - E che tra l’altro ha il compito di favorire buone pratiche per il reintegro lavorativo e sociale. A breve ne parlerò con tutti i capigruppo del consiglio". Cagliari: Sdr; braccialetto elettronico per due madri detenute a Buoncammino Ristretti Orizzonti, 18 gennaio 2014 "È stata avviata la procedura per applicare il braccialetto elettronico alle due mamme detenute a Buoncammino con le loro bimbe. Ciò permetterà alle neonate, ormai in cella da quasi un mese, di lasciare la cella e alle madri di scontare la pena detentiva in modo meno afflittivo". Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione "Socialismo Diritti Riforme", avendo appreso che "dopo il pronunciamento del pm Gilberto Ganassi sono in corso gli accertamenti per verificare se il luogo di dimora delle due giovani donne è compatibile con il sistema di controllo a distanza". "L’impiego del braccialetto elettronico o per meglio dire della cavigliera - sottolinea Caligaris - rappresenta una novità nell’ambito dell’esecuzione penale. Aldilà delle polemiche relative ai costi per lo scarso utilizzo, in casi come questo può essere un’utile soluzione. Le due bimbe, di 50 e 52 giorni di vita, giunte a Buoncammino la sera di Natale, potranno lasciare finalmente la struttura inospitale per le condizioni strutturali. Le due giovani mamme di 24 e 31 anni, difese dall’avv. Rossana Palmas, che sono state condannate a due anni e due mesi per tentato furto, avranno modo di vivere nell’ambiente loro più familiare senza però lasciare la dimora e quindi senza ripetere il reato". "Si potrà quindi porre fine - auspica la presidente di SdR - a una presenza vissuta con particolare apprensione dai Medici e dalle Agenti della Polizia Penitenziaria della Casa Circondariale che, non solo devono costantemente monitorare mamme e bambine, ma fare fronte anche al disagio che creature così piccole, facilmente soggette al pianto, determinano nella sezione. In queste circostanze, inoltre, è anche indispensabile il supporto psicologico per le neo mamme, che potrebbero facilmente cadere vittime della depressione post partum". "Il sistema elettronico di controllo ha dimostrato finora una concreta funzionalità. Occorre però verificare se il Campo Nomadi di Roma, dove una delle due donne, S., ha la residenza, è idoneo relativamente alla copertura di ricezione dei segnali e se l’apparecchiatura può essere istallata con facilità. Più semplice le verifiche a Macomer (Nuoro) dove invece risiede stabilmente l’altra donna, D., madre peraltro di altri quattro bambini. La speranza è che i tempi di verifica siano brevi, soprattutto per non costringere le piccole S. e V. a permanere dietro alle sbarre. Resta però ancora irrisolto il problema di dotare l’isola di una struttura alternativa al carcere ma idonea - conclude Caligaris - ad accogliere bambini che vengono condannati insieme alle loro madri". Roma: Bonafoni (Pl); da sopralluogo a Rebibbia situazione grave sovraffollamento www.romadailynews.it, 18 gennaio 2014 "Basterebbero anche solo queste poche cifre a rendere evidente la grave situazione di sovraffollamento del carcere romano di Rebibbia Nuovo complesso: 1762 detenuti a fronte di una capienza tollerabile di 1250 e 650 agenti in organico a fronti di una esigenza di 900 uomini". Così Marta Bonafoni, consigliera del gruppo Per il Lazio, in visita oggi nell’Istituto carcerario di Roma, dove il 5 gennaio scorso si è suicidato il detenuto di 52 anni, primo nel Lazio e secondo in Italia dall’inizio del 2014. "La situazione di sovraffollamento - prosegue la consigliera - è evidente anche solo camminando nei vari reparti del carcere. Particolarmente acuta quella che ho trovato nelle ex sale ping pong, trasformate in dormitori dove 13 detenuti sono costretti ad una convivenza ai limiti della dignità umana. Anche i servizi igienici risentono degli effetti del sovra utilizzo, dalle latrine alle docce i detenuti ci hanno raccontato che gli piove in testa e i muri sono letteralmente mangiati dall’umidità. Molto delicata anche la situazione sanitaria. Pure in presenza di un reparto ambulatoriale di eccellenza e di un personale medico e infermieristico di alta professionalità, infatti, a detta degli stessi addetti ai lavori - continua Bonafoni - i servizi sono inadeguati a garantire un’adeguata assistenza ai detenuti. Mancano, poi, psichiatri e psicologi: figure fondamentali all’interno degli istituti di pena. "Senza diritti non riusciamo a garantire sicurezza", ha detto uno di loro. Di sicuro - afferma - a non essere garantito è il diritto alla salute per quelli che sono prima che reclusi sono cittadini del nostro Paese. ‘Nel Lazio il calo del sovraffollamento conseguente al Decreto Cancellieri, come ha denunciato il Garante dei detenuti Marroni, procede più lentamente che nelle altre regioni d’Italia. Anche alla luce della situazione che ho trovato stamattina nel settore maschile di Rebibbia, occorre accelerare ogni procedimento capace di svuotare le carceri, a cominciare dai detenuti in attesa di giudizio, dagli stranieri reclusi per effetti della legge Bossi Fini e dai tossicodipendenti vittime della Fini Giovanardi. Credo che la strada da percorrere sia quella di separare le risorse da destinare all’assistenza sanitaria carceraria da quelle per la sanità regionale, fortemente vincolate dal Piano di rientro. In ogni caso - conclude - appena si sarà insediato il nuovo direttore della Asl Roma D, sarà importante che tra le altre numerose incombenze che lo aspettano metta sul tavolo da subito la qualità delle prestazioni offerte all’interno del carcere di Rebibbia". Viterbo: al via il progetto Rehab, per rimuovere le barriere sanitarie in carcere www.occhioviterbese.it, 18 gennaio 2014 Avrà la durata di due anni e sarà sperimentato in soli due carceri europei, tra questi il Mammagialla. Il 21 e il 22 gennaio i promotori dell’iniziativa si incontreranno presso l’ateneo della Tuscia per stilare le linee guida. Parte da Viterbo l’importante progetto multilaterale UE Rehab, Rimuovere le barriere sanitarie in carcere, realizzato nell’ambito del programma europeo sull’Apprendimento permanente degli adulti e le cui linee guida saranno discusse martedì 21 e mercoledì 22 gennaio al rettorato dell’Università della Tuscia. La due giorni di lavoro è di estrema rilevanza perché, oltre al dare il via ufficiale a Rehab, riunirà tutti i promotori dell’iniziativa: l’Università della Tuscia, la Birmingham City University e le società di medicina penitenziaria di Italia, Spagna e Francia, (Simspe, Sesp e Apsep). Il meeting inizierà martedì mattina con una visita alla casa circondariale di Viterbo. Rehab si pone l’obiettivo di diminuire le diseguaglianze sanitarie all’interno degli istituti penitenziari, di mantenere alta e stimolata la motivazione del personale carcerario e di migliorare le condizioni di salute, accrescendo le opportunità di apprendimento e le attività ricreative e riducendo i tassi di recidiva tra detenuti. Tutto questo