Giustizia: "Il Fatto" attacca il decreto-carceri... è un aiutino a killer e stupratori di Alberto Sofia www.giornalettismo.com, 11 gennaio 2014 Primo via libera alla Camera, il carcere sarà previsto come extrema ratio. I detrattori lo hanno ribattezzato come un "indulto mascherato", trasformato in misura prioritaria di fronte all’emergenza carceri. La riforma della custodia cautelare ha ottenuto ieri l’approvazione della Camera dei deputati, con 290 voti favorevoli, 13 contrari e 95 astenuti. Un primo via libera, in attesa del passaggio al Senato: l’obiettivo sarà quello di limitare il ricorso al carcere preventivo, così come quello di altre misure, come i domiciliari, con la conseguenza di diminuire anche il carico delle carceri italiane. Un’esigenza per i sostenitori della legge, di fronte ai numeri, Questo perché, in base ai dati aggiornati al 30 aprile dello scorso anno, 2013 (si legge nell’istruttoria legislativa di Montecitorio), ben 24.637 sono stati i detenuti in custodia cautelare, su un totale di 65.917 presenti nei 206 penitenziari della penisola. Ben il 37,3%: senza contare come, di questi, più di 12 mila sono quelli in attesa del primo giudizio. Troppi secondo le forze della maggioranza. Per il Fatto Quotidiano, però, la riforma rischia di trasformarsi in "un aiutino per stupratori e killer", spiegando come "per i reati di violenza sessuale, omicidio, prostituzione minorile e sequestro di persona per estorsione il giudice dovrà fare i salti mortali per disporre l’arresto". Se la riforma verrà confermata anche in Senato, tra due mesi, il ricorso al carcere ci sarà soltanto come "extrema ratio". E soltanto se il giudice dimostrerà un pericolo concreto, ma soprattutto "attuale", per disporre una carcerazione preventiva: non potrà "essere desunto solo dalla gravità del reato", in base al testo di riforma della custodia cautelare. In pratica, salteranno gli attuali automatismi applicativi: la custodia cautelare potrà essere disposta soltanto quando siano "inadeguate" le altre misure coercitive o interdittive. Rispetto a quanto avviene oggi, queste potranno però essere applicate in modo cumulativo. Come spiega Repubblica, "carcere o arresti domiciliari saranno off-limit, invece, quando si ritiene di concedere la condizionale o la sospensione dell’esecuzione della pena". Secondo il Fatto, con la riforma della custodia cautelare si vorrebbe ampliare l’utilizzo le misure alternative. "Peccato che poi queste alternative risultino assolutamente blande, come ad esempio il divieto di esercitare una professione, il ritiro del passaporto o l’obbligo di dimora: tutto facilmente aggirabile", ha incalzato la giornalista Sara Nicoli. Anche se, aumenterà da due a dodici mesi la durata delle misure interdittive da utilizzare in alternativa alla custodia cautelare in carcere. Servirà una valutazione più stringente, per cui, oltre a valutare la gravità del delitto, il giudice dovrà anche valutare gli elementi relativi alla personalità dell’indagato o dell’imputato. Oltre ai precedenti penali e al comportamento precedente e successivo al reato che gli viene contestato. Si cambia anche per quanto riguarda le motivazioni che dovranno spiegare i giudici per disporre della custodia cautelare, con l’intensificazione degli obblighi di motivazione dell’ordinanza. Il giudice dovrà così spiegare "le specifiche ragioni" per cui non ritiene sufficiente la misura degli arresti domiciliari con tutte le relative misure di controllo. Le critiche del Fatto si concentrano, però, soprattutto sui reati per i quali resterà la presunzione assoluta di idoneità della misura carceraria. Per i delitti di mafia e associazione terroristica continuerà a valere l’esigenza della misura carceraria. Per gli altri delitti gravi (omicidio ad esempio, violenza sessuale, prostituzione minorile, sequestro di persona per estorsione, etc.) sarà prevista, al contrario, una presunzione relativa. Se per Repubblica il carcere si applicherà, meno che non si dimostri che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con misure meno afflittive, al contrario, il quotidiano diretto da Antonio Padellaro, azzarda: "Domiciliari pure per gli assassini, dunque?", si domanda. Non è stato l’unico nodo presente. Si legge: "Altro capitolo, poi, sui ricorsi al Riesame. Che avrà 30 giorni di tempo per le motivazioni, pena la perdita di efficacia della misura cautelare, ossia l’annullamento dell’ordinanza, con conseguente liberazione dell’accusato (oggi, invece, può integrarla). Elemento, quest’ultimo, alla base dell’astensione dei grillini sul voto finale". I dubbi dell’Anm, invece, si sono concentrati sui controlli sulla magistratura, ovvero sull’emendamento Costa che ha introdotto l’inedita "relazione sulla custodia cautelare". Se per il parlamentare, così "verranno alla luce tutti i casi di malagiustizia", Rodolfo Sabelli (Anm) si è detto contrario "alla verifica politica sull’operato dei giudici, le manette facili non esistono", ha spiegato. Ma non solo: per Sabelli "L’assoluzione di un imputato detenuto non rivela affatto in sé un caso di malagiustizia. La verifica della legittimità delle misure è nel processo. Non se ne può immaginare una, ex post, di tipo "politico"", come si legge su Repubblica. Tutto passa adesso in Senato, dove il testo di legge potrebbe essere agganciato al decreto carceri. Giustizia: mai così pochi omicidi dall’unità d’Italia, ma la percezione è contraria di Dino Martirano Corriere della Sera, 11 gennaio 2014 La nostra percezione è che sia aumentata la violenza, ma le cifre dimostrano il contrario. I delitti impuniti si concentrano al Sud. La provincia più pericolosa delle grandi città. Al calo degli omicidi strumentali si contrappone l’aumento di quelli espressivi, nati da impeti di follia o frustrazioni inespresse. Nelle carceri italiane sono ristretti 9.077 detenuti (di cui 6.049 con una condanna definitiva) che devono rispondere del reato di omicidio volontario. Il numero totale degli assassini o dei presunti tali rinchiusi nelle patrie galere è dunque molto alto - un sesto dell’intera popolazione carceraria - e in qualche modo potrebbe alimentare anche quel comune sentire che tende a espandere la percezione del pericolo ovunque: sulle banchine affollate della metropolitana di una grande città così come lungo una strada isolata di campagna. A forza di leggere la cronaca nera, infatti, ci si sente più insicuri nei luoghi assimilabili all’hinterland torinese di Caselle così come al popoloso quartiere romano della Magliana. Gli autori degli ultimi due omicidi eclatanti - il triplice assassinio che ha distrutto la famiglia Allione accanto all’aeroporto di Torino, e quello che ha annullato la giovane vita di Daniele Fulli sull’argine del Tevere - hanno confessato. Ma la scia lunga dell’insicurezza che lascia dietro di sé ogni fatto di sangue amplificato dai media non si cancella tanto facilmente. Eppure, in Italia i morti ammazzati sono sempre di meno. Anzi, secondo i dati ufficiali (ancora non certificati dal ministero dell’Interno) nel 2013 si è registrato il tasso di omicidi più basso dall’Unità d’Italia. In realtà, le serie storiche disponibili partono dal 1879, anno in cui nel neonato Regno unitario si registravano quasi duemila ammazzamenti. Da allora, cioè 9 anni dopo la presa di Porta Pia, il decremento è stato costante. Una discesa inesorabile interrotta solo in tre periodi eccezionali: i due dopoguerra (circa 2.500 omicidi tra 1944 e il 1946) e negli anni bui 1988-1992 in cui alla mattanza della criminalità organizzata si somma il terrorismo rosso e nero. Poi, dal 1992-1993, biennio di picco della tecnica stragista di Cosa nostra, la diminuzione degli omicidi è stata di nuovo costante. Fino al 2013, anno in cui viene addirittura abbattuto il muro dei 500 omicidi. Lo scorso anno, infatti, polizia e carabinieri hanno certificato 480 omicidi consumati e 1.207 tentati. Queste statistiche - elaborate da Marzio Barbagli, professore emerito all’Università di Bologna, su dati forniti dal ministero dell’Interno - dicono molto sull’aspetto quantitativo del fenomeno, un po’ meno su quello qualitativo. Eppure, ammette Barbagli, "a partire dal 2004 il sistema di raccolta e catalogazione dati del ministero dell’Interno è migliorato e ora ha potenzialità straordinarie". Tuttavia, aggiunge il docente, "persiste al Viminale quella resistenza a fornire i dati all’esterno che aveva raggiunto il suo apice con il ministro Pisanu". A ben guardare le tabelle elaborate sui dati del Dipartimento della pubblica sicurezza (seppure non aggiornate) si ha la conferma, per esempio, che la criminalità organizzata ammazzi di meno anche se poi gli omicidi compiuti dai sicari delle quattro mafie italiane rimangono per lo più impuniti. Da un lato, dunque, le armi vengono tenute sotto chiave perché le sparatorie fanno male agli affari illegali; dall’altro, fatta la divisione per macro aree della Penisola, emerge un alto tasso di omicidi non risolti soprattutto al Sud e nelle isole: al Nord infatti si risolvono 7,5 casi su 10 mentre nel Mezzogiorno il rapporto è ribaltato, con 5,6 omicidi impuniti su 10. Però "bisogna fare attenzione - avverte Barbagli - perché il dato del Sud è fortemente influenzato dalla presenza delle organizzazioni mafiose in Campania, Puglia, Calabria e Sicilia". La controprova la fornisce il dato nazionale: quando uccide, la criminalità organizzata la fa franca anche in 9 casi su dieci (triennio 2004-2006); se invece la mano omicida è quella di un criminale che non ha alle spalle un’organizzazione militare, polizia e carabinieri catturano e fanno condannare anche 7 assassini su dieci. "Tutto questo ha un spiegazione abbastanza semplice", ammette il sociologo Maurizio Fiasco che da decenni studia l’onda criminale dalla Capitale e dal Lazio: "I cosiddetti omicidi strumentali, quelli consumati per un fine diverso, come la rapina, vengono quasi sempre scoperti da quando le tecniche investigative si sono raffinate. Soprattutto da quando sulla scena del crimine hanno fatto irruzione le scienze biologiche, l’esame del Dna, l’analisi millimetrica degli spostamenti grazie ai tabulati telefonici e alle