Giustizia: riforma della custodia cautelare, primo passo di una marcia necessaria di Danilo Paolini Avvenire, 14 gennaio 2014 "Dunque, dove eravamo rimasti?". È una frase celebre per un motivo assai triste. Sono le esatte parole che il giornalista e presentatore Enzo Tortora rivolse al suo foltissimo pubblico quando poté tornare in tv dopo essere stato assolto dalle ingiuste e infamanti accuse che gli erano state rivolte da alcuni pregiudicati e camorristi, prese per buone dalla Procura di Napoli. Ed è difficile trovare parole migliori, per cercare di riprendere il filo di una trama, quella del dramma giudiziario e carcerario italiano, che sembra interrompersi e riannodarsi giorno dopo giorno, all’infinito e finora senza che si possa almeno sperare in un finale accettabile. Prima di vedere riconosciuta la sua innocenza, Tortora fece sette mesi di carcere preventivo e altri agli arresti domiciliari, subì un processo che durò quattro anni. Pochi mesi dopo l’assoluzione morì, consumato da un cancro. Quella sera, il 20 febbraio del 1987, tornando a condurre il suo amato Portobello, Tortora tenne a dire che avrebbe parlato anche "per conto di quelli che parlare non possono, e sono molti, e sono troppi". Si riferiva naturalmente agli sconosciuti che finiscono in carcere da innocenti o, comunque, senza una condanna definitiva. Già allora erano "molti" e "troppi". Proprio come oggi, trent’anni dopo: i dati ufficiali del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, aggiornati a una decina di giorni fa, ci dicono che ben oltre un terzo dei detenuti (quasi 23mila su un totale di 62.500 e una capienza regolamentare di 48mila) è in attesa della sentenza decisiva e, tra questi, poco meno della metà (11.100) attende il primo processo. Perciò, per rispondere alla domanda iniziale, potremmo dire che eravamo rimasti all’8 ottobre scorso, quando il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano decise, con il suo primo (e, per il momento, l’unico nel corso dei suoi due mandati) messaggio alle Camere, di richiamare la politica "all’inderogabile necessità di porre fine, senza indugio" alla situazione di permanente sovraffollamento e di violazione della dignità umana vigente negli istituti penitenziari del nostro Paese. Si tratta di "un dovere morale" - ha aggiunto pochi giorni fa, a ridosso del Natale - oltre che di un dovere nei confronti dell’Europa intesa nella sua accezione istituzionale più ampia (non la Ue, ma il Consiglio d’Europa che riunisce 47 Stati e, in particolare, la sua Corte di Strasburgo sui diritti dell’uomo), la quale ha dato tempo all’Italia fino al 28 maggio 2014 per rimediare a quella che ancora il capo dello Stato ha definito più volte "una condizione umiliante sul piano internazionale per violazione dei principi sul trattamento umano dei detenuti". Dopo quella data, se il sistema carcerario italiano non dimostrerà di essere uscito dal suo stato di annosa irregolarità (anche rispetto al dettato delle nostre leggi nazionali, in primis della Costituzione), lo Stato dovrà sborsare centinaia di milioni di euro in risarcimenti a tutti i detenuti che hanno fatto ricorso alla Corte europea di Strasburgo. Un sovrappiù di deficit finanziario che andrebbe ad aggiungersi al deficit di legalità e di umanità. Ecco, dunque, dove eravamo rimasti. Alla solennità del richiamo del Quirinale (come all’accorata insistenza dei suoi appelli, precedenti e successivi) non ha fatto seguito quella frenetica attività parlamentare che ci si poteva aspettare leggendo i commenti a caldo di esponenti di tutte le forze politiche rappresentate a Palazzo Madama e a Montecitorio. Anzi, a distanza di oltre tre mesi dal messaggio di Napolitano e a poco più di quattro dalla scadenza di Strasburgo, nessuna delle due Camere ha messo all’ordine del giorno un dibattito sulla questione. Del resto, non è inverosimile né offensivo pensare che tutto si sarebbe risolto nell’ennesimo, sterile scontro "amnistia sì, amnistia no", "indulto sì, indulto no", rimedi per altro del tutto "straordinari" che lo stesso presidente della Repubblica ha messo al terzo e ultimo posto tra quelli ipotizzati nel suo messaggio. È già accaduto nel settembre del 2011: il Senato dedicò una sessione speciale dei suoi lavori alla situazione carceraria, poi non accadde nulla. Non sarebbe corretto, allo stesso tempo, ignorare gli sforzi che la politica sta facendo per decongestionare il circuito carcerario. Due piccoli passi, infatti, governo e Parlamento li hanno compiuti. Il primo è il "decreto Cancellieri", ora in fase di conversione in legge da parte delle Camere, che - utilizzando le leve della liberazione anticipata, dell’affidamento terapeutico dei reclusi tossicodipendenti e delle espulsioni dei condannati extracomunitari - sta dando i primi frutti: dalla sua entrata in vigore, il 24 dicembre, il numero dei detenuti è sceso in media di 200 a settimana. Il secondo passo, ancora a metà, riguarda proprio l’istituto della custodia cautelare dal quale abbiamo cominciato il nostro ragionamento: il 9 gennaio, l’Aula di Montecitorio ne ha approvato la legge di riforma, ora passata al vaglio del Senato per il "sì" definitivo. Senza scivolare nei particolari tecnici, il testo introduce una serie di limitazioni al ricorso alle "manette preventive". Infatti, nonostante il codice di procedura penale la consenta soltanto in presenza di tre pericoli (inquinamento delle prove da parte dell’indagato, fuga dello stesso, reiterazione del reato o commissione di altri gravi delitti), l’elasticità di valutazione sulla concretezza di tali pericoli da parte dei magistrati ha portato a un largo uso, quando non a un abuso, della custodia cautelare. Dopo il caso Tortora venne Tangentopoli e riguardo ai tempi più recenti, per motivi di spazio, ricordiamo qui soltanto la vicenda di Silvio Scaglia: il fondatore di Fastweb, arrestato nel 2010 per fatti risalenti al 2005-2006, è rimasto detenuto in attesa di giudizio per un anno (tra cella e domiciliari) prima di essere assolto in primo grado con formula piena, il 17 ottobre scorso, dall’accusa di associazione per delinquere finalizzata alla frode fiscale. Ecco perché la riforma della custodia cautelare è un provvedimento atteso da tempo da tutti coloro che si ostinano a credere nello Stato di diritto, al di là delle perplessità dell’Associazione magistrati sul ruolo di "monitoraggio" assegnato al governo e delle accuse di "eccessiva timidezza" avanzate dall’Unione degli avvocati penalisti. Ma resta il fatto che, pur trattandosi di un provvedimento finalmente strutturale, il suo iter legislativo sta procedendo soltanto ora (sono anni che se ne discute), nel quadro della lotta al sovraffollamento carcerario. Insomma, lo spirito è al solito quello emergenziale, con il rischio di mettere l’ennesima pezza su una coperta che di rammendi è già piena. Occorre perciò affrontare al più presto l’altro capo del problema, quello della giustizia inceppata. Anche per non instillare un senso d’insicurezza in quei non pochi cittadini ormai abituati (erroneamente) a vedere nel carcere preventivo l’unica effettiva forma di giustizia. Uno Stato di diritto si vede sia dalle garanzie che prevede per l’indagato, sia per la certezza della pena inflitta, in tempi ragionevoli, al colpevole. Giustizia: da oggi la Commissione Giustizia del Senato esamina i 4 ddl su amnistia e indulto di Calogero Giuffrida Blasting News, 14 gennaio 2014 È stata convocata per il 14, 15 e 16 gennaio - sempre alle ore 14.30 - la seduta plenaria della commissione Giustizia di Palazzo Madama con all’ordine del giorno anche i quattro disegni di legge per la concessione di indulto e amnistia. Dopo la conclusione dell’esame dei ddl per il contrasto all’omofobia e alla transfobia e quelli contro l’esercizio abusivo delle professioni, saranno discussi dalla commissione Giustizia presieduta dal senatore Francesco Nitto Palma (Forza Italia)i ddl per la concessione dei provvedimenti generali ad efficacia retroattiva ritenuti dal Capo dello Stato indispensabili per fronteggiare la situazione di sovraffollamento carcerario già sanzionata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. La discussione dei ddl congiunti per la concessione di indulto e amnistia - conosciuti anche come ddl Manconi, Compagna, Barani, Buemi e altri - dovrebbe proseguire con l’esame dei pareri delle commissioni Affari costituzionali, Bilancio, Igiene e sanità del Senato e della petizione n. 550 ad essi attinente. Relatori in commissione Giustizia sono i senatori Ciro Falanga di Forza Italia e la senatrice Nadia Ginetti del Partito democratico. Ecco alcune caratteristiche dei quattro ddl. Secondo l’articolo 1 del ddl 20 (Manconi e altri), unificato al 21 8 (Compagna e altri), "è concessa amnistia per tutti i reati commessi entro il 14 marzo 2013 per i quali - si legge - è stabilita una pena detentiva non superiore a quattro anni, ovvero una pena pecuniaria". Mentre "è concesso indulto, per tutti i reati commessi fino a tutto il 14 marzo 2013, nella misura non superiore a tre anni per le pene detentive e non superiore a 10.000 euro per le pene pecuniarie". Secondo l’articolo 1 del ddl Barani (1081) invece "è concessa amnistia - si legge nel testo - per ogni reato per il quale è stabilita una pena detentiva non superiore nel massimo a sei anni, ovvero una pena pecuniaria, per reati commessi non oltre il 30 settembre 2013". Per l’indulto l’articolo 3 del ddl Barani dice "è concesso - si legge nel testo - nella misura non superiore a cinque anni per le pene detentive e non superiore a 12.911 euro per le pene pecuniarie; non superiore a otto anni a chi faccia completa divulgazione di tutti i fatti relativi a reati commessi durante la loro partecipazione in organizzazioni criminali. L’indulto - prevede il ddl - ha efficacia per i reati commessi fino al 30 settembre 2013. Il ddl Buemi (1115) concede con l’articolo 1 l’amnistia per i reati reato commessi entro il 31 dicembre 2012 per i quali è stabilita - si legge nel testo - una pena massima di quattro anni e per i reati commessi entro la stessa data relativi a delitti contro il patrimonio e quelli per cui la pena prevista sia non superiore a sei anni. Più complesse le norme relative all’indulto del ddl Buemi, in cui si fa una distinzione tra "indulto integrale" e "indulto parziale" per la commutazione della pena. Non sarà facile trovare una sintesi tra i quattro provvedimenti e poi un’ampia maggioranza in Parlamento. Appello di Cuffaro da Rebibbia, Pannella prosegue lo sciopero della fame "L’indulto sarebbe auspicabile, dopo che il governo con l’ultimo decreto ha fatto qualcosa di utile per le carceri". A parlare è l’ex presidente della Regione siciliana ed ex senatore dell’Udc Totò Cuffaro che sta scontando in carcere a Rebibbia una condanna a sette anni per rivelazione di segreto d’ufficio e favoreggiamento alla mafia. "Ho commesso degli errori, anche se non tutti quelli per cui sono stato condannato - ha detto Cuffaro in un’intervista pubblicata oggi sul Corriere della Sera - non ho avuto rapporti con Cosa nostra, ci sono andato a sbattere, in Sicilia può capitare". E parlando dell’esperienza carceraria Cuffaro riconosce che "da presidente della Regione siciliana - racconta al Corriere della Sera l’ex governatore siciliano - di carcere mi sono occupato forse meno di quanto avrei dovuto. Da qui però c’è un’altra prospettiva. E da qui dico che di certe leggi che ho votato come senatore - ha detto Salvatore Cuffaro, l’ex leader dell’Udc originario di Raffadali in provincia di Agrigento che portò il partito di Pierferdinando Casini a Palazzo Madama - un po’ mi vergogno. Perché in nome della sicurezza - ha detto Cuffaro dedicando il suo ultimo libro a Marco Pannella - abbiamo varato leggi troppo restrittive e peggiorative della situazione di tutti i detenuti, non solo quelli considerati più pericolosi". Intanto, mentre è attesa per capire che fine faranno i quattro ddl su amnistia e indulto domani all’ordine del giorno della commissione Giustizia del Senato, Marco Pannella prosegue lo sciopero della sete e della fame, condiviso da Rita Bernardini e da un gruppo su Facebook, per chiedere che venga messa all’ordine del giorno del Parlamento la discussione sul messaggio alle Camere in cui il presidente della Repubblica invoca indulto e amnistia contro il sovraffollamento nelle carceri alla luce della sentenza Torreggiani della Corte di Strasburgo che ha condannato l’Italia per le condizioni inumane e degradanti negli istituti penitenziari. "Alessia Morani, responsabile giustizia del Pd, quindi a nome suo e del suo partito, ha preannunciato una riforma che - ha sottolineato oggi Pannella in un post sulla sua pagina Facebook - vuole evitare sia l’amnistia che l’indulto. Una riforma - ha aggiunto il leader storico dei radicali - di cui si comprende solo che questa volta è in manifesta opposizione al messaggio inviato dal Presidente della Repubblica alle Camere e al quale non è stato dato alcun seguito istituzionale dovuto. Tutto questo mentre la Corte europea dei diritti dell’uomo, dopo decenni di impegni non mantenuti da parte dell’Italia, ha fissato per il prossimo maggio - ha ricordato Marco Pannella - il termine ultimo per porre fine sia allo stato di tortura in cui vivono i detenuti che all’offesa alla natura stessa dello Stato di diritto e degli impegni internazionali sottoscritti". Pannella lancia adesioni on line a Satyagraha Dalla scorsa mezzanotte Marco Pannella è in sciopero totale della fame e della sete "per aiutare il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ignorato dalle istituzioni dopo il messaggio alle Camere" su amnistia e indulto. "All’iniziativa di Satyagraha hanno di già comunicato la loro partecipazione numerose persone - ha detto Pannella a Radio Radicale. Nelle prossime ore ci organizzeremo in modo più efficace in rete", ma da subito, è l’appello dello storico leader Radicale "chiunque voglia segnalare una forma di appoggio a questa lotta può farlo scrivendo a info@radicali.it". Leva (Pd): agganciare custodia cautelare in dl carceri "La riforma della custodia cautelare deve diventare al più presto legge come sottolineato dal ministro Cancellieri. Si tratta di sanare un vulnus del nostro ordinamento riaffermando, contemporaneamente, le garanzie dei cittadini e l’urgenza di affrontare in maniera strutturale l’emergenza del nostro settore carcerario". Così Danilo Leva, vicepresidente giunta delle autorizzazioni della Camera e componente commissione Giustizia del Pd. "Il testo approvato alla Camera - aggiunge - va agganciato al percorso di conversione del dl carceri, dando omogeneità giuridica e politica ad un intervento normativo di grande rilevanza. L’Italia diventa un paese più civile se è in grado di ridisegnare il suo sistema penitenziario all’insegna dell’umanità rifuggendo il baratro dell’oscurantismo". Giustizia: la Cancellieri; riformare le carceri, con più lavoro, più ore d’aria e mensa