Giustizia: in Senato le pratiche "scottanti" del decreto sulle carceri e dell'amnistia-indulto Il Sole 24 Ore, 8 febbraio 2014 Decreto-carceri (DL 146/2013) Dopo l’ok di Montecitorio il DL è stato trasmesso al Senato dove è stato assegnato alla Commissione Giustizia per l’esame in seconda lettura. Possibili modifiche al testo approvato alla Camera sono state prospettate dal presidente di Commissione, il quale durante l’assegnazione ha svolto alcune considerazioni critiche sul provvedimento "e in particolare sulla riduzione della pena per il piccolo spaccio e la conseguente inapplicabilità della custodia cautelare in carcere; sulla introduzione di una liberazione anticipata speciale, che porta da 45 a 75 giorni per semestre - per il periodo dal 1° gennaio 2010 al 24 dicembre 2015 - la detrazione di pena già prevista per la liberazione e che trova applicazione, pur richiedendo una motivazione rafforzata, anche per i reati di particolare allarme sociale di cui all’art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario. Alla luce di tali rilievi si rende necessario un approfondito esame dal parte della Commissione con l’eventuale approvazione di proposte modificative del decreto-legge". Amnistia e indulto Riprende in Commissione Giustizia del Senato, l’esame congiunto dei disegni di legge in tema di concessione di amnistia e indulto con la discussione generale, durante la quale sono venute alla luce perplessità e contrarietà sul contenuto del provvedimento. "Il presidente fa presente che nel corso della discussione generale sono emerse da parte di diversi componenti dei vari gruppi parlamentari posizioni di radicale contrarietà ai provvedimenti di clemenza, la cui approvazione, come è noto, richiede maggioranze qualificate. Sottolinea che il ricorso reiterato a provvedimenti d’urgenza non sembra aver consentito di ovviare ai problemi del sovraffollamento carcerario, la cui soluzione è peraltro richiesta perentoriamente a livello europeo. Per poter valutare adeguatamente la congruità delle misure adottate in via d’urgenza, chiede al Ministro della giustizia di fornire i dati relativi al numero dei detenuti presenti negli istituti penitenziari alla data di approvazione dei decreti-legge n. 211 del 2011 e n. 78 del 2013, nonché i dati relativi ai detenuti presenti nelle carceri a tre mesi dall’approvazione e a quelli dei detenuti definitivamente liberati. Sollecita inoltre l’acquisizione di analoghi dati relativi al numero dei detenuti presenti al momento dell’approvazione e a quelli attualmente presenti, con riguardo al decreto-legge n. 146 del 2013. Infatti, qualora i dati dimostrino una scarsa incidenza, in termini di riduzione del sovraffollamento, delle misure adottate in via d’urgenza e che in molti casi stravolgono il sistema della esecuzione della pena e delle misure cautelari, domanda se non sia più opportuna una più seria riflessione sugli istituti di clemenza". Vietti: il decreto-carceri è urgenza indilazionabile "Il decreto svuota-carceri risponde a un’urgenza indilazionabile. L’Europa ci chiede di intervenire per diminuire il sovraffollamento carcerario, sarebbe auspicabile che questo avvenisse con misure strutturali, ma queste sono più lunghe e complicate da adottare, quindi misure tampone che rendano più umane e più vivibili le condizioni delle nostre carceri sono assolutamente inevitabili". Michele Vietti, vicepresidente del Csm, Michele Vietti, ha commentato a Bologna così l’approvazione alla Camera del dl sulle carceri. Interpellato sulle critiche al provvedimento circa il rischio di favorire detenuti particolarmente pericolosi, Vietti ha risposto: "Tutto quello che si fa è perfettibile. Quindi, sarà possibile mettere a punto il provvedimento ma credo che nessuno possa metterne in discussione - ha concluso - né l’impianto, né la filosofia, né gli obiettivi". Marazziti (Pi): valutiamo proposta amnistia e indulto "Come Popolari per l’Italia stiamo valutando un progetto di legge per l’amnistia e l’indulto". Lo ha detto il deputato Mario Marazziti (Pi), in una conferenza stampa con i colleghi del Pd sull’abolizione dell’ergastolo. "Il sistema carcerario va rivisto nel suo insieme e amnistia e indulto possono riportare una condizione di civiltà da cui ripartire. Vedo alcuni del Pd molto aperti a questa prospettiva, speriamo di poter trovare sintonia". Giustizia: Coccia (Pd); la situazione delle carceri italiane è disumana, tema sia prioritario Ansa, 8 febbraio 2014 "La situazione delle carceri italiane è disumana: condizioni igieniche pessime, spazi strettissimi e sovraffollamento vanno oltre ogni sopportazione. Per non parlare delle violenze sui detenuti: sono troppi i casi di morti sospette. Vogliamo più giustizia, non vendetta dello Stato". Lo ha dichiarato Laura Coccia, parlamentare del Pd, che da diversi mesi si occupa dei problemi legati al nostro sistema carcerario. "Venerdì alla Camera è indetta una conferenza stampa su carcere e ergastolo, da alcuni giuristi ritenuto incostituzionale. In particolar modo l’ergastolo ostativo, quello che priva di ogni libertà il condannato, è privo di umanità e va cancellato. Alla conferenza stampa interverrà anche il capogruppo Roberto Speranza", aggiunge Coccia, che sottolinea inoltre il problema legato al termine del 28 maggio 2014, imposto dalla Corte europea, per il quale l’Italia dovrà risolvere il problema del sovraffollamento carcerario: "Se non agiamo in tempo, rischiamo anche una pesante sanzione economica da parte dell’Europa. Dobbiamo intervenire immediatamente". Giustizia: svuota-carceri, la soluzione fragile di Gian Carlo Caselli Il Fatto Quotidiano, 8 febbraio 2014 Ritardare all’infinito la trattazione di gravi problemi significa farli marcire. Quando poi si interviene lo si fa con l’acqua alla gola. Aprendo spazi a chi voglia sfruttare la tecnica del "prendere o lasciare", della chiamata alle armi come extrema ratio per salvare la casa che brucia: con lo scopo di far passare soluzioni che altrimenti sarebbero indigeribili. Una situazione che in questi giorni si può constatare sia sul versante della legge elettorale che della legge "svuota-carceri". Parliamo di quest’ultima e registriamone le obiettive radici di indifferibile urgenza, derivanti dalla necessità di impedire che scatti la mannaia della sentenza "Torreggiani" emessa nel gennaio 2013 dalla Cedu (Corte europea dei diritti dell’uomo), sospesa fino a maggio 2014 per dare tempo al nostro Stato di rimediare al sovraffollamento delle carceri. Se non si fa subito qualcosa, diverrà inesorabile una straziante gogna internazionale dell’Italia come "Stato torturatore", oltre a dover pagare sanzioni pecuniarie imponenti per i quasi tremila ricorsi già presentati per detenzione disumana e degradante. E se siamo arrivati a questo drammatico punto di non ritorno è perché è mancato un progetto globale che preveda - tra l’altro - un’effettiva separazione fra imputati e condannati, concrete misure di risocializzazione, il rilancio delle misure alternative, l’estensione del lavoro penitenziario da poche realtà (tipo Milano- Opera e Padova) alle altre carceri. Un libro dei sogni? Prospettive utopiche se si tiene conto che i fondi scarseggiano ogni giorno di più? No, se si considerano alcuni dati di base. Il rapporto numerico fra detenuti e popolazione del nostro Paese non si discosta molto dalla media della Ue. Abbiamo il miglior rapporto europeo fra detenuti e poliziotti penitenziari. Ottimo è anche il rapporto fra cubatura totale degli edifici penitenziari e metratura