telecamere di sicurezza, l’uso del Luminol per rintracciare anche la più piccola traccia di sangue". Come dire, il delitto anche se compiuto da un mezzo "professionista" viene quasi sempre scoperto se poi il crimine non è contestualizzato in un ambiente mafioso-omertoso. Rimangono da analizzare, dunque, gli omicidi più preoccupanti. Quelli della porta accanto. I cosiddetti crimini "espressivi " che hanno a che fare con un impeto di follia, con uno sguardo sbagliato, con un desiderio o una frustrazione inespressa che poi deflagra in famiglia o nei dintorni di questa. Molti i profili border line dei potenziali assassini pronti a implodere: padri padroni, maschi prevaricatori e violenti (il 30 per cento degli omicidi colpisce le donne), madri fragili e inadeguate fino a sprofondare nell’uxoricidio, i cultori della sopraffazione sessuale, i bulli e le cattive ragazze di periferia come dei quartieri alti. Il sociologo Fiasco spiega che questo tipo di omicidi - molti dei quali si consumano tra le mura domestiche - "sono in aumento perché sta venendo meno il capitale sociale delle singole comunità: in altre parole, se manca la funzione censoria e di contenimento assicurata da famiglie numerose, per cui strutturate, e dal vicinato; ovvero se manca il freno dato dal legame col territorio, sia esso con la partecipazione a una comunità parrocchiale o a una polisportiva, il potenziale omicida "espressivo" troverà davanti a sé un’autostrada". E tutto questo, contrariamente a quanto si crede, attecchisce più in provincia e negli sterminati hinterland che un tempo erano campagna, piuttosto che nelle grandi città". Su un punto il sociologo Fiasco e lo statistico Barbagli non concordano: il primo si sente di affermare che "con la crisi economica aumentano gli omicidi espressivi perché la crisi è sofferenza delle persone che poi rivolgono su altri, spesso su chi amano, la violenza subita". Il secondo, dati alla mano, sostiene che negli anni dell’austerità e della disoccupazione aumentano altri reati (come le rapine) ma non gli omicidi. "In ogni caso - chiosa Fiasco non senza polemica - da 10 anni, da quando le statistiche giudiziarie sono passate dall’Istat al ministero, non sappiamo più nulla delle vittime. Non riusciamo più a distinguere un omicidio dall’altro". Giustizia: ricerca della Fondazione Moressa; detenuti stranieri in calo… effetto della crisi? Redattore Sociale, 11 gennaio 2014 I dati della Fondazione Moressa. Dall’inizio della crisi, osservando i dati dal 2007 al 2013 i detenuti nelle carceri italiane sono complessivamente aumentati del 28%, che in termini assoluti si traduce in poco meno di 14 mila "nuovi" reclusi. Ma l’incremento tra gli italiani è molto più elevato. Dall’inizio della crisi, osservando i dati dal 2007 al 2013 i detenuti nelle carceri italiane sono complessivamente aumentati del 28%, che in termini assoluti si traduce in poco meno di 14 mila "nuovi" reclusi: ma mentre l’incremento tra gli stranieri è stato circa del 20%, quello degli italiani è stato molto più elevato (+34%). Il risultato di queste dinamiche è che la popolazione carceraria straniera si sta progressivamente ridimensionando. La Fondazione Leone Moressa ha esaminato i recentissimi dati diffusi dal ministero della Giustizia sui detenuti nelle carceri italiane, suddividendoli rispetto alla nazionalità. I detenuti stranieri in Italia al 31.12.2013 sono 21.854 e rappresentano il 35% del totale detenuti. L’incidenza più elevata si registra nelle regioni del Nord: fra quelle con più di mille detenuti stranieri, la percentuale più alta si registra in Liguria (59%), Veneto (58%) e Toscana (54%). Nelle Regioni del Sud, invece, l’incidenza si attesta ovunque sotto la media nazionale. Quasi il 50% proviene da Paesi africani. Nelle carceri italiane sono presenti ben 140 nazionalità diverse. Le cinque nazionalità più "tristemente" rappresentate, che racchiudono 6 detenuti stranieri su 10, sono Marocco (19%), Romania (16%), Albania (13%), Tunisia (12%) e Nigeria (4%). Il 46% dei detenuti stranieri proviene da Paesi africani, il 42% dall’Europa, mentre il restante 12% si divide equamente fra Asia e America. Le tipologie di reato più diffuse sono quelle contro il patrimonio e quelle relative alla legge sulla droga (25%), seguiti dai reati contro la persona (19%). Per quanto riguarda l’incidenza degli stranieri sul totale della popolazione carceraria, essa è, naturalmente, molto alta per i reati legati alla legge sull’immigrazione (91%). Elevata è anche l’incidenza percentuale per i reati relativi alla prostituzione (78%); il 40% dei detenuti per produzione e spaccio di stupefacenti è costituito da stranieri, incidenza che scende al 31% esaminando i reati contro la persona, al 29% per i reati contro il patrimonio ed al 9% per i reati legati alle armi. Per quanto riguarda l’età dei detenuti, gli stranieri incidono molto di più sul totale nelle classi d’età giovanili, rispecchiando anche l’età media meno elevata degli stranieri residenti in Italia rispetto ai nostri connazionali: nella fascia 18-20 anni i detenuti stranieri sono il 60%, e rappresentano oltre la metà dei detenuti complessivi se si amplia il target fino ai 30 anni. Secondo i ricercatori della Fondazione Leone Moressa "dall’inizio della crisi i detenuti italiani sono aumentati con un ritmo molto più sostenuto rispetto a quello degli stranieri. Si può ipotizzare che la crisi economica e la conseguente crescita della disoccupazione, mentre nel caso degli stranieri spinge maggiormente a cercare fortuna in altri Paesi, per i nostri connazionali sfoci purtroppo spesso nell’illegalità. Resta il fatto che generalmente i detenuti stranieri finiscono in carcere per reati legati a condizioni di marginalità ed esclusione sociale, come furti e spaccio di stupefacenti". Giustizia: Tamburino (Dap) all’Antimafia "non sono a conoscenza di indagini in carcere" Ansa, 11 gennaio 2014 Il capo del Dap viene sentito in Commissione antimafia. E racconta quello che sa su una storia di cui si è molto parlato. Sul caso delle minacce di Totò Riina al pm di Palermo Nino Di Matteo emerse da un’intercettazione di un dialogo in carcere tra Riina e un altro detenuto, Alberto Lorusso, e soprattutto sul come questa notizia sia trapelata "non mi risulta che sia stata aperta un’inchiesta amministrativa interna: non credo che ci sia". Lo ha detto il capo del Dap, il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburino, sentito in Commissione antimafia. Riina, ha spiegato Tamburino, fece "gravi minacce" al direttore del carcere di Opera dove era detenuto e "io ne fui informato dalla Direzione detenuti e trattamenti. Per questo avevamo già avviato l’iter per l’applicazione del 14 bis a Riina", la misura per inasprire la sorveglianza sui detenuti. "La richiesta, che è sempre sottoposta al controllo giurisdizionale, è stata fatta nel novembre 2013", ha detto il capo del Dap, negando che il 14 bis non si possa applicare ai detenuti in 41 bis, cioè in regime di carcere duro: "Il Dap - ha detto Tamburino - non può aver risposto che non lo applica, perché lo fa e io stesso ho firmato diverse applicazioni". "Per una coincidenza temporale - ha detto ancora Tamburino - quando siamo venuti sapere delle minacce al direttore del carcere è emersa sulla stampa anche la notizia delle minacce a Di Matteo". Riguardo ai rapporti di Riina con altri detenuti all’interno dei cosiddetti gruppi di socialità, Tamburino ha spiegato che questi gruppi "per i detenuti in 41 bis sono di 4 persone, gli abbinamenti vengono fatti dalla direzione generale detenuti, ma viene sempre sentita l’autorità giudiziaria, ed è avvenuto anche per l’abbinamento Lorusso-Riina. Non mi risulta inoltre che Lorusso sia mai stato in abbinamento con il figlio di Riina". "Se sono state disposte delle intercettazioni in un carcere di massima sicurezza, io non lo so ed è giusto che sia così. Non mi risulta - ha detto inoltre Tamburino - che Riina sapesse di essere intercettato, non ho elementi da cui si possa ricavare. È un’ipotesi possibile, forse anche verosimile. Ma dai dati che ho non si può dire", ha spiegato Tamburino, al quale i parlamentari, a iniziare dalla presidente della commissione Rosi Bindi, hanno chiesto come sia uscita la notizia delle minacce. Bindi si è detta "molto sorpresa" del fatto che il capo del Dap affermi di non essere al corrente di intercettazioni effettuate in un carcere, cioè in un ambito sotto la giurisdizione del Dap, su un detenuto in 41 bis. E perplessità hanno manifestato anche diversi commissari. "Le notizie apparse sulla stampa" sulle minacce di Riina a Di Matteo, ha affermato Tamburino, "rappresentano l’esito di un’attività giudiziaria. Quando ho partecipato al comitato sulla sicurezza convocato a Palermo, a cui hanno preso parte anche molti magistrati siciliani, lì ho avuto la certezza che questi fossero dati noti all’autorità giudiziaria di Palermo e Caltanissetta". Ma "l’autorità amministrativa", per cui è competente il Dap rispetto alle carceri, "è separata da quella giudiziaria". Se da una parte, quindi, "gli agenti sono tenuti a informare l’autorità giudiziaria di tutti gli elementi utili", dall’altra "io non vengo informato dell’attività giudiziaria in corso e non mi informo, è giusto che sia così: per garantire la riservatezza delle indagini, meno sono a sapere e meglio è". "E non mi risulta - ha aggiunto - che ci siano state fughe di notizie per un’attività informativa di competenza amministrativa". Friuli Venezia Giulia: trasferite alla Regione le competenze sulla Sanità penitenziaria Asca, 11 gennaio 2014 Saranno le Aziende sanitarie competenti per territorio a garantire la continuità delle cure ai detenuti nelle cinque case circondariali regionali (Trieste, Gorizia, Tolmezzo, Udine e Pordenone), dopo che dal primo gennaio scorso le competenze nel campo delle medicina penitenziaria sono state trasferite alla Regione. Le istruzioni alle Aziende sono contenute in una delibera approvata oggi dalla Giunta, su proposta dell’assessore alla Salute Maria Sandra Telesca. L’acquisizione delle competenze comporta il trasferimento del personale, delle attrezzature e dei locali