passa tramite la realizzazione di processi formativi mirati al fine di promuovere una migliore comunicazione tra il personale penitenziario e i detenuti. Il progetto avrà la durata di due anni e sarà sperimentato parallelamente in soli due carceri europei: il Mammagialla di Viterbo e l’Istituto penitenziario IV di Madrid. Attraverso appositi corsi di formazione multidisciplinari, si cercherà di ridurre i rischi per la salute pubblica dovuti alla custodia correzionale. Seguendo le raccomandazioni dell’Unione europea, verranno anche realizzati moduli di apprendimento rivolti sia ai detenuti che al personale carcerario e saranno coinvolti 100 profili per istituto penitenziario, selezionati tra la popolazione carceraria e lo staff (sanitario, sociale, riabilitativo e di polizia). Inoltre, le università avranno il compito della valutazione complessiva del processo formativo, mentre le società di medicina penitenziaria quello della progettazione metodologica e dell’esecuzione sul campo dei principi stabiliti. "In Europa - spiega Roberto Monarca, presidente della scuola di formazione della Società italiana di medicina e sanità penitenziaria (Simspe) - sono oltre 2 milioni le persone in stato di detenzione. Il Regno Unito è in cima alla lista dei tassi di reclusione con più di 150 detenuti ogni 100mila abitanti, seguita dalla Spagna (152), dall’Italia (112) e dalla Francia (111). E, mentre la popolazione carceraria cresce, le condizioni all’interno delle strutture rimangono critiche e debilitanti, sia per i detenuti sia per il personale penitenziario. I detenuti sono sempre più caratterizzati da una preoccupante percentuale di disturbi fisici e psicologici, da una graduale esclusione sociale e da una consistente incidenza di malattie epidemiche. Esistono alti livelli di abuso di sostanze stupefacenti e casi sempre più frequenti di stress-lavoro tra il personale carcerario. La mancanza di una continuità terapeutica tra dentro e fuori le strutture di reclusione, inoltre, richiede un intervento urgente. Per questa ragione il progetto Rehab può rivelarsi di vitale importanza anche alla luce dei risultati che saranno raggiunti e delle indicazioni che potrà fornire a livello europeo". Genova: Sindaco in visita al carcere e incontro con il direttore Salvatore Mazzeo www.comune.genova.it, 18 gennaio 2014 Seconda visita di Doria alla casa circondariale genovese. Esaminati i rapporti di collaborazione in corso per il lavoro dei detenuti e per diversi progetti di inclusione sociale. Un particolare saluto agli agenti di polizia penitenziaria. Incontrati insegnanti e detenuti che frequentano i corsi scolastici. "Ho voluto tornare a fare visita nel carcere di Marassi innanzi tutto per testimoniare l’attenzione del Comune alla realtà del penitenziario, alla condizione dei detenuti, all’impegno degli operatori dell’amministrazione e della polizia penitenziaria, all’attività dei volontari". Così ha dichiarato il sindaco Marco Doria incontrando questa mattina il direttore del carcere, Salvatore Mazzeo. Il sindaco, che lo scorso anno aveva già visitato i "bracci" dell’istituto, ha espresso apprezzamento per le iniziative attivate dalla direzione del carcere genovese per il recupero e il reinserimento sociale dei detenuti. Insieme al direttore ha quindi esaminato l’andamento delle collaborazioni in corso tra il Comune e il carcere per il lavoro dei detenuti in attività di pulizia di parchi e cimiteri e per diversi progetti di inclusione sociale. Sono state esaminate ipotesi di ulteriore sviluppo della collaborazione. Il sindaco ha rivolto un particolare saluto agli agenti di polizia penitenziaria, ringraziandoli per il loro delicato lavoro. Successivamente, ha percorso alcune delle realtà del carcere, incontrando detenuti e operatori. Si è soffermato a dialogare con gli insegnanti e con i detenuti che frequentano i corsi scolastici, si è recato negli ambulatori medici, nella panetteria e nel laboratorio di falegnameria, dove gli è stato donato un bassorilievo opera degli stessi detenuti, e infine nel grande teatro in via di completamento. Il sindaco ha sottolineato il valore di quest’opera, dotata di un palco e di strutture professionali, che oltre ad offrire un prezioso contributo alla socializzazione interna del carcere - come ha spiegato il direttore Mazzeo - sarà anche a disposizione della città per spettacoli e convegni. Per il completamento del "Teatro dell’arca" l’associazione culturale "Teatro Necessario" ha lanciato anche una raccolta fondi cui Marco Doria ha aderito. Piacenza: Sappe; diversi atti di autolesionismo, per ricattare l’amministrazione Adnkronos, 18 gennaio 2014 "I detenuti del carcere di Piacenza continuano ad autolesionarsi per ricattare l’amministrazione, affinché conceda quanto da loro richiesto. Nella giornata di ieri due detenuti sono stati portati d’urgenza in ospedale: uno si era tagliato una vena e l’altro i muscoli di una parte del corpo. Subito dopo un altro detenuto è stato portato in ospedale perché aveva ingerito candeggina, altri due sono stati curati sul posto". È quanto scrivono in una nota Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe e Francesco Campobasso, segretario regionale. "La situazione è sempre più grave, al punto da risultare ormai ingestibile. Tutto questo avviene per futili e banali motivi, come la richiesta di terapia medica che non può essere data, la restituzione del fornello del gas, sottratto per tutelare l’incolumità di un altro compagno di cella che aveva da poco ingerito gas. Tutti questi eventi -conclude la nota- destabilizzano la gestione del carcere e mettono a dura prova il personale di polizia penitenziaria, ormai stremato per la carenza di organico e l’apertura di nuovi spazi detentivi". Brescia: sventata evasione da Canton Mombello, ritrovati una corda e un cellulare Corriere della Sera, 18 gennaio 2014 Nascosti in due celle una corda fatta con le lenzuola e un telefono cellulare. Nei guai un gruppo di detenuti di origine albanese subito trasferiti in altre carceri. Il materiale trovato dagli agenti di polizia penitenziaria durante una perquisizione al termine di alcuni accertamenti. Mancava la lima, poi il copione della perfetta evasione sarebbe stato rispettato alla lettera. Invece, nella versione 2.0 della fuga senza sbavature, la lima era stata sostituita da una scheda sim funzionante ed un telefonino collegato ad un pacco batterie un po’ artigianale: fatto con le pile che normalmente si utilizzano per alimentare le torce elettriche. Aggiungici una corda realizzata facendo a brandelli alcune lenzuola che, essendo lunga 4 metri, all’occorrenza avrebbe potuto essere preziosa nel "salto" oltre il muro del carcere di Canton Mombello e il ritrovamento lascia spazio a pochi dubbi: probabilmente quel materiale serviva per una evasione. A pensarlo sono gli uomini della polizia penitenziaria del penitenziario cittadino(che, dopo i trasferimenti di fine anno, ospita poco più di trecento detenuti, un