www.ilpaesenuovo.it, 14 gennaio 2014 Più ore d’aria, più lavoro dentro e fuori dal carcere, i pasti in comune. Ma, soprattutto, rimettere l’uomo al centro: questa, in estrema sintesi, l’idea di riforma del sistema carcerario che il ministro alla Giustizia, Anna Maria Cancellieri, sta cercando di realizzare con il suo staff. Ne ha parlato a Maglie davanti a una platea attenta e numerosa, quella degli studenti del Liceo scientifico Da Vinci, e davanti a personalità del mondo istituzionale, civile, religioso. L’invito le è stato rivolto dalla dirigente scolastica Anna Rita Corrado. Grazie alle sollecitazioni degli studenti, e alle domande del giornalista Rosario Tornesello, caporedattore del Nuovo Quotidiano di Puglia, il ministro ha affrontato il nodo cruciale della giustizia in Italia, tema articolato e ricco di molteplici sfumature e criticità che investono vari settori. Punto di partenza proprio la dignità del detenuto "che è prima di tutto un uomo e deve poter scontare la sua pena fino in fondo ma in modo tale che il sistema garantisca la sua crescita". Per quanto riguarda lo strumento della custodia cautelare "è stato usato troppo e credo occorra distinguere chi è in fase di esecuzione della pena e chi, invece, è in attesa di una sentenza definitiva. La cosa più importante, poi, è accelerare al massimo i tempi dei processi", vero nodo attorno al quale si attorcigliano le maglie della giustizia in Italia. Capitolo sovraffollamento delle carceri, con quel regolamento del 1975 "mai attuato pienamente" e un terzo degli ospiti delle strutture carcerarie in custodia cautelare, questione su cui è stato varato un ddl già passato dalla Camera e in attesa del responso del Senato. "Occorre avere la certezza che il detenuto non possa espiare la sua pena altrove" ha evidenziato il ministro "e ci siamo già attivati su questo fronte, ad esempio rendendo quello dello spaccio un reato autonomo, il che comporta la possibilità di alleggerimento delle recidive con la contestuale possibilità per il giovane tossicodipendente di curarsi in una comunità di recupero, fatta eccezione per coloro i quali siano accusati di reati gravi. Per quanto riguarda la situazione degli extracomunitari c’è un meccanismo di collaborazione con il ministero degli Interni per far sì che il detenuto possa essere espulso espiando la pena nel suo Paese". Cancellieri difende poi il cosiddetto svuota-carceri, ovvero il decreto che prevede che il premio di buona condotta passi da 45 a 75 giorni per semestre di detenzione, accusato di essere un "indulto mascherato". "Ma non è così" puntualizza, in ogni caso, infatti, "ci deve essere il vaglio del magistrato di sorveglianza". Altre misure all’attenzione del ministero l’ampliamento delle ore d’aria ma anche dell’attività lavorativa all’esterno e all’interno del carcere, "ma sul 41 bis non toccheremo nulla" avverte. C’è anche l’idea di uno spazio mensa comune, tutte misure per innalzare la qualità della vita all’interno delle carceri e per evitare che un detenuto passi "anche 22 ore chiuso in cella all’interno di uno spazio angusto" come avviene oggi in molti casi. Tappe obbligate, in qualche modo: a maggio l’Italia sarà nuovamente sotto esame da parte dell’Europa e per quella data l’auspicio è che il sovraffollamento non sia più un problema così stringente. Anche a Lecce c’è una situazione "complessa - ha evidenziato parlando con i giornalisti - ma che va lentamente migliorando. Parlerò con gli operatori per comprendere le difficoltà" ha aggiunto alludendo alla tappa pomeridiana a Borgo San Nicola. "Sulla questione dell’edilizia carceraria, Cancellieri spiega: "Alcune strutture sono molto vecchie, risalgono all’epoca borbonica ma più che realizzare nuove cattedrali nel deserto la nostra idea è quella di creare nuovi padiglioni negli edifici già esistenti con spazi per il lavoro, per la mensa". I numeri per l’Europa sono quelli che contano sul serio: a maggio la previsione è di 4500 nuovi posti letto in più. Per quanto riguarda l’accorpamento delle sedi giudiziarie, che qui in provincia ha dato adito a diverse difficoltà, la Cancellieri ha evidenziato che "nell’intera operazione c’è un 5% di situazioni da puntualizzare, ci stiamo lavorando, ma non ci saranno riaperture, la riforma va avanti, su tratta solo di far sì che si possano correggere gli errori". Ad esempio, intervenendo su "personale e immobili, poi ogni situazione ha una storia a sé". Bocca cucita sul piano politico. "L’ipotesi di rimpasto? Una questione che non mi appartiene". In Italia a volte usata troppo la custodia cautelare "In Italia a volte si è usata troppo la custodia cautelare o è stata troppo lunga, dobbiamo smettere di abusarne". Lo ha detto il ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri, incontrando gli studenti del liceo scientifico L. da Vinci di Maglie. Riferendosi alla riforma del custodia cautelare, recentemente approvata dalla Camera e a breve in discussione al Senato, il ministro l’ha salutata con favore, spiegando che "quando sarà definitiva inciderà parecchio poiché un terzo della popolazione carceraria è in custodia cautelare. "Dobbiamo accelerare al massimo i tempi dei processi - ha proseguito il ministro Cancellieri - e avere garanzia che chi sta in custodia cautelare può alterare le prove o fuggire. Inoltre bisogna dividere chi sta in custodia da chi è in esecuzione di pena". Il ministro ha inoltre riferito che il Governo sta lavorando per risolvere il problema del sovraffollamento degli istituti penitenziari, per evitare le infrazioni che l’Europa potrebbe comminare a maggio. "Il problema però non è solo il sovraffollamento - ha aggiunto - ma anche la qualità della vita nelle strutture, perché non sempre in Italia abbiamo dato ai detenuti la dignità che meritano. La pena deve essere scontata fino in fondo, senza sconti, ma deve avvenire nel modo più dignitoso possibile". Non costruire nuove carceri, ma ristrutturare esistenti "In Italia non saranno costruite nuove carceri", lo ha detto il ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri, incontrando gli studenti del liceo scientifico Da Vinci di Maglie, spiegando che a maggio l’Italia presenterà a Strasburgo i numeri del piano delle carceri "e vedremo l’Europa come lo accoglie". "Non vogliamo costruire cattedrali nel deserto - ha detto ancora - perciò l’obiettivo è recuperare quello che abbiamo, strutture molto antiche e cadenti in alcuni casi ma anche molto belle, che vanno ristrutturate. Saranno invece chiuse alcune strutture molto piccole non funzionali". Entro maggio, secondo la Cancellieri, l’Italia avrà a disposizione 4.500 posti in piu’ grazie alla costruzione di nuovi bracci in diversi penitenziari, mentre, entro il 2015, i posti aggiuntivi saranno 15.000. "L’obiettivo del Governo - ha aggiunto la Cancellieri - non è solo aumentare i posti ma anche migliorare le modalità di detenzione, creando anche spazi maggiori per il lavoro, per la ristorazione, per il tempo libero". 41-bis e sezioni sicurezza non si toccano "Il regime del 41 bis e le sezioni di massima sicurezza non si toccano". Lo ha detto il ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri, conversando con gli studenti del liceo scientifico Leonardo Da Vinci di Maglie nell’ambito di una manifestazione pubblica. Il ministro si è soffermato a lungo sulle questioni relative alla riforma della giustizia, della geografia giudiziaria e dei provvedimenti finalizzati a ridurre il sovraffollamento delle carceri, precisando però che alcuni istituti, come il 41 bis e l’isolamento non sono assolutamente in discussione. In merito ai permessi concessi ai detenuti, invece, Cancellieri ha evidenziato come minima sia la percentuale dei detenuti che approfittano del permesso per evadere dal carcere, e che "è meglio correre il rischio che ciò accada piuttosto che togliere a tutti gli altri l’opportunità di usufruire di permessi che si sono guadagnati". Giustizia: la Cancellieri tra i ministri "silurabili"... e il Dap dei veleni (placati) di Eleonora Martini Il Manifesto, 14 gennaio 2014 Nel toto nomi dei silurabili c’è chi ci mette anche il suo. Ma la ministra Annamaria Cancellieri ieri non sembrava molto preoccupata dello scenario di un possibile rimpasto di governo: "Sono cose che non mi appartengono; decida la politica", ha risposto a chi le chiedeva se si sente a rischio. E in effetti a parte il dato oggettivo che un Guardasigilli non si sostituisce a cuor leggero e un ritorno alle camere per un voto di fiducia non è ancora proprio all’orizzonte, Cancellieri ieri aveva una sola preoccupazione: ricucire lo strappo - mediatico più che reale, lanciato dal sito di Dagospia - che si è aperto sabato scorso tra il suo dicastero e il vertice del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Ieri sera la ministra ha convocato di nuovo il capo del Dap Giovanni Tamburino e i due vice, Luigi Pagano e Francesco Cascini, che si erano detti pronti alle dimissioni dopo una tesissima riunione a 11 (sei dirigenti del Dap e cinque responsabili ministeriali) in via Arenula, giovedì pomeriggio, programmata da tempo per verificare i progressi del piano "strutturale" di riforma carceraria presentato nel novembre scorso a Strasburgo. Di dimissioni in blocco non si parla più, per il momento, e - ormai superata la buriana sull’affaire Giulia Ligresti - si allontana anche, per Cancellieri, il rischio di una sostituzione. Che comunque renderebbe più difficile rispettare la scadenza fissata a maggio prossimo dalla Corte europea dei diritti umani, termine entro il quale l’Italia deve tornare nel solco costituzionale della pena detentiva. Ma è proprio questo uno dei punti del contendere. Perché se da un lato la ministra Cancellieri e la commissione ad hoc da lei istituita nel giugno scorso con a capo il professore Mauro Palma sembrano premere per una vera riforma del sistema penitenziario - su più piani: quelli normativo ed edilizio ma anche quello organizzativo - da parte loro i vertici del Dap stanno sulla difensiva, intenti piuttosto a dimostrare di aver fatto tutto il possibile per "accontentare" Strasburgo. L’aria in effetti era già un po’ tesa da quando la ministra aveva pubblicamente sconfessato i dati del Dap sul numero di posti letto disponibili in carcere (in favore di quelli reali conteggiati dall’associazione Antigone).Mail boccone difficile da mandare giù è stata la visita che Cancellieri e Palma hanno improvvisato qualche giorno fa al carcere viterbese Mammagialla, senza preavvisare il Dap. Gli esiti dell’ispezione sono costati a Tamburino e ai suoi vice una "sfuriata" della ministra, arrabbiata per l’impasse subito dal piano carceri presentato a Strasburgo. Secondo Dagospia, però, la Guardasigilli avrebbe intenzione di nominare Mauro Palma a capo del Dap, mandando a casa Tamburino. Mentre alcuni sindacati di polizia penitenziaria, come l’Osapp, arrivano ad accusare Palma di comportarsi "come fosse un viceministro " e immaginano già un ministero della Giustizia che cambia nome in "Ministero dei Reclusi e delle Pene Alternative". In realtà l’ex presidente del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e tra i fondatori dell’associazione Antigone spesso e volentieri - perfino eccessivamente, secondo alcuni - ha promosso un cambiamento nell’organizzazione penitenziaria a partire dal coinvolgimento del personale carcerario. Dal ministero, comunque, smentiscono qualunque ipotesi di Palma a capo del Dap. Restano sul tavolo però numerosi problemi perché, seppure si riesca a superare entro maggio il problema del sovraffollamento, tornare nel "solco costituzionale della pena" significa ripensare in modo sostanziale la vita detentiva, dalla socialità al lavoro, da una più equa distribuzione negli istituti dei tossicodipendenti e di altri casi "difficili", al rispetto del corpo dei reclusi (molti per esempio lamentano un numero troppo alto di "incidenti" avvenuti ai detenuti del Mammagialla). Giustizia: Confsal-Unsa; tribunali e carceri al collasso, governo prenda decisioni efficaci Adnkronos, 14 gennaio 2014 "Il 2014 si apre con il grave rischio del collasso dei tribunali e delle carceri per le gravi carenze di organico ormai ridotto all’osso a seguito di un pluriennale blocco del turnover che ha provocato una diminuzione di quasi il 30% del personale in servizio effettivo. Tutto ciò mentre aumentano le cause civili e penali e vi è un perenne sovraffollamento dei penitenziari". Lo afferma Massimo Battaglia, segretario generale della Federazione Confsal-Unsa, il quale denuncia "il silenzio assordante della politica sul tema del personale". "Tra qualche settimana - annuncia - ci sarà l’apertura dell’anno giudiziario e mi aspetto di ascoltare come sempre le stesse analisi e le stesse richieste da parte degli addetti ai lavori, quali la necessità di affrontare la carenza di organico e quella delle risorse; ma temo che, come ogni anno, la politica non farà nulla e lascerà cadere nel vuoto questi gridi di allarme". "Occorre che la classe politica - prosegue Battaglia - affronti la questione in modo urgentissimo e con responsabilità, anche superando il quadro ideologico che spinge il governo a tagliare indiscriminatamente il personale pubblico. Per questo, chiedo al governo e alle forze politiche di unirsi per trovare soluzioni efficaci ed evitare la catastrofe nel sistema giustizia del nostro Paese. Del resto, sono 10.000 le vacanze di organico accertate nei tribunali, e migliaia sono le vacanze di personale civile nelle carceri e nell’esecuzione penale esterna. La Federazione Confsal-Unsa annuncia che in mancanza di interventi decisivi saranno prese forti iniziative regionali e nazionali a sostegno della vertenza". Giustizia: assumere detenuti conviene… credito d’imposta fino a 700 euro al mese di Valerio Stroppa Italia Oggi, 14 gennaio 2014 Credito d’imposta fino a 700 euro al mese e oneri contributivi ridotti all’80% per chi assume lavoratori detenuti. Ampliata a due anni la durata delle agevolazioni. A disposizione ci sono 20 mln di euro per il 2013 e 10 mln annui dal 2014. Il ministero della giustizia dovrà, però, rimettere mano al dm attuativo, sul quale il Consiglio di stato ha richiesto alcune modifiche sostanziali, per quanto riguarda il regime transitorio (parere n. 45/2014). Sia la legge n. 193/2000 sia la n. 381/2001 prevedono, infatti, vantaggi fi scali e contributivi a favore delle imprese pubbliche e private che assumono lavoratori detenuti per un periodo di tempo non inferiore a 30 giorni. Via Arenula ha ritenuto opportuno predisporre un nuovo dm dopo gli stanziamenti aggiuntivi dei mesi scorsi. Il regolamento fissa il bonus mensile per ciascun detenuto assunto a 700 euro per il 2013 e a 350 euro dal 2014 in poi. Nell’ipotesi di detenuti in semilibertà provenienti dalla detenzione, gli sgravi saranno, invece, pari a 350 e 300 euro. L’importo degli aiuti va parametrato sia alle giornate lavorative prestate sia all’orario di lavoro e il credito d’imposta