Giustizia: la ministra Cancellieri striglia i vertici Dap, chiede "più impegno" in vista scadenze Ue Adnkronos, 12 gennaio 2014 Il ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri, striglia i vertici dell’amministrazione penitenziaria, richiamati alla necessità di un impegno più stringente in vista delle risposte che il governo deve dare all’Europa sull’emergenza del sovraffollamento delle carceri. L’incontro si è tenuto due giorni fa presso il ministero tra la guardasigilli, il capo del Dap, Giovanni Tamburino, e i suoi due vice, Luigi Pagano e Francesco Cascini. Una discussione che chi era presente definisce "molto seria e dai toni animati", nel corso della quale il guardasigilli ha chiesto conto del lavoro fatto e da quello da fare per rispettare la scadenza, a maggio prossimo, imposta dalla Corte europea di Strasburgo. "La faccia ce la metto io", avrebbe detto la Cancellieri a Tamburino, Pagano e Cascini. Ma, riferiscono all’Adnkronos fonti del ministero, confermate dagli stessi vertici del Dap, nessuna intenzione è stata manifestata dal guardasigilli di chiedere un passo indietro a chi guida il Dipartimento, né nessuna lettera di dimissioni è arrivata al ministro, che avrebbe al contrario ribadito la sua piena fiducia. "Non è mai stata scritta nessuna lettera di dimissioni - chiarisce il vice capo del Dap, Luigi Pagano - Dobbiamo arrivare a maggio, abbiamo lavorato bene finora, non lasceremmo mai il lavoro a metà. Quando si è sotto pressione può capitare di discutere, sono normali rapporti di lavoro". Giustizia: Pagano (Dap); maggio si avvicina, sarebbe da irresponsabili lasciare in questo momento di Silvia D’Onghia Il Fatto Quotidiano, 12 gennaio 2014 Nervi tesi in via Arenula per la scadenza imposta da Strasburgo. Nessuno vuole lasciare, ma c’è chi non esclude la nomina di Mauro Palma, uomo di fiducia del ministro, ai vertici del Dap. "Il periodo politico è quello che è, maggio si avvicina rapidamente e sarebbe da irresponsabili lasciare in questo momento. Lo scriva, per favore: dobbiamo lanciare un messaggio per rasserenare gli animi", ha detto ieri al Fatto il vice capo del Dap, Luigi Pagano. Animi che proprio tanto sereni, al momento, non sono. Giovedì pomeriggio, ai piani alti di Largo Daga, sede del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, pare che le urla si sentissero da inizio corridoio. Lo ha scritto ieri Francesco Bonazzi su Dagospia: "Ha voluto sapere che progressi sono stati fatti sulla lotta al sovraffollamento delle carceri e dopo aver ricevuto qualche rassicurazione - un po’ generica - dal consigliere Tamburino, ha letteralmente investito i suoi tre alti dirigenti accusandoli, in sostanza, di gestire solo la macchina amministrativa e di non pensare sufficientemente ai carcerati. "Non fate nulla per i detenuti!" è sbottata la Guardasigilli. L’incontro, tesissimo, è durato quasi due ore". Protagonisti della riunione infuocata sono stati la ministra Anna Maria Cancellieri, il capo del dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburino, e i suoi vice, Luigi Pagano e Francesco Cascini. Quest’ultimo era stato proprio colui che il 18 agosto dello scorso anno aveva ricevuto la telefonata della Guardasigilli, preoccupata per la salute in carcere della sua amica Giulia Ligresti. E però sul capo della ministra, che "ci mette la faccia", c’è la scadenza - maggio, appunto - imposta dalla Corte di Strasburgo per far fronte al sovraffollamento. Non solo: potrebbe esserci stato addirittura un intervento del premier Letta, che le avrebbe fatto notare la scarsa trasparenza del Dap nei suoi confronti. Dagospia dava ieri anche un’altra notizia: le imminenti dimissioni proprio del terzetto che guida il Dap, con tanto di lettera già scritta e, forse, già inviata sulla scrivania di via Arenula. "Non si dimette nessuno", hanno smentito ieri fonti interne all’amministrazione, oltre allo stesso Pagano. "I cazziatoni fanno parte del periodo di tensione, ma è successo altre volte e non è che questo comporta automaticamente le dimissioni". In realtà la lettera potrebbe essere partita proprio da Pagano e sottoscritta poi dagli altri due, più per un pro-forma che per una reale intenzione di lasciare gli incarichi. Tutto è nelle mani della ministra, che potrebbe approfittare dell’occasione per nominare, al posto di Tamburino, un uomo di sua fiducia, Mauro Palma: prima presidente dell’associazione Antigone e ora della Commissione ministeriale sul sovraffollamento degli istituti, è stato a capo del Comitato europeo per la Prevenzione della Tortura, ed è quindi amico di Bruxelles. Da Antigone sono partiti molti di quei ricorsi accolti da Strasburgo. La sfuriata e soprattutto la diffusione della notizia della sfuriata però la dicono lunga sul clima che si respira nei corridoi di Largo Daga. Ai capi del Dap, che sono tutti magistrati, si chiede di risolvere problematiche numerosissime e troppo differenti tra loro: il sovraffollamento e la conseguente mancanza di rieducazione dei detenuti, l’edilizia carceraria, la gestione della polizia penitenziaria, sottodimensionata e stressata. Troppi fascicoli per pochi uomini. Senza considerare che, anche tra gli alti funzionari, i rapporti sono in qualche caso molto tesi. Da ogni lato la si guardi, l’amministrazione carceraria andrebbe ripensata e rivoluzionata. Ma questo comporterebbe tempo e, soprattutto, la non ingerenza della politica in un piatto ricco e funzionale. Giustizia: Camera, avviato iter conversione del Dl su riduzione popolazione carceraria Asca, 12 gennaio 2014 La Commissione Giustizia ha avviato l’esame in referente del DL 146 di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e riduzione controllata della popolazione carceraria. Il testo mira anche a dare risposta alle sollecitazioni ad affrontare l’emergenza carceri rinnovate dal Capo dello Stato con il Messaggio inviato in Parlamento. In merito sono state svolte audizioni di Giovanni Tamburino, Capo Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia, di rappresentanti Unione delle Camere penali italiane e di rappresentanti dell’Associazione Nazionale Magistrati. Al vaglio della Commissione sono anche due schemi di DLGS di recepimento di direttive comunitarie in materia di lotta contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile e in materia di prevenzione e repressione della tratta di esseri umani e protezione delle vittime. È stato anche portato avanti l’esame della PDL 1438 in materia di visite dei detenuti a figli affetti da handicap in situazione di gravità ed è proseguita l’indagine conoscitiva connessa alle proposte di revisione della disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza. Sono state svolte audizioni di Andrea De Gennaro, Direttore centrale del Servizio antidroga del Dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell’Interno; di Gaetano Di Chiara, professore di farmacologia presso l’Università degli studi di Cagliari; di rappresentanti di Forum Droghe e dell’Associazione Saman. Giustizia: Blog di Grillo lancia un sondaggio sulle carceri, soltanto 2% dice sì all’amnistia Ansa, 12 gennaio 2014 Gli stranieri scontino la pena nel loro Paese, siano depenalizzati i reati minori e abolita la Fini-Giovanardi, ma no a provvedimenti di clemenza come l’amnistia o l’indulto. Sono le soluzioni contro il sovraffollamento carcerario, che emergono da un sondaggio pubblicato sul blog di Beppe Grillo. "Il sondaggio ‘Cosa faresti per risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri?’ si è chiuso con quasi 34.000 risposte - sintetizza il M5S - Secondo i partecipanti la prima misura da attuare per risolvere il problema carceri è stipulare accordi bilaterali con i Paesi degli stranieri carcerati in Italia affinché scontino la pena in patria, proposto dal 32% dei partecipanti. Segue la depenalizzazione dei reati minori (con l’abolizione della Fini-Giovanardi) votata da quasi il 30%. Il 15% pone come prioritaria la ristrutturazione delle strutture carcerarie esistenti, razionalizzando e recuperando spazi, mentre solo l’11% vorrebbe la costruzione di nuove carceri". Infine, "solo il 2% ritiene adatti come strumenti l’indulto o l’amnistia e appena l’1% partirebbe dall’eliminazione della custodia cautelare. L’8% ha risposto altro proponendo in stragrande maggioranza sinergia di azione tra i punti menzionati". Giustizia: protesta indetta dall’Ucpi, gli avvocati penalisti per 3 giorni in sciopero La Sicilia, 12 gennaio 2014 Si prospetta l’ennesima settimana difficile per la giustizia a causa dello sciopero proclamato dall’Unione camere penali dal 13 al 15 gennaio. Alla protesta prenderanno parte anche gli avvocati penalisti e dunque niente udienze da lunedì a mercoledì prossimi salvo che per le emergenze, i processi in cui i detenuti dovessero chiedere la celebrazione dell’udienza, le convalide e gli interrogatori successivi agli arresti. I problemi della giustizia si toccano con mano, negli ultimi mesi non sono state certo poche le proteste indette dagli avvocati, comprese le ultime due tra novembre e dicembre che hanno avuto carattere squisitamente locale, quando gli avvocati nisseni decisero di incrociare le braccia per protestare contro le carenze di organico dei magistrati e la mancata copertura dei posti vacanti, soprattutto in Tribunale dove le forze sono ormai dimezzate. Con questa nuova protesta, a carattere nazionale, i penalisti lamentano attacchi al rispetto del diritto del difesa soprattutto per via delle decisioni di intercettare i colloqui in carcere tra difensore e cliente, per i progetti di legge sull’immutabilità del giudice che per gli avvocati significherebbe consentire a giudici che non hanno mai seguito i processi di emettere sentenze e ricordando anche che era stato necessario un intervento della Corte costituzionale sulla limitazione di massimo tre colloqui a settimana tra legale e cliente ristretto al carcere duro. Giustizia: Sdr; modificare circolare ministero su contratti psicologi e criminologi penitenziari Ristretti Orizzonti, 12 gennaio 2014 "Cancellare con una Circolare ministeriale gli psicologi e criminologi penitenziari, dopo 35 anni di contratti precari, lascia interdetti. A Buoncammino 4 specialisti, dopo aver superato un concorso nazionale e uno regionale, saranno sostituiti da un servizio che ogni quattro anni verrà assegnato ex novo. Una vergogna che contraddice lo spirito di qualunque riforma". Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione "Socialismo Diritti Riforme", sostenendo che "non è possibile accettare una logica, che appare punitiva, verso professionalità ed esperienze acquisite in un ambito particolarmente delicato". "Il Ministero insomma - sottolinea Caligaris - predica bene ma razzola molto male. Da un lato sembra voler favorire il recupero dei reclusi con iniziative di umanizzazione, dall’altro invece si mostra proteso a cancellare operatori qualificati proponendo un cambio ogni 4 anni e ritendo più validi i tirocini piuttosto che il lavoro svolto, così come attualmente viene indicato nei requisiti per l’assunzione a tempo". "L’impegno degli psicologi penitenziari - ricorda la presidente di SdR - consiste nell’osservazione della personalità dei detenuti per individuare il trattamento più idoneo per il recupero. La loro presenza è richiesta nei consigli di disciplina. Esprimono inoltre il parere sulle richieste di misure alternative alla detenzione. Il lavoro di decenni ora viene cancellato da un discutibile provvedimento unilaterale. Non c’è ragione di escludere queste figure professionali soprattutto utilizzando discutibili criteri". "L’auspicio - conclude Caligaris - è che ci sia una revisione del provvedimento e si garantisca a questi specialisti, che in Sardegna sono a rischio anche a Nuoro, Sassari, Oristano e Tempio, una differente opportunità favorendo soprattutto un impegno stabile e duraturo". Giustizia: Sindacato Polizia Consap contro la Rai "trasmissione vergognosa, non paghiamo il canone" Ansa, 12 gennaio 2014 "Invitiamo tutti i poliziotti italiani a non pagare il canone Rai garantendogli se necessario la tutela legale" : la Confederazione Sindacale Autonoma di Polizia si scaglia "contro l’informazione del servizio pubblico della trasmissione "Presa diretta" andata in onda l’altra sera su Rai 3. Nella prima di una serie di inchieste, intitolata "Morti di Stato", Riccardo Iacona e la sua squadra hanno raccontato gli abusi che le forze di polizia avrebbero inflitto negli ultimi anni a cittadini inermi. "Una trasmissione vergognosa - sottolinea in una nota Giorgio Innocenzi, segretario generale nazionale della Consap - che infanga la professionalità e l’onestà di tutti gli appartenenti alle forze di polizia ma soprattutto disconosce il contributo di sangue versato da tanti eroi in divisa nell’adempimento del dovere. Gli autori saranno chiamati a rispondere davanti ai giudici". "È inaccettabile che una azienda che si definisce servizio pubblico e per questo chiede ogni anno una salata gabella ai cittadini italiani - prosegue Innocenzi - ospiti programmi faziosi che istigano all’odio contro i poliziotti, noi crediamo che di questo ?servizio pubblico? il nostro paese possa fare benissimo a meno e manifestiamo il dissenso invitando tutti i poliziotti a non pagare il canone Rai per il 2014". Lettere: perché Berlusconi non è in prigione? di Furio Colombo Il Fatto Quotidiano, 12 gennaio 2014 Caro Colombo, la condanna è definitiva. Perché Berlusconi non è in prigione? Stefania Ci sono molte ragioni e cercherò di elencarne alcune con ordine. 