che conseguentemente potrebbe essere destinata ai detenuti. Francamente, a fronte di questi dati è paradossale che si parli ciclicamente di insufficienza degli organici della polizia penitenziaria pretendendo sempre nuove assunzioni (si noti che l’88% delle spese dell’amministrazione penitenziaria è assorbito dal personale). Così come è paradossale che possa verificarsi un sovraffollamento di dimensioni tali da causare la pesante condanna della Cedu. Sovraffollamento che viene percepito in maniera ancor più angosciosa per il fatto che l’organizzazione del nostro sistema carcerario è di tipo chiuso, vale a dire che salvo poche ore i detenuti sono costretti a trascorrere tutto il giorno in cella; e per il fatto che in cella, a volte, per stare un pò di tempo in piedi si devono addirittura fare dei turni. Vero è che ci sono nodi assai aggrovigliati che precedono e sovrastano il sistema carcerario. Per esempio, in Italia la risposta penale colpisce anche molti fatti che in altri paesi non sono reato e la sanzione carceraria è quella di gran lunga prevalente (anche se - attenzione - spesso essa non scatta subito, ma progressivamente: perché il sistema prevede via via la negazione della sospensione condizionale e delle attenuanti, oltre che dei benefici penitenziari, così da formare una catena che alla lunga imprigiona il soggetto). Altro nodo è che in Italia la disciplina delle misure alternative è certamente avanzata, ma la prassi applicativa è limitata rispetto agli altri paesi europei, anche per una certa "prudenza" della magistratura che obiettivamente risente della tendenza purtroppo "forcaiola" di ampi settori di opinione pubblica, che a sua volta si traduce nella carenza di sostegno esterno al reinserimento. Così, se in Italia sono circa 30.000 a scontare la pena all’esterno, in Francia sono 173.000 e 237.000 nel Regno Unito. Restano però in ogni caso - e pesano - i paradossi di cui sopra, sintomatici di una destinazione certamente non ottimale sia degli spazi disponibili (molte sono le sezioni non utilizzate), sia della polizia penitenziaria (senza sminuirne il quotidiano impegno). Ciò che rappresenta l’interfaccia e al tempo stesso il riscontro di quella mancanza di un progetto globale d’intervento che è l’esatto contrario delle misure ispirate a logiche emergenziali come la legge "salva carceri" approvata dalla Camera. Giustizia: la soluzione per le carceri affollate c’è… ogni galeotto nel proprio Paese di Gilberto Oneto Libero, 8 febbraio 2014 La "via federalista" al sovraffollamento delle prigioni dovrebbe essere applicata sia su base nazionale sia regionale. Nel dibattito sul cosiddetto "svuota carceri" si è sentito di tutto ma soprattutto annotazioni accorate sullo stato disumano dei luoghi di detenzione che non possono non richiamare le famose lettere con cui nel 1851 William Gladstone accusava il sistema penale borbonico delle peggiori nefandezze. Qua e là, nel corso del dibattito, sono comparsi anche dati statistici sul numero dei detenuti in attesa di giudizio e su quello degli stranieri: i primi prodotti dalle lentezze e inefficienze del sistema giudiziario e i secondi dalla mancata sottoscrizione e applicazione di accordi con i paesi di origine dei rei. Ma ci sono due tipi di informazioni che vengono totalmente disattese. La prima riguarda i raffronti storici: basterà ricordare che nel 1872 c’erano nelle carceri italiane 72.450 detenuti con una popolazione residente che era circa la metà di quella attuale, e senza gli stranieri. Significa che il problema c’è sempre stato, che non lo si è mai risolto e che l’Italietta ottocentesca riusciva a gestire un numero addirittura assai più alto di detenuti e di carceri con costi minori. La seconda ha a che fare con la provenienza dei detenuti. Secondo i dati pubblicati dal ministero della Giustizia, al 31 dicembre 2013 nelle patrie galere c’erano 62.536 ospiti, di cui 22.529 (il 36,03%) cittadini stranieri. Per quanto riguarda la residenza, 18.702 ce l’hanno in regioni padane, 38.431 nel resto della penisola e 5.403 ne sono privi o non la declinano in quanto, presumibilmente, irregolari. Ancora più interessante è la suddivisione per luogo di nascita dei 40.007 detenuti italiani: 6.632 sono nati nelle otto regioni settentrionali e 33.375 nel Centro-Sud. I galeotti nati in tutta la Padania sono meno di quelli nati in Sicilia (7.711) e circa la metà dei campani (11.671). Nel suo complesso la popolazione carceraria è per il 36,03% straniera, per il 53,36% italiana peninsulare e per il 10,61% padano-alpina: un dato in costante calo da almeno dieci anni. Potrebbe essere interessante esaminare tali numeri immaginando che l’Italia avesse una struttura davvero federale nella quale ciascuno si occupasse dei "suoi" malandrini. Le regioni settentrionali (41% della popolazione e più del 70% del Pil complessivo) dovrebbero gestire il 30% degli attuali detenuti residenti, due terzi dei quali di importazione nazionale, comunitaria o extracomunitaria. Ove ciascuno fosse spedito al paese di origine a scontare la propria pena, le carceri padane, che ora ospitano 22.388 persone, si svuoterebbero del 70,4 per cento. Considerando la loro capienza regolamentare di 16.222 posti, sarebbero utilizzate al 40%. Senza neppure considerare che fra coloro che la statistica registra come nati in Padania ci sono numerosi figli di immigrati, non si può non osservare che, in una struttura federale o con ancora più ampi margini di autonomia, la "emergenza carceri" sarebbe una istanza del tutto sconosciuta sopra la Linea Gotica, ma anche in almeno tre regioni centrali. La situazione del sistema detentivo sarebbe simile o addirittura migliore di quella dei più tranquilli e civili paesi del Nord Europa, con evidenti vantaggi di ordine sociale ed economico. Stupisce che argomentazioni e interpretazioni di questo genere non siano state evidenziate neppure da chi ancora si dice federalista, ma forse questo rientra nel più generale disegno di accantonamento delle istanze autonomiste e nel sempre più evidente progetto neo-centralista, che cerca di ignorare ogni informazione scomoda. Giustizia: Speranza e Leva (Pd), ddl per abolizione ergastolo, è battaglia per Costituzione Ansa, 8 febbraio 2014 All’indomani dell’approvazione del decreto Carceri alla Camera, il Pd torna sul tema chiedendo la calendarizzazione di una proposta di legge a prima firma del capogruppo Roberto Speranza che prevede l’abolizione dell’ergastolo. "è una battaglia per la Costituzione", ha detto Speranza in una conferenza stampa alla Camera. "Come si concilia con la Carta una pena che non consente la rieducazione del detenuto?", chiede Speranza, che lancia un appello a tutte le forze politiche: "Superiamo i limiti e i confini dei partiti, chiunque è convinto che questa sia una battaglia giusta dovrebbe allargare il più possibile il gruppo di persone che vuole portare avanti una battaglia del genere". "Faremo una battaglia nelle prossime settimane - annuncia Danilo Leva - perché abbiamo il dovere di rivedere il sistema delle pene nel nostro Paese. Lo Stato non può rinunciare a priori alla rieducazione di un condannato". E, anticipando le contestazioni sul possibile indebolimento della lotta alla mafia, dice: "Non siamo amici dei mafiosi. Occorre trovare un punto di equilibrio tra rigore e rieducazione". Alla conferenza stampa partecipa anche Mario Marazziti, deputato di Popolari Per l’Italia che ha depositato un progetto analogo (con le firme anche di alcuni deputati del centro destra): "la