Giustizia: il decreto-carceri approda al Senato, la Commissione non esclude modifiche Asca, 9 febbraio 2014 Critico il Presidente della Commissione Giustizia del Senato Nitto Palma su alcune disposizioni contenute nel dl carceri, licenziato in settimana dalla Camera e che si appresta ad essere esaminato da palazzo Madama. In particolare Palma ha citato, durante i lavori, la riduzione della pena per il piccolo spaccio e la conseguente inapplicabilità della custodia cautelare in carcere; l’introduzione di una liberazione anticipata speciale, che porta da 45 a 75 giorni per semestre la detrazione di pena già prevista per la liberazione e che trova applicazione, pur richiedendo una motivazione rafforzata, anche per i reati di particolare allarme sociale. Il presidente ritiene dunque necessario un esame "approfondito" del dl da parte della commissione "con l’eventuale approvazione di proposte modificative del decreto-legge". Ha proposto quindi di organizzare i lavori in modo da concludere l’esame in commissione entro martedì e in Aula entro la prossima settimana così da garantire l’eventuale ulteriore lettura da parte della Camera entro i 60 giorni utili per la conversione. Giustizia: il decreto-carceri e ipocrisia della politica di Lorenzo Mondo La Stampa, 9 febbraio 2014 Nel dibattito sul sovraffollamento delle carceri il tasto batte per lo più sull’ignominia del trattamento inflitto ai detenuti, che viene denunciata con accenti virtuosi non esenti da una buona dose di ipocrisia. Si rammenta puntigliosamente che dobbiamo ottemperare ai richiami della Corte di Giustizia europea, non soltanto per ragioni morali ma per evitare le dure sanzioni previste. Non si riflette però sul fatto che la Corte ci impone comportamenti civili ma non la messa in libertà di migliaia di ospiti delle patrie galere. Il ministero della Giustizia e i sostenitori del decreto svuota carceri (che molti vorrebbero sostituire con un indulto) affermano con sicumera che esso non mette a rischio la sicurezza dei cittadini. Vallo a raccontare a chi si trova alle prese con una criminalità che raggiunge punte vertiginose. Stando alle sole case svaligiate, ci sono state in un anno 140.000 denunce. C’è da presumere che molti dei rilasciati, anche per la precarietà dell’offerta di lavoro, torneranno a delinquere, non curandosi di braccialetti elettronici e altri ameni espedienti dissuasivi. Si aggiunga l’incremento dei reati, sottovalutato dalle anime belle, da parte degli immigrati clandestini che, per quanto volenterosi, non sanno dove battere la testa. Ad arricchire il quadro va osservato (come ricorda il sociologo Marzio Barbagli) che buona parte dei misfatti, dai furti agli omicidi, restano impuniti. Dunque è già in atto, prima ancora di ogni provvedimento di clemenza, una selezione di persone perseguibili. La verità è che i nostri governanti sembrano rassegnati da tempo immemorabili a una colpevole, rassegnata impotenza. Lo hanno denunciato con forza i magistrati più avvertiti, in specie quelli torinesi, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario. Il rimedio, senza se e senza ma, consiste in riforme strutturali che contemplino, oltre a una giustizia più rapida ed efficace, la costruzione di nuove carceri. Una maggiore capienza, dimensionata d’altronde sulle risultanze di un Paese largamente infetto, permetterebbe di migliorare le condizioni dei detenuti. Bisognerà pure, una buona volta, uscire dall’emergenza e risolvere il problema del sovraffollamento senza aprire i cancelli delle prigioni: con delle norme premiali che prescindono tra l’altro dalla rieducazione dei detenuti. È vergognoso che si maltrattino o torturino esseri umani, ma va garantita, con ogni possibile lenimento, la certezza della pena. Insieme al rispetto di chi, per buona sorte o buon volere, si comporta onestamente. Altrimenti saremo destinati a convivere - come da chiari segni - con la legge della giungla. Giustizia: Sappe; ennesimo detenuto suicida, servono provvedimenti per le carceri italiane Ansa, 9 febbraio 2014 "La situazione resta allarmante nelle nostre carceri. Quello di ieri a Vibo Valentia è il quarto suicidio di un detenuto in un carcere italiano. Segue quelli di Prato, Roma Rebibbia e Ivrea. Alla luce degli accadimenti che stanno attraversando le dinamiche penitenziarie in questo ultimo periodo occorre rivedere il sistema dell’esecuzione penale il prima possibile, altro che vigilanza dinamica nelle galere". La notizia arriva dal Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, il primo e più rappresentativo della Categoria, per voce del leader Donato Capece. "Quella del suicidio è una notizia triste, che colpisce tutti noi che in carcere lavoriamo in prima linea, 24 ore al giorno. Ed è una sconfitta per lo Stato che a morire sia una persona in attesa di giudizio. La situazione resta grave: ma va detto che il Parlamento ignora colpevolmente il messaggio del Capo dello Stato dell’8 ottobre scorso, che chiedeva alle Camera riforme strutturali per il sistema penitenziario a fronte dell’endemica emergenza che tra l’altro determina difficili, pericolose e stressanti condizioni di lavoro per gli Agenti di Polizia Penitenziaria", tuona Capece, segretario generale Sappe. "Addirittura il Capo del Dap Tamburino, che nostro malgrado è anche Capo della Polizia Penitenziaria, ha avuto l’ardire di sostenere che l’Italia non sarà in grado di adottare entro il prossimo maggio 2014 quegli interventi chiesti dall’Unione Europea per rendere più umane le condizioni detentive in Italia…" Capece torna a sottolineare le criticità delle carceri italiane: "Nei 206 penitenziari del Paese il sovraffollamento ha raggiunto livelli patologici ma il Capo Dap Tamburino alza le mani di fronte alla sentenza Torreggiani. Il nostro organico è sotto di 7mila unità. La spending review e la legge di Stabilità hanno cancellato le assunzioni, nonostante l’età media dei poliziotti si aggira sui 37 anni. Altissima, considerato il lavoro usurante che svolgiamo". Giustizia: blitz nella notte, preso Domenico Cutrì, con l’evaso c’era l’ultimo complice Corriere della Sera, 9 febbraio 2014 Le detonazioni, la porta che salta, l’odore di cordite, l’irruzione. Alle 3.35 di domenica 9 febbraio è finita la fuga di Domenico Cutrì. L’ergastolano, scappato lunedì dal carcere di Gallarate, è stato catturato dai carabinieri in via Villoresi, a Inveruno, suo paese natale. Cutrì, 31 anni, dormiva sui cuscini di un divano nell’appartamento di una palazzina in costruzione e riconducibile a un amico, Franco Cafà. Con lui c’era l’ultimo complice, Luca Greco. Nella casa, al piano terra, che un cortile separa da altri locali e da un piccolo gabinetto, c’erano pasta, riso, farina, pane, biscotti, merendine, bottiglie d’acqua e di latte, un piccolo fornello e tabacco, tutti rifornimenti per proseguire il più possibile la latitanza. Sul pavimento erano sparsi i quotidiani con le pagine di questi giorni che hanno raccontato la caccia intensa, asfissiante, condotta dai carabinieri coordinati dalla Procura di Busto Arsizio. In azione i militari del Comando di Varese e del Ros, il Raggruppamento operativo speciale dell’Arma. Il blitz in via Villoresi è stato condotto dal Gis, il Gruppo d’intervento speciale dei carabinieri. Cutrì era armato di una pistola ma non ha nemmeno avuto il tempo di capire cose stesse accadendo che già era in manette. L’inseguimento dunque è terminato in meno di una settimana. Sono stati giorni di intuito e tattica investigativa. Tra mercoledì e giovedì erano stati fermati quattro banditi del commando, due dei quali si erano messi a cantare. Venerdì era stata la volta di Daniele Cutrì, il fratello più piccolo di Domenico (l’altro fratello, Nino, ideatore del piano, era morto nell’assalto in Tribunale, colpito dai proiettili delle guardie penitenziarie) . Sempre venerdì, era stata catturata Carlotta Di Lauro, fidanzata di Nino e mamma d’un piccolo di cinque anni, che lei s’è portata dietro nella fuga. Sabato, infine, era stato fermato il settimo uomo della banda. L’ottavo stava al fianco di Cutrì. Non montava la guardia. Dormiva. Forse nel covo di via Villoresi pensavano di essere al sicuro. Era uno dei tanti nascondigli presi in considerazione dal commando ma allo stesso tempo controllati dai carabinieri. In azione uomini delle forze speciali dell’Arma Due furgoni bianchi arrivano in via Villoresi. Il portellone si apre e scendono una quindicina di uomini incappucciati e armati con fucili mitragliatori. Il blitz dura una manciata di secondi. Tre detonazioni in sequenza aprono l’azione dei Gis, il gruppo di intervento speciale dei carabinieri. Le teste di cuoio dell’Arma, insieme a una trentina di carabinieri del Raggruppamento