Giustizia: sì della Camera a riforma custodia cautelare, più difficile il carcere preventivo La Repubblica, 10 gennaio 2014 Il provvedimento interviene per alleggerire il carico delle carceri, visto che quasi la metà dei detenuti italiani è in prigione preventiva rispetto a una condanna. Ridotte le pene per produzione e spaccio di droga di lieve entità. Stretta sull’utilizzo della custodia cautelare in carcere, tempi certi e pene ridotte per la produzione o lo spaccio di droga di lieve entità: la Camera ha detto sì (con 290 voti contro 13 voti contrari e 95 astenuti) alla legge di riforma delle misure cautelari. La parola passa ora al Senato. L’obiettivo del testo è ridurre il ricorso al carcere preventivo (e alle altre misure, come i domiciliari) anche per ridurre il carico delle carceri italiane. Al 30 aprile 2013 (si legge nell’istruttoria legislativa di Montecitorio) "su un totale di 65.917 detenuti presenti nelle 206 carceri italiane, risultavano 24.637 detenuti in custodia cautelare (37,3%) di cui 12.258 in attesa del primo giudizio (18,6%)". Carcere extrema ratio. Saltano gli attuali automatismi applicativi: la custodia cautelare potrà essere disposta soltanto quando siano inadeguate le altre misure coercitive o interdittive. Tali misure, a differenza di quanto è oggi, potranno però applicarsi cumulativamente. Carcere o arresti domiciliari off-limit, invece, quando si ritiene di concedere la condizionale o la sospensione dell’esecuzione della pena. Giro di vite su presupposti. Per giustificare il carcere e le altre misure cautelari il pericolo di fuga o di reiterazione del reato non dovrà essere soltanto concreto (come è oggi) ma anche attuale. Reati gravi e di mafia. Per i delitti di mafia e associazione terroristica resta la presunzione assoluta di idoneità della misura carceraria. Per gli altri delitti gravi (omicidio ad esempio, violenza sessuale, prostituzione minorile, sequestro di persona per estorsione, etc.) Vale invece una presunzione relativa: si applica il carcere a meno che non si dimostri che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con misure meno afflittive. Controlli rafforzati. Cambia in profondità la disciplina del riesame delle misure cautelari personali. Il tribunale del riesame avrà 30 giorni di tempo per le motivazioni a pena di perdita di efficacia della misura cautelare. Dovrà inoltre annullare l’ordinanza liberando l ‘accusato (e non come oggi integrarla) quando il giudice non abbia motivato il provvedimento cautelare o non abbia valutato autonomamente tutti gli elementi. Tempi più certi anche in sede di appello cautelare e in caso di annullamento con rinvio da parte della cassazione. Monitoraggio parlamento. Ogni anno, entro fine gennaio, il governo presenterà alle Camere una relazione arricchita da statistiche sull’applicazione delle misure cautelari personali. La relazione dovrà indicare per ogni tipologia anche l’esito dei relativi procedimenti. Pene ridotte per produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti. L’articolo 9 dimezza da 6 a 3 anni la pena della reclusione (la pena pecuniaria della multa da 3.000 a 26.000 euro resta immutata) quando il reato di produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope risulti di lieve entità, in relazione alle modalità o alle circostanze dell’azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze. Un modo per ridurre - nei casi di droga - il ricorso alla custodia cautelare. Cirielli (FdI): riforma custodia cautelare poco coraggiosa "La riforma della custodia cautelare è un fatto importante e significativo. Peccato però che non ci sia stato abbastanza coraggio per riformare davvero l’istituto della custodia cautelare". È quanto ha affermato il deputato di Fratelli d’Italia, Edmondo Cirielli, in dichiarazione di voto per il gruppo FdI sulla proposta di legge che modifica la custodia cautelare (Ac 631 e abb.). "Noi - ha aggiunto - siamo rigorosamente garantisti nella fase processuale, ma rigorosissimi nella fase dell’esecuzione della pena. Per questo registriamo con rammarico che non sono stati approvati nostri emendamenti attraverso cui si rendeva necessaria la misura cautelare in caso di flagranza di gravi reati. Rimane il principio di fondo: nessuno può essere messo in carcere solo sulla base di un pericolo. Le esigenze cautelari devono infatti basarsi sull’evidenza delle prove e su acclarate condotte. Infine un ulteriore motivo di delusione è non aver limitato al solo indagato la possibilità del ricorso contro la decisione del Tribunale del Riesame, proprio perché riconosciuto come Tribunale della libertà". Ferranti (Pd): riforma custodia cautelare buon passo avanti "Un buon passo avanti, che rafforza ulteriormente le garanzie a tutela della libertà personale". Così Donatella Ferranti, presidente della commissione Giustizia, commenta l’approvazione da parte dell’aula della Camera della riforma della custodia cautelare. "Le esigenze cautelari- sottolinea l’esponente del Pd, prima firmataria della pdl varata oggi - non devono mai essere applicate in funzione di anticipazione della pena, quello votato è un testo equilibrato, che riesce a tenere insieme da un lato il principio della carcerazione preventiva come extrema ratio e dall’altro la tutela delle vittime e la sicurezza dei cittadini nei confronti dei gravi reati". Ferranti auspica ora un passaggio veloce al Senato: "è una riforma strutturale che potrà anche incidere positivamente sul sovraffollamento carcerario, ma è soprattutto un provvedimento indispensabile per ripristinare una cultura delle cautele penali fondata sul pieno rispetto del principio costituzionale della presunzione di innocenza e sulla necessità di una valutazione, caso per caso e senza automatismi, delle misure più idonee a garantire le esigenze cautelari in attesa della sentenza", conclude Ferranti. Speranza (Pd): con nuove misure cautelari Italia vicina a standard Ue "Con il voto di oggi sulle misure cautelari si ribadisce in primo luogo un principio di civiltà giuridica: la detenzione in carcere deve essere considerata un extrema ratio, e va disposta solo quando altre misure restrittive siano ritenute inefficaci. Assicurare condizioni adeguate di detenzione e, prima ancora, un equilibrato ricorso alla leva detentiva costituisce l’essenza di uno Stato democratico". Lo afferma in una nota Roberto Speranza, presidente dei deputati del Pd. "Con il voto di oggi il Parlamento d à seguito ai molti appelli del Presidente della Repubblica, risponde alle sollecitazioni della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, avvicinando l’Italia agli standard delle moderne democrazie occidentali in tema di diritti, e premia quella cultura delle garanzie che rimane un valore intangibile per il Partito Democratico - aggiunge -. Era un dovere per un paese che si appresta alla presidenza dell’Unione Europa con il 40 % dei detenuti in attesa di giudizio, dato che supera di gran lunga la media europea" Dambruoso: riforma custodia cautelare grande sfida di civiltà "La riforma, approvata dalla Camera, della custodia cautelare in carcere, che potrà essere disposta meno facilmente di quanto non avvenga oggi, rafforza il principio della detenzione come extrema ratio e stabilisce criteri tassativi e specifici ai quali il giudice deve attenersi nel disporre la carcerazione preventiva. Valorizza le misure alternative alla detenzioni - quali ad esempio quelle interdittive - e, al contempo, evita che le esigenze cautelari possano giustificare un’illegittima anticipazione della pena. Il tema, d’altronde, non era nuovo per il nostro Parlamento; fu affrontato anche nella scorsa legislatura, con la presentazione di un apposito disegno di legge da parte del Governo Monti. Anche allora lo scopo era quello di un uso residuale delle misure cautelari detentive, a cui ricorrere solo a seguito di una verifica caso per caso oltre che della concretezza, anche dell'attualità del pericolo. Questa è una grande sfida di civiltà, intrapresa dal governo guidato dal sen. Mario Monti, a cui non possiamo sottrarci: come Scelta Civica per l'Italia sosteniamo dunque una rivoluzione culturale in questa direzione, nel rispetto delle parti lese e dell'imprescindibile tutela della sicurezza, e, per questo abbiamo convintamente votato la modifica normativa". Lo dichiara in una nota il deputato questore Stefano Dambruoso. Di Pietro: modifiche a custodia cautelare sono offesa alla Giustizia "Le modifiche apportate dalla Camera al codice di procedura penale sono un’offesa al sistema della giustizia. Il provvedimento varato, infatti, altro non è se non l’ennesima amnistia mascherata". Lo afferma in una nota il presidente dell’Italia dei Valori, Antonio Di Pietro, che aggiunge: "Al Pm viene chiesta una prova diabolica: si potrà arrestare un malvivente solo mentre sta scappando, anzi, solo dopo che questi sarà scappato. Per non parlare, poi, del fatto che si potrà ricorrere all’istituto della carcerazione preventiva solo in casi così eccezionali da risultare impossibile la loro verifica. Come si fa, ad esempio, ad avere la matematica certezza che nessun altro sistema risulterà adeguato per impedire la reiterazione del reato o l’inquinamento delle prove, dato che tale certezza, d’ora in poi, ci sarà solo dopo che il reato è stato reiterato o le prove inquinate? In pratica questa sicurezza si avrà solo quando non servirà più e la frittata sarà fatta. Insomma, siamo alle solite: con le modifiche al codice di procedura penale i criminali saranno incoraggiati a delinquere e la sicurezza dei cittadini sarà messa a rischio". "Un altro trofeo per questo governo che dimostra, giorno dopo giorno, la sua totale inadeguatezza", conclude Di Pietro. Costa (Ncd): COn emendamento finalmente luce su casi mala giustizia "Con l’approvazione dell’emendamento ispirato da Ncd alla legge sulle misure cautelari finalmente verranno alla luce tutti quei casi di malagiustizia che fino ad oggi sono stati nascosti all’opinione pubblica. Il ministro della Giustizia dovrà infatti riferire annualmente su quante persone arrestate vengono poi prosciolte o assolte". A dichiararlo è il capogruppo Ncd alla Camera, Enrico Costa. "Oggi troppo spesso - avverte - la carcerazione preventiva è utilizzata con superficialità. Sono tanti i casi di persone, rimasti fino ad oggi sotto silenzio, sottoposte a misure di custodia cautelare e poi prosciolte o assolte. Con il nostro emendamento il Governo, ogni anno, sarà