Giustizia: in Senato via a esame ddl su pene non carcerarie e di riforma sistema sanzionatorio 9Colonne, 15 gennaio 2014 Il Senato ha avviato stamattina l’esame del ddl in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio, con particolare riferimento alle disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili. L’articolo 1 delega il Governo a riscrivere il quadro delle pene principali (ergastolo, reclusione, reclusione e arresto domiciliare, multa e ammenda). Tra i principi direttivi, si prevede che il ricorso all’esecuzione presso il domicilio dell’arresto e della reclusione non sia superiore nel massimo a tre anni e si conferisce al giudice la facoltà di applicare la reclusione domiciliare per i delitti per i quali è prevista la pena detentiva fra i tre e i cinque anni. La commissione Giustizia ha poi regolato il lavoro di pubblica utilità che può essere applicato dal giudice, sentiti l’imputato ed il pubblico ministero. Esso consiste nella prestazione di attività non retribuita in favore della collettività ed è eseguito secondo tempi e modi tali da non pregiudicare le esigenze lavorative, familiari, di salute e di studio del condannato. Tra i criteri della delega, è prevista inoltre l’esclusione della punibilità delle condotte sanzionate con la sola pena pecuniaria o con pene detentive non superiori nel massimo a cinque anni, purché risulti la particolare tenuità dell’offesa e la non abitualità del comportamento e senza pregiudicare l’azione civile per il risarcimento del danno. L’articolo 2 prevede una delega per una riforma generale della disciplina sanzionatoria che tenda a trasformare in illeciti amministrativi tutti i reati per i quali è prevista la sola pena della multa o dell’ammenda, con un elenco di eccezioni per materie la cui preminenza sconsiglia la depenalizzazione. Il capo II, comprendente gli articoli da 3 a 8, reca disposizioni relative alla sospensione del procedimento con messa alla prova. L’istituto si sostanzia nella facoltà da parte dell’imputato di richiedere la sospensione del processo penale a suo carico alla condizione di porre in essere condotte volte all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, nonché, ove possibile, di garantire il risarcimento del danno cagionato. La sospensione del procedimento con messa alla prova può essere concessa per un massimo di due volte, ma per una soltanto in caso di recidiva specifica. Il capo III, comprendente gli articoli da 9 a 15, prevede norme sulla sospensione del procedimento nei confronti degli irreperibili. Attraverso puntuali modifiche al codice di procedura penale, si introduce una nuova disciplina per lo svolgimento del rito in caso di assenza e di irreperibilità dell’imputato, in modo tale da contemperare le esigenze di speditezza del processo con quelle di garanzia nell’esercizio del diritto di difesa. L’articolo 16 reca la clausola di invarianza finanziaria. Casson (Pd): situazione carceri vergognosa, è ora di intervenire L’aula del Senato ha iniziato l’esame del ddl sulla messa in prova dei detenuti e le pene alternative al carcere già approvato dalla Camera. "È una prima importante pietra - ha sottolineato nel suo intervento il relatore Pd Felice Casson, vicepresidente della commissione Giustizia-che viene inserita nel sistema per cercare di superare i problemi e le tensioni determinati, da una parte, da un sistema processuale che funziona male e, dall’altra, da una vergognosa situazione carceraria. Ed è un bene che il Parlamento intervenga a monte introducendo una depenalizzazione dei reati e un migliore utilizzo delle pene detentive non carcerarie e della messa alla prova". "La struttura del disegno di legge - ha evidenziato Casson- interviene sulle pene detentive non carcerarie, su una riforma del sistema delle pene e sulla trasformazione in illeciti amministrativi delle contravvenzioni punite con la pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda". "Ma è soprattutto ora - ha concluso- di cominciare concretamente ad intervenire sulla ancora vergognosa situazione carceraria. Più che pensare alla situazione a monte è ora di pensare cosa c’è a valle: cioè più che pensare alla fase finale di chi è stato già condannato è opportuno cominciare, sistematicamente, a limitare gli accessi al carcere soltanto ai casi di pericolosità sociale e a quelli che impongono tale misura. Per gli altri casi esistono sistemi alternativi, alcuni già inseriti nel nostro ordinamento processuale e altri che proveremo ad inserire". Bitonci (Lega); contro ddl messa alla prova opposizione dura "Contro il ddl sulla messa alla prova faremo un’opposizione durissima. È un provvedimento inutile e dannoso contro il quale ci batteremo". È questo l’avvertimento che lancia nell’Aula del Senato il capogruppo della Lega Massimo Bitonci intervenendo durante la discussione generale che si è aperta sul ddl per la messa alla prova già approvato dalla Camera. Durante il suo intervento, Bitonci attacca duramente il ministro per l’Integrazione Kyenge ("Non sono di destra ma non sto con questa sinistra che sostiene un ministro come la Kyenge") citando anche articoli di Giovanni Sartori e Angelo Panebianco in cui si erano espresse critiche all’esponente dell’esecutivo. Giustizia: in Commissione Camera il Decreto legge su riduzione controllata popolazione carceraria Asca, 15 gennaio 2014 La Commissione Giustizia ha avviato l’esame in referente del DL 146 di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e riduzione controllata della popolazione carceraria. Il testo mira anche a dare risposta alle sollecitazioni ad affrontare l’emergenza carceri rinnovate dal Capo dello Stato con il Messaggio inviato in Parlamento. In merito sono state svolte nei giorni scorsi audizioni di Giovanni Tamburino, Capo Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia, di rappresentanti Unione delle Camere penali italiane e di rappresentanti dell’Associazione Nazionale Magistrati. In settimana saranno ascoltati Sebastiano Ardita, Procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Messina; Raffaele Cantone, Magistrato della Corte di Cassazione; il Prefetto Alessandro Pansa, Capo della Polizia-Direttore del Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell’interno. Ardita (Pm Messina): decreto peggio che indulto, fa uscire mafiosi "Si parla di un indulto mascherato, ma è peggio. L’indulto opera in maniera generalizzata, uguale per tutti, invece con il meccanismo previsto dal decreto lo sconto cresce con il crescere della pena" e "non essendovi sbarramento, vi è la possibilità di far uscire i soggetti più pericolosi sul piano criminale". È la stroncatura del procuratore aggiunto di Messina Sebastiano Ardita della cosiddetta "liberazione anticipata speciale", prevista dal decreto Cancellieri sulle carceri, che - ha sottolineato - è applicabile anche ai detenuti di mafia (così come previsto già per la liberazione anticipata dal ‘75). La disposizione, che permette di aumentare da 45 a 75 i giorni di sconto concessi ogni semestre per la liberazione anticipata a partire dal 2010 e per altri due anni, ha spiegato Ardita in un’audizione alla Commissione Giustizia della Camera che ha in esame il decreto per la sua conversione, "avrà un’ampia applicazione tra gli esponenti della criminalità mafiosa condannati a pene lunghe". Mentre "è chiaro che non potrà che incidere in modo molto marginale sull’affollamento, potendo riguardare al più qualche migliaio di soggetti". In sostanza, si cerca, secondo Ardita, "di svuotare il mare con un guscio, ma con l’effetto che si consentirà ai detenuti che hanno pene più gravi di uscire prima". In questo modo, ha spiegato, "la soluzione al sovraffollamento viene perseguita come una rinuncia alla pena. E non ottiene lo scopo deflattivo". Ardita critica anche il "risarcimento equitativo" di 100 euro al giorno per ciascun detenuto nel caso di mancata ottemperanza alle disposizioni imposte dai magistrati di sorveglianza, per l’impatto economico che l’attuale formulazione potrebbe avere. "Può riguardare - spiega - una posizione soggettiva" che non equivale ad una "violazione dei diritti", ma la mancata ottemperanza comporterebbe un risarcimento ottenuto "surrettiziamente". "Il costo sociale del carenza di adeguatezza delle carceri oggi lo pagano i detenuti sotto forma di disagio ulteriore. E questo non è giusto. Ma l’operazione che si vorrebbe fare è scaricare questo costo sui cittadini", ha concluso. Alfano (Idv): decreto Cancellieri non un indulto mascherato Per l’eurodeputato, il problema del sovraffollamento non può essere risolto concedendo sconti. "È preoccupante l’allarme del procuratore aggiunto di Messina, Sebastiano Ardita, sulla "liberazione anticipata speciale" prevista dal decreto Cancellieri sulle carceri: il problema del sovraffollamento non può essere risolto concedendo sconti anche a chi è detenuto per mafia": lo dice Sonia Alfano, eurodeputato, presidente della Commissione Antimafia Europea, dopo l’audizione di Ardita in Commissione Giustizia della Camera. "Le soluzioni che puntino a garantire dignità al pianeta-carceri devono puntare anche a garantire a detenuti un trattamento umano e una reale rieducazione. Quel che è certo" conclude Sonia Alfano, "è che non si può accettare che il decreto Cancellieri sulle carceri diventi, come sostiene il procuratore aggiunto Ardita, "peggio di un indulto mascherato". Pagano (Ncd): parole Ardita impongono seria riflessione su effetti decreto "Le parole rese oggi dal procuratore aggiunto di Messina, Sebastiano Ardita, durante l’audizione in commissione giustizia alla Camera sul dl carceri, ci impongono una seria riflessione" così Alessandro Pagano, capogruppo di Ncd in commissione giustizia alla Camera, commenta la relazione del procuratore aggiunto e già direttore del Dap, Sebastiano Ardita. "Sono due gli aspetti, sottolineati dal procuratore, che preoccupano e non poco. Da una parte, la questione della "liberazione anticipata speciale" che, con il meccanismo previsto dal decreto, per cui lo sconto cresce con il crescere della pena, crea una situazione paradossale, ovvero la possibilità di far uscire i soggetti più pericolosi sul piano criminale. In parole più semplici, ciò vuol dire che a usufruire di tale liberazione anticipata speciale potrebbero essere esponenti della criminalità mafiosa, condannati a pene lunghe. Dall’altra, la questione del risarcimento cosiddetto equitativo. Si tratta di una disposizione che, se applicata massicciamente, costringerebbe lo Stato a sostenere costi elevatissimi. Parliamo di cifre folli, fino a 365 milioni di euro l’anno, tanto quanto lo stanziamento per il piano carcerario" spiega Pagano. "Di fronte a tutto questo, credo sia necessario avviare una seria e profonda riflessione. Dobbiamo evitare che il dl carceri si trasformi in un boomerang, i cui effetti sarebbero tutti a carico della collettività, sia in termini di sicurezza dei cittadini che di costi" Cantone (Cassazione): luci e ombre sul decreto-carceri Il decreto sulle carceri "contiene scelte sostanzialmente corrette", pur avendo "limiti" nell’aumento delle prescrizione dei procedimenti per spaccio e nella liberazione anticipata speciale che amplia il beneficio già in vigore nell’ordinamento, mentre mancano "certezze sul reale funzionamento sul braccialetto elettronico". Questo il giudizio di Raffaele Cantone, consigliere della Cassazione ed ex magistrato anti-camorra che, in audizione alla Commissione Giustizia della Camera, si è comunque espresso "non in termini disastrosi. E - ha aggiunto - tenendo conto di un provvedimento da farsi a legislazione emergenziale, questo è l’unico provvedimento da farsi ai sensi della sentenza" della Corte di Strasburgo. Cantone ha anticipato che "la Cassazione si è già espressa in un’udienza dell’8 gennaio", la cui sentenza non è stata ancora pubblicata, sulla previsione del reato autonomo di fatti di lieve entità nella legge sulle droghe. La Corte "ha già ritenuto che quella fattispecie dovesse essere considerata reato autonomo. Ma - ha aggiunto il magistrato - c’è un limite in questa norma che riguarda la prescrizione del reato che potrebbe avere effetti sui processi in corso perché si applica retroattivamente". "La liberazione anticipata estesa a 75 giorni - ha poi detto - è eccessiva: si arriva al paradosso che in Italia per ogni anno di reclusione si scontano soltanto 7 mesi". Mentre sull’affidamento in prova Cantone rileva come l’estensione a 4 anni "è un range molto ampio, ed è poco condivisibile il riferimento nella valutazione al solo anno precedente: è eccessivamente buonista per il detenuto, mentre queste misure devono essere concesse a soggetti non pericolosi". Infine sul braccialetto elettronico, Cantone sottolinea come, "precedenti sperimentazioni non hanno avuto alcun seguito e la documentazione raccolta è rimasta negli scantinati del ministero dell’Interno. Se non funziona, come non ha funzionato in passato, delegare il controllo alla polizia giudiziaria potrebbe essere eccessivo in un momento non facile per le forze dell’ordine", "sarebbe opportuno che il meccanismo prevedesse norme di monitoraggio dell’entrata in vigore effettiva del braccialetto elettronico". Questo perché "il senso di insicurezza percepito dai cittadini rischia di essere un grave danno. E le misure contenute nel decreto hanno senso se si avrà un meccanismo di controllo a distanza". Volpi (Lega): per governo esistono solo diritti clandestini e carcerati "Decine di carceri iniziate, mai completate e abbandonate. Un piano carceri inesistente. E la Cancellieri parla ancora di azioni atte al miglioramento della condizioni carcerarie. Questo provvedimento non c’entra nulla con un intervento di civiltà. Non ottempera né la rieducazione né l’accrescimento degli standard di benessere carcerario. Le misure del governo Letta sono molto semplici: prendono dei delinquenti, migliaia di delinquenti che non hanno casa e nemmeno un lavoro e gli chiudono la