operativo speciale di Milano (Ros), immobilizzano il latitante Mimmo Cutrì e l’uomo che si trova con lui nel covo ricavato in un appartamento al piano terra dell’edificio in ristrutturazione di Inveruno. Cutrì e il suo vivandiere stanno ancora dormendo quando si trovano davanti i fucili dei carabinieri. Neppure si accorgono della nuvola di gas che avvolge l’appartamento. Le finestre vengono spalancate, le torce illuminano i cuscini di un divano, alcuni cartoni usati per proteggersi dal freddo delle piastrelle bianche del pavimento, i viveri accumulati al centro della stanza intorno a un fornello elettrico. Cutrì e il complice vengono caricati su un’auto civetta dei carabinieri e partono verso la caserma di Gallarate, il quartier generale degli investigatori impegnati nel blitz. L’azione dei carabinieri dura meno di cinque minuti. Alle 2,35 l’accesso a via Villoresi viene bloccato da due pattuglie con militari in divisa e armi in pugno. Gli uomini del blitz si muovono su auto civetta. Sono in totale una decina di macchine, compresi i due furgoni bianchi dei Gis. Venti minuti dopo, poco prima delle tre di domenica notte, la carovana riparte verso il comando di Gallarate. Ci sono Giovanni Sozzo, il comandante dei Ros di Milano, e i gli investigatori del comando provinciale dell’Arma di Varese guidato dal colonnello Alessandro De Angelis. Tra i militari con barbe incolte e abiti scuri c’è anche una donna. Durante tutta la serata i carabinieri si sono mossi discreti, con rapidi giri di perlustrazione della zona in auto. Nessuno s’è accorto di nulla, fino al via all’operazione di cattura. Una vicina di casa spalanca le finestre del primo piano: "Cos’è successo? È Cutrì? Oddio si nascondeva a un passo da casa mia…". Arriva anche la figlia. I carabinieri chiedono di rientrare in casa. L’operazione che ha portato alla cattura di Mimmo Cutrì si chiude senza intoppi e senza feriti. Il piano prevedeva in realtà un doppio blitz: gli inquirenti avevano individuato un altro covo, sempre nella zona del Magentino, ma la percentuale di trovare Cutrì in via Villoresi era altissima. E così è stato. L’evaso era armato (sequestrata una pistola 357) e per questo il comando generale dei carabinieri ha disposto l’invio dei Gis da Livorno. Si tratta di un corpo d’élite, di almeno un centinaio di uomini, utilizzati per azioni in scenari di guerra o che prevedono la liberazione di ostaggi. Il gruppo è stato creato nel 1978 ed è composto da militari del Primo reggimento Tuscania. L’addestramento è durissimo e prevede arti marziali e sopravvivenza in scenari estremi. Per entrare nei Gis è necessario non avere ancora compiuto 33 anni e la prima selezione, quella sulle attitudini psicofisiche, viene superata in media dal quaranta per cento dei candidati. Tra le operazioni messe a segno dalle teste di cuoio la cattura del latitante Strangio a San Luca (Rc) per il sequestro Sgarella, quella del boss di Cosa Nostra Gerlandino Messina e l’arresto di tre persone, due uomini e una donna, che il 2 novembre 2013 a Rovigo si erano asserragliati in casa minacciando di dar fuoco al palazzo. Nella tana dell’ergastolano: una pistola, del tabacco, pasta e tanti pacchi di farina Il covo è ancora caldo. Sono le tre. Il Corriere è entrato per primo nel nascondiglio. Manca soltanto la pistola, una calibro 357, sequestrata dai carabinieri. Per il resto, nell’ultima tana di Domenico Cutrì, c’è tutto. Pacchi di fusilli. Confezioni di farina. Olio per friggere. C’è un fornelletto. Ci sono bottiglie d’acqua minerale. Ci sono caffé Lavazza, olio d’oliva, tonno, bologna, salame Citterio, zucchero, pagnotte, patatine San Carlo, merendine. A occhio, considerate le due persone presenti nella tana, Cutrì e il complice, è un rifornimento che poteva bastare per almeno una decina abbondante di giorni. Ma com’è evidente dal cibo, certamente frutto di una rapida, disordinata e bulimica spesa al supermercato da parte dei fiancheggiatori, non è stata e mai sarebbe stata una latitanza dorata come certi boss della criminalità mitizzati dal cinema. L’appartamento, un trilocale in costruzione, è freddo, gronda umidità. Per dormire ci sono i cuscini d’un divano buttati sul pavimento: i cartoni stesi sopra le piastrelle evocano il letto d’un senzatetto. Non ci sono una televisione, una radio. Ovviamente. Il silenzio doveva essere assoluto. Si vedono soltanto pagine dei quotidiani. Ma sono pagine monotematiche: parlano di Cutrì e della sua banda, del fratello Nino ammazzato e della sua fidanzata Carlotta in fuga col figlioletto di cinque anni, unica donna del commando, giovane e spietata. Sono cronache di disperazione e di caccia. Di un piano folle già finito mentre nasceva. Via Villoresi, Inveruno. Un cancello d’ingresso, sopra il quale cartelli annunciano i lavori di ristrutturazione all’interno. E all’interno, ecco un ampio cortile, sulla sinistra il corpo di un complesso a un piano e di fronte due stanze divise da un gabinetto. Al primo piano del complesso, lungo una scala zeppa di cocci di vetro, altri appartamenti non terminati. Nonostante l’ora, alcuni vicini di casa, nello stabile confinante, hanno le luci accese. Li ha svegliati e spaventati il rumore sordo e potente delle deflagrazioni delle porte saltate, una dopo l’altra, con un’azione fulminea, per stanare Cutrì e altri eventuali banditi magari appostati a proteggere e difendere il capo. Però tanto non c’era nessuno. E il ponteggio che sta proprio al centro del cortile più che a una ipotetica torre d’avvistamento somiglia a una pericolante scala rimasta senza appoggio, in balìa del vento. Il covo è al piano terra. Sparsi ci sono bicchieri di plastica, una scatoletta di peperoncino, cipolle. Un carica batterie solare. E buio profondo. Voci lontane e basse, sono quelle dei vicini: da quella casa arriva il rumore di cucchiaini e tazzine. È già mattina, con largo anticipo. Ha smesso di piovere, non si vede la luna. Nel covo c’è una confezione di tabacco marca Chesterfield, ancora chiusa. Domenico Cutrì l’avrebbe aperta dopo colazione, per la prima sigaretta di giornata. Giustizia: Tamburino (Dap); cattura Cutrì senza spargimento di sangue, bravi carabinieri Adnkronos, 9 febbraio 2014 "Grande riconoscimento alla professionalità e alla dedizione che hanno mostrato le forze dell’ordine e i Carabinieri, in particolare, perché a loro va il merito di questa operazione straordinaria che si è conclusa senza spargimento di sangue e in tempi rapidi". Il capo del Dap, Giovanni Tamburino, commenta così con l’Adnkronos la cattura di Domenico Cutrì, il boss evaso dal carcere di Gallarate lunedì scorso. "La vicenda - osserva Tamburino - sottolinea come il territorio sia più sicuro di quanto alcune voci allarmistiche e talora strumentali vogliano fare credere alla popolazione. Si dispone di strumenti di sicurezza che rendono veramente difficile la vita ai criminali così come la realizzazione dei loro obiettivi. Dall’altro lato - rimarca ancora Tamburino - l’episodio dimostra anche la necessità di avere un altissimo livello di attenzione soprattutto sul piano della prevenzione". "In questo discorso - rilancia il capo del Dap - si inserisce il tema delle videoconferenze per i detenuti: anche questo episodio può avere una ricaduta positiva se si comprende che è questa la soluzione assolutamente da seguire". Il Capo Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria tiene a ricordare anche la "capacità, la professionalità e il coraggio dimostrato ancora una volta dai poliziotti penitenziari" in occasione del conflitto a fuoco avvenuto durante l’assalto che portò all’evasione del boss. Lazio: Garante detenuti; bloccato invio malati Aids in case-famiglia fuori dalla Regione Ristretti Orizzonti, 9 febbraio 2014 A partire dal mese di gennaio la Regione Lazio ha bloccato, per carenza di fondi, le autorizzazioni all’invio di pazienti malati di Aids, fra i quali anche numerosi detenuti, in Case Famiglia extra Regione. A comunicarlo, una nota dell’Istituto Nazionale di malattie infettive Lazzaro Spallanzani di Roma, Centro di coordinamento per l’ingresso nelle case famiglia della Regione, o di altre regioni, per persone affette da Aids. Su tale blocco delle autorizzazioni il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni ha inviato una lettera urgente al Presidente della Regione Nicola Zingaretti (Commissario ad acta per la Sanità), al sub Commissario Renato Botti, al coordinatore della Cabina di regia del Servizio Sanitario Regionale Alessio D’Amato e al Responsabile della Direzione regionale salute e integrazione sociosanitaria Flori De Grassi. La nota inviata dallo Spallanzani, inviata anche al Tribunale di Sorveglianza di Roma, fa specifico riferimento ad una detenuta