che lo Stato impiegava finora per svolgere questo servizio. La Regione sta preparando le linee guida per individuare i principi e i criteri secondo i quali dovrà essere organizzata e gestita dalle Aziende la tutela della salute nelle carceri. Nel frattempo le stesse Aziende dovranno indicare la propria struttura competente per fornire le prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione ai detenuti. I fondi per coprire i costi del nuovo servizio saranno assegnati alle singole Aziende in un momento successivo, sulla base delle risorse finanziarie che lo Stato trasferirà alla Regione. Puglia: Consigliere regionale Amati; audizioni su sovraffollamento carceri www.giornaledipuglia.com, 11 gennaio 2014 "Contribuire a migliorare la situazione disumana delle carceri non è fuori dalle nostre possibilità d’intervento e me ne sono convinto a seguito delle frequenti visite alle carceri pugliesi, e da ultimo a quello di Taranto. Per questo e sul modello del protocollo tematico sottoscritto dal Ministero della Giustizia e dalla Regione Toscana, ho chiesto ai Presidenti di I e III Commissione di convocare un’apposita riunione, per verificare la possibilità di replicare l’iniziativa in Puglia". Lo dichiara il consigliere regionale Fabiano Amati, rendendo noto di aver chiesto questa mattina ai Presidenti della I e III Commissione consiliare - Giovanni Brigante e Leonardo Marino - la convocazione di una apposita riunione, per esaminare la possibilità di sottoscrivere - anche per la Puglia - un protocollo tematico con il Ministero della Giustizia, sul modello di quello sottoscritto dalla Regione Toscana nei giorni scorsi. Alla riunione delle Commissioni il consigliere Amati ha chiesto di invitare in audizione il Presidente Presidente della Giunta regionale, o suoi delegati, il Presidente dell’Anci Puglia, i Presidenti dei Tribunali di sorveglianza dei distretti di Corte d’Appello di Bari e Lecce, il Garante regionale dei detenuti e i Dirigenti regionali comunque competenti sull’argomento. "La sottoscrizione del protocollo - ha spiegato Amati - punta a dare un po’ più di compiutezza alle prescrizioni costituzionali sulla esecuzione della pena. Il protocollo sottoscritto dalla Toscana e che vorrei fosse replicato in Puglia, prevede programmi di promozione del lavoro di pubblica utilità prestato dalle persone detenute in favore delle comunità locali, anche con riferimento al protocollo del 2012 sottoscritto dal Ministero della Giustizia e dall’Anci. Detti programmi potrebbero essere finanziati in compartecipazione dalla Cassa delle ammende e dalla Regione. Sarebbe il caso di prevedere, inoltre e sempre sul modello toscano, di destinare in comunità residenziali i detenuti che possono usufruire delle misure alternative, così da generare la riduzione del sovraffollamento delle carceri e a condizione che i posti liberati dai detenuti ospitati nelle comunità residenziali non siano poi occupati da altri detenuti, magari trasferiti da altre regioni. In definitiva - ha concluso Amati - il programma mi pare idoneo, detto riassuntivamente, a sovvertire l’idea che bastino i programmi di edilizia carceraria ad avverare le previsioni costituzionali e il senso di umanità che almeno a parole tutti professiamo". Venezia: detenuto di uccise in cella di isolamento, condannato il comandante di Davide Tamiello Corriere Veneto, 11 gennaio 2014 Rinviati a giudizio altri tre agenti penitenziari. Il detenuto aveva tentato il suicidio e venne chiuso in isolamento. Tutti i detenuti temevano la cella 408.Magari non ne conoscevano il numero, ma l’esistenza di quella stanza degli orrori era qualcosa di più di una banale leggenda. Un buco senza luce, riscaldamento, in cui i carcerati di Santa Maria Maggiore venivano chiusi con una maglietta a maniche corte anche in pieno inverno. Una cella "illegittima e degradante", come l’hanno definita il pubblico ministero Massimo Michelozzi e l’avvocato di parte civile Marco Zanchi. Una cella in cui, il 5 marzo del 2009, si tolse la vita il 28enne marocchino Cherib Debibyaui, impiccandosi con una coperta. Prima e dopo di lui altri erano entrati tra quelle q pareti umide e gelide, tutti detenuti con comportamenti "devianti, conflittuali o autolesionistici". Il giudice veneziano Andrea Comez, ieri, ha emesso la prima sentenza di un processo che aveva chiamato in causa sei guardie carcerarie e ha condannato, con rito abbreviato, quindi, l’ex comandante di reparto di polizia penitenziaria Daniela Caputo. Per lei, il giudice ha stabilito una pena a sei mesi di reclusione per omicidio colposo e a altri 5mesi e 10 giorni per abusi. Prosciolti dalle accuse, invece, l’ispettore Pietro Di Leo e l’assistente capo Vincenzo Amoroso, in quanto non sarebbero stati a conoscenza della gravità della situazione. In particolare Di Leo, essendo un semplice addetto alle matricole, si occupava solo della disposizione della distribuzione delle celle senza però sapere a monte chi sarebbe stato rinchiuso dove. Rinviati a giudizio, invece, gli ispettori Stefano Di Loreto e Leonardo Nardino e il vice sovrintendente Francesco Sacco. Per loro il processo si aprirà il 10 aprile. "Questa sentenza è un risultato storico - commenta Zanchi - si è riconosciuta l’esistenza di una cella illegittima, in cui le condizioni erano davvero disumane. Se passasse il reato di tortura, sicuramente questo sarebbe un caso in cui potrebbe essere considerato uno dei capi di imputazione". La cella 408 era nata un po’ per caso. Devastata da un detenuto irrequieto, non era mai stata ristrutturata. Il personale si era limitato a rimuovere tutto ciò che era finito in pezzi. Ne era uscito uno spazio minimo, buio, freddo, con le finestre murate. Cherib era stato trasferito lì dopo aver tentato il suicidio in una cella comune, sventato solo dall’intervento degli altri due detenuti. Era rimasto nella 408 per 62 ore, in isolamento, al freddo e senza acqua, prima di riuscire ad appendere una striscia di tessuto strappata da quella coperta a un chiavistello e a farla finita. Lui, che era considerato un detenuto a rischio, e doveva essere sottoposto a sorveglianza a vista. In quella cella maledetta erano passati, tra il 2008 e il 2009, diversi detenuti. Il tunisino Kais Latrach, rinchiuso per 25 ore una prima volta e per 32 una seconda, il tagico Omar Basaev, che ci ha trascorso addirittura 175 ore. E ancora: Paval Ilie, romeno, 46 ore; Sami Mohamed e Eddi Karim, entrambi iracheni, che avevano scontato nella 408 il loro isolamento per 151 e per 9 ore. Parma: morto in carcere Roberto Sandalo, ex esponente di "Prima Linea" Asca, 11 gennaio 2014 Stava scontando una pena di 9 anni nel carcere di Parma quando, l’altro ieri, è deceduto per cause naturali. Sarà sepolto nella tomba di famiglia al cimitero di Costigliole d’Asti. L’ex terrorista, che aveva 57 anni, con le sue confessioni permise di smantellare Prima Linea. Il suo nome è legato ad alcune tra le pagine più buie della storia degli anni di piombo. Autore di una serie di delitti efferati con le sue rivelazioni mise in crisi il sistema politico italiano, decretando la caduta di Carlo Donat Cattin e mettendo l’allora presidente del Consiglio, Francesco Cossiga, in una situazione difficilissima. Cossiga fu salvato da una risicata maggioranza e Sandalo ebbe un perdono generalizzato per una serie di reati riassunti in 110 capi d’accusa. Era finito in cella a Parma nel 2008 per gli attentati alle moschee e ai centri culturali islamici di Milano, Abbiategrasso e Brescia. Firenze: protesta della spesa a Sollicciano. Lensi (Radicali): istituzioni si rechino in carcere La Repubblica, 11 gennaio 2014 Momenti di tensione ieri mattina nel carcere di Sollicciano, dove 120 detenuti hanno occupato un locale adibito a spazio comune, per protestare contro la mancata consegna della spesa alimentare che da qualche tempo gli stessi detenuti hanno deciso di acquistare all’esterno per migliorare i loro pasti. Spintonati, nel corso della protesta, alcuni agenti di polizia penitenziaria, ma nulla di grave rispetto a quanto si teme possa accadere oggi se nuovamente i pasti non saranno consegnati. A segnalare il fatto e a lanciare l’allarme è il vicesegretario toscano del sindacato degli agenti di polizia penitenziaria Sappe, Francesco Falchi. "La spesa - spiega - consente ai detenuti di acquistare carne fresca, pesce, bombolette di gas, a volte anche quello che l’amministrazione non è in grado di fornire, come il detersivo per pulire le celle". Da alcune settimane, secondo quanto denunciato dal sindacato, il sistema informatico che gestisce gli acquisti dei detenuti è andato in blocco, e da qui il disguido nella consegna che si è verificato ieri. La protesta dei detenuti di Sollicciano, che è durata alcune ore, è terminata dopo la promessa da parte della direzione del carcere di effettuare la consegna della spesa per oggi. "Ma se ciò non dovesse avvenire - mette in guardia Falchi - non so che cosa potrà accadere. La protesta non è stata una manifestazione che può dirsi pacifica. Ormai a Sollicciano si vive alla giornata". La situazione è pesante. L’ha ricordata, nella sua omelia del primo gennaio, il cardinale Giuseppe Betori, tornato a denunciare il sovraffollamento delle carceri che rende "crudeli e barbare le pene inflitte". Il giorno della Befana a Sollicciano è entrato il presidente della Regione, Enrico Rossi, che ha portato panettoni e la promessa di cambiare il corredo delle celle per assicurare letti puliti e materassi decenti. Ieri anche un intervento del consigliere regionale del Pd Enzo Brogi. "Quello che emerge dai dati Uil-Pa sulle carceri è un triste primato per la Toscana - ha detto Brogi - quello dei tentati suicidi, ben 161 nel 2013, di cui 45 a Sollicciano e 43 a Prato, le cifre più alte in Italia. I dati allarmanti ancora una volta ci ricordano quanto sia urgente intervenire su una situazione emergenziale". "All’interno del carcere fiorentino di Sollicciano si sta svolgendo una protesta di almeno 120 detenuti che, rileva dalla stampa il consigliere provinciale Massimo Lensi (Radicale nel Gruppo Misto), hanno occupato gli spazi comuni all’interno dell’istituto". Una protesta