numero di reclusi mai così basso e molto vicino alla soglia di tolleranza). Gli agenti nei giorni scorsi hanno dato corpo ad alcuni sospetti, che li avevano messi sulle piste di un gruppo di detenuti di nazionalità albanese ospitati in due celle. Quando i dubbi che il gruppo avesse qualcosa da nascondere si sono fatti più concreti è scattata la perquisizione straordinaria nelle due celle. Le sorprese sono arrivate da un più attento esame dei mobiletti utilizzati per conservare effetti personali e alimenti. Scavati all’interno delle pareti in legno degli armadietti, erano stati ricavati alcuni vani dove era stata nascosta una corda lunga quattro metri realizzata con l’utilizzo di alcune lenzuola. Subito è scattata per i detenuti coinvolti - in tutto sei, sette persone destinate ad essere trasferite ad altri penitenziari - una denuncia alla magistratura per tentata evasione. Le indagini comunque proseguono per cercare di capire, ad esempio, come il telefono cellulare abbia potuto eludere i controlli che vengono effettuati sia sui generi di conforto che vengono recapitati dalle famiglie ai detenuti, sia sulle persone che, a qualunque titolo, varcano le porte del penitenziario per accedere alle sezioni di detenzione (l’uso dei cellulari dentro il carcere non è consentito, ad esempio, nemmeno agli avvocati). Non è la prima volta che proprio durante i controlli gli uomini della polizia penitenziaria intercettano oltre a piccoli quantitativi di droga, anche cellulari occultati all’interno di vestiario e alimenti (è dei giorni scorsi la notizia che nelle carceri del Regno Unito nel 2012 i cellulari trovati dagli agenti sono stati addirittura 7 mila). Non è nemmeno la prima volta che, dopo l’evasione riuscita del febbraio di due anni fa (il detenuto di origine kosovara che era riuscito a saltare il muro di cinta è ancora uccel di bosco), gli agenti bloccano sul nascere un tentativo di fuga: nell’aprile scorso un recluso moldavo era stato bloccato dopo aver saltato il primo muro di cinta della sezione detentiva e poco tempo fa durante una perquisizione erano stati sequestrati degli utensili che avrebbero potuto essere preziosi per favorire un’evasione. Gli esiti della perquisizione sono stati accolti con una certa soddisfazione dalla dirigenza del carcere e agli agenti protagonisti dell’operazione sono arrivati i complimenti del Sindacato nazionale di polizia penitenziaria. Siracusa: Osapp; agente in ospedale per conseguenze aggressione subita due mesi fa Agi, 18 gennaio 2014 Un assistente della Polizia penitenziaria in servizio nel carcere di Siracusa è finito in ospedale ieri per le conseguenze di un aggressione subita due mesi fa, quando un detenuto lo aveva colpito alla nuca. Il sottufficiale ha accusato un malore e gli è stato riscontrato un ematoma nella regione cervicale. Lo riferisce in un comunicato Domenico Nicotra, segretario generale aggiunto dell’Osapp, sindacato degli agenti di custodia, secondo cui "l’assistente al momento non ricorda niente di quanto avvenuto ieri né tanto meno dell’aggressione di due mesi fa ma, dalle dichiarazioni fatte da altri reclusi della stessa sezione ove è ristretto il detenuto che godeva di libertà di movimento perché sottoposto a ergoterapia, risulta fondata la perpetrata aggressione. Allo stato - prosegue Nicotra - il detenuto risulta ancora ristretto nell’istituto siracusano e, mentre l’organico del corpo risulta essere sempre più sottodimensionato con evidenti ripercussioni sulla qualità della sicurezza penitenziaria". Piazza Armerina (En): detenuto aggredisce agente con un pugno in un occhio www.campanianotizie.com, 18 gennaio 2014 Un detenuto campano del carcere di Piazza Armerina, in provincia di Enna, ha colpito con un pugno in un occhio un assistente capo della Polizia Penitenziaria. È accaduto ieri e a renderlo noto é il segretario regionale dell’Organizzazione sindacale autonomo polizia penitenziaria (Osapp) Rosario Di Prima. L’aggressione sarebbe avvenuta dopo che il detenuto ha saputo dall’agente di essere stato, per un provvedimento disciplinare, escluso per cinque giorni da una attività in comune con altri detenuti. Sono intervenuti altri agenti e il commissario comandante del reparto, che hanno bloccato l’aggressore. L’assistente di Polizia Penitenziaria è stato accompagnato dapprima nel Pronto Soccorso dell’Ospedale di Piazza Armerina e successivamente nell’ospedale di Enna per effettuare controlli all’occhio. Il detenuto è stato immediatamente trasferito in un altro penitenziario. "Nel carcere di Piazza Armerina - afferma Di Prima - opera quasi la metà del personale presente nella casa circondariale di Gela, che ha identica capienza e struttura. Nel carcere in atto si opera con un numero limitato di personale di Polizia Penitenziaria, in assenza di del direttore stabile e di un comandante di Reparto". Il sindacalista esprime inoltre "solidarietà al collega e a tutto il personale di Polizia Penitenziaria" e nel contempo critica "la disattenzione da parte del l’amministrazione penitenziaria a tutti i suoi livelli su strutture penitenziarie, come Piazza Armerina, in serie difficoltà organizzative e gestionali". "Sarà cura della segreteria regionale dell’Osapp - conclude il sindacalista - sollecitare immediati interventi di potenziamento del personale di polizia penitenziaria, dell’assegnazione di un direttore e del comandante di reparto in pianta stabile". Firenze: Cnpp, nuova aggressione ad agente in Opg Montelupo, precedente una settimana fa Ansa, 18 gennaio 2014 Nuova aggressione ieri pomeriggio all’interno dell’ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino: un assistente di polizia penitenziaria è stato "aggredito da un internato che, mentre si recava al cortile di passeggio, senza apparente motivo, lo ha colpito e costretto a ricorrere alle cure mediche". È quanto rende noto Stefania Cozzolino, segretario regionale del Coordinamento nazionale polizia penitenziaria (Cnpp), preannunciando iniziative di protesta nel caso non venga dato seguito alla richiesta di un incontro urgente con gli organi competenti per discutere la modifica dell’organizzazione del lavoro attualmente vigente a Montelupo. In una nota Cozzolino spiega che "solo una settimana fa, l’8 gennaio, si era verificato un altro episodio di aggressione, sempre in danno di personale penitenziario che era stato preso a calci e pugni da un piccolo gruppo di internati". Per Cozzolino "la rabbia tra il personale, che non capisce e si stupisce del fatto che ad oggi non risulta nessun provvedimento da parte dell’autorità dirigente, è tanta. Il rispetto delle regole è diventato utopia, tanto che i detenuti/internati, ormai consapevoli dell’impunità loro concessa, si permettono di offendere, minacciare, oltraggiare e malmenare" la polizia penitenziaria. Il personale in forza all’Opg, "è stanco di colmare le lacune degli altri Enti, soprattutto in ambito sanitario, è stanco di subire l’indifferenza dell’ Amministrazione, ed