attualmente reclusa nel carcere di Rebibbia Femminile. A seguito del blocco delle autorizzazioni al trasferimento la detenuta che doveva essere trasferita a causa delle sue condizioni di salute in Casa Famiglia in provincia di Pesaro, è invece stata trattenuta in carcere, in attesa di un posto libero in una delle Case famiglia della Regione Lazio. "Nel caso di specie - ha detto Angiolo Marroni commentando la sua iniziativa - la decisione dello "Spallanzani" di fatto interrompe per un periodo purtroppo non breve, dati i tempi di attesa delle strutture del Lazio, un percorso di salute e trattamento previsto dalle norme e la possibilità di accedere alle misure alternative. Più in generale, il numero di posti letto disponibili, in convenzione, nella nostra Regione, non riesce più a rispondere alla domanda di nuovi ingressi e se la decisione assunta dalla Regione non mutasse, le conseguenze potrebbero essere drammatiche. Per questo, visto anche che lo "Spallanzani" ha evidenziato l’assenza di comunicazione circa i tempi di risoluzione di tale problematica, ho deciso di scrivere ai vertici della Sanità regionale chiedendo di ripristinare le procedure necessarie al rilascio delle autorizzazioni all’ingresso in Casa Famiglia per i pazienti in Aids che sono in attesa di adeguata assegnazione, garantendo loro la tutela del diritto alla salute ed alle cure mediche". Veneto: Governatore Zaia; con svuota-carceri stiamo liberando degli autentici delinquenti Asca, 9 febbraio 2014 "Noi stiamo liberando degli autentici delinquenti". Così Luca Zaia, governatore del Veneto, in merito al decreto "svuota carceri". "Dobbiamo sfruttare le caserme nuove non utilizzate e costruire nuove carceri. Abbiamo caserme abbandonate e si potrebbe utilizzare anche qualche isolotto a Venezia, magari per i detenuti per pene lievi", ha concluso Zaia. Padova: 450 detenuti chiedono la "liberazione anticipata speciale", meno di 100 usciranno di Sabrina Tomè Il Mattino di Padova, 9 febbraio 2014 450 sono le istanze al Tribunale di Sorveglianza, un centinaio i detenuti con lo sconto. Bitonci: rischio sicurezza per Padova. Pirruccio: fuori solo chi non è pericoloso. Le istanze presentate da Natale ad oggi (dall’entrata in vigore del decreto al suo passaggio alla Camera) raggiungono quota 450. I detenuti padovani che stando alle previsioni possono sperare in un esito favorevole della procedura, e quindi nell’uscita di cella prima della scadenza della pena, sono meno di un centinaio; al Due Palazzi circa l’8% della popolazione. In otto settimane di operatività, le persone rilasciate nel distretto di competenza del tribunale di Sorveglianza di Venezia, sono una trentina (300 considerando tutti i tipi di scarcerazione e non solo quelli riconducibili alla liberazione anticipata speciale). Sono i primissimi, parziali dati del decreto 146 del 23 dicembre 2013 ribattezzato "svuota-carceri". Tra gli obiettivi della norma c’è quello di ridurre il sovraffollamento che caratterizza tutti gli istituti di pena italiani. Non si sottrae il Due Palazzi che conta 860 detenuti sui 700 previsti. E c’è chi lancia l’allarme sugli effetti del decreto in città. "È un mini indulto", attacca Massimo Bitonci, capogruppo della Lega in Senato, "considerando i reati che interessano Padova, il decreto mette fuori persone che si erano rese responsabili proprio di violazioni di questo tipo. E dunque l’emergenza sicurezza rischia di crescere. Il problema del sovraffollamento si risolve in altro modo: puntando sull’edilizia carceraria e sugli accordi con i Paesi stranieri. Al Due Palazzi il 50% dei detenuti non è italiano: se ci fossero le convenzioni internazionali, potrebbero scontare la pena nel loro Paese". "Macché indulto", replica Alessandro Naccarato, deputato del Pd, "Chi sostiene questo fa solo propaganda. In realtà il decreto aiuta ad avvicinarci alle normative europee. Prevede quello che è già previsto all’estero: braccialetto elettronico, sconto pena per buona condotta che passa da 45 a 75 giorni per ogni semestre di detenzione, aumento del ricorso ai domiciliari. È un decreto che aiuta a decongestionare le carceri". Lo conferma il direttore del Due Palazzi Salvatore Pirruccio che rassicura sugli effetti: "La scarcerazione riguarda innanzitutto detenuti non socialmente pericolosi e che comunque sarebbero usciti entro l’anno. In sostanza il decreto anticipa la scarcerazione di appena qualche mese. Difficile dire quanti saranno a beneficiarne, decide il magistrato di sorveglianza: potrebbero essere 50, massimo 70 circa". E prosegue: "In realtà, per risolvere il problema del sovraffollamento carcerario, che è stato aggravato dalle norme su immigrazione, tossicodipendenza e recidiva, serve una riforma strutturale che cominci dal Codice penale. Il carcere deve essere l’extrema ratio rispetto ad altre esecuzioni: è una questione di civiltà giuridica". Sulla stessa lunghezza d’onda Nicola Boscoletto, presidente della cooperativa Giotto che fa i lavori in carcere: "Il decreto carceri è positivo, ma non risolutivo. Lo diventerà soltanto quando si faranno riforme strutturali relative a scopo e ruolo del carcere. Una riforma per cui le pene saranno più tutte riconducibili al carcere. In altre parole: scontare una pena non vorrà dire necessariamente andare in cella". Pesaro: organizzata raccolta indumenti per i detenuti della Casa Circondariale www.fanoinforma.it, 9 febbraio 2014 È di "Pesaro Povera" l’iniziativa che invita i cittadini per raccogliere vestiario intimo da uomo e da donna - possibilmente nuovo o comunque in buono stato - da donare ai detenuti privi di rete parentale della Casa circondariale di Pesaro. L’associazione precisa: "Per quanto riguarda l’intimo femminile, non possono avere accesso al carcere reggiseni imbottiti o dotati di gancino in ferro. Inoltre stiamo raccogliendo buste da lettera nuove e francobolli da 70 centesimi da inviare ai detenuti per favorirne la corrispondenza con l’esterno, utile sia dal punto di vista pratico che pedagogico, considerando che a detta della gran parte dei carcerati l’esercizio della scrittura è qualcosa di liberante che permette di mantenere i contatti con l’esterno, senza isolarsi nel contesto carcerario. Infine, sono molto utili quaderni formato A5 a scacchi o righe". "Per la raccolta di indumenti intimi vi invitiamo a contattare il 380.4361937, portandoli a Casa Freedom in strada Panoramica Ardizio 232. Per la raccolta di buste, francobolli e quaderni potete imbucarli o spedirli in via Quintino Sella 19 - 61122 Pesaro". Alba (Cn): il Sindaco Marello in visita alla Casa Circondariale "Giuseppe Montalto" www.targatocn.it, 9 febbraio 2014 Durante l’incontro, il Sindaco Marello si è informato sulla capacità di accoglienza del carcere ospitante attualmente 112 detenuti su una capienza massima di 127 reclusi e sui possibili cambiamenti da gestire conseguenti alla conversione del carcere da casa circondariale a casa di reclusione Venerdì 7 febbraio il Sindaco di Alba Maurizio Marello si è recato in visita alla Casa Circondariale "Giuseppe Montalto" diventata recentemente Casa di Reclusione destinata all’accoglienza di detenuti con pene detentive definitive superiori ai cinque anni, con una nuova sezione recentemente restaurata atta ad ospitare un massimo di 34 collaboratori di giustizia che sarà inaugurata entro febbraio. Il Sindaco, accompagnato dal Comandante della Polizia Municipale Antonio Di Ciancia, è stato accolto dal Direttore del Carcere Giuseppina Piscioneri, dal Comandante della Polizia Penitenziaria Alessandro Catacchio, dai Vice Commissari Giuseppe Colombo e Ramona Orlando e dall’Educatore Sergio Pasquali. Durante l’incontro, il Sindaco Marello si è informato sulla capacità di accoglienza del carcere ospitante attualmente 112 detenuti su una capienza massima di 127 reclusi e sui possibili cambiamenti da gestire conseguenti alla conversione del carcere da casa circondariale a casa di reclusione. Sull’argomento, il Direttore e il Comandante hanno denunciato la carenza di personale necessario a gestire i futuri reparti attualmente sorvegliati da 110 agenti. Nel corso del colloquio, il Sindaco ha chiesto anche aggiornamenti sulle varie attività svolte all’interno del Carcere dove oltre alla produzione del vino "Valelapena" e del miele "Dolce bottino" si produrranno anche nocciole e si stanno restaurando alcuni locali da adibire a laboratorio di pasticceria. All’interno del carcere sono presenti anche i corsi per l’alfabetizzazione, la scuola media e due corsi professionali: uno per installatore di pannelli fotovoltaici e l’altro per operatore agricolo. C’è anche un corso di pet therapy con i cani da compagnia. Durante l’incontro il Sindaco ha dato la disponibilità