pena perpetua è una contraddizione in termini", sottolinea. Secondo i dati diffusi in conferenza stampa, al 31 dicembre i condannati a vita sono 1583, molti di loro sono in carcere da oltre 30 anni, e non hanno avuto accesso alla liberazione condizionale. Di questi, 681 sono all’ergastolo ostativo, una pena che nasce con legislazione di emergenza nel 1992, contemplato per una serie di reati gravissimi che escludono la concessione dei benefici carcerari. Per il costituzionalista Andrea Puggiotto "sono morti che camminano". Depositate nelle commissioni, fanno notare gli esponenti Pd, ci sono diverse proposte di legge sull’abolizione dell’ergastolo, tra cui una di iniziativa popolare, firmata anche da alcuni parlamentari del Movimento 5 Stelle. Giustizia: Pd spaccato sull’ergastolo, il Capogruppo Speranza contro la renziana Morani di Tommaso Rodano Il Fatto Quotidiano, 8 febbraio 2014 Il Partito democratico vuole abolire l’ergastolo. Anzi no. Sul "fine pena mai", in poche ore, la vecchia e la nuova segreteria del Pd scoprono di essere su distanze siderali. Senza nemmeno consultarsi. Il primo atto è in mattinata. Il capogruppo Roberto Speranza e l’ex responsabile della Giustizia Danilo Leva partecipano a una conferenza stampa alla Camera, convocata dai Giovani Democratici. Titolo: "La Democrazia dietro le sbarre". I due colgono l’occasione per presentare la proposta di legge, di cui sono i primi firmatari, per cancellare il carcere a vita. "L’abolizione dell’ergastolo - dice Speranza - è una battaglia di civiltà e di costituzionalità". Una battaglia per cui si immagina sia pronto a combattere tutto il partito. Niente affatto. Basta una telefonata all’attuale responsabile Giustizia del Nazareno, Alessia Morani, fresca di nomina nella segreteria di Renzi. La sua sentenza è lapidaria: "Quella di Speranza e Leva è un’iniziativa personale, altrimenti avrei partecipato anch’io alla conferenza stampa. Stiamo lavorando per risolvere l’emergenza carceraria e l’abolizione dell’ergastolo non è in calendario. È evidente che le priorità della giustizia italiana, per il Partito democratico, sono altre". Informato della posizione di Morani, Speranza mette le mani avanti: "Non ho mai detto che la nostra fosse la posizione del Pd. È un tema che riguarda le coscienze individuali, non ho parlato a nome del partito. La conferenza non serviva a presentare la nostra iniziativa, che abbiamo scritto molti mesi fa". Evidentemente il bersaniano non si è messo d’accordo nemmeno con il cofirmatario. Ieri mattina, infatti, Danilo Leva ha chiesto esplicitamente di mettere subito in calendario la proposta di legge. Non una battaglia culturale, insomma, ma un’ipotesi legislativa da portare al più presto in Parlamento. La segreteria del Pd non ne era informata. Il dibattito sull’ergastolo si accende nell’opinione pubblica a intervalli regolari. Nel 1981 la proposta di abrogazione è stata bocciata da un referendum in cui i "no" si sono avvicinati all’80 per cento. Nel frattempo però gli ergastolani nelle carceri italiane sono cresciuti in modo esponenziale: oggi sono 1581. Speranza ha citato l’articolo 27 della Costituzione: "Le pene devono tendere alla rieducazione del condannato". "Non capisco quale possa essere la rieducazione - ha commentato il capogruppo Pd - in una pena che non permette il reinserimento nella società". Già in due occasioni la Corte Costituzionale ha decretato che il "fine pena mai" non è in contrasto con i princìpi della Carta: nel 1974 ne stabilì la legittimità indicando la possibilità per i detenuti di accedere alla libertà condizionale. Esiste però anche l’ergastolo "ostativo" (articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario), che non prevede in alcun modo il ritorno in libertà per coloro che rifiutino di collaborare con la giustizia. Nemmeno questo incostituzionale, secondo la Consulta (sentenza del 2003). L’ "ostativo" è considerato uno strumento di contrasto delle organizzazioni criminali (al punto che Totò Riina ne chiese l’abolizione nel suo "papello"). Danilo Leva nega che l’eventuale abrogazione possa essere gradita alle mafie: "Macché. È una battaglia di civiltà, dobbiamo liberarci del populismo giuridico". Bisognerà chiedere al resto del partito. Giustizia: Carlo Federico Grosso; riformare sistema delle pene, il carcere extrema ratio Ansa, 8 febbraio 2014 L’Italia ha bisogno di una riforma del sistema delle pene che veda il carcere non come un valore, ma come extrema ratio. è, in sintesi, la lectio magistralis che Carlo Federico Grosso, ex vice presidente del Csm e professore emerito di Diritto penale dell’Università di Torino, ha pronunciato oggi nel Polo Universitario del carcere "Lorusso e Cutugno". Davanti ai 27 studenti-detenuti iscritti a Giurisprudenza e a Scienze Politiche, Grosso si è soffermato proprio sul fatto che "l’abbandono della concezione carcerocentrica del sistema delle pene dovrebbe costituire la grande svolta culturale nella concezione della pena del XXI secolo". Secondo Grosso "bisogna pensare ad un radicale salto di qualità nella configurazione del sistema delle pene", e "imboccare una linea di politica criminale che già sul terreno della previsione delle pene principali (e non soltanto su quello della sanzione alternativa applicata in sede di esecuzione penale) contempli il carcere soltanto quando esso sia strettamente necessario in ragione della gravità del reato commesso o della pericolosità del suo autore". Grosso ha parlato di "un ventaglio articolato di sanzioni alternative, detenzione domiciliare, pene pecuniarie, lavoro a favore della collettività, pene interdittive ecc, destinate a sostituire ampiamente la reclusione". Ed ha rigettato l’obiezione che "un orientamento di questo tipo rischierebbe di indebolire la difesa sociale contro il delitto". "Al di là della condivisione culturale - ha concluso Grosso - per diventare legge le idee necessitano tuttavia della condivisione politica e, soprattutto, della capacità della politica di tradurle in legge dello Stato". "Sarà davvero in grado l’attuale classe politica di farsi carico di una operazione culturale, e nel contempo tecnica, di così ampia portata? - si è chiesto - La speranza è, comunque l’ultima a morire". Giustizia: Morani e Favi (Pd); chiarezza su violenze in carcere, dopo inchiesta "Corriere" Dire, 8 febbraio 2014 "Un’istituzione fondamentale come quella che amministra le carceri della Repubblica e una Forza di polizia democratica, come il Corpo di Polizia penitenziaria, a cui sono affidate la vita e l’integrità fisica delle persone in esecuzione di pena o sottoposte a custodia cautelare, non possono essere esposte ai gravissimi sospetti di abusi, come da ultimi quelli denunciati dal Corriere della Sera, con ipotesi di violenze intollerabili e perfino di responsabilità inconcepibili. In alcuni casi, addirittura, di detenuti morti in condizioni e situazioni non chiarite con adeguati accertamenti". Lo dice Alessia Morani, responsabile Giustizia Pd e Sandro Favi, responsabile carceri del Pd. "Chi è responsabile politicamente ed istituzionalmente dell’Amministrazione penitenziaria e del Corpo di polizia penitenziaria - aggiunge Morani - dia conto di serie, stringenti e convincenti verifiche e di adeguate indagini, nella sfera di propria competenza, sui casi, sui fatti e sulle circostanze di luogo e di tempo contenuti in quelle denunce. Se non venisse fatta luce su queste ombre inquietanti ed inaccettabili, ne tragga le inevitabili e dovute conseguenze". Giustizia: intervista a Lia