chiamato a riferire su questi casi, sarà chiamato ad elencarli, sarà chiamato a specificarli e sarà comunque chiamato a verificare un preciso e puntuale adempimento a quelle che sono le regole e le norme stabilite da questo legislatore. L’approvazione dell’emendamento ispirato da Ncd è un passo in avanti che ci inorgoglisce", conclude. Giustizia: la gravità del reato non potrà condurre sempre alla detenzione di Vittorio Nuti Il Sole 24 Ore, 10 gennaio 2014 Approvata alla Camera la riforma della custodia cautelare. Ora il testo passa al Senato. E solo il primo passo, ma è comunque una buona notizia per le migliaia di detenuti italiani (11mila su 62mila) in carcere attesa del (primo) processo. I nuovi paletti per la custodia cautelare ieri, con un voto quasi unanime (290 sì, 13 no della Lega e 95 astenuti, tra cui il M5S ), hanno incassato il via libera alla Camera in prima lettura. Tra i punti qualificanti della riforma, che ora passa al Senato, criteri più stringenti per la carcerazione di imputati e indagati, che a regime rappresenterà la misura estrema, applicabile solo quando "risultino inadeguate" le altre misure coercitive e interdittive previste dall’ordinamento, come il divieto di espatrio, l’obbligo di presentazione alla Polizia, o il divieto temporaneo di esercitare l’attività. Tali misure "minori", altra novità della riforma, potranno essere applicate anche in via cumulativa; le intedittive, in particolare aumentano i termini di durata (dai due mesi attuali a 12 mesi) per migliorarne l’efficacia quale alternativa alla custodia cautelare in carcere. Un altro paletto per evitare gli abusi è sul "pericolo di fuga" o di "reiterazione del reato" dell’indagato: il rischio non dovrà solo essere concreto, così come è oggi, ma anche "attuale". Si fa più stringente anche il margine di valutazione del rischio fuga da parte del giudice: stop al carcere preventivo "automatico", basato semplicemente sulla gravità del reato, e spazio a una valutazione più articolata, che tenga conto della modalità e delle circostanze in cui il delitto ha avuto luogo, ma anche dei precedenti e del comportamento prima e dopo dell’imputato. Tra i capitoli più delicati della riforma, la regolamentazione della carcerazione preventiva a fronte di reati di mafia e terrorismo o particolarmente gravi e odiosi (violenza sessuale, prostituzione minorile). Nel primo caso resta la presunzione assoluta di idoneità della detenzione in carcere, nel secondo questa diventa relativa: si applica il carcere in ogni caso, a meno che non si dimostri che le esigenze cautelari possano essere assicurate con altre misure meno gravi. Tramontata al momento l’ipotesi di una approvazione accelerata e congiunta delle contro il sovraffollamento carcerario, magari collegando il ddl al decreto carceri, una volta trasmesso dalla Camera, sono in molti a sottolineare la portata di una riforma "storica" (Leva, Pd) e "importante" (la relatrice Rossomando, Pd), mentre la presidente della commissione Giustizia, la democratica Donatella Ferranti, ex magistrato, ricorda come le nuove norme "rafforzano ulteriormente le garanzie a tutela della libertà personale". Il capogruppo Enrico Costa mette l’accento sull’emendamento Ncd grazie al quale "verranno finalmente alla luce tutti quei casi di malagiustizia finora nascosti all’opinione pubblica". Il Guardasigilli dovrà infatti "riferire annualmente su quante persone arrestate vengono poi prosciolte o assolte". Il monitoraggio però non piace all’Anni (che nelle scorse settimane non ha nascosto le forti perplessità sul ddl, soprattutto lo stop agli automatismi reato grave-carcere), nel timore è che si traduca in un "controllo sul merito" dell’attività dei giudici. Su un altro fronte, l’Anm denuncia in audizione in commissione Giustizia il rischio che le nuove norme del Dl carceri portino "allo sfascio" gli uffici di sorveglianza, privi "di mezzi idonei" a far fronte ai nuovi compiti. Giustizia: ok Camera a riforma custodia cautelare e via libera al mini-indulto di Sara Nicoli Il Fatto Quotidiano, 10 gennaio 2014 Stop alle manette facili: ma le alternative al carcere sono troppo blande. Il sì alla Camera, 231 assenti e Cinque Stelle astenuti: "l’abbiamo migliorata". Lo hanno ribattezzato "stop alle manette facili". Ed effettivamente quello che ieri ha visto la luce alla Camera (e che ora passa al Senato per l’approvazione definitiva) è un provvedimento di revisione della custodia cautelare che renderà sempre più complicato per il giudice fermare un presunto delinquente anche davanti a imputazioni pesanti e delitti gravi. Scopo della legge, che ieri ha avuto il voto favorevole di 290 deputati (dunque sotto la soglia della maggioranza di 316, vista l’assenza di ben 231), con 13 contrari e 95 astenuti (i grillini), sarebbe quello di restituire la natura di extrema ratio alla carcerazione preventiva, rendendo più stringenti i presupposti e ampliando le misure alternative. Peccato che poi queste alternative risultino assolutamente blande, come ad esempio il divieto di esercitare una professione, il ritiro del passaporto o l’obbligo di dimora: tutto facilmente aggirabile. Però, l’emergenza carceri ha reso questo "indulto mascherato", come lo ha chiamato la Lega (che ha votato contro) una misura emergenziale, costringendo la Camera a un’approvazione rapida; il ministro Cancellieri conta, infatti, di veder approvato definitivamente il tutto entro fine febbraio. Così, tra due mesi, finire in carcere in attesa di giudizio sarà davvero difficile. Con la nuova legge salteranno gli attuali automatismi applicativi: la custodia cautelare potrà essere disposta soltanto quando siano inadeguate le altre misure coercitive o interdittive. Carcere o arresti domiciliari off-limit anche quando si riterrà di concedere la condizionale o la sospensione dell’esecuzione della pena. In più, il pericolo di fuga o di reiterazione del reato non dovranno più essere soltanto concreti (come oggi) ma anche "attuali". E il giudice non potrà più desumere il pericolo solo dalla gravità del delitto, ma ci dovranno essere elementi quali i precedenti, i comportamenti antecedenti e susseguenti dell’imputato o indagato, etc. Insomma, in carcere mai più. Fino a condanna definitiva. Inoltre, la disposizione della cautela non potrà più limitarsi a richiamare per relationem gli atti del pm, ma dovrà dare conto "con autonoma motivazione" anche delle ragioni per cui gli argomenti della difesa sono stati disattesi. In ultimo, per i delitti di mafia e associazione terroristica resta la presunzione assoluta di idoneità della misura carceraria, ma non per altri delitti gravi (omicidio, violenza sessuale, prostituzione minorile, sequestro di persona per estorsione, etc.): in questi casi si applica il carcere a meno che non si dimostri che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con misure meno afflittive (domiciliari pure per gli assassini, dunque?). Altro capitolo, poi, sui ricorsi al Riesame. Che avrà 30 giorni di tempo per le motivazioni, pena la perdita di efficacia della misura cautelare, ossia l’annullamento dell’ordinanza, con conseguente liberazione dell’accusato (oggi, invece, può integrarla). Elemento, quest’ultimo, alla base dell’astensione dei grillini sul voto finale. "In commissione - spiega Vittorio Ferraresi, M5s in commissione Giustizia - siamo riusciti a limare il provvedimento in modo da renderlo meno scandaloso di come era prima, ma abbiamo deciso comunque di astenerci perché alcuni dettagli tecnici, come l’impossibilità del giudice del riesame di integrare l’ordinanza di custodia, non ci convincevano del tutto. Se non fosse stato per questo, però, avremmo dato il nostro ok". Intanto, ieri, i 5 Stelle hanno messo a dura prova la pazienza della ministra Cancellieri sulla costruzione dei nuovi carceri. Lo "stellato" Andrea Colletti, della commissione Giustizia, ha svelato che esistono procedure secretate nell’assegnazione degli appalti del piano carceri da parte di via Arenula, contrariamente a quanto affermato fino a oggi dal ministro. Colletti ha portato ad esempio gli appalti del carcere di Arghillà (Rc) sventolando il documento firmato dalla Guardasigilli con cui è stata appunto avviata una procedura secretata. La Cancellieri non ha gradito ed è uscita dalla commissione minacciando i 5 Stelle di portarli in tribunale. Giustizia: Ucpi e Associazioni; il decreto-carceri è primo passo… c’è ancora molto lavoro di Selene Cilluffo www.today.it, 10 gennaio 2014 Il decreto Cancellieri è alla Camera e diventerà legge entro il 22 febbraio. Ecco alcune modifiche presentate dalle associazioni: "Siamo sulla buona strada ma c’è molto da lavorare". Il 23 dicembre 2013 il Presidente della Repubblica Napolitano ha emanato il decreto legge in materia di giustizia penale e carceri, con alcuni punti rilevanti e innovazioni. Nel famoso e conosciuto Decreto Cancellieri viene istituito Garante nazionale dei diritti dei detenuti, si parla di reclamo giurisdizionale da parte dei detenuti, ci sono alcune modifiche alla legge sulle droghe e nuove norme su liberazione anticipata e d’immigrazione. Entro il 22 febbraio il decreto diventerà legge e in questo momento è in discussione: il 10 gennaio la Camera approverà la riforma sulla custodia cautelare (legge Ferranti, Orlando, Rossomando), ragione per cui un terzo dei detenuti è reclusa (circa 25 mila persone) nonché una delle cause prime di sovraffollamento. Il testo obbliga a motivare e circostanziare le ragioni dell’arresto. Così finire in carcere senza una sentenza definitiva sarà più difficile. Sul provvedimento solo Lega e Movimento 5 stelle si sono detti contrari. Intanto oggi il Dipartimento di amministrazione penitenziaria (Dap) ha pubblicato i dati sulle carceri relativi al 2013: nelle 205 strutture in Italia sono 62.536 (2.694 donne), a fronte di una capienza regolamentare di 47.709 posti. 21.854 gli stranieri e 11.108 i detenuti in attesa di primo giudizio. 