viene esteso all’attività formativa. Aumenta di sei mesi, fi no a un massimo di 24, pure il periodo massimo agevolabile, da computare a far data dalla cessazione dello stato di detenzione. Durerà 18 mesi anche la decontribuzione all’80% verso Inps e Inail. Il mancato gettito sarà rimborsato agli enti dal dipartimento amministrazione penitenziaria. Secondo palazzo Spada, tuttavia, la bozza di dm presenta alcuni difetti. È fissato il tetto massimo degli incentivi, ma "non è chiaro come in concreto per ogni singola fattispecie venga determinata la misura del credito d’imposta". Lo schema di regolamento viene giudicato altresì "lacunoso" di un regime transitorio che disciplini i vari casi: rapporti di lavoro instaurati prima, durante e dopo il 2013. Senza norme chiare vi sarebbe il rischio "che si operino fittizie interruzioni nel rapporto di lavoro al fine di lucrare sulla disciplina più favorevole vigente per il solo 2013". Giustizia: non c’è personale, adottiamo il regime di "auto-sorveglianza" per i detenuti? www.polpen.it, 14 gennaio 2014 "L’obiettivo è recuperare quello che abbiamo, strutture molto antiche e cadenti in alcuni casi ma anche molto belle, che vanno ristrutturate - ha dichiarato il Guardasigilli Annamaria Cancellieri. Saranno invece chiuse alcune strutture molto piccole non funzionali". Forse è la volta buona che Mistretta, Nicosia e Modica chiudano i battenti così da recuperare del Personale all’interno della Regione Sicilia, "In Italia non saranno costruite nuove carceri", ha proseguito il Ministro. "Grazie alla costruzione di nuovi bracci in diversi penitenziari" si creeranno 4.500 posti in cella circa e nel 2015 si dovrebbe arrivare a 15 mila. "L’obiettivo del Governo - ha aggiunto la Cancellieri - non è solo aumentare i posti ma anche migliorare le modalità di detenzione, creando anche spazi maggiori per il lavoro, per la ristorazione, per il tempo libero", ha concluso. Ancora una volta il centro delle preoccupazioni del Ministro sono stati i detenuti e le carceri come strutture, ma non si è parlato di Poliziotti Penitenziari. Se veramente nel 2015 si apriranno nuovi bracci e in diversi penitenziari per aggiungere 15.000 posti in cella, forse il Ministro spera che i detenuti adottino un regime di "auto-sorveglianza" visto che già ora, spesso, una sola unità di Polizia Penitenziaria sorveglia più di una sezione. Giustizia: Cassazione; sì commutazione ergastolo per chi aveva chiesto rito abbreviato nel 2000 Ansa, 14 gennaio 2014 La Cassazione, accogliendo il ricorso di un mafioso condannato all’ergastolo, ha dato il via libera alla commutazione del carcere a vita in 30 anni di reclusione per chi, dal 26 gennaio al 24 novembre 2000, aveva chiesto il rito abbreviato introdotto dalla legge Carotti. "Questa è una grande battaglia di civiltà giuridica che infrange il totem della intangibilità del giudicato", commenta l’avvocato Roberto Afeltra, che per primo ha ottenuto questa vittoria in Cassazione dopo un lungo iter giudiziario, anche europeo. Afeltra chiederà l’applicazione di questo orientamento assunto dalla I Sezione penale della Cassazione - in seguito alla sentenza numero 210 emessa dalla Consulta lo scorso 18 luglio - anche per altri 17 condannati per mafia da lui difesi. La possibilità di ottenere la pena temporanea anziché il carcere a vita, fu poi bloccata, il 24 novembre del 2000, dall’entrata in vigore del d.l. 341/2000 che, in sostanza, aveva reintrodotto l’ergastolo con effetto retroattivo per la platea di imputati che, con l’entrata in vigore della legge Carotti, avevano chiesto l’abbreviato. "La Corte di Strasburgo - spiega Afeltra - ha stabilito che è una violazione dei diritti umani punire un imputato con una pena superiore rispetto a quella prevista da una legge anche se poi modificata". La questione dell’ergastolo retroattivo era stata affrontata due volte dalle Sezioni unite della Cassazione e alla fine è stata risolta dalla Consulta. "Questo verdetto - sottolinea Afeltra - aprirà le porte del carcere a molti condannati e sono molti i ricorsi pendenti su questa questione". Il primo a beneficiarne sarà Emanuele Zuppardo, siciliano di Gela trapiantato a Milano e qui condannato al carcere a vita nei processi "Autoparco" e "Count Down". È ora detenuto ad Opera ed è in carcere dal 1991. Lavora e non ha altri carichi pendenti. "Tuttavia per vederlo uscire - conclude l’avvocato Afeltra - dovrò presentare un’ulteriore istanza per via di un vecchio cumulo di pena". Giustizia: la questione di legittimità costituzionale della Fini-Giovanardi in parole semplici di Gennaro Santoro (Associazione Antigone) www.osservatorioantigone.it, 14 gennaio 2014 Come è noto il prossimo 11 febbraio la Corte Costituzionale affronterà la questione della legittimità costituzionale della legge Fini-Giovanardi, e, nello specifico, deciderà se abolire o meno la norma che ha innalzato le pene previste per la detenzione e lo spaccio delle droghe leggere, parificando le stesse a quelle altissime previste per la detenzione e spaccio delle droghe pesanti. La Corte Costituzionale è stata investita della questione a seguito di un provvedimento (ordinanza) della Corte di Appello di Roma e, successivamente, della Cassazione. Quando un Giudice, nel corso di un processo, ritiene che una legge è in contrasto con una norma contenuta nella Costituzione può infatti sospendere il giudizio in corso e chiedere alla Corte Costituzionale di esprimersi sul punto. La Corte di Appello sostanzialmente pone dubbi di legittimità costituzionale della legge Fini Giovanardi sotto tre distinti aspetti: 1) procedurali (introduzione della norma relativa all’inasprimento delle pene per la detenzione e lo spaccio di droghe pesanti quando il c.d. decreto olimpiadi invernali è stato presentato in Parlamento per la relativa conversione in legge, in violazione dell’art. 77 della Costituzione); 2) di merito (la parificazione delle pene previste per lo spaccio di droghe leggere e pesanti è irragionevole e contraria al principio di eguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione); 3) di violazione della normativa europea (dove per le sanzioni penali relative alle droghe pesanti e leggere viene delineato un regime sanzionatorio diverso, in quanto il loro grado di dannosità è differente). Questione procedurale Il primo aspetto è il più complesso da spiegare a chi non sia pratico di diritto. In sostanza, la nostra Costituzione prevede che le leggi debbano essere votate in Parlamento. In casi eccezionali il Parlamento può delegare il Governo nell’emanazione di leggi (Decreto legislativo), ovvero, il Governo, in casi di necessità ed urgenza, emana una norma avente forza di legge (Decreto legge, quello che ci interessa in questa sede) che deve essere ratificata, ovvero, convertita in legge entro sessanta giorni dal Parlamento. In questa ultima ipotesi di sovente accade che il Parlamento, nella legge di conversione del decreto, aggiunga nuove norme. Ciò è legittimo se l’oggetto delle norme aggiunte dal Parlamento abbiano attinenza con l’oggetto trattato dalle norme introdotte dal decreto governativo, e se vi sia la necessità e l’urgenza di emanare queste nuove norme. Per quello che ci interessa, l’inasprimento delle pene per la detenzione e spaccio delle droghe leggere è stata introdotta non dal governo, con il decreto denominato "Misure urgenti per garantire la sicurezza ed i finanziamenti per le prossime olimpiadi invernali nonché la funzionalità dell’amministrazione dell’Interno. Disposizioni per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi", bensì dal Parlamento in occasione della conversione in legge del decreto sopra menzionato. Ma il decreto aveva per oggetto l’emergenza di far fronte alle esigenze di ordine pubblico legate alle olimpiadi di Torino, e la necessità di introdurre norme per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi, due materie che esulano dal trattamento sanzionatorio della detenzione e spaccio di marijuana; la materia delle sanzioni relative alla detenzione e allo spaccio delle droghe leggere, osserva la Corte di Appello, non è pertinente all’oggetto del decreto; inoltre non si ravvisa, sempre a parere della Corte, l’urgenza dell’intervento. Questione di merito La Corte di Appello esplicitamente critica la legge Fini-Giovanardi ritenendo contrario al principio di eguaglianza (art. 3 della Costituzione) prevedere sanzioni uguali per situazioni differenti, ossia pene uguali per la repressione dello spaccio di droghe pesanti e leggere. Scrive la Corte di Appello nelle motivazioni dell’ordinanza di remissione della questione alla Corte Costituzionale: "non v’è dunque chi non veda come sanzionare con la medesima pena due comportamenti notevolmente diversi come l’importare, detenere, spacciare droghe c.d. leggere oppure pesanti costituisca una palese violazione del principio di eguaglianza sotto il profilo della mancata adozione di sanzioni diverse in relazione a condotte diverse. Pur non essendo questa la sede per una disanima su basi scientifiche delle profonde, e comunque note, differenze intercorrenti tra i due tipi di stupefacenti varrà tuttavia la pena di rilevare quanto meno la assenza di effetti di dipendenza nei consumatori di cannabis…va altresì rilevata la modestia degli effetti negativi sull’organismo - non differenti da quelli che provocano alcool e nicotina - delle droghe leggere rispetto quelli devastanti prodotti dalle droghe pesanti." Questione relativa alla violazione della normativa europea La Corte di Appello critica inoltre la legge Fini-Giovanardi in quanto irrispettosa della normativa europea (nello specifico decisione quadro 2004/757/Gai) che pretende una differenziazione delle sanzioni penali relative allo spaccio di droghe pesanti e leggere, per le ragioni scientifiche già esposte al punto 2). La prevalenza del diritto comunitario sulla legislazione interna è sancito dall’art. 117 della Costituzione. Da evidenziare che alcuni giudici italiani, piuttosto che porre la questione di legittimità costituzionale della norma in commento, e sulla base del principio di prevalenza delle norme costituzionali e del diritto europeo sulla legge nazionale, hanno già assolto imputati per la coltivazione domestica della marijuana, osservando altresì che detta coltivazione non può essere considerata un crimine in quanto, di fatto, sottrae mercato alle narcomafie. Tuttavia, decisioni del genere possono contarsi sulla punta della mano, mentre i condannati per la coltivazione domestica di marijuana, detenzione e piccolo spaccio (perlopiù di consumatori che spacciano per coprire i costi del consumo di sostanze) di droghe leggere rappresentano almeno il 14% della popolazione attualmente detenuta nelle patrie galere. Per queste ragioni l’Associazione Antigone ha deciso di aderire alla campagna "Illegale è la legge, il suo costo è reale" e parteciperà attivamente alla manifestazione dell’8 febbraio. Perché ritiene che la cancellazione della legge Fini-Giovanardi ad opera della Corte Costituzionale sia un atto dovuto, per le ragioni di diritto espresse dalla Corte di Appello di Roma e sopra riportate. Un passo concreto per ricondurre la normativa sulla repressione dello spaccio degli stupefacenti ai principi di ragionevolezza, eguaglianza e conformità alla normativa europea. Ricordando che la cancellazione della Fini-Giovanardi è una misura necessaria ma non sufficiente per realizzare gli obiettivi sopra esposti. Per una legislazione razionale sulla disciplina degli stupefacenti è ormai improcrastinabile un intervento del Parlamento che preveda la non punibilità, anche in sede amministrativa, del consumo di droghe leggere e della coltivazione domestica della marijuana. Giustizia: intervista al Cappellano di Regina Coeli "i detenuti sono nel cuore di Francesco" di Giacomo Galeazzi La Stampa, 14 gennaio 2014 Parla don Vittorio Trani, cappellano del carcere romano di "Regina Coeli": "Non basta il decreto svuota-carceri: bisogna ripensare il sistema della giustizia". "Ha ragione papa Francesco. È facile punire i più deboli, mentre i pesci grossi nuotano". Sono giornate frenetiche per don Vittorio Trani, cappellano dal 1978 del carcere romano "Regina Coeli". La conferenza dei capigruppo di Montecitorio ha deciso che il decreto legge svuota carceri sarà discusso dall’aula della Camera tra il 27 ed il 31 gennaio. "Bisogna tenere conto dei costi umani del carcere, in termini di violazione della dignità delle persone", spiega il cappellano di Regina Coeli, don Vittorio Trani. Nell’udienza ai cappellani delle carceri italiane, il Papa ha raccontato che spesso, soprattutto la domenica, telefona ad alcuni carcerati a Buenos Aires e che la domanda che gli viene in mente è: "Perché lui è lì e non io?". Qual è la sua risposta? "Oggi il nostro carcere è popolato in gran parte da gente povera, per la maggior parte stranieri, senza famiglia, né risorse. Questo è un mondo che, come ci insegna Papa Francesco, ha bisogno d’amore di attenzione. Il Pontefice ci ha detto di portare un messaggio da parte sua: "Ai detenuti, a nome del Papa, potete dire questo: il Signore è dentro con loro. Nessuna cella è così isolata da escludere il Signore, il suo amore paterno e materno arriva dappertutto". Mi sono tornate in mente le sue parole soprattutto ora che si parla di provvedimenti legislativi per rimettere in libertà una parta della popolazione carceraria. Cosa comporta questo atto di clemenza? "Per molti significa riconquistare quanto c’è di più prezioso: la libertà. Le carceri sovraffollate sono indubbiamente un peso ulteriore ma la vera sofferenza per i detenuti è rappresentata dall’allontanamento dal mondo affettivo. È questa la vera pena della reclusione. Interventi legislativi come il decreto legge svuota-carceri hanno un significato personale straordinario per i detenuti. Ogni giorno in libertà è una poesia della vita. Ritengo che il sistema della giustizia andrebbe rivisto in modo strutturale per evitare il più possibile il ricorso alla detenzione. Ci sono leggi che oggi portano tanta gente in carcere e che invece potrebbero prevedere pene alternative. Va rivisto l’intero impianto. Altrimenti ogni provvedimento contro il sovraffollamento si rivela un palliativo, non una svolta. In pochi mesi la situazione torna come prima". Quali testimonianze riceve dai detenuti rimessi in libertà? "Ogni persona che riconquista la libertà ha un’esperienza personale. Chi riesce a uscire si sente rinascere. È appena uscito uno straniero quarantenne (un nordafricano sposato con una cittadina comunitaria in un paese dell’Europa centrale), l’ho aiutato per le cose pratiche e ho vissuto la sua gioia immensa di poter riprendere i contatti con la sua famiglia. È la vita che riaffiora a livello di esperienze. In carcere i detenuti possono fare una telefonata alla settimana, ma chiamare per dire che si sta per uscire ricrea un contatto umano. È come tornare a vivere le cose urgenti. La prima cosa