dell’Amministrazione a collaborare sulle diverse esigenze della struttura come il problema sulla viabilità di accesso e uscita dall’area carceraria. "Ne riparleremo con la Provincia", ha promesso il Sindaco prima della visita al nuovo edificio destinato ai collaboratori di giustizia. Poi, Maurizio Marello ha visitato le sezioni ed incontrato i detenuti. Vasto (Ch): nessun laboratorio nella "Casa lavoro", interrogazione di Maria Amato (Pd) Il Centro, 9 febbraio 2014 "La Casa lavoro, in mancanza di attività lavorative da far svolgere agli internati, rischia di diventare un contenitore di disagio e talvolta di sofferenza psico-fisica che non riescono a trovare adeguate risposte nei servizi territoriali". Maria Amato, deputata del Pd, torna a sollevare il problema del carcere di Vasto con una interrogazione al ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri. L’istituto di pena vastese è stato trasformato da aprile dell’anno scorso in Casa lavoro, cioè in un istituto destinato a chi deve scontare misure di sicurezza e dove la riabilitazione si concretizza essenzialmente nella possibilità di attività lavorative a cui hanno accesso solo 20 internati sugli oltre 200 reclusi. "Circostanza non riscontrabile nella Casa lavoro di Vasto", attacca la Amato, "alla struttura furono destinati i circa 180 internati provenienti da Sulmona, a sua volta destinata totalmente a reclusorio di condannati del circuito differenziato. Tale cambiamento repentino non è stato né preceduto né seguito sollecitamente da una riorganizzazione delle attività lavorative destinate agli internati, che comunque nella struttura sulmonese erano impegnati in laboratori di sartoria e calzoleria. Il programmato insediamento nell’istituto vastese di una lavorazione di sartoria sta incontrando notevoli rallentamenti", prosegue la deputata del Pd, "dapprima è stata scartata l’ipotesi di adattare una parte dell’esistente magazzino, a seguito di eventuale adeguamento impiantistico; successivamente la proposta della costruzione di un nuovo manufatto da adibire originariamente a sede di laboratorio di sartoria è ancora in fase progettuale, al punto da richiedere un’apposita procedura di rinvio al successivo esercizio finanziario l’utilizzo dei fondi (circa 250mila euro) che comunque erano già disponibili nel bilancio 2013. Il nuovo progetto risulta ancora in fase di elaborazione, e nel frattempo sarebbero aumentati i relativi costi, arrivati a circa 350mila euro. E tuttavia non è ancora verosimilmente ipotizzabile una data di avvio dei lavori, mentre sono state concluse le procedure per l’acquisto dei macchinari, consegnabili entro il prossimo settembre 2014". Fatte queste premesse la parlamentare richiama "l’imprescindibile esigenza che gli internati della Casa lavoro svolgano un’attività lavorativa", e interroga il ministro della Giustizia per conoscere, con ogni possibile attendibilità, "quali siano i tempi previsti per la definitiva realizzazione del laboratorio di sartoria presso la Casa lavoro di Vasto, che permetterà finalmente l’avviamento al lavoro di un numero considerevole di internati che vi sono ristretti". Chieti: tentativo di suicidio e autolesionismo in carcere, interrogazione di Melilla (Sel) Il Centro, 9 febbraio 2014 Un tentativo di suicidio e un grave atto di autolesionismo tra i detenuti registrati nell’ultimo anno nel carcere di Chieti. L’onorevole di Sel Gianni Melilla ha presentato un’interrogazione a risposta scritta al ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri. Chiamata a prendere posizione in merito ad una situazione che, dati alla mano, si fa sempre più difficile e quasi allarmante alla luce dei gravi episodi denunciati nell’anno appena trascorso. "L’istituto penitenziario di Chieti ha un sovraffollamento della popolazione carceraria pari al 33% in quanto - afferma Melilla - presenta una capienza massima di 81 detenuti mentre quelli ospitati in concreto sono ben 111". Davvero troppi per garantire una custodia in linea con le norme minime del buon senso. Non a caso i detenuti, al pari del personale di polizia addetto al carcere, vivono situazioni quotidiane a dir poco precarie. "Nel carcere c’è un livello inaccettabile delle condizioni di vita dei detenuti. Nell’ultimo anno - ricorda l’onorevole Melilla - si è verificato un tentativo di suicidio ed è stato riscontrato un atto di grave autolesionismo tra i detenuti". Non basta. Questa situazione costringe il personale di polizia penitenziaria agli straordinari. "Con turni e condizioni di lavoro - aggiunge Melilla - pesanti". Da qui l’appello rivolto al ministro Cancellieri chiamata ad intraprendere iniziative "per riportare entro i limiti di capienza massima la popolazione carceraria dell’istituto penitenziario di Chieti". Voghera: (Pv): dopo apertura nuovo padiglione 450 detenuti, saranno doppio degli agenti La Provincia Pavese, 9 febbraio 2014 Quando il nuovo padiglione sarà al massimo della capienza, il carcere di Voghera avrà circa 450 detenuti. Più di due per ogni agente. Un rapporto considerato assolutamente insoddisfacente dai sindacati e tale da creare pericoli potenziali per la sicurezza della casa circondariale cittadina, in un contesto complessivo di difficoltà crescente per il sovraffollamento delle carceri e il numero insufficiente di agenti di custodia. Lunedì mattina la Cub (Confederazione unitaria di base pubblico impiego), terrà un presidio davanti ai cancelli di via Prati Nuovi, proprio per denunciare le carenze sempre più gravi, caratterizzate anche dalla inadeguatezza e dalla vetustà dei mezzi messi a disposizione del personale di polizia penitenziaria. "Nonostante l’impegno della direzione del carcere di Voghera - sottolineano Rocco Lamanna e Nicola Garofano - i problemi sono sempre più gravi. Le lacune nell’organico comportano un’organizzazione del lavoro tale da avere ricadute negative sullo stesso equilibrio psicofisico degli agenti. Controlli sanitari sono stati avviati, ma molto resta da fare in tema di salute e di sicurezza. Molti colleghi sono costretti a saltare ferie, riposi e affrontare turni sempre più gravosi". Cub, quindi, dice no "ai pesantissimi tagli delle risorse destinate alle carceri, che produrranno il collasso del sistema di sicurezza dei penitenziari italiani". Volterra: Marcucci (Pd); tutelare teatro di Armando Punzo e Compagnia della Fortezza Ansa, 9 febbraio 2014 "Il progetto di un teatro stabile all’interno del carcere di Volterra indica un modello da perseguire e premierebbe un’esperienza valida da tutti i punti di vista". Lo ha detto il senatore Andrea Marcucci (Pd) presidente della commissione Cultura di Palazzo Madama al termine di una visita ispettiva all’istituto penitenziario di Volterra, insieme ad una delegazione della stessa commissione composta dalle senatrici Alessia Petraglia (Sel), Rosa Maria Di Giorgi (Pd) ed Alessandra Bencini (M5S). "La proposta di Armando Punzo e della Compagnia della Fortezza - ha sottolineato il parlamentare - di creare una struttura idonea per rafforzare la formazione interna ed esterna al carcere e di avere una sala all’altezza della fama degli attori detenuti, va sostenuta, non solo per il valore culturale dell’operazione ma anche per l’indicazione concreta di un vero percorso di rieducazione. Sottoporrò il progetto al ministro Cancellieri per capire l’orientamento maturato dall’amministrazione penitenziaria", ha sottolineato Marcucci. Avellino: terminato lo stage di ortovivaista dei detenuti di Lauro www.ottopagine.net, 9 febbraio 2014 Si è concluso con grande partecipazione lo stage presso l’Azienda Vitivinicola Contea De Altavilla a termine del progetto di ortovivaista tenutosi nella Casa Circondariale di Lauro. Otto detenuti che hanno frequentato il corso accompagnati dal loro docente Cesare Limongelli, il responsabile dell’area pedagogica Michele Sellitti, il commissario Mario Covino della Polizia Penitenziaria insieme ai suo collaboratori, il magistrato di sorveglianza del Tribunale di Avellino Giovanna Spinelli, Rita Romano direttore della Casa Circondariale di Lauro e Paolo Pastena, già direttore della struttura penitenziaria di Lauro ed attuale responsabile del carcere di Avellino, hanno avuto modo di seguire il percorso di vinificazione ed apprendere le varie fasi dell’imbottigliamento dei prodotti della nota azienda di vini. "L’appuntamento che si ripete già da qualche anno - ha dichiarato Umberto Bruno titolare della società – al di là dei suoi connotati didattici, permette di far sentire che il carcere fa parte della nostra società a pieno titolo e sottolinea l’importanza ed il significato della sinergia che vede le Istituzioni, il privato sociale ed il mondo imprenditoriale collaborare nel recupero