1) Berlusconi non è in prigione perché ha superato i 70 anni. É vero che una legge in proposito non è ancora stata approvata, ma è in attesa, su proposta di qualcuno di Forza Italia. Evidentemente si pensa che sia una buona cosa attendere quella legge che, ovviamente, beneficerà tanti italiani e, per puro caso, anche Berlusconi. 2) Berlusconi non è in prigione per non dare l’impressione che si voglia infierire contro di lui. È già stato espulso dal Parlamento. Secondo il vice primo ministro di questo nostro governo quella espulsione, benché prevista con decorrenza immediata dalla legge, è un affronto inaccettabile. Chiaro che sarebbe di cattivo gusto infierire. 3) Berlusconi non è in prigione perché è il capo, il leader, insostituibile guida di Forza Italia e va continuamente consultato sia dalle migliaia di collaboratori, sia dai leader degli altri partiti. Sarebbe scomodo e improprio fare continuamente riunioni politiche di alto livello in prigione. 4) Berlusconi non è in prigione perché la sistemazione regolare, al momento, prevede da quattro a sei persone in una cella (dove ci sarebbe posto per due). Mettetevi nei panni di un direttore di carcere. Come farebbe a garantire la discrezione necessaria per trattative politiche di alto livello (mettiamo, per formare un governo, che senza Berlusconi non si può fare) in presenza, ogni volta, di cinque estranei al mondo politico e alle cariche istituzionali? 5) Berlusconi non è in prigione perché possiede un cane affezionatissimo. Imprigionare il padrone sarebbe maltrattamento grave per il fedele animale e molti non potrebbero tollerarlo. 6) Berlusconi non è in prigione perché governa. Pensate all’Imu. Come dicono i giornali, "è ancora caos per la tassa sulla casa" perché Berlusconi, da statista, non cambia idea: "Niente Imu". Il caos travolge il Paese ma non il padrone, che non può, in piena crisi dell’Imu, essere portato in carcere. Chi decide, senza di lui? 7) Berlusconi non è in prigione perché deve candidarsi come capolista in tutte le circoscrizioni alle prossime elezioni europee. Teoricamente sarebbe stato interdetto, con sentenza definitiva, dai pubblici uffici, ma questo è un noioso dettaglio caro solo agli antiberlusconiani viscerali d’altri tempi. 8) Potete indicare una cosa, una sola, che viene fatta perché non c’è più Berlusconi, o che non viene fatta perché manca Berlusconi? No? E allora ammettetelo: Berlusconi resterà fra noi per sempre. Furio Colombo Lettere: i panettoni donati dal Vescovo ai detenuti di Lodi non sono stati mai distribuiti di Ferruccio Pallavera Il Cittadino, 12 gennaio 2014 Egregio direttore, sono un familiare di una persona detenuta nel carcere di Lodi, che mi ha informato di alcune cose accadute in questi giorni e che riguardano il modo un po’ dittatoriale utilizzato dalla direzione. Il mio familiare mi ha comunicato che alla messa di Natale celebrata dal Vescovo i detenuti l’hanno ringraziato del dono di più di cento panettoni a essi destinati, ma mai distribuiti agli stessi, ma utilizzati in parte per due feste organizzate in carcere. Leggo il mensile "Uomini liberi" e dalle sue pagine sembra che tutto funzioni alla perfezione, ma il mio parente mi dice che gli articoli devono passare al vaglio della direzione che decide cosa pubblicare e naturalmente in essi si deve parlare bene della struttura. Anche gli agenti penitenziari negli ultimi tempi sono un po’ stressati e lamentano i metodi bruschi ai quali sono sottoposti. Le allego tutte le mie generalità, ma per motivazioni facilmente comprensibili le chiedo di mantenere il mio anonimato. Lettera firmata Una piccola postilla, riguardante "Uomini liberi": per evitare problematiche di tipo svariato che hanno coinvolto pesantemente "Il Cittadino" (problemi registrati con un direttore non più presente a Lodi) siamo stati noi a richiedere espressamente che tutto ciò che appare su "Uomini liberi" venga visionato, prima della pubblicazione, dalla direzione della Casa Circondariale. Ferruccio Pallavera Caltanissetta: detenuto suicida avrebbe annunciato il suo intento ai giudici, il Csm apre un’inchiesta di Francesco Di Mare La Sicilia, 12 gennaio 2014 Il Csm ha avviato un’inchiesta sulla lettera di Rosario Bellavia, l’agente di Polizia penitenziaria arrestato nell’operazione Nuova Cupola e poi suicidatosi nel carcere. Il Consiglio superiore della magistratura ha avviato un’attività di accertamento per appurare cosa sia (o non sia) accaduto tra il carcere di Caltanissetta e il Tribunale di Agrigento. Ovvero cosa ci sia (o non ci sia) di concreto dietro le accuse mosse dall’avvocato Salvatore Pennica, legale di Rosario Bellavia, l’agente di polizia penitenziaria arrestato nell’operazione Nuova Cupola e suicidatosi nel carcere di Caltanissetta lo scorso 23 dicembre. Il legale ha detto sia ai mezzi d’informazione, sia soprattutto nell’aula bunker del carcere Petrusa, durante l’ultima udienza del processo, che il Tribunale della città dei Templi deve chiarire il perché non abbia fornito risposte alla lettere che Bellavia avrebbe scritto e spedito, comunicando la propria volontà di suicidarsi, invitando i giudici al proprio funerale. Una lettera verso la quale il giudice Luisa Turco ha pubblicamente preso le distanze, non tanto a nome personale, quanto per il Tribunale in se. Della lettera dalle parti di via Mazzini pare che non vi sia traccia. Lo stesso pubblico ministero Emanuele Ravaglioli ha chiesto all’avvocato Pennica di presentare la busta con la quale sarebbe stata spedita la missiva, trovando in Pennica un atteggiamento altrettanto risoluto. Tanto evidentemente è bastato agli esponenti del Csm per cercare di capire cosa sia (o non sia) accaduto sull’asse nisseno-agrigentino, accertando eventuali responsabilità sulla "sorte" di questa presunta lettera scritta - a detta di Pennica - ma mai pervenuta, a detta del Tribunale. Ulteriori sviluppi potrebbero emergere nel corso dell’udienza del processo Nuova Cupola in programma mercoledì prossimo, nonostante la preannunciata astensione degli avvocati. Torino: Osapp ai parlamentari M5S; dopo morte due agenti nessun intervento Dap, è indecente La Presse, 12 gennaio 2014 Visita al carcere torinese delle Vallette dei parlamentari Laura Castelli e Marco Scibona. I due esponenti del Movimento 5 Stelle hanno verificato le condizioni di detenuti e agenti a