è stanco di lavorare senza obiettivi precisi, senza certezze ma con l’unica preoccupazione di tornare a casa sano e salvo alla fine del turno". Roma: a Rebibbia i detenuti di Jailhouserock "evadiamo grazie alle nostre storie in radio…" di Irene Buscemi Il Fatto Quotidiano, 18 gennaio 2014 "Invece di occuparci di carcere, abbiamo deciso di parlare da dentro il carcere, di dare voce a chi di solito non ce l’ha". Così Susanna Marietti dell’associazione Antigone presenta la trasmissione radiofonica Jailhouserock, ideata e curata insieme a Patrizio Gonnella, che prende il nome da una nota canzone di Elvis Presley. Musica e racconti di rockstar finite dietro le sbarre di Rebibbia (Roma) e Bollate (Milano) che vanno in onda su Radio Popolare, Radio Articolo 1 e Radio Città Futura. "Usiamo questo pretesto per parlare dei problemi dei detenuti afferma l’autrice e conduttrice del programma - per puntare i riflettori su una realtà che spesso è dimenticata da tutti e relegata nelle periferie della città". All’interno della trasmissione è previsto uno spazio informativo: il Grc il giornale radio del carcere di Rebibbia e Bollate. A dirigere la redazione dell’istituto penitenziario romano è il manager di lungo corso Giorgio Poidomani: "Lo faccio per puro spirito di volontariato. Facciamo due riunioni di redazione - spiega a ilfattoquotidiano.it -, il lunedì scegliamo i temi, abbiamo diverse rubriche come quella sulle "leggi riempi carceri", e il mercoledì registriamo i pezzi assegnati. Queste persone - continua - sono davvero informate e interessate al progetto". Immigrati: dall’Oim proposte per migliorare la gestione nei Cie Adnkronos, 18 gennaio 2014 La missione italiana dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni ha sviluppato una serie di proposte per superare i principali problemi che caratterizzano il tema dell’immigrazione irregolare in Italia. Alla base del documento vi è quanto rilevato dai funzionari dell’organizzazione nel corso delle visite condotte nel 2013, nell’ambito del progetto Praesidium, in tutti i Cie d’Italia e dal confronto con le altre legislazioni europee e internazionali. "Queste proposte - afferma Josè Angel Oropeza, direttore dell’Ufficio di Coordinamento Oim per il Mediterraneo - puntano a svuotare i centri di trattenimento e far sì che diventino una extrema ratio: strutture destinate esclusivamente a quei migranti irregolari che, pur avendo a disposizione alternative dignitose e valide, continuino a rifiutarsi di collaborare per la loro identificazione e di lasciare il territorio italiano". Secondo l’organizzazione internazionale è anzitutto necessario procedere "all’abrogazione del reato di ingresso e soggiorno illegale, fattispecie criminosa che non ha avuto alcun effetto deterrente né alcun impatto sull’aumento delle espulsioni effettuate, causando al contrario un appesantimento del lavoro delle questure e dell’apparato giudiziario". Bisogna inoltre evitare - continua l’Oim - il trattenimento nei Cie di quei migranti che sono stati detenuti e che possono essere identificati in carcere. Occorre invece prevedere un sistema di identificazione che, in cooperazione con i Consolati dei paesi di origine dei migranti, possa essere attivato già durante il periodo di detenzione in carcere". L’Oim propone inoltre "la riduzione del trattenimento nei Cie al periodo strettamente necessario all’identificazione e il rilascio del migrante nel caso in cui sia chiaro che l’identificazione non può avere luogo per motivi a lui non imputabili (con contestuale emissione di un permesso di soggiorno temporaneo)". È inoltre fondamentale "l’effettiva applicazione della direttiva europea sui rimpatri, con la promozione della partenza volontaria e la cancellazione automatica del divieto di reingresso nel caso di collaborazione all’identificazione dell’immigrato che si trovi nel Cie". Secondo l’Oim è inoltre necessario promuovere programmi di ritorno volontario assistito e reintegrazione per i migranti irregolari che non abbiano commesso reati. "A coloro che sono particolarmente vulnerabili (casi psichiatrici, malati o migranti che vivono in Italia da molto tempo), in base alla direttiva europea sui rimpatri, deve essere previsto il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi caritatevoli", continua l’Oim, che aggiunge: "è fondamentale che ogni decisione riguardante l’espulsione di uno straniero tenga debitamente conto dei principi riguardanti il non-refoulement, il superiore interesse del minore e il diritto all’unità familiare". È poi importante "l’elaborazione di un codice che regoli la vita degli immigrati all’interno dei Cie, tale da rendere uniforme il trattamento dei migranti all’interno di tutte le strutture presenti sul territorio nazionale, regolando alcuni aspetti fondamentali della vita in queste strutture (visite dei familiari, comunicazioni con l’esterno, attività specifiche)". Secondo l’Oim deve inoltre esserci "la possibilità di prevedere una diversificazione dei soggetti/enti gestori che forniscono i servizi (in particolare l’assistenza legale e sanitaria) all’interno dei centri, e la promozione di criteri di trasparenza e accessibilità ai centri, attraverso l’accesso di organizzazioni di tutela che possano fornire assistenza legale e psicosociale (con particolare riguardo alle vittime di tratta e ai minori non accompagnati)". Droghe: io, malato psichico, in carcere perché coltivavo la marijuana per curarmi di Giacomo Russo Spena L’Espresso, 18 gennaio 2014 Il caso di Michele Russotto, ragazzo romano trovato in possesso di due piante di marijuana. "Sono malato, ma gli psicofarmaci mi stavano trasformando in uno zombi". E adesso rischia fino a 20 anni di carcere Non ne parla volentieri. Le due notti in cella, il processo che dovrà ora affrontare e i sigilli alla sua casa pesano come macigni. "Questa storia è tra l’altro paradossale: ho sempre odiato chi si faceva le canne, ho iniziato da pochissimo e solo per sedare le mie paranoie". Michele Russotto, venticinquenne romano, è disoccupato. Bassino, magro ma muscoloso. Si arrangia tra un lavoretto e l’altro: imbianchino, idraulico, traslocatore. Sui polsi i segni della sua enorme sofferenza, "ho tentato più volte il suicidio". Quando ci racconta i fatti ancora trema, è visibilmente scosso. Lo scorso 5 gennaio alle 9 del mattino due poliziotti piombano nella sua abitazione dopo una segnalazione di un possibile furto nell’appartamento. Ad allertare il 113 sarebbero stati alcuni vicini. Nessun ladro, ovviamente. In compenso gli agenti trovano in un armadio un piccolo impianto artigianale per coltivare marijuana. Nello specifico due piante. "È la mia medicina, fumo per rilassarmi. Sono un malato psichico" l’immediata replica del giovane. La cartella clinica in suo possesso conferma. Russotto dal 2008 al 2012 è stato seguito presso il dipartimento di Igiene Mentale dell’Asl Roma A ed ha intrapreso una "terapia farmacologica prescrittagli per il suo disturbo