porta in faccia lasciandoli liberi di reiterare il reato per il quale sono stati condannati alla galera". Lo dichiara il vice presidente dei senatori della Lega Nord, Raffaele Volpi. Quindi aggiunge: "Questa è la seria, competente, lungimirante politica dell’esecutivo. Un esecutivo che mi preme ricordare, ha abbandonato al proprio destino in India due italiani, inviando continuamente un rappresentante - De Mistura - che non sappiamo in realtà cosa faccia se non abbronzarsi visto che il destino dei marò è a oggi ancora sconosciuto". Giustizia: il pm Ardita sentito alla Camera "con lo svuota-carceri il governo libera i boss" di Silvia D’Onghia Il Fatto Quotidiano, 15 gennaio 2014 Non serve a risolvere il problema del sovraffollamento, è molto peggio di un indulto. E, soprattutto, premia i mafiosi". Non usa mezzi termini il procuratore aggiunto di Messina, Sebastiano Ardita, esaminando il decreto svuota carceri durante un’audizione, ieri mattina, in commissione Giustizia alla Camera. Le critiche più pesanti riguardano la "liberazione anticipata speciale", ovvero la norma che porta da 45 a 75 i giorni di sconto concessi ogni sei mesi di detenzione. Misura che prevede una retroattività al 2010. "Avendo deciso di affrontare il sovraffollamento rinunciando alla sanzione penale - scrive Ardita nella sua relazione, il legislatore d’urgenza sembrerebbe da un lato aver effettuato una opzione minimale, e dunque certamente non in grado di risolvere il problema dell’affollamento, e dall’altro avere scelto i soggetti da scarcerare tra i mafiosi e i più pericolosi (rectius condannati a pene lunghe) e solo in parte minima tra coloro che sono stati raggiunti dall’intervento penale a pioggia (in primo luogo extracomunitari e tossicodipendenti)". Ardita, che è una delle persone più competenti in materia essendo stato per nove anni direttore generale dei detenuti del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, spiega nel dettaglio. La misura prevista dal decreto si applica a tutti i detenuti, 416-bis compresi, perché si basa come unico presupposto sull’opera di rieducazione. Che, attenzione, non vuol dire altro che colloqui con la famiglia, attività teatrali, attività sportive. Nessuno escluso, dunque. Ma quanto la liberazione anticipata inciderà realmente sul problema per cui Strasburgo rischia di condannarci, e cioè il sovraffollamento? "Non potrà che incidere in modo molto marginale - scrive Ardita - potendo riguardare al più qualche migliaio di soggetti". Non usciranno certo di galera i poveri cristi, o saranno pochissimi, mentre verranno premiati - non si sa a fronte di cosa - coloro che sono stati condannati a pene lunghe. Tradotto: chi deve scontare, da sentenza, sei anni di carcere potrebbe uscire dopo tre anni e mezzo. "Anche un penitenziarista poco esperto - prosegue il procuratore aggiunto - può ben comprendere come uno strumento così concepito venga a minare alle fondamenta i principi stessi del trattamento penitenziario, che presuppone sempre percorsi nei quali i benefici siano il frutto di sacrificio, attraverso la revisione critica del proprio passato criminale e la provata volontà di reinserirsi nel tessuto sociale". Un regalo, bello e buono, a chi ha commesso gravi delitti e non ha mostrato neanche il minimo segno di pentimento. C’è poi un altro elemento che vale la pena evidenziare. Il ministro Cancellieri ha messo in piedi il decreto per svuotare le carceri sovraffollate, ma coloro che hanno condanne pesanti, i criminali veri, sono in celle doppie o al massimo triple, non sono certo stipati come bestie sulle brandine a quattro piani. Più che rispondere alle accuse di Strasburgo, il provvedimento potrebbe tornare utile a delinquenti dentro i nostri confini. Ardita si pone infine una domanda importante: perché destinare il costo sociale di quest’operazione ai cittadini, che ne pagherebbero la pericolosità, visto che - statisticamente - il numero dei reati aumenterebbe? Una timida risposta arriva, a tarda sera, dal capogruppo Pd in commissione Giustizia, Giuseppe Lumia: "Non approveremo mai un decreto che contenga falle così clamorose. Inseriremo un doppio binario che esclude tassativamente i reati di mafia". La Lega, allergica - da statuto - alla parola "mafia", ne chiede invece il ritiro in toto. Totò Cuffaro, il boss Ribisi il poliziotto del G8: fuori tutti, di Davide Milosa È accertata" la "sussistenza di ripetuti contatti" fra l’ex governatore della Sicilia, Salvatore Cuffaro, e "vari esponenti" di Cosa Nostra, il che "spiega" quale sia stato "l’atteggiamento psichico" dello stesso Cuffaro nel rivelare al boss di Brancaccio, Guttadauro, "con il quale aveva stipulato un accordo politico mafioso", la notizia che c’erano indagini sul capo mandamento. I giudici della Cassazione spiegano così la condanna a sette anni di carcere per Salvatore "vasa vasa" accusato di favoreggiamento aggravato. Sentenza diventata definitiva il 22 gennaio 2011. Tre anni dopo, Cuffaro vede concreta la possibilità di ottenere la liberazione anticipata. Possibilità servita su un piatto d’argento dal cosiddetto decreto svuota-carceri voluto dal Guardasigilli Annamaria Cancellieri, approvato dal governo prima di Natale e che da qualche settimana sta facendo sentire i suoi effetti concreti. Nel dicembre scorso il tribunale di Sorveglianza aveva respinto la richiesta di affidamento ai servizi sociali fatta dai legali di Cuffaro. Ora, però, l’ex governatore punta sulla possibilità di accedere allo sconto speciale di 75 giorni (invece di 45) ogni 6 mesi, retroattivo fino al 2010. Fatti un po’ di calcoli e data per acquisita la buona partecipazione alla vita del carcere, per Cuffaro il ritorno in libertà appare realmente dietro l’angolo e dopo aver scontato solamente metà della pena. Insomma, il nuovo decreto se da un lato promette di svuotare le galere con un occhio rivolto soprattutto ai reati minori (spaccio e furti), dall’altro rischia di innescare antipatici cortocircuiti con drammatici sconti agli uomini della mafia in carcere non solo per 416 bis, ma anche per reati satellite come il traffico internazionale di droga. Su questa linea, lo sconto di pena e la conseguente libertà anticipata potrebbe riguardare concretamente un noto boss della ‘ndrangheta che fino ai primi anni Novanta ha comandato in Lombardia. Il suo fine pena è fissato nel 2017 e dunque a oggi ha un residuo inferiore ai 4 anni, esattamente il tetto previsto dal decreto. Chi due giorni fa è già tornato in libertà è il 34enne Nicola Ribisi, arrestato nel 2011 con l’accusa di aver riorganizzato la famiglia mafiosa di Palma di Montechiaro falcidiata dalle faide degli anni Novanta. L’indagine era nata seguendo le indicazioni di alcuni pizzini trovati nel covo di Bernardo Provenzano. Non solo: gli investigatori hanno dimostrato come lo stesso Ribisi, anche dopo l’arresto, continuasse a tirare le fila degli affari da dietro le sbarre del carcere. Ribisi, condannato assieme allo zio Ignazio, doveva scontare una condanna a 5 anni e 4 mesi. Ma grazie al nuovo decreto, il tribunale di Sorveglianza, accogliendo il ricorso dei legali, ha concesso al presunto boss il nuovo sconto di pena di cinque mesi per ogni anno di carcere. La stessa sorte del giovane Ribisi è toccata all’anziano boss agrigentino Carmelo Vellini, scarcerato proprio alla vigilia di Natale. Arrestato nel 2008 con l’accusa di essere il capomafia di Naro e soprattutto di aver favorito la latitanza di Giuseppe Falsone detto Ling ling, boss di Campobello di Licata, fermato a Marsiglia nel 2010 ed estradato in Italia l’anno successivo. Spiega il legale di Vellini: "È stato tra i primi ad avere beneficiato del nuovo decreto legge svuota carceri, che prevede la concessione, per ogni semestre di carcerazione espiato, di un periodo di liberazione anticipata pari a 75 giorni anziché 45 giorni come previsto in precedenza". Sul caso, Andrea Colletti del Movimento Cinque stelle ha annunciato che presenterà un’interrogazione al Guardasigilli perché riferisca in aula su quanti condannati per mafia abbiano ottenuto la liberazione anticipata e quanti la otterranno. Dei nuovi benefici ha usufruito pure Gilberto Caldarozzi, ex capo dello Sco condannato in via definitiva per le violenze alla scuola Diaz, durante il G8 di Genova nel 2001. Dovendo scontare un cumulo di 8 mesi, ha ottenuto i domiciliari. Giustizia: Pavarin; lo svuota-carceri sta già paralizzando i tribunali, il collasso è vicino di Thomas Mackinson Il Fatto Quotidiano, 15 gennaio 2014 Spalanca le celle ai detenuti, rinchiude i giudici. Indulto mascherato o no, lo "svuota-carceri" un primo risultato l’ha già raggiunto: in meno di un mese ha seppellito i magistrati sotto montagne di carte mandando in tilt gli uffici di sorveglianza di tutta Italia. L’assalto allo sconto di pena è stato immediato, aggravato e continuato e gli scricchiolii si sentono ormai ovunque, da Nord a Sud. Li ha sentiti anche il ministro Cancellieri, due giorni fa, mettendo piede nel carcere di Lecce, dove nel giro di tre settimane sono arrivate 270 istanze di liberazione anticipata. A Padova sono già 450, a Milano oltre 500. Un dato, parziale, è arrivato dal Dap che riferisce di 200 scarcerazioni a settimana, ma a fronte di quante richieste non è dato sapere: a Roma hanno varato il decreto ma senza aggiornare il sistema informatico per la trasmissione telematica delle ordinanze di scarcerazione alla Procura della Repubblica e la registrazione a fini statistici. Così tocca andare a campione. E ci vuol poco a scoprire che le richieste di ricalcolo dei benefici concessi dalla liberazione anticipata "speciale" - da 45 a 75 giorni ogni sei mesi, dal 2010 in poi - stanno mandando nel pallone gli uffici. Ne arrivano tante, dicono i magistrati, che non riescono più a star dietro alla vigilanza diretta e al controllo di legalità sull’esecuzione della pena. Il rischio paralisi è poi dietro l’angolo, con effetti imprevedibili sui detenuti: le pratiche di alcuni potrebbero fermarsi di colpo dopo aver fatto correre tutte le altre per garantire l’auspicato "effetto deflattivo". "Facciamo di tutto per evitarlo, ma non escludo che accada", spiega il coordinatore nazionale dei magistrati di sorveglianza Giovanni Pavarin, presidente del Tribunale di Venezia. "Ogni giorno - racconta - arrivano decine e decine di istanze, i magistrati non hanno tempo di contarle. Per tutte si tratta di capire quali istruire prima perché avrebbero un effetto liberatorio del condannato, ma dobbiamo pur essere attenti a chi mettiamo fuori". Dare un ordine all’assalto è già un’impresa, raccontano loro. "Arrivano istanze d’integrazione per scadenze della pena nel 2030. Le presentano comunque, anche se non determinano l’immediata scarcerazione. Non sono urgenti e però vanno registrate e valutate. La cancelleria interrompe continuamente il lavoro per dare l’informazione all’avvocato di turno". Il collasso è vicino, insiste Pavarin. "I magistrati sono sempre più piegati sulle carte e lontani dal carcere, hanno meno tempo per i colloqui individuali col detenuto previsti dall’ordinamento che sono importantissimi ai fini della sua valutazione. Rischiamo di perdere il contatto con le strutture di esecuzione penale esterna, come le comunità per i tossicodipendenti. Se ce la facciamo, per ora, è grazie ai tirocini e alle convenzioni con volontari, ma stiamo arrancando su una norma che ha le ruote sgonfie o forse non le ha proprio". Il problema è che il decreto del governo vuol far giustizia (e pararsi rispetto all’Europa) a costo zero. Per tamponare l’allarme sociale e l’eventuale dissenso sull’indulto strisciante, stabilisce una definizione non automatica dei benefici ma caso per caso, "sartoriale". Per ogni istanza va istruita una pratica, richieste le sentenze, le relazioni comportamentali dal carcere etc. Oneri che ricadono su magistrati e personale amministrativo ridotti all’osso che non avranno alcun rinforzo dal decreto che termina con la clausola d’invarianza finanziaria. E pazienza se sono già gravati dall’altro svuota carceri (L. 199/2010) che consente ai detenuti di scontare gli ultimi 18 mesi a casa e che non va in soffitta, ma bussa alle stesse porte: scadeva il 31 dicembre, è stato prorogato e inserito stabilmente nel sistema. E così il lavoro nelle cancellerie è raddoppiato. "La liberazione anticipata speciale e il reclamo giurisdizionale stanno mettendo in ginocchio gli uffici di sorveglianza", avverte Rodolfo Sabelli dell’Anm. "Non si possono fare riforme che determinano aggravi di lavoro senza intervenire su mezzi e organici". I conti li fa anche Marcello Bortolato, magistrato di sorveglianza a Padova: "La pianta organica prevede 202 magistrati ma 25 svolgono funzioni di presidenza, una ventina di posti sono vacanti. Gli effettivi sono circa 170. Ne servirebbero 100 di più, per non parlare del personale amministrativo". E dire che il ministero era stato avvisato per tempo del rischio di non riuscire a sostenere l’impatto del decreto. A inizio dicembre, in vista dell’approvazione, i presidenti dei tribunali di sorveglianza avevano incontrato la Direzione generale per l’organizzazione giudiziaria. La Cancellieri era assente. "Abbiamo chiesto il distacco di personale della polizia penitenziaria e quantomeno il blocco nell’applicazione del personale ad altri uffici. Per ora non abbiamo visto nulla", insiste Pavarin che chiede un nuovo incontro "anche se le nostre lagnanze sono ben note a chi di dovere". Giustizia: braccialetto elettronico, se ne usano solamente 55 sui 2.000 a disposizione Corriere della Sera, 15 gennaio 2014 L’animatore arrestato per presunte violenze sessuali su minori sarà uno dei pochi detenuti ad utilizzare lo strumento. L’educatore parrocchiale accusato a Milano di pedofilia sarà uno dei pochi detenuti agli arresti domiciliari a cui viene applicato il braccialetto elettronico (il più illustre è stato l’ex direttore dell’Avanti Valter Lavitola prima di finire nuovamente in carcere, proprio