poche settimane dall’omicidio-suicidio in cui sono morte due guardie penitenziarie. Lo rende noto l’Osapp, sindacato di polizia penitenziaria. "È assurdo, ai limiti dell’indecenza, che dopo il grave episodio accaduto nella casa circondariale di Torino, "Lorusso e Cotugno", lo scorso 17 dicembre (un agente penitenziario ha ucciso un ispettore e poi si è tolto la vita, ndr), con le tensioni che ci sono e con il rischio che in molti - oltre alla pazienza - possano perdere anche la testa, l’amministrazione penitenziaria centrale non abbia deciso ancora niente nei confronti di direttore, comandante e vice comandante dell’istituto penitenziario". Lo afferma il segretario generale dell’Osapp (Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria), Leo Beneduci. "Ci auguriamo - aggiunge - che i due parlamentari del Movimento 5 Stelle (Laura Castelli e Marco Scibona, ndr) in visita quest’oggi al carcere possano testimoniare la gravità di una situazione assolutamente insostenibile per il personale di polizia penitenziaria". Torino: Osapp; uccise e bruciò fidanzata 16enne, tenta suicidio nel penitenziario minorile Adnkronos, 12 gennaio 2014 In carcere minorile a Torino per aver ucciso e bruciato la fidanzatina, in provincia di Cosenza, ha tentato il suicidio ma è stato salvato dagli agenti della polizia penitenziaria. A darne notizia è l’Osapp. "La polizia penitenziaria ha salvato la vita a questo detenuto che ha tentato di suicidarsi - racconta Leo Beneduci, segretario generale Osapp - Nonostante ciò che si dice e le generalizzazioni, la polizia penitenziaria continua a salvare la vita ai detenuti perché questo è il suo compito: noi stiamo attenti affinché nel carcere vengano mantenuti l’ordine, la sicurezza e la legalità. E salviamo la vita a tutti i detenuti, anche a quelli che non sono ricchi o che sono responsabili di delitti efferati". "La polizia penitenziaria - dice Beneduci - ha svolto un encomiabile lavoro". "Si formulano accuse generalizzate contro la polizia penitenziaria - spiega il segretario dell’Osapp - e non ci si rende conto che il loro operato quotidiano contribuisce a tenere in vita numerosi detenuti, nonostante la gravissima carenza di organico e la scarsa attenzione della guardasigilli Cancellieri". Cagliari: ustionato dentro cella di Buoncammino. Ex detenuto: "Ora qualcuno mi aiuti" L'Unione Sarda, 12 gennaio 2014 Ha rischiato di morire tra le mura di Buoncammino, ora Roberto Congiu, 46enne di Quartu, ustionato nel 60 per cento del corpo, chiede giustizia. Sono passati oltre cinque mesi dal quel giorno maledetto in cui Roberto Congiu, 46 anni, originario di Quartu ed ex detenuto del carcere di Buoncammino ha rischiato di morire nella sua cella in seguito all'esplosione di una bombola di gas. Ora tornato a casa dopo due mesi di coma, con il 60 per cento del corpo ustionato e costretto all'utilizzo di un particolare busto per delle gravi lesioni alle vertebre, Roberto Congiu chiede aiuto. "Ora vivo da un'amica, ma non potrò stare qui per sempre - racconta, ho bisogno di una pensione anche piccola, per tirare avanti". Secondo Congiu, gli spetta di diritto per essersi infortunato dentro una struttura dello Stato. Brescia: clochard ai "domiciliari" su panchina nel parco. Si allontana e lo processano: assolto di Giuseppe Spatola Brescia Oggi, 12 gennaio 2014 In appello l’accusa è caduta perché privo di "fissa dimora". Il sindaco di Borgosatollo tende la mano e promette un aiuto In Municipio, al civico 13 di via Roma dove aveva indicato il "domicilio obbligatorio", ha lasciato giusto un blando ricordo. Identico piglio sulla prima panchina del vicino parco, lo stesso che ingentilisce di verde l’ingresso del più volte iridato club di Tamburello di Borgosatollo. Lì, marchiato sul legno con una chiave, Ilario Bonazzoli, 43 anni senza fissa dimora, a quattro anni dall’ultima notte passata all’addiaccio, ha lasciato il segno prima di vedere le porte e le brande del carcere di Ivrea dove è attualmente detenuto. Due lettere, incise a fondo lungo le venature, all’epoca valevano come indizio sicuro per chiunque lo cercasse senza trovarlo. Proprio come è successo agli agenti di polizia e ai carabinieri che, durante il periodo di sorveglianza speciale, hanno più volte trovato quella panchina vuota malgrado fosse stata indicata ed "eletta" come giaciglio, "casa" per la notte. E Ilario, clochard con alle spalle un curriculum fatto di piccoli furti e decine di processi, secondo le forze dell’ordine aveva violato ripetutamente la misura di sorveglianza che lo obbligava a soggiornare nel parco, con la panca fattasi letto e le siepi usate come riparo dal vento. Arrestato e processato, dopo una condanna a dieci mesi in primo grado, nei giorni scorsi è arrivata l’assoluzione in appello "perché il fatto non sussiste". Notizia che Ilario Bonazzoli ha ricevuto nella cella piemontese in cui è costretto per altre accuse. L’intera vicenda giudiziaria era partita nel 2009, quando Bonazzoli non avendo alternative decise di indicare come domicilio la sede del Municipio di Borgosatollo e scelse il vicino parco come appoggio per il baito notturno. Nulla di strano per lui, abituato a farsi coccolare dalle stelle e a battere i denti per il freddo malgrado l’abbraccio dei cartoni. Per ben tre volte, però, (il 30 maggio, il 5 e 10 giugno 2009) arrivate le 21 il clochard non fu trovato alla sua panca. "I controlli della polizia giudiziaria furono compiuti all’interno del giardino indicato nel predetto verbale e si conclusero con esito negativo - si legge nelle sentenza di appello -, nessuna traccia del Bonazzoli fu trovata". Tutto nella normalità per il senza tetto che, in quei giorni di afa, aveva deciso di accamparsi in città snobbando il giaciglio di Borgosatollo. Spiegazione che non era servita ad evitargli guai e l’arresto per "violazione reiterata all’articolo 9 della legge 1423/56". I giudici del primo grado concessero a Ilario le attenuanti generiche, pur condannandolo a dieci mesi. Verdetto annullato e rovesciato in appello, dove il presidente Enzo Platè ha dovuto tenere conto della situazione particolare dell’imputato. E nel dispositivo è tutto messo nero su bianco: "Essendo privo di fissa dimora, tanto che aveva indicato quale luogo dove sarebbe stato reperibile un giardino pubblico, non può stimarsi che il mancato rintraccio costituisca violazione dell’obbligo di permanenza presso l’abitazione nelle ore notturne, che logicamente presuppone la obiettiva circostanza che il soggetto disponga di un’abitazione, ovvero di ciò che nel caso di specie pacificamente faceva difetto all’imputato". Come dire che il senza tetto