di personalità con concomitanti oscillazioni del tono dell’umore e intensi stati ansiosi". Tutto inutile. Viene portato in Questura centrale, a via Genova, e posto in stato di fermo per 48 ore nella cella di sicurezza. "La prima notte ho avuto un forte attacco di panico, mi sentivo di morire" racconta Russotto il quale, in quel lasso di tempo, non ha potuto né parlare col suo psicologo né assumere alcun tipo di farmaco. Il giudice, per sua fortuna, convalida l’arresto ma non dispone le misure cautelari. Il ragazzo torna a piede libero. Processo fissato per il prossimo 17 aprile, è accusato di coltivazione e detenzione a fini di spaccio. Rischia dai 6 ai 20 anni di carcere seppure nella sua abitazione non siano stati trovati né tanita né dosi impacchettate né soldi. "È da un anno che fumo cannabis - dice Russotto. Non ne potevo più di drogarmi di psicofarmaci, un incubo: ero uno zombie vivente, sedato dalla mattina alla sera tra Valium, Seroquel, Tranquirit, Entact e altro ancora". Così la scelta di lasciare pian piano le medicine ed intraprendere una "nuova cura". Per l’accusa sarebbero 230 le dosi di Thc in possesso di Russotto. L’avvocato difensore, Marco Lucentini, ha subito richiesto una perizia tossicologica e insiste sull’uso terapeutico, come il giovane - il quale abusava di psicofarmaci - trovasse giovamento nella marijuana. Per il legale "siamo di fronte ad un’emergenza" essendo molti i casi di semplici consumatori in stato di arresto per piccole coltivazioni di marijuana a casa: "Malgrado il rito abbreviato a Velletri c’è un ragazzo in carcere da 4 mesi per 104 dosi, è una vergogna". In ballo la Fini-Giovanardi sulle droghe. Legge che vorrebbe abrogare il senatore Pd Luigi Manconi, il quale ha presentato un ddl per la depenalizzazione della marijuana . "Ritengo sia insensato e gravemente irrazionale - afferma - che nei confronti di un uso personale e di una coltivazione a scopo privato vi sia un enorme investimento dell’apparato repressivo con spreco di risorse economiche, istituzionali e giudiziarie. Il tutto rimanda ad un’altra questione: uno Stato che vuole penalizzare il comportamento privato del 20-25 per cento della sua popolazione fa una scelta irresponsabile". Infine, una stoccata sull’inefficacia in termini pratici del proibizionismo: "Non chiedo la legalizzazione di queste sostanze perché innocue, la chiedo proprio perché il loro abuso può essere nocivo tanto più quando sono fuori legge". Dati alla mano, un terzo dei detenuti è in carcere per la violazione della Fini-Giovanardi, una legge che non distingue tra droghe leggere o pesanti o tra consumatori e dipendenti. Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, è stato tra i promotori insieme ad altre realtà di una petizione popolare per l’abrogazione di tale norma, considerata "criminogena e dagli eccessi punitivi fondati su una base morale, non scientifica né giuridica". Per lui qualcosa sta cambiando. Negli Usa, Paese della War on drugs, in alcuni stati (come il Colorado) si apre alla legalizzazione della marijuana . "La guerra alle droghe ha perso e qui in Italia a sentire Pd, M5S e Sel ci sarebbero i numeri per una svolta e un superamento della Fini-Giovanardi". Intanto il prossimo 11 febbraio la Corte Costituzionale si pronuncerà sulla legittimità o meno della legge. A sollevare la questione è stata la terza sezione penale della Cassazione, sentenza dell’11 giugno scorso. I punti controversi sono la "parifica ai fini sanzionatori" tra droghe pesanti e leggere e il percorso che ha portato all’approvazione della Fini-Giovanardi e in particolare la possibile violazione dell’articolo 77: le norme in questione, infatti, sono state inserite nella legge di conversione con un maxiemendamento al dl 272/2005, inerente "misure urgenti dirette a garantire la sicurezza e il finanziamento per le Olimpiadi invernali di Torino, la funzionalità dell’amministrazione dell’interno e il recupero di tossicodipendenti recidivi". India: lettera di Tommaso Bruno; 160 in una cella, latrine senz’acqua e cibo schifoso di Francesca Pizzolante Il Tempo, 18 gennaio 2014 Nell’inferno delle carceri indiane sopravvivono in condizioni allucinanti e disumane una ventina di italiani finiti dentro dopo indagini alquanto discutibili. Tutti si proclamano innocenti. La storia che vi raccontiamo rasenta la follia. Tommaso Bruno è un uomo che da 1.460 giorni ha deciso di non tagliare più la barba "perché tutte le mattine, quando mi guardo allo specchio, mi rendo "fisicamente" conto del tempo che passa lento e inesorabile". Scrive così dal carcere indiano dov’è rinchiuso da quasi quattro anni e dove ha spento, lo scorso 11 gennaio, le sue 31 candeline. Le sue lettere dal carcere indiano fanno rabbrividire, anche perché un simile trattamento potrebbe essere riservato anche ai due marò. "Mi trovo nella baracca n.8. É una struttura lunga una 60 metri, larga 6 e alta circa 3, al cui interno siamo in 160. L’acqua viene erogata in modo tale che ti puoi lavare 2 volte al giorno e poi riempirti le bottiglie d’acqua poiché quella del pozzo è imbevibile. Nelle latrine non c’è acqua corrente quindi quando devi usarle, devi recuperare un contenitore di plastica, riempirlo d’acqua e poi addentrarti in quel fetore e pulirti con le mani, perché per gli indiani la "carta igienica" è anti-igienica ed inoltre potrebbe intasare i tubi di scarico. Per lavarti - continua Tommaso - invece ti armi di un secchio di plastica e combatti per poterlo piazzare sotto un rubinetto e quindi lavarti con l’aiuto di una tazza. Il cibo arriva in due grossi pentoloni e ti devi mettere in fila con il tuo vassoio di alluminio per recuperare la tua razione completata da un pugno di riso". Tomaso Bruno è stato condannato all’ergastolo insieme all’amica Elisabetta con l’accusa di aver ucciso Francesco Montis, il loro compagno di viaggio. Vittime, anche loro, di palesi e pacchiani errori commessi dalla giustizia indiana che però non li ha sottratti alla pena del carcere a vita. Si aggrappano all’ultima speranza della Corte Suprema che da oltre un anno deve ancora prendere in esame il loro caso. Nel frattempo continuano a vivere come bestie. "In totale siamo circa tremila persone divise in 16 baracconi (barak) ognuno dei quali ospita circa da 100 a 150 detenuti. All’interno della baracca siamo disposti in due file e ciascuno ha a disposizione un metro per due per il suo giaciglio fatto di tre o quattro coperte sovrapposte più un telo come lenzuolo. Nel muro vari ganci di legno per appendere le tue cose. Lungo entrambi i muri ci sono finestre di circa un metro per due e al soffitto ventole ogni circa tre metri. Le ventole sono la cosa più importante visto il caldo massacrante da aprile a metà ottobre (picchi di 50° e tasso di umidità al 70%), purtroppo l’elettricità va e viene e nell’arco di una giornata è erogata ala massimo per 14 / 16 ore, nelle restanti 10 ti fai aria con dei particolari ventagli chiamati "panci" ricavati da foglie