per essere uscito dalla sua abitazione). Nonostante questo strumento sia operativo da quasi 10 anni, con costi già sostenuti dallo Stato, se n’è fatto sinora un uso limitatissimo: i braccialetti a disposizione dell’autorità giudiziaria sono duemila, ma quelli attualmente utilizzati sono poco più del 2%: appena 55. Un problema, quello della scarsa diffusione, che nascerebbe dalla poca conoscenza di questa possibilità da parte dei magistrati e soprattutto della relativa procedura di attivazione. Tant’è che attualmente sono meno di una decina gli uffici giudiziari che utilizzano i braccialetti, in gran parte rappresentati dalle grandi città (Milano, Torino, Napoli, Palermo in testa), tra cui la diffusione è avvenuta con una sorta di passaparola. È il contratto stipulato dal ministero dell’Interno con Telecom, che scade il 31 dicembre del 2018, a prevedere la disponibilità a favore dell’Autorità Giudiziaria, di 2000 braccialetti elettronici e di terminali che si trovano da anni nelle centrali operative di polizia, carabinieri, guardia di finanza della maggiore parte delle città italiane. Sinora il sistema ha dimostrato di funzionare, tant’è che c’è stata una sola evasione. A dispetto del nome, si tratta di una cavigliera che deve essere indossata dal detenuto ai domiciliari, e che è in grado di sopportare fino a 70 gradi di temperatura e 40 chilogrammi di trazione prima di rompersi. Nell’abitazione viene anche installata un’apparecchiatura, simile a una radiosveglia, che riceve i segnali del braccialetto all’interno di un perimetro ben definito: se il detenuto esce dal suo appartamento, o danneggia il braccialetto o la centralina, scatta subito l’allarme alla Centrale operativa delle forze dell’ordine. Il sistema non è incompatibile con il rilascio di permessi di uscita dall’abitazione da parte del giudice: in quei casi l’orario di permesso viene inserito nel terminale dalla centrale operativa, in modo che per quelle ore il braccialetto non lanci l’allarme. Giustizia: Cancellieri contro i vertici del Dap… chi vincerà il duello, la padella o la brace? di Redazione www.poliziapenitenziaria.it, 15 gennaio 2014 Una cosa è certa, la sfuriata della Cancellieri ai vertici del Dap c’è stata e non è stata da poco. In pochissimi conoscono le parole esatte che il Ministro della Giustizia ha rivolto contro i vertici del Dap, ma il tono non è stato "amichevole". In queste ore si rincorrono le voci di lettere di dimissioni, di nomi di eventuali sostituti alla guida del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, di scuse, di smentite… Nulla di certo, però è evidente che un clima come questo al Dap, di panni sporchi lavati quasi in piazza, non s’era mai visto. Al massimo in passato ci sono state scaramucce tra un Ministro e un singolo Capo Dap per ordini di scuderia politica, per malesseri personali, ma mai così tante persone coinvolte, in così breve tempo e con tale intensità da scavalcare anche le spesse mura del Ministero di via Arenula. È il frutto dei tanti cambiamenti politici avvenuti in così breve tempo che hanno generato un "mostro" come quello che amministra l’intero settore penitenziario in cui siede al vertice un Prefetto promosso a Ministro da un Presidente del Consiglio perennemente in bilico, di un Capo del Dap vicino al Colle, di un Vice Capo del Dap portato in palmo di mano dalla ricca Lombardia, di un altro Vice Capo del Dap espressione della magistratura. Insomma un papocchio. In mezzo ci sono speculazioni politiche sulle condizioni di vita di decine di migliaia di persone detenute, condizioni che, in fin dei conti, non interessano niente a nessuno. Altrimenti al problema vero delle carceri, che non è certo il sovraffollamento… ci si sarebbe messo mano già da tempo e le "minacce" dell’Europa non ci sarebbe mai state. Nei prossimi giorni ci saranno altre indiscrezioni che ci descriveranno retroscena degni del film "Parenti serpenti". Non sarà facile distinguere la realtà dalla finzione, la verità dalle veline ministeriali, gli articoli giornalistici dalle "soffiate" fatte uscire ad arte proprio dal Dap. Di sicuro c’è il fatto che il Corpo di Polizia Penitenziaria sarà l’unico a rimetterci sul serio. I problemi delle carceri sono molti e, ripetiamo, non dipendono certo solo dal sovraffollamento che è l’unico pensiero fisso di questi signori. L’unica certezza è che solo il Corpo di Polizia Penitenziaria, con l’impegno e la capacità dei suoi uomini e donne ormai ridotti all’osso, saprà tirare avanti il carrozzone a proprio rischio e pericolo, mentre alle nostre spalle continuerà a consumarsi questo teatrino di sfide tra la Padella del Ministero e la Brace che cova nel Dap. Chi vincerà il duello? A noi della Polizia Penitenziaria, poco importa. L’importante invece è che dalle macerie di queste scaramucce ai vertici, prenda finalmente piede la convinzione che se si vogliono risolvere veramente i problemi delle carceri, è indispensabile mettere al centro i problemi e le esigenze dell’unica vera Istituzione che in carcere ci lavora H24/G365: il Corpo di Polizia Penitenziaria. Giustizia: Tamburino (Dap); il 41-bis funziona bene, ma non garantisce totale impermeabilità Ansa, 15 gennaio 2014 "Il 41 bis funziona, e bene, ma non può essere un regime ad impermeabilità assoluta, visto che permette i colloqui con familiari e difensori: se, ad esempio, la moglie di un boss dopo il colloquio passa ad una terza persona un ordine, magari criptico, mette in essere un comportamento che non possiamo impedire ma che costituisce un reato punito dal codice penale". È tornato a parlare del regime del "carcere duro" il capo del Dap, Giovanni Tamburino, nel seguito dell’audizione in Commissione antimafia. Sul 41 bis "il legislatore è intervenuto molte volte, forse troppe - ha detto Tamburino - ma nel 2009 si è data una buona strutturazione a questo regime. La sua efficacia è evidente, confermata anche da un dato importante, la riduzione drastica, fino all’azzeramento, degli omicidi ordinati dall’interno del carcere". Quanto a possibili miglioramenti "forse una criticità da correggere nella prassi applicativa riguarda le proroghe: per come è formulata la norma, è praticamente impossibile negarle e c’è da chiedersi se questo non finisca col rappresentare una contraddizione, o uno snaturamento, rispetto alle origini di un istituto che aveva natura emergenziale e che comunque resta una misura temporanea. Ci sono numeri non bassissimi - ha ricordato il capo del Dap - di persone al 41 bis da oltre venti anni, 159 da oltre dieci, e se questo ha un significato per i capi supremi, che restano tali nel tempo, probabilmente non lo ha per i livelli intermedi". Dei 706 detenuti attualmente sottoposti al regime, "279 sono già condannati in via definitiva (142 all’ergastolo), 58 appellanti (9 condannati in primo grado all’ergastolo), 27 ricorrenti, 46 in attesa di primo giudizio, 229 con posizione giuridica ‘mistà (alcuni titoli definitivi e alcuni in corso di procedimento)". Trenta di loro sono sottoposti a "videosorveglianza h24". Giustizia: Ucpi; primo giorno di astensione dalle udienze, stavolta a testimoniare sono gli avvocati Ansa, 15 gennaio 2014 Nel corso della manifestazione di Napoli, svoltasi oggi nell’Auditorium del Nuovo Palazzo di Giustizia, l’Unione raccoglie da ogni latitudine il grido di protesta dei penalisti italiani per le reiterate violazioni del diritto di difesa. Adesione pressoché totale all’astensione di tre giorni indetta dall’Unione Camere Penali, iniziata oggi con una manifestazione a Napoli per la salvaguardia del diritto di difesa. Il presidente dell’Ucpi Valerio Spigarelli esprime "grande soddisfazione per la partecipazione" che si è registrata nel primo giorno di astensione, su "tematiche molto sentite dall’avvocatura penale che ha accolto con grande favore l’iniziativa della Giunta, che ha portato alla ribalta del dibattito politico le condizioni ‘materiali’ del diritto di difesa, che sono assai peggiori di quel che generalmente si riconosce". Intercettazioni tra avvocati e clienti, coartazione del diritto di difesa, prassi attraverso le quali si mette in discussione l’impostazione del codice di procedura penale, violazione del principio di immutabilità del giudice, sono tra gli argomenti che "più spesso - fa notare Spigarelli - vengono segnalati dalle Camere penali territoriali e dai singoli avvocati, quali spie della scarsa considerazione che viene riservata alla funzione difensiva". Per il leader dei penalisti, questa protesta, come tutte quelle dell’Unione Camere Penali, "prescinde da qualsiasi interesse professionale e mira a tutelare il diritto dei cittadini a una piena difesa". Tra i tanti argomenti, "spesso assai meno importanti, che animano il dibattito politico quando si parla di giustizia, questo è uno di quelli che invece viene colpevolmente ignorato - conclude Spigarelli - eppure i cittadini che hanno la ventura di essere coinvolti in un procedimento penale comprendono sulla loro pelle quanto esso sia fondamentale". Giustizia: Oua; Cancellieri diserta conferenza, avvocati pronti a protesta, mortificati diritti cittadini Ansa, 15 gennaio 2014 Polemica dell’Organismo unitario dell’avvocatura con il ministro della Giustizia Cancellieri, per la scelta del Guardasigilli di "disertare" la VIII conferenza nazionale dell’avvocatura, che si aprirà a Napoli giovedì prossimo; conferenza che - annuncia una nota dell’Oua - sarà anticipata dagli "stati generali" della categoria per "decidere forti iniziative di protesta" contro la "costante mortificazione dei diritti dei cittadini". "Il problema è che ormai la Cancellieri ritiene di dover rispondere solo ai richiami del Quirinale e non al Parlamento e meno che mai alle sollecitazioni della società. Il nostro dovere è cercare il confronto, per questa ragione nonostante gli innumerevoli provvedimenti negativi del Governo di questi mesi, abbiamo invitato il ministro, ma il Guardasigilli anche questa volta ha perso un’occasione decidendo di assentarsi dalla Conferenza Nazionale", lamenta il presidente dell’Oua Nicola Marino. Tante le ragioni di malcontento della categoria nei confronti del governo. Nel mirino ci sono in particolare il ddl sul processo civile, i decreti "svuota-carceri" e Destinazione Italia sulla RcAuto e i "continui aumenti dei costi della giustizia contenuti anche nella legge di stabilità". "La riduzione dei diritti di difesa si spiega -, la chiusura di 1000 uffici giudiziari, gli ostacoli all’accesso al servizio (media-conciliazione, abbreviazione dei termini a difesa per gli avvocati, aumento esponenziale del Contributo unificato, introduzione del Cu anche nelle materie finora esenti, filtro in appello, i continui attacchi al gratuito patrocinio), sono l’unico filo conduttore di provvedimenti del tutto frammentari e inefficaci", accusa Marino. Giustizia: Giuseppe Uva, morto in caserma a Varese, la Procura chiede l’archiviazione di Mario Di Vito Il Manifesto, 15 gennaio 2014 Il Csm mette sotto accusa il Pm per "ignoranza e negligenza". Niente da fare: per la procura di Varese, Giuseppe Uva non è morto per le botte prese in caserma nella notte tra il 14 e il 15 giugno del 2008. Il nuovo segmento di indagine - nato soltanto perché ordinato dal gip Giuseppe Battarino, l’8 ottobre - si conclude con i pm Agostino Abate e Sara Arduini che chiedono l’archiviazione per i due poliziotti e i sei carabinieri indagati per lesioni personali. Dopo cinque anni, gli investigatori hanno anche deciso di ascoltare, clamorosamente per la prima volta, l’unico testimone, Alberto Biggioero, anche lui fermato e portato nella caserma di via Saffi insieme a Uva, quella notte d’estate. Tra l’altro, il senatore Luigi Manconi ha già presentato un’interrogazione al ministro della Giustizia proprio per questa audizione: "L’interrogatorio del teste si è protratto per circa quattro ore - scrive il parlamentare del Pd, il testimone sarebbe stato ripetutamente fatto oggetto di mortificazione con offensivi riferimenti al suo stato di salute risalente a numerosi anni precedenti la morte di Giuseppe Uva; sarebbe stato privato della libertà di riferire sulle circostanze sulle quali era chiamato a deporre attraverso atteggiamenti intimidatori, verbalmente aggressivi, financo offensivi la dignità stessa della sua persona". A proposito, il Csm metterà sotto processo proprio Abate, accusato di "ignoranza e negligenza" per non aver ascoltato le denunce della sorella di Giuseppe Uva, Lucia, arrivando addirittura a iscriverla nel registro degli indagati per diffamazione aggravata. Nell’aprile del 2012, poi, arrivò a sentenza il processo istituito dal pm varesotto per il caso Uva: contro il dottor Carlo Fraticelli dell’ospedale di Varese. È il teorema della morte per malasanità, peccato che il medico venne assolto perché il fatto non sussiste. Anche in quell’occasione il giudice Orazio Muscato chiese di approfondire cosa accadde nelle due ore e mezza che Uva passò in caserma. Mesi dopo il gip arrivò addirittura a scrivere che il fermo di Giuseppe era da considerare illegale perché "non c’era alcun motivo per farlo. E nessuno può essere privato della libertà personale, se non in forza di una legittima detenzione". E ancora, perché in fondo un giudice a Varese ci sarebbe pure: "La morte di Giuseppe Uva non è riconducibile ad errata somministrazione di farmaci, sul corpo vi erano tracce di lesioni, ci fu un’importante effusione di sangue proveniente dalla zona anale, la morte è conseguita ad un’aritmia derivante dal contenimento e dallo stresso fisico e i traumi subiti sono concause del decesso". Così fu respinta la prima richiesta di archiviazione per gli uomini in divisa. Abate, però, continua a ignorare tutto questo: per lui gli agenti sono innocenti e non c’è nulla di penalmente rilevante nella loro condotta. Era una delle prime notti calde dell’estate, a Varese, quella tra il 14 e il 15 giugno del 2008. Beppe Uva, insieme all’amico Alberto, era uscito a bere. I due, un