e la rieducazione dei detenuti". Firenze: ieri detenuti, oggi arbitri… la nuova vita dei reclusi minorenni dell’Ipm Redattore Sociale, 9 febbraio 2014 Gli ospiti del carcere minorile di Firenze potranno diventare direttori di gara nei tornei Aics grazie a un accordo che presto potrebbe coinvolgere altri istituti di pena minorili. Qualcuno potrebbe chiamarli piccoli delinquenti, ma loro vogliono togliersi di dosso quest’etichetta. Ecco perché da oggi lavoreranno per cambiare vita: da detenuti ad arbitri. È il riscatto degli ospiti del carcere minorile di Firenze, che potranno diventare direttori di gara nei tornei dell’ente di promozione sportiva Aics Firenze grazie a un accordo siglato tra il Centro di giustizia minorile e l’Aics, un accordo che presto potrebbe essere siglato in altre parti d’Italia. I detenuti minorenni potranno seguire corsi per arbitri per poi scendere in campo a dirigere il gioco. Proprio loro, che nei mesi scorsi sono stati giudicati, adesso saranno loro ad esprimere i propri verdetti: sul campo. I giovani reclusi potranno anche tesserarsi all’Aics e partecipare ai tornei sportivi nelle varie discipline. L’ente di promozione sportiva fornirà ai ragazzi tutte le strutture convenzionate, mentre il Centro di giustizia minorile metterà a disposizione degli operatori Aics il proprio personale per consulenze psicosociali volte all’educazione dei giovani. Tra le iniziative frutto dell’accordo siglato, anche corsi per arbitri destinati ai giovani entrati nel circuito penale. I piccoli imputati sono soprattutto marocchini, tunisini, egiziani, non mancano gli italiani. Quasi tutti hanno un difficile trascorso familiare, spesso sono stati abbandonati dai genitori. Qualcuno è al Centro di giustizia minorile in via degli Orti Oricellari, qualcun altro sconta la pena con misure alternative. "La nostra associazione dal 1963 è impegnata nello sviluppo culturale, sociale e sportivo della società - ha detto Alberto Calamandrei, presidente del comitato fiorentino Aics - Valorizzare le potenzialità creative, sportive e l’impegno sociale e civile dei minori è tra gli obiettivi fondamentali della nostra associazione. L’accordo è frutto di una collaborazione tra l’Aics e gli organi istituzionali della giustizia per dare delle risposte positive alla problematica del reinserimento". "Il protocollo - ha spiegato Giuseppe Centomani, dirigente del Centro per la Giustizia minorile per la Toscana e Umbria - rappresenta l’espressione di una volontà politica di consolidare e mantenere nel tempo rapporti di collaborazione tra due istituzioni del territorio fiorentino, anche per mantenere alta l’attenzione del contesto sociale sulle esigenze e sui bisogni e le potenzialità dei giovani dell’area disagio". Milano: Ugl Polizia Penitenziaria; domani un’iniziativa per dare voce agli "eroi silenziosi" Italpress, 9 febbraio 2014 Lunedì prossimo, alle 14.30, la nuova iniziativa della Ugl Polizia Penitenziaria denominata "L’Ugl dà voce agli eroi silenziosi - Effetti dello stress da lavoro correlato sul servizio della Polizia Penitenziaria" arriverà a Milano, presso la sala conferenze della Casa Circondariale ‘San Vittorè. "L’iniziativa - spiega il segretario nazionale dell’Ugl Polizia Penitenziaria, Giuseppe Moretti - si inserisce nell’ambito di una campagna di sensibilizzazione promossa dalla nostra Federazione nei principali istituti penitenziari con lo scopo di evidenziare le problematiche lavorative e gli aspetti socio-economici del personale di Polizia operante nelle carceri, dando voce proprio a quegli "eroi silenziosi", come li ha definiti l’ex ministro della Giustizia Paola Severino, che quotidianamente affrontano i disagi derivanti dal persistente sovraffollamento, dalla fatiscenza delle strutture detentive e dalla carenza organica. Affronteremo - aggiunge - l’annoso problema dello stress da lavoro correlato, anche alla luce dei tragici eventi registratisi negli ultimi tempi, valutandone gli aspetti più significativi sia sotto l’aspetto scientifico sia sotto il profilo tecnico-normativo". Interverranno Antonio Bisogno, Raffaello Stendardi, Vincenzo Irace, Luigi Pagano, Renata Polverini, Giovanni Tamburino, Aldo Fabozzi, Gloria Manzelli, Amerigo Fusco, Fernando Cordella, Giuseppe Cesta. Modera il dibattito Iole Falco, responsabile direzione organizzativa Ugl Polizia Penitenziaria. Modica (Rg): con il Ctp un corso breve di Beni Culturali e Fotografia per i detenuti di Giuseppe Nativo www.ondaiblea.it, 9 febbraio 2014 Formazione, cultura ma anche sensibilità. Sono questi i tre principali ingredienti su cui ruota l’attività del Centro Territoriale Permanente (Ctp) per l’istruzione e la formazione in età adulta. Istituito nel 1997, il Ctp è un organismo formativo esteso a tutti i cittadini adulti che ha come obiettivo quello di mettere a loro disposizione percorsi culturali, attività di istruzione e di orientamento per accrescere sapere e abilità. I Centri offrono anche corsi di apprendimento della lingua e dei linguaggi, corsi di sviluppo e consolidamento di competenze di base. Con il Ctp, al quale si possono iscrivere cittadini italiani e stranieri con qualunque tutolo di studio, collaborano insegnanti della formazione professionale, della scuola di stato, dei servizi territoriali. Il 1998-1999 è stato l’anno scolastico in cui i Centri hanno iniziato la loro attività su tutto il territorio nazionale ristrutturando le esperienze dei corsi di alfabetizzazione e dei corsi per lavoratori, rappresentando così il punto di riferimento per tutti gli adulti che, in qualsiasi momento e a qualunque età, sentano il bisogno di rientrare in un percorso di riconversione e di istruzione che permetta loro di migliorare la qualità della vita. Nell’ambito di tali aspettative si muove il Centro Territoriale Permanente di Modica la cui operosità si è ben inserita nel territorio ibleo attraverso la sinergica collaborazione di alcuni docenti. Ci siamo rivolti alla professoressa Mirella Spillicchi che sta tenendo, presso la Casa circondariale di Modica insieme al coordinatore del Ctp, professore Carmelo Guastella, ed al professore Antonio Puma un corso facente parte dell’offerta formativa per gli adulti del Centro Territoriale Permanente di Modica. In che cosa consiste l’iniziativa? "Quest’anno abbiamo deciso di riservare uno di questi corsi, che si tengono solitamente a scuola per gli adulti del territorio, ai detenuti (alcuni dei quali frequentano già una delle quattro classi di licenza media serale promosse dal Ctp). Il corso ha lo scopo di preparare quanti tra gli ospiti della Casa circondariale hanno deciso di frequentare alla gestione dell’attigua chiesa di S. Maria del Gesù con il suo bellissimo chiostro. Abbiamo avuto l’appoggio del nostro dirigente scolastico, professore Claudio Linguanti, e della direttrice del carcere, dott.ssa Giovanna Maltese e ad oggi, insieme a sei degli iscritti, abbiamo addirittura effettuato due visite didattiche presso l’edificio in questione. Inoltre, i detenuti, constatando la pessima manutenzione dell’edificio, si sono proposti per la pulizia dello stesso, iniziativa che è stata attuata il cinque febbraio in occasione della seconda uscita". Qual è l’obiettivo? "L’obiettivo è ora quello di far sì che il monumento, ormai chiuso ai visitatori da circa tre mesi, possa essere reso fruibile nuovamente dagli stessi detenuti che, grazie al corso, stanno acquisendo informazioni di carattere storico-artistico, fotografico e in materia di rilievo planimetrico". La professoressa Spillicchi nella sua attività formativa è coadiuvata da altro operatore culturale, il professore Salvatore Licitra, il cui compito è quello di supportarla nella elaborazione e nella raccolta delle storie che gli ospiti della Casa stanno scrivendo. A tale riguardo il professore Licitra ha fatto pervenire un contributo giornalistico redatto dai detenuti del corso breve di Beni Culturali e Fotografia della Casa Circondariale di Modica. Iniziative da valorizzare: il corso di beni culturali della Casa Circondariale di Modica A distanza di un anno che sono detenuto presso la Casa Circondariale di Modica, grazie all’azione congiunta della dott.ssa Maltese, direttrice di questa Casa, del prof. Claudio Linguanti, dirigente scolastico del Ctp di Modica e dei professori del corso breve di Beni Culturali e Fotografia è stata data la possibilità a me e ad altre sei persone di usufruire di un permesso premio per effettuare due visite didattiche presso l’adiacente chiesa e chiostro di S. Maria del Gesù. Ci è stato possibile quindi ammirare con i nostri occhi la bellezza di un edificio per noi sconosciuto nonostante la vicinanza delle due strutture. Guidati dai docenti del corso, la prof.ssa Mirella