che mi ha detto è stata: "Sbrigo le cose urgenti e torno subito a casa". In tre anni di carcere aveva avuto il pensiero costante di poter tornare dalla moglie e dai figli. I pochi soldi che aveva conservato, li ha immediatamente utilizzati per comprarsi un biglietto del treno e lasciare Roma per tornare a casa. Uscendo dal carcere ha ritrovato la famiglia, ha ripreso a vivere. Dopo tre anni senza vedere i propri cari, aveva in mente solo di riabbracciarli". E chi non ha una famiglia? "La situazione più pesante è proprio per i detenuti sia italiani sia extracomunitari che una volta scarcerati non hanno una famiglia, un punto d’appoggio e si ritrovano a mendicare un letto e un posto dove mangiare. La loro domanda è sempre la stessa: "E adesso che faccio?". Non sanno dove andare e, malgrado l’impegno dei canali privati e delle associazioni di volontariato, soffrono perché non esistono strutture pubbliche per loro. Nella quasi totalità coloro che finiscono dietro le sbarre vengono dalla strada, è gente in difficoltà e dopo la detenzione si ritrovano senza nulla per ripartire. È una processione continua di ex detenuti che chiedono aiuto e che dal carcere finiscono subito sulla strada. Non ci sono per loro né lavoro né centri d’accoglienza. cominciano a pellegrinare da una struttura di volontariato all’altra. Mense per i poveri e dormitori diventano approdi obbligati. Non esistono altre opportunità. Molti finiscono per vivere come clochard. Capita anche che i familiari non li vogliano riprendere in casa. Hanno spesso storie di droga e lontananza. Genitori anziani con i quali hanno interrotto ogni rapporto durante la detenzione". Quale accoglienza trovano gli ex detenuti nella Chiesa? "Nell’esperienza quotidiana, mi sono reso conto che la difficoltà maggiore (anche all’interno della comunità ecclesiale, oltreché in quella civile) è la scarsa conoscenza di questo mondo. C’è un filtro molto spesso che passa attraverso la morbosità e il preconcetto, per cui si è distanti e si è severi, si è molto duri nei confronti di chi sbaglia. Una volta che si è vicini a questo mondo, tuttavia, si scoprono le persone, si scoprono le storie, si guarda un po’ da vicino la vicenda esistenziale di una persona che ha sbagliato, ma che resta sempre persona. Allora, si tende a cambiare, si tende ad essere più attenti e, soprattutto per quanti sono cristiani, si tende a guardare un po’ quella presenza che dal Vangelo sappiamo essere la presenza di Cristo stesso". Giustizia: Psichiatria Democratica; "no" a una nuova proroga per la chiusura degli Opg Ristretti Orizzonti, 14 gennaio 2014 Si sta ufficializzando una ulteriore proroga, la seconda, dei termini per la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (Opg): le Regioni hanno presentato, e il Ministero della Salute accolto e finanziato, progetti di strutture alternative all’Opg che non rispettano programmaticamente i termini di scadenza previsti dalle normative vigenti, ipotizzando nuove strutture neo manicomiali, invece di rilanciare la centralità delle strutture pubbliche di Salute Mentali territoriali. Psichiatria Democratica (PD) nel ribadire la sua contrarietà ad ogni ulteriore proroga, tanto più senza garanzie per il suo rispetto, chiede con forza: Al Ministero della Salute di pretendere dalle Regioni la riformulazione dei loro progetti in termini di necessità e fattibilità nel rispetto dei termini di legge, considerando che, per valutazione condivisa di magistrati e psichiatri, non più del 10% degli attuali (e presumibilmente anche dei futuri) internati necessita di strutture dedicate con vigilanza rafforzata, mentre per tutti gli altri si possono e debbono trovare, sistemazioni nel territorio conseguenti alla loro presa in carico da parte dei Dipartimenti di Salute Mentale competenti; non sono per nulla necessari i "nuovi" 1.000 posti letto su tutto il territorio nazionale. Che le Regioni individuino, affidandone la responsabilità della gestione (diretta o tramite il privato sociale) ai Dipartimenti di Salute Mentale, quelli che esponenti di lunga esperienza della magistratura di sorveglianza indicano come "luoghi che tutelino la salute mentale nella sicurezza dei cittadini", quella rete, cioè, di strutture sul territorio che svolgano una funzione vicaria all’opg, già oggi identificabili o facilmente realizzabili che vanno dagli appartamenti protetti alle piccole strutture di accoglienza, non necessariamente destinate unicamente a soggetti autori di reato; a questo fine le Regioni e le ASL utilizzino da subito i finanziamenti di parte corrente per potenziare gli organici dei servizi di salute mentale che gestiranno i progetti individuali di dimissione/alternativa all’Opg. Che il problema della chiusura degli Opg cessi di essere un problema tecnico (strutture, posti letto, progetti architettonici) e recuperi la sua dimensione culturale, di civiltà e politica generale: solo così si potrà effettuare un coordinamento nazionale del processo di chiusura, passaggio indispensabile questo, che Psichiatria Democratica propose oltre un anno fa anni, temendo che avvenisse quello che oggi, amaramente registriamo. Ci riferiamo al fatto che si sta configurando solo come una mera presa d’atto delle scelte regionali. Inoltre ribadiamo l’urgenza di affrontare i temi delle modifiche del codice penale e, in attesa di queste, dare concreta attuazione alle sentenze della suprema Corte (dalla 253/2003 in poi) sulle possibili alternative all’invio in Opg. Psichiatria Democratica, auspica inoltre che l’eventuale proroga si accompagni comunque ad un sanzionamento delle Regioni inadempienti non solo attraverso la nomina di Commissari ad acta (per es. con decurtazione di una quota percentuale nel trasferimento del fondo sanitario nazionale) ma che venga chiaramente indicato anche un termine oltre il quale non sia più possibile l’invio di pazienti negli attuali Opg e così impedire, definitivamente, questa sorta di tela di Penelope che da una parte svuota le strutture attraverso le dimissioni e dall’altra ne impedisce la chiusura mediante nuovi invii. Auspichiamo che in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario che si terrà il 24 gennaio, il Primo Presidente della Corte di Cassazione voglia rivolgere un "pressante invito" (come è stato fatto per il ricorso alla carcerazione preventiva) ai Magistrati affinché, nel rispetto della loro autonomia, considerino l’invio in Opg e nelle future strutture sostitutive come residuale una volte esperite tutte le possibilità alternative come previsto dalla nota sentenza della Corte Costituzionale n° 253/2003. Giustizia: Cuffaro; ho sbagliato a frequentare certe persone. Berlusconi? Sconti pena in carcere Italpress, 14 gennaio 2014 "Sono andato a sbattere contro la mafia. Ho sbagliato a frequentare certe persone". Ad affermarlo in un’intervista al Corriere della Sera è l’ex presidente della Regione siciliana, Totò Cuffaro, che sta scontando in carcere a Rebibbia una condanna a sette anni di reclusione per favoreggiamento aggravato alla mafia. L’ex Governatore nel frontespizio del suo secondo libro, pronto per essere stampato, rivolge un pensiero a Marco Pannella "strenuo lottatore per i diritti dei detenuti". "Da presidente della Regione - dice - di carcere mi sono occupato, forse meno di quanto avrei dovuto. Da qui però c’è un’altra prospettiva. E da qui dico che di certe leggi che ho votato, come senatore, un po’ mi vergogno: perché in nome della sicurezza abbiamo varato norme troppo restrittive, e peggiorative della situazione di tutti i detenuti, non solo quelli considerati più pericolosi. E questo non è giusto. Perché, come ho scritto nel libro, il carcere non è solo luogo di corpi, ma di anime; di uomini con le loro storie e le loro speranze. Delinquenti, d’accordo, che però hanno diritto ad avere una nuova possibilità. Ecco perché l’indulto chiesto dal presidente Napolitano sarebbe auspicabile, vista la situazione attuale di sovraffollamento. E non parlo per me, che in ogni caso non ne potrei usufruire; io ormai devo scontare tutta la pena qui dentro, e lo farò". A dicembre il detenuto Cuffaro, primo e finora unico parlamentare finito in cella per fatti di mafia, ha sperato di poter uscire grazie alla concessione dell’affidamento in prova ai servizi sociali. Ma i giudici di sorveglianza hanno detto no, perché potrebbe collaborare utilmente con la magistratura e non l’ha fatto. "Io non ho ancora capito - commenta - che cosa potrei dire, visto che sono solo l’anello di una catena di condannati. Mi ero illuso. Vorrà dire che avrò il tempo di laurearmi in Giurisprudenza e di scrivere un terzo libro. Ma non mi lamento". "Ho scelto la strada del rispetto delle sentenze - spiega -, e proseguo su quella, tanto più adesso che s’è dimostrato che non aiuta sul piano concreto. Vuol dire che non era una scelta ipocrita o opportunista, ma sincera e convinta. Io lo sapevo da prima, ora può capirlo chiunque. Mi rendo conto che per i giudici non era facile mettermi fuori, la mia vicenda è difficile da dipanare. Confidavo che fosse possibile, e magari adesso farò ricorso: non per me, che probabilmente finirò di scontare la pena prima dell’ultimo verdetto, ma per altri ai quali sarei lieto di offrire una nuova possibilità". "Io - aggiunge - mi faccio carico delle mie responsabilità; non solo penali, ma complessive. Ho fatto parte di un sistema istituzionale con incarichi importanti: alla Regione, in Senato e al Parlamento europeo, assumendo oneri e onori; lo stesso sistema che poi mi ha messo sotto accusa, trovando gli elementi per condannarmi. Posso pensare che ha sbagliato, ma non posso contestarlo. Avessi ritenuto che il sistema fosse squilibrato o ingiusto, avrei dovuto combatterlo prima, non adesso che sono chiamato a pagare certe conseguenze. Non è che siccome la magistratura mi ha messo alla sbarra, ora posso sputarci sopra. Non sarei credibile, né sarebbe giusto". Poi un commento nei confronti del leader di Forza Italia: "Io nei confronti di Berlusconi - dice - continuo a nutrire l’affetto di sempre ma credo che avrebbe dovuto comportarsi diversamente; doveva lasciare la carica senza aspettare che il Senato dichiarasse la decadenza, e adesso dovrebbe scontare la pena in carcere, senza chiedere l’affidamento in prova né altro. Per rispetto della sentenza, e perché anche sentendosi perseguitato sarebbe la migliore risposta: volete mandarmi in galera? Ci vado. Ma capisco che il carcere è pesante". "La sua immagine - aggiunge - ne guadagnerebbe, e sarebbe la reazione più efficace a chi ha voluto condannarlo". E alla domanda se crede alla colpevolezza di Berlusconi?, risponde: "Penso che un’attenzione particolare della magistratura nei suoi confronti non si possa negare... Comunque ormai c’è una sentenza definitiva". "Io - dice - ho commesso degli errori, anche se non tutti quelli per cui sono stato condannato. Sono andato a sbattere contro la mafia anche se ritengo di aver fatto più di qualcosa contro la mafia... Ma non mi sento una vittima, sebbene pure con me ci sia stata un’attività investigativa e giudiziaria non proprio normale. Ho sbagliato a coltivare certe frequentazioni, a fidarmi di certe persone. Ho sbagliato, oggi sarei molto più attento e guardingo. Ma se c’è una cosa di cui non sono pentito è il rapporto continuo e diretto con i cittadini e gli elettori". E i rapporti con la mafia? "Lo ripeto, io non ho avuto rapporti con Cosa nostra, ci sono andato a sbattere, e in Sicilia può capitare. Io non volevo certo aiutare la mafia, come non credo che lo volesse il mio amico Mannino, già assolto una volta dopo tanto carcere preventivo e oggi sotto processo per la trattativa. Ricordo che mi commissionò manifesti in cui incitava a contrastare i boss ‘costi quel che costì, c’era scritto". Pure lui, Cuffaro, tappezzò la Sicilia con lo slogan "La mafia fa schifo", ma non si rivelò una grande idea. Un altro errore? Cuffaro sorride: "Comunque non è facile dire quella frase quando la mafia è ancora lì". Anche in carcere, l’ex politico già militante della Democrazia cristiana ha una certa inclinazione a rivendicare la propria storia politica: "Il panorama di oggi mi pare disastroso. Si può costruire rottamando? Meglio restaurare". E puntualizza: "Nei rapporti mafia-politica bisogna tagliare, non restaurare. Il restauro va fatto per le cose da salvare, non per il marcio... Comunque di mafia, magari, scriverò quando sarò uscito di qui". Lettere: "mi permetta di morire", storia del detenuto che chiede l’eutanasia a Napolitano Corriere della Sera, 14 gennaio 2014 Vincenzo Di Sarno è un detenuto. Da quasi cinque anni è rinchiuso nel carcere napoletano di Poggioreale. Ai primi di dicembre ha preso carta e penna e ha scritto una lettera al presidente della Repubblica. Motivo? Il permesso di morire: l’eutanasia. Di Sarno, che ha 35 anni, ha un tumore al midollo osseo: una sindrome che comporta una perdita delle funzioni neurologiche motorie, sensitive e vegetative. Il detenuto aveva incontrato il capo dello Stato nel corso della sua ultima visita a Poggioreale, a settembre. Napolitano vedendolo in quelle condizioni aveva detto: "Fate qualcosa per lui". Il Dap ha precisato che "non esistono in Italia strutture carcerarie nelle quali siano praticabili la fisioterapia e la idroterapia prescritte". E la Corte di Assise di Appello ha rigettato la richiesta di domiciliari. Da qui la richiesta al Presidente. Un giornalista ha chiesto al Dap il permesso di parlare con Di Sarno. Risposta: "I detenuti non possono rilasciare interviste". Detenuto ammalato si appella a Napolitano: “Mi lasci morire”, di Antonio Crispino (www.corriere.it) Vincenzo Di Sarno ha 35 anni. È detenuto nel carcere di Poggioreale da quasi cinque anni. Ha scritto al Presidente della Repubblica. Non ha chiesto la grazia. Nemmeno di avere uno sconto di pena o di essere trasferito altrove. Ha chiesto di morire: l’eutanasia. “Illustrissimo signor Presidente, faccio appello a Lei perché oramai sono allo stremo delle forze sia fisiche che mentali… mi conceda la pena di morte”. Sono le sue parole scritte a stampatello su un pezzo di carta e consegnate alla mamma Maria Cacace. “Falla arrivare al Presidente, ti prego”, le ha chiesto. Vincenzo Di Sarno ha un tumore al midollo osseo, più volte operato. È una grave sindrome midollare che comporta una progressiva perdita delle funzioni neurologiche motorie, sensitive e vegetative. La mamma ci mostra la foto di un ragazzone di 1,85 cm. Quando è entrato in carcere, quattro anni fa, pesava 115 kg. Ieri la bilancia segnava 53 kg. Dovrebbe fare una terapia neuro riabilitativa. Siede su una sedia a rotelle. Non sta in piedi se non con un particolare collare. Passa il giorno aggrappato alle sbarre della cancellata. Il Dap ha precisato che “non esistono nel territorio italiano strutture carcerarie né centri clinici afferenti nei quali siano praticabili la fisioterapia e la idroterapia prescritte”. Le terapie servirebbero solo a