po’ brilli, transennarono una strada e deviarono il traffico verso il centro della città. Una bravata che gli costò il fermo nella caserma dei Carabinieri. Quello che accadde in due ore e mezzo rimane un mistero. Le botte e le urla sentite da Biggioero, evidentemente, non significano niente per la procura: "Un carabiniere, in particolar modo, l’ha massacrato di botte in caserma insieme ai suoi colleghi, e mi dicevano: "dopo arriva anche il tuo turno". A quel punto, quando finalmente ho chiamato il 118 implorandolo di venire in soccorso mi hanno detto che in caserma non potevano intervenire, è arrivato un soggetto con dei tratti asiatici con una borse forse da medico, e da lì il mio amico ha smesso di gridare: questo mi aveva fatto sentire veramente sollevato, perché ho pensato che avessero smesso di pestarlo". Poche ore dopo tutto questo, Giuseppe Uva sarebbe morto in ospedale. La procura di Varese ancora non sa come sia accaduto. Giustizia: Marcello Dell’Anna, il boss laureato che insegna diritto agli avvocati di Elvira Serra Corriere della Sera, 15 gennaio 2014 Ergastolano in regime di 41 bis, relatore in un corso di formazione giuridica: le lezioni si tengono in carcere. Quando è andato al ristorante, due anni fa, non riusciva a tenere le forchette in mano. "Non ero più abituato a quelle di metallo, così pesanti ". E quando, lo stesso giorno, il cellulare squillava di continuo, non ha voluto parlare con nessuno di quanti chiamavano sua moglie per fargli gli auguri. "Ero infastidito dalla suoneria". Ma ricorda come un’emozione fortissima, che ancora oggi lo commuove, il senso di un futuro davvero possibile racchiuso in quel 25 maggio del 2012, quando si è laureato in legge con lode all’Università di Pisa discutendo la tesi sui diritti fondamentali dei detenuti e sul regime del 41 bis. Il suo. Marcello Dell’Anna ha trascorso la maggior parte della vita in carcere; quasi l’età di suo figlio, che ha venticinque anni. Sta scontando l’ergastolo ostativo per reati associativi nel carcere nuorese di Badu ‘e Carros. Fu condannato quando aveva 23 anni ed era un boss della Sacra corona unita: oggi ne ha quarantasei. In prigione si è diplomato, poi laureato, e avrebbe continuato con il corso specialistico in Diritto penitenziario applicato, al quale si era iscritto sempre a Pisa, ma l’ultimo trasferimento in Sardegna gli ha fatto interrompere gli studi. La Scuola forense di Nuoro ha deciso di dargli una mano nel percorso di riscatto e gli ha affidato il ruolo di coordinatore interno e di relatore principe nel corso di formazione giuridica per avvocati e operatori che si terrà il 24 gennaio, il 7 e il 28 febbraio, con un seminario conclusivo il 21 marzo. Tutti gli incontri si svolgeranno in carcere, per permettere a Dell’Anna di onorare il suo incarico. "L’idea, unica nel suo genere, è nata da una chiacchierata con la direttrice della Casa circondariale, Carla Ciavarella", racconta Monica Murru, la legale che ha battezzato il progetto, di cui sarà coordinatrice esterna. "Mi ha parlato del detenuto e abbiamo cominciato a pensare a qualcosa che lo potesse gratificare e far sentire una risorsa. Ci ho parlato, abbiamo definito insieme il programma: sui temi dei circuiti penitenziari, del trattamento rieducativo, della classificazione dei reati, nessuno poteva essere più esperto di lui". Il direttore della Scuola forense, Martino Salis, ha sposato subito l’iniziativa. Spiega: "Mi sembrava importante che l’avvocatura facesse la sua parte. Il percorso di quest’uomo è molto interessante". Per la dirigente del carcere, il progetto "mantiene alta la motivazione del detenuto e, soprattutto, la speranza". I reclusi come lui in regime di AS1 (ex 41 bis) non hanno accesso ai benefici di legge, vale a dire semilibertà, permessi premio, affidamento in prova ai servizi sociali. I Radicali hanno avviato un movimento contro l’ergastolo ostativo e i cosiddetti "sepolti vivi", al quale Marcello Dell’Anna sta contribuendo con i suoi interventi. Due anni fa, per esempio, scrisse alla rivista Ristretti Orizzonti sull’onda dell’amarezza dell’ultimo trasferimento da Spoleto a Nuoro (e in mezzo ci sono stati Pianosa, Novara, Livorno). Ecco il suo sfogo: "Essere detenuto a Nuoro è come se mi avessero riportato indietro di vent’anni e questo mi rifiuto di accettarlo, perché il mio passato per me è morto e sepolto". La sua famiglia vive in Puglia. Il mare complica la possibilità di incontrarla. Un mese e mezzo fa ha ottenuto un avvicinamento temporaneo per colloqui. "Mia moglie Romina l’ho lasciata a 21 anni e l’ho riabbracciata a 42, il giorno della discussione della tesi, quando ho ottenuto l’unico permesso di quattordici ore. Finalmente non c’era più un tavolo di marmo a dividerci, lo sguardo delle guardie a controllarci", ha raccontato all’avvocato Murru. In tutti questi anni ha scritto libri di poesie e romanzi. Per l’ultimo - la sua vita dietro le sbarre - sta cercando un editore. Quando non lavora per sé, prepara i ricorsi per i detenuti di tutta Italia che gli chiedono aiuto. Si può anche pensare che debba finire i suoi giorni in carcere. Ma sarebbe un fallimento. Non soltanto suo. Giustizia: Uisp; sport e carceri, non siamo all’anno zero. Terzo Tempo: il nuovo progetto di Francesca Spanò www.confinionline.it, 15 gennaio 2014 L’Uisp in dieci istituti minorili, nel "Pomeriggio sportivo" di Radio 1 RAI. Sport e carceri, non siamo all’anno zero: l’Uisp lo ripete da tempo, ricordando l’attività trentennale che porta avanti negli Istituti penitenziari e nei minorili italiani. Tra i provvedimenti del pacchetto carceri presentato dal Governo, c’è la promozione della pratica sportiva all’interno dei penitenziari, esperienza già in atto con "Terzo Tempo", progetto Uisp in cui protagonisti sono i ragazzi di Istituti minorili e gli operatori sportivi Uisp, con la collaborazione e disponibilità del Dipartimento di giustizia minorile. Il progetto mira alla riqualificazione di spazi per la pratica motoria all’interno delle strutture detentive, avviando contestualmente un programma di attività non solo sportive, di formazione e di inserimento lavorativo. Lo sport non è solo campioni e vittorie ma è lo strumento che più concorre alla formazione della persona e risulta molto utile in contesti dove il suo valore educativo e sociale si esalta, come nelle carceri. Sabato 28 dicembre durante il "Pomeriggio sportivo" di Radio 1 Rai, la giornalista Marzia Leoni, ha dedicato un servizio alla pratica sportiva nelle carceri e al progetto "Terzo Tempo". Protagoniste sono state le voci dei ragazzi che prendono parte all’intervento Uisp nelle carceri: Sebastiano di Firenze, ad esempio, racconta che lo sport, che praticava anche prima di entrare in carcere, è servito a rendere più sopportabile la detenzione. A Nisida, invece, si educa alla libertà e non a privarsene: "I ragazzi imparano a fare ciò che permette loro di sentirsi realizzati, sempre nel rispetto del gruppo sociale in cui sono inseriti, e lo sport è sicuramente un’ottima palestra", racconta il direttore del carcere, Gianluca Guida. Da nord a sud l’Uisp continua a mettere in campo la sua ventennale esperienza con adulti e minori dell’area penale per promuovere attraverso lo sport modelli positivi di crescita: a Palermo Giaconìa, atleta di imprese estreme, parla della sua esperienza di istruttore di nuoto al Malaspina, impresa che lo ha arricchito e gratificato a livello personale. Lazio: Tavoli tecnici per il miglioramento assistenza sanitaria ai detenuti indicati come "best practice" Ristretti Orizzonti, 15 gennaio 2014 Il Garante dei detenuti Angiolo Marroni: "Un risultato straordinario. premiati i nostri sforzi sul versante della tutela del diritto alla salute dei reclusi". I tavoli tecnici congiunti istituiti per migliorare l’assistenza sanitaria ai cittadini reclusi nelle 14 carceri della Regione Lazio diventano una best practice da replicare su tutto il territorio nazionale. L’indicazione è giunta al Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria con una lettera del Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Giovanni Tamburino, che ha comunicato di aver "dato notizia del caso specifico a tutti i provveditorati regionali, auspicando la diffusione di buone prassi, anche nelle altre realtà regionale dell’Amministrazione Penitenziaria". A darne notizia, il Garante dei Detenuti del Lazio Angiolo Marroni che ha svolto una incessante opera di propositiva e di stimolo per favorire la nascita di tali Tavoli fra Aziende sanitarie locali, Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria, direzioni delle carceri e Garante finalizzati al monitoraggio della qualità dei servizi sanitari erogati, dello stato di attuazione della riforma della sanità penitenziaria e della sua concreta ricaduta sui detenuti. "È un risultato straordinario - ha commentato Marroni - che premia il lavoro di questi anni. L’esperienza e il buon senso hanno dimostrato, che non bastano le dichiarazioni di principio; per far si che esse si realizzino, occorrono i progetti e buone e condivise prassi. Un discorso, questo, che vale a maggior ragione quando si parla di diritto alla salute, che è fra i più violati in carcere. È per questo che, come Garante, abbiamo investito in tanti progetti, dalle odontoambulanze alla telemedicina ma abbiamo strategicamente pensato anche al futuro, dando impulso al Forum salute in carcere, favorendo l’istituzione dell’Osservatorio regionale per monitorare i punti di debolezza del sistema e, da ultimo, la nascita dei Tavoli tecnici e l’adozione delle Carte dei Servizi Sanitari per i detenuti. Tutti questi strumenti porteranno ad una maggiore correlazione tra carcere e territorio, aumentando l’efficienza e l’efficacia dei servizi sanitari e garantendo il fondamentale diritto alla salute anche ai detenuti". I tavoli tecnici congiunti, come le Carte dei Servizi sanitari per i detenuti (che riepilogano le prestazioni mediche cui il recluso ha diritto, oltre alle modalità e alla tempistica per la loro fruizione) e gli Osservatori regionali sono strumenti previsti dal legislatore per agevolare la riforma della sanità penitenziaria, che prevede il trasferimento, dal Ministero della Giustizia alle Asl, delle funzioni sanitarie e delle risorse finanziarie, umane e tecnologiche relative alla sanità penitenziaria. Ad oggi le Carte dei Servizi predisposte coinvolgono la metà delle carceri della Regione, 7 su 14: due a Civitavecchia, una per Regina Coeli e quattro per il complesso polipenitenziario di Rebibbia. In altre realtà (Latina, Viterbo, Rieti e nell’Istituto Penale Minorile di Casal del Marmo) le Asl hanno già deliberato l’istituzione del Tavolo tecnico ed hanno avviato le procedure per la predisposizione delle Carte dei Servizi. Nonostante le pressanti sollecitazioni del Garante e del Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria, ad oggi nessuna risposta è ancora arriva dalla Asl H, per il carcere di Velletri, e dalla Asl di Frosinone, che gestisce i servizi sanitari nel carcere del capoluogo (503 reclusi) e in quelli di Paliano (54 detenuti) e di Cassino (296 detenuti). Quello dei Tavoli tecnici è il secondo progetto del Garante dei detenuti che viene indicato dal Dap come pratica virtuosa da replicare su tutto il territorio nazionale: il primo era stato il Progetto della teleuniversità, che consente ai detenuti di seguire a distanza le lezioni e di laurearsi pur non frequentano fisicamente gli atenei. Basilicata: amnistia e carceri, Maurizio Bolognetti ancora con Marco Pannella www.laprimapagina.it, 15 gennaio 2014 "A chi nel commentare la decisione di Marco Pannella di riprendere lo sciopero della sete dice "ancora", rispondo che quell’ancora farebbe bene a rivolgerlo a chi non ha ancora preso atto che occorre spezzare la catena rappresentata da oltre un trentennio di ininterrotta violazione dei diritti umani nel nostro Paese". Lo dichiara Maurizio Bolognetti, segretario dei Radicali Lucani e componente della direzione nazionale del partito. "Quell’ancora" - prosegue - lo si rivolga a chi, come i Presidenti di Camera e Senato, non ha ancora provveduto a calendarizzare, come dovuto, un dibattito sul messaggio che il Presidente Giorgio Napolitano ha indirizzato alla Camere "sulla questione carceraria". Ancora, certo. Ancora, perché non possiamo e non vogliamo rassegnarci a una strage di legalità che si fa inevitabilmente strage di popoli. Ancora, perché le questioni che poniamo attengono la vita del diritto e il diritto alla vita; perché siamo dolorosamente consapevoli che la bancarotta della giustizia che denunciamo da tempo ha un pesantissimo riflesso sulla vita sociale ed economica del nostro Paese. Ancora, perché siamo consapevoli che stiamo lottando per ripristinare lo Stato di diritto e che il tema posto riguarda la vita di un’intera comunità, di tutti e di ciascuno, e la civiltà giuridica di un Paese. Ancora con Marco Pannella e a sostegno del presidente Napolitano, che ha vestito i panni di garante del dettato costituzionale, del diritto e dei diritti. Ancora, perché vogliamo che il nostro Stato rispetti la sua propria legalità e che le Istituzioni onorino le loro funzioni". "Una volta di più - conclude Bolognetti - innalziamo le nostre bandiere: Diritto, Giustizia, Amnistia, Libertà". Marche: un ex carabiniere di 37 anni sarà primo detenuto con il braccialetto elettronico di Gabriele Ferretti www.vivereascoli.it, 15 gennaio 2014 Ascoli sarà prima città nelle Marche ad adottare il braccialetto elettronico per i detenuti agli arresti domiciliari. Il primo ad indossarlo sarà un ex carabiniere di 37 anni, arrestato con l’accusa di aver picchiato e tenuto sequestrata la sua ragazza. Sin dalla sua invenzione ed introduzione nel sistema detentivo italiano, che risale a 14 anni fa, il braccialetto elettronico ha sollevato una serie di perplessità sulla sua effettiva efficacia e necessità. Come spesso accade, intorno a questo genere di innovazioni, si formano