ancora non dai toni drammatici, ma che "può pericolosamente degenerare in poche ore. La struttura di Sollicciano, infatti, è in uno stato di degrado quasi totale e, come è stato ricordato dal Sappe Toscana, dentro al carcere si vive ormai alla giornata". Se è vero che la manifestazione è stata causata dalla mancata consegna della spesa acquistata dei detenuti all’esterno, "è altrettanto vero che ormai a scatenare la protesta dei detenuti basta poco in una struttura alla deriva come quella di Sollicciano dove manca tutto: dalla carta igienica all’acqua calda". Lensi rivolge un pressante appello alle istituzioni cittadine, al Comune e alla Provincia, perché "facciano sentire la loro voce rivolgendosi alla comunità dei detenuti e intervengano concretamente in collaborazione con la direzione dell’istituto penitenziario, affinché i problemi logistici, legati alla vita quotidiana dei detenuti, siano prontamente risolti. Prima che sia troppo tardi". Modena: Sindaco Pighi; contro sovraffollamento più risorse per misure alternative www.modena2000.it, 11 gennaio 2014 La soluzione ai problemi di sovraffollamento del carcere di Modena, risultato tra i più affollati d’Italia dall’indagine di un sindacato delle guardie penitenziarie, deve passare necessariamente attraverso alcuni correttivi a livello nazionale, che hanno iniziato ad essere applicati ma in modo troppo lento e senza le risorse necessarie. Su questo fronte ci stiamo impegnando con energia anche come Anci". Lo ha affermato il sindaco di Modena Giorgio Pighi rispondendo giovedì 9 gennaio in Consiglio comunale all’interrogazione di Sandro Bellei (Fi-Pdl) sulla "scarsa sicurezza del carcere S. Anna". Per la precisione, nell’istanza si faceva riferimento "all’aumentato numero dei detenuti e alle cattive condizioni igieniche, dichiarati dal sindacato Polizia carceraria Sappe, che rendono più penosa la permanenza del detenuto ma anche più difficile il lavoro dei troppo pochi agenti". Bellei ha quindi chiesto al sindaco se intenda intervenire in fretta presso il Ministero di Grazia e Giustizia per segnalare la situazione. Il sindaco Pighi, ha spiegato che il numero di detenuti è costituito non esclusivamente dai condannati dell’Autorità giudiziaria locale, poiché l’assegnazione definitiva è determinata da un Ispettorato del Ministero di Grazia e Giustizia e tiene conto della vicinanza della famiglia e di altri elementi legati alle condizioni del carcere. "Negli ultimi tre anni il numero di detenuti in Italia è diminuito di 3 mila unità – ha continuato Pighi – ma non basta e non è diminuito quanto avrebbe potuto a causa di limiti a cui si sta cercando di porre rimedio. Il primo correttivo è costituito dalla norma che consente di scontare in detenzione domiciliare pene fino a un anno e mezzo; la disposizione non è però inserita in modo organico all’interno del sistema giudiziario. Inoltre, per riuscire a rendere effettiva la possibilità di misure alternative alla detenzione, occorrono provvedimenti a livello sociale, per esempio se il domicilio non è dichiarato idoneo non vengono riconosciuti i domiciliari e la persona resta in carcere. Il problema – ha affermato il sindaco – è che il nostro sistema ha sempre considerato a costo zero le misure alternative alla detenzione, mentre il detenuto in carcere costa moltissimo: una situazione che determina non solo una profonda ingiustizia ma anche l’impossibilità di adottare certe misure alternative alla detenzione che richiedono adeguata soluzione. Occorre che lo Stato decida di investire risorse in questa direzione se vogliamo evitare che la Corte dei diritti dell’uomo ritenga insufficiente quanto fatto finora". Sergio Celloni (Mpc) ha chiesto la trasformazione in interpellanza sottolineando l’alto numero di carcerati immigrati detenuti al Sant’Anna e il costo sociale dei detenuti. "Vorrei dare un suggerimento – ha aggiunto – l’extracomunitario che vuole venire nel nostro Paese, invece di pagare il viaggio al mercato nero degli scafisti, potrebbe dare una cifra al Comune in cui intende risiedere e avere in cambio un permesso di soggiorno di sei mesi rinnovabile, una tessera sanitaria e sei mesi di tempo per trovare un lavoro". Firenze: Sindacato Infermieri Nursind; personale aggredito nell’Opg Montelupo Ansa, 11 gennaio 2014 Nuovi episodi di violenza all’ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino. La denuncia arriva dal sindacato delle professioni infermieristiche Nursind. Secondo il racconto del sindacato fiorentino ieri ci sono state all’interno della struttura aggressioni ad opera di alcuni internati nei confronti del personale. Sul caso il sindacato inoltrerà un esposto alla procura della Repubblica di Firenze e intanto - si legge in una nota - "visti i gravi fatti e le mancate promesse, in questi giorni convocheremo il personale per decidere le azioni da intraprendere". Già alcuni mesi fa il Nursind aveva segnalato un fatto di violenza nei confronti di un’infermiera che fu ferita e poi ricoverata in ospedale. "In quella circostanza fummo rassicurati da parte della direzione dell’Asl 11 di Empoli circa la presa in carico delle gravi situazioni e nel trovare idonee soluzioni. Ad oggi niente è stato fatto". ( Venezia: cella delle punizioni, agente condannato per il suicidio di un detenuto Il Gazzettino, 11 gennaio 2014 Una cella buia e fredda utilizzata per i detenuti più problematici. Si è conclusa l’udienza preliminare sulla "cella delle punizioni" che sarebbe stata organizzata in carcere nei confronti di alcuni detenuti e che sarebbe anche alla base di un suicidio. Il gip ha disposto una condanna con la formula del rito abbreviato, tre rinvii a giudizio per abuso di autorità per gli agenti e due assoluzioni. All’ex responsabile del reparto delle guardie penitenziarie, Daniela Caputo, è stata inflitta una pena di 11 mesi comprendente sia l’accusa di omicidio colposo sia quella di abuso di autorità. Napoli: detenuto chiede di parlare all’avvocato, l’agente chiede al pm se deve registrare telefonata di Peppe Rinaldi Libero, 11 gennaio 2014 Le conversazioni tra avvocato e cliente non possono essere ascoltate. Da nessuno. Punto. Oltre al codice e alla "Costituzione più bella del mondo" il divieto è imposto da un’antica civiltà giuridica opportunamente puntellata e vigilata dalla qualità degli attori del foro. A giudicare, però, da quanto successo tra Basilicata e Campania sembra che le cose non tornino, specie leggendo un fax finito nelle mani di Libero dopo esser rimasto, incredibilmente, all’interno di un fascicolo processuale: agenti di polizia penitenziaria che si rivolgono al magistrato per avere istruzioni in merito al colloquio tra un detenuto e il suo avvocato, non è esattamente un interrogativo da lasciar impresso su un foglio ufficiale, quasi si trattasse di una banale comunicazione di servizio. Soprattutto se il difensore non era indagato né sospettato di favoreggiamenti o concorsi vari. È la storia di un romeno di poco più di vent’anni, arrestato ad aprile scorso per il furto di un’Ape Car, ad aver inconsapevolmente squarciato il velo su un andazzo - a quanto pare - diffuso, ma di cui c’era scarsità di prove materiali. Al centro di tutto, fra l’altro, non c’era neppure un mega boss slavo in affari con la mafia balcanica ma un poveraccio da poco maggiorenne. Sarà forse per questo che è successo. La questione è all’attenzione del Csm, del Guardasigilli, della commissione Giustizia di Camera e Senato, della Commissione diritti umani del Senato, del presidente della Repubblica oltre che del presidente del tribunale di Lagonegro (il distretto in provincia di Potenza dove si è verificato il fattaccio) e del giudice del dibattimento cui Michele Capano, l’avvocato "intercettato ", s’è rivolto con una nota ufficiale. Il fax che dal carcere di Sala Consilina (Salerno), dove Georgescu Adrian Mihaita era detenuto, è stato spedito al gip del relativo tribunale per avere "istruzioni": in pratica, si chiedeva al giudice cosa fare con la richiesta del detenuto di poter parlare al telefono con il suo difensore, se limitarsi ad ascoltare oppure registrare. Ecco testualmente cos’è scritto nel fax n. 333 del 18 aprile 2013: "Per dovere d’ufficio si trasmette l’allegata istanza prodotta dal nominato in oggetto, con la quale chiede di intrattenere corrispondenza telefonica con il proprio difensore di fiducia avvocato Capano Michele del foro di Salerno all’utenza telefonica 089/XXXXXX. Tanto premesso, trattandosi di soggetto a disposizione di codesta autorità, pregasi far conoscere disposizioni in merito, precisando in caso affermativo modalità di esecuzione della stessa (con ascolto e registrazione o meno)". Sembra non ci sia altro da aggiungere, le parole hanno un significato preciso al di là dell’interpretazione che si intenda darne. Roba di cui, in linea teorica, dovrebbe rispondere l’intera filiera giudiziaria sottostante: dal magistrato con relativi organi di controllo al direttore del carcere, passando per gli agenti e la burocrazia. Altri casi eclatanti si sono registrati nei mesi scorsi. Uno su tutti il clamoroso arresto di un noto penalista napoletano (l’avvocato Salvatore Lepre) "sorpreso" a discutere con un proprio cliente. Vicenda complessa, intricata, difficile da sciogliere: nella storia di Georgescu invece, c’è poco da decifrare, è tutto nero su bianco. Intanto, dal 13 al 15 gennaio i penalisti italiani hanno proclamato uno sciopero per attirare l’attenzione sull’argomento che, a quanto pare, è più diffuso di quanto si pensi. Appuntamento a Napoli per la manifestazione nazionale. Bologna: Sappe; detenuto dà fuoco alla sua cella della Dozza, tre agenti intossicati Adnkronos, 11 gennaio 2014 "Questa mattina, nel carcere bolognese della Dozza un detenuto extracomunitario ha dato fuoco alla cella, dalla quale in pochi minuti si sono propagate le fiamme e una folta coltre di fumo, derivante dai materassi di spugna che bruciavano. I tre agenti intervenuti per trarre in salvo l’uomo sono rimasti intossicati, sembrerebbe in maniera non grave, anche se sono in corso gli accertamenti in ospedale". è quanto affermano, in una nota, Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe, e