rallentare la malattia, non a guarirlo. Eppure è rinchiuso tra quattro mura. Solo da qualche mese ha ottenuto il trasferimento nel centro clinico del penitenziario. Prima era in reparti normalmente sovraffollati, assieme agli altri detenuti comuni. Da qui la richiesta al presidente della Repubblica: “…se potessi, sceglierei la pena di morte: intramuscolo o endovena... oppure essere inviato in qualche clinica svizzera per effettuare l’eutanasia. Egregio signor Presidente, mi indichi Lei quali di queste strade debbo intraprendere”. La mamma è una donna umile, educata, timida. Sembra fuori contesto. Le trema la voce, parla con soggezione. Si sforza di non piangere, di non sembrare patetica. Chi soffre è il figlio. Lei prova dolore nel vederlo ogni giorno dimagrire, nel sapere che potrebbe rallentare la sua morte e invece non può fare niente. La Corte di Assise di Appello già una volta ha rigettato la richiesta di sostituzione del carcere con i domiciliari e si è “riservata di decidere sulle autorizzazioni a frequentare centri riabilitativi”. La burocrazia penitenziaria funziona bene. Ormai lei ha perso le speranze. Fa un appello al ministro Cancellieri, al capo del Dap ma soprattutto a quel Napolitano che a settembre scorso incrociò per caso il figlio Vincenzo durante la visita a Poggioreale. Giorgio Napolitano lo vide dietro le cancellate, si commosse, disse “fate qualcosa per questo ragazzo, non può stare così”. “Così” è rimasto. “Ve lo chiedo in ginocchio… da mamma… Se il ministro Annamaria Cancellieri ha figli, se il capo del Dap ha figli... venite a vedere mio figlio in che condizioni sta. Da dieci anni combatte con un tumore. È aggrappato alle grate e implora aiuto perché non ce la fa più. Signor presidente mi venga incontro, mi guardi, guardi mio figlio… Le faccio un appello… sono una mamma, una mamma che non ha mai avuto problemi con la legge… mi creda”. Dietro le telecamere ci confida dei tentativi di suicidio a cui sta pensando il figlio. Chiediamo al Dap l’autorizzazione per visitare il centro clinico in cui è rinchiuso e verificare il racconto della madre. Ci fanno sapere che possiamo entrare ma non con la telecamera (altre volte ci era stato consentito) e non andare da quel detenuto. “I detenuti non sono autorizzati a rilasciare interviste sulle loro vicende processuali” è la risposta. È vero. Ma piuttosto avremmo voluto chiedere delle sue vicende sanitarie, controllare il suo stato di salute, assistere alle terapie che gli sono state prescritte per limitare la progressione della malattia neurologica. “E poi c’è un problema di privacy che non può essere violata”. No, certo. Così come i diritti umani. In teoria. Lettere: appello da Solliccianino "non ci stiamo più, raddoppiati i detenuti" www.firenzepost.it, 14 gennaio 2014 Le carceri sono sovraffollate, non è una novità. Lo è però il fatto che in un istituto come il "Mario Gozzini" si sia raddoppiato, nel giro di pochi mesi, il numero di persone ristrette al suo interno. Questa struttura a custodia attenuata è nata ed è stata pensata e realizzata con spazi complessivi che avrebbero dovuto ospitare non più di cinquanta persone. Attualmente, invece, ne contiene cento. Una situazione che ha penalizzato e stravolto notevolmente la vita di noi detenuti che speravano di finire di scontare la pena in modo adeguato. E soprattutto nel rispetto del senso d’umanità sancito dalla nostra Costituzione nonché dalle raccomandazioni europee che stabiliscono che in una cella lo spazio disponibile e calpestabile a disposizione per ogni detenuto non debba essere inferiore a sette metri quadrati. Misura, quest’ultima, di fatto dimezzata. La preoccupazione vera e propria è che questo istituto possa perdere lo spirito per il quale è nato e sia snaturato e svuotato della sua funzione rieducativa, efficace e concreta. Una grande verità è che il personale che dovrebbe garantire, seguire e sostenere il trattamento rieducativo è sempre lo stesso, ma con un onere di lavoro raddoppiato. Il personale della Polizia Penitenziaria è poi costantemente sotto organico in quanto man mano che ci sono i pensionamenti non vengono integrati nuovi agenti. Questa non è nient’altro che una delle tante storie del nostro Paese. Quella che fino a pochi anni fa rappresentava un’eccellenza sta decadendo e quindi perdendosi nei meandri di un sistema al collasso e che continua a rappresentare un vero e proprio fallimento sul piano della civiltà e della costante violazione delle norme su cui, peraltro, è fondata la richiesta di legittimazione dello Stato. Froski Persona detenuta presso la Casa Circondariale "Mario Gozzini" Firenze Umbria: i detenuti hanno diritto ad un garante di Stefano Anastasia (Presidente onorario Antigone) Corriere dell’Umbria, 14 gennaio 2014 Se avessi qualche responsabilità nelle istituzioni della Regione Umbria, tra i propositi per il nuovo anno metterei anche la nomina del Garante dei diritti dei detenuti, previsto da una legge del 2006 e ancora in attesa di individuazione e di nomina. È passato più di un anno da quando chi scrive - come altre qualificate e stimabili persone - ha risposto al bando pubblico con cui si chiedeva di manifestare il proprio interesse ad assolvere a una simile responsabilità. E sono passati sette anni ormai da quando la Regione Umbria, tra le prima in Italia, approvò una apposita legge istitutiva di questa figura di promozione e di tutela dei diritti dei detenuti. Una procedura forse troppo garantista e un quorum troppo alto hanno finora impedito che l’Umbria avesse il suo Garante, come ce l’hanno il Lazio, la Toscana, l’Emilia, la Campania, la Puglia, la Sicilia, ma anche i Comuni di Roma, Firenze, Torino, Milano, Bologna, Ferrara, Rovigo, Nuoro, Sassari, solo per citarne qualcuno. Nel frattempo, all’ultima curva, il Governo ha sorpassato il Parlamento (e la stessa Regione Umbria) e ha istituito per decreto il Garante nazionale dei detenuti: la migliore risposta possibile alle recenti polemiche sui detenuti di serie A e i detenuti di serie B, su chi ha il numero di cellulare del Ministro per far valere i propri diritti e chi deve affidarsi al volontariato o alla generosità degli operatori. Qualcuno potrebbe pensare: "allora è fatta, del Garante regionale non ce n’è più bisogno". E invece no. Non solo il decreto-legge governativo prevede espressamente forme di raccordo tra il Garante nazionale e i Garanti regionali e locali, in modo che questi possano seguire con più incisività "sul territorio" i casi e i problemi che dovessero essere posti a quello, ma le rilevanti competenze in materia di carcere che ormai hanno le regioni fanno del Garante regionale un’autorità veramente rilevante: non solo dalle regioni dipende l’assistenza sanitaria dei detenuti, di cui tanto si discute dal caso Cucchi in qua, ma dalle regioni dipendono tutte quelle politiche attive per il sostegno e il reinserimento sociale che sono evocate dalla "finalità rieducativa" della pena prevista dalla Costituzione. Insomma, nessuna esenzione: il decreto governativo rende ancora più urgente la nomina di un Garante dei detenuti per la Regione Umbria. Infine, ma non per ultime, vanno ricordate le peculiarità del sistema penitenziario umbro. Circa 200 detenuti oltre la capienza regolamentare in un sistema con un tasso di detenzione tra i più alti in Italia (176 detenuti ogni 100mila abitanti contro una media nazionale di 107) e con molti detenuti che vengono da fuori regione. Nella esperienza di "sportello per i diritti" che da qualche anno stiamo portando avanti con gli studenti di giurisprudenza nel carcere di Capanne insieme con il collega Carlo Fiorio - anch’egli candidato alla carica di Garante - molti sono i casi e i problemi derivanti dalla lontananza da casa dei detenuti e dalla conseguente difficoltà di mantenere contatti familiari e di coltivare opportunità di reinserimento. Non solo: in Umbria affrontiamo anche il rischio che un provveditorato piccolo sia accorpato con un altro molto più grande, perdendo la possibilità di un’autonoma capacità di programmazione di azioni e iniziative sul territorio. E la spending review potrebbe destinare all’accorpamento dirigenziale anche alcuni dei quattro istituti penitenziari, con un prevedibile scadimento della loro gestione effettiva. Insomma, una situazione non facile che merita la necessaria attenzione da parte delle istituzioni regionali e locali. Tutto ciò per dire che è davvero auspicabile che il Consiglio regionale decida e decida presto. Se ci sono state logiche di schieramento (tra maggioranza e opposizione, dentro la maggioranza e tra le opposizioni) sarebbe il momento di metterle da parte e procedere a una libera e responsabile scelta da parte dei singoli consiglieri regionali. Noi, i candidati, abbiamo presentato dei curricula: li si valuti per quello che dicono. Se non sono sufficienti, si facciano delle audizioni, per verificare le nostre competenze e le nostre motivazioni. Ma si decida al più presto, nell’esclusivo interesse di quelle migliaia di detenuti la cui giusta pena non può confondersi con la negazione della dignità umana e di una speranza di reinserimento. Puglia: Provveditore; entro 2016 tre nuovi complessi detentivi a Lecce, Taranto e Trani Ansa, 14 gennaio 2014 "Entro due anni e mezzo la Puglia avrà tre nuovi complessi detentivi, uno a Lecce, uno a Taranto e l’altro a Trani". Lo ha detto nel pomeriggio Giuseppe Martone, provveditore Dap della Puglia, presente alla visita che il Guardasigilli Annamaria Cancellieri ha compiuto nel carcere di Borgo San Nicola a Lecce. Il ministro in uno dei suoi interventi aveva annunciato che non sarebbero stati costruiti nuovi istituti penitenziari ma che si sarebbero ammodernati quelli già esistenti. "Saranno carceri nelle carceri - ha precisato Martone. Sono sezioni abbastanza moderne con più di 200 posti letto che garantiranno quindi circa 650 posti letto. Un dato significativo per la nostra regione. A lavori ultimati, saranno appaltati entro quest’anno, si aggiungeranno ai 2.500 posti letto regolamentari, per arrivare a 3.200". Savona: progetto del nuovo carcere a Cairo Montenotte, tutto fermo dopo i sopralluoghi La Stampa, 14 gennaio 2014 Sul carcere a Cairo, dopo il vertice in Regione dei mesi scorsi, cala di nuovo il silenzio. Se ne era parlato a fronte della situazione drammatica del Sant’Agostino (ma anche Marassi ha problemi) con la proposta del governatore Claudio Burlando, sottoposta al ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri, di realizzare un nuovo carcere utilizzando la Scuola di Polizia Penitenziaria. Vista l’impasse di Savona e l’ipotesi dei Passeggi arenata, non è la prima volta che si parla di Val Bormida per un nuovo carcere. Le ipotesi riguardavano sia Cengio (la zona tra frazione Piani e il "giro grande") sia l’area di Ferrania dove sorgeva La Marcella. Sono, però, aree "vergini", dove bisognerebbe erigere la struttura da zero, mentre utilizzando la Scuola di Polizia Penitenziaria ci sarebbe un evidente risparmio di costi e di tempistiche,. La struttura si sviluppa, infatti, su un’area di circa 86.000 metri quadri. Oltre ai locali destinati all’accoglienza del personale e alla ricreazione, vanta aule per la formazione (per un totale di 256 posti) e informatica, una biblioteca, due palestre, un poligono di tiro, due campi da pallavolo e tennis, due campi sportivi. Un patrimonio che, secondo molti, ora non è sfruttato a pieno. E difatti l’ipotesi suggerita da Burlando sembrava aver colto nel segno. Lo scorso settembre, infatti, c’era stata una serie di ispezioni dei tecnici ministeriali ed un vertice in Regione, con i Comuni di Cairo e Savona. Poi, però, il silenzio. Intanto il sindaco di Cairo sta lavorando, anche con contatti diretti con il ministero, per risolvere il problema del Comando della Compagnia carabinieri di Cairo, che da anni ha necessità di una sede più idonea. L’obiettivo sul quale si lavora è quello di utilizzare, una volta ampliata e ristrutturata, l’ex sede del Giudice di pace, di proprietà del Comune. Due temi, il carcere e il nuovo Comando, a sé stanti e paralleli, visto che per il primo è competente il ministero della Giustizia e per il secondo quello dell’Interno. Ma se non dovesse andare in porto l’ipotesi carcere nella Scuola, viste le potenzialità (e i costi) di quella mega struttura, circola anche l’idea di una sorta di Polo Interforze. A Cairo, infatti, anche la Guardia di Finanza ha una sede in un certo senso "provvisoria", all’interno di un condominio in Cairo Due. Vedere la ricerca di una nuova sede per Carabinieri e Finanza e, al contempo, una mega struttura come la Scuola penitenziaria che pare decisamente poco sfruttata, potrebbe spingere anche verso questa opzione. Pesaro: per la Corte dei Conti la costruzione del nuovo carcere fu una maxi-truffa Il Resto del Carlino, 14 gennaio 2014 Lavori lunghi e sbagliati e molte tangenti a funzionari pubblici sono la carta d’identità del carcere di Villa Fastiggi. Poi qualche giorno fa è arrivata una sentenza della Corte dei Conti che ha condannato dopo 26 anni l’ex provveditore alle Opere pubbliche e il suo vice a risarcire lo Stato per danni d’immagine. Devono pagare 100mila euro in due. Quello che i giudici non sapevano, e che anche la bomba gettata dai terroristi durante la costruzione, il 28 settembre del 1982, è stato un regalo ai vari profittatori. Racconta un operaio, Graziano, oggi 48enne, per due anni e mezzo muratore nel cantiere consegnato nel 1988: "Io sono arrivato nel 1985 ma c’erano molti operai che vi lavoravano dall’inizio. La prima cosa che mi dissero, a proposito della bomba scoppiata, e che dopo qualche giorno di sequestro del cantiere, videro arrivare da Ancona dei camion carichi di ferro arrugginito, pezzi di gru tagliate, ferraglia. Scaricarono tutto vicino alle macerie della bomba. Poi ripartirono". "Lì per lì - dice Graziano - gli operai non capirono ma poi sì. La ditta o altri personaggi non chiari avrebbero fatto portare delle gru vecchie fuori uso per far vedere un maggior danno dovuto alla bomba. Questo perché dopo una settimana sarebbe arrivata una commissione da Roma per controllare i danni". Ufficialmente la bomba terrorista fece oltre 450 milioni di danni ma in realtà, per chi lavorava nel cantiere, quella somma andava divisa almeno della metà. Insomma, c’era scappata la "cresta" grazie al terrorismo. Dice Graziano: "Mi ricordo che avevo avuto l’incarico di chiudere le scatole delle prese elettriche negli appartamentini dei poliziotti penitenziari. Ne facevo dieci in un giorno, comunque senza correre. Arriva un capo e mi dice che devo fare non più di due appartamenti al giorno. Era un ordine. Ma soprattutto chi doveva controllare per conto dello Stato non lo faceva minimamente. Mi ricordo che molti operai erano incapaci totali. Uno doveva fare il calcestruzzo. È rimasto bloccato dentro la pancia della betoniera e abbiamo dovuto tirarlo fuori con una gru. Hanno fatto 18 metri di muro esterno oltre