856 i detenuti in semilibertà. Al dibattito hanno deciso di partecipare anche le associazioni che si occupano di giustizia e di diritti umani e hanno predisposto osservazioni ed emendamenti per migliorare il testo. Tali proposte sono state presentate dal Coordinamento dei Garanti e dal Comitato Tre Leggi, che il 12 novembre 2013 ha depositato alla camera dei Deputati tre proposte di legge di iniziativa popolare con l’obiettivo di ripristinare la legalità nelle carceri e di contrastare in modo sistemico il sovraffollamento agendo anche su quelle leggi che producono carcerazione senza produrre sicurezza. Per questo tra le proposte c’è la modifica della legge Fini-Giovanardi, legge che ha modificato il Testo Unico sugli Stupefacenti. Una legge che spesso si è mostrata come causa di maggiore carcerazione e sovraffollamento: "Depenalizzare non significa eliminare ogni sanzione, ma individuare delle pene alternative come il trattamento in comunità o la messa in prova nei servizi sociali" spiega Franco Corleone Garante dei diritti dei detenuti della Regione Toscana e membro del Coordinamento Garanti territoriali. L’altra proposta che le associazioni presentano come eventuali emendamenti allo svuota carceri riguarda la figura del Garante Nazionale dei detenuti, per una sua maggiore autonomia rispetto a quella concessa dal decreto Cancellieri. "Vorremmo che il garante non solo avesse risorse che arrivano direttamente dal ministero della Giustizia per svolgere la sua attività, ma che queste fossero determinate, ritagliate e messe a disposizione del garante, evitando di passare per il capo di gabinetto del ministro" spiega Stefano Anastasia dell’associazione Antigone. Insomma tutte questioni e critiche al decreto sollevate da chi in carcere ci lavora e vive tutti i giorni. E a chi ha sollevato le polemiche riguardo la sicurezza risponde il deputato di Sel Gennaro Migliore: "Noi siamo a caccia di garantisti e alle culture giustizialiste diremo no". Siano le Camere a nominare il Garante dei diritti dei detenuti Il Garante nazionale dei detenuti deve essere nominato dal Parlamento e non dal governo. Lo chiedono il Coordinamento dei Garanti territoriali, l’Unione delle Camere Penali e diverse associazioni dei diritti dei detenuti, presentando i loro emendamenti al disegno di legge di conversione del dl svuota-carceri approvato dal Consiglio dei ministri prima di Natale e ora al vaglio della Camera. In una conferenza stampa a Montecitorio, a cui hanno preso parte i deputati di Sel Gianni Farina e Gennaro Migliore, e del Pd, Ivan Scalfarotto e Laura Coccia, Franco Corleone, Garante dei detenuti della Regione Toscana e rappresentante del coordinamento Garanti territoriali, spiega: "A maggio l’Italia dovrà dimostrare un cambiamento davanti alla Corte Europea dei diritti umani -I dati di oggi parlano di 62mila presenze in carcere con i detenuti che diminuiscano di 200 unità a settimana. Ma il problema non è solo quantitativo ma anche qualitativo, di come si svolge realmente la vita in carcere". Positivo in questo senso l’istituto del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, previsto dal decreto, di cui l’Italia dovrà dotarsi entro il 3 maggio, ricorda Corleone. Per assicurarne l’indipendenza il Coordinamento dei Garanti territoriali propone che il Collegio del Garante, composto da un presidente e da due membri, sia nominato o dal Presidente della Repubblica su proposta del Consiglio dei ministri o da un’intesa tra i presidenti di Senato e Camera. Altra questione chiave riguarda la dotazione economica a disposizione del Garante che il decreto prevede resti nell’ambito delle risorse messe a disposizione dal ministro della Giustizia. Valerio Spigarelli, presidente dell’Unione Camere Penali, ribadendo la necessità che sia il Parlamento a nominare il Garante, afferma: "Se non lo vogliamo pagare vuol dire che lo vogliamo indebolire in tutti i modi. Abbiamo tanti garanti in Italia e guadagnano tantissimo. Basterebbe chiedere a loro una piccola percentuale - aggiunge ironicamente - per evitare che sui detenuti ci si affidi al puro volontariato". "Non vorrei - ha affermato inoltre Spigarelli sul dl svuota-carceri - che interventi del genere venissero fatti con una mano sul pallottoliere dal governo, per abbassare il numero dei detenuti come difesa di fronte all’Europa, mirando a contenere i numeri ma senza abbandonare una certa idea della carcerazione". Secondo Stefano Anastasia, presidente della Società della Ragione, il decreto è "un altro piccolo passo nella direzione giusta. Chiediamo al Parlamento il coraggio che il governo non ha avuto, resistendo al populismo penale e correggendo il provvedimento. Occorre assicurare alla figura del Garante indipendenza e funzionalità con un budget dedicato alla propria attività". Fra le altre proposte emendative la previsione di una fattispecie di reato autonoma per i fatti di lieve entità legati allo spaccio di droghe, che preveda la pena della reclusione da sei mesi a tre anni, laddove il decreto la prevede da uno a cinque anni. Migliore (Sel): Garante non sia simbolico… cerchiamo garantisti "La questione del garante dei detenuti sarà oggetto, da parte nostra, di una battaglia frontale, sia sull’aspetto delle questioni di garanzia che sulle funzioni. Non può essere una figura simbolica, sarebbe stato meglio istituire a questo punto un’autorità garante, con potestà regolamentare e capacità d’intervento. Non può essere un numero di telefono sostitutivo a quello del ministro. Deve imporre delle risposte". Lo dice durante una conferenza stampa alla Camera il capogruppo Sel a Montecitorio, Gennaro Migliore. "Noi siamo a caccia di garantisti da molti anni a questa parte, abbiamo subito molti arretramenti negli anni e per questo difendo l’impianto che sulle carceri ha esposto alle Camere il presidente della Repubblica", conclude Migliore. Giustizia: Anm; bene il decreto-carceri, ma ora sono necessari più magistrati di sorveglianza Agi, 10 gennaio 2014 È "condivisibile" l’impianto del decreto svuota carceri, anche se "sono opportuni interventi per non generare in futuro incertezze o problemi applicativi". Questa la linea dell’Associazione nazionale magistrati sul dl all’esame del Parlamento. In particolare, il sindacato delle toghe chiede che venga "rafforzata" la magistratura di sorveglianza, in cui servirebbero "almeno un centinaio di unità in più", rilevando che "in materia di giustizia la maggior parte delle riforme non dovrebbe essere fatta a costo zero". "Siamo sempre stati d’accordo con il rafforzamento delle misure alternative - ha ricordato il presidente dell’Anm, Rodolfo Sabelli - e dunque siamo favorevoli all’ampliamento dell’affidamento in prova previsto nel decreto, ma si tratta di un momento serio di accompagnamento al reinserimento del detenuto nella società e dunque c’è un aggravio di responsabilità della magistratura di sorveglianza e ciò ha un suo costo". In particolare, negli uffici dei giudici di sorveglianza "non dovrebbero esserci mai vacanze di organico, siamo solo 150 - ha dichiarato Marcello Bortolato, esponente della Giunta dell’Anm - e soprattutto bisognerebbe impedire l’applicazione del personale amministrativo che lavora presso gli uffici della magistratura di sorveglianza in altri uffici, cosa che invece ora succede". Quanto ai punti specifici del decreto, il sindacato delle toghe si dice "abbastanza favorevole" alla nuova fattispecie di reato di ‘piccolo spacciò: "è una riforma opportuna - ha spiegato Sabelli - non incide poi sulla possibilità di disporre intercettazioni né sulla custodia cautelare", così come dai magistrati vi è un sostanziale ‘via liberà alla liberazione anticipata: "nella situazione di sovraffollamento delle nostre carceri - ha detto il leader dell’Anm - e sulla linea delle indicazioni della Corte di Strasburgo si giustifica questo intervento". Necessaria, secondo la magistratura associata, l’ulteriore valutazione del detenuto per accedere al beneficio: "altrimenti - ha sottolineato Sabelli - il meccanismo diventerebbe un automatismo". Qualche "perplessità" viene infine espressa dai magistrati sull’obbligatorietà, salvo diversa decisione del magistrato di sorveglianza, sul braccialetto elettronico per chi è ai domiciliari. Uffici in ginocchio con impatto "liberazione speciale" "L’impatto immediato della liberazione anticipata speciale, introdotta con il nuovo decreto, sta già mettendo in ginocchio gli Uffici di sorveglianza, come anche in relazione agli aumentati spazi giurisdizionali di intervento in materia di diritti (con l’introduzione del reclamo giurisdizionale) e alla valorizzazione della funzione monocratica del magistrato di sorveglianza". È quanto si legge nella relazione presentata oggi dai rappresentanti dell’Associazione nazionale magistrati (Anm), in audizione in commissione Giustizia alla Camera, in merito al nuovo decreto carceri e alla norma sulla liberazione anticipata speciale, già in vigore dal 23 dicembre 2013. A rappresentare l’Anm c’è il presidente Rodolfo Sabelli e il magistrato di sorveglianza Marcello Bortolato. Con la nuova norma si amplia il beneficio dell’aumento dei giorni di detenzione (da 45 a 75) per ciascun semestre di pena espiata. L’applicazione retroattiva comporta una contenuta anticipazione di una uscita che si verificherebbe comunque in tempi brevi. Non si tratta di una misura automatica perché sottoposta alla rivalutazione del giudice che deve verificare il corretto comportamento dei detenuti. Giustizia: Asgi; il decreto-carceri contiene "disparità di trattamento" di Leonardo Sartori www.ilreferendum.it, 10 gennaio 2014 Proprio mentre la conversione in legge del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 146 è in fase di esame presso le Commissioni e l’aula della Camera dei Deputati, la Asgi, Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione, presenta alcune proposte di emendamento volte a "rendere più efficace l’identificazione dello straniero detenuto e superare l’ingiustificata disparità di trattamento nell’applicazione misura alternativa alle pene detentive". Il decreto-legge recante misure urgenti in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria (comunemente conosciuto come "Decreto svuota carceri") è entrato in vigore dal 24 dicembre 2013, modificando il Testo unico Immigrazione. Tra le obiezioni presentate da ASGI, che ha denunciato in diverse occasioni le ingiustizie giuridiche in tema di immigrazione, viene evidenziato l’art. 6, D.L. 146/2013. L’articolo amplia le ipotesi di applicazione dell’espulsione a titolo di sanzione alternativa alla detenzione, disposta esclusivamente "per i delitti per i quali è stabilita la pena detentiva superiore nel massimo a due anni". Questo comporta, tra le altre cose, che l’espulsione come alternativa alla detenzione non possa essere applicata nei casi di contraffazione di documenti, di favoreggiamento all’immigrazione clandestina e di reati di reingresso illegale dello straniero