Sacerdote… uno "spazio giallo" nel grigio del carcere di Stefano Pasta Famiglia Cristiana, 8 febbraio 2014 Intervista a Lia Sacerdote, presidente di "Bambinisenzasbarre", associazione milanese da 11 anni impegnata nei processi di sostegno psicopedagogico alla genitorialità in carcere con un’attenzione particolare ai figli. "Fuori i bambini dalle carceri italiane!" è l’appello diffuso da "Terre des Hommes", "A Roma, Insieme - Leda Colombini", "Bambinisenzasbarre" e "Antigone", in occasione della piena entrata in vigore della Legge 62, che avrebbe dovuto chiudere per sempre le porte delle carceri italiane ai bambini. Ma, a due anni dall’approvazione, non mancano le aspettative deluse e i punti non chiari. Ne parliamo con Lia Sacerdote, presidente di "Bambinisenzasbarre", un’associazione milanese da 11 anni impegnata nei processi di sostegno psicopedagogico alla genitorialità in carcere con un’attenzione particolare ai figli (100 mila ogni anno in Italia) colpiti dall’esperienza di detenzione di uno o entrambi i genitori. Chi sono i bambini dietro le sbarre delle carceri italiane? "Nonostante gli auspici della Legge 62 di due anni fa, ci sono attualmente 40-50 bambini sotto i 6 anni; a San Vittore a Milano ho recentemente incontrato una donna incinta. Per questo, l’Italia è stata richiamata più volte dal Comitato Onu per la Crc, la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia. Non sempre si tratta di donne che hanno commesso reato gravi. È il caso ad esempio di alcune straniere, magari fermate perché trasportavano dosi di droga, o donne rom: non hanno un domicilio fisso e quindi non usufruiscono di misure alternative al carcere. Così i loro figli si trovano, negli anni cruciali per lo sviluppo, in condizione di reclusione inadatte all’infanzia. Vivono con una mamma senza potestà, che non può decidere nulla e questo ha risvolti gravi sulla relazione educativa. Spesso frequentano nidi e asili interni alla struttura; non sempre ci sono educatori per facilitare l’uscita dal carcere e tutto è lasciato al volontariato. A Sassari, c’è un solo bambino: la situazione è assurda, sta crescendo senza incontrare coetanei. Fino al 2011, al compimento dei tre anni, arrivava il momento della separazione tra la madre e il bambino che avevano vissuto fino a quel momento in simbiosi: non riesco a togliermi dagli occhi la scena di un bambino strappato dalla mamma. Ora invece, se la madre non può essere liberata, viene trasferita all’Icam". Cosa dice la Legge 62? "Nel 2001, la Legge Finocchiaro per la prima volta dava attenzione alla genitorialità detenuta, ma erano solo i primi passi. Dieci anni dopo, la Legge 62 del 2011, che entrerà pienamente in vigore a gennaio 2014, ha recepito l’idea del carcere come extrema ratio ma ha deluso molte aspettative. Si dice che una madre con un bambino sotto i 6 anni non deve essere detenuta, salvo reati gravi o di allarme sociale. Il problema è che questa formula è vaga e discrezionale, non chiarisce di quali reati si parla. Secondo noi, i bambini non devono proprio andare in carcere. Invece, rischiamo di trovarci di fronte a un paradosso: se prima della riforma i bambini che potevano essere detenuti con le mamme avevano massimo 3 anni, con l’entrata in vigore della nuova legge, rischiano di restare detenuti sino ai 6 anni. Rimane poi il rischio che il bambino venga detenuto sia in via cautelare, sia in esecuzione di pena, nonostante per questa seconda ipotesi siano state agevolate le condizioni per accedere ai domiciliari speciali. Inoltre, non viene garantito il diritto alla madre di poter assistere il figlio in caso di malattia per tutto il periodo dell’ospedalizzazione e permane l’automatica espulsione della donna extracomunitaria irregolare, che abbia scontato la pena, con tutte le conseguenze che questo implica sul figlio". Accanto ai domiciliari, quali sono le alternative al carcere per le mamme con bambini? "Nella Legge, vengono finalmente introdotte le Case Famiglie Protette, realtà completamente sganciate dal mondo penitenziario. Sicuramente sarebbero la soluzione migliore, ma questo istituto non viene promosso dal Ministero della Giustizia. Devono essere interamente finanziate dagli enti locali, che sono già colpiti da forti tagli. L’unica vera alternativa rimangono quindi le Icam (Istituti di Custodia Attenuata per Madri detenute), dove i bambini rimangono fino ai 6 anni e, in alcuni casi, 10. Pur trattandosi di strutture sempre e comunque detentive, garantiscono condizioni decisamente migliori del carcere, con un buon accompagnamento educativo. In questo caso, il problema è quando, all’uscita dall’Icam, manca un percorso di reinserimento successivo. Nelle Icam c’è poi un problema di posti: il Ministero ne aveva previste 5, ma al momento ci sono solo quelle di Milano e Venezia". Poi ci sono i bambini "liberi" che hanno un genitore detenuto. "Sì, sono 100 mila in Italia e una volta alla settimana vanno a trovare il genitore, con cui è importante mantengano una relazione. Sono bambini come gli altri, ma in quel momento hanno dei bisogni particolari che vanno riconosciuti. Spesso sono arrabbiati, tendono a perdonare il genitore, ma non sanno bene con chi prendersela. Solo il 35% degli istituti è provvisto di locali destinati alle visite dei bambini. Già anni fa, proponemmo di creare degli spazi di incontro genitori-figli fuori dal carcere, ma senza risultato. Le prigioni sono luoghi inadatti per i bambini, basti pensare che nel 2009 il Ministero ha dovuto fare una circolare per invitare gli operatori a sorridere quando li incontravano". Cos’è lo Spazio Giallo? "Nella sala d’attesa del carcere milanese di San Vittore, dove la folla dei parenti fa la fila per consegnare pacchi e soldi e per incontrare il detenuto, abbiamo creato questo progetto pilota, dove i nostri operatori offrono uno spazio socio-educativo ai bambini prima e dopo il colloquio. San Vittore è una casa circondariale, dove stanno i detenuti arrestati da poco: i minori sono nervosi, arrabbiati, spesso rompono tutto. In uno spazio analogo dei carceri di Bollate e Opera, incontriamo invece i figli dei detenuti di lungo periodo: sono bambini più rassegnati e a rischio depressione. Abbiamo presentato al Ministero un progetto per estendere a tutt’Italia il sistema Spazio Giallo, sottolineando che non è un parcheggio ma una vera presa in carico globale per stare accanto ai bambini in momenti delicati come la perquisizione e il colloquio. Quando il detenuto viene trasferito da San Vittore a Opera o Bollate, l’educatore che segue la famiglia o il bambino rimane lo stesso. Dare attenzione a questi bambini è un investimento sul futuro: un terzo dei genitori reclusi che incontriamo nei nostri gruppi in carcere, a loro volta hanno avuto un genitore detenuto". Vibo Valentia: un detenuto siciliano 37enne si è impiccato nella Sezione di Alta sicurezza La Presse, 8 febbraio 2014 Si è suicidato verso le 9 del mattino un detenuto della casa circondariale di Vibo Valentia. Salvatore M., 37 anni, di origini siciliane, detenuto nel circuito ad Alta sicurezza. Dopo aver svolto regolarmente le sue mansioni di distribuzione del vitto, è entrato in cella e ha utilizzando la cintura dei pantaloni legata all’inferriata della finestra per impiccarsi. A nulla sono valsi gli immediati soccorsi della polizia penitenziaria e del personale sanitario. A riferirlo è Gennarino De Fazio, segretario nazionale della Uil-Pa penitenziari, che commenta così: "anche in Calabria è cominciata, nostro malgrado, la drammatica