di palma". Elisabetta e Tomaso finiscono in carcere nel febbraio 2010. A nulla sono valse le contestazioni degli amici, persino della madre di Francesco, la vittima, che ha ammesso che il figlio aveva problemi di salute. Un lungo calvario fatto di dolore, disperazione, angoscia e cifre stratosferiche: 400 mila euro di spese legali, oltre 150 udienze e innumerevoli rinvii. La forza di una famiglia alle spalle e quella di mamma Marina Maurizio che non lo ha mai abbandonato. Ma oggi lei, affida a il Tempo il suo sconforto e la sua amarezza per uno Stato, quello Italiano, che forse avrebbe potuto fare di più. "Mi sono sentita abbandonata. Si doveva intervenire nelle prime ore dall’accaduto, la nostra diplomazia, avrebbe dovuto sin dall’inizio far sentire la propria presenza. E invece quello che ricordo è stato un fax da parte dell’Ambasciata in cui mi si chiedeva di nominare un legale. Pensi che ad avvisare la famiglia di Francesco Montis furono proprio Tomaso ed Elisabetta. I poliziotti con l’inganno chiesero ai ragazzi i passaporti, con la scusa di prendere dei dati, invece furono sequestrati". Una trappola, come per i marò convinti ad entrare in porto per riconoscere i presunti pirati. E lo Stato Italiano? La Farnesina? "Non so dove fossero. Ho affrontato il primo grado, la Trial Court, senza che mi venisse fornito aiuto e assistenza. Dal secondo grado, per fortuna, poi abbiamo ottenuto che il processo si svolgesse in inglese. Tutto questo mi è costato 400 mila euro di parcelle legali, senza contare i voli aerei e i soggiorni in India, dove andiamo ogni tre mesi e ci tratteniamo per una media di 3 settimane. Da quattro anni faccio questa vita. Ora vorrei essere aiutata, anche economicamente". Dopo i due gradi di giudizio, avete fatto istanza alla Corte Suprema che ancora deve prendere in esame il vostro caso. "Il 3 febbraio 2013 è stato accolto il ricorso, fissando per il 3 settembre udienza dello stesso anno; il pm, quel giorno, non si presentò. Da quel momento in avanti, il nostro caso portato con regolarità tutti i martedì ma ci sono puntuali rinvii". India: caso marò; petizione italiana "in patria ad aspettare il processo" di Paolo G. Brera La Repubblica, 18 gennaio 2014 Ci riproviamo. Sono trascorsi due anni dalla sciagurata decisione - presa dall’armatore Fratelli D’Amato, imposta al comandante Umberto Vitelli e avallata dalla Difesa (ministro Giampaolo Di Paola) - di entrare nelle acque territoriali indiane, cascando nel tranello teso da un ufficetto locale della guardia costiera. Dopo una straordinaria e infinita serie di brutte figure diplomatiche, l’Italia riparte con la richiesta di sempre: "L’india ci restituisca i nostri due marò". Stavolta però è un passo formale, la domanda è una petizione resa nota ieri al vertice della "squadra marò" a palazzo Chigi: depositata cinque giorni fa in Corte suprema a Delhi, sarà discussa lunedì. Essendo l’architrave dell’ennesima offensiva italiana nella missione più pasticciata di sempre, questa sarà "la volta buona", suggeriscono alcuni degli uomini che dovranno renderla efficace. Certamente non è passata in sordina l’ultima imprevista serie di schiaffi ricevuti dall’India in barba alle presunte promesse che i fucilieri italiani non saranno mai condannati a morte, cioè il paravento dietro cui l’ex premier Mario Monti giustificò la decisione di smentire il suo ministro Giulio Terzi quando rispedì i marò in India al termine del mese concesso per "licenza elettorale". "Esiste un limite alla logica e alla pazienza, non è ammissibile né dignitoso che questa vicenda si trascini così: se gli indiani hanno dubbi sulla risolutezza del nostro governo, credo siano destinati a passare", dice Andrea Margelletti, presidente del Cesi e consulente strategico dell’esecutivo. Stavolta, a quanto filtra, la "squadra marò" ha un piano complessivo e progressivo per chiudere la vicenda. Roma "ribadisce la propria ferma aspettativa che il governo indiano tenga fede alle assicurazioni fornite", avverte la nota conclusiva in calce al consiglio dei ministri, riferendosi alla promessa, più volte ribadita, che non sarà la legge anti terrorismo - il Sua Act, che prevede la pena di morte - quella in base alla quale saranno giudicati. La petizione "urgente", intanto, sollecita la formulazione da parte indiana del capo d’imputazione, e chiede che i marò possano attendere in Italia l’inizio del processo. Una nuova licenza, probabilmente, giustificata dal rispetto della parola data nelle due precedenti occasioni: la prima, la licenza per le ferie di Natale 2012; e la seconda, quella elettorale con il gran rifiuto promesso dai ministri Terzi e Di Paola ma poi smentito dal premier Monti. Ma è quello che sta sull’altro piatto della bilancia la novità su cui punta il governo. Il vertice di ieri arriva non solo al rientro dell’inviato speciale italiano a Delhi, Staffan de Mistura; ma anche al rientro del ministro della difesa Mario Mauro da Washington, che avrebbe offerto ampie garanzie di appoggiare con decisione la richiesta italiana di chiudere presto e bene la vicenda. "Tutte le opzioni sono sul tavolo", ha detto il ministro degli Esteri Emma Bonino, lasciando chiaramente intendere che l’Italia ha tessuto una rete di appoggi minacciando di ostacolare le richieste di Delhi all’Onu e la progressione degli accordi commerciali con la Ue. Si alza la posta, insomma, e stavolta lo si fa tentando di correggere una delle lacune più incredibili di questa vicenda diplomatica: l’isolamento. "Registro con soddisfazione - dice il premier, Enrico Letta - le espressioni di solidarietà provenienti dall’Unione Europea e l’intenzione delle nostre Camere di inviare una delegazione parlamentare per manifestare vicinanza e sostegno ai marò". Dovrebbe essere una missione congiunta, Esteri e Difesa. Intanto, "il governo proseguirà la propria azione anche a livello internazionale", ribadisce Letta. Governo: ci aspettiamo che l’India tenga fede alle assicurazioni fornite Il presidente del Consiglio, Enrico Letta, ha presieduto oggi, a una settimana dalla precedente, una nuova riunione della task force interministeriale sulla questione dei due marò, Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, detenuti in India. Erano presenti i ministri degli Esteri Emma Bonino, della Difesa Mario Mauro, il sottosegretario Filippo Patroni Griffi e l’inviato speciale Staffan de Mistura. Lo rende noto Palazzo Chigi. Al rientro dall’India, l’inviato speciale ha riferito degli ultimi sviluppi, alla luce della decisione del governo italiano di presentare alla Corte suprema, il 13 gennaio scorso, una petizione urgente, nella quale si sollecita "la formulazione da parte indiana del capo d’imputazione, si esprime ferma opposizione all’eventuale ricorso alla legge sulla sicurezza marittima (Sua Act) e si chiede che i marò possano rientrare in Italia in attesa del processo". Il governo italiano ribadisce "la propria ferma aspettativa che il governo indiano tenga fede