due schieramenti: chi è favorevole e chi è contrario al cambiamento. Di certo all’estero è uno strumento che funziona e che riduce notevolmente la recidiva di reato. In Europa, solo il 23% di coloro che lo indossano, stando ai sondaggi, torna in carcere. Chi invece viene rinchiuso, nel 61% dei casi, commette nuovamente qualche crimine che lo fa finire in prigione. Reso celebre anche da alcune star hollywoodiane che ne hanno dato sfoggio dopo essere state condannate per la loro condotta indecente, vedi i casi di Lindsay Lohan e Paris Hilton, in Italia non ha ancora avuto gli effetti sperati. Negli ultimi anni, la sua sperimentazione ha subito un pesante rallentamento, dovuto anche alla fine dell’accordo con Telecom, che forniva il servizio tramite il quale il detenuto doveva essere rintracciato. Il partito del no basa la sua offensiva sul fatto che questo strumento sia costato fin troppi soldi allo Stato italiano, senza avere effetti apprezzabili. Un’invettiva che si fonda sui numeri: dal 2003, anno di inizio della sperimentazione quando il Ministro dell’Interno era Roberto Maroni, al 2011, anno in cui è cessato il contratto con Telecom, sono stati spesi oltre 86 milioni di euro per l’attivazione di 400 dispositivi. Di questi, solo 8 sono stati messi in funzione. Un numero ridicolo che non può essere preso in esame né per le statistiche né per dare un giudizio sull’esito dell’innovazione. Se ci si azzardasse, certamente la bilancia penderebbe verso la totale bocciatura di questa tecnologia. È altrettanto vero, e ciò depone a favore del partito del SI, che il braccialetto aiuterebbe a risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri, una delle criticità del sistema detentivo italiano. Con questo apparecchio sarebbe possibile, infatti, evitare la reclusione per chi commette quei reati per cui la legge prevede l’applicazione del dispositivo elettronico, il che avrebbe come risultato una sensibile riduzione del numero di detenuti nelle carceri. A quel punto non resterebbe che augurarsi che il braccialetto elettronico abbia gli stessi effetti che la sua introduzione ha avuto in tutta Europa. Sotto questo punto di vista, quindi, Ascoli rappresenta l’avanguardia nella sperimentazione di un dispositivo che potrebbe costituire un punto di svolta all’interno del sistema di sicurezza italiano. Napoli: "Presidente mi conceda l’eutanasia"… la disperazione di un detenuto a Poggioreale di Giuseppe Crimaldi Il Mattino, 15 gennaio 2014 Vincenzo Di Sarno, 35 anni affetto da un grave tumore chiede aiuto a Napolitano. La disperazione e la solitudine tra le quattro mura di una cella sono una miscela esplosiva. Sono due condizioni che ti scavano nel profondo e ti rodono dentro, soprattutto quando sai che ti resta poco da vivere. Se è vero, come scrisse Albert Camus, che "non c’è amore per la vita senza la disperazione di vivere", allora provate a immaginare questa tempesta di sentimenti nello stato di esistenza di un recluso. Peggio ancora: di un detenuto che sconta la sua pena in terra in un carcere come quello di Poggioreale. Vincenzo Di Sarno non avrà mai letto le pagine de "Il dritto e il rovescio" ma di certo, nel silenzio e nel dolore delle sue notti dietro le sbarre, un’intuizione l’ha avuta. Così ha preso carta e penna per scrivere a Giorgio Napolitano. Una lettera che trasuda sofferenza, quella di chi sa che non ha più niente in cui sperare. Se non nella morte. "Illustrissimo Signor Presidente, faccio appello a Lei perché oramai sono allo stremo delle forze, sia fisiche che mentali e - se solo potessi - sceglierei la pena di morte". Cartoline spedite dall’inferno di un penitenziario da Terzo Mondo. L’ultima porta la firma di quest’uomo affetto da un tumore al midollo osseo, più volte operato senza successo. Eppure Di Sarno dovette immaginare di essere un privilegiato quando - ed era il 28 settembre dell’anno scorso - vide comparire avanti al cancello della cella in cui sconta la sua pena nientemeno che il presidente della Repubblica. Quella visita ebbe l’effetto di un balsamo sul cuore, gli regalò una grande speranza. Passarono i giorni, le settimane senza che però arrivasse una buona notizia: così, un mese dopo, questo 35enne che da quasi cinque anni vive nel carcere di Poggioreale ha deciso di mettere nero su bianco, indirizzando una lettera al Quirinale nella quale invoca l’eutanasia. Vuole percorrere, per propria scelta, il miglio verde che porta alla fine. "Egregio Signor Presidente - scrive Di Sarno - mi indichi Lei quale di queste due strade debbo intraprendere: quella di una siringa letale endovena o quella di essere inviato in qualche clinica svizzera ad effettuare l’eutanasia?". Poggioreale, Italia. Un carcere in cui si raggiungono livelli di sovraffollamento fuori da ogni contesto di immaginabile civile; ma anche una struttura - e questo va sottolineato - che si regge grazie ai sacrifici dei suoi dirigenti, funzionari e agenti di polizia penitenziaria che quotidianamente vivono un dramma parallelo e speculare a quello dei reclusi. Perché qui, a Poggioreale, lavorare essendo costretti a gestire numeri tanto pesanti diventa condivisione del dolore di chi non ha più la libertà. Ma torniamo alla lettera. In questa pagina scritta fitta fitta a stampatello Di Sarno paragona la sua situazione a quella di chi vive "in un inferno" e spiega che "sopravvivere così come fossimo "bestie" (ma loro godono di più attenzioni...) in una struttura piena zeppa di barriere architettoniche; durante la giornata, poi, a causa di forti dolori retro-nucali sono costretto a indossare un fastidioso collare cervicale rigido, anche per mancanza di cure adeguate, per la grave patologia di cui soffro". "Adesso le chiedo - insiste Di Sarno -può un essere vivente campare in questo modo? La malattia è neurodegenerativa e che nel giro di un anno o poco più ho perso circa 60 chili. Perché tanta malvagità e disprezzo nei miei confronti? E con questo tipo di popolazione sempre più numerosa?". Con una media di presenze annua che si assesta intorno alle 2.600 unità la casa circondariale del capoluogo campano straccia ogni record negativo che continua a sovraesporre l’Italia agli strali della Corte europea di Giustizia, che ci osserva da vicino e ci condanna inchiodandoci a responsabilità precise, che investono soprattutto l’altalenante politica giudiziaria dell’Italia. Perché se i numeri indicano 2400-2600 "ospiti", la verità è che in ogni caso si tratta di una cifra doppia rispetto a quante Poggioreale ne dovrebbe e potrebbe contenere. "Signor Presidente - conclude Di Sarno - Io so solo una cosa: che la testa mi scoppia, la depressione è all’ordine del giorno e che neppure più gli occhi per piangere mi sono rimasti, in questo orribile e dolente carcere". Cascini vicecapo del Dap: "L’ultima parola spetta al magistrato" "In Italia la condizione dei detenuti gravemente ammalati è un problema enorme, e di proporzioni difficilmente quantificabili. La vera questione non è il problema della malattia, ma di come garantire a tutti le cure più idonee e adeguate. E noi abbiamo ancora purtroppo molta gente che muore per patologie gravi come quelle tumorali in fase terminale. Ma una cosa su questo argomento deve essere chiara, e bisogna fare chiarezza una volta per tutte: in tutti questi casi la parola decisiva non spetta al ministero, ma ai magistrati". Va subito al cuore del problema, Francesco Cascini. Il vicecapo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria conosce bene la vicenda umana e personale di Vincenzo Di Sarno, che ha anche incontrato un paio di volte, a Poggioreale. Com’è possibile che un detenuto in condizioni di salute tanto disperate continui a dover scontare la sua pena in un carcere come quello di Poggioreale? "In linea generale, dal punto di vista normativo, ci sono già disposizioni che prevedono la possibilità che - in presenza di un quadro clinico che dimostri i gravi motivi di salute - sia il giudice, o il magistrato di sorveglianza, a ricorrere a decisioni che possono arrivare addirittura a far sospendere la pena. Il Dap ovviamente mantiene una responsabilità sulla condizione dei detenuti ammalati: ma solo un magistrato competente può prendere la decisione di chi debba stare dentro e chi fuori. E, purtroppo, a parità di condizioni devo ammettere che non sempre c’è uniformità di scelte da parte dei giudici. Detto questo, il compito di curare le persone neppure spetta a noi, ma alle Asl competenti per territorio". E nel caso concreto di Di Sarno che cosa può dire? "Premesso che a Poggioreale tutti i problemi si aggravano ulteriormente, va detto che trasferire Di Sarno magari in un’altra struttura - faccio un esempio - come quella di Avellino gli provocherebbe più danno che giovamento, perché almeno Poggioreale dispone al suo interno di un presidio sanitario che non esiste in molti altri posti. Pur nelle difficoltà del carcere di Napoli, almeno noi sappiamo che lì viene seguito. Posso anche dire che stiamo facendo passi presso il magistrato di sorveglianza per cercare di dare sbocco a questa sua situazione. Speriamo di riuscirci". Tamburino (Dap): seguiamo da mesi caso detenuto malato a Poggioreale "È un caso che abbiamo seguito da mesi, richiedendo una quotidiana relazione sulle condizioni di salute". Lo dice all’Adnkronos il capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburino, in merito alla vicenda di Vincenzo Di Sarno, detenuto a Poggioreale, malato di tumore e attualmente recluso nel padiglione San Paolo, che ha rivolto un appello al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, per chiedere di poter morire. A farsi portavoce dell’appello di Di Sarno, 34 anni, è stata la madre, Maria Cacace. "Ultimamente - prosegue Tamburino - nella certezza che tali condizioni vengano seguite con la dovuta attenzione, abbiamo chiesto un report settimanale. Inoltre abbiamo dato disposizioni che venga informata l’autorità giudiziaria ove si ravvisi, sulla base delle documentazioni della Asl, l’incompatibilità delle sue condizioni con la detenzione". Il caso viene dunque monitorato costantemente dalla Asl e dal Dap. A decidere la scarcerazione del detenuto che è condannato in maniera definitiva, fine pena 2025, sarà il magistrato di sorveglianza che dovrà eventualmente decidere il differimento della pena. Napoli: Radicali; nel Padiglione "San Paolo" di Poggioreale anche un altro detenuto malato grave Adnkronos, 15 gennaio 2014 Quello di Vincenzo Di Sarno, il detenuto malato di tumore che ha rivolto un appello al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, non è un caso isolato. Il padiglione in cui è recluso Di Sarno, il "San Paolo" di Poggioreale, è lo stesso in cui si trova attualmente Angelo Rosciano, il cui caso è al centro della battaglia intrapresa dal Comitato "pro Angelo" promosso dalla figlia Carmela Rosciano e sostenuto dai Radicali Salerno. Angelo Rosciano, diabetico e con gravi problemi di salute, con un arto amputato, sulla sedia a rotelle e semicieco, è stato oggetto di un provvedimento di revoca degli arresti domiciliari a seguito di una decisione del Tribunale di Sorveglianza di Potenza. "La figlia, Carmela Rosciano, analogamente ha scritto una lettera al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e anche al ministro Cancellieri - dice all’Adnkronos Donato Salzano, segretario dei Radicali di Salerno - chiedendo il differimento della pena agli arresti domiciliari per incompatibilità evidente con il regime carcerario; provvedimento ottenuto peraltro un anno fa ma annullato quest’anno dopo la decisione del tribunale di Potenza che sulla base di una perizia medica a dir poco discutibile ne ha ordinato il rientro al padiglione San Paolo". Dalla mezzanotte di oggi il segretario dei Radicali di Salerno, Salzano, insieme a Carmela Rosciano, aderirà allo sciopero della fame e della sete iniziato già da lunedì scorso da Marco Pannella e al quale hanno aderito anche Rita Bernardini e Maurizio Turco, affinché sia discusso alle Camere il messaggio di Napolitano sull’amnistia e l’indulto, "mai messo all’ordine del giorno - sottolinea Salzano - né dal presidente della Camera Boldrini né dal presidente del Senato Grasso". Al Padiglione San Paolo è stato inoltre costituito il comitato per la giustizia e l’amnistia: i primi due aderenti sono stati proprio Angelo Rosciano e Vincenzo Di Sarno. Al comitato per Angelo Rosciano e per l’amnistia e la giustizia ha aderito anche il vescovo di Teggiano Policastro, monsignor Antonio De Luca. A mio padre, invalido al 100%, revocati i domiciliari Un altro appello è stato rivolto al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e al ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri dalla figlia di un altro detenuto malato recluso a Poggioreale. Angelo Rosciano, sessantenne di Polla, diabetico e con gravi problemi di salute, con un arto amputato, sulla sedia a rotelle e semicieco, è stato oggetto di un provvedimento di revoca degli arresti domiciliari a seguito di una decisione del Tribunale di Sorveglianza di Potenza. In una missiva scritta il 20 dicembre 2013, la figlia, Carmela Rosciano, denuncia "la drammatica situazione" di suo padre, detenuto presso il padiglione San Paolo, lo stesso in cui si trova Vincenzo Di Sarno. "A causa di una sentenza per ricettazione scaturita da un processo il cui inizio risale a ben 15 anni fa - spiega - nel lungo periodo a nostra insaputa senza difesa, nell’aprile del 2012 mio padre viene arrestato. La tragica vicenda lo ritrova all’età di 60 anni in una drammatica situazione di salute". "Le sue precarie condizioni di salute - sottolinea in uno dei passaggi della lettera - non gli permettono la detenzione nella casa circondariale di Sala Consilina suo paese di origine e ne derivano il trasferimento al carcere di Poggioreale fornito di un’area clinica la cui precarietà è aggravata dal penoso problema del sovraffollamento che attribuisce al detto carcere il triste primato europeo di più affollato