conta dei morti di carcere del 2014. È un suicidio, questo, che induce a serie riflessioni sull’efficacia degli interventi che si stanno attuando in ambito regionale per attenersi alle prescrizioni provenienti da Strasburgo e contenute anche nella cosiddetta sentenza Torreggiani della Cedu". "Difatti - aggiunge - il circuito ad alta sicurezza non è stato interessato, se non del tutto marginalmente, dalle misure organizzative adottate e che per il momento in Calabria sono solo un palliativo. A Vibo Valentia, peraltro, in questo momento non si registrano situazioni di criticità sotto l’aspetto del numero dei ristretti presenti e il detenuto in questione era tra i pochi fortunati che potevano lavorare". "Più complesso il ragionamento sull’organico della polizia penitenziaria, che sarebbe sufficiente se non addirittura in esubero, secondo l’amministrazione penitenziaria, ma del tutto inadeguato invece per la gestione della molteplicità di compiti che gli sono affidati nel rispetto dei diritti degli operatori, almeno con l’attuale modello organizzativo. Proprio ieri, peraltro, ho indirizzato al direttore del carcere, dott. Mario Antonio Galati - prosegue il sindacalista - l’ennesimo sollecito affinché vengano riviste le modalità di impiego del personale e i protocolli operativi". "Se però - continua De Fazio nella sua analisi - anche in situazioni oggettive non particolarmente negative e, anzi, del tutto in controtendenza rispetto alla media nazionale si decide di farla finita è del tutto evidente che il problema è molto più complicato di quello che si vorrebbe far credere e provvedimenti come quello varato appena ieri dal Parlamento sono utili quasi esclusivamente al Governo e quasi per nulla ai detenuti, agli operatori ed alla collettività". "Il sistema - conclude il segretario nazionale della Uil-Pa Penitenziari - necessita di riforme complessive la cui precondizione, come peraltro più volte affermato pure dal Presidente Napolitano, non può che essere l’emanazione di provvedimenti di indulto e amnistia che, deflazionando la presenza dei detenuti e decongestionando le procedure, consentano anche di dare compiuta attuazione al lungimirante ed ambizioso progetto messo in campo dal Capo del Dap, presidente Giovanni Tamburino, e che ancora ha solo sfiorato la Calabria, peraltro ancora priva - da quasi 4 anni - di un Provveditore titolare". Santa Maria Capua Vetere (Ce): un detenuto di 37 anni muore in cella, disposta autopsia www.campanianotizie.com, 8 febbraio 2014 Tragedia nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. Un finanziere, Sergio Coppola, di 37 anni, detenuto per associazione a delinquere e traffico, si è accagliato a terra, dopo un malore, ed è morto, probabilmente per un infarto. Sull’uomo pendeva una pesante accusa con conseguente condanna emessa dalla Corte di Appello di Cagliari per associazione a delinquere e per traffico di droga. Il militare era stato sospeso dal servizio, poi scarcerato. Poi scattò la condanna. L’autorità giudiziaria ha disposto l’autopsia. Roma: malata terminale detenuta a Rebibbia scrive alla Cancellieri, ministro non risponde di Selene Cilluffo www.today.it, 8 febbraio 2014 Ha scritto alla Guardasigilli l’avvocato Liberati che si sta occupando della storia di Giulietta Vinci Aquila, la donna affetta da cancro e aids che è detenuta nel carcere di Rebibbia e ha recentemente tentato il suicidio. Ma ancora nessuna risposta. Ha minacciato di suicidarsi Giulietta Vinci Aquila, la donna di 44 anni detenuta nel carcere di Rebibbia a Roma dal 13 gennaio per scontare due mesi e mezzo, per una pena pecuniaria non pagata in relazione a una vicenda di droga di molti anni fa. La donna è anche affetta da diverse patologie gravi per cui non riceve l’assistenza consona alle sue condizioni, visto che si trova nell’infermeria del carcere romano. Secondo l’avvocato della donna Giancarlo Liberati "a distanza di molti giorni nessuna iniziativa o decisione è stata ancora assunta per risolvere la sua situazione". L’avvocato nei giorni scorsi aveva anche scritto al ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri ma senza ricevere risposta: "Il guardasigilli ha in più occasioni sbandierato la sua attenzione e la sensibilità verso casi di particolare interesse sul piano umano e della tutela della salute dei detenuti ma non si è degnata neanche di dare un cenno di risposta all’appello che le ho rivolto lo scorso 25 gennaio". Nell’appello il legale della donna racconta come ha scoperto il caso di Giulietta, attraverso la segnalazione di un frate francescano di Roma, suo amico: "Nell’Italia dove si discute del sovraffollamento delle carceri e di soluzioni deflattive, come indulto e amnistia, una sfortunata donna di 44 anni affetta da HIV B2, epatopatia cronica da HCV, esiti di un intervento al cervello per un tumore, disturbi dell’equilibrio e sindrome ansioso-depressiva, è stata catturata, senza troppe delicatezze e tradotta nel carcere di Rebibbia". Il caso di Giulietta è talmente disperato che sembra un’eccezione eppure l’avvocato Liberati conferma che non è la prima volta che nella sua carriera professionale si trova davanti a storie del genere: "Purtroppo, questo è solo uno dei tanti casi in cui la giustizia, nel fare il suo corso, trascura l’humana pietas che dovrebbe costituire il fondamento di ogni società civile". In realtà si potrebbero risolvere casi del genere se venissero fatte delle riforme a livello legislativo. Andrebbe infatti colmata "una lacuna all’interno dell’articolo 656 del Codice Penale": si potrebbe prevedere la possibilità in capo al Pubblico Ministero dell’applicazione di una misura alternativa che tenga conto delle condizioni soggettive e oggettive del detenuto. Una proposta che l’avvocato vede come soluzione adatta all’emergenza che colpisce coloro che hanno storie come quella di Giulietta: "Tale estensione normativa produrrebbe il suo maggior effetto a favore delle fasce più deboli ed emarginate della società che non sempre hanno la possibilità di ottenere un’adeguata assistenza legale anche a causa dell’assenza di una fissa dimora che spesso rappresenta il motivo principale del verificarsi di tali situazioni" sottolinea Liberati. Una misura da mettere in atto il prima possibile, visto che la crisi accelera i tempi: "Ritengo doveroso, da parte di chi ne ha la possibilità, in un periodo di grande crisi, generatrice di forti tensioni sociali, come quello attuale, contribuire a risolvere questo e altri problemi con interventi urgenti, mirati e concreti, utili per tutti i cittadini ma indispensabili a colmare il divario sempre più evidente tra i ricchi ed i potenti ed i poveri, spesso, senza voce e senza mezzi" conclude l’avvocato che rimane ancora in attesa di una risposta del ministro Cancellieri. Intanto Giulietta si trova ancora in infermeria a Rebibbia e ha già più volte minacciato il suicidio. Quello che chiede al suo avvocato e alle istituzioni non è molto: "Questa povera donna, già pienamente consapevole di essere priva di ogni futuro - conclude Liberati - vorrebbe vivere il tempo che le resta tra persone amiche e in ambienti più consoni alle sue patologie". Nelle sue condizioni, chi non lo vorrebbe? Bologna: Garante regionale visita Dozza; condizioni migliorano, ma manca ancora il lavoro Ristretti Orizzonti, 8 febbraio 2014 La Garante regionale dei detenuti, Desi Bruno, nella visita alla casa circondariale di Bologna di giovedì scorso, ha potuto rilevare un miglioramento delle condizioni di vita generali dei detenuti, derivante