espulso. Di conseguenza, uno straniero che sta scontando una pena detentiva per essere entrato illegalmente in Italia non potrà beneficiare dell’espulsione, quando allo stesso tempo rapinatori o spacciatori avranno questa possibilità. Secondo ASGI si tratta di disparità di trattamento, privo di fondamento giuridico. Un altro problema irrisolto rimane l’identificazione dello straniero detenuto. Quest’ultimo, espiata la pena ma non ancora identificato, dev’essere trattenuto in un C.I.E. (Centro di identificazione ed espulsione) per un periodo fino a 18 mesi, aggravando così la limitazione della libertà personale. Se secondo la legislazione italiana e la direttiva europea il trattenimento non può comunque eccedere i 18 mesi, ASGI chiede di emendare il decreto-legge, affinché lo straniero sprovvisto di passaporto o di documento di identificazione non identificato neppure nei 18 mesi di detenzione, non possa essere nuovamente trattenuto al fine di essere identificato, fermo restando che per assicurare la sua espulsione potrebbero essere applicate misure diverse dal trattenimento. Le proposte di emendamenti al ddl A.C. 1921 fanno seguito alle critiche già presentate da ASGI in merito a 17 stranieri detenuti illegalmente dalla tragedia dello scorso ottobre, nonché alle pratiche "inumane e degradanti" messe in atto nel Cie di Lampedusa. Giustizia: Uil-Pa Penitenziari; calano i sucidi, rimane l’allarme sovraffollamento Agi, 10 gennaio 2014 Al 31 dicembre del 2013 nelle duecento tre strutture penitenziarie italiane per adulti erano ristrette 62.536 (59.842 uomini e 2.694 donne) persone a fronte delle 65.701 (62.897 uomini e 2.804 donne) detenute alla stessa data del 2012. Oltre al calo delle presenze complessive, l’anno da poco salutato fa registrare importanti e generalizzate diminuzioni degli eventi critici più significativi. Un segnale incoraggiante che premia i sacrifici e la professionalità del personale impegnato nelle frontiere penitenziarie, ma che è anche conseguenza di scelte intelligenti operate dai vertici del Dap. "L’auspicio, - commenta Eugenio Sarno, segretario nazionale della Uilpa - è che il Governo, Cancellieri in testa, ma il Parlamento, lavorino per sostenere lo sforzo organizzativo ed innovativo posto in campo dall’Amministrazione Penitenziaria garantendo mezzi e risorse idonee". "Abbiamo aggregato i dati fornitici dal Dap e i nostri monitoraggi e li abbiamo comparati - continua Sarno - con quelli del 2012. Ne scaturisce una situazione generale che, pur in via di miglioramento, resta, per citare il Presidente Napolitano, una vergogna per un Paese come l’Italia. Il dato medio nazionale di affollamento è ancora troppo alto, attestandosi al 41,1 %. Al 31 dicembre del 2013 l’esubero di detenuti rispetto ai posti disponibili (44.305) era pari a 18.231. La regione con il più alto tasso di sovraffollamento è risultata essere la Liguria (65,4%) seguita dall’Emilia Romagna (55,1%) e dalla Puglia (52,3%). Le regioni con più detenuti: Lombardia (8.756), Campania (7.966), Lazio (6.882). Molto indicativa la situazione della Sardegna che ha circa il 20% dei posti non occupati considerata l’impossibilità di garantire personale al funzionamento dei nuovi istituti. La top five degli istituti più sovraffollati nel 2013 : Modena (151,6 %), Busto Arsizio (137,7 %), Pozzuoli (134,8%), Padova Due Palazzi (103,2%), Castelvetrano (102 %). Sommando i carceri liguri sono 1042 i posti regolari a fronte di 1723 presenze per un esubero di 681 posti, con un suicidio, 37 tentati e 371 atti di autolesionismo. Alla Spezia 144 i posti regolari all’interno della casa circondariale di Villa Andreini: le presenze accertate alla fine dello scorso anno sono 263, con un esubero di 119 unità e un suicidio accertato, 94 atti di autolesionismo, 7 tentati suicidi, e nessuna evasione e tentata evasione. La popolazione detenuta monitorata al 31 dicembre 2013 è calata, rispetto alla stessa data del 2012, di 3.165 unità. Parimenti sono in calo gli ingressi in carcere dalla libertà: nel 2013 sono stati 59.390, gli ingressi nel 2012 risultavano essere 63.020. I detenuti condannati in via definitiva al 31 dicembre del 2013 risultavano essere 38.471 (61% del totale detenuti) mentre alla stessa data del 2012 i condannati definitivi risultavano essere 38.656 ( 58,8 % del totale). I detenuti stranieri al 31 dicembre del 2013 assommavano a 21.854 (34,9 %), al 31 dicembre 2012 erano 23.492 ( 35,7 %). "Mi pare lampante come il dato dei detenuti privi di una condanna definitiva sia ancora troppo alto (39%) - sottolinea il Segretario Generale della UIL Penitenziari - e questo non può non incidere negativamente sulla credibilità del nostro sistema penale . Anche il dato degli ingressi in carcere dalla libertà (semmai per essere scarcerati solo dopo poche ore) mi pare indicativo della necessità di una correzione del sistema". Un solo istituto (Napoli Poggioreale) ha fatto registrare una presenza oltre i 2.000 detenuti; dieci le carceri con più di 1.000; 21 quelle con presenze da 500 a 999. Sono invece 73 le strutture in cui le presenze detentiva oscillano tra le 200 e le 499; 52 quelle con detenuti tra i 100 e i 199; 46 le carceri con meno di 100 detenuti. Sette sono le strutture che presentano un affollamento oltre il 100%; 56 quelle con un dato che va dal 50 al 99%; 75 quelle in cui si è registrato un affollamento tra 10 e il 50%; 47 le strutture che non fanno registrare sovraffollamento. Il 2013, però, ha fatto registrare un calo degli eventi critici più significativi (suicidi, tentati, suicidi, atti di autolesionismo e violenze in danno della polizia penitenziaria. Nel 2013 all’interno di 33 strutture penitenziarie (16,2 % ) si è registrato almeno un suicidio in cella. In 153 strutture (75,3%) si è verificato almeno un tentativo di suicidio ed in 186 strutture ( 91,6%) almeno un atto di autolesionismo. La regione con più suicidi la Campania (8); quella con un numero più alti di tentati suicidi la Toscana (161) che guida anche la classifica delle Regioni in cui si sono registrati più atti di autolesionismo (1189). Roma Rebibbia è il carcere che ha fatto registrare il maggior numero di suicidi (3). Firenze Sollicciano l’istituto in cui si è verificato il maggior numero di tentati suicidi (45), seguita da Prato /(43) e Piacenza (36). Sempre Firenze Sollicciamo guida la classifica degli istituti con il più alto numero di atti di autolesionismo ( 358), seguita da Pisa (248) e Piacenza 235. "Evidentemente va sottolineata - afferma Sarno - con interesse ed attenzione la curva in ribasso degli eventi critici. Nel 2013 i suicidi in cella sono stati 42 rispetto ai 56 del 2012 (- 33,3 %); 1062 i tentati suicidi rispetto ai 1305 del 2012 (- 10,6%); gli atti di autolesionismo sono stati 6858 rispetto ai 7260 del 2012 (-5,6%). Gli episodi che hanno riguardato aggressioni in danno di poliziotti penitenziari sono 235 (con un totale di 298 feriti). Credo che, più di ogni parola, questi numeri fanno giustizia dell’impegno quotidiano della polizia penitenziaria. Ancor più se pensiamo che nel 2013 sono state 412 le persone salvate in extremis, dalle donne e gli uomini dei baschi blu, da tentativi di suicidio in cella. Nonostante permanga, con grave colpa del Ministro Cancellieri, un gap di circa 7500 unità sugli organici decretati nel 2013 la polizia penitenziaria - rimarca Sarno - ha svolto ben 170.125 servizi di traduzione, movimentando 342.008 detenuti per un impiego complessivo di 710.727 unità di polizia penitenziaria. E questo la dice lunga sulla necessità di riorganizzazione dei circuiti penitenziari e delle assegnazioni dei detenuti nelle varie sedi. Voglio sperare che il Ministro della Giustizia legga questi dati e nomini i nuovi Dirigenti Generali da preporre quali Provveditori in Calabria, Triveneto e Liguria. Senza tali nomine, in quei territori, ogni tentativo di riorganizzazione dei circuiti e della detenzione rischia di essere una chimera ed è una responsabilità che non può non gravare direttamente sulle spalle della Guardasigilli. Forse è bene non dimenticare - chiosa con vena polemica il Segretario Generale della Uilpa Penitenziari - che nel 90% degli istituti penitenziari i detenuti sono ancora costretti a defecare negli stessi ambienti preposti a cucina e che la media pro-capite giornaliera per il vitto completo di un detenuto (colazione, pranzo e cena) si aggira sui 3,40 €". Giustizia: il M5S contesta pesantemente il ministro Cancellieri, che minaccia querele www.vocenuova.tv, 10 gennaio 2014 Si respira aria pesante in commissione Giustizia alla Camera (da quanto si apprende dal blog di Grillo). Andrea Colletti, deputato del MoVimento 5 Stelle e membro della commissione ha contestato al ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri, procedure illegali in merito all’attuazione del Decreto "svuota carceri" in quanto non solo rimetterebbe in libertà pericolosi criminali, quali mafiosi, assassini e stupratori, ma anche per la questione della costruzione di nuovi penitenziari. In particolare Colletti denuncia la secretazione di alcuni atti riguardanti gli appalti per la realizzazione delle nuove strutture. Al seguito di questa denuncia il Guardasigilli, ha reagito in modo molto aspro arrivando a minacciare querele nei confronti di coloro che avanzassero dubbi sulla legalità delle procedure da lei adottate ed affermando che non vi era nessuna procedura secretata per gli appalti. A quanto pare, però, il deputato pentastellato aveva già fatto richiesta, ottenuta dall’ ufficio di Gabinetto del ministero della Giustizia, di visionare gli atti per gli appalti e da questi emergerebbe proprio l’avvio di una procedura di secretazione per la costruzione del carcere di Arghillà (Rc). Giustizia: carceri e battaglie perse, tramonta l’amore fra Pannella e Bonino di Dimitri Buffa Il Tempo, 10 gennaio 2014 Il governo Letta sta logorando il rapporto tra i due esponenti storici dei radicali. Se Letta dovesse mettere tra i ministri "rimpastabili" Emma Bonino stavolta la voce di Marco Pannella non necessariamente si leverebbe in sua difesa. E la ragione si è scoperta domenica pomeriggio quando il leader storico radicale ha dedicato una decina di minuti piuttosto polemici al ministro degli Esteri al termine delle due ore della conversazione domenicale con Massimo Bordin a Radio radicale. Il governo Letta in pratica sta logorando il rapporto tra i due esponenti storici dei radicali: Pannella rimprovera alla Bonino lo