alle assicurazioni fornite, coerenti con le indicazioni della Corte suprema, riguardo al fatto che il caso in questione non rientra tra quelli oggetto della normativa antipirateria". "Registro con soddisfazione - ha dichiarato il premier - le espressioni di solidarietà provenienti dall’Unione europea e l’intenzione delle nostre Camere di inviare una delegazione parlamentare per manifestare vicinanza e sostegno ai marò. Il governo proseguirà la propria azione anche a livello internazionale". Guinea Equatoriale: Orellana (M5S); Farnesina vigili su detenuto italiano Roberto Berardi Tm News, 18 gennaio 2014 "La Farnesina che si sta adoperando in favore del nostro connazionale Roberto Berardi condannato a 2 anni e 4 mesi in Guinea Equatoriale, sia vigile e attenta e per attivare tutte le procedure utili per agevolare il rapido trasferimento nelle carceri italiane del nostro connazionale e comunque per far sì che gli venga assicurata l’assistenza per un giusto processo". È l’appello del senatore del Movimento 5 Stelle, Luis Orellana, componente della commissione Esteri, che sta seguendo, come informa una nota diffusa dal suo ufficio stampa, "con apprensione" la vicenda del nostro connazionale, imprenditore di Latina, imprigionato nel paese africano. "Senza entrare nel merito della vicenda giudiziaria per la quale il connazionale Roberto Berardi sta scontando una condanna a 2 anni e 4 mesi - ribadisce il senatore Orellana - chiedo al governo della Guinea Equatoriale di garantire condizioni di vita dignitose al Berardi. Mi è stato segnalato che le sue condizioni di salute sono precarie e probabilmente necessiterebbe di un urgente ricovero ospedaliero ed è urgente dunque un intervento della Farnesina che si sta adoperando in favore del nostro connazionale ma - conclude - mi auguro che non cali mai l’attenzione sulla sua vicenda". Israele: le carceri e la banalità del male di Gideon D. Sylvester* (traduzione a cura di Giorgia Grifoni) Nena News, 18 gennaio 2014 La vita in una yeshiva (scuola talmudica, ndr) della Cisgiordania è stata la cosa più vicina al paradiso che potessi immaginare. Certo che la nostra yeshiva sarebbe sempre rimasta parte di Israele, ero ignaro del conflitto e dei milioni di palestinesi che vivono intorno a noi. Semplicemente, amavo studiare in un bel campus con splendidi giardini. Nulla avrebbe potuto essere più sereno. La settimana scorsa ho avuto un assaggio di un altro lato della vita in Cisgiordania. Dovendo accompagnare un gruppo di avvocati del gruppo britannico-sionista Yachad, ho visitato il tribunale militare appena fuori dalla prigione di Ofer, a pochi minuti d’auto dal centro di Gerusalemme. La parola "tribunale" evoca immagini di grandi edifici abbelliti da avvocati ben vestiti che fanno discorsi eloquenti e persuasivi davanti a giudici illustri. Ma questo tribunale era molto diverso: era uno sporco rimorchio prefabbricato, circondato da un labirinto di alte mura e presieduto da soldati in uniforme. Sul banco degli imputati sedevano file di palestinesi adolescenti, alcuni dei quali ammanettati, tutti in catene. Per la maggior parte, i loro erano piccoli crimini. I processi erano condotti in ebraico, una lingua che non riuscivano a capire, ma con l’assistenza e la traduzione del cancelliere del tribunale, uno per uno hanno confessato di essere entrati illegalmente in Israele in cerca di lavoro. Nessuno era sospettato di terrorismo. Il soldato responsabile di giudicare i casi era chiaramente annoiato mentre annunciava le loro pene detentive. Tra un processo e l’altro, gli avvocati si affrettavano a scambiare qualche parola con i loro clienti. In alcuni casi, questo era il loro primo incontro. Il resto dei prigionieri approfittava della pausa per gesticolare in direzione dei genitori ansiosi autorizzati a sedersi solo in fondo alla stanza. Ogni pochi minuti, un altro giro di ragazzi ammanettati veniva condotto a giudizio. Uno era stato accusato del lancio di pietre. Ma il suo processo si era interrotto bruscamente dopo che il suo avvocato difensore si era lamentato di non aver mai visto le prove incriminanti: erano misteriosamente scomparse. Il giovane è stato quindi condotto in carcere fino al recupero delle prove. Il caso successivo riguardava un ragazzo di 16 anni. Era già stato accusato di lancio di pietre: ora ai suoi capi d’imputazione erano stati aggiunti una sparatoria e la fabbricazione di bombe. Alla domanda se avesse qualcosa da dire, aveva scosso la testa ed era stato portato in cella fino a quando il suo fascicolo non fosse stato aggiornato. Non ho mai capito se il termine "lancio di pietre" fosse un eufemismo per quello che spesso è il lancio di pietre letali. D’altra parte, non so neanche se la "sparatoria e la fabbricazione di bombe" è veramente quello che ha fatto, o se si tratta di accuse gonfiate, un modo comune per forzare un patteggiamento e un compromesso per la sentenza. Dal momento che sono stati mandati tutti in cella, è difficile capire chi è innocente e chi è colpevole in questa fila apparentemente infinita di giovani palestinesi, sotto accusa per la lotta contro l’occupazione o semplicemente per aver cercato di sfamare la propria famiglia. Per gli avvocati inglesi c’era molto da masticare; intricate discussioni sulla Convenzione di Ginevra, sui diritti del bambino e sulla legittimità dei soldati di giudicare i prigionieri. In quanto israeliano, anch’io sono preoccupato per la sicurezza della mia famiglia, e questa è la mia priorità. Per questo, sono grato all’esercito che ci protegge. Ma guardando questi processi, il conflitto in Medio Oriente mi sembra impregnato della banalità del male. Dove mi ero aspettato di vedere i terroristi, ho visto ragazzi giovani, alla moda e arroganti come lo ero io. Al posto di atteggiamenti di sfida e di rivoluzione, ho visto file di genitori preoccupati che sperano di intravedere i loro figli. E al posto di giudici israeliani tirannici, ho visto burocrati militari annoiati. Alla yeshiva ci avevano assicurato che stavamo preparando il terreno per l’imminente arrivo del messia. Ma al tribunale militare non ho assistito a una grande battaglia dell’Armageddon (l’Apocalisse, ndr), e neanche il lupo e l’agnello sdraiati insieme. Nessuno si stava preparando per il grande giorno. Mentre i politici tergiversano sui negoziati di pace, i nostri tribunali sono pieni di pedine che giocano il loro ruolo in un conflitto molto più grande; frustrati, i giovani palestinesi sgattaiolano fuori dai loro villaggi per cercare di farsi una vita o per sfogare il loro astio verso il Paese che controlla le loro vite. E i soldati sono incaricati del compito impossibile di controllarli e sottometterli. C’è molta poco gloria in tutto questo. Il Messia sembra lontano dalla nostra vista e, nel frattempo, ruffiani, ladri, fanatici e burocrati portano avanti lo spettacolo, perpetuando le proprie testarde agende nazionaliste - ignari del diritto che hanno l’un l’altro - e parlano di