dalla combinazione di due fattori: la riduzione del numero delle presenze e l’ampliamento progressivo degli orari di apertura delle celle. Alla data del 6 febbraio, nella casa circondariale di Bologna risultano essere presenti 842 detenuti (di cui 65 donne, 502 stranieri); 444 i condannati in via definitiva; 74 in alta sicurezza; 15 in semilibertà; 402 i tossicodipendenti; 46 nella sezione "protetti". Di particolare rilievo il numero degli stranieri e dei detenuti tossicodipendenti su cui potrebbe incidere il decreto legge svuota carceri in corso di conversione; quest’ultimo provvedimento sta invece avendo un "apparente lieve impatto sulle scarcerazioni", con particolare riferimento alla liberazione anticipata: 23 le persone scarcerate a fronte di 296 istanze inoltrate, alcune delle quali restano in attesa di risposta del Magistrato di sorveglianza. In riferimento all’applicazione delle indicazioni contenute nella nota del provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria - "Umanizzazione della pena" - del 25 luglio 2013, dal 10 febbraio l’apertura delle celle sarà garantita in ogni sezione fino a 8 ore. Più adeguati gli ambienti del reparto penale (dove sono collocati i condannati in via definitiva alla reclusione a 5 o più anni), in cui i detenuti (ad oggi 93) sono 2 per cella, in regime aperto (con apertura delle celle fino ad oltre 9 ore giornaliere: tale regime di massima apertura vige anche nella sezione 1B Pegaso; 2A Orizzonte; e per le donne condannate in via definitiva. Per lo più garantita la separazione degli imputati dai condannati in via definitiva, "risultando davvero modesta - sottolinea Desi Bruno - la percentuale delle situazioni detentive in cui non viene garantita, in ragione di oggettiva impossibilità dovuta al tasso di affollamento". È stata poi istituita la sezione per detenuti "dimittendi", dove vengono collocate le persone nell’imminenza della scarcerazione. A giudizio della Garante, "il lavoro resta il bisogno più impellente della popolazione detenuta, in particolare per quelle sezioni in cui si lavora, a rotazione, esclusivamente in mansioni cosiddette domestiche alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria (alta sicurezza e sezione protetti)". Il percorso di umanizzazione della pena che si va definendo in ambito regionale "va nel senso della necessaria implementazione delle attività a cui i detenuti possono dedicarsi, coniugando l’apertura delle celle con l’impiego utile del tempo a disposizione". Un contesto, però, nel quale "non ha ancora avuto modo di ripartire o di essere riqualificata quella che era stata l’esperienza delle tipografia interna. Anche il progetto che pensava di riutilizzare quegli spazi, impiantando un call center di Hera, pare sia tramontato". Continua positivamente, invece, l’esperienza dell’officina meccanica interna: 10 i detenuti che attualmente vi lavorano, regolarmente assunti; inoltre, alcuni ex detenuti, che avevano lavorato nell’officina durante il periodo detentivo, sono stati poi assunti dalla medesima impresa. 3 detenuti (1 assunto e 2 in borsa-lavoro) lavorano al progetto "Raee", con attività di recupero di rifiuti di apparecchiatura elettrica ed elettronica. 4 le donne impegnate nella sartoria (di cui una all’esterno). Procede l’organizzazione del Polo universitario regionale nell’intento di renderlo pienamente funzionale con l’inizio del prossimo anno accademico. Ancora, "permane la criticità legata al mancato utilizzo delle camere di sicurezza della Polizia di Stato" a seguito della dichiarazione di "non conformità" delle camere di sicurezza esistenti presso la Questura di Bologna: "Così gli arrestati in flagranza di reato dalla Polizia, nei cui confronti si procede per giudizio direttissimo, vengono consegnati alla casa circondariale e poi condotti innanzi al giudice monocratico (circa 176 i casi)". In questo modo, specifica Desi Bruno, "si favorisce in parte il ripristino di quell’effetto porta-girevole relativo agli ingressi in carcere per tempi limitati, a cui la legge 9/2012 aveva tentato di porre rimedio, distogliendo all’Amministrazione penitenziaria risorse umane e materiali". L’auspicio è che "in tempi ragionevoli venga attuato un intervento di messa a norma degli ambienti delle camere di sicurezza della Polizia di Stato, così da consentire l’attuazione della legge 9/2012, come già richiesto in apposita nota dell’Ufficio del Garante nell’ottobre 2012, inviata tra gli altri al Questore di Bologna". Nel corso del sopralluogo alla casa circondariale di Bologna, la Garante ha infine avuto modo di effettuare numerosi colloqui individuali. Santa Maria Capua Vetere (Ce): carcere sovraffollato, i penalisti a tutela dei detenuti www.interno18.it, 8 febbraio 2014 Martedì scorso il sopralluogo della Commissione istituita dalla Camera Penale presso la Casa circondariale. La Commissione per la Tutela dei Diritti dei Detenuti, istituita dalla Camera Penale e presieduta dall’avvocato Nicola Garofalo, martedì scorso si è recata in visita presso la casa circondariale di Santa Maria Capua Vetere. Della delegazione di avvocati facevano parte anche il presidente ed il segretario della Camera Penale, Avvocati Angelo Raucci e Raffaele Griffo. La visita ai reparti dell’istituto penitenziario è stata resa possibile solo all’esito di una istruttoria e del rilascio delle necessarie autorizzazioni da parte del dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. I penalisti sammaritani sono stati accolti ed accompagnati dal direttore, Carlotta Giaquinto e dal comandante Manganelli, della Polizia Penitenziaria. I detenuti attualmente ristretti a Santa Maria Capua Vetere sono 958 a fronte di una capienza massima che non supera le 600 unità circa. Soltanto 148 sono i reclusi che lavorano e 142 quelli che studiano. "Un carcere non è sovraffollato - secondo il Presidente della Commissione, Avv. Nicola Garofalo - quando ciascun detenuto dispone di almeno quattro metri quadrati in esclusiva nella cella in cui vive. Questi sono i parametri indicati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Nelle celle multiple del carcere di S. Maria C.V. siamo al di sotto dei parametri europei ma, a nostro parere, l’efficienza di servizi primari (quale quello sanitario, igienico ed alimentare) riesce a mitigare i disagi derivanti dalla promiscuità". Il carcere di Santa Maria Capua Vetere non è però soltanto questo. Il reparto denominato "Superamento OPG" è unico in Italia e fornisce ad un massimo di 20 reclusi assistenza psichiatrica evitando il ricovero nei tristemente noti manicomi. Secondo l’avvocato Angelo Raucci "va riconosciuto all’amministrazione della Casa Circondariale di Santa Maria l’impegno per la risoluzione della delicata questione detenuti, ma vero fulcro delle problematiche carcerarie è il necessario superamento di un sistema sanzionatorio tipicamente carcerocentrico, che negli ultimi anni ha emarginato l’originario concetto di residualità di essa rispetto alle altre misure cautelari; bisogna, in linea con i principi costituzionali, riappropriarsi della regola di extrema ratio della misura carceraria". Napoli: il ministro Cancellieri a Poggioreale, atti dell’inchiesta sul carcere trasmessi ai pm Ansa, 8 febbraio 2014 Il ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri, insieme ai vertici del Dipartimento per l’Amministrazione penitenziaria visiterà nei prossimi giorni il carcere di Poggioreale. Il ministro andrà a Napoli per verificare di persona la realtà dell’istituto e dimostrare