Spillicchi e il prof. Toni Puma, abbiamo appreso nei dettagli la storia della chiesa e le sue caratteristiche architettoniche, quindi abbiamo effettuato il rilievo fotografico degli elementi decorativi; contemporaneamente, in classe, gli altri corsisti sotto la guida del prof. Carmelo Guastella hanno impostato la planimetria della chiesa e riprodotto graficamente i dettagli architettonici. È superfluo dire che siamo stati talmente incantati dalla bellezza di questo luogo e, purtroppo, dal suo degrado per quanto riguarda la manutenzione, da decidere tutti insieme di voler ridare dignità all’edificio per renderlo fruibile ai visitatori facendo sparire le tracce di questa incuria (escrementi dei volatili, polvere, ragnatele). Per cui, di comune accordo con i professori ei dirigenti delle due istituzioni, abbiamo pensato di impegnarci per la sua manutenzione oltreché per la promozione, sperando di poter dare continuità a questa opera di pulizia per la quale è stata coinvolta anche la Soprintendenza per i Beni Culturali di Ragusa, che si è detta disponibile ad organizzare degli incontri con artigiani esperti in questo settore che possano guidarci nell’ azione di conservazione del decoro dell’edificio. Infine, per dare visibilità a tutta l’iniziativa, aiutati dalle istituzioni prima citate, sarebbe nostra intenzione organizzare una mostra fotografica con le foto realizzate durante le due uscite. Siamo insomma sicuri che mettendo in campo la nostra volontà e la disponibilità di coloro che hanno reso possibile la concretizzazione di questo corso, riusciremo a far "splendere il sole" all’interno di questo meraviglioso convento. Un grazie sincero da parte di tutti i corsisti del corso breve di Beni Culturali e Fotografia a quanti stanno credendo in noi e ci stanno dando questa possibilità. I detenuti del corso breve di Beni Culturali e Fotografia della Casa Circondariale di Modica. Vigevano (Pv): detenuti-attori in scena, uno spettacolo nato dai testi delle loro preghiere La Provincia Pavese, 9 febbraio 2014 Ciro, Dante, Salvatore, Silvano. E il boliviano Jorge, Ilir il rumeno, l’arabo Rachid. I primi due hanno i capelli grigi, Silvano è di mezz’età, gli altri sono ragazzi. Tutti sono detenuti al carcere dei Piccolini tra i "comuni", nella sezione che punisce i reati che vanno dallo spaccio all’omicidio. Non ne hanno per molto, sono a fine pena. Ma prima di lasciare la cella affronteranno la prova del palcoscenico al teatro Elfo-Puccini di Milano, protagonisti dello spettacolo "Terra e acqua", ideato e condotto da Mimmo Sorrentino, cinquantenne drammaturgo e regista ormai ben conosciuto al di fuori dai confini della sua città adottiva (tanto per dire: ogni sabato pomeriggio parla e legge di teatro alla trasmissione Piazza Verdi, in diretta su Radio Tre). L’esperienza del teatro tra le mura di un carcere non è una novità: la Compagnia della Fortezza di Volterra è nata 25 anni fa ed è riuscita a creare decine di spettacoli tra cui il pluripremiato "Marat-Sade". Anche i fratelli Taviani - è storia più recente, del 2012 - nel film-capolavoro "Cesare non deve morire" riprendono la messa in scena del Giulio Cesare di Shakespeare da parte dei detenuti di Rebibbia diretti dal regista teatrale Fabio Cavalli. Fra la Fortezza e i Taviani ci sono decine di storie analoghe, interessanti e coraggiose. Ma Sorrentino ha fatto di più: con il suo spettacolo - che sarà presentato a Milano la sera del 13 febbraio - è riuscito a intercettare l’intera città di Vigevano nelle sue mille sfaccettature. E in scena all’Elfo, insieme ai detenuti-attori, ci saranno esponenti del mondo del volontariato e dell’associazionismo, l’attore Stefano Chiodaroli, qualche politico, gli agenti di polizia penitenziaria, quattro studenti delle superiori - Diego Iacopini, Davide Valenti, Marianna Enea, Ennio Sorrentino - e, forse, il Vescovo monsignor Gervasoni. Quanto allo spettacolo, Sorrentino lo racconta così: "Ho detto ai detenuti: scrivete una preghiera, ma non il Padre nostro, voglio una vostra preghiera, personale. Mi è sembrato doveroso aggiungere che non sono credente. Ma penso che la preghiera sia il linguaggio più libero che l’uomo abbia mai inventato. Anche più libero della poesia che è soggetta a vincoli formali. Con la preghiera si è liberi di rivolgersi a chiunque. Liberi di chiedere ciò che si vuole. Pregare significa anche ammettere di essere incompleti, la preghiera insegna che per essere liberi è necessario riconoscersi come incompleti, bisognosi. Ed è a partire dalle loro preghiere che è nato lo spettacolo "Terra e acqua" che racconta di come il carcere, oltre a essere un luogo fisico, sia un luogo dell’anima, perché tutti abbiamo un carcere dentro di noi. Se non lo avessimo non lo avremmo potuto inventare". "Terra e acqua" è anche un’altra cosa: è lo spettacolo che i detenuti di Vigevano lasciano in eredità a chi resta in carcere. "Ciò è possibile perché abbiamo sempre scelto di lavorare con chi è in procinto di essere messo in libertà - spiega il regista. Ciro, Dante, Salvatore e gli altri che andranno in scena all’Elfo hanno ereditato lo spettacolo da un altro gruppo di detenuti che lo ha messo in scena lo scorso anno nella chiesa di San Pietro Martire a Vigevano davanti a trecento persone. E i detenuti che hanno recitato in chiesa a loro volta hanno ereditato lo spettacolo da un gruppo che lo aveva messo in scena nel luglio di due anni fa tra le mura della zona d’aria del carcere di Vigevano ". Il coinvolgimento della città è diventato parte integrante della drammaturgia: "Terra e acqua" è anche lo spettacolo di una comunità che si ritrova intorno a un lavoro costruito da detenuti. L’elenco di chi ha dato sostegno va dal Comune alla Fondazione Piacenza e Vigevano, dai volontari della protezione Civile ai giovani dell’Agesci, dall’Enaip alle Acli. E, ancora, ci sono l’Università Bicocca, il Provveditorato dell’amministrazione penitenziaria della Lombardia, la Provincia. "Quello che stiamo provando a fare è un lavoro che non mira alla costruzione di una compagnia teatrale ma che vuole consentire, a chi è in procinto di uscire dal carcere, di usare un linguaggio libero - conclude Sorrentino -. E poi ho in mente un altro progetto: mi piacerebbe che gli attori, una volta fuori, potessero rientrare in carcere da uomini liberi, a istruire altri detenuti-attori". Libri: "Giustizia e persona", di Stefano Filippi… dietro le sbarre cambiare si può di Giorgio Paolucci Avvenire, 9 febbraio 2014 In carcere, di solito, la vita cambia. In peggio. Perché si sta stretti in celle sovraffollate, perché spesso la detenzione diventa scuola di delinquenza, perché la violenza detta legge tra i detenuti.... e l’elenco potrebbe continuare. Ma nel mondo carcerario accadono fatti che vanno in direzione contraria, che lasciano filtrare una luce di positività in un universo umano abituato a vivere nel buio. A un magistrato può accadere di scoprire che le ferite di un detenuto diventano feritoie aperte sul mistero della sua esistenza. A un detenuto può accadere di incontrare chi non lo guarda a partire dal reato che ha commesso ma dalla consapevolezza che un uomo non è definito dal suo errore. "Giustizia e persona", scritto dal giornalista Stefano Filippi (Bietti Editore), documenta come la vita può cambiare in meglio anche dietro le sbarre, quando a guardarsi in faccia sono gli uomini prima dei ruoli e delle divise. Quando si intuisce che il bisogno di ciascuno è infinito, e ci si può aiutare a entrare in rapporto con questo infinito. Lo aveva colto trent’anni fa, varcando la soglia di San Vittore, una giovane insegnante momentaneamente prestata alla politica, Mirella Bocchini, consigliere comunale della Dc nella Milano che faceva i conti con la pesante eredità degli anni di piombo. Insieme ad alcuni amici fonda l’associazione Incontro e Presenza, che oggi opera con 100 volontari nelle carceri di San Vittore, Bollate e Opera a favore di detenuti, di tanti ex e delle loro famiglie. Dal racconto emerge lo spessore umano di chi si misura quotidianamente con questo mondo, facendo i conti con le sue note carenze e con tante promesse non mantenute, ma mettendoci del suo per renderlo più umano. Accade così che Santo Tucci, entrato in galera nel 1972 all’età di sedici anni e sulla cui pratica sta scritto ‘fine pena 2030’, dopo avere scatenato risse e rivolte, essere evaso più volte, avere subito svariate condanne e conosciuto i braccetti della morte dove l’unico sentimento che lo faceva sentire vivo era l’odio, riconosce che la molla del cambiamento è scattata nell’incontro con un volontario che ha riaperto la finestra dell’umano chiusa da troppo tempo. Quella finestra l’hanno aperta in tanti, grazie