scarso entusiasmo nella lotta per "l’amnistia per la Repubblica". Battaglia per cui "non risulta" che la ministra abbia mai detto una parola in Consiglio dei ministri. Al contrario di quanto invece hanno fatto due ministri di area certamente non radicale: Anna Maria Cancellieri e Mario Mauro. I bene informati hanno detto a Pannella che lo scarso entusiasmo della Bonino alla battaglia per l’amnistia e la sua partecipazione non particolarmente strombazzata ai media alla marcia del 25 dicembre da San Pietro a Palazzo Chigi passando per Regina Coeli sia dovuta alla circostanza che i mentori di sinistra della stessa titolare della Farnesina, nota frequentatrice dei salotti dalemiani di "Italiani Europei", le abbiano fatto sapere chiaramente che Pannella può scioperare quanto vuole ma l’amnistia non passerà mai. E che l’Europa dovrà farsene una ragione della situazione carceraria italiana. Anche a dispetto del messaggio ad hoc di Napolitano al Parlamento dello scorso 8 ottobre che i presidenti di Camera e Senato neanche si sono degnati di mettere in discussione come pure la Costituzione più bella del mondo prevedrebbe espressamente. E quindi la Bonino, che ama molto meno di Pannella le cause perse, sull’amnistia tiene un atteggiamento a dir poco defilato. Ma anche in politica estera Pannella non appare molto soddisfatto dell’operato della Bonino: da una parte le rimprovera di non avere avvertito le Ong di area radicale del convegno sull’Africa e di averlo organizzato in maniera troppo istituzionale; dall’altra di non avere proposto il Dalai Lama a nome dell’Italia per un secondo Nobel per la pace. O in alternativa la candidatura di Rebia Khader, la leader non violenta degli Uiguri. Persone considerate spine nel fianco della Cina, specie da quando hanno rinnegato l’indipendentismo e hanno chiesto che le rispettive regioni restino all’interno dello stato cinese. Dimostrando una maggiore attenzione ai diritti civili degli stessi han, cioè la popolazione dominante dell’ex celeste impero. Sono in pratica diventati sindacalisti dei diritti civili di coloro che li hanno perseguitati, di qui la richiesta di Pannella apparentemente ignorata dalla Bonino. La Bonino d’altronde essendo presa da decine di problemi diplomatici, a cominciare dalla questione dei due marò, avrebbe fatto garbatamente sapere a Pannella di non avere molto tempo in agenda per queste battaglie ideali. Piemonte: il Consiglio regionale si ostina a non voler nominare Garante detenuti di Monica Cerutti (Sinistra Ecologia Libertà) www.imgpress.it, 10 gennaio 2014 I dati che sono stati diffusi dalla Uil-Pa in merito al sovraffollamento delle carceri in Piemonte non possono di certo lasciarci indifferenti. Sono quasi 700 i detenuti in più che sono rinchiusi negli istituti di detenzioni piemontese, registrando così il 18% di sovraffollamento. La situazione più critica è a Torino dove sono 351 i detenuti in più rispetto alla capienza massima. Questi numeri sono la fotografia perfetta per raccontare lo stato di degrado nel quale sono costretti a vivere i detenuti piemontesi. Condizioni che possono essere alla base dei drammi che portano a gesti estremi di disperazione: in Piemonte due detenuti, uno a Ivrea e uno a Torino, si sono tolti la vita; 78 hanno tentato il suicidio; 437 si sono resi protagonisti di atti di autolesionismo; 53 agenti penitenziari hanno subito un’aggressione. E la maggioranza di Cota cosa fa? O meglio cosa non ha fatto. Ha preso tempo e finora non ha nominato il Garante dei detenuti in nome della razionalizzazione dei costi. Ma i risparmi non possono essere fatti sulla compressione dei diritti. Firenze: a Sollicciano 120 detenuti occupano gli spazi comuni in segno di protesta Ansa, 10 gennaio 2014 Circa 120 detenuti del carcere fiorentino di Sollicciano hanno occupato stamani un locale adibito a spazio comune. Secondo quanto appreso, a scatenare la protesta, nel corso della quale sono stati spintonati alcuni agenti di polizia penitenziaria, sarebbe stata la mancata consegna della spesa acquistata dai detenuti all’esterno. "La spesa - spiega il vicesegretario del Sappe Toscana Francesco Falchi - consente ai detenuti di acquistare carne fresca, pesce, bombolette di gas, a volte anche quello che l’amministrazione non è in grado di fornire, come il detersivo per pulire le celle". Da alcune settimane, secondo quanto denunciato dal sindacato, il sistema informatico che gestisce gli acquisti dei detenuti è andato in blocco. La protesta, durata alcune ore, è terminata dopo la promessa da parte della direzione di effettuare la consegna della spesa per la giornata di domani. "Se domani la spesa non arriverà - afferma Falchi - non so che cosa potrà accadere. La protesta di oggi non è stata una manifestazione che può dirsi pacifica, perché sono stati spintonati degli agenti. Ormai a Sollicciano si vive alla giornata". Firenze: Rifondazione; su Sollicciano istituzioni assumano responsabilità concrete www.gonews.it, 10 gennaio 2014 Interrogazione dei consiglieri Andrea Calò e Lorenzo Verdi (Rifondazione comunista) sul penitenziario di Sollicciano. Il Presidente della Regione Rossi interviene con una lettera alla stampa sulle condizioni delle carceri "dopo l’ennesima denuncia per le condizioni di sovraffollamento nel carcere di Sollicciano definite allucinanti dal Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria". Ospitati il doppio dei detenuti ma dal governo Letta "misure palliative e insufficienti. Quali le soluzioni concrete pensano di assumersi gli Enti locali per le loro competenze? La giunta provinciale cosa sta realmente facendo?". Di seguito il testo dell’interrogazione. "Il sindacato Sappe denuncia nuovamente le condizioni di sovraffollamento nel carcere di Sollicciano e dichiara che questa situazione è allucinante l’ afflusso di detenuti sembra inarrestabile e sul tema del sovraffollamento, delle condizioni sanitarie e igieniche, Secondo quanto spiegato dal sindacato di polizia penitenziaria, "la struttura, pensata per 500 detenuti, ne ospita al momento circa il doppio". Interviene con una lettera alla stampa dal titolo "A Sollicciano, tra le macerie dell’utopia carceraria" il Presidente della regione Rossi dopo una visita a Sollicciano in compagnia di Adriano Sofri e l’assessore regionale alla sanità Marroni. Una lettera che conferma lo stato di degrado delle strutture carcerarie, in primis Sollicciano dove si è svolta la visita, con una serie desiderata e di buone intenzioni che però non ci sembra si traducano in nuovi e più cogenti impegni , ma soprattutto non fa riferimento alla scarsità di risorse di tipo governativo che si pensa di mettere in campo con il Governo dalle larghe intese Un pacchetto di misure del Governo Letta, che secondo le stime del ministero potrebbe di abbassare la pressione sulle carceri di circa 3mila unità sull’intero territorio nazionale, potrà essere utilizzato per ridurre del circa il 10% dell’eccedenza di detenuti, rispetto alla capacità di accoglienza. Tradotto per quanto riguarda il carcere di Sollicciano, considerato l’eccedenza il doppio dell’attuale capienza, circa 500 unità, (il Presidente della Regione Toscana nella sua lettera dichiara 900 detenuti per la Regione Toscana), potremmo arrivare quindi a ridurre di 50 unità e far rimanere la situazione ugualmente esplosiva e inaccettabile com’è adesso per i detenuti e per chi ci lavora. Una condizione definita "disumana" ultimamente anche dal Presidente della repubblica Giorgio Napolitano. La figura del garante nazionale dei detenuti dovrà essere nominata e potrà servire ad accendere i fari sulle situazioni più disastrose nel paese ma dovrà essere una figura autorevole in materia e indipendente dal governo. Rifondazione Comunista ritiene queste misure tampone ampiamente insufficienti e invoca gli Enti locali e le Istituzioni in particolare la Provincia per le questioni strutturali e la Regione Toscana per la sicurezza e le condizioni sanitarie dei detenuti, ad aggiungere una responsabilità sociale diretta, per cercare di alleviare la situazione strutturale di sovraffollamento e riportare la situazione almeno al di sotto dei limiti dell’emergenza anche se riconosciamo che almeno 400 mila euro per i materassi sono stati trovati. Preoccupati per il protrarsi della situazione di sovraffollamento negli istituti carcerari della Provincia di Firenze e avendo già in passato avuto modo di incontrare nel contesto delle iniziative della Commissione Politiche Sociali della Provincia di Firenze alcune delle associazioni che si occupano dei temi sui detenuti, siamo a richiedere al Presidente della Provincia di Firenze e all’Assessore competente, di riferire su quanto denunciato dal Sindacato e dal Presidente della Regione Toscana sul sovraffollamento e sulle attuali condizioni igieniche e sanitarie degli istituti penitenziari; inoltre chiediamo di esprimersi attraverso le forme che Consiglio e la Giunta Provinciale riterrà opportune, circa l’esiguità e l’insufficienza delle misure governative per risolvere l’attuale situazione che si è venuta a creare a Sollicciano. Altresì chiediamo di sapere cosa di concreto sta facendo l’Amministrazione Provinciale per quanto di sua competenza e quali iniziative intende adottare per trovare soluzioni concrete e in armonia con il dettato costituzionale sul tema del diritto dei detenuti e dei lavoratori degli Istituti di pena". Napoli: detenuto malato a Poggioreale, iniziativa della madre e dei Radicali per salvarlo www.campania24news.it, 10 gennaio 2014 Vincenzo Di Sarno è detenuto nel carcere di Poggioreale. Ha da scontare una pena a 16 anni inflitta in via definitiva per un omicidio commesso al termine di una rissa. Si Sarno è gravemente malato, afflitto da diverse patologie tra cui un tumore al cervello. Dimagrito di oltre 50 chili l’uomo è stato trasferito dal padiglione Avellino al San Paolo, dove si trova nella stanza 4 del centro clinico del carcere. Sul tavolo del magistrato di sorveglianza è già stata deposta una richiesta di scarcerazione. Intanto nei suoi confronti è partita una nuova iniziativa, organizzata dalla madre, Maria Cacace, e da alcuni attivisti radicali napoletani. Proprio nel giorno in cui molti parenti di detenuti e semplici cittadini hanno aderito allo sciopero della fame contro gli omicidi di stato che si manifestano nelle carceri italiane, la radicale Carmela Esposito, insieme alla signora Cacace, ha lanciato un appello a tutti coloro a cui stanno a