il dovuto. Se n’è accorto il contadino. Nessuno controllava niente. Come ricordo l’unico collaudo nella sala del cinema. Sono arrivate delle persone, hanno preso un pallone, lo hanno riempito di acqua per poi farlo rotolare su un solaio. Ecco tutta la prova. Mi meraviglio che quel carcere stia ancora in piedi. Mi ero rivolto al sindacato per parlare dello schifo che vedevo, ma non ho avuto ascolto". Lecce: la Cancellieri in visita al carcere, i sindacati la accolgono con striscioni e vignette di Gabriele De Giorgi www.lecceprima.it, 14 gennaio 2014 Annamaria Cancellieri, titolare del dicastero di Giustizia, ha partecipato ad un incontro nel liceo magliese "Da Vinci" e poi si è recata nella struttura detentiva di Borgo San Nicola. Ad accoglierla le rimostranze della polizia penitenziaria. Dopo la teoria, la pratica. Ha trascorso un’ora e mezzo nel carcere di Borgo San Nicola il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri, dopo aver incontrato gli studenti del liceo magliese "Da Vinci" nell’ambito di un ciclo di incontri su Costituzione, legalità e lotta alla mafia. Una visita di cortesia e non protocollare alla quale l’esponente del governo non ha voluto sottrarsi nel corso della sua permanenza di due giorni nel Salento. Ad attenderla, sul varco d’ingresso, sette sigle sindacali del corpo di polizia penitenziaria (Sappe, Uil, Osapp, Sinappe, Cisl-Fns, Ugl-Fnpp, Fsa-Cnpp) che da tempo immemore lamentano le criticità del sistema carcerario, dal sovraffollamento all’esiguità dell’organico. Dentro, invece, il direttore dell’istituto di correzione, Antonio Fullone, il provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria, Giuseppe Martone e il resto del personale che a, a vario titolo, opera nella struttura. È stato Martone, a margine della visita, ad annunciare che entro l’anno verrà pubblicato il bando per la costruzione di tre nuovi plessi all’interno di penitenziari già esistenti: uno di questi sarà a Lecce, gli altri due a Taranto e a Trani. A lavori ultimati la capienza nominale, che è di 2500 posti, verrà aumentata di 650 unità, avvicinandosi così al totale effettivo dei detenuti che al momento è di 3700 persone. Compiuto questo passo, importante ma non risolutivo, resta da capire dove reperire il personale necessario. Su questo punto, ha precisato il provveditore, spetta al governo trovare le misure adatte. Ad oggi, in tutto il Paese, si stima che ci siano circa 7mila poliziotti penitenziari in meno di quanti ne servono. Più in generale, se da una parte il sistema evolve in direzione della cosiddetta "custodia dinamica" - in cui l’utilizzo della cella, almeno in alcuni casi espressamente regolamentati, sia finalizzato esclusivamente al pernottamento, consentendo nelle ore diurne un più ampio ricorso alle attività professionalizzanti e ricreative - verso le sezioni "aperte" o a regime attenuato", dall’altra si tratta di capire come rendere possibile tutto questo quando già adesso la polizia penitenziaria lavora su turni prolungati e con risorse materiali deterioriate e obsolete. Annamaria Cancellieri ha dichiarato di essere rimasta colpita dalla passione per il lavoro riscontrata nel carcere e dalla forza di volontà che anima tutti coloro che vorrebbero farne un modello. Sollecitata anche sulla riforma della geografia giudiziaria, il ministro ha confermato che il distretto di Lecce - dove sono state soppresse sette sedi distaccate del Tribunale - presenta delle criticità che attualmente sono al vaglio dei tecnici. Non è detto dunque che il processo di trasferimento di tutte le competenze nel capoluogo sia una dato irreversibile. E proprio su quest’ultima questione arriva il commento di Salvatore Capone, deputato del Partito democratico: "È importante che il ministro Cancellieri, nel commentare l’applicazione della legge sulla riforma delle geografia giudiziaria, abbia riconosciuto le criticità registrate, anche nel Salento, confermando la valutazione del Tribunale amministrativo e di quanti, nei territori, avevano segnalato per tempo i limiti dell’attuazione". "Quella riforma era necessaria e sacrosanta - ha aggiunto l’esponente democratico -, il che ovviamente non impedisce di rilevarne limiti e carenze, probabilmente dovuti anche a una riorganizzazione forse un po’ troppo affrettata. Per tempo come delegazione parlamentare avevamo accolto le istanze di quanti sostenevano l’opportunità di una attenta disamina del testo legislativo alla luce delle concrete emergenze territoriali, nella necessità di comprendere puntualmente i passaggi attuativi, l’eventuale emergere di incongruenze, il rischio di lasciare sguarniti di presidi di legalità luoghi sensibili dal punto di vista dell’emergenza criminale". Molto coraggio per allestimento di una "sezione aperta" "Nel carcere di Lecce hanno avuto molto coraggio pensando di costruire la sezione aperta". Lo ha detto il ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri, al termine del visita nell'istituto penitenziario di Borgo San Nicola. "La prospettiva di costruire una sezione aperta è molto buona, c'è stato un grosso cambiamento, non è una cosa che si fa in un giorno e ci vogliono tanti strumenti per poterlo realizzare. Quello che mi ha colpito è la passione che c'è in questo carcere, la voglia di lavorare, di farne un modello e, quando c'è questo, il resto arriva. Noi siamo pronti a dar loro tutte le mani che servono". Nel corso della visita il ministro ha incontrato il direttore della struttura, Antonio Fullone, il comandante della polizia penitenziaria, Riccardo Secci, e i rappresentanti sindacali. Secci ha ricordato all'esponente di Governo la "situazione difficile in cui si lavora ogni giorno", spiegando che "la polizia penitenziaria attende un cambiamento significativo a fronte dell'impegno quotidiano". Alcuni agenti hanno quindi regalato al ministro due opere in pietra leccese realizzate artigianalmente. Firenze: Di Puccio; positivo l’operato del Garante dei detenuti Franco Corleone www.laprimapagina.it, 14 gennaio 2014 Questo l’intervento del consigliere Stefano Di Puccio (Prima Firenze) in Consiglio comunale: "Da meno di un mese è pervenuta la relazione annuale del Garante per i diritti dei soggetti privati della libertà personale, che quest’anno ci dà anche un resoconto dell’attività decennale del Garante onorevole Franco Corleone, che va a sostituire nel ruolo di Garante Regionale il dott. Alessandro Margara. Quindi, vorrei fare un sentito ringraziamento per quanto il dott. Corleone ha saputo fare, un ringraziamento personale, visto che con lui ho avuto il piacere di lavorare in questi anni di mia attività consiliare, ma credo di poterlo fare anche a nome di tutto il Consiglio Comunale. Sono stati anni intensi e difficili, iniziati per me quasi in coincidenza con la morte in carcere a Roma di Stefano Cucchi e scanditi dalle morti, non certo per cause naturali, di altri detenuti anche nei nostri istituti di pena e spesso anche delle guardie carcerarie, anch’esse vittime di uno stesso male: il sovraffollamento che è solo la punta dell’iceberg. Leggendo la relazione del garante, e guardando indietro il percorso fatto, il bilancio potrebbe sembrare non soddisfacente, per noi che ci abbiamo lavorato quali membri della commissione, ma ancora meno se andiamo a chiedere un parere a chi in carcere vive come detenuto o lavora. Eppure, il lavoro svolto dal garante è stato un punto di riferimento indiscutibile per chi si interessa del problema. Ormai sappiamo tutti quali sono i problemi del carcere, e parlo di Sollicciano in particolare, dalla struttura edìle ormai vetusta e cadente, il problema dell’istruzione in carcere, della formazione professionale, per preparare i detenuti ad una vita normale una volta fuori dal carcere, o l’assistenza sanitaria e soprattutto una legislazione che provoca quel sovraffollamento che ci vedrà condannati a maggio dalla Corte Europea dei Diritti Umani se non poniamo rimedio. Insomma, se da parte nostra c’è stata un’analisi esatta delle problematiche che spesso ha portato anche dei contributi tangibili alle soluzioni, da parte delle istituzioni preposte non è corrisposta altrettanta efficacia nell’attuarle. È di questi giorni la firma un protocollo tematico tra Ministero della Giustizia, Regione Toscana, Tribunale di Sorveglianza di Firenze e Anci Toscana in cui si prevede la realizzazione di iniziative e progetti concordati, finalizzati a migliorare le condizioni del sistema carcerario regionale e di cui i giornali, in questi ultimi giorni hanno dato notizia riportando le dichiarazioni del Governatore della Regione Rossi. Fra i vari punti, dove si stanziano risorse e si individuano obiettivi precisi, e come attuarli, si parla, per esempio, di misure finalizzate al recupero ed al reinserimento di detenuti con problemi legati alla tossicodipendenza, ovvero individuare, in accordo con gli Enti Locali territorialmente coinvolti, comunità residenziali, anche a sfondo terapeutico, fino ad un massimo di 300 detenuti, attualmente ristretti negli Istituti di pena di Prato, Firenze, Lucca, Pistoia e Livorno indipendentemente dalla loro residenza anagrafica. Ben vengano tali iniziative purché si concretizzino davvero, con il coinvolgimento di quegli enti locali che non si trovino poi da soli a dover gestire questi numeri. Altrettanto dicasi per la ricerca di luoghi per custodia attenuata, per i detenuti in regime di semilibertà o per le madri detenute con bambini. e per tutti quei progetti che rendano più umana la pena detentiva. Insomma, a meno di quattro mesi dalla fine del nostro mandato, e con la scadenza imminente dell’ultimatum della Corte Europea, vorrei finalmente vedere realizzati quei progetti a cui da lungo tempo si lavora". Prato: Garante detenuti Corleone; nel carcere vanno superate alcune evidenti criticità Adnkronos, 14 gennaio 2014 "Il carcere di Prato deve uscire dal cono d'ombra". Lo ha dichiarato il Garante regionale regionale delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale, Franco Corleone, al termine della visita alla casa circondariale, che, dopo Sollicciano, è la più grande struttura penitenziaria della Toscana. Nel carcere ci sono oggi 725 detenuti, a fronte di una capienza di circa 550 posti, con una composizione molto articolata: dall'alta sicurezza ai sex offenders, coloro cioè che hanno commesso reati sessuali; dai collaboratori di giustizia fino alla marea di detenuti comuni. "Per rispondere alle principali necessità della struttura occorre superare alcune evidenti criticità, tre in particolare - ha osservato Corleone - Bisogna eliminare la presenza di quattro detenuti per cella, una situazione che è stata rilevata in venticinque celle. Va definito un progetto con la Asl per i sex offenders presenti, assicurando la presenza di personale qualificato. Infine occorre incrementare il numero degli educatori, che oggi sono solo quattro". Il Garante ha rilevato che, in applicazione del Decreto Cancellieri, sono usciti quattordici detenuti ed altri cinquanta circa saranno scarcerati nelle prossime settimane. Inoltre alcune sezioni detentive risultano aperte per otto ore al giorno ed è già attiva la tessera telefonica. "Occorre proseguire nella prospettiva delle riforme - ha concluso Corleone - continuando a sostenere importanti iniziative già attive, come la scuola ed il polo universitario penitenziario. Milano: Sottosegretario Ferri; il "modello Bollate" è sfida da proporre in tutte strutture Adnkronos, 14 gennaio 2014 "Visitando questo pomeriggio l’istituto di bollate ho potuto constatare una realtà penitenziaria davvero diversa. La domanda viene naturale : Perchè qui è possibile? La sfida deve essere quella di seguire il modello bollate, di viverlo come stimolo per uniformare le nostre strutture garantendo da una parte la certezza della pena dall’altra una seria, credibile rieducazione del condannato". Lo afferma in una nota Cosimo Maria Ferri, sottosegretario al ministero della Giustizia, dopo una visita al penitenziario nel milanese. "Rieducare, risocializzare vuol dire far comprendere al detenuto gli errori commessi per evitare che possano essere reiterati. Anche così si garantisce la sicurezza. I progetti rieducativi realizzati all’interno dell’istituto di Bollate, le opportunità di lavoro offerte e concretizzate, l’area riservata all’attività ricreativa, al teatro, gli ampi spazi in cui i detenuti hanno la possibilità di vivere, il clima costruttivo che si respira all’interno -conclude- sono punti fondamentali su cui si deve basare una seria politica trattamentale". Potenza: Sappe e Uil-Pa denunciano rischio igienicosanitario nella Casa circondariale www.basilicanet.it, 14 gennaio 2014 I segretari regionali di Sappe e Uil-Pa Penitenziari, Saverio Brienza e Donato Sabia, in una nota, denunciano "il rischio igienicosanitario presente nel reparto detentivo giudiziario della Casa Circondariale Antonio Santoro di Potenza". "L’Amministrazione Penitenziaria- affermano - intendono riaprire immediatamente il reparto giudiziario nonostante queste Organizzazioni sindacali abbiano già precedentemente espresso il proprio disappunto", evidenziando che "al piano terra del citato reparto detentivo, in un’area dove costantemente il personale di Polizia Penitenziaria svolge servizio di vigilanza, sono presenti alcuni tombini che appartengono alla rete fognaria della struttura, che potrebbero causare la fuoriuscita di gas dannosi al personale di servizio ed ai detenuti presenti nell’ambito del reparto medesimo". "Sembrerebbe - dicono ancora Brienza e Sabia - che alcun intervento o quasi sia stato fatto dal punto di vista strutturale per ristabilire condizioni igieniche migliori e che neanche sia stata effettuata una verifica da parte di tecnici specializzati sulla valutazione del rischio che le probabili esalazioni, rilasciate dai tombini, potrebbero causare". Perciò i sindacati invitano le Autorità a non porre in essere il provvedimento di riapertura del reparto giudiziario "non prima di un confronto con le OO.SS. rappresentative del comparto sicurezza". Ivrea (To): convegno sulle carceri "un sistema da riformare, non rispetta la Costituzione" di Lydia Massia La Sentinella, 14 gennaio 2014 Mauro Palma, presidente della Commissione ministeriale per la riforma del sistema penitenziario, in città a un incontro del Forum democratico. Il Garante Michelizza: "Proponiamo un servizio di volontariato civile per le persone detenute". "Il rispetto della dignità di una persona, anche se ha commesso un reato, è un diritto inderogabile sancito dalla Costituzione e difeso dalla Corte europea di Strasburgo. Da questa consapevolezza occorre partire per una completa revisione del sistema carcerario italiano". È cominciato così, venerdì sera al polo universitario di via Monte Navale, l’intervento di Mauro Palma, presidente della commissione ministeriale sul sovraffollamento degli istituti penitenziari italiani, già membro del comitato per la prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani e degradanti del Consiglio d’Europa. Lo fa ospite dell’incontro organizzato dal Forum democratico Lembo con l’associazione Tino Beiletti che riunisce decine di assistenti volontari penitenziari. E lo fa, casualmente, la settimana dopo un nuovo suicidio in cella, il primo dell’anno, avvenuto proprio a Ivrea dove il problema del sovraffollamento è già stato sottolineato più e più volte anche dalle organizzazioni sindacali della polizia penitenziaria. "L’Italia - dice Palma - non è stata in grado di costruire un sistema detentivo come prevede la Costituzione. Serve quindi, e ci stiamo lavorando, un Piano di rientro, in grado di costruire un nuovo modello fondato sulla ricostruzione di quattro pilastri: il livello normativo, organizzativo, le strutture ed i rimedi preventivi e compensativi. Troppo spesso, ma non è il caso di Ivrea, vedo carceri che mi sembrano corridoi su cui si affacciano armadi a muro chiusi. Senza vita. Tenere le persone in queste condizioni significa spingerle verso una recrudescenza delle pene per cui sono detenuti, invece che verso una rieducazione. Altro grave problema da superare è che il carcere è troppo pieno di minorità sociali. Penso ai clandestini, piuttosto che di persone che hanno commesso dei gravi reati. Ecco che diventa indispensabile una revisione del sistema normativo, soprattutto delle legge Bossi-Fini sull’immigrazione e quindi interventi di riduzione dei flussi in ingresso". Da rivedere, per Palma, anche la legge ex Cirielli che rende difficile l’accesso alle misure alternative. E prosegue: "Di pari passo devono viaggiare la creazione di un nuovo modello organizzativo della vita detentiva: in Italia si offre poco o niente, pur essendo un sistema dispendioso. E la rimodulazione degli edifici di pena, che sono fatiscenti e male utilizzati, con la creazione di spazi comuni". Ornella Favero, volontaria e direttrice di Ristretti orizzonti, centro di documentazione della casa di reclusione di Padova e dell’istituto di pena femminile della Giudecca di Venezia, pone l’accento sulla sofferenza delle famiglie dei detenuti, legata al sovraffollamento. "Ho visto persone in coda per lunghe ore in attesa di poter incontrare un parente detenuto - racconta. Il problema della carceri non vuole dire solo spazi ristretti, ma insensatezza della pena. Un carcere così come gestito oggi, non serve: le persone escono più cattive con un odio verso le istituzioni. Le carceri sono gestite in modo disumano e noi volontari dobbiamo lottare anche per le piccole cose come ottenere per i detenuti la possibilità di una telefonata in più al mese o di poter pranzare ogni tanto con i propri familiari". Critiche sulle quale si dice d’accordo Armando Michelizza, garante dei diritti dei detenuti: "Per vivere bisogna avere un ruolo, mentre in carcere le persone sono sospese dalla vita. Noi proponiamo l’organizzazione di un servizio di volontariato civile per le persone detenute. Che in questo modo possono sentirsi utili e sviluppare un percorso verso la riconquista della legalità". Confronto detenuti-studenti per abbattere le barriere La storia di Bartolo è quella di un uomo sulla sessantina che da cinque anni sta pagando il suo debito alla giustizia, tra le mura della casa circondariale di Ivrea. Dopo una vita travagliata, fatta di mille lavori e tante speranze infrante, oggi Bartolo cerca il riscatto dedicandosi ai libri e alla lettura. Due anni fa ha incominciato a lavorare gratuitamente nella biblioteca del carcere dove, tra scaffali e scatoloni pieni di libri, ha incontrato Sara e Chiara, due studentesse del liceo Gramsci che hanno aderito, insieme a altri dodici compagni dell’ultimo anno dell’indirizzo socio-pedagogico, al progetto "Al di là del Muro". Si tratta di un percorso formativo, coordinato dai docenti Enrica Francone e Davide Bombino, orientato appunto alla conoscenza della realtà carceraria, anche come possibile ambito lavorativo futuro. Suddiviso in tre fasi, il progetto è partito nel novembre del 2012, attraverso la presentazione di un questionario, la visione di un film e di alcuni confronti, proseguendo con una serie di vere e proprie lezioni e di un laboratorio teatrale, che ha permesso a detenuti, volontari e studenti di conoscersi ed interagire, abbattendo l’iniziale barriera di diffidenza e timore. La seconda fase, avviata nel periodo estivo, ha permesso ad alcuni giovani di fare un tirocinio di 40 ore all’interno del carcere. Sabato mattina, all’auditorium del liceo, si è svolto un incontro per far conoscere l’esperienza di Bartolo, di Sara e Chiara ma anche di Ylenia e Veronica, di Dimitar e Boci, e di tutti gli altri, studenti, volontari e detenuti che si sono messi in gioco, i primi per ascoltare e comprendere spaccati di vita che sembrano lontanissimi, gli altri per raccontare le loro sconfitte, i loro errori ma soprattutto la voglia di ricominciare da capo, una volta espiata la pena. "Per molte persone fuori siamo dei "mostri" - ha scritto Petrit - ma prima di entrare in carcere eravamo persone come tutti gli altri, e lo siamo tuttora, solo che abbiamo sbagliato e dobbiamo pagare". "Qui dentro - raccontano dal palco Ylenia e Veronica - quelli "al di là del muro", quelli fuori posto, siamo noi. Ci è bastato entrare per capire che non sappiamo nulla di come si vive "al di qua". E - hanno aggiunto - gli avvertimenti dei genitori apprensivi, degli amici preoccupati, che ci dicono di far attenzione, non ci possono aiutare. Perché anche loro non sanno niente, di questo mondo che giudicano". Le testimonianze e le impressioni di chi che ha partecipato al progetto sono state pubblicate per intero nell’ultimo numero del giornale L’Alba, scritto dai detenuti. Sono intervenuti l’assessore alle politiche sociali Augusto Vino, la direttrice della casa circondariale, Assuntina Di Rienzo e la fondatrice della rivista Ristretti Orizzonti Ornella Favero. Ferrara: l’Università sottoscrive Convenzione per l’accesso allo studio dei detenuti www.controcampus.it, 14 gennaio 2014 Delibera approvata nel corso dell’ultima seduta del Consiglio di Amministrazione dell’Università di Ferrara. La Convenzione con la Casa Circondariale di Ferrara e il Garante dei diritti dei detenuti per il Comune e la Provincia di Ferrara per l’accesso dei detenuti ai corsi di studio dell’Università di Ferrara, per favorire l’iscrizione all’Università di Ferrara delle persone in stato di detenzione, garantire ai detenuti capaci e meritevoli, ma privi di mezzi, l’accesso ai gradi più alti dell’istruzione e il completamento del corso di studio nella struttura di detenzione o nei locali dell’Ateneo, agevolando la fornitura di libri di testo attraverso la donazione o il prestito inter-bibliotecario tra la biblioteca della Casa Circondariale e le biblioteche dell’Università. Grazie a questa convenzione, di durata biennale, i detenuti potranno accedere ai corsi dei Dipartimenti di Matematica ed Informatica, Architettura, Giurisprudenza, Economia e Management, Morfologia, Chirurgia e Medicina Sperimentale, Studi Umanistici dell’Università di Ferrara. Lecce: "Storie d’amore e libertà", da domani al via due corsi di formazione per i detenuti www.osservatorioantigone.it, 14 gennaio 2014 L’associazione Antigone Onlus in collaborazione con l’associazione culturale leccese Bfake, a partire da mercoledì 15 gennaio, organizzano all’interno della Casa Circondariale Borgo San Nicola di Lecce due corsi per circa quindici detenuti. Si tratta in particolare di un corso di Street Art rivolto alla sezione femminile e di un corso di Musica e scrittura creativa per la sezione maschile. Il progetto prende il nome di: "Storie d’amore e libertà" e vede come partner principale il Garante dei diritti dei detenuti, dott. Piero Rossi che ha contribuito alla realizzazione del progetto. "L’attività trattamentale è strumento irrinunciabile per la rieducazione del condannato e per il suo futuro reinserimento sociale: corsi come questi sono fondamentali per stimolare la socialità all’interno delle carceri" dice Patrizio Gonnella, Presidente di Antigone da oltre venti anni impegnata nella difesa dei diritti dei detenuti. L’idea nasce dal confronto e dalla sinergia fra l’avvocato Mariapia Scarciglia, responsabile per Lecce e Taranto dell’associazione Antigone ed i soci dell’associazione Bfake, attiva sul territorio nella realizzazione di progetti all’insegna della libera circolazione e condivisione dei saperi. La passione per i diritti e l’impegno civico sono stati fondamentali per spingere il progetto all’interno del carcere leccese, struttura piuttosto grande che ospita circa 1.200,00 detenuti. L’obiettivo è quello di creare un vero e proprio spazio neutrale, in cui i detenuti possono sentirsi liberi di esprimersi in discipline che notoriamente migliorano il benessere psicofisico della persona, obiettivo, questo alla base della finalità della pena. Dopo una serie di proficui incontri con i detenuti all’interno della casa circondariale di Lecce, resi possibili grazie all’entusiasmo dimostrato nei confronti del progetto dal direttore Antonio Fullone, ben due classi composte da quindici detenuti sono già pronte a confrontarsi con arte, musica, scrittura e creatività. A fronte della attività per i detenuti già avviate all’interno del carcere, fra le quali ricordiamo un corso di teatro ed i laboratori di sartoria e falegnameria, la scelta di traghettare all’interno della Casa Circondariale due corsi espressamente rivolti all’arte ed alla creatività non è affatto casuale. Grazie al corso di Street Art i partecipanti potranno immediatamente confrontarsi con tutte le moderne tecniche artistiche proprie dell’arte di strada. Graffiti, stencil, disegni e collage, grazie alla guida di insegnanti esperti ed alla presenza già confermata di ospiti illustri di fama nazionale, diverranno strumenti di libertà e partecipazione mentre, grazie al corso di musica e scrittura creativa, i mille pensieri che affollano la mente di chi vive all’interno di una cella potranno diventare, nell’ottica di un lavoro coordinato e corale, il testo di un brano rap da scrivere, registrare e condividere. Il corso di Street Art sarà curato da Francesco Ferreri e Ania Kitela mentre il corso di musica sarà gestito da Ennio Ciotta e Massimo Armenise. Per info: Avv. Mariapia Scarciglia 3475026641, mariapiascarciglia@hotmail.com. Ferrara: "Liberi dentro", puntata del magazine "Vista da vicino" sul teatro in carcere www.bologna2000.com, 14 gennaio 2014 Il teatro in carcere come occasione di riscoperta di se stessi e come momento di relazione tra chi sta dentro e chi sta fuori. Si intitola "Liberi dentro" la puntata di questa settimana di "Vista da vicino" il magazine per la Tv e il Web della Giunta regionale, viaggio attraverso la rassegna "Stanze di teatro in carcere" giunta al terzo anno, che racconta del lavoro di tante associazioni che insieme alla Regione lavorano per la crescita personale dei detenuti e il loro reinserimento sociale. Nel video alcuni detenuti, intervistati nel corso di uno degli spettacoli tenuti alla Casa circondariale di Ferrara e durante le prove di uno spettacolo tenutosi al Teatro dei Venti di Modena, raccontano l’effetto che il lavoro teatrale ha avuto sul rapporto con se stessi e con il mondo esterno, quello chiuso con loro nel carcere e quello che vive all’esterno. Nella puntata il commento degli assessori regionali alle politiche sociali Teresa Marzocchi e alla cultura Massimo Mezzetti. Vista da vicino è on line sul sito della Regione, su Youtube e su Facebook. Immigrazione: naufragio a Lampedusa, in Tribunale racconto degli stupri e delle torture Adnkronos, 14 gennaio 2014 Arrivano per la prima volta in un’aula di giustizia i racconti agghiaccianti degli stupri e delle torture subiti da un gruppo di profughi superstiti del naufragio del 3 ottobre 2013 in cui morirono, davanti alle coste di Lampedusa, 366 immigrati. Sette eritrei sono arrivati al Tribunale di Palermo dove è iniziato pochi minuti fa l’incidente probatorio nel procedimento contro Mouhamud Muhidin, un 25enne ex guerrigliero somalo, arrestato con l’accusa di tratta di essere umani. L’uomo è accusato di avere fatto parte di un gruppo di criminali che hanno sequestrato nel deserto tra la Libia e il Sudan una cinquantina di profughi che poi avrebbero raggiunto le coste libiche per raggiungere Lampedusa. In aula, nel nuovo Palazzo di giustizia, c’è anche l’imputato, circondato dalle guardie penitenziarie. Nessuno sguardo con i sette superstiti, tutti giovanissimi, tra cui una ragazza di appena 18 anni, stuprata e torturata durante il sequestro. Il gip Giangaspare Camerini sta ascoltando i profughi grazie a un’interprete tigrina che traduce in italiano. Immigrazione: Bitonci (Ln); no a oltranza cancellazione reato clandestinità Asca, 14 gennaio 2014 "Faremo battaglia in Aula al Senato per bloccare il provvedimento vergognoso che oltre a svuotare le carceri abolisce il reato di clandestinità. Una norma che avrebbe il solo risultato, come vuole la Kyenge, di richiamare ancor più clandestini sul nostro territorio. Una vera catastrofe per l’intero Paese sia in termini di sicurezza che per il fatto che questi disperati dovremo anche mantenerli. Per quanto ci riguarda questa misura non vedrà mai la luce. Ci opporremo in tutti i modi. Noi, comunque, abbiamo presentato l’emendamento che ripristina il reato di immigrazione clandestina cancellato in commissione giustizia da mano grillina. Chiediamo ai senatori con un po’ di buon senso di appoggiare e ripristinare il reato di clandestinità. Per Grillo nessuna novità: sbugiardato dai suoi ancora una volta". Lo dichiara Massimo Bitonci, presidente della Lega Nord al Senato in riferimento al provvedimento sulla messa alla prova all’ordine del giorno dell’Aula di domani. India: caso marò, la mossa del Governo. De Mistura: presa un’iniziativa per sbloccare l’impasse di Marco Ludovico Il Sole 24 Ore, 14 gennaio 2014 Aumenta il pressing del governo italiano sul caso dei fucilieri della Marina Militare Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. L’ambasciatore Staffan de Mistura, inviato a New Delhi, parla di una "iniziativa molto forte e decisa". Precisa che si tratta d’azione "con valenza giuridica e politica" presa "su indicazione del presidente del Consiglio Enrico Letta". La strategia governativa italiana segue due percorsi. Il massimo sostegno possibile alla difesa dei due marinai all’interno del processo davanti alla corte indiana. E, con più discrezione, un’azione di confronto e di dialogo tra governi. L’accelerazione disposta da Roma ha compreso pressioni anche sui vertici dell’Unione europea - il presidente José Manuel Barroso e l’Alto Rappresentante Catherine Ashton - affinché sostengano la posizione italiana. In un incontro con il vicepresidente della Commissione Ue, Antonio Tajani, Barroso ha garantito un impegno assicurando che "siamo tutti contro la pena di morte". Un presagio, paventato