Francesco Campobasso, segretario regionale dello stesso sindacato dei baschi azzurri. In Emilia Romagna, ricorda il Sappe, "i detenuti presenti al 31 dicembre 2013 erano 3.687, per una capienza regolamentare di 2.390 posti. Sono 1.950 gli stranieri presenti, 686 sono in attesa di primo giudizio, 351 gli appellanti, 270 i ricorrenti in Cassazione, 67 sono in posizione mista, poiché hanno in corso piu’ procedimenti. I detenuti assegnati ai domiciliari, per effetto della legge 199/2010, successivamente modificata e prorogata, in Emilia Romagna sono stati 406, dei quali 201 stranieri e 40 donne". "A livello nazionale -sottolineano ancora Durante e Campobasso- sono stati 13.044, dei quali 3791 stranieri, a testimonianza del fatto che la detenzione domiciliare funziona molto di meno con gli stranieri, la maggior parte dei quali non hanno un domicilio". Nella prima settimana di febbraio i vertici nazionali del Sappe, con il segretario generale Donato Capece e il segretario generale aggiunto Giovanni Battista Durante, visiteranno gli istituti di Parma, Reggio Emilia e Modena. Napoli: agenti feriti, mamme chiedono perdono per i figli detenuti a Poggioreale Adnkronos, 11 gennaio 2014 "Mio figlio ha sbagliato e deve pagare, chiedo scusa ai poliziotti feriti da parte sua. Io ho paura che nel carcere di Poggioreale possano picchiarlo e fargli del male". A parlare è Grazia Annunziata, la madre di Michele Marzio, il giovane di vent’anni su cui grava l’accusa di aver premuto il grilletto del revolver contro i due agenti di polizia che nella notte tra il 6 e il 7 gennaio hanno intimato l’alt a tre giovani che viaggiavano a bordo di uno scooter rubato. A chiedere perdono c’è anche Patrizia Ricci, la mamma di Ivan Zinzi, uno degli altri due giovani accusati tra l’altro di tentato omicidio. "Vorrei andare a trovare il poliziotto - ha detto Patrizia Ricci - e chiedergli perdono in ginocchio, vorrei baciargli le mani, so che anche mio figlio dal carcere lo chiede". La madre di Michele Marzio, in un’intervista all’emittente campana All News Piuenne, ha poi aggiunto: "Non è vero che mio figlio ha brindato dopo ciò che ha commesso, io spero che non faccia la fine di mio cognato, suicidatosi nel carcere di Poggioreale. Se mio figlio non è tornato in carcere a Roma è perché la fidanzata gli ha chiesto di trascorrere il veglione di Capodanno insieme". Ravenna: polizia applica primo "braccialetto elettronico" di nuova generazione Adnkronos, 11 gennaio 2014 La Questura di Ravenna, con la collaborazione del commissariato di Faenza, ha attivato ieri pomeriggio in provincia il primo braccialetto elettronico per il controllo dei detenuti agli arresti domiciliari. Si tratta del primo caso in Italia di utilizzo del braccialetto con una nuova tecnologia che contiene nel cinturino un sistema di rilevazione corporea. Un’apparecchiatura, dunque, di nuova generazione piu’ "intelligente" e moderna della precedente. Il braccialetto è stato applicato ad un giovane 23enne di Faenza che è in stato di custodia cautelare per detenzione di droga a scopo di spaccio. Il provvedimento restrittivo è stato disposto dal Gip del Tribunale di Forli’, mentre la detenzione domiciliare controllata è stata autorizzata, previo il necessario consenso dell’interessato, dal Tribunale della Libertà di Bologna. In provincia di Ravenna sono al momento presenti 308 persone sottoposte agli arresti domiciliari (76 nel capoluogo) e 73 che scontano la pena in regime di detenzione domiciliare (18 nel capoluogo). Nei confronti di questa categoria di persone nel 2013 la Polizia di Stato ha effettuato complessivamente 1106 controlli specifici. Il sistema in questione è costituito dal braccialetto elettronico e subacqueo, normalmente applicato alla caviglia del detenuto, e di una centralina elettronica installata presso l’abitazione ove si deve scontare il periodo agli arresti. La centralina, dialogando con il dispositivo di controllo a distanza, comunica alle centrali operative delle Forze dell’ordine gli eventuali allontanamenti dall’abitazione di cui il detenuto si dovesse rendere responsabile. In tal caso intervengono le pattuglie impiegate nel controllo del territorio. Non solo. Il software lancia in tempo reale un allarme acustico e visivo su un apposito monitor della sala operativa anche in caso di manomissione del braccialetto o di malfunzionamento dell’apparecchiatura. È possibile, infine, inserire nel sistema eventuali permessi autorizzati, in modo tale che l’uscita consentita non determini la segnalazione di allarme. In caso di manomissione del braccialetto o di uscita dal luogo consentito, il detenuto risponde di evasione e il giudice dispone nei suoi confronti la revoca della misura e la sua sostituzione con la custodia cautelare in carcere. Nuoro: "Liberi nello sport", finalissima in carcere del torneo promosso da Asd Olimpiakos La Nuova Sardegna, 11 gennaio 2014 Chiude oggi pomeriggio il primo evento del progetto "Liberi nello Sport", promosso dalla Asd Olimpiakos affiliata all’Unione sportiva Acli Nuoro e rivolto ai detenuti di alta sicurezza e ai detenuti comuni sempre della sezione maschile del Penitenziario di Badu ‘e Carros. A partire dalle ore 14.30, prenderanno il via le due finali del campionato di calcio a otto, iniziato a fine settembre cui hanno preso parte 10 squadre della città e due squadre di detenuti: Azzurra e La Fenice. È stato un torneo avvincente, in cui ogni sabato pomeriggio due squadre esterne sono entrate nel penitenziario nuorese per giocare contro le due rappresentative di detenuti. L’obiettivo, infatti, era quella di creare un legame tra la città e il carcere attraverso un campionato di calcio in cui le varie categorie di lavoratori della città di Nuoro e i detenuti si incontrassero tra loro. Di anno in anno, il numero di atleti che ha varcato il portone del carcere per entrare e calcare il campo da gioco interno al penitenziario è progressivamente aumentato fino ad arrivare ai giorni nostri a toccare il numero di 150 atleti. Come ha detto un detenuto dell’alta sicurezza, "voi avete fatto un miracolo, ma ve ne siamo grati perché qualcuno non si dimentica di noi". La giornata avrà inizio con le finali per il terzo posto in cui si confronteranno Azzurra (detenuti alta sicurezza) e Foro di Nuoro. Seguirà la finalissima in cui giocheranno Salta il Muro e Pistonca United. Seguiranno le premiazioni cui prenderanno parte tutte le rappresentative che hanno disputato il Campionato e le detenute della sezione femminile che in questi mesi stanno lavorando all’interno del progetto sperimentale "diamoci una mossa" (prima volta avviato nel carcere) in cui il movimento, la nutrizione e l’aspetto psicologico sono gli elementi fondamentali delle attività svolte. Pescara: il Festival della Melodia torna nel carcere, iniziativa curata dalla Provincia www.abruzzo24ore.tv, 11 gennaio 2014 Domenica pomeriggio (ore 15.30), su iniziativa della Provincia di Pescara, nel carcere del capoluogo adriatico si svolgerà la ventesima edizione del Festival della Melodia, con l’esibizione (gratuita) di alcuni artisti provenienti da Abruzzo, Marche e Umbria. "Canteranno per assicurare qualche ora di svago ai detenuti, che assisteranno allo spettacolo - ha spiegato l’assessore alle Politiche sociali Valter Cozzi alla presenza del presidente Testa. E saranno dieci detenuti a vestire i panni dei giurati per scegliere i migliori cantanti. "Nonostante il periodo di estrema difficoltà - ha detto Cozzi - il settore delle Politiche sociali dispone di più fondi in bilancio rispetto al passato, dimostrando attenzione a chi vive una situazione di disagio. La manifestazione di domenica, molto attesa dai detenuti, è finalizzata proprio a far sentire ancora una volta la nostra vicinanza a chi sta scontando la pena nella casa circondariale". Il pomeriggio di domenica, condotto da Paolo Minnucci, vedrà la partecipazione anche del cabarettista Valerio Basilavecchia, e di Valerio Corneli, da sempre nella organizzazione di questo appuntamento. Sarà eseguita, tra l’altro, una rievocazione del Sant’Antonio. Assisterà allo spettacolo il presidente della Provincia Guerino Testa che presentando il festival ha ricordato le iniziative portate avanti dall’ente con il carcere, tra cui le borse lavoro, l’utilizzo dei detenuti per attività di sistemazione delle aree verdi di competenza della Provincia, un accordo di giustizia riparativa con la Caritas e l’apertura di uno sportello dell’assessorato al Lavoro negli spazi della casa circondariale, il tutto per "renderci utili" - ha commentato Testa. Il Festival della Melodia ha visto la partecipazione, nelle edizioni passate, di personaggi che poi sono diventati notissimi, come Giò Di Tonno e Piero Mazzocchetti. Roma: "CarcerAzioni", un’iniziativa sulle prigioni dei nostri tempi www.roma.notizie.it, 11 gennaio 2014 Sono la libertà e la sua privazione i temi centrali dell’iniziativa CarcerAzioni. Prigionie dei nostri tempi, che da dicembre 2013 all’11 aprile 2014 coinvolge più spazi culturali di Roma Capitale - dalla Casa della Memoria e della Storia alla Casa dei Teatri, dalla Sala Santa Rita al Nuovo Cinema Aquila al Teatro di Villa Torlonia - oltre al Museo storico della Liberazione di Via Tasso e al Museo Laboratorio della Mente. Il progetto CarcerAzioni, promosso da Assessorato capitolino alla Cultura, attraverso mostre, incontri, letture, proiezioni, laboratori e performance, indaga il concetto di prigionia come metafora della vita nel passato e nel presente: dalla prigionia nelle carceri alla scelta di isolarsi dal mondo, dall’impedimento fisico al disagio esistenziale. In un Occidente sempre più in trasformazione, investito da flussi migratori causa di tragiche sofferenze umane, una ricerca per tornare a discutere di libertà dell’individuo e un approfondimento sul "carcere" nel senso etimologico della parola, dal latino "càrcer" - recinto, chiuso e quindi prigione - che ha radice dal verbo co-èrcio, da cui il significato di luogo ove si restringe, si rinchiude ed anche si castiga e si punisce. Bergamo: nel carcere di Via Gleno Irish party solidale dei Meneguiness