non avrebbe mai potuto scontare gli arresti domiciliari senza casa. Una storia che oggi ha fatto il giro del borgo, con il primo cittadino, Francesco Zanardini, che ancora oggi si ricorda del clochard di paese. "Ero appena stato eletto sindaco e mi ricordo bene quella persona, dormì alcune notti su una panchina, poi gli offrimmo una struttura - ha raccontato il sindaco -. L’uomo aveva indicato come domicilio la sede del Comune di Borgosatollo doveva aveva vissuto alcuni anni dopo essersi sposato. Non potendo dormire all’interno aveva trascorso alcune notti nel giardino esterno, ma io non conosco con esattezza gli estremi della vicenda giudiziaria, di sicuro dopo qualche giorno accettò di trasferirsi in una struttura usata dal comune per varie attività". Il clochard visse alcuni anni in zona, poi in paese non ne seppero più nulla. "Credo sia finito di nuovo nei guai con la giustizia - ha detto il sindaco del piccolo comune alle porte di Brescia -. So che si è fatto vivo con l’assistente sociale che l’aveva seguito negli anni scorsi, noi siamo pronti ad aiutarlo se vuole tornare, certo compatibilmente con le sue aspettative e con le tante richieste di soccorso a cui dobbiamo far fronte in questo momento di crisi". Intanto Ilario aspetta ancora la libertà, ricordandosi delle notti passate a contare le stelle sotto il cielo di Borgosatollo. Viterbo: domani delegazione Ugl visita istituto penitenziario, 350 agenti per 700 detenuti Adnkronos, 12 gennaio 2014 Lunedì il segretario nazionale dell’Ugl Polizia penitenziaria, Giuseppe Moretti, sarà in visita presso il carcere di Viterbo, alla guida di una delegazione composta dal segretario regionale dell’Ugl Polizia Penitenziaria Lazio, Antonello Bianco, e dal segretario provinciale dell’Ugl Viterbo, Margherita De Cesare. "Abbiamo denunciato più volte presso gli organi competenti - piega il sindacalista - le difficoltà che affronta il personale della struttura penitenziaria, e il reiterarsi di situazioni critiche, tra cui la recente rissa tra detenuti che ha provocato numerosi feriti anche tra le fila degli agenti. Pertanto riteniamo importante ascoltare la voce di chi ogni giorno è costretto ad affrontare questi problemi". "In seguito al ripetersi di situazioni critiche - prosegue - la segreteria provinciale dell’Ugl Polizia Penitenziaria di Viterbo aveva indetto per lunedì una manifestazione di protesta davanti alla Prefettura, che poi è stata ritirata in seguito alla convocazione presso il Dap, pervenuta dopo l’annuncio della protesta e a seguito di una richiesta congiunta di incontro da parte delle segreterie nazionali dei sindacati". "Faremo presente con grande chiarezza ai dirigenti locali la situazione di estremo disagio in cui è costretto ad operare il personale del carcere. Poco più di 350 agenti a fronte di oltre 700 detenuti, riescono soltanto con grandissime difficoltà e con sacrifici insostenibili a garantire la sicurezza. Chiederemo quindi con forza provvedimenti urgenti - conclude - a tutela di questi lavoratori". Ferrara: presentazione di "Cartoline dal carcere", in un libro i pensieri dei detenuti Redattore Sociale, 12 gennaio 2014 Cento pensieri dei detenuti di Bergamo raccolti in un libro curato da Adriana Lorenzi e Catia Ortolani. Presentato oggi Ferrara. Lorenzi: "Alcuni detenuti hanno un tono ironico, altri pensieri ti arrivano come un pugno nello stomaco". "Tutte le mattina andavo a lavorare in banca in giacca e cravatta… che lavoro noioso! Una volta ci sono andato col passamontagna e mi sono divertito molto di più". C’è anche tanta ironia tra i pensieri dei detenuti del carcere di Bergamo. A raccogliere i loro pensieri, e pubblicarli, Adriana Lorenzi e Catia Ortolani, insegnante di scrittura la prima, di italiano l’altra. Insieme, con alle spalle una decennale esperienza tra le sbarre, hanno curato la raccolta di pensieri "Cartoline dal carcere". Cento "pillole", alcuni dal taglio scherzoso altri, appena letti, "ti arrivano come un pugno nello stomaco", spiega proprio Adriana Lorenzi. "Sono messaggi che vanno dall’interno verso l’esterno - dice la curatrice del volume - anche per raccontare il carcere a chi non lo conosce". "Ho iniziato a lavorare dentro il carcere nel 2002 - continua Lorenzi - sono stata chiamata per realizzare un laboratorio di scrittura attraverso il quale, con il mezzo delle parole, i detenuti riuscissero a fare i conti con quello che era stato ed era. Inizialmente si trattava di pochi incontri l’anno ma adesso il laboratorio è attivo ogni anno da ottobre a giugno". A parlare tra le pagine circa 50 detenuti, fra maschi e femmine. Gli stessi, più molti altri, che curano la redazione del giornale "Alterego". Il cartaceo che esce 4 volte l’anno proprio tra le mura del carcere. Fatto da e per detenuti, esce dal 2008 e ha una redazione attiva formata da 15 uomini e 8 donne. Ventiquattro pagine a colori scaricabili anche in formato pdf dal sito Cisl di Bergamo, che finanzia il progetto. E di finanziamenti ancora si parla dato che il libro edito dal gruppo Aeter (si può ordinare on line o nelle librerie) ha un costo di 10 euro che andranno a sostenere altri progetti proprio all’interno della Casa Circondariale di Bergamo. Il libro, uscito lo scorso dicembre, verrà presentato oggi 11 gennaio a Ferrara all’interno del Centro Documentazione Donna in via Terranuova 12/b. Interverranno le autrici. E tra le cartoline si legge ancora: "Nella mia vita tutto è stato troppo. Troppa rabbia da bambino, troppi soldi da ragazzo, troppe donne e troppa roba da adulto. Adesso troppe sbarre". Roma: Artwo Lab, il design che nasce dietro le sbarre di Rebibbia di Valia Barriello www.artribune.com, 12 gennaio 2014 Le carceri, e soprattutto i carcerati, in Italia sono in una situazione drammatica, dovuta principalmente al sovraffollamento. A rendere lo scenario un poco più vivibile ci pensano, fra gli altri, le cooperative sociali che da anni lottano per restituire dignità ai condannati con l’autoproduzione di oggetti di design. C’è la situazione, ormai insostenibile, di sovraffollamento delle carceri italiane: "Dopo Serbia e Grecia, l’Italia è il Paese del Consiglio d’Europa con il peggiore indice di sovraffollamento: 147 umani dove ce ne dovrebbero stare 100", ha scritto Carlo Verdelli il 15 ottobre su La Repubblica. E c’è la realtà delle cooperative sociali che, attraverso terapie occupazionali, si battono per restituire salute, diritti e dignità al condannato. Non si tratta soltanto di mantenere fede all’art. 27 della Costituzione, il quale recita che "le pene [...] devono tendere alla rieducazione del condannato", e di "recuperare" un