l’attenzione che ha sempre avuto nei confronti di questo carcere. Va avanti, intanto, l’inchiesta interna che il Guardasigilli aveva disposto da tempo. Le evidenze più importanti, come si apprende, sono già state trasferite alla magistratura. Lodi: tutti i Sindacati e Associazioni prodetenuti protestano contro Diretttrice del carcere Il Giorno, 8 febbraio 2014 "Porteremo la nostra protesta davanti alla sede del Prap (Provveditorato regionale dell’Amministrazione penitenziaria in Parlamento, ndr), per contrastare una direzione che continua a infischiarsene di chi lavora nel carcere". Ieri, circa 40 persone si sono strette intorno agli agenti della Polizia Penitenziaria che operano nella casa circondariale di Lodi. Ieri, alla scadenza dell’ultimatum di dieci giorni dato dagli agenti ai vertici dell’amministrazione penitenziaria per trasferire la direttrice, i poliziotti hanno organizzato un sit-in di protesta in via Cagnola. Tutte le sigle sindacali chiedono l’avvicendamento di Stefania Mussio e un incontro con il Provveditorato regionale, per chiarire la situazione. Una protesta condivisa da Sappe, Uil, Ugl, Cisl, Cgil, Sinappe, Fsa-Cnpp, Osapp. Nel mirino degli agenti la "mancanza di rispetto delle prerogative sindacali contrattualmente previste" ma soprattutto "l’assenza di un Protocollo d’intesa locale ancora non sottoscritto, nonostante l’intimazione della Commissione arbitrale regionale a definirlo entro il 31 dicembre 2012". "La direttrice - accusa Dario Lemmo, vicesegretario del Sappe di Lodi - non ha alcuna intenzione di tenere corrette relazioni sindacali. Da quando si è insediata, sette anni fa, non si è mai preoccupata di garantire il benessere degli agenti di custodia, che sono costretti a turni improponibili. Già a fine giugno 2013 abbiamo indetto lo stato di agitazione del personale. Questa è una situazione che va a discapito dei detenuti. La funzione della guardia carceraria non è solo di controllo ma anche di psicologo ed educatore. Oltre alla disorganizzazione, mancano sicurezza e igiene. La situazione non è più sostenibile". Enzo Tinnirello, segretario Ugl del comparto, è soddisfatto della riuscita della protesta: "Abbiamo ricevuto solidarietà da tante persone e associazioni di volontari. Se non ci saranno risposte, siamo pronti a fare un sit-in a Milano davanti alla sede del Provveditorato". Tante le attestazioni di sostegno agli agenti: dal circolo Arci Ghezzi all’associazione Loscarcere (da mesi non più presenti nella casa circondariale), fino agli ex agenti di Polizia Penitenziaria. Ieri mattina al picchetto hanno partecipato anche ex detenuti che hanno voluto dimostrare la loro solidarietà agli agenti che "hanno sempre dimostrato grande umanità". L’assessore comunale Andrea Ferrari, presente ieri in veste di volontario dell’associazione Loscarcere, aggiunge: "Abbiamo approfittato dell’occasione - spiega - per unirci anche noi contro la direzione della Cagnola che non si preoccupa di garantire un inserimento nel mondo lavorativo per i tanti detenuti. La situazione era già tesa ai tempi. Nell’ottobre 2011, siamo stati costretti ad allontanarci dalla struttura, così abbiamo continuato il nostro lavoro fuori dal carcere attraverso uno sportello, "Il lavoro debole", per aiutare il reinserimento nel mondo del lavoro dei detenuti e dei famigliari". Roma: l’ex governatore Cuffaro; rispetto la sentenza… e a Rebibbia aiuto gli altri detenuti www.globalist.it, 8 febbraio 2014 L’ex governatore della Sicilia parla dal carcere di Rebibbia: più volte mi sono sentito umiliato, ma mai qui in cella. Salvatore Cuffaro torna a parlare dal carcere di Rebibbia a Roma, dove sta scontando la condanna a cinque anni di reclusione per favoreggiamento alla mafia: "C’è una sentenza, va rispettata. Questo non significa che la condivido: la rispetto, l’accetto, perché fatta da una istituzione". L’intervista all’ex governatore viene pubblicata dal giornale La Sicilia: "Speravo - afferma Cuffaro parlando del suo mancato affidamento ai servizi sociali - che il mio comportamento avrebbe convinto i giudici a rieducarmi e risocializzarmi facendomi fare gli ultimi due anni fuori". "Rispetto anche questa sentenza - prosegue l’ex Governatore - anche se la cosa mi ha fatto parecchio male. Il mio avvocato ha proposto ricorso per Cassazione ma questo non potrà avere un risvolto sulla mia carcerazione perché i tempi tecnici non ci sono. Ma se ci fosse una sentenza favorevole potrebbe essere utilizzata da chi in futuro si troverà nella mia situazione". "Dormo pochissimo. Alle cinque - continua Cuffaro - comincio a scrivere. Aspetto le otto perché si aprano le celle, mi vesto e faccio un’ora di corsa. Ho perso 30 chili. Poi faccio la doccia e vado a studiare, per laurearmi in Giurisprudenza, per essere utile ai detenuti. Per ora faccio i ricorsi per loro, domande di liberazione anticipata, e quando la Cassazione accetta i ricorsi quella è una gioia grandissima: siamo gli smascheratori della giustizia ingiusta...". "Io - conclude Cuffaro - mi sono sentito umiliato più volte in vita mia. Ma mai in carcere. Certo, se mi fossi avvicinato a loro come presidente della Regione, allora forse mi avrebbero umiliato. Sono un detenuto come tutti gli altri". Firenze: sotto la sede della Prefettura presidio di Radicali fiorentini in favore dell’amnistia www.firenzetoday.it, 8 febbraio 2014 Il presidio è stato organizzato in concomitanza con la prevista discussione alla Camera sul tema dell’amnistia a seguito di un messaggio del presidente della Repubblica dello scorso 8 ottobre sulla situazione della giustizia e delle carceri (nel frattempo rinviata a martedì 18 febbraio). Si sono presentati con un lungo striscione con su scritto Amnistia. Così i radicali fiorentini dell’associazione Andrea Tamburini hanno dato vita in via Cavour ad un sit-in sotto la sede della Prefettura di Firenze. Un presidio organizzato in concomitanza con la prevista discussione alla Camera sul tema dell’amnistia a seguito di un messaggio del presidente della Repubblica dello scorso 8 ottobre sulla situazione della giustizia e delle carceri. Di seguito le dichiarazione della Segretaria di Radicali Italiani, Rita Bernardini, e di Angiolo Bandinelli, Membro della Direzione nazionale di Radicali Italiani, sulla scelta di calendarizzare la discussione del Messaggio presidenziale in un giorno inadeguato e sulla lettera inviata a tutti i parlamentari: "Abbiamo appena inviato una lettera ai parlamentari per invitarli ad essere presenti (i deputati) al dibattito sul messaggio del Presidente della Repubblica che, ahinoi, è stato calendarizzato nella mattinata di Venerdì prossimo quando è risaputo che i deputati lasciano Roma per essere presenti sui territori di provenienza. Nella lettera chiediamo anche a deputati e senatori di portare un saluto alla nostra manifestazione che si terrà in concomitanza con il dibattito in piazza Montecitorio dalle 9.30 alle 14.00 per dare il meritato risalto al messaggio presidenziale, relativo alle ineluttabilità ed indifferibilità anche e soprattutto di provvedimenti legislativi straordinari per fare rientrare la situazione carceraria e della giustizia italiana nella legalità. Dopo aver stigmatizzato la scelta di calendarizzare il dibattito di venerdì (o addirittura di sabato in caso di slittamento) abbiamo anche sottolineato come gli indignati di queste ore per la richiesta da parte del Movimento 5 stelle di impeachment nei confronti del Presidente della Repubblica, non abbiano però avuto remore a incardinare il dibattito