cuore le sorti dei detenuti. L’iniziativa, come riporta l’Espresso, "consiste nell’inviare lettere o anche semplici cartoline a Vincenzo Di Sarno, ristretto presso il carcere di Poggioreale (Padiglione San Paolo, stanza 4) esprimendogli solidarietà e vicinanza per tutto ciò che sta passando". Anche i detenuti giudicati colpevoli in via definitiva non possono vivere, in un paese civile, nelle condizioni precarie di vita come quelle che offre il penitenziario di Poggioreale. Viterbo: il Consigliere regionale Sabatini (Ncd) in visita al carcere di Mammagialla www.viterbonews24.it, 10 gennaio 2014 Visita formale ieri, ai sensi dell’art. 37 della legge 354/75, del consigliere regionale del Nuovo Centrodestra Daniele Sabatini alla casa circondariale di Viterbo, dopo i gravi episodi accaduti all’inizio di gennaio. Sabatini ha avuto un colloquio approfondito e proficuo con la direttrice del carcere Teresa Mascolo sulle criticità della struttura. "Sui recenti accadimenti, essendoci un’inchiesta interna e della Procura vige il massimo riserbo, ma dalla visita è emersa una situazione complessa per i delicati meccanismi interni. - dichiara - Intendo comunque in questa fase, stante l’esigenza di accertamenti sui fatti accaduti, esprimere apprezzamento per come è stata gestita una situazione di crisi che poteva avere risvolti ben peggiori". "Se dal punto di vista dell’affollamento ci sono buone notizie poiché il numero dei reclusi oscilla attorno alle 700 unità, quindi sensibilmente al di sotto del livello consentito di tollerabilità, sono invece insufficienti le dotazioni organiche e professionali per una sana gestione della popolazione carceraria e delle attività connesse". "Mi riferisco agli agenti di polizia penitenziaria, cui esprimo tutta la mia vicinanza, i quali nonostante siano sotto organico di almeno 150 unità hanno gestito mirabilmente la critica situazione dei giorni scorsi, ma non possono continuare a operare in un clima di grande tensione. Mi riferisco ulteriormente al personale sanitario e parasanitario diretto dal dottor Franco Lepri che, in maniera sinergica con le forze di polizia, ha operato nell’immediatezza dell’accaduto ed è stato fondamentale nella gestione dei 12 feriti, di cui 6 ancora in ospedale. Dalla direzione sanitaria del carcere è emersa poi la preoccupazione per la carenza d’organico più volte evidenziata e che necessita di una risposta, da parte del commissario Asl Luigi Macchitella e della direttrice del distretto Vt3 Antonella Proietti, a oggi ancora non pervenuta". "Con questa visita - conclude Sabatini - ho avuto modo di valutare in prima persona le situazioni di disagio all’interno dell’istituto di pena viterbese. Difficoltà operative e istanze degli agenti di polizia penitenziaria e degli operatori socio-sanitari di cui intendo farmi portavoce presso il Consiglio regionale affinché prenda posizione presso il Ministero della Giustizia, anche a fronte dell’attenzione testimoniata dalla Guardasigilli Cancellieri con la visita odierna". Foggia: Mastrulli (Coosp): aggressione e sputi da detenuti sieropositivo ad agenti www.statoquotidiano.it, 10 gennaio 2014 Sarebbe avvenuta questo pomeriggio nel carcere di Foggia un’aggressione da parte di un detenuto violento, "sieropositivo affetto da Hiv", ai danni della Polizia penitenziaria. Lo riferisce a Stato Domenico Mastrulli, segretario generale Coosp. "Il recluso - aggiunge Mastrulli - ha ripetutamente sputato contro il personale colpendo in faccia due padri di famiglia appartenenti al Corpo della Polizia Penitenziaria". "Il penitenziario di Foggia continua a mantenere una popolazione detenuta di oltre 600 reclusi, con intero reparto A.S., detenuti gravemente ammalati e sieropositivi, affetti da Hiv, come il caso in specie facili ad avventarsi contro il personale di Polizia lasciato dall’amministrazione territoriale in numero ridotto ed isolato nei compiti e nelle responsabilità di reparto". "Il detenuto violento è stato identificato in un pluripregiudicato del luogo con numerosi precedenti di aggressioni, insulti, resistenza e oltraggio a P.U.". "Dopo essere stato contenuto, nonostante lo stato aggressivo, i due poliziotti hanno dovuto fare immediatamente ricorso alle cure mediche presso la locale Infermeria del carcere che ne ha disposto l’immediato ricovero per accertamenti fisici, strumentali e biologici presso l’Ospedale Cittadino di Foggia colà accompagnati". "Un analogo grave episodio di pari violenza è già accaduto a Foggia lo scorso Giugno 2013 quando all’epoca una detenuta con le proprie urine inveì contro la Polizia femminile colpendole sul volto e sulla divisa; sull’accaduto e cu come vennero condotte le successive operazioni sanitarie e mediche delle poliziotte, il Coosp ha avviato procedure extragiudiziarie contro l’amministrazione". Pistoia: detenuto tenta il suicidio in cella e nessuno avverte la famiglia di Francesco Albonetti Il Tirreno, 10 gennaio 2014 È vivo per miracolo dopo aver tentato di uccidersi facendosi un cappio al collo nella cella di isolamento del carcere di Santa Caterina, a Pistoia, nel quale è detenuto da qualche giorno. Ora un commerciante di Pieve a Nievole - 34 anni, sposato con due figli - si trova ricoverato al reparto Obi (osservazione breve intensiva) dell’ospedale San Jacopo di Pistoia. Decisivi sono stati i soccorsi portati al detenuto, rianimato grazie al defribillatore. La vicenda ha molti aspetti da chiarire e la famiglia vuole vederci chiaro. "Oggi informerò di quanto è accaduto il presidente del tribunale di sorveglianza di Firenze - dice l’avvocato Letizia Franceschi, legale dell’uomo -. L’aspetto che ci ha fatto trasecolare è che la famiglia non sia stata avvisata di quanto era avvenuto nel carcere. La moglie è venuto a saperlo ieri mattina, quando si è recata alla casa circondariale per chiedere un colloquio. Solo in questa circostanza ha saputo che suo marito aveva tentato il suicidio impiccandosi in cella e si trovava ricoverato all’ospedale di Pistoia. Per fortuna siamo stati rassicurati dall’ospedale sulle condizioni non gravi del mio assistito, ma è evidente che la famiglia in casi del genere va subito avvisata". La legale dell’uomo, condannato nel 2011 a 3 anni e 4 mesi per reati connessi allo spaccio di droga, ha voluto subito informarsi direttamente al carcere, ma non è stato possibile ottenere notizie immediate. "Mi hanno detto che per ottenere informazioni dovrei chiedere l’autorizzazione della direzione del carcere. A quel punto mi sono fermata e ho chiesto notizie direttamente alla famiglia. Ci sono diversi punti oscuri e mi auguro che si arrivi ad un chiarimento positivo in breve tempo e che sarà lo stesso mio assistito a raccontare come sono andate le cose. Per esempio, perché l’uomo è stato messo in isolamento?". Fino a pochi giorni fa il commerciante si trovava agli arresti domiciliari. Dopo la condanna i legali avevano presentato la richiesta di scontare la pena con una misura diversa dal carcere, cioè quella di inserire il condannato in un percorso terapeutico attraverso i Sert. "La richiesta è stata respinta dal tribunale di sorveglianza di Firenze - spiega l’avvocato Franceschi - così abbiamo presentato ricorso in Cassazione, chiedendo che, in attesa di conoscere l’esito del ricorso, si potesse almeno sospendere l’ordinanza del tribunale di sorveglianza, che comporta il passaggio dagli arresti domiciliari al carcere. Non abbiamo avuto notizie in merito, ma pochi giorni fa l’uomo è stato preso e portato nel carcere di Pistoia dopo più di un anno in cui, con gli arresti domiciliari, poteva lavorare e stare con i figli e la moglie. Questo precipitare improvviso degli eventi lo ha molto provato psicologicamente e mostrava segnali di depressione: non si aspettava che il giudice del tribunale di sorveglianza avrebbe respinto la richiesta del percorso terapeutico e di finire in carcere. Sarà lui stesso quando si riprenderà a raccontarci la dinamica di quanto è avvenuto. Sono tanti gli aspetti che devono essere chiariti anche attraverso una verifica interna al carcere". L’Aquila: patto di sangue della ‘ndrangheta nel supercarcere di Sulmona di Claudio Lattanzio Il Centro, 10 gennaio 2014 Da carcere dei suicidi a carcere dei rituali della ‘ndrangheta. Proprio in questi giorni in cui nelle sale cinematografiche si sta proiettando il film sulla vita dell’ex direttrice Armida Miserere, il penitenziario di Sulmona torna agli onori della cronaca con una storia di malavita. Una storia di ‘ndrangheta e di ‘ndranghetisti. La formula: "Giura di rispettare le regole sociali; giura di rinnegare madre, padre, fratelli e sorelle; giura di esigere e transigere centesimo per centesimo e millesimo per millesimo; qualsiasi azione farai contro le regole sociali sarà a carico tuo e a discarico della società. Lo giuri?". La risposta: "Lo giuro". È una parte del complesso rituale di affiliazione alla mafia calabrese a cui venne sottoposto Gianni Cretarola, componente del gruppo che uccise un anno fa a Roma il boss Vincenzo Femia. Un rituale che è stato celebrato nel carcere di Sulmona alla presenza di altri affiliati alla ‘ndrangheta. Era il luglio del 2008 quando Cretarola, che stava scontando una condanna per omicidio commesso durante una lite nel 2001, si sottopose al cerimoniale pronunciando la formula e bevendo il sangue di un altro detenuto, anche lui appartenente alla ‘ndrangheta, che allo scopo si era ferito a un braccio. Sangue che gli avrebbe fatto "punteggio" nei successivi step mafiosi. In seguito Cretarola passò infatti dal rango di "picciotto" alla "camorra di sangue", in soli tre mesi perché aveva già ucciso. Quindi al terzo livello, quello di "sgarrista". Una cerimonia celebrata in modo informale in prigione, in attesa di uscire, "perché non si poteva bruciare sul palmo della mano il santino di San Michele Arcangelo", come prevede il rituale completo. Una storia che è emersa dopo il ritrovamento di un quadernetto nel corso di una perquisizione nell’abitazione romana di Creatrola in viale Palmiro Togliatti a Roma. Una sorta di diario segreto con le formule dei cerimoniali ‘ndranghetisti, criptate con un codice: 21 simboli al posto delle lettere dell’alfabeto, che gli inquirenti sono riusciti a decifrare. Ieri la cattura dei tre presunti complici di Cretarola nel delitto Femia, da parte della squadra mobile di Roma. Nell’ordinanza d’arresto è riproposto il percorso criminale di un ragazzo calabrese nato e cresciuto a Sanremo, che