all’incontro con direttori di carcere e magistrati di sorveglianza illuminati, con volontari e imprenditori che li hanno aiutati a percorrere la strada del riscatto imparando un lavoro e preparandosi a tornare in una società che avevano ferito. La questione decisiva è stata non sentirsi schedati in una categoria, ma guardati come persone, comunque più grandi del reato commesso. E allora quello che molti (non senza ragione) continuano a ritenere il posto peggiore dove campare, può diventare luogo della rinascita. Non aveva torto, il buon Giambattista Vico, quando scriveva, quattro secoli fa: "Paion traversie, e invece sono opportunità". Immigrazione: richiedenti asilo; in 200 dai Cara siciliani a Palermo, per chiedere diritti Redattore Sociale, 9 febbraio 2014 L’incontro, che svolge oggi, 9 febbraio, a Palermo nell’Opera Pia Santa Lucia, è promosso dall’associazione "3 Febbraio". Abu: "Non siamo qui per essere solo assistiti, vogliamo renderci utili e darci da fare nel territorio italiano". "Abc": ovvero, "Accoglienza Benvenuto e Comune Umanità". È questo l’appello promosso dall’associazione "3 Febbraio", in collaborazione con il periodico "La Comune" e l’organizzazione umanitaria Life and Life, al quale hanno aderito oltre 350 profughi dei diversi centri di accoglienza siciliani per richiedenti asilo (Cara), al fine di sollecitare la richiesta dei permessi di soggiorno umanitari a cui hanno diritto ma anche per avere condizioni di vita diverse. Dei 200 migranti, non si sa se riusciranno a partecipare tutti poiché per l’ubicazione dei Cara, lontano dai centri urbani, la maggior parte di loro ha problemi di spostamento. Nonostante ciò, da parte di tutti i volontari e attivisti delle associazioni coinvolte ci sarà una grande mobilitazione di macchine e mezzi per riuscire, comunque, domani a garantire una buona partecipazione dei migranti. Si aspettano, con certezza, 70 persone che verranno dal Cara di Salina Grande di Trapani, 40 da Piana degli Albanesi dove sono presenti attualmente in più centri 350 migranti e 30 dalla comunità San Francesco di Palermo. Per presentare l’appello pubblico, ma soprattutto per spiegare ancora di più nel dettaglio il percorso che si sta compiendo, una rappresentanza di questi giovani stranieri, provenienti da Mali, Senegal, Gambia, Nigeria, Costa d’Avorio, Togo, Guinea Bissau, Somalia e Bangladesh, questa mattina nei locali dell’Opera Pia "Santa Lucia", ha annunciato l’importanza di costituire domani la prima assemblea regionale volta a discutere insieme su come procedere in vista di una manifestazione nazionale che si potrebbe organizzare anche a Palermo. Domani sarà presente il consigliere comunale Giovanni Lo Cascio rappresentante della commissione attività culturali e il presidente della Consulta delle Culture di Palermo. L’associazione di medicina umanitaria "Life and Life" insieme all’Opera Pia Santa Lucia metterà a disposizione gli spazi, offrendo il pranzo di domani a tutti i migranti che prenderanno parte all’assemblea. "Sarà un momento estremamente importante - spiega Mario Faillaci, dell’associazione "3 Febbraio" - perché questo appello non è solo un pezzo di carta, ma una base di partenza per rivendicare i diritti di questi cittadini. Stiamo da tempo girando le diverse strutture di accoglienza siciliane per capire cosa vogliono e cosa possiamo offrire loro. Ovviamente, tenendo sempre presente che si tratta di persone fuggite da guerre, fame e dittature violente, arrivate da noi dopo avere attraversato deserti e mari. Loro stessi dicono di essere felici di essere nel nostro Paese, ma non dimenticano mai chi non è riuscito a farcela. Chiedono, quindi, diritti: quelli fondamentali che spettano a tutti, in quanto esseri umani". "Noi non vogliamo essere assistiti - scrivono in una lettera, infatti, i rifugiati di Piana degli albanesi - ma non vogliamo neanche passare il tempo come se fossimo in vacanza in albergo, in condizioni disumane, vedendo svolgersi sulla nostra pelle imbrogli e traffici di ogni tipo. Vogliamo provvedere a noi stessi e, in questo modo, pensare anche al bene del Paese in cui ci troviamo oggi. Aderire all’appello lanciato dalla "3 febbraio" significa sapere di non essere soli". "Soltanto a partire dai documenti possiamo iniziare ad avere un lavoro e pensare a sostenere le nostre famiglie nei nostri Paesi - ribadisce Abu, migrante del Mali da sei mesi a Palermo -. Non siamo venuti per essere accuditi e solo assistiti, vogliamo renderci utili e darci da fare nel territorio italiano. Per tutto questo abbiamo bisogno di raggiungere insieme ai nostri fratelli migranti e a voi italiani, soluzioni comuni anche in vista di una manifestazione pubblica". Sono "contenti di sostenere questa iniziativa per aiutare i nostri migranti a trovare le strade per regolare la loro permanenza in Italia - spiega Arif Hossain, dell’organizzazione internazionale umanitaria Life and Life. So cosa significa perché anch’io ci sono passato, essendo stato costretto a lasciare il mio Paese e riuscendo gradualmente ad integrarmi in Sicilia". "L’intento è quello di riuscire a sensibilizzare a più livelli non solo le istituzioni ma i cittadini e i giovani studenti a delle problematiche che ci riguardano da vicino - dice Chiara Bonafè della Comune -. Occorre mettere queste persone in grado di potere esercitare i propri diritti e il primo aspetto è l’informazione e la sensibilizzazione. Ci stiamo preoccupando direttamente attraverso i nostri mezzi di riuscire a farli partecipare in molti. Domani ci aspettiamo anche la partecipazione di alcuni studenti di scuole superiori perché ognuno può dare il suo contributo al confronto". "L’obiettivo è unificare le azioni e gli interventi favorendo questo momento di incontro tra migranti provenienti da più Cara - dice Valentina Picciotto, esperta dei diritti umani e attivista dell’osservatorio dei migranti della Life and life. Solo attraverso l’interazione reciproca si possono studiare insieme le strategie da mettere in atto, sollecitando l’attivazione piena della rete di aiuti sussidiari che l’Italia deve garantire". Droghe: una legge illegittima… di Stefano Anastasia e Luigi Manconi Il Manifesto, 9 febbraio 2014 "Illegale è la legge". Secco e puntuale è lo slogan, solo apparentemente contraddittorio, che ieri ha portato in piazza alcune decine di migliaia di persone, per lo più giovani e giovanissimi, contro la legge Fini-Giovanardi. Illegale è una legge approvata illegittimamente, sotto la forma di un emendamento abnorme a un decreto-legge finalizzato allo svolgimento delle Olimpiadi invernali di Torino di otto anni fa. Di questo dovrà discutere e decidere, martedì e mercoledì prossimi, la Corte costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla base di una serie di ordinanze, la prima delle quali arriva direttamente dalla Corte di cassazione. Illegittima è una legge che accomuna in un unico furore punitivo condotte e sostanze diverse, dal traffico alla semplice detenzione, dalle droghe "leggere" alle droghe "pesanti". Illegittima è una legge che determina gran parte degli ingressi in carcere e del sovraffollamento penitenziario. Illegittima è una legge che costringe migliaia di semplici consumatori di sostanze stupefacenti, palesemente riconosciuti come tali, a sottoporsi a un labirinto di controlli e sanzioni amministrative. Illegittima è una legge che impedisce ai consumatori di marijuana di sottrarsi al monopolio delle organizzazioni criminali attraverso la coltivazione per il proprio fabbisogno. Illegittima è una legge che impedisce la sperimentazione e la diffusione degli usi medici della cannabis. Come gli ultimi adepti di una religione misterica il cui fondatore e profeta è scappato via con la cassa, Carlo Giovanardi e il suo braccio destro Giovanni Serpelloni, sorprendentemente ancora a capo del Dipartimento antidroga della Presidenza del Consiglio, non hanno capito che il mondo sta cambiando e che la loro war on drugs è ormai finita, denunciata dalla Global Commission sulle politiche sulle droghe, superata dalla legislazione di molti paesi e, da ultimi, anche negli Stati Uniti che ne furono i promotori a livello internazionale. Si affermano politiche nuove, cui la Corte costituzionale può aprire le porte anche in Italia. Se la legge Fini-Giovanardi verrà dichiarata illegittima sarà più facile riaprire la discussione sul futuro delle politiche sulle droghe anche da noi. Non si tornerà in un inesistente regno della libertà, ma solo a pene più miti, a una distinzione tra le sostanze stupefacenti e a una valutazione appropriata delle singole condotte. Si tornerà, insomma, a vent’anni fa, quando un referendum popolare cancellò i tratti più repressivi della legge precedente. Un