per Latorre e Girone, a quanto pare tuttavia infondato. In India la pena di morte si applica molto di rado, negli ultimi vent’anni è stata eseguita soltanto quattro volte. Ma questa non è, di per sé, fonte di rassicurazione garantita. C’è un grovoglio burocratico-procedurale sul caso, infatti, che non aiuta a trovare una soluzione rapida. La formulazione dei capi d’accusa per i due fucilieri è stata affidata dalla Corte suprema indiana alla Nia (National investigation Agency). La Nia sul piano giuridico sarebbe obbligata a rifarsi al "Sua Act", una legge che prevede la pena capitale nel caso di omicidio in mare. Una previsione che non si traduce, però, in una volontà automatica di applicare la pena di morte, tanto che lo stesso ambasciatore de Mistura ha definito "inapplicabile" questa evenienza. In effetti il governo di Delhi, nel pieno della crisi per il minacciato non ritorno in India dei due fucilieri, aveva formalmente assicurato all’Italia con il suo ministro degli Esteri Salman Khur-shid che il caso non rientrava fra quelli "rarissimi" in cui è prevista nei tribunali indiani la richiesta della pena capitale. Ma il ricorso alla "Sua Act" garantisce all’India il titolo a decidere con la propria giurisdizione, condizione peraltro pretesa, com’è ovvio, dalla magistratura indiana. Tant’è che il portavoce del ministero degli Esteri indiano, Syed Akbaruddin, ieri ha dato un segnale di presa di distanza, quantomeno ufficiale, dal caso, affermando che una rapida soluzione della crisi "è esaminata in un tribunale, suo luogo naturale". La tensione si fa alta anche perché la formulazione dei capi d’accusa doveva essere presentata F8 gennaio e avverrà invece verso fine gennaio. Secondo alcune indiscrezioni, l’Italia potrebbe presentare un ricorso d’urgenza per chiedere alla Corte Suprema il rispetto dei criteri da essa stessa posti in una sentenza del 18 gennaio 2012 per il processo nei confronti di Latorre e Girone. Come la Corte ribadì anche in un successivo verdetto del 26 aprile, si trattava di giudicare Girone e Latorre con strumenti e leggi indiane e internazionali, fra cui la Convenzione Unclos, ma senza menzione del Sua Act. Intanto in Italia vari partiti politici - il Movimento5 Stelle, Fratelli d’Italia e il gruppo Per l’Italia - hanno annunciato l’invio di missioni in India. Il ministro della Difesa Mario Mauro: "L’unione fa la forza ma evitiamo guai". India: il M5S sul caso marò; dopo 21 mesi di promesse disattese… andremo in India La Presse, 14 gennaio 2014 "Adesso basta! Sono passati 21 mesi e per i due marò italiani detenuti-sequestrati in India nulla è cambiato. Dopo mille promesse, tutte disattese, M5S andrà direttamente in India a conoscere i fatti, così come per il caso Shalabayeva". È quanto scrivono i deputati del Movimento 5 Stelle, membri della commissione Affari esteri, in un post pubblicato sul blog di Beppe Grillo dal titolo ‘Il M5S va in India dai marò’. "Il nostro viaggio in Kazakistan - sottolineano i deputati pentastellati - è stato fondamentale, tanto che Alma è venuta a ringraziarci personalmente una volta rientrata in Italia. Il governo invece ancora tentenna sui due marò, il M5S lo sfida e prepara la partenza per Nuova Delhi prevista per il 20 gennaio". "Su Latorre e Girone - prosegue il post - oggi incombe nuovamente il rischio della pena di morte. Nonostante le promesse dell’inviato del governo De Mistura che di fronte alle nostre richieste aveva garantito la non applicabilità della pena di morte da parte del Governo Indiano. Governo Letta ancora una volta, solo chiacchiere e distintivo". "In Commissione affari esteri - concludono - abbiamo cercato una soluzione a questa brutta storia. Il 20 partiremo per raggiungere l’ambasciata dove sono detenuti per ottenere informazioni chiare e precise. Il governo indiano deve parlare con noi, noi siamo il futuro governo di questo Paese. È una questione di giustizia e di orgoglio nazionale". Ue: India trovi soluzione rispettando norme Onu L’Unione europea segue "molto attentamente" l’evolvere della situazione dei marò italiani detenuti in India e "incoraggia con insistenza" le autorità indiane "a trovare una soluzione a questo caso che dura ormai da tempo", coerentemente con le "norme delle Nazioni unite sul diritto marittimo". Lo ha detto la portavoce dell’alto rappresentante per la Politica estera Ue Catherine Ashton. "Il caso - ha aggiunto Maja Kojiancic - si inserisce nel contesto della lotta globale contro la pirateria in cui l’Unione è parte attiva". Olanda: governo tassa detenuti, 16 euro a notte per risparmiare spese dello Stato Ansa, 14 gennaio 2014 I carcerati dovranno pagarsi le notti in prigione, a sedici euro a notte, perché non è giusto che lo Stato si accolli interamente le loro spese: è la nuova proposta di legge del governo olandese, pensata per fare giustizia - dicono al ministero competente - nella giustizia. La proposta di laburisti e liberali al governo, prevede che i carcerati maggiorenni e i famigliari dei minori paghino sedici euro al giorno per un massimo di due anni. Un carcerato costa circa 250 euro al giorno allo Stato olandese, che vuole farsi pagare anche una parte delle spese delle indagini. Così arriverebbe a risparmiare 65 milioni di euro all’anno, è il calcolo del ministero della Giustizia. Se adottata dal Parlamento, la proposta potrebbe diventare legge nel 2015. Ma secondo le associazioni che difendono i diritti dei carcerati, tale proposta sarebbe contraria al diritto europeo. Afghanistan: un accordo sul carcere di Bagram, la missione incompiuta di Obama di Giuliano Battiston Il Manifesto, 14 gennaio 2014 È il carcere delle stragi e della tortura e l’hub strategico della guerra. Una "Guantanámo afghana". Sulla pelle dei detenuti della base militare si gioca da molto tempo un duro braccio di ferro tra Kabul e Washington. A una quarantina di chilometri da Kabul, lungo l’arteria principale che collega la capitale afghana al nord del paese, i viaggiatori non possono non notare, protetta dal filo spinato, sorvegliata dagli "occhi digitali" della sorveglianza panottica e sufficientemente lontana dalla strada, Bagram. Fondata negli anni Cinquanta, riadattata alle necessità delle nuove guerre, è la più grande base militare dell’Afghanistan. Sede di un vasto contingente di soldati internazionali (soprattutto americani), oggi è un hub strategico del conflitto afghano. Non è un caso che l’Accordo di sicurezza bilaterale tra Afghanistan e Stati Uniti preveda che gli americani godano dell’uso esclusivo di Bagram, una volta e se quell’Accordo verrà firmato, dal presidente Karzai o dal successore (che verrà eletto con le presidenziali del 5 aprile). Per qualcuno il suo destino riflette quello dell’intero paese: finire nelle mani dei soldati a stelle e strisce nel caso che l’Accordo venga firmato o tornare finalmente sotto la piena sovranità del governo afghano, nel caso venga respinto. Quale che ne sia il futuro, il passato recente di Bagram testimonia molti degli avvenimenti più importanti dell’Afghanistan post-talebano. È qui, per esempio, che il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, è atterrato a sorpresa il 1 maggio 2012, per poi tenere uno "storico" discorso alla nazione americana con cui ha celebrato l’Accordo di partenariato appena firmato con l’omologo Hamid Karzai, un accordo preliminare a quello di cui si discute animatamente ora. Quel giorno, attingendo a piene mani dal serbatoio della retorica americana del nuovo inizio, Obama ha contrapposto la "scura nube della guerra" alla "luce di un nuovo giorno all’orizzonte" che si annuncia "nel buio prima dell’alba". Era il primo anniversario dell’uccisione dello sceicco del terrore, Osama bin Laden, e l’ottavo del discorso con cui il 1 maggio 2003 l’allora presidente George W. Bush dichiarava "missione conclusa " in Iraq dalla portaerei Abraham Lincoln. Oggi la città irachena di Falluja è nelle mani degli epigoni di Bin Laden, l’Afghanistan è ancora sotto la pesante, "scura nube della guerra", mentre l’ottimismo di Obama viene quotidianamente contraddetto dai funzionari del Dipartimento di Stato e perfino dai generali del Pentagono, i quali temono che Karzai possa svincolare l’Afghanistan dall’abbraccio americano e atlantico, rinunciando all’Accordo bilaterale di sicurezza e ricollocando il paese nel suo alveo naturale, l’Asia. Bagram incarna le contraddizioni afghane, di un paese debole e sfiancato, che rivendica sovranità ma che rimane sotto occupazione e sotto ricatto. E che spesso vede negli stranieri solo degli occupanti, estranei, minacciosi, insensibili. Proprio qui, nel febbraio 2012, alcuni lavoratori afghani hanno trovato le copie del Corano bruciate, innescando una serie di proteste che hanno infiammato il paese per diversi giorni, alimentando l’ostilità verso gli stranieri. E proprio dentro la base di Bagram, nel Parwan Detention Center, la prigione gestita fino al marzo scorso dagli americani, si sono verificati diversi casi di tortura. A certificarlo, le inchieste giornalistiche, i rapporti della Croce Rossa, dell’Afghanistan Independent Human Rights Commission, della Open Society Foundation, così come il rapporto del dicembre 2011/gennaio 2012 della Commissione indipendente afghana per l’attuazione della costituzione, che ha accusato i funzionari statunitensi di torturare alcuni degli allora 3000 detenuti del carcere. Sulla pelle dei detenuti della "Guantánamo afghana" si gioca da molto tempo un duro braccio di ferro tra Kabul e Washington. Karzai ha cominciato a rivendicare la "sovranità" sui detenuti di Bagram almeno dalla fine del 2011. Gli Stati Uniti hanno a lungo risposto picche, dicendo di non fidarsi del modo in cui le autorità afghane gestiscono le carceri. Il 9 marzo 2012 è finalmente arrivato l’accordo che prevedeva il passaggio della responsabilità della prigione dagli americani agli afghani entro il 9 settembre 2012. Il passaggio è però avvenuto con molto ritardo e riluttanza. Gli Stati Uniti hanno infatti continuato a mantenere il controllo sui prigionieri, e c’è stato bisogno di un secondo Memorandum di intesa per sancire il definitivo passaggio di consegne, il 25 marzo 2013. In quell’occasione, le due parti hanno convenuto che dall’Afghan National Detention Facility (il nuovo nome della prigione) non sarebbe uscito nessun detenuto considerato pericoloso dagli Stati Uniti. Pochi giorni fa Abdul Shakur Adras, a capo dell’Afghan Review Board che ha il compito di esaminare le pratiche dei detenuti di Bagram, ha annunciato l’imminente rilascio di 88 detenuti, perché "i documenti che abbiamo consultato non forniscono alcuna indicazione della loro colpevolezza". Gli americani pensano il contrario: per loro, quei detenuti sono responsabili dell’uccisione di almeno 35 soldati americani e di 70 afghani, secondo quanto riporta un accurato rapporto dell’Afghanistan Analysts Network di Kabul. A inizio gennaio Obama ha inviato a Kabul i senatori John McCain e Lindsay Graham per convincere Karzai a desistere, e ha intensificato la pressione con minacciose dichiarazioni. In gioco, sostengono a Washington, oltre alla sicurezza dei soldati americani in territorio afghano, c’è il futuro delle relazioni tra Afghanistan e Stati Uniti. Se Karzai non ci ripensa - è il messaggio portato dai senatori americani - si rischia "un danno irrimediabile" nel già difficile rapporto tra i due paesi. Per ora Karzai sembra deciso a far liberare almeno 72 di quegli 88 detenuti (quelli per i quali le prove di colpevolezza non sono convincenti). Il suo portavoce Aimal Faizi ha dichiarato alla Reuters di non poter "consentire che dei cittadini afghani innocenti siano detenuti per mesi e anni senza un processo e per nessuna ragione. Sappiamo che ciò sfortunatamente è avvenuto a Bagram - ha proseguito Faizi - ma è qualcosa di illegale e una violazione della sovranità afghana, non possiamo più permetterlo". Per gli idealisti, dietro alla polemica sul rilascio dei detenuti di Bagram si nasconderebbe una questione di diritto: a comandare in Afghanistan è il governo Karzai, che nominalmente ha la responsabilità di quei detenuti, o gli americani, che continuano a esercitare la loro sovranità in modo illegittimo? Per i realisti, tutto dipende invece da una questione di forza politica, legata all’uscita di scena di Karzai: Karzai sa che sta per esaurirsi il suo ciclo, che dal prossimo aprile non sarà più presidente, e starebbe cercando di chiudere la partita sia internamente che esternamente. Esternamente, vuol dimostrare agli americani di poter giocare diverse carte - compresa quella di Bagram - nella partita sull’Accordo bilaterale di sicurezza. Internamente, spera di poter usare la carta dei detenuti liberati per ammorbidire i Talebani, convincendoli a riconoscere il suo governo come un legittimo interlocutore per il processo di pace. Un piano rischioso, dagli esiti incerti. Egitto: decreto presidenziale prevede pene più severe per reati durante le elezioni Nova, 14 gennaio 2014 Il presidente egiziano ad interim Adli Mansour, ha emanato ieri un decreto presidenziale che prevede pene più alte per i reati commessi durante lo svolgimento di elezioni o referendum, in vista del referendum sulla nuova costituzione previsto per il prossimo 22 gennaio in Egitto. Secondo quanto riporta il quotidiano "al Masry al Youm", il portavoce della presidenza, Aihab Bidawi, ha annunciato che il nuovo decreto modifica la legge sui diritti politici emanata nel 1956, ed in particolare all’articolo 73 laddove si parla genericamente di "carcere" per chi commette questo tipo di reato, si specifica al comma 49 che "la pena varia dai 3 ai 15 anni". I reati puniti da questo articolo riguarda chi fa campagna elettorale durante le giornate di voto e chi cerca di commettere brogli votando più di una volta. Nord Corea: Dennis Rodman si scusa, non posso fare nulla per Kenneth Bae Tm News, 14 gennaio 2014 La diplomazia del Basket ha fallito e Dennis Rodman è stato di nuovo costretto a scusarsi per non essere riuscito ad aiutare a liberare Kenneth Bae, il missionario statunitense detenuto in Corea del Nord. L’ex stella dell’Nba, ha parlato con giornalisti nell’aeroporto di Pechino al rientro da Pyongyang. "Mi dispiace - ha affermato - per tutte queste persone e per quello che sta succedendo, mi dispiace. Non sono il presidente, non sono un ambasciatore, sono soltanto una persona che vuole dimostrare al mondo che possiamo andare d’accordo ed essere felici per un giorno". La settimana scorsa il 52enne si era scusato per aver lasciato intendere in un’intervista alla Cnn che Bae, detenuto da più di un anno per "reati contro lo Stato", fosse in qualche modo responsabile della propria situazione. Poi anche le immagini del gigante del basket che canta buon compleanno al dittatore Kim Jong Un avevano scatenato le proteste internazionali. Rodman però ha difeso con forza la sua visita nel Paese e ha fatto sapere che ritornerà in Corea del Nord a febbraio.