individuo per il futuro, ma anche di restituire dignità alla persona durante il periodo trascorso in galera. E tra le numerose attività lavorative che da anni vengono svolte in carcere, spesso purtroppo in sordina, ci sono i laboratori di autoproduzione di oggetti di design. Ha cominciato Alessandro Guerriero, che nell’aprile del 1997 ha fondato, con il detenuto Saverio Pisani e padre Vincenzo Musitelli, la Cooperativa del Granserraglio presso il carcere di San Vittore a Milano. Nata come corso di formazione professionale, si è poi ampliata in una struttura lavorativa esterna che potesse accogliere le persone in semilibertà. Oltre all’evidente ruolo di struttura di reinserimento sociale, la cooperativa ha prodotto e realizzato negli anni manufatti di straordinaria originalità, grazie alla guida d’eccezione di Guerriero e all’impegno dei condannati. L’esperienza di Milano non è fortunatamente un caso isolato. Nel 2005 Luca Modugno ha fondato a Roma Artwo, associazione culturale che si occupa di produrre in serie limitata oggetti di "arte utile" realizzati esclusivamente con materiali di recupero e scarto, ideati da artisti e designer. Gli ingredienti del progetto - sostenibilità e autoproduzione - non potevano che convergere verso una produzione sociale, realizzata all’interno di un istituto di detenzione. La Casa Circondariale di Rebibbia ha così accolto Artwo Lab, un laboratorio in cui i detenuti riproducono gli oggetti della collezione Artwo. Come spiega lo stesso Modugno, "Artwo vuole creare un circolo virtuoso che parta dal carcere e arrivi fuori, per accogliere quelle persone che hanno voluto imparare un mestiere da detenuti, e che possono continuare a farlo da donne e uomini liberi". Uno degli episodi più recenti è il progetto Bollate Lab, avviato dall’Associazione Liveinslums Onlus e dal designer Francesco Faccin. Il laboratorio del carcere di Bollate - probabilmente il più evoluto in Italia - è stato attrezzato come una falegnameria e ha realizzato come prima produzione gli arredi di un ristorante milanese. Tavoli, sedie, armadiature e porte disegnati da Faccin e concretizzati dai detenuti con l’aiuto del maestro ebanista Giuseppe Filippini sono subito diventati i pezzi forti del locale 28 Posti. Il ristorante in zona Ticinese è diventato nello stesso tempo vetrina del progetto e ha dato inizio a una vendita diretta, legata all’attività svolta in carcere. Per i reclusi, i laboratori non sono una semplice attività lavorativa, ma un tempo dedicato alla creatività. I detenuti - fuori dagli angusti spazi delle loro celle - possono imparare un mestiere o mettere in pratica quello che già sapevano fare prima della condanna. Realizzare un oggetto che verrà poi venduto all’esterno equivale a inviare un messaggio e a instaurare un dialogo con chi è fuori: in poche parole, comunicare attraverso gli oggetti. In alcuni casi, certo, i detenuti replicano progetti ideati dai designer, ma in altri - come nel caso di Granserraglio - sono loro stessi a disegnare e aggiungere all’oggetto un significato. D’altro canto, la pratica della costruzione di strumenti con materiali di scarto non è una novità per chi è detenuto. Una usanza documentata dalla fotografa francese Catherine Réchard, che nel suo libro Systeme P raccoglie tutti gli oggetti realizzati negli istituti di pena d’oltralpe. La progettazione in carcere è, in sintesi, un bisogno primario, per inventare e costruire quello che non c’è. Queste cooperative sociali non fanno altro che sopperire a questa urgenza realizzando autoproduzioni di ottima qualità. Lucca: l’Ufficio Pastorale Caritas "porta" la Befana nel carcere di San Giorgio Gazzetta di Lucca, 12 gennaio 2014 Con qualche giorno di ritardo rispetto all’Epifania, è arrivata anche nella Casa circondariale di San Giorgio a Lucca la visita della Befana. Grazie alla collaborazione tra l’Istituto penitenziario e la diocesi di Lucca-Ufficio Pastorale Caritas è stato possibile allestire un momento di festa nella mattina di sabato durante il quale i bambini hanno potuto incontrare i propri padri, detenuti nella struttura, ed aspettare insieme l’arrivo della simpatica vecchietta. Tra danze, magie, regali e una ricca merenda offerta dall’Ordine di Malta, i bambini hanno potuto passare una mattinata in compagnia dei propri genitori e vivere insieme momenti di vicinanza e di relazione. Alla festa, semplice ma molto calorosa, hanno partecipato anche Sua Eccellenza il Vescovo di Lucca, Mons. Italo Castellani e il direttore della struttura dott. Francesco Ruello. Entrambi hanno sottolineato la bellezza di poter vedere insieme i bambini ed i loro padri. "Sento un groppo alla gola" ha dichiarato commosso il vescovo "nel vedervi insieme. E sento che questo groppo alla gola è lo stesso della città. È un primo piccolo passo per arrivare insieme a costruire situazioni che vi consentano di integrarvi nella comunità cittadina". "Questo è un primo momento che può simbolicamente segnare l’inizio di un percorso che vede in primo piano l’attenzione alle dinamiche di genitorialità dei detenuti." Sottolinea il direttore Ruello " Un’occasione fondamentale per chi tramite la vita affettiva e famigliare può e deve ricostruire spesso la propria capacità di relazioni sociali". La festa rientra in un quadro di collaborazione più ampia che la Caritas e la Direzione della Casa Circondariale hanno intrapreso. Da qualche mese i volontari Caritas coadiuvano la struttura nel reperimento di vestiario e generi di prima necessità per i detenuti in situazioni di disagio economico in stretto rapporto con il Cappellano del carcere, gli educatori e il personale di polizia penitenziaria. Grazie alla collaborazione dell’ordine di Malta sono state acquistate anche calzature da destinare allo stesso scopo. Sempre grazie alla sezione lucchese dell’Ordine dovrebbero essere realizzati nei prossimi mesi dei cineforum con i detenuti. Tramite i volontari e gli operatori Caritas viene assicurata inoltre una collaborazione nella gestione di pratiche amministrative atte a favorire i contatti con la famiglia dei detenuti stranieri. Nei prossimi mesi, il lavoro si arricchirà di azioni volte all’alfabetizzazione dei detenuti stessi, all’incremento del servizio di prestito bibliotecario interno e alla dotazione di apparecchi televisivi per alcune camere detentive. "È un segno piccolo ma prezioso della collaborazione che può attivarsi tra elementi della società civile e la direzione della Casa circondariale" dichiara Caritas "al fine di contribuire ad assicurare condizioni detentive più umane e volte alla rieducazione effettiva di coloro che si trovano all’interno