www.bergamonews.it, 11 gennaio 2014 Evento d’eccezione al carcere di Bergamo: la casa circondariale di via Gleno ospiterà il concerto dei Meneguiness. L’iniziativa, che abbina la musica alla solidarietà, è in programma sabato 11 gennaio: si tratta di un evento rivolto ai detenuti e ai loro famigliari, per regalare loro le emozioni tipiche della musica tradizionale irlandese. La band nasce a Brugherio, in Brianza, nell’aprile del 2012. Folgorati dalla musica tradizionale irlandese, decidono di provare a portare in Italia qualche frammento di quelle serate di festa e di condire i ritmi forsennati delle session nei pub con il rock nostrano del Belpaese. Qualche mese dopo la nascita del gruppo, nell’autunno 2012, è partito il loro primo tour ufficiale, che in 8 mesi riesce a collezionare quasi 40 date in giro per l’Italia sui palchi dei festival più prestigiosi nel panorama folk e celtico italiano, tra i quali Triskell di Trieste, Beltane di Biella e Druidia di Cesenatico. A distinguere le esibizioni dei Meneguiness è il carattere sempre più deciso della loro musica, un mix tra le sonorità tradizionali di chitarra acustica, violino e fisarmonica tipiche del folk irlandese e statunitense e le battenti ritmiche di basso, batteria e chitarra elettrica, più caratteristiche del rock continentale. Dall’autunno 2013, infine, affiancano, alla classica e più richiesta esibizione elettrica all’aperto, una formazione acustica invernale più adattabile alle esigenze dei piccoli locali e più fedele alle origini folk della band. Immigrazione: Manzione (Interno); nel 2013 43mila arrivi, 14mila solo a Lampedusa Public Policy, 11 gennaio 2014 "Lo scorso anno sono giunti in Italia oltre 43mila stranieri, 14mila solo a Lampedusa. Sono state inoltre attivate oltre 60 strutture di primissima accoglienza e a San Giuliano di Puglia è quasi pronto il nuovo centro per i migranti ‘vulnerabili’, con una capienza fino a 1000 persone. Nei prossimi mesi inoltre termineranno i lavori di ristrutturazione del centro di Lampedusa, per ampliarne la capienza fino a più di 350 posti. Oggi nell’isola sono comunque presenti solo 13 persone". Lo dice in aula alla Camera Domenico Manzione, sottosegretario all’Interno, rispondendo a un’interpellanza del capogruppo Sel Gennaro Migliore, aggiungendo: "L’impegno del Viminale è molteplice, da una pronta revisione del capitolato d’appalto dei centri d’accoglienza, all’emanazione di una direttiva sulle buone prassi, alla fornitura di indicazioni sui correttivi da apportare per rendere la disciplina omogenea su tutto il territorio nazionale; saranno poi rivisti i prezzi posti a base delle gare per i centri di accoglienza, per migliorare gli standard e aumentare la partecipazione". Per quanto riguarda la riforma dell’intero sistema, Manzione precisa: "Le modifiche normative richiedono un percorso normativo di più ampio respiro e la piena collaborazione del Parlamento". Ha risposto Migliore, insoddisfatto: "Avete fatto decreti su tutto, senza che ce ne fosse l’urgenza, e ora cosa c’è di più urgente di persone alle quali non vengono riconosciuti gli standard minimi umanitari sulla base di quella che è la normativa europea e anche il buon senso, e che vengono detenuti in condizioni atroci?". Immigrazione: Cie Bari; lavori entro 90 giorni, per garantire diritti umani, o chiusura Il Messaggero, 11 gennaio 2014 Ordine al Governo del Giudice sul Cie di Bari: "Lavori entro 90 giorni per garantire i diritti umani. Il trattamento attuale degli immigrati, infatti, "trasmoda nell’illegalità" per le "manchevolezze " riscontrare nel Centro di identificazione ed espulsione. Manchevolezze che sono imputabili "soprattutto a modalità costruttive " dell’immobile e che "incidono sulla situazione degli ambienti e, conseguentemente, sulla loro vivibilità da parte degli occupanti". Così il giudice civile del Tribunale di Bari, Francesco Caso, ha accolto in parte la class action proposta dall’associazione "Class action procedimentale" e ha ordinato i lavori che dovranno essere eseguiti entro "il termine improrogabile di 90 giorni". Il giudice - che ha invece respinto la richiesta di chiusura del Cie - ha disposto che "in caso di mancata o parziale esecuzione di quanto disposto entro tale termine, tutti gli stranieri ancora trattenuti" dovranno essere "trasferiti in altri Cie" in regola con le disposizioni di legge. Il tribunale ha quindi ordinato alla Presidenza del Consiglio, al Ministero dell’Interno e alla Prefettura di Bari di provvedere allo stato manutentivo dei servizi igienici, dall’ampliamento delle loro dimensioni ridotte e all’aumento del loro numero. E ancora: di risolvere la problematica rappresentata dalla mancanza di un sistema di oscuramento, anche parziale, delle finestre delle stanze alloggio; riportare la sala mensa o "sala benessere" alle dimensioni indicate nelle linee guida; incrementare le aule per le attività occupazionali, didattiche e ricreative, nonché le ulteriori strutture ed attrezzature sportive; provvedere a colmare la carenza di segnaletica antincendio nei moduli abitativi con l’impiego di materiali più resistenti all’ usura e allo strappo e di valutare l’opportunità di dotare le camere- alloggio di un sistema di ventilazione forzata. "Questa sentenza fissa un punto di non ritorno: i Cie, così come sono stati concepiti, non garantiscono il rispetto e la tutela dei diritti umani. Ora attendiamo di capire come lo Stato deciderà di muoversi, ma il termine perentorio di 90 giorni fissato dal giudice Caso non lascia spazio ad alternative". Così commenta il sindaco di Bari Michele Emiliano che esprime "apprezzamento" per la decisione del giudice civile del Tribunale di Bari. Manconi: legalizzare la cannabis… il proibizionismo fa più danni della canna legale di Antonella Loi www.notizie.tiscali.it, 11 gennaio 2014 Luigi Manconi è il padre del ddl sulla depenalizzazione delle droghe leggere presentata al Senato e che sulla falsariga della legalizzazione, in questi giorni, sta animando la discussione politica. Mentre da diversi Stati europei, ma anche dall’America di Obama, giunge notizia di leggi che consentono l’uso e la detenzione personale e quindi la coltivazione della modica quantità - il cosiddetto fine "ricreativo" - l’Italia s’interroga e si scopre meno proibizionista. Aperture nei confronti di una rivisitazione della Fini-Giovanardi e finanche ammiccamenti alla legalizzazione dell’assunzione e della coltivazione della cannabis fanno capolino tra le colonne dei giornali. Un tabù infranto? "La maturazione è in atto", ci dice il senatore democratico, presidente della Onlus "A Buon diritto" che da anni si batte per una giusta riforma carceraria. "Per quanto valore abbiano i sondaggi di queste ore - dice compiaciuto -, vedo che la società è divisa ma non è più opinione di una piccola parte: credo che una fetta consistente dell’opinione pubblica giunga alla stessa conclusione alla quale sono giunto io da qualche decennio". Depenalizzare l’uso e la coltivazione della marijuana, lei dice, è urgente. Perché? "In entrambi i casi si tratta di modifiche radicali alla legge vigente, la Fini-Giovanardi, perché questa prevede sanzioni amministrative che rapidamente possono diventare sanzioni penali partendo dalla punibilità della semplice detenzione, i cui limiti sono così vaghi che spesso diventano accuse di spaccio. Ho ricevuto in queste ore almeno due mail che da luoghi diversi d’Italia, da parte di piccoli coltivatori che, per uno o due vasi di marijuana sul balcone, hanno subito entrambi una condanna penale in primo grado di otto e 10 mesi. Stiamo parlando di sanzioni penali per il piccolo coltivatore che per uso personale detiene una piantina". Il termine al quale si fa riferimento in questi casi è quello di liberalizzazione della marijuana. Ma dietro questo termine lei dice c’è un paradosso. "Esatto. La nostra proposta infatti non è la liberalizzazione perché la liberalizzazione è il regime vigente. Liberalizzazione illegale certo, ma comunque liberalizzazione: in qualunque ora del giorno e della notte in qualunque piazza o città si può acquistare ogni tipo di droga da un numero elevato di esercizi commerciali illegali, cioè gli spacciatori. Rispetto a questo noi proponiamo l’esatto contrario, cioè la regolamentazione. Dove sta la differenza? "Il ragionamento cruciale, al quale gli oppositori si sottraggono, è il perché una sostanza come l’alcol che determina danni assai maggiori rispetto all’uso di hashish e marijuana deve essere perfettamente legale e l’altro no? Questo è il quesito e se non si danno risposte coerenti e in buona fede il discorso si arresta. Noi sappiamo che un giovane su 5 si avvicina alla marijuana mentre ben tre giovani su 5 si avvicinano all’alcol. Quindi: o qualcuno propone la messa fuori legge dell’alcol e allora il proibizionismo ha un senso o mi deve spiegare perché la marijuana non debbano stare nello stesso regime che regolamenta l’alcol o il tabacco: vincoli, limiti, tassazione e controllo". Quindi regolamentare produzione, commercio e uso, che invece oggi di fatto sono liberi? "È difficile immaginare in Italia una merce reperibile più facilmente della droga". Qualcuno ha fatto i conti: in un momento di crisi economica la legalizzazione porterebbe molti soldi nelle casse dello Stato. "È così, lo sostengono tutti gli economisti più seri. Ma non è il mio argomento preferito. Quello che chiedo è perché se l’uso di sostanze cannabis non ha mai prodotto un solo morto, (ovviamente se utilizzata in maniera eccessiva non può non avere conseguenze, soprattutto negli adolescenti) l’uso di quelle che invece ne producono eccome sono legali? Nessuno sta dicendo: voglio la legalizzazione di hashish e marijuana perché fanno bene o sono innocue. Ma voglio la legalizzazione perché con la legalizzazione si produrrebbero meno danni alla società di quanti se ne producono con il proibizionismo". Si obietta che con la legalizzazione si avrebbe una crescita esponenziale dei consumatori. "È l’esatto contrario, è il proibizionismo che anzi ha prodotto una crescita abnorme dei consumatori. Oggi la droga è libera, con la legalizzazione sarebbe regolamentata come