sognava di diventare ‘ndranghetista e ci riuscì. Ma dopo il primo delitto eccellente si pentì e fece arrestare i suoi compari. Gli interrogatori di Cretarola sono un florilegio del linguaggio della ‘ndrangheta, nel suo caso di un "locale", membro di una "filiale" creata a Roma. Alla cui nascita si era opposto Femia, considerato referente nella capitale del clan Nirta di San Luca, in Aspromonte, la "mamma" della mafia calabrese. Gli stessi boss che ne avrebbero poi decretato la morte. Sullo sfondo della storia, lo scontro per il traffico di droga nella capitale. Nell’ordinanza d’arresto firmata dal gip del tribunale di Roma, ci sono dei passaggi del quaderno in cui sono elencate le figure che circondano l’aspirante "picciotto" nella cerimonia riproposta nel carcere di Sulmona: il capo società, il contabile, il mastro di giornata, il capo giovane e il puntaiolo, che mette il coltello o il punteruolo su cui il candidato deve ferirsi e deve ferire. Alcuni di questi personaggi, nel caso di Sulmona, assenti perché non detenuti, sono stati rappresentati con dei fazzoletti annodati. E poi la ‘ndrangheta, mai chiamata così, per prudenza, specie in carcere, ma "pisella", "pidocchia" o "gramigna", perché come quella infesta ed è ovunque. E anche i guadagni di un soldato della ‘ndrangheta come Cretarola: due, tremila euro al mese, secondo i periodi e gli "affari". Un capitolo nuovo che ha fatto emergere uno spaccato del carcere di Sulmona finora sconosciuto. E i rituali davvero particolari ai quali gli appartenenti alla ‘ndrangheta non rinunciano nemmeno durante i periodi di detenzione. Droghe: Spigarelli (Ucpi); ok proposta di Manconi, depenalizzare consumo Ansa, 10 gennaio 2014 "La proposta Manconi si muove sulla linea giusta" e sarebbe bene se si aprisse "una riflessione laica sull’utilità delle politiche proibizionistiche, che in Italia vanno avanti da decine di anni e delle quali è dimostrata l’antieconomicità se non il vero e proprio fallimento" . È il presidente dell’Unione delle Camere Penali, Valerio Spigarelli, ad apprezzare il ddl del senatore del Pd che prevede la non punibilità della coltivazione per uso personale di marijuana e della cessione di piccoli quantitativi dei derivati della cannabis finalizzata all’immediato consumo personale, oltre al ripristino della distinzione del trattamento sanzionatorio tra droghe leggere e pesanti. E a segnalare gli effetti positivi che si avrebbero anche sulla macchina giudiziaria e più ancora sulle carceri. "Ci troviamo di fronte a un’iper repressione, a un’orgia di sanzioni. Se si reintroduce la distinzione tra droghe leggere e pesanti, se si enuclea un reato autonomo per i fatti lievi, se si depenalizzano tutte le ipotesi di consumo personale, se ne trae un vantaggio", assicura Spigarelli. Un po’ di respiro per la giustizia, visto che oggi "per fatti minimi si innescano accertamenti giudiziari lunghi e defaticanti", e soprattutto per le carceri: "il 40% dei detenuti è in cella per reati legati alla droga. E una parte rilevante di loro è costituita da piccoli trafficanti se non addirittura da consumatori-spacciatori". Positiva, per il leader dei penalisti, sarebbe anche la completa cancellazione delle sanzioni amministrative per i consumatori dei derivati della cannabis, prevista sempre dalla proposta Manconi. "Sono centinaia di migliaia le sanzioni amministrative applicate per uno spinello in tasca. Si va dalla segnalazione al prefetto alla denuncia alla procura. E per comportamenti di minimo rilievo si arriva anche alla sospensione e al ritiro del passaporto". Senza parlare dei danni che produce l’iper controllo che le forze dell’ordine esercitano sui giovani: "decine di volte ogni giorno ragazzi vengono fermati e perquisiti per strada. E atteggiamenti arbitrari da parte delle forze di polizia finiscono per alimentare nei giovani la diffidenza verso lo Stato". Cuba: italiano in carcere "da innocente", non ammesse prove che lo scagionerebbero Corriere Veneto, 10 gennaio 2014 Processo da rifare. "Devono essere accolti documenti e prove inconfutabili che il tribunale di Cuba non ha ammesso e che avrebbero scagionato Luigi Sartorio da tempo". È quanto chiedono i familiari e gli amici dell’ottico vicentino che lo scorso 30 aprile è sbarcato a Roma Fiumicino ed è stato recluso nel carcere di Rebibbia, dopo essere stato espulso, per gravi condizioni di salute, dall’isola caraibica, dove era stato arrestato nel luglio 2010 e condannato a 20 anni per corruzione di minore. "Abbiamo già inoltrato, attraverso l’avvocato, tutta la documentazione, anche quella cubana, già tradotta, al ministero della Giustizia e ai tribunali della capitale, dove Luigi è recluso, e di Venezia, competente per territorio, per ottenere la revisione del processo, l’impugnazione della sentenza di condanna, ma purtroppo abbiamo a che fare con le lungaggini burocratiche", fa sapere l’amico Fabrizio Padrin che si è battuto fin dall’inizio per dimostrare l’innocenza di Luigi Sartorio, e che continua a farlo, con determinazione. La speranza è che, in Italia, vengano prese in considerazione quelle prove - foto, titoli di viaggio e decine di testimonianze - che lo vogliono in Italia nel periodo dei fatti contestati ma che il tribunale dell’isola ha snobbato. Che si arrivi quindi a scagionare il 47enne. Ma basterebbe anche la conversione della pena prevista dalla legislazione cubana a quella italiana perché il vicentino torni libero. Il riconoscimento, da parte di un giudice, della corrispondenza del reato di corruzione di minore previsto dalla legislazione dell’isola con quello contemplato dal codice penale italiano per farlo uscire da Rebibbia, dove si trova da oltre otto mesi. Nel nostro paese sono infatti previsti fino a tre anni di carcere, e Luigi Sartorio ha già scontato complessivamente tre anni e mezzo, tra L’Avana e Roma. Il che significherebbe che per lui l’incubo potrebbe finire, che potrebbe tornare alla vita di sempre, a riabbracciare la sua compagna e il suo bimbo di quasi quattro anni che si sono trasferiti da Cuba a Vicenza, a casa dei suoi parenti, per stargli più vicino. Ma c’è sempre lo scoglio dei lunghi tempi della giustizia da superare. Che non è poco. Quando la vera esigenza è quella di svuotare le carceri, oltremodo sovraffollate. Per Luigi Sartorio respirare aria di libertà sarebbe un sogno, dopo che è stato infangato con pesanti accuse. Nonostante abbia urlato la sua innocenza, la sua estraneità ai festini a luci rosse con ragazzine, nonostante abbia portato in aula a Cuba prove in grado di scagionarlo. Anche se è caduta l’accusa di omicidio di una baby prostituta è rimasta però in piedi quella di corruzione di minore che gli è costata una condanna a 20 anni, confermata anche in secondo grado. A riportarlo in Italia le serie condizioni di salute. Una grave malattia che lo attanagliava da tempo e che l’estate è tornata a logorarlo, rendendo necessario un intervento d’urgenza. Una volta rimpatriato ha effettuato alcune visite all’ospedale Sandro Pertini della capitale: i medici lo hanno sottoposto ad un checkup completo, con cure adeguate. Per la sua famiglia una priorità visto che nell’isola non aveva ottenuto le attenzioni cliniche dovute. "Ora Luigi sta decisamente meglio, e a fine gennaio si sottoporrà a nuovi controlli", fanno sapere. Afghanistan: Karzai ordina il rilascio di 72 detenuti, ritenuti pericolosi dagli Usa La Presse, 10 gennaio 2014 Il presidente afghano Hamid Karzai ha ordinato il rilascio di 72 degli 88 detenuti considerati dagli Usa una minaccia per il Paese e per la regione. Una rivalutazione dei casi dei prigionieri da parte di ufficiali giudiziari e dell’intelligence, si apprende da una nota di Karzai, ha dimostrato che non ci sono prove nei confronti di 45 di loro, mentre per gli altri 27 le prove sono insufficienti. Per questo motivo, ha spiegato il presidente, i detenuti devono essere liberati. Per il momento non è chiaro quando avverrà il rilascio. Gli altri 16 detenuti, si legge nel comunicato, resteranno in custodia finché i loro casi non saranno valutati in maniera più approfondita. Il possibile rilascio dei detenuti è stato da tempo un punto critico nei rapporti tra l’Afghanistan e gli Usa. La settimana scorsa un gruppo di senatori statunitensi aveva incontrato Karzai a Kabul per avvertirlo che la liberazione "sarebbe un grande passo indietro" nelle relazioni bilaterali. Sempre la settimana scorsa, una commissione afghana aveva ordinato la liberazione di 650 detenuti dal carcere di Parwan. Gli Usa sostengono che ci siano "prove abbondanti" per sospettare che 88 di questi prigionieri fossero coinvolti nell’uccisione o nel ferimento di 60 soldati della coalizione internazionale e di 57 militari afghani. Washington chiede che questi 88 detenuti siano processati in Afghanistan. Gli Usa consegnarono il controllo del carcere di Parwan alle autorità afghane a marzo dell’anno scorso. Stati Uniti: inviato Mosca verificherà condizioni di detenuto russo a Guantánamo Tm News, 10 gennaio 2014 Il Commissario per i diritti umani di Mosca ha annunciato che guiderà una delegazione di parlamentari alla prigione militare Usa di Guantánamo per un incontro con il suo ultimo detenuto russo. L’inviato del ministero degli Esteri per i diritti umani Konstantin Dolgov ha detto che Washington ha dato un via libera preliminare per la data del 17 gennaio. "Procediamo in base all’idea che il lato statunitense considera il 17 gennaio la data della visita della delegazione russa" ha detto Dolgov. "La parte Usa ci ha promesso questa data, ora attendiamo informazioni sul formato organizzativo della visita". Il gruppo di Dolgov comprenderà vari senatori del Consiglio della Federazione, la Camera alta del parlamento. Secondo la stampa russa il gruppo vuole verificare le condizioni di salute di Ravil Mingazov, 46 anni, catturato in Pakistan nel 2002 detenuto a nel campo sulla costa meridionale di Cuba dall’ottobre di quell’anno. Mingazov era un ballerino classico convertito all’Islam mentre si trovava nell’esercito e poi trasferitosi in Afghanistan e Pakistan. Sarebbe stato arrestato un campo profughi nella città pakistana di Faisalabad con l’accusa di terrorismo insieme ad altre 16 persone. Mingazov è l’ultimo degli otto (almeno) prigionieri russi detenuti nella controversa base Usa. Gli altri sono stati rimpatriati nel 2004. Secondo la stampa russa Washington in precedenza era pronta a permettere l’ingresso di Dolgov nella base, senza