del nostro carcere cittadino". Reggio Calabria: agenti scoprono telefono destinato a detenuto nascosto tra indumenti Agi, 12 gennaio 2014 Il caso è stato reso noto dal sindacato della Polizia penitenziaria Osapp, che ha anche evidenziato la professionalità degli agenti. Il telefono cellulare è stato sequestrato e del fatto è stata informata la magistratura Un telefono cellulare destinato ad un detenuto. È questa la scoperta fatta dagli agenti della polizia penitenziaria dell’istituto di Arghillà. A renderlo noto è il segretario generale aggiunto dell’Osapp, Domenico Nicotra. "È ancora la Polizia Penitenziaria calabrese a contraddistinguersi per l’efficiente attività di Polizia Giudiziaria che - afferma il sindacato - ha consentito il rinvenimento di un telefono cellulare destinato ad un recluso nel nuovo Istituto Penitenziario di Arghillà, a Reggio Calabria". "Il cellulare - continua Nicotra - è stato rinvenuto nell’ambito di un’accurata perquisizione effettuata sui capi di abbigliamento e sui generi alimentari che la coniuge del detenuto avrebbe voluto far recapitare allo stesso. Nell’immediatezza il personale del corpo di polizia penitenziaria ha provveduto al sequestro del telefono cellulare e contestualmente ha provveduto a darne notizia all’Autorità Giudiziaria presso la Procura della Repubblica di Reggio Calabria. Per fortuna - conclude Nicotra - sono i fatti come sempre a legittimare l’elevata professionalità della Polizia Penitenziaria che associati allo spirito di sacrificio, con il quale quotidianamente si fa fronte a tutte alle lacune del mondo penitenziario dell’intera Repubblica Italiana, fanno si che le patri galere sono ancora importanti presidi di sicurezza pubblica". Immigrazione: da migranti a detenuti, questo è il "carcere" di Pozzallo di Flore Murard-Yovanovitch L’Unità, 12 gennaio 2014 Sovraffollamento e promiscuità, chi entra nel centro siciliano ci resta per mesi. Senza tutele e con un unico documento: il braccialetto identificativo. Il caso del Centro di primo soccorso e accoglienza (Cpsa) di Pozzallo è esemplare. Collocato nel porto, in una zona franca, il capannone doganale si erge dietro un ulteriore recinto di barriere, cancelli e filo spinato. A fronte di una capienza massima di 130 posti, il centro il 7 novembre scorso "ospitava" oltre 400 migranti (una costante per tutta l’estate 2013) oggi, invece, circa 250. Per alleggerire la capienza, nei mesi di ottobre e novembre scorso era stata persino allestita una "dependance" del centro, nella palestra di Pozzallo, - 200 profughi nelle aule - cosa che suscitò molte polemiche. Un sistema di accoglienza che avrebbe dovuto soddisfare esigenze di transito solo per 24-72 ore e che invece è stato utilizzato per limitare la libertà personale o la libertà di circolazione dei migranti appena sbarcati per tempi che hanno anche superato i due mesi. Ed ancora il mese scorso una parte dei migranti accolti nella tendopoli del Pala Nebiolo a Messina, veniva ricondotta nella Palestra di Pozzallo per la cronica assenza di posti nei veri centri di accoglienza del sistema Cara (Centri di accoglienza per richiedenti asilo) o Sprar (Servizio per la protezione dei richiedenti asilo e dei rifugiati). Nel Centro di Pozzallo, non c’è una mensa, il pranzo - lo si fa seduti sui materassi o in fila nel cortile. Non funziona il servizio di lavanderia, né quello di barberia, nessuna privacy dei lavandini e carenti condizioni igieniche. Il dormitorio, un’immensa aula di 400materassi sporchi e sfilacciati buttati a terra, senza lenzuola, dove uomini di tutte le età e provenienze, persino donne e minori, dormono insieme, testa piede in un inenarrabile promiscuità. Il reparto femminile (che esisteva nel 2011) è scomparso. Donne e minori non accompagnati giacciono in mezzo a uomini sconosciuti. Di notte non si dorme, tra tafferugli, grida e musica. Esseri umani ammucchiati, ridotti a corpi sorvegliati da telecamere di sorveglianza controllate dall’ufficio del direttore del centro e guardati a vista dalla polizia presente 24 ore su 24 in garitte trasparenti piazzate nei luoghi di riposo. Le minime esigenze di privacy sono costantemente violate. Il centro di Pozzallo manca soprattutto drammaticamente di un servizio di tutela legale e di orientamento a rifugiati e potenziali richiedenti asilo. Un unico mediatore in lingua araba per 200 migranti, nessuno per l’inglese, In quella estrema sponda della Sicilia sud-orientale, dove sbarcano non tanto migranti economici, ma profughi in fuga da conflitti: Etiopi, Eritrei, Somali, alcuni dei quali detenuti per mesi o anni nei famigerati lager libici e scappati imbarcandosi a costo di naufragare. Ed eccoli qua, quei soggetti vulnerabili, senza tutela legale né corretta informazione sul loro statuto, sulle loro richieste, sui loro diritti. Come unico "documento", i braccialetti di plastica al polso con il codice di identificazione che serve per avere cibo o ricariche. Quella cifra che ha preso il posto del tuo nome, e identità. "Così ti chiamano nel centro: K68", ci dice Mohammed, un ventenne eritreo. In una stanza più interna, erano rinchiusi quelli non identificati o quelli non si vogliono fare identificare. Uso dei manganelli, anche elettrici, prelievo coatto delle impronte digitali in un luogo fuori dal monitoraggio di associazioni indipendenti ed avvocati. Degli abusi all’interno del centro non si ha più testimonianza da fine settembre (dopo il cambiamento dell’allora Vice-Questore di Ragusa). Prima della fine dell’estate, alcuni profughi intervistati fuori dal centro, raccontavano di pestaggi e persino di una stanza speciale - dove si realizzava una forma di "sequestro " interno al centro, dove senza pasto ne tutela erano rinchiusi presunti scafisti o persone che si erano ribellati all’identificazione ed al prelievo forzato delle impronte. I volontari e l’ente gestore non hanno altra sigla o nome da dichiarare che quelli del Comune di Pozzallo. Lo standard di accoglienza, ai minimi e al di sotto di tutti standard internazionali, viola anche vari articoli del Capitolato di appalto (per la gestione dei Cpsa del novembre 2008). La tutela sanitaria è al limite: due medici convenzionati dal centro di cui uno anche medico autorizzato dalla Capitaneria per i controlli sanitari a bordo delle nave (cioè impegnato negli numerosi sbarchi), a rotazione. Nessuna assistenza psicologica e post-traumatica per profughi che hanno sofferto traumi. Decisamente fuori dalle regole i tempi di permanenza, che sono lunghissimi, da uno a tre mesi. Mentre una struttura come un Cpsa in base al regolamento attuativo della legge sull’immigrazione (art. 23) sarebbe "destinata all’accoglienza dei migranti per il tempo strettamente occorrente al loro trasferimento in altri centri (indicativamente 24/48 ore)". Quello che avviene a Pozzallo non è molto differente da quello che accade a Lampedusa, dove gli ospiti del centro sono dei veri e propri reclusi, e dove in passato la struttura si è caratterizzata per aver trattenuto decine di minori non accompagnati, egiziani e somali, detenuti per i ritardi delle procedure di asilo, la lentezza delle Commissioni territoriali, e per la mancanza di posti in altre strutture di accoglienza dello Sprar (il sistema di protezione per i domandanti asilo e i rifugiati). Anche a Pozzallo è un limbo totale. Donne, somale, accasciate lunghe ore, sui materassi, incontrate lo scorso 4 settembre sono lasciate mesi al buio sul proprio futuro. Nessun che abbia pronunciato la parola "asilo". Alì, un rifugiato dal Darfur aggiunge, "Ricevi cibo di cosa ti lagni?", ci dicono gli dentro: non hanno nessun idea che non veniamo per migliorare la vita in Italia ma che siamo sfuggiti per salvarci la pelle". Altri, come gli eritrei invece non avrebbero voluto fare la richiesta d’asilo in Italia, perché hanno parenti in altri paesi europei. Jamal: "Non pensavo che sarei stato testimone di discriminazioni razziali in una paese democratico". Questo il Centro di Pozzallo: fino a ieri, circa duecentocinquanta profughi e potenziali richiedenti asilo, che come in altri centri vengono confinati mesi in un luogo di trattenimento informale diventato di fatto di segregazione. Nel silenzio di tutti. Non solo a Lampedusa dunque l’accoglienza si trasforma in detenzione (spesso su base razziale). Droghe: il dibattito (annebbiato) sulla libertà di cannabis di Giovanni Belardelli Corriere della Sera, 12 gennaio 2014 Il disegno di legge Manconi sulla legalizzazione della cannabis, da una parte, le recenti decisioni in tal senso dell’Uruguay e degli Stati americani di Colorado e Washington, dall’altra, hanno riaperto anche in Italia un dibattito che si trascina da decenni. Il fatto che questa volta le posizioni non abbiano seguito meccanicamente l’asse destra-sinistra dovrebbe essere salutato come un dato positivo; non fosse che la discussione ha assunto subito un carattere poco limpido, soprattutto per opera di chi, volendo fornire argomenti in favore della legalizzazione, ha mostrato qualche entusiasmo di troppo nei confronti della "marijuana libera". C’è poco da entusiasmarsi, infatti, in una materia come questa, che riguarda comunque il consumo di una droga, sia pure leggera. L’opportunità di modificare la legge Fini-Giovanardi, che ha contribuito a riempire le carceri di consumatori di spinelli, mi pare difficilmente contestabile. Ma per il resto, il principale argomento in favore della legalizzazione sembra essere quello avanzato, tra gli altri, da Roberto Saviano, che la considera il male minore se si vuole combattere efficacemente il narcotraffico, cosa che fin qui le politiche proibizioniste non sono riuscite a fare (la Repubblica , 9 gennaio). È una posizione che si può prestare a obiezioni: siamo davvero sicuri, ad esempio, che la legalizzazione non porterebbe a un incremento del consumo? Ma è sicuramente una posizione su cui riflettere con attenzione, fondata com’è su considerazioni pragmatiche senza indulgere ad alcuna rivalutazione delle droghe leggere (che Saviano dichiara di detestare esattamente come quelle pesanti). Non è questo, però, ciò che è generalmente avvenuto nei giorni scorsi. Alcuni hanno banalizzato l’effetto sulla salute della marijuana sostenendo che "non è più nociva di un bicchiere di vino" (così Vittorio Feltri sul Giornale). Basterebbe visitare il sito dell’Organizzazione mondiale della sanità o quello del nostro Istituto superiore di sanità per apprendere come le cose stiano diversamente e in particolare come la cannabis possa danneggiare anche in modo duraturo le funzioni cognitive, soprattutto quando consumata da adolescenti. Per di più la cannabis oggi in circolazione è stata modificata geneticamente, con la conseguenza che la presenza del principio attivo è ormai notevolmente maggiore rispetto alle piante di qualche decennio fa (e questo può essere un elemento in favore della legalizzazione, che implicherebbe un controllo sul tipo di cannabis in circolazione). La discussione dei giorni scorsi, seguendo una pessima abitudine che affonda le radici nella nostra cultura, non solo ha generalmente ignorato dati di fatto come quelli appena citati. Ha anche proposto più o meno obliquamente l’idea di una sostanziale equivalenza tra legalizzazione della droga (che implica un consumo sotto il controllo dello Stato) e liberalizzazione di qualcosa che è stato troppo a lungo vietato. In questa seconda prospettiva, si fa intendere, la sua diffusione andrebbe anzi incoraggiata perché la cannabis "lascia che un’aria nuova rinfreschi la mente" e, figlia com’è della controcultura degli anni 60, "allude a una società solidale, in pace con se stessa, tollerante, inclusiva e libertaria". Così nelle parole deliranti di Fabrizio Rondolino, in un articolo su Europa forse scritto solo per épater le bourgeois come si sarebbe detto un tempo. Anche altrove, però, magari solo implicitamente, è stato tutto un ammiccare pseudo libertario e pseudoprogressista alla cannabis finalmente libera, alla libera erba in libero Stato, alla droga che non fa male e rallegra la vita. Nel sito dell’Unità , un articolo informativo sul ddl Manconi era accompagnato dalla foto di una coppia di giovani che fumavano sorridenti e contenti. Sono messaggi irresponsabili, che oltretutto rischiano di fornire un alibi ai proibizionisti più intransigenti, riportando la discussione, come in un eterno gioco dell’oca, alla casella di partenza. India: Sonia Alfano su caso marò, l’Ue blocchi negoziati commerciali Tm News, 12 gennaio 2014 "L’Unione Europea blocchi i negoziati commerciali con l’India: è impensabile solo l’ipotesi che i due marò italiani lì detenuti rischino la pena di morte". Lo dice Sonia Alfano, eurodeputata e presidente della Commissione Antimafia Europea. "Lunedì - aggiunge Alfano - chiederò a tutti gli europarlamentari italiani, prima della plenaria di Strasburgo, di sottoscrivere una lettera al presidente della Commissione, Barroso, e all’Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Catherine Ashton, in cui l’Ue ponga le condizioni per tutelare i due marò, in servizio su quella nave su mandato dell’Unione. Mi aspetto - sottolinea infine l’eurodeputata - un impegno concreto da parte del governo italiano di fronte a una simile minaccia".