sul messaggio presidenziale in un momento volutamente scelto come inadeguato e, a nostro avviso, sostanzialmente irrispettoso. Nella lettera ai parlamentari abbiamo voluto anche sottolineare l’enorme differenza fra la scelta radicale del metodo nonviolento e quella "pentastellata". Noi radicali - e in particolare Marco Pannella con i suoi prolungati scioperi della fame e della sete - abbiamo sempre cercato (e ricercato), pur nella polemica dura nei confronti del Presidente, di prospettare soluzioni affinché la sua funzione primaria di "garante" della Costituzione si affermasse nel modo più istituzionalmente consono. Ma il presupposto della nonviolenza - la nostra nonviolenza - è la dialogicità, che può ottenere come risultato quello che un’opposizione violenta non può conseguire perché cristallizza le posizioni rendendole impermeabili al dialogo, al dibattito, alla ricerca di una soluzione feconda, come quella che il Presidente Napolitano ha trovato con lo splendido, puntuale e ricchissimo messaggio che ha indirizzato al Parlamento". Torino: il Polo Universitario Penitenziario compie 15 anni, 28 i detenuti iscritti alle lezioni di Emmanuela Banfo Ansa, 8 febbraio 2014 Alberto ha 48 anni, è entrato in carcere nel 2006 per una serie di furti. Non aveva neppure la terza media. Sarà libero tra sette anni, ma nel frattempo si è diplomato e quest’anno sarà uno dei dieci nuovi laureati del polo dell’Università di Torino del "Lorusso e Cutugno". La sua tesi in Giurisprudenza sarà sul tema dell’accanimento terapeutico e l’eutanasia. Oggi, nell’aula magna della casa circondariale era assieme agli altri 27 studenti-detenuti come lui per partecipare all’inaugurazione dell’anno accademico. Dei 28 iscritti al Polo Universitario 19 seguono gli studi in Scienze politiche e 9 in Giurisprudenza. In 16 anni di attività il Polo ha laureato una trentina di persone che, come ha osservato il rappresentante degli studenti che è intervenuto, una volta scarcerati non hanno più avuto problemi con la giustizia. "Perché - come ha osservato Enrico Sbriglia, provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria - investire sulla persona come risorsa è un modo di fare sicurezza". Sulla necessità di investire in cultura ha insisto particolarmente il rettore Gianmaria Ajani: "è una nostra responsabilità sociale. Il diritto allo studio deve essere garantito a tutti. L’Università forma le persone - ha detto criticando i pesanti tagli dei governi - forma le coscienze critiche. Ci sono tante opportunità da sviluppare". Opportunità che trovano nelle istituzioni (il Comune di Torino era presente con il vicesindaco Elide Tisi) e negli enti privati come la Compagnia di San Paolo, rappresentata dal vice-presidente Luca Remmert, supporti indispensabili. "Dal 2006 - ha ricordato Remmert - abbiamo stanziato 15 milioni di euro in progetti legati alle carceri". E da quest’anno il progetto sul Polo Universitario è entrato a pieno titolo nella convenzione tra Ateneo e Compagnia, riconosciuto, dunque, strutturalmente come una delle priorità formative. All’inaugurazione di oggi anche Maria Pia Brunato, garante per i diritti delle persone private della libertà personale e Carlo Federico Grosso, professore emerito di Diritto Penale che ha tenuto la lectio magistralis. Il neo-direttore del "Lorusso e Cutugno", Rosalina Marino, ha ricordato la sua esperienza alessandrina tra i detenuti-studenti attraverso "la storia di una ragazzo che nel carcere si diplomò geometra, scoprì la sua passione per l’informatica, si laureò con 110 e lode e ora programma sistemi informatici". Storie che hanno le trame di un film, ma i cui contenuti sono reali. "Ne ho conosciuti tanti - ha raccontato Brunato - persone che ho visto crescere, cambiare. E, soprattutto, riacquistare fiducia nelle istituzioni". "Chi partecipa a questi percorsi - ha aggiunto la vice sindaco - riacquista speranza nel futuro e noi con loro". Sono una quarantina i docenti impegnati nel Polo Universitario, una realtà d’eccellenza che tutti, a partire dal rettore Ajani, vorrebbero poter potenziare, anche con spazi più ampi, una criticità quest’ultima sottolineata dal rappresentante degli studenti e che il rettore Ajani ha condiviso osservando che le sofferenze logistiche purtroppo sono di tutta l’università. Un impegno, però, il rettore lo ha preso: mettere a disposizione degli studenti le offerte on line dell’università, come qualsiasi altro iscritto. Torino: l’ex bandito che diventerà dottore, la sua tesi di laurea è sulla recidiva di Meo Ponte La Repubblica, 8 febbraio 2014 "Mi hanno condannato a quattordici anni e sei mesi. Una vita dietro le sbarre. Mi sono iscritto ai corsi universitari del carcere cercando in questo modo di riprendere gli studi lasciati. Ero già iscritto a Giurisprudenza, poi ho fatto scelte sbagliate che mi hanno fatto finire qui. Ora mi manca poco alla laurea, ho scelto una tesi sulla recidiva perché è un argomento che conosco bene...". A parlare è Daniele, 34 anni, arrestato quattro anni fa e condannato a quasi quindici anni di carcere. "Per rapina e qualcosina di più: qualche truffa e poi c’entra anche la droga" taglia corto quando gli si chiede del passato. Daniele ieri aveva un compito difficile: parlare a nome dei detenuti- studenti (28 in tutto, 19 iscritti a Scienze politiche e gli altri 9 ai corsi di Giurisprudenza) alla cerimonia di apertura dell’Anno accademico in carcere. E Daniele ha letto tre pagine, senza eludere (coraggiosamente, perché ai detenuti conviene sempre comunque tacere e soprattutto evitare le critiche al sistema penitenziario) i problemi che si affiancano agli indubbi risultati positivi dell’iniziativa che vanta ormai sedici anni di anzianità. "Studiare in carcere aiuta - ammette Daniele - perché è sempre meglio che passare le giornate a giocare a carte o a guardare il soffitto della cella". Basta però un solo accenno alla vita dietro le sbarre per ricordare a tutti quelli che affollano la sala della palazzina azzurra del carcere Lorusso e Cotugno che cosa sia davvero vivere imprigionati. Dice Daniele: "Studiamo ma mancano le aule dove farlo. Quella che serve per le lezioni praticamente è sempre impegnata, ci sono pure i lavandini per lavare i piatti e i frigoriferi. Non resta che la cella. La dividi però con quattro persone che fanno le loro cose...". Non chiede molto Daniele facendosi interprete dei detenuti studenti che annuiscono con la testa quando legge i suoi fogli. Vorrebbe un pò di silenzio per potersi concentrare sulla pagine ma, dietro le sbarre, è merce rara. Concorda però con il provveditore dell’amministrazione penitenziaria Enrico Sbriglia che, nel suo intervento, ha sottolineato: "Investire sulla persona come risorsa è un modo di fare sicurezza". Daniele conferma e dice: "Studiando ti si apre la mente, vedi le cose da una prospettiva diversa. Ti rendi conto soprattutto degli errori che hai fatto. Dovrò restare qui per quattordici anni. Come mi ha detto scherzando un agente, posso prenderne quattro di lauree. Quando uscirò, però, sarò un uomo diverso. Di certo migliore". L’università aveva anche ideato un corso per le detenute. "Tre si erano anche iscritte - ricorda Franco Prina, rappresentante dell’Ateneo per il polo Studenti detenuti - poi però hanno avuto tutte benefici o pene alternative e quindi, uscendo dal carcere, hanno dovuto lasciare". Alberto, un altro dei prigionieri presenti alla cerimonia, invece è entrato in carcere nel 2006. Non aveva nemmeno finito le medie. In questi anni si è diplomato e