avviene con le sigarette o l’alcol". Secondo dati dei Radicali, modificando la Fini-Giovanardi che distingue tra droghe leggere e pesanti almeno 9mila persone uscirebbero dal carcere. "La percentuale di detenuti reclusi per reati legati alla Fini-Giovanardi si aggira intorno al 37% dell’intera popolazione carceraria. Ovviamente in questo dato ci sono anche i pochissimi grandi narco trafficati detenuti. Poi ci sono i tossicomani, dipendenti da droghe pesanti, magari finiti in carcere per reati legati all’uso. Cambiando la legge vigente il sistema carcerario ne gioverebbe assai. E oggi grazie al cielo è aumentato il numero di cittadini che ritengono che un tossicomane dovunque debba stare tranne che in carcere, perché oggi le carceri sono piene di tossicodipendenti. Il mio modesto disegno di legge vuole eliminare le norme più carcerogene e tuttavia si pone nella prospettiva della legalizzazione". Due passi diversi e successivi. "La legalizzazione avrebbe altre conseguenze e si pone nel novero delle cosiddette politiche di riduzione del danno. Cioè quelle cose cattive e scandalose ma necessarie che sono state adottate anche da governi di destra in molti Paesi. Per fare un esempio posso parlare delle stanze del buco, cioè luoghi dove chi consuma può farlo senza correre il rischio di morire. Su questo le anime belle insorgono e dicono che li si aiuta a drogarsi. È così ma per evitargli la morte da overdose o siringa infetta. Esiste davvero qualcuno che pensa che la droga possa essere debellata? Bisogna convivere con tutto questo, e quindi anche con le stanze del buco". Però Alfano la ritiene una cosa sbagliatissima, tanto da minacciare la caduta del governo. "Normalissima posizione politica opposta alla mia". Siete alleati. "Facciamo parte della stessa maggioranza. Non mi occupo delle sue motivazioni politiche, identitarie rispetto ad un’appartenenza politica. Io mi occupo delle mie posizioni politiche perché stiamo parlando della vita delle persone che mi sta molto a cuore". Qualche apertura però si è vista da luoghi inaspettati, da ultimo Galan (Fi) e prima ancora qualche esponente leghista. "Segno che le cose stanno cambiando". Anche il vento internazionale è diverso. "Sarà perché c’è la testardaggine dei fatti: i fatti sono ostinati. Chi ha oggi il coraggio di dire che il proibizionismo non ha fallito?" Secondo lei, senatore, il ddl che ha presentato ha qualche possibilità di diventare legge dello Stato? "Le rispondo con le sue stesse parole: sì ha qualche possibilità". Droghe: sono 9.500 i detenuti per solo possesso e spaccio di cannabinoidi Redattore Sociale, 11 gennaio 2014 Secondo la relazione di Sabrina Molinaro (Ifc-Cnr) alla Camera, circa il 14% dei soggetti in carcere uscirebbe se fossero approvate le proposte di legge in discussione in Parlamento. Nel 2012 sono state 12.500 le persone condannate. Sono circa 9.500 le persone in carcere esclusivamente per il possesso e spaccio di cannabinoidi. In pratica, se l’uso della cannabis venisse depenalizzato, il 14% dei detenuti potrebbe lasciare il carcere. La notizia, rilevante, è estrapolata dalla relazione di Sabrina Molinaro, responsabile della Sezione di Epidemiologia e Ricerca sui Servizi sanitari Ifc-Cnr, effettuata nel corso della sua audizione presso la Commissione giustizia della Camera dei deputati. Un’audizione in occasione della discussione sulle proposte di legge C.1203 (modifiche al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, n. 309/90, in materia di coltivazione e cessione della cannabis indica e dei suoi derivati) e C.971 (modifiche al testo unico, in materia di depenalizzazione della coltivazione domestica di piante dalle quali possono essere estratte sostanze stupefacenti o psicotrope), rispettivamente a firma Daniele Farina (Sel) e Sandro Gozi (Pd). Il tutto mentre si accende il dibattito, politico e scientifico, proprio sulla "legalizzazione" della cannabis e dei suoi derivati. Con prese di posizione a favore e contro tale eventualità che si stanno moltiplicando. Detenuti. In generale, dal 2002 al 2006 il numero di detenuti nelle strutture penitenziarie è aumentato, decrescendo nel 2007, per effetto dell’indulto, e riprendere a crescere successivamente. Andamento sostanzialmente simile si riscontra anche per i detenuti per reati previsti ex DPR 309/90 (testo unico sulla droga) anche se, dal 2008 in poi, la loro proporzione è leggermente aumentata. Nel 2011 i detenuti per reati previsti dalla legge sulle droghe erano 27.947, il 41,5% del totale (67.394) dei detenuti. India: i marò rischiano la pena di morte. Il premier Letta: è inaccettabile Affari Italiani, 11 gennaio 2014 Nonostante la rassicurazioni fornite ancora ieri dal ministro degli Esteri indiano Salman Kurshid, secondo cui va escluso che Massimiliano Latorre e Salvatore Girone siano passibili della pena di morte, un’intesa raggiunta nelle ultime ore in India a livello inter-ministeriale riproporrebbe per i due marò italiani proprio lo scenario più inquietante: è quanto scrive oggi il quotidiano "Hindustan Times", secondo cui appare verosimile che Latorre e Girone siano rinviati a giudizio per imputazioni, e in forza di norme, che in caso di condanna prevedono appunto la pena capitale. Questo sarebbe il frutto di un mini-vertice tenuto tra lo stesso Kurshid, il titolare dell’Interno, Sushil Kumar Shinde, e quello della Giustizia, Kapil Sibal. Stando infatti a quanto riferito in via riservatissima da fonti governative a New Delhi, sarebbe cioè stato concordato tra i responsabili dei tre dicasteri coinvolti di "dare il via libera alla Nia", la polizia anti-terrorismo cui sono state affidate le indagini, "per formulare le accuse sulla base della sezione 3" della legge del 2002 in materia di sicurezza marittima. Si tratta di una normativa che stabilisce sia punita con una sentenza capitale qualsiasi azione dalla quale sia stata provocata la morte di una persona: anche se a rigore si riferisce soltanto ad atti terroristici o di pirateria coinvolgenti navi battenti la bandiera indiana, come il battello a bordo del quale si trovavano i due pescatori il cui omicidio a colpi di arma da fuoco al largo della costa del Kerala, risalente al 15 febbraio 2012, è attribuito appunto a Latorre e a Girone. La difesa dei marò ha peraltro sempre eccepito l’estraneità del caso di specie dall’ambito di applicazione della legge. Stando ancora al giornale indiano, la questione sarebbe rimasta finora irrisolta come riflesso delle garanzie in tale ultimo senso accordate dal capo della diplomazia di Delhi, che adesso sarebbe tuttavia giunto a un compromesso con i colleghi di gabinetto. A questo punto, conclude ancora "Hindustan Times" citando quanto appreso in ambienti investigativi, il benestare per rinviare a giudizio i fucilieri di Marina italiani, per reati punibili con la pena di morte, potrebbe giungere alla Nia in qualsiasi momento. "Se l’India non dovesse rispettare le rassicurazioni" fatte al governo italiano sui due marò ancora detenuti, "questo sarebbe inaccettabile". Lo ha detto il presidente del consiglio Enrico Letta intervistato a Rainews24. "Abbiamo oggi fatto un’altra riunione del comitato di coordinamento tra i diversi ministeri e ribadito la linea che abbiamo sempre indicato", ha spiegato. "Ci aspettiamo che il governo indiano sia conseguente con le assicurazioni che aveva dato lo stesso governo e con le rassicurazioni della Corte suprema. E cioè - ha aggiunto Letta - che non sarebbe stata utilizzata la fattispecie della pirateria e nel caso in questione e che la decisione sarebbe stata rapida. Per la decisione rapida, per il momento, non se ne parla, ma sarebbe inaccettabile se quelle rassicurazioni non fossero rispettate. Noi ci aspettiamo che queste rassicurazioni vengano rispettate e ci atteniamo a questo. Abbiamo ribadito con forza e lo faccio ancora la nostra vicinanza ai marò", ha concluso Letta. Latorre (Pd): episodio gravissimo se notizia su pena di morte è vera "Se la notizia apparsa sulle agenzie di stampa fosse vera, saremmo in presenza di un episodio gravissimo". Così Nicola Latorre, senatore del Pd e presidente della commissione Difesa a Palazzo Madama, commenta l’ipotetica decisione sulla pena di morte dei due Marò detenuti in India. "Lo stesso ministro dell’Interno indiano aveva dato rassicurazioni all’Italia dicendo più volte che il governo indiano non avrebbe applicato la pena di morte ai nostri due militari. E invece oggi sembra che stia valutando se applicare la speciale legge marittima che prevede la pena capitale in caso di omicidio. Mi auguro - conclude Latorre - che queste indiscrezioni di stampa siano infondate e che il Governo convochi al più presto il tavolo di coordinamento interministeriale che sta seguendo questa vicenda per valutare ogni iniziativa opportuna". India: caso marò, l’abbaglio nostrano sulla pena di morte di Matteo Miavaldi Il Manifesto, 11 gennaio 2014 Gli ultimi sviluppi nel caso dei fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone (nella foto reuters), trattenuti in India da quasi due anni con l’accusa di omicidio di due pescatori indiani scambiati per pirati, fanno riemergere la preoccupazione nazionale per il rischio di applicazione della pena di morte nei confronti dei due soldati. Si tratta però di un abbaglio che nonostante le svariate rassicurazioni - sia da parte indiana, dal parlamento e dal ministro degli Esteri Khurshid, che da parte italiana con l’inviato speciale De Mistura - dopo mesi fatica ad essere archiviato dalla stampa nostrana. Su queste pagine, a più riprese, abbiamo specificato che la pena capitale, in India, viene applicata solo in casi eccezionali ("rarest of the rare", 4 volte negli ultimi 20 anni). E l’incidente che ha coinvolto la Enrica Lexie, secondo le rassicurazioni di Delhi, non rientra nella casistica. Il malinteso continua a tenere banco per la complessità legale e burocratica del caso, affidato dalla Corte Suprema a una delle polizie federali, la National Investigation Agency (Nia). In settimana si è tenuto a Delhi un vertice tra il ministro della Giustizia, il ministro degli interni e il ministro degli Esteri, con l’obiettivo di definire