passo indietro, dunque. Per poterne fare due in un’altra direzione. Farina (Sel): la legalizzazione è un’operazione antimafia "Oggi da Roma parte la più grande operazione antimafia mai tentata. Oggi a Roma c’è richiesta di libertà personale, cura, coltivazione. Da qui, oggi, può partire un gigantesco trasferimento di risorse (8 miliardi di euro) sottratte al narcotraffico e indirizzate al reddito, al territorio, alle pensioni". Lo dichiara il capogruppo in commissione Giustizia di Sel alla Camera, Daniele Farina che partecipa alla manifestazione contro la legge Fini-Giovanardi sulle droghe. "Ad otto anni dall’ingresso di questa legge - prosegue Farina - gli effetti sono gli occhi di tutti: criminalizzazione dei consumatori di sostanze, aumento degli ingressi in carcere per reati legati agli stupefacenti, nessun serio intralcio agli affari delle narcomafie. Delle decine di migliaia di persone che oggi affollano le vie di Roma parleranno pochi giornali, ma questo non è problema, il problema semmai è se la politica tradisse questa richiesta di cambiamento". Nieri: mia adesione contro legge liberticida come Fini-Giovanardi "Ho aderito alla marcia antiproibizionista perché credo che sia urgente l’abolizione di una legge liberticida e illegale come la Fini-Giovanardi che in questi anni ha prodotto solo il sovraffollamento delle carceri e dunque molte ingiustizie". È quanto dichiara Luigi Nieri, vicesindaco di Roma Capitale. "Una legge che non è in alcun modo riuscita a contrastare il controllo della malavita di un mercato, come quello della droga, che è causa, nelle nostre città, di sanguinose guerre criminali. È arrivato il momento di mettere in discussione le politiche proibizioniste adottate sino ad oggi e di avviare nel nostro Paese una seria riflessione su come si possa combattere seriamente la criminalità organizzata. È evidente tuttavia che è ormai necessario avviare percorsi di depenalizzazione del consumo delle droghe. Il modello repressivo voluto dal centrodestra ha prodotto solo sofferenza ed errori", conclude. Pannella: contestato? a manifestazione abbracci e tanto affetto Il leader dei radicali Marco Pannella non si è sentito affatto contestato, come invece riportato su alcuni organi di informazione, durante la manifestazione contro la legge Fini-Giovanardi sulle droghe svoltasi oggi a Roma. "Ma che contestato - ha detto all’Adnkronos Pannella - ho girato per la piazza, durante la manifestazione e ho ricevuto sorrisi, baci, abbracci e tanto affetto. Erano solo quattro o cinque ‘boss’ che urlavano con il megafono come pazzi, arrabbiatissimi, per cacciarmi dalla piazza". "Voglio cogliere l’occasione invece per ringraziare tutti coloro, e sono tanti, tantissimi, - ha aggiunto ancora Pannella - che hanno dimostrato il loro affetto in maniera autentica: giovani e meno giovani che mi hanno riconosciuto ed hanno riconosciuto soprattutto le mie tante battaglie antiproibizioniste". India: i marò italiani rischiano 10 anni carcere ciascuno, non la pena di morte La Presse, 9 febbraio 2014 Per i marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone l’India chiederà l’applicazione del Sua Act, cioè della legge anti-pirateria Suppression of Unlawful Act, ma i due rischiano fino a 10 anni di carcere ciascuno e non la pena di morte. È quanto riferisce l’agenzia di stampa indiana Press Trust of India. Ieri una fonte ufficiale del ministero dell’Interno indiano, parlando a condizione dell’anonimato, aveva fatto sapere che il governo aveva deciso di non chiedere l’applicazione della pena di morte prevista dal Sua Act. Lunedì scorso, il 3 febbraio, la Corte suprema si era riunita per esaminare il ricorso dell’Italia sui marò. In quella sede, nel rinviare l’udienza al 10 febbraio, aveva dato al governo una settimana di tempo per chiarire la sua posizione sull’incriminazione e quindi l’eventuale invocazione della legge anti-pirateria contro i due fucilieri. Massimiliano Latorre e Salvatore Girone sono accusati dell’uccisione di due pescatori indiani, avvenuta al largo del Kerala a febbraio del 2012 mentre loro si trovavano a bordo della nave Enrica Lexie, ma a due anni di distanza dai fatti non c’è ancora stata alcuna incriminazione. India: caso marò; ministro Bonino indignata, no legge terrorismo anche senza pena morte Ansa, 9 febbraio 2014 "Talune anticipazioni che provengono oggi da New Delhi sull’iter giudiziario del caso dei nostri fucilieri di marina mi lasciano interdetta e indignata" ha dichiarato il ministro degli Esteri, ministro Emma Bonino. "L’eventuale richiesta di applicazione della SUA (Act, la legge antiterrorismo indiana, anche nella parte che non obbliga a chiedere la condanna a morte, ndr) quale base di imputazione per i due marò, laddove dovesse essere confermata, - prosegue il capo della Diplomazia italiana - sarà contestata in aula dalla difesa italiana nella maniera più ferma". "Il Governo ritiene sconcertante tale riferimento e farà valere con forza e determinazione in tutte le sedi possibili l’assoluta e inammissibile incongruenza di tale impostazione anche rispetto alle indicazioni a suo tempo fornite dalla stessa Corte Suprema indiana". Il nostro impegno di riportare a casa Massimiliano Latorre e Salvatore Girone - ha concluso la titolare della Farnesina - è più forte che mai. Il riferimento di Bonino è alle indiscrezioni riportate dalla stampa indiana in base alle quali per salvare i rapporti diplomatici con l’Italia, il governo indiano è pronto a invocare un capo d’imputazione meno grave per i due marò italiani detenuti per la morte di due pescatori in India. Accusa per cui nei loro confronti non sarà più invocato il passaggio della legge sulla sicurezza marittima (Sua Act) che prevede in modo obbligatorio la pena di morte in caso di omicidio. Secondo il Times of India, il governo ha ordinato alla polizia investigativa della Nia (National Indian Agency) lunedì, nell’udienza dinanzi alla Corte Suprema, di perseguire Salvatore Girone e Massimiliano Latorre in base a un passaggio del Sua Act (sezione 3 comma A) che comporta una pena massima di 10 anni (l’ipotesi circolata finora era invece di ricorrere al comma G-1 che prevede obbligatoriamente la pena di morte per chi abbia commesso un omicidio in mare). Secondo The Economic Times, i due militari potrebbero essere comunque incriminati per omicidio in base alla sezione 302 del codice penale indiano che prevede l’ergastolo e, ma solo nei casi più estremi, la pena di morte. Usa: band canadese chiede 500 mila $, per utilizzo loro musica in torture a Guantánamo www.fanpage.it, 9 febbraio 2014 Gli Skinny Puppy sono una band canadese che ha scoperto che la propria musica è stata usata per torturare i prigionieri della prigione cubana di Guantánamo e così ha mandato al Dipartimento della difesa americana una fattura di 500 mila dollari. Qualche mese fa si scoprì che il dittatore cileno Augusto Pinochet usava musica di Julio Iglesias e George Harrison, tra gli altri, per torturare i prigionieri. La musica, infatti, è spesso usata come arma di tortura, come spiegato, ad esempio, qui dal Guardian e in questo documentario di Al Jazeera. Una canzone, soprattutto metal o hard rock, suonata a volumi altissimi 24 ore su 24 metterebbe a dura prova la sanità mentale di chiunque, figurarsi di chi è costretto a vivere in una cella. Non sempre, però, si conosce il tipo di musica che si suona e quando succede, capita che il gruppo in questione possa non trovarci nulla di divertente e patriottico nell’uso della propria musica come arma di tortura. È quello che è successo ultimamente a una band di Vancouver, gli Skinny Puppy, la quale ha deciso di chiedere un compenso al Governo americano. La band, che suona industrial, infatti, ha chiesto 666 mila dollari (circa 500 mila euro) al Dipartimento della difesa americano, per aver utilizzato a propria insaputa loro canzoni contro i detenuti della prigione cubana di Guantánamo: "Abbiamo mandato una fattura per i nostri servizi musicali, considerando che sono andati oltre e hanno usato la nostra musica senza che ne fossimo messi al corrente, usandola come un’arma contro qualcuno" ha dichiarato il tastierista della band secondo quanto riporta Ctv News. La richiesta di un compenso potrebbe, però, tramutarsi in una denuncia formale nei confronti del Governo. La band si dice offesa dal fatto che la propria musica sia stata utilizzata per provocare danni ai detenuti: "Non vorrei essere costretto a subire da nessuno musica a tutto volume dalle 6 alle 12 ore senza interruzione" ha continuato il tastierista. Gli Skinny Puppy sono venuti a conoscenza del fatto dopo che un’ex guardia della prigione, nonché fan del gruppo, li ha contattati per metterli al corrente.