d’Europa". Nella lettera, Carmela Rosciano si rivolge a Napolitano e al ministro Cancellieri "per chiedere come sia possibile tale ingiustizia. Mio padre, accusato di un reato comune che non genera nessun allarme sociale, invalido al 100 per cento, diabetico, arteriopatico senza violare nessun obbligo nel trascorso di un anno di domiciliare ha tutto il diritto come vige nel nostro ordinamento alla pena alternativa drasticamente e inspiegabilmente negata". "Mio padre è una persona meravigliosa, come altrettanto lo definisce la relazione di buona condotta dei Carabinieri di Polla, da tutta la vita un instancabile lavoratore è una persona malata che ha bisogno di cure insostenibili per una struttura come Poggioreale - prosegue Carmela Rosciano. Al momento un’altra grande minaccia per la salute di mio padre è l’impossibilita da parte della struttura di fornirgli la giusta alimentazione". "Oltre alle varie patologie mio padre è privo di coliciste, problema che riduce la sua alimentazione all’interno della struttura alla pasta, veleno per il diabete i cui valori ormai superano i limiti da oltre 2 mesi, situazione già denunciata e comunicata al giudice dalla diabetologa del San Paolo - prosegue - Potrei scrivere pagine e pagine di inumana ingiustizia ma mi limito a supplicare il vostro intervento affinché mio padre possa ritornare a scontare la sua pena ai domiciliari, alla nostra cura e dei dottori specialisti". "In questo momento ogni giorno e notte vivo nell’angoscia insieme alla mia famiglia consapevole che mio padre rischia la vita giorno per giorno - conclude - Nuovamente supplico il vostro aiuto e urgente intervento per lui e per tutti i malati che all’interno delle strutture carcerarie non incontrano cure ma solo inumana sofferenza, affinché la nostra povera e bella Italia ritorni a essere uno stato di Diritto e mai più uno stato assassino. Nell’attesa di una vostra risposta a questa terza lettera, questa volta da me redatta come umile cittadina, vi porgo i miei più doverosi saluti". Bari: ergastolano paraplegico in sciopero fame, protesta per rifiuto giudice a cure in struttura esterna Ansa, 15 gennaio 2014 Condannato all’ergastolo per omicidio, sequestro di persona, rapina e altri reati, da due settimane rifiuta il cibo e i farmaci salvavita nel carcere di Bari. L’uomo, che ha perso 17 chili, protesta contro la decisione del tribunale di sorveglianza che gli nega le cure una struttura esterna. La vicenda è raccontata dalla Gazzetta del Mezzogiorno. Giuseppe Sanzone, di Vittoria (Ragusa), è da sette anni su una sedia a rotelle per un intervento chirurgico sbagliato, a suo dire, nel carcere di Cagliari. Giovedì scorso ha avuto una crisi da disidratazione ed è stato salvato con un flebo. Sanzone ha oggi 66 anni, quando è entrato in carcere ne aveva 22. Attualmente è detenuto nella sezione paraplegici del Centro diagnostico terapeutico (Cdt) della Casa circondariale di Bari. La condanna all’ergastolo è, fra l’altro, legata alla sua appartenenza alla banda che il 19 settembre 1988 sequestrò alla periferia di Milano l’imprenditore dell’acciaio Gianfranco Trezzi. L’imprenditore venne ucciso e il suo corpo tagliato a pezzi; la banda continuò a chiedere il riscatto anche dopo il delitto. Detenuto paraplegico sospende sciopero fame Ha interrotto lo sciopero della fame, accettando di sottoporsi ad una serie di terapie per recuperare una condizione fisica accettabile, Giuseppe Sanzone, l’ergastolano paraplegico detenuto nel carcere di Bari che da due settimane rifiutava cibo e cure per protestare contro il diniego della magistratura di sottoporlo a terapie in una struttura esterna. Lo ha riferito all’Ansa la direttrice della stessa Casa circondariale, Lidia De Leonardis. Sanzone ha accettato di sospendere la protesta e di sottoporsi a cure. "Ora le sue condizioni di salute sono in netto miglioramento" ha assicurato la direttrice del carcere, aggiungendo che il detenuto potrà, se lo staff medico lo ritenesse necessario e con l’autorizzazione della magistratura, sottoporsi ad accertamenti o altro al di fuori della casa circondariale, ovviamente sempre in regime di detenzione. A Bari un padiglione del Policlinico viene utilizzato proprio a questo scopo. Nel carcere di Bari, secondo quanto riferito dalla direzione, un intero piano del Centro diagnostico terapeutico (Cdt) ospita detenuti paraplegici che non possono vivere in una cella tradizionale. Tutti i sette posti disponibili sono attualmente occupati. Firenze: Osapp; dopo proteste per mancanza spesa, maxi-rissa e situazione grave a Sollicciano Ansa, 15 gennaio 2014 "Dopo le proteste dei giorni scorsi di circa 200 detenuti delle sezioni 11, 12 e 13 del reparto penale del carcere di Firenze-Sollicciano, le stesse in cui si era attuato il discutibile progetto della cosiddetta vigilanza dinamica con celle completamente aperte per la circolazione di detenuti e polizia penitenziaria presente solo saltuariamente, una maxi-rissa si è verificata quest’oggi al campo sportivo, con circa 40 detenuti coinvolti ed alcuni anche seriamente feriti". Ne dà notizia in una nota Leo Beneduci, segretario generale del sindacato di polizia penitenziaria Osapp, denunciando "un aggravarsi delle preoccupanti tensioni già presenti nella struttura anche per gli insostenibili rischi che il Personale si trova ad affrontare quotidianamente". Secondo l’Osapp, "le principali responsabilità di una situazione che peggiora ogni giorno e vede il venir meno nel carcere fiorentino delle regole della civile convivenza, sono da ricercarsi negli errori di gestione della direzione e nell’inerzia del provveditore regionale che non hanno saputo cogliere adeguatamente gli allarmanti segnali di questi ultimi due mesi. Se esistessero un’Amministrazione penitenziaria centrale responsabile ed efficiente e un Ministro della Giustizia sensibile ai disagi che il carcere in Italia procura non solo ai detenuti, ma anche alla Polizia Penitenziaria - conclude Beneduci - avremmo potuto sperare in immediati e concreti correttivi e non immaginare, come purtroppo siamo costretti a fare, ulteriori e gravi situazioni nel carcere di Firenze come in molti altri penitenziari sul territorio nazionale". Brogi (Pd): a Sollicciano situazione incendiaria "A Sollicciano ci sono due questioni urgenti che devono essere affrontare quanto prima. Una riguarda la carenza di personale di Polizia presente con un numero inadeguato; l’altra riguarda il sovraffollamento ormai arrivato a livelli insostenibili. E infatti, due risse si sono scatenate nel giro di pochi giorni, provocando feriti; l’ultima, quella di oggi in cui sono stati coinvolti circa 40 detenuti. Mi pare evidente che a Sollicciano basta una scintilla a provocare un incendio". È quanto dichiara Enzo Brogi, consigliere regionale Pd toscano, in merito alla rissa avvenuta oggi al carcere di Sollicciano. Genova: Sappe; non c’è sicurezza nel Palazzo di Giustizia per la Polizia Penitenziaria Ansa, 15 gennaio 2014 Luoghi malsani, alto tasso di inquinamento e grande presenza di polveri sottili: è l’inquietante fotografia delle gravi e pericolose condizioni di lavoro dei poliziotti penitenziari del Nucleo Traduzioni quando si recano al Palazzo di Giustizia di Genova. La denuncia arriva dal Sappe, Sindacato più rappresentativo della Polizia Penitenziaria, che ha sollecitato un intervento del Ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri. "Dal 2007 il Sappe ha denunciato alle Autorità ministeriali, nazionali e regionali, ed alle Autorità della città di Genova - tra i quali il Prefetto, che era allora l’attuale Ministro Guardasigilli Cancellieri - i gravi disservizi e i pericoli per la salute connessi all’inquinamento ed alla presenza di polveri sottili nelle aree del Palazzo di Giustizia genovese nelle quali quotidianamente operano appartenenti alla Polizia Penitenziaria e sono presenti numerosi detenuti", spiega Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto del Sappe. I disagi sono la conseguenza del fatto che "l’ingresso alle camere di sicurezza del Palazzo di Giustizia è situato in una galleria, i numerosissimi mezzi di trasporto che la percorrono determinano un grave inquinamento e ingenti quantitativi di polveri sottili, persino stratificate sul manto stradale e sulle mura dell’edificio". Un serio pericolo per la salute di "coloro che quotidianamente sono costretti a stazionare quotidianamente (in primis il Personale di Polizia Penitenziaria ed i detenuti ivi tradotti) in un ambiento malsano e pericolosissimo per la salute delle persone". Il Sappe auspica un tempestivo intervento risoluto del Ministro della Giustizia Cancellieri, sottolineando come sia "oggettivamente grave che, dalle denunce del SAPPE del 2007 ad oggi, poco o nulla è stato fatto (per altro con evidenti responsabilità da parte di chi ha retto per molti anni il Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria della Liguria, che ha colpevolmente sottovalutato la significativa criticità) per risolvere un problema che merita la massima attenzione ed una urgente e definitiva soluzione a tutela della salute di tantissime persone". Firenze: Garante Toscana; superare Opg Montelupo, no a ulteriori proroghe della chiusura Ansa, 15 gennaio 2014 Nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo fiorentino permane "una situazione di incertezza derivante dalla mancata applicazione della legge, che prevede il superamento dell’Opg attraverso la creazione di piccole strutture terapeutiche territoriali. Una situazione che determina l’impossibilità di sviluppare progetti individualizzati efficaci". È quanto ha rilevato, spiega una nota, il Garante toscano dei detenuti Franco Corleone, che questa mattina ha visitato la struttura e ha incontrato gli operatori dell’Opg. "I 112 internati presenti e tutti gli operatori - spiega Corleone - attendono decisioni da parte delle autorità (Governo, Regione e Amministrazione penitenziaria) circa il definitivo superamento dell’Opg, senza ulteriori proroghe". Secondo Corleone "ulteriore rilievo riguarda l’urgenza di dissequestrare la sezione collocata al piano terra, oggi completamente rinnovata e assurdamente non resa disponibile per le esigenze di una più equilibrata distribuzione delle persone internate". Viterbo: carcere di Mammagialla, incontro dei Sindacati di Polizia penitenziaria con il Dap www.ontuscia.it, 15 gennaio 2014 Si è svolta ieri presso il Dap, alla presenza del vice Capo Dap dr. Luigi Pagano, del Provveditore del Lazio Dr.ssa Maria Claudia Di Paolo, del Direttore dell’ufficio III dr. Silvio Di Gregorio, del Direttore della CC Viterbo dr.ssa Teresa Mascolo e del direttore Ufficio relazioni sindacali Dap dr.ssa Pierina Conte, la riunione inerente le problematiche dell’Istituto CC Viterbo- Mammagialla. Per la Fns Cisl presenti il Segretario Nazionale Mattia D’Ambrosio, il Segretario Regionale Lazio Massimo Costantino, il Segretario Generale aggiunto di Viterbo Andrea Fiorini, il Segretario CC Viterbo Orlando Maurizio e il componente SAS Sergio Zolla. È stato deciso quanto segue: spostare i detenuti che hanno partecipato alla rissa; che i detenuti 41 bis, secondo quanto già programmato da tempo, saranno spostati ad altra sede; rivedere l’alta sicurezza (As); incidere sui detenuti comuni in materia significativa; entro fine gennaio o al massimo inizio di febbraio, saranno convocate le organizzazioni sindacali per le piante organiche extra-moenia. Da segnalare che la contrattazione è stata riportata a livello locale al fine di definire un progetto dell’organizzazione di lavoro, condiviso dalle parti (organizzazioni sindacali, dirigenza, funzionario e funzionari delle varie figure professionali con particolare riferimento alla sicurezza). Agrigento: "Un Amico per evadere dalla solitudine", Associazione per i diritti dei detenuti di Vincenza Foceri www.sicilia24news.it, 15 gennaio 2014 Un’associazione che mira al reinserimento dei detenuti, nata con l’intento di regalare ai reclusi un’altra possibilità, aldilà del carcere, aldilà dell’isolamento vissuto in una cella troppo spesso stretta e affollata. Con questa idea fissa Roberta Lala ha scelto di fondare ad Agrigento "Un Amico per evadere dalla solitudine". Lei che nella vita si occupa di tutt’altro, ha dalla sua "un’empatia particolare" nei confronti di chi soffre le pene della detenzione, particolarmente pesanti in un Paese come l’Italia. In un’intervista ci spiega come nasce l’idea di questo progetto. Roberta Lala ci racconti la storia dell’associazione "Un amico per evadere dalla solitudine"… Nel 2000 ho deciso di mettere in piedi questa associazione per dare supporto ai detenuti, per aiutarli nel reinserimento e non solo. Aiutare chi finisce in carcere, garantendogli un futuro per evitare che torni a delinquere, serve alla società tutta, ci aiuta a vivere in un mondo migliore. Ci occupiamo solo di persone che hanno da scontare pene per piccoli reati. Chi ha sbagliato deve scontare la sua pena, non ci sono dubbi, ma non per questo i suoi diritti devono essere calpestati. E poi non dimentichiamo che, purtroppo, in Italia la giustizia non funziona come dovrebbe. Molte persone vengono arrestate e poi assolte o tenute in carcere da innocenti per tempi lunghissimi. Insomma, "Un amico per evadere dalla solitudine" serve a tutelare i diritti negati di chi finisce nel circuito giudiziario. Il nostro Paese è già stato punito dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo troppe volte. Vogliamo cambiare le cose. Quali sono gli obiettivi e i progetti portati avanti finora? Da quando l’associazione è nata abbiamo fatto diverse cose. Innanzitutto ci occupiamo di fornire, a chi non ha i mezzi, assistenza legale gratuita. Inoltre abbiamo fatto raccolta di generi alimentari, spedizione gratuita di libri e tutela dei figli minori rimasti da soli per via dei genitori in carcere, anche tramite l’ausilio di assistenti sociali. Infine supporto psicologico ed epistolare per quanti ce ne fanno richiesta e