come la Nia debba procedere alla formulazione dei capi d’accusa davanti alla Corte speciale che dovrà giudicare Latorre e Girone. Il problema risiede nel vincolo che l’agenzia avrebbe a livello giuridico, obbligata a rifarsi al Sua Act, la legge che permetterebbe - secondo il sistema legale indiano - di reclamare la giurisdizione del caso ma che, all’articolo tre, obbliga l’accusa a richiedere la pena di morte nel caso di omicidio in mare. Secondo indiscrezioni pubblicate dall’Hindustan Times, la Nia sarebbe pronta a procedere chiamando l’applicazione del Sua Act, eventualità che in Italia è stata percepita come volontà di applicare la pena di morte. Ipotesi esclusa totalmente dall’inviato De Mistura - "è inapplicabile" - che ha anche lamentato il ritardo della Nia nel formulare i capi d’accusa, attesi per lo scorso 8 gennaio e rimandati alla fine del mese. L’India si ritrova quindi in un empasse politico-burocratico: da un lato non è intenzionata a rinunciare all’estensione della propria sovranità (reclamata, secondo le leggi nazionali, fino alle 200 miglia nautiche della zona economica esclusiva), ma dall’altro non può venir meno alle rassicurazioni sull’inapplicabilità della pena di morte date a Roma e, soprattutto, al principio del "rarest of the rare". Per uscire dal vicolo cieco, riporta la stampa indiana, la Nia potrebbe chiedere l’applicazione del Sua Act e la non applicabilità della pena di morte, rifacendosi alle dichiarazioni del ministro Khurshid rilasciate all’assemblea parlamentare federale. Una decisione delicata che, secondo il ministro Shinde, sarà presa all’inizio della prossima settimana. Stati Uniti: in Oklahoma eseguita seconda condanna a morte del 2014 Ansa, 11 gennaio 2014 Seconda condanna a morte del 2014 eseguita negli Stati Uniti: un uomo afroamericano, Michael Lee Wilson, 38 anni, è stato ucciso con una iniezione letale in Oklahoma, a pochi anni dall’esecuzione dei suoi due complici. Insieme avevano ucciso a colpi di mazze da baseball il gestore di un supermercato, e poi ne avevano chiuso il cadavere in un congelatore. Un quarto complice, minorenne all’epoca del fatto, sta scontando una condanna all’ergastolo. Michael Lee Wilson, è stato dichiarato morto alle 18.06, poco dopo l’una di notte in Italia, al penitenziario di McAlester, ha riferito un portavoce. La prima esecuzione del 2014 in Usa risale a martedì scorso, in Florida. Brasile: governo lancia piano emergenza contro ondata di violenza nelle carceri Ansa, 11 gennaio 2014 Il ministro della Giustizia brasiliano, José Eduardo Cardozo, ha annunciato un piano di emergenza per cercare di contenere l’ondata di violenza scatenatasi nelle ultime settimane fuori e dentro i carceri di Sao Luis, capitale dello Stato di Maranhao. In particolare dopo le decapitazioni di alcuni detenuti registrate a Pedrinhas. Le misure prevedono undici interventi congiunti dei governi federale e statale. Si va dal rafforzamento della sicurezza nella regione, con più uomini della Forza nazionale, al trasferimento dei reclusi ritenuti più pericolosi. I provvedimenti sono stati decisi al termine di una riunione, ieri sera a Sao Luis, tra Cardozo e la governatrice del Maranhao, Roseana Sarney, del Pmdb, partito alleato del governo. Per migliorare il sistema penitenziario nella regione sono stati stanziati l’equivalente a 54 milioni di dollari. La gestione della Sarney, al centro di polemiche a seguito degli incidenti nelle prigioni, è stata oggetto di ulteriori critiche dopo recenti denunce della stampa locale. In piena crisi carceraria, è stato scoperto che il suo governo stava spendendo ingenti somme per l’acquisto di cibo e bevande raffinati, tra cui 80 kg di aragoste fresche, 750 kg di caviale, champagne e vini importati. Un menu ben differente da quello offerto ai detenuti, che - secondo le testimonianze fotografiche di alcuni giornali - sono costretti a mangiare riso freddo e carne di gallina cruda. Polemica hanno poi suscitato le ultime dichiarazioni della governatrice nel commentare i crescenti episodi di criminalità nel suo Stato: secondo la Sarney, l’ondata di violenza è effetto dell’aumento della popolazione, perché il Maranhao "è diventato più ricco". Le scene di orrore documentate a Pedrinhas - considerato il penitenziario più pericoloso del Brasile, con almeno 60 omicidi commessi tra le sue mura solo nel 2013 - nei giorni scorsi ha provocato l’intervento anche dell’Onu e di Amnesty International. L’Alto commissariato delle Nazioni unite per i diritti umani ha chiesto l’avvio di "indagini immediate, imparziali ed effettive" sugli ultimi episodi di violenza, sollecitando l’esecutivo di Dilma Rousseff a trovare soluzioni rapide per il cronico problema del sovraffollamento carcerario. Francia: Amnesty International accusa "Parigi consegna Ablyazov ai boia" di Mirko Molteni Libero, 11 gennaio 2014 La decisione della Giustizia francese di consegnare alla Russia il dissidente kazako Mukhtar Ablyazov, già noto in Italia perché sua moglie e la figlia più piccola vennero espulse in Kazakistan, sta facendo convergere su Parigi gli strali delle associazioni umanitarie, in primis Amnesty International che commenta: "Non solo temiamo che Ablyazov non sarebbe processato in modo equo in Russia o Ucraina, mavì è anche il pericolo che venga rinviato in Kazakistan, dove correrebbe il rischio di subire torture. Le autorità francesi non devono estradare Ablyazov verso Paesi in cui andrebbe incontro a gravi violazioni dei diritti umani o dai quali potrebbe essere rinviato in Kazakistan". Ablyazov è stato arrestato a Cannes lo scorso 31 luglio su mandato dell’Interpol, ma solo ora dalla Corte d’appello di Aixen Provence, è venuto il nulla osta all’estradizione. I russi (ma anche gli ucraini) lo accusano per reati finanziari, in particolare l’aver occultato 5 miliardi di dollari. Perciò i giudici francesi non hanno ritenuto Ablyazov meritevole di asilo politico. "È un truffatore", sostiene la magistratura, mai suoi avvocati ribattono che l’accaduto "è una vergogna per la Francia". È un fatto che il banchiere kazako è stato un esponente dell’opposizione politica al presidente Nursultan Nazarbayev, ex-funzionario sovietico che da oltre vent’ anni guida il Kazakistan. Tra i fondatori del fronte "Scelta democratica", pare che i suoi traffici finanziari li abbia usati comunque per finanziare la dissidenza. Lanotte dal 28 al 29 maggio 2013 la moglie di Ablyazov, Alma, con la figlioletta Aula di 6 anni, erano state catturate dalla polizia italiana in un blitz a Roma ed espulse in Kazakistan come fossero pericoli pubblici. Azione che in luglio è stata condannata dal Commissariato Onu per i diritti umani. Ma a fa scalpore che la Francia, che per un ventennio, in omaggio alla "dottrina Mitterand", aveva offerto asilo anche a chi aveva commesso reati di sangue, fra cui molti estremisti e brigatisti italiani, in tal caso ha seguito una via diametralmente opposta. Con altri nomi celebri negli anni di piombo, da Toni Negri a Oreste Scalzone, anche l’ex terrorista Cesare Battisti ha usufruito per molti anni del "santuario" francese, per poi prendere la strada del Brasile. È vero che la "dottrina Mitterand" è stata abrogata da una decina d’anni, ma anche ammesso che Ablyazov vada punito per illeciti, sembra troppo elevato il rischio che, concesso alla Russia, venga poi dato "in pasto" al Kazakistan, dove potrebbe rimetterci la vita. Spagna: vietata marcia in appoggio a detenuti Eta a Bilbao, nei Paesi Baschi Ansa, 11 gennaio 2014 Il magistrato dell’Audiencia Nacional, Eloy Velasco, ha vietato oggi la manifestazione in appoggio ai detenuti dell’Eta, convocata per domani a Bilbao, nei Paesi Baschi. Velasco ha avallato la richiesta della Procura del Tribunale competente per i reati di terrorismo di impedire la manifestazione, per il sospetto che dietro la convocazione ci fosse Herrira, l’associazione sospesa lo scorso 3 ottobre per due anni dall’attività, per fiancheggiamento dell’organizzazione separatista armata Eta. Velasco ha adottato la decisione dopo che il suo collega Pablo Ruz oggi stesso aveva respinto la misura cautelare di sospensione, richiesta dalla Procura e da tre associazioni delle vittime, nel non riscontrare "a priori" nella mobilitazione gli estremi di un reato di istigazione al terrorismo. In un comunicato, gli organizzatori assicurano che, per la mobilitazione di domani, che doveva culminare alle 18,30 nel centro della città, sono attesi 300 autobus a Bilbao, "un mare" di persone a sostegno di cambio della politica penitenziaria per i detenuti dell’Eta, con "la maggiore occupazione di spazio pubblico della storia recente di Euskal Herria", il Paese Basco. La marcia era stata convocata dopo che i circa 500 detenuti dell’Eta considerati finora irriducibili, in una nota diffusa lo scorso 28 novembre hanno riconosciuto "la sofferenza e il danno multilaterale provocato" alle vittime, accettando i canali legali per ottenere eventuali benefici penitenziari e scarcerazioni individuali. Ma alla richiesta di un cambio della politica di dispersione dei membri all’Eta, il governo del Pp ha risposto picche. Stati Uniti: ex guardia corpo di Bin Laden potrà lasciare carcere Guantánamo Ansa, 11 gennaio 2014 L’ex guardia del corpo di Osama Bin Laden potrà lasciare il carcere di Guantánamo. Lo rivela il Los Angeles Times, ricordando che Mahmoud Abd Al Aziz Al Mujahid, 33enne finito a Guantánamo nel 2002 ma mai accusato formalmente, era considerato un combattente di Al Qaida "ad alto rischio" ma ora non è piu’ una "minaccia significativa" per gli Stati Uniti. La decisione sarebbe stata presa dalla commissione istituita dall’amministrazione Obama per valutare il destino dei 155 ancora detenuti nel campo di prigionia che il presidente Usa sostiene di voler chiudere. Mujahid potrà ora essere trasferito in qualunque paese intenda accettarlo, purché con le appropriate misure di sicurezza e garanzie sul fatto che riceva un trattamento umano. "Non avrebbe mai dovuto essere arrestato - ha detto il suo avvocato David Remes e ora, dopo 12 anni, dovrebbe essere riunito alla sua famiglia. Non c’è più alcuna scusa per tenerlo a Guantánamo".