guerra, piuttosto che cercare i compromessi di cui tutti noi abbiamo bisogno per vivere fianco a fianco. Qualcuno da qualche parte ha bisogno di portare giustizia e benevolenza in questa terra, estinguendo l’odio e preparando leoni e agnelli a vivere insieme. *Gideon D. Sylvester è rabbino capo della British United Synagoguès in Israele Vietnam: campagna per abolire la tortura, usata spesso su detenuti per motivi politici Agenzia Fides, 18 gennaio 2014 La tortura dei prigionieri, in particolare dei detenuti per motivi religiosi e politici, è ancora ampiamente diffusa in Vietnam. Nel 2013, la tortura subìta da persone detenute per le loro convinzioni morali, politiche o di coscienza ne ha provocato, in diversi casi, la morte. Lo denuncia "Christian Solidarity Worldwide" (Csw) l’Ong cristiana, con sede a Londra, lanciando oggi una nuova campagna per abolire la tortura in Vietnam. Secondo una nota pervenuta a Fides, la campagna di richiede "un trattamento umano dei detenuti e dei prigionieri in Vietnam e l’eliminazione della pratica della tortura e di altri abusi nelle carceri, dei distretti di polizia, nei centri di rieducazione e in altri luoghi di detenzione". Una campagna per abolire la tortura in Vietnam richiede tappe specifiche che mostrino i progressi dal governo per eliminarla. Tali passi, sostiene Csw, sono: l’immediata ratifica della Convenzione contro la tortura; la ratifica della convezione internazionale contro il lavoro forzato; l’adozione di provvedimenti legislativi ad hoc per abolire tale pratica. Nella nota inviata a Fides, Mervyn Thomas, Direttore di Csw, spiega: "Nel 2013 il Vietnam è stato eletto nel Consiglio Onu dei diritti umani e ha firmato la Convenzione contro la tortura e altri trattamenti crudeli, inumani o degradanti. Se ne attende la ratifica. Quest’anno il governo ha l’opportunità di dimostrare un vero e proprio impegno per la promozione e la tutela dei diritti sanciti dalla Convenzione internazionale sui diritti civili e politici". Siria: ministro esteri; pronti a scambio di prigionieri con ribelli Tm News, 18 gennaio 2014 La Siria è disponibile a procedere a uno scambio di prigionieri con i ribelli. Lo ha detto il ministro degli Esteri siriano, Walid al Muallem, che a Mosca ha incontrato il capo della diplomazia russa, Sergei Lavrov. "Ho informato il ministro Lavrov che siamo pronti a scambiare detenuti contro prigionieri catturati in campo avversario", ha dichiarato in conferenza stampa con a fianco il capo della diplomazia russa. Al-Moallem ha parlato di un possibile cessate il fuoco ad Aleppo e dello scambio di detenuti con i giornalisti, senza fornire dettagli sul piano. "Come risultato della nostra fiducia nella posizione russa e nel suo ruolo nel fermare il massacro siriano, oggi ho sottoposto al ministro Lavrov un piano per accordi di sicurezza che hanno a che fare con la città di Aleppo", ha dichiarato al-Moallem. "Gli ho chiesto di intraprendere le misure necessarie per garantire al sua applicazione e specificare l’ora zero per la fine delle operazioni militari", ha proseguito. Se gli sforzi di Lavrov avranno successo, ha aggiunto, il piano per il cessate il fuoco potrà essere usato come modello per altre parti della Siria. Uganda: il presidente Yoweri Museveni boccia la legge anti-omosessuali di Gina Musso Il Manifesto, 18 gennaio 2014 Il presidente Yoweri Museveni alla fine ha scelto di non firmare la dura legge anti omossessuali varata il 19 dicembre scorso dal parlamento ugandese, che prevedeva pene fino all’ergastolo per i trasgressori e carcere anche per omessa denuncia, nonché impunità garantita a chi avesse ucciso un omosessuale. Ma attenzione, la motivazione non riguarda la natura particolarmente liberticida e omofoba del provvedimento, quanto il fatto che in aula, al momento di votare quello che la speaker del parlamento Rebecca Kadaga aveva definito "un regalo di natale per gli ugandesi", accelerandone improvvisamente l’iter, semplicemente mancava il quorum. D’altro canto Museveni resta convinto che l’omosessualità sia "una malattia" e che come tale vada curata. Una "anormalità", un "errore della natura" come spiega nella lettera inviata al parlamento per spiegare la decisione. In teoria la legge potrebbe essere ripresentata e approvarla con due terzi dei voti, ma i numeri sono dalla parte di Museveni. Che così facendo è riuscito a dribblare il pressing indignato della comunità internazionale, la minaccia di sospendere aiuti e finanziamenti nonché l’irritazione del principale partner e alleato dell’Uganda nel mondo, gli Stati uniti (Obama aveva definito "odiosa" la legge in questione). Allo stesso tempo il presidente ugandese ha mantenuto il punto sul fronte interno, chiarendo che "non è possibile parlare di "orientamento sessuale alternativo" come si fa nei paesi occidentali, dove una cattiva educazione ha finito per generare molte persone anormali". Molti gay e lesbiche, sostiene inoltre Museveni, nonostante una legge così severa avrebbero continuato a "praticare l’omosessualità in segreto per ragioni esclusivamente mercenarie". E se lo fanno per soldi, sembra voler dire il presidente, la cura esiste, ed è di natura squisitamente economica: solo lo sviluppo e il benessere riusciranno a tenere lontani i giovani dal proselitismo della lobby omosessuale. Nella lettera Museveni non manca di sgridare i parlamentari che hanno tentato il colpo di mano: "Come avete potuto votare una legge senza disporre del quorum? Come è possibile che sia proprio il parlamento a infrangere la Costituzione e la legge ripetutamente?", ha scritto. La legge "incriminata" porta la firma di David Bahati, quarantenne deputato del National resistance Movement (Nrm), il partito di governo. Proposta nel 2009, era finita su un binario morto anche in seguito alle proteste internazionali. Ma le ragioni per cui Museveni sente di aver subito un oltraggio dal parlamento sono legate al fatto che d’accordo con il primo ministro Amama Mbabazi aveva messo al lavoro una commissione di esperti per tentare una riconversione della legge che puntasse più al "recupero" che alla criminalizzazione. Il testo originario invece puniva ogni genere di relazione e comportamento omosex, colpiva le organizzazioni che si battono per i diritti dei gay, dava la possibilità di incriminare gli ugandesi all’estero e gli stranieri in Uganda. E inaspriva le pene fino a contemplare l’ergastolo per i recidivi. Nella prima bozza era prevista anche la pena di morte nel caso in cui un gay sieropositivo avesse avuto rapporti con un minore. Ma l’Uganda già non era un paese per gay (al momento l’omosessualità è un reato che si può punire con pene fino a 14 anni). E certo non lo diventerà ora. Né lo sarà in tempi rapidi la Nigeria, il cui presidente Goodluck Johnatan ha invece firmato, anche qui tra le proteste internazionali, una legge che segna una stretta omofoba in un paese che però ha abbastanza petrolio da potersene infischiare delle pressioni esterne.