però consentirgli di incontrare Mingazov. Dalle parole di Dolgov non è chiaro se abbia o meno l’autorizzazione a vedere il detenuto. Brasile: un detenuto ucciso in carcere ogni due giorni, 218 vittime lo scorso anno Adnkronos, 10 gennaio 2014 Almeno 218 detenuti sono stati uccisi lo scorso anno nelle carceri brasiliane, con una media pari a più di uno ogni due giorni. Lo riferisce un rapporto pubblicato oggi dal quotidiano Folha de Sao Paulo, secondo cui il 28% degli omicidi è avvenuto nel complesso penitenziario di Pedrinhas, nello stato settentrionale di Maranhao, dove nel corso del 2013, gli scontri tra gang rivali sono costati la vita a 60 detenuti. Il Folha de Sao Paulo ha anche pubblicato un breve video, registrato a Pedrinhas, in cui con un cellulare i prigionieri riprendono i corpi di altri tre detenuti decapitati durante gli scontri di dicembre. Ieri, l’Onu ha chiesto un’indagine "immediata, imparziale ed efficace" per l’ondata di violenze a Pedrinhas. L'Onu chiede di far luce sulla violenza nelle carceri (di Luca Pistone, www.atlasweb.it) L’Onu ha invitato le autorità brasiliane ad aprire un’indagine "immediata, imparziale ed efficace" sulla violenza nelle carceri dello stato di Maranhão, in seguito alla diffusione di un video che mostra l’uccisione di diversi detenuti nella prigione di Pedrinhas. "Chiediamo un’indagine immediata, imparziale ed efficace e di processare i responsabili", ha detto in settimana il portavoce dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (Unhchr), Rupert Colville. Il funzionario ha espresso "preoccupazione" per i risultati dell’ultimo rapporto del Consiglio Nazionale di Giustizia, secondo cui nel 2013 ben 59 detenuti sono morti nel complesso penitenziario di Pedrinhas in scontri tra bande rivali. Ma l’appello di Colville è andato oltre Pedrinhas, e riguarda tutte le carceri del paese, per le quali "urgono misure immediate", come "ridurre il sovraffollamento" e offrire "dignità" ai detenuti. Il paese sudamericano ha la quarta popolazione carceraria più grande al mondo, con mezzo milioni di detenuti distribuiti in spazi in grado di ospitarne 300 mila. Francia: svolta nel caso Ablyazov, sì di Parigi all’estradizione di Fabrizio Dragosei Corriere della Sera, 10 gennaio 2014 I giudici francesi ritengono che l’ex oligarca kazako ed esponente dell’opposizione Mukhtar Ablyazov debba essere estradato in Russia o in Ucraina, anche se la decisione viene criticata vivacemente dai suoi familiari e da varie organizzazioni umanitarie. Più che un dissidente, l’ex ministro e uomo d’affari viene considerato dunque il possibile ispiratore di una truffa che sarebbe costata alla sua ex banca (passata poi allo Stato kazako) circa sei miliardi di dollari. La decisione finale verrà presa dal governo di Parigi che però dovrà comunque attendere l’appello già preannunciato dagli avvocati di Ablyazov. Ieri nell’aula del tribunale di Aix-en-Provence dove si teneva l’udienza, c’era anche la moglie del banchiere, Alma Shalabayeva, che non ha nascosto la sua preoccupazione: "Per mio marito l’estradizione equivale a una condanna a morte" ha dichiarato. Il timore è che una volta arrivato in Russia o in Ucraina l’uomo venga consegnato al Kazakistan che pure ne richiede l’arresto. La Shalabayeva ha potuto recentemente lasciare il Kazakistan dove era stata espulsa dall’Italia nel maggio scorso, durante un’operazione di polizia che suscitò un putiferio politico. Non c’è dubbio che negli ultimi anni il ruolo politico di Ablyazov in Kazakistan abbia infastidito non poco il presidente Nursultan Nazarbayev che ha fatto decollare economicamente il suo Paese (lo governa dall’indipendenza del 1991) ma che non tollera alcuna reale opposizione. La vera questione sembra però essere un’altra: è vero, come dicono le autorità kazake, che Ablyazov è diventato un oppositore unicamente per "nobilitare" le sue ruberie? La fortuna del fisico cinquantenne è nata alla fine degli anni Novanta quando oltre a fondare la banca Bta divenne ministro dell’Energia del Kazakistan. Poco dopo però, ruppe con Nazarbayev, fu arrestato e poi rilasciato. Si trasferì a Mosca , continuando con successo la sua attività di banchiere, fino alla crisi dei mutui gonfiati americani del 2006 che portò alla bancarotta la Bta, con debiti per 16 miliardi di dollari. Sei miliardi, secondo le accuse, sarebbero stati trasferiti illegalmente a società estere a lui appartenenti. A quel punto il banchiere scappò in Gran Bretagna, dove gli fu concesso l’asilo politico. La Bta però gli ha intentato numerose cause davanti a giudici inglesi che in più occasioni hanno dato ragione alla banca. Così Ablyazov si è visto congelare tutti i beni esteri, mentre un giudice ha parlato in una sentenza dei "sistemi fraudolenti e disonesti orchestrati o autorizzati" da lui. L’Alta corte di Londra nel marzo scorso ha riconosciuto il diritto della Bta a riavere indietro una prima tranche di 2 miliardi. Ablyazov è stato anche accusato di aver tenuto nascosti i suoi possedimenti in Gran Bretagna, compresa una tenuta di 40 ettari vicino al castello di Windsor. Così è stato condannato a 22 mesi di carcere per "disprezzo della corte". Prima della sentenza, però, il banchiere è fuggito dalla Gran Bretagna e si è rifugiato sulla Costa Azzurra dove alla fine è stato arrestato. Anche il blitz della polizia a Roma l’anno scorso era volto a catturare lui. Non avendolo trovato, le forze dell’ordine arrestarono la moglie che nel giro di poche ore, con procedura del tutto inconsueta, venne caricata su un aereo affittato dal governo di Astana e deportata in Kazakistan con la figlia Alua. Solo dopo lunghe trattative condotte dal nostro ministero degli Esteri, la donna è stata autorizzata a tornare in Europa. Spagna: arrestati fiancheggiatori dell’Eta, "controllavano" i detenuti Ansa, 10 gennaio 2014 In Spagna un blitz contro fiancheggiatori dell’Eta riaccende le polemiche tra Madrid e i Paesi Baschi. La Guardia Civil, ieri notte a Bilbao, ha arrestato otto persone, che stavano ricostruendo il "gruppo di coordinazione". Si tratta di un’organizzazione radicale che permetterebbe all’Eta di controllare i detenuti. Il governo basco si è detto "stupito" per quest’operazione, nel momento in cui "è in atto un difficile processo di pace". Dal canto suo, il ministero dell’Interno Spagnolo lo ritiene "un ulteriore passo verso la dissoluzione definitiva" del gruppo, che nel 2011 ha annunciato di rinunciare alla lotta armata. Secondo Madrid, i fiancheggiatori sono "il braccio che permette all’Eta di sottomettere i prigionieri alla propria tirannia e impedire loro di beneficiare delle misure di reinserimento individuale previste dalla legge". Tra gli arrestati l’avvocato Arantza Zulueta, in libertà provvisoria dal 2010, considerata la rappresentante delle posizioni massimaliste dell’Eta di cui rivendica le attività terroristiche. Regno Unito: accordo con Nigeria su rimpatrio detenuti, Ong in allarme La Presse, 10 gennaio 2014 Il Regno Unito ha firmato un accordo sul rimpatrio di detenuti con il governo della Nigeria. Lo ha fatto sapere l’Alta commissione britannica, aggiungendo che i rimpatri inizieranno nei mesi prossimi. Attualmente circa 500 cittadini nigeriani sono detenuti nelle carceri del Regno Unito, mentre non è noto quanti britannici siano imprigionati in Nigeria. Il primo ministro David Cameron aveva promesso che i contribuenti britannici non avrebbero più dovuto pagare per mantenere criminali stranieri. Secondo Amnesty International, le prigioni nigeriane sono "invivibili" e spesso mancano sia cibo sia servizi sanitari di base. Un avvocato e attivista per i diritti umani, Chino Obiagwu, membro dell’Ong Ledap, ha fatto sapere che le carceri nel Paese africano sono sovraffollate, non possiedono strutture mediche e molti detenuti muoiono a causa di malattie prevenibili. Siria: l’orrore nelle prigioni di al Qaida, detenuti raccontano torture e uccisioni Ansa, 10 gennaio 2014 Torture, uccisioni indiscriminate, maltrattamenti come, se non peggio, di quelle che denunciano di aver subito per decenni dal regime di Damasco: decine di civili e ribelli siriani hanno raccontato nelle ultime ore l’orrore della loro prigionia nelle carceri di al Qaida ad Aleppo, nel nord del Paese. Da giorni i miliziani qaedisti dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isis) sono sotto attacco nelle regioni di Idlib, Aleppo, Raqqa e Dayr az Zor da parte di un inedito fronte di ribelli nazionalisti e altri islamici. Nel corso di questi scontri, alcune ‘prigioni dell’Isis sono state conquistate dagli insorti e i detenuti liberati. Secondo fonti dell’opposizione siriana, prima della recente offensiva anti al Qaida, erano circa 1.500 i prigionieri nelle carceri dell’Isis. Diverse testimonianze registrate da giornalisti locali e pubblicate su Internet riferiscono di minori torturati "con gli stessi mezzi con cui il regime aveva torturato nel febbraio 2011 alcuni ragazzini a Daraa", colpevoli di aver scritto frasi anti-regime sui muri della loro scuola e a cui erano state strappate le unghie dalle dita. Quell’episodio aveva scatenato allora la rabbia dei clan della regione meridionale dando vita a una rivolta popolare in poco tempo allargatasi anche a Homs e ad altre località siriane ostili al regime. "Gli hanno strappato le unghie una a una e lo hanno fatto confessare di aver violentato tre donne. Aveva solo 15 anni", si racconta in uno dei video apparsi nelle ultime ore. La prigione è quella di al Qaida a Qadi Askar, quartiere centro-orientale di Aleppo. Milad Shihab afferma di esser rimasto tredici giorni bendato e in isolamento in una cella stretta un metro per un metro. "Tu, cane, volevi una rivoluzione?", è la frase spesso urlata ai prigionieri sdraiati a terra e "calpestati con il tacco degli stivali militari". Una frase analoga - affermano gli attivisti - ("è questa la rivoluzione che volevi?") è usata dai miliziani del regime contro i civili arrestati. "Siamo arrivati al punto di sperare che la prigione venisse bombardata dal regime... almeno avrebbero smesso di torturarci", afferma Shihab. Altri superstiti usciti dall’inferno di Qadi Askar raccontano che molti detenuti erano ribelli dei gruppi anti-regime, tra cui appartenenti a formazioni islamiche radicali e che spesso questi prigionieri sono atti uccisi in carcere. "Li hanno uccisi brigata per brigata. Avrebbero proseguito fino a quando tutto il Paese non fosse stato sotto il loro controllo".