collaborazione con i consolati per gestire le esigenze dei ristretti di origini straniere. Con quali penitenziari avete collaborato finora? Con quello di Agrigento per quanto riguarda la spedizione di libri gratuiti e il supporto alle famiglie. Qui, infatti, c’è anche la sezione femminile. Molte detenute hanno lasciato fuori dal carcere figli piccoli e noi abbiamo cercato di dare loro una mano. Inoltre abbiamo avuto contatti con il carcere di Rebibbia e di Opera. Le richieste di supporto epistolare ci arrivano da diversi penitenziari per via del passa parola che ormai si è creato tra i detenuti. Quali sono le iniziative che intendete portare avanti nel futuro? Ci stiamo concentrando su progetti legati al reinserimento lavorativo. Abbiamo preso contatti con diversi imprenditori per creare cooperative di tipo b, quelle ciò che prevedono corsi e possibilità di impiego per detenuti. I vantaggi sono tanti, non solo per i reclusi ma anche per chi decide di investire, grazie a sgravi fiscali e facilitazioni a livello contrattuale. Avete già trovato imprenditori disponibili? Si, diversi ma per ora preferisco non fare nomi. Per un periodo l’associazione ha smesso di esistere, come mai? Perché ero molto giovane e sono stata lasciata da sola. Spesso non è semplice operare in questo settore. Adesso però siamo tornati con maggiori motivazioni di prima. Sono una persona che vive con empatia le sofferenze altrui, per questo mi sono sempre occupata personalmente della corrispondenza con i detenuti. È un interscambio che dà molto a livello umano. Dove si trova la vostra associazione e dove possono scrivervi i detenuti che hanno voglia e bisogno di intraprendere uno scambio epistolare? La sede dell’associazione è ad Agrigento, in via dell’unità d’Italia 122 - 92100 A questo stesso indirizzo ci possono scrivere tutti i detenuti che hanno bisogno di noi. Modena: "Nel Cie svuotato officine per detenuti", proposta di Garante e Gruppo Carcere-Città Gazzetta di Modena, 15 gennaio 2014 Visto che salvo sorprese il gigantesco edificio che ospitava il Cie, dove venivano rinchiusi i clandestini senza documenti, non verrà più utilizzato per lo scopo per cui fu costruito, perché non usarlo come officina di lavoro per i detenuti del vicino carcere S. Anna? È questa la proposta del gruppo Carcere - Città di Modena che chiedono di sfruttare tutte le opportunità per valorizzare il potenziale lavoro delle centinaia di reclusi che sono rinchiusi proprio lì a fianco. "Speriamo si tratti di un passo importante verso una diversa soluzione - scrive l’associazione che da molti anni si occupa dei reclusi a Modena - più rispettosa dei diritti umani, dei problemi dei migranti e di quelli legati alla sicurezza, a partire dall’abolizione del reato di clandestinità. Facciamo appello agli imprenditori, assieme alla garante regionale dei diritti dei detenuti, Desi Bruno, per formare una cordata e offrire lavoro. "Ci sono gli spazi - scrive la Bruno - gli sgravi fiscali, una manodopera meno costosa e con voglia di fare". Noi volontari però sappiamo che gli spazi non ci sono. Non sono nemmeno stati pensati nel progetto per il nuovo padiglione. Ma ora si apre un’opportunità nuova: la struttura ex Cie è molto vicina al carcere. Non è difficile creare un collegamento tra i due edifici, niente si frappone tra loro. "Sarebbe ragionevole - aggiunge Bruno - che la struttura fosse utilizzata per favorire l’accesso a misure alternative mediante la creazione di alloggi o impiegata per attività lavorative". Noi appoggiamo con convinzione questa proposta ed esprimiamo la nostra piena solidarietà alla garante per la tempestività e chiarezza del suo intervento. Con l’attuazione di un progetto di questo tipo Modena, oltre a recuperare una struttura che altrimenti rischia di andare in rovina, si porrebbe all’avanguardia nella soluzione dei problemi carcerari ormai sentiti dalla parte più avvertita e consapevole della società. Si introdurrebbe nei fatti quella rivoluzione copernicana che da tanto si attende: la pena non più funzionale solo alla punizione del reo, ma soprattutto alla sua presa di coscienza per il pieno reinserimento nella società. Da ultimo un’osservazione che non riteniamo irrilevante. Le misure alternative, così come l’affidamento ai servizi, richiedono un luogo dove scontarle; ne possono usufruire quelli che hanno una famiglia alle spalle o mezzi economici sufficienti e questo discrimina i più poveri. "E poiché sempre più poveri, inevitabilmente sempre più pericolosi". Si concludeva infatti così, provocatoriamente, un convegno tenuto nella Casa di lavoro di Castelfranco venerdì 25 ottobre sulla condizione degli internati". Vediamo ora le reazioni. Pisa: Garante dei diritti dei detenuti, entro un mese la nomina Il Tirreno, 15 gennaio 2014 Entro trenta giorni il sindaco di Pisa, Marco Filippeschi, dovrà nominare il garante per i diritti dei detenuti. È questo, in estrema sintesi, l’importante risultato che abbiamo ottenuto venerdì scorso in consiglio comunale con l’approvazione di una mozione da noi presentata e che è stata approvata da tutte le forze politiche, ad eccezione di Forza Italia che si è astenuta. Tra giugno e luglio scorsi avevamo inviato due lettere al sindaco Filippeschi sollecitando la nomina di questa importante figura, ma non avevamo ricevuto alcuna risposta alla nostra richiesta. Da qui la decisione di presentare una mozione nel mese di settembre che finalmente venerdì pomeriggio è stata discussa ed approvata. Ci auguriamo che il sindaco proceda quindi a nominare il garante entro i trenta giorni indicati dal consiglio comunale, visto che questi ritardi sono per noi immotivati ed inspiegabili tanto più alla luce di una condizione all’interno delle struttura di detenzione sempre più insostenibile. In carcere in Italia al 30 novembre 2013 ci sono 64.047 persone. I posti "regolamentari" sarebbero 47.649, ma in realtà, secondo stime più attente contenute nel decimo rapporto sulle condizioni di detenzione in Italia redatto dall’Osservatorio Carceri di Antigone risulta che la capienza reale sia di 37.000 posti. Perciò il tasso di sovraffollamento, ufficialmente al 134,4%, schizzerebbe perciò al 173%. Anche il carcere Don Bosco di Pisa, come hanno riportato spesso le cronache degli organi di informazione, vive una pesante condizione di sovraffollamento. In questo quadro è ancora più evidente la necessità di una figura di garanzia che si attivi quando viene segnalata una situazione che comporti la compressione di un diritto (con particolare riferimento ai diritti fondamentali, al lavoro, alla formazione, alla cultura, all’assistenza, alla tutela della salute) o il suo mancato esercizio, intervenendo presso le istituzioni competenti al fine di sollecitare ogni utile intervento. Ma c’è anche la necessità di una figura come quella del garante che svolga un’attività di sensibilizzazione pubblica sul tema dei diritti umani e sulla finalità rieducativa della pena, avvicinando la comunità locale al carcere, con il sostegno fondamentale della rete del volontariato e della cittadinanza attiva. Inoltre il garante per i diritti dei detenuti, essendo esterno e indipendente rispetto all’apparato carcerario ha pure un importante ruolo di "vigilanza" affinché l’esecuzione della pena detentiva sia conforme, nella sostanza, al dettato costituzionale e risulti quindi depurata di ogni afflittività aggiuntiva rispetto a quella, già così devastante, che le è propria. Consiglieri comunali della lista "Una città in Comune" a Pisa Monza: Gad Lerner in carcere, un progetto per detenuti con Brianza Biblioteche Il Giorno, 15 gennaio 2014 Il giornalista si è intrattenuto raccontando "Scintille", il libro con cui ha rievocato il percorso della sua famiglia dal Libano all’Ucraina. Ha parlato di migrazione, viaggi e necessità di un’identità. E sottolinea che "la vita in carcere non è facile, ma dev’essere occasione per ricominciare". Monza, 14 gennaio 2014 - Appuntamento nella biblioteca del carcere di Monza per raccontare una storia di famiglia. Il giornalista Gad Lerner, questa mattina, ha incontrato alcuni detenuti delle sezioni aperte della casa circondariale di Monza per raccontare "Scintille", il libro con cui ha rievocato il percorso della sua famiglia dal Libano all’Ucraina. L’incontro con Lerner si inserisce nel progetto "La biblioteca è una bella storia" e ha visto la partecipazione di alcuni bibliotecari della rete Brianza Biblioteche, che lo sostiene col Comune di Monza. Lerner parlato di migrazioni, di viaggi, della necessaria ricerca di un’identità. Poi, riconosce che la vita in carcere non è facile. Ma dev’essere l’occasione per ricominciare. E lo si può fare sfruttando al meglio le giornate trascorse oltre le sbarre. Per questo la direzione del carcere di Monza ha avviato una serie di progetti, laboratori e attività lavorative in grado di riempire le ore. Da mesi è stata anche adottata la cosiddetta "sorveglianza dinamica integrata": i reclusi a media e bassa pericolosità vivono con le celle aperte durante il giorno, controllati da un gruppo di agenti di polizia penitenziaria in pattuglia nelle varie aree del detentivo. Oltre al monitoraggio 24 ore su 24 con il sistema di videosorveglianza. Inoltre si sta cercando di potenziare le attività di lavoro, sport, culturali, didattiche e ricreative con il contributo dei volontari, degli educatori, degli insegnanti e degli agenti di polizia penitenziaria. Padova: all’Unipd al via anno accademico in carcere, fino ad oggi 22 i detenuti laureati www.controcampus.it, 15 gennaio 2014 L’Unipd celebra l’inizio dell’Anno Accademico per gli studenti che vivono in regime di detenzione presso la Casa di Reclusione "Due Palazzi". La cerimonia dell’Unipd si svolgerà giovedì 16 gennaio 2014 alle ore 12.00 alla presenza del Magnifico Rettore dell’Unipd prof. Giuseppe Zaccaria e del Provveditore Regionale dott. Pietro Buffa. Interverranno il Direttore del Carcere dott. Salvatore Pirruccio, il Prorettore al Diritto allo Studio dell’Unipd prof. Guido Scutari, la Coordinatrice del progetto carcere dell’Università prof.ssa Francesca Vianello e i tutor universitari che consegneranno i libretti ai neo-iscritti. Il momento conclusivo spetterà alla Big Band Jazz dell’Università di Padova guidata dal maestro Alessandro Fedrigo. Tra i presenti all’Unipd oltre a tutti gli studenti detenuti iscritti ai corsi di laurea anche i docenti universitari volontari e l’Associazione Volontari Carcerari che con il loro inestimabile impegno rendono tale iniziativa solida e duratura. L’occasione dell’Unipd viene individuata anche quale momento per festeggiare i dieci anni di attività sanciti dalla firma del protocollo d’intesa (dicembre 2003) tra Amministrazione carceraria e Università di Padova in base al quale viene offerta la possibilità ai detenuti di iscriversi ai corsi di studio universitari usufruendo di servizi di supporto didattico e amministrativo, di esoneri dal pagamento delle tasse e agevolazioni per il prestito librario. Tutti i detenuti iscritti all’Unipd godono infatti di un servizio ad hoc di tutorato, della programmazione di cicli di didattica di supporto per alcune materie e della possibilità di sostenere gli esami, nonché la discussione della tesi, presso la casa di reclusione con la predisposizione di regolari commissioni d’esame. Di certo un esempio da esportare. Il progetto ha portato alla laurea triennale e magistrale, ad oggi, 22 detenuti. Volterra (Pi): chef e detenuti insieme, per una nuova edizione delle Cene Galeotte www.ristorazionecatering.it, 15 gennaio 2014 Avete mai sentito parlare delle Cene Galeotte? Dante non centra, anche se siamo in Toscana, e nemmeno il romanticismo; centra invece la buona tavola e la solidarietà, quella della bella iniziativa della Casa Circondariale di Volterra che, ormai dal 2008, organizza un ciclo di cene mensili realizzate dai detenuti con il supporto di chef professionisti. Solo l’edizione dell’anno scorso ha raccolto il favore di oltre mille partecipanti, entusiasti della bravura e della competenza dei detenuti-cuochi. Pensate che grazie al percorso formativo in sala e cucina intrapreso in carcere, per ben sedici di loro si sono aperte le porte di un lavoro vero presso ristoranti locali, come da articolo 21 che regolamenta il lavoro una volta scontata la pena. Il costo di ogni cena è di 35 euro e il ricavato è interamente devoluto alla Fondazione Il Cuore Si Scioglie Onlus. Il progetto è realizzato con la collaborazione del Ministero della Giustizia, la direzione della Casa di Reclusione di Volterra, Fisar - Delegazione Storica di Volterra, Unicoop Firenze che fornisce le materie prime necessarie alla realizzazione dei piatti e assume i detenuti retribuendoli regolarmente, il supporto comunicativo di Studio Umami e la supervisione artistica del giornalista e critico enogastronomico Leonardo Romanelli, che individua gli chef coinvolti nell’evento. A partire da venerdì 24 gennaio e fino a venerdì 20 giugno saranno 6 gli chef ospiti: Angelo Torcigliani, Riccardo Agostini, Alessia Morabito, Giancarlo Morelli, Nicola Schioppo e Simone Cipriani. "Credo molto nelle iniziative sociali piuttosto che in quelle personali, quindi ringrazio di cuore Leonardo Romanelli per avermi chiesto di partecipare. - ci ha spiegato Giancarlo Morelli - Credo che l’emozione sarà tangibile quando entrerò nel carcere di Volterra; da bambino quando pensavo ai detenuti mi domandavo "cosa succede alle persone cattive?", poi crescendo mi ritrovo a pensare che la cattiveria sia in mezzo a noi ogni giorno. Sono felice di portare un po’ del mio modo di vivere e di allegria, e sono quasi certo che troverò delle sorprese. Di sicuro mi porterò a casa molto di più di quanto darò, spero di capire cosa significhi vivere in una situazione più che difficile, e magari imparerò qualche trucchetto in cucina! Sono curioso ed emozionato, quindi non vedo l’ora!" I posti ancora disponibili sono limitati: per info e prenotazioni contattare l’Argonauta Viaggi allo 055.2345040. Questo il calendario delle Cene Galeotte Venerdì 24 gennaio 2014 Chef: Angelo Torcigliani Ristorante Enoteca Il Merlo, Camaiore (LU) - www.ilmerlocamaiore.it Venerdì 21 febbraio 2014 Chef: Riccardo Agostini Ristorante Il Piastrino, Pennabilli (RN) - www.piastrino.it Venerdì 21 marzo 2014 Chef: Alessia Morabito La Terra di Nello, Castiglion della Pescaia (GR) - www.laterradinello.it Venerdì 18 aprile 2014 Chef: Giancarlo Morelli Osteria del Pomireou, Seregno (MB) - www.pomiroeu.com Venerdì 23 maggio 2014 Chef: Nicola Schioppo Osteria Cipolla Rossa, Firenze - www.osteriacipollarossa.com Venerdì 20 giugno 2014 Chef: Simone Cipriani Il Santo Graal, Firenze - www.ristorantesantograal.it Droghe: il M5s chiede la liberalizzazione di consumo e coltivazione della cannabis di Pietro Salvatori L’Huffington Post, 15 gennaio 2014 "La legge Fini-Giovanardi, che equipara le droghe pesanti come la cocaina con le droghe leggere, ha riempito le nostre carceri. Per questo abbiamo presentato un testo per modificarla". Il giorno dopo il via libera sul blog all’abolizione del reato di immigrazione clandestina, il Movimento 5 stelle rilancia con una proposta che di certo non può essere inclusa nel patheon delle cose da fare del centrodestra italiano. "Ma non mi considerate uno di sinistra", si difende Vittorio Ferraresi, anche se, a domanda, risponde di essere favorevole non solo alla liberalizzazione delle droghe leggere, ma anche ai matrimoni tra omosessuali e a una legislazione meno dura sull’immigrazione. Insomma, ideologicamente saranno pure distanti dai compagni di banco di Pd e Sel, ma, nei contenuti, i parlamentari stellati sembrano piuttosto lontani dal populismo di cui il loro leader si dichiara fiero. Tre i cardini della proposta - il cui testo siamo in grado di farvi leggere a fondo pagina - rilanciati anche sul blog di Grillo: - dimezzare le sanzioni penali per i consumatori di cannabis eliminando l’equiparazione della stessa alle droghe pesanti; - aumentare in 5 i grammi detenibili per uso personale e consentire, tassandola, la coltivazione di un massimo di quattro piante; - eliminare l’arresto obbligatorio e gli illeciti amministrativi per la detenzione e l’utilizzo di modiche quantità della sostanza. Non è una novità. Lo scorso marzo il deputato Michele Dell’Orco scriveva su Facebook: "Abolire la Fini-Giovanardi, depenalizzare questi reati, incentivare la produzione di canapa. Ne abbiamo già discusso sul blog di Beppe. Va abolita la legge che criminalizza l’uso della marijuana. È una cosa indegna paragonare la marijuana, la cannabis cioè una piantina a una droga pesante". Sarà il portale di discussione degli attivisti a elaborare il testo finale che sarà presentato in Parlamento. Sessanta i giorni per intervenire, "anche se chiederemo un abbreviamento dei tempi, per esigenze di Commissione", spiega Ferraresi. Se arriverà in aula, potrebbe causare qualche difficoltà nel gruppo parlamentare. "Io questa legge non la voterò mai", taglia corto Walter Rizzetto, consapevole che un voto difforme dal gruppo gli aprirebbe la strada alla procedura d’espulsione. Droghe: Vasco Rossi, da sempre antiproibizionista, riprende la tessera del Partito Radicale di Patrizio Gonnella (Presidente di Antigone) Il Manifesto, 15 gennaio 2014 La pagina Facebook di Vasco Rossi piace a oltre 3 milioni e 600 mila persone. Jovanotti ha meno di 2 milioni di seguaci. Il vincitore di Sanremo 2013 Marco Mengoni non raggiunge il milione di "mi piace". I seguaci di Matteo Renzi sono poco più di mezzo milione e se la battono con i fan di Silvio Berlusconi che sono 593 mila. Beppe Grillo, uomo della rete, ha meno della metà dei seguaci di Blasco. Negli Usa il boss Bruce Springsteen ha circa 4 milioni di fan mentre Barack Obama sfiora i 39 milioni di likes. Il rapporto tra rock e politica, dall’altra parte dell’oceano, inverte le classifiche. Marco Pannella piace invece a poco più di 30 mila persone. Sicuramente piace a Vasco Rossi che ieri si è iscritto al partito radicale proprio nelle giornate in cui il leader radicale ha ricominciato lo sciopero della fame e della sete a sostegno delle sue battaglie per l’amnistia e la legalità nelle carceri. Battaglie da sempre condivise da Vasco Rossi che ha conosciuto sulla sua pelle le follie del proibizionismo e la vita della galera. Nel lontano 1984 fu portato nel vecchio carcere di Pesaro. Fu arrestato di notte, manco fosse un criminale di grande profilo. Lui era in una discoteca bolognese dove il giorno dopo avrebbe dovuto suonare per la trasmissione Blitz, condotta da Gianni Minà. Vasco senza troppe remore consegnò i ventisei grammi di cocaina che deteneva. Rimase chiuso in carcere per 22 giorni nella cella numero 22, dove poco tempo prima si era impiccato un detenuto di origini iraniane. Venne messo in isolamento giudiziario per ben 4 giorni. Andarono a trovarlo, tra gli altri, Fabrizio De Andrè e Dori Ghezzi. I giornali lo chiamarono: il cattivo maestro, il drogato, lo sballato. Due anni dopo Vasco verrà condannato a 2 anni e 8 mesi per detenzione di sostanze stupefacenti. Non tornò in galera grazie alla sospensione condizionale della pena. Una volta uscito dal carcere di Pesaro, nel 1985 incise Cosa c’è nel cui testo scriveva: "Certo sei un bel fenomeno anche tu a farti prendere così...". Vasco si è sempre dichiarato un antiproibizionista. Nel 1993 sostenne il referendum radicale che depenalizzò il consumo di sostanze stupefacenti. Da allora sono passati più di vent’anni e la legislazione sulle droghe, contro la volontà popolare, si è fortemente irrigidita. Le prossime settimane saranno decisive per chi si occupa di carceri e di droghe. Il parlamento deve esaminare varie proposte di legge, dalla custodia cautelare alla messa alla prova, dalla depenalizzazione del reato di immigrazione irregolare alla istituzione del garante nazionale delle persone private della libertà. La Consulta deve esprimersi sull’intera legge Fini-Giovanardi sulle droghe giustamente accusata di incostituzionalità. Gli Usa, a partire dal Colorado, hanno avviato la retromarcia rispetto alla war on drugs. L’Uruguay ha recentemente legalizzato le droghe leggere. In Italia si è riaperto il dibattito con un intervento inaspettato da parte di un esponente leghista. Sono intervenuti Nichi Vendola e Luigi Manconi a sostegno della legalizzazione e depenalizzazione. Ivan Scalfarotto è il primo firmatario della proposta di legge frutto dell’impegno di tantissime organizzazioni impegnate nella campagna "tre leggi per la giustizia". Anche il Movimento 5 Stelle ha avviato un percorso legislativo non proibizionista. Sul blog di Beppe Grillo si legge: "La legge Fini-Giovanardi è un provvedimento intollerabile che ha creato solo un’assurda repressione nei confronti di chi fa uso di droghe leggere, ha contribuito all’emergenza carceraria e ha distolto le Forze dell’Ordine da impegni più importanti". Dalle pagine del manifesto avevamo lanciato un appello al M5S. È stato raccolto. Ora speriamo che anche il Pd si schieri compatto per la svolta non proibizionista. Il governo invece si tiene ben stretto Luciano Serpelloni alla guida del Dipartimento Anti-droga. Serpelloni non molto tempo fa scrisse una lettera aperta a Vasco Rossi. Eccone uno stralcio: "Faccia una intelligente e minima autocritica, e riconosca che le droghe, tutte le droghe, non hanno mai portato a nulla di buono". A quando l’autocritica di chi ha riempito le galere di tossicodipendenti e consumatori? Noi siamo dalla parte di Vasco. Germania: nell’ex Ddr detenuti obbligati a donare il sangue, poi rivenduto nei Laender Ovest Tm News, 15 gennaio 2014 Nell’ex Ddr i detenuti venivano obbligati a donare il sangue o a lavorare per le fabbriche della Germania ovest. Lo ha rivelato "Report Mainz", programma del primo canale pubblico tedesco Ard in onda stasera, secondo il quale l’ex Germania comunista, sull’orlo del fallimento, alla metà degli Anni ‘80 rivendeva il sangue dei prigionieri nei Laender occidentali. Il programma, che cita dei rapporti della Stasi, la temuta polizia segreta della Repubblica democratica tedesca, afferma inoltre che la Croce Rossa bavarese acquistò il sangue tramite un intermediario svizzero. Intervistata dall’Ard, la Croce rossa bavarese ha confermato di avere comprato del sangue proveniente dall’ex Ddr negli Anni 80. L’ex vice-direttore dell’istituto di Erfurt, nel sud dell’ex Germania est, incaricato delle trasfusioni e delle donazioni di sangue, Rudolf Uhlig, ha spiegato: "Abbiamo prelevato del sangue in modo irregolare. Valeva la pena di andare nella prigione (di Graefentonna), perché ogni volta avevamo tra i 60 e i 70 donatori". Cipro: ancora un suicidio in carcere Nicosia, quinto detenuto che si toglie la vita in sette mesi Ansa, 15 gennaio 2014 Un bulgaro di 28 anni, che stava scontando una condanna a 12 anni di carcere per violenza sessuale, si è tolto la vita questa mattina impiccandosi nella sua cella nel carcere di Nicosia. Lo riferiscono media locali ricordando che questo è il quinto suicidio nella stessa prigione dallo scorso luglio dopo che giovedì un detenuto romeno di 22 anni aveva denunciato di essere stato violentato da quattro compagni di cella. Dopo questi casi, indicativi del grave stato di sovraffollamento e di degrado raggiunto dal carcere della capitale cipriota, nella prigione è stata dispiegata una speciale squadra di polizia incaricata di dividere i detenuti a secondo del crimine per cui sono stati condannati e della loro pericolosità sociale. Le autorità carcerarie hanno inoltre disposto un incremento delle consulenze psichiatriche per valutare meglio le condizioni mentali dei detenuti e individuare coloro che sono più a rischio di depressione o di mettere in atto gesti autolesionistici. Marocco: re Mohammed VI grazia 314 detenuti, in occasione del compleanno di Maometto Nova, 15 gennaio 2014 Il re del Marocco, Mohammed VI, ha graziato 314 detenuti, in occasione della festa islamica del Moulid Nabawi, il compleanno del profeta Maometto. Il monarca di Rabat oltre a quello di capo di stato svolge anche un ruolo di leader religioso del proprio paese. Per questo, secondo quanto riporta l’agenzia di stampa marocchina "Map", ha emanato un decreto che consente la scarcerazione di 314 detenuti. Per la maggior parte di questi detenuti, 284, è stata cosi’ ridotta notevolmente la pena inflitta dai tribunali del paese. Un precedente decreto di grazia reale è stato emanato lo scorso mese di agosto. Tunisia: presidente Marzouki concede amnistia a 689 detenuti per anniversario rivoluzione Nova, 15 gennaio 2014 In occasione dell’anniversario della rivoluzione dei gelsomini il presidente della Repubblica tunisino, Mohamed, Moncef Marzouki, ha concesso l’amnistia a 689 detenuti. Una commissione dedicata ha studiato 2.238 casi e ha proposto l’amnistia per 1.806 detenuti, ma solo 689 ne hanno beneficiato, secondo quanto si legge in un comunicato della presidenza della Repubblica. Fra coloro che hanno usufruito dell’amnistia figurano donne e giovani studenti, alcuni disabili e dei cittadini libici. Non sono stati graziati, secondo quanto riferisce il comunicato, individui coinvolti in casi di terrorismo. Nigeria, attivisti denunciano, 38 omosessuali arresti dopo approvazione della legge anti-gay La Presse, 15 gennaio 2014 Trentotto uomini omosessuali sono stati arrestati nel nord della Nigeria, secondo la legge che vieta i matrimoni tra persone dello stesso sesso e criminalizza le associazioni gay. Lo fanno sapere gli attivisti del Centro internazionale per la salute riproduttiva e i diritti sessuali della Nigeria, aggiungendo che la polizia dello Stato di Bauchi ha una lista di 168 presunti gay, in cui rientrano i fermati. La direttrice esecutiva dell’organizzazione, Dorothy Aken’Ova, ha dichiarato che la nuove legge firmata dal presidente Gooluck Johnatan e soprannominata "Incarcera i gay" mette in pericolo e rende reato anche i programmi per la lotta ad Hiv-Aids nella comunità omosessuale. Il portavoce di Jonathan ha confermato ieri che la legge è stata firmata. Prevede pene fino a 14 anni di carcere per i matrimoni gay e fino a 10 anni per chi fa parte o incoraggia le associazioni omosessuali. Cina: ostetrica condannata a morte (con sospensione della pena) per vendita di neonati Adnkronos, 15 gennaio 2014 È stata condannata a morte, con sospensione della pena, un’ostetrica cinese accusata di avere venduto sette neonati ai trafficanti. La sentenza nei confronti di Zhang Shuxia è arrivata da un tribunale della provincia nordoccidentale cinese dello Shaanxi. Secondo la corte, la donna, che lavorava in un ospedale della contea di Fuping, avrebbe persuaso i genitori a consegnare sei neonati dicendo loro, anche se falso, che i piccoli soffrivano di problemi di salute congeniti. A luglio, ha precisato il tribunale di Weinan, Zhang avrebbe venduto un bambino per 21.600 yuan (circa 2.500 euro) ai trafficanti, che a loro volta lo avrebbero rivenduto a 59.800 yuan (oltre 7mila euro). Ma non è tutto: ad aprile, un settimo bambino è morto dopo essere stato abbandonato volontariamente dai suoi genitori e venduto da Zhang per mille yuan. Dopo le indagini della polizia, gli altri sei bambini sono stati riconsegnati alle loro famiglie. Un altro tribunale di Weinan, la scorsa settimana, ha processato quattro funzionari, tra cui il primario dell’ospedale, per "grave negligenza del dovere" che ha consentito a Zhang di vendere i neonati. Come riferiscono i media di stato, a seguito dello scandalo, tre alti funzionari e diversi altri membri del personale ospedaliero sono stati licenziati. Nonostante una serie di azioni di repressione da parte della polizia negli ultimi anni, nel Paese il traffico di minori resta un problema. Generalmente in Cina la condanna a morte con sospensione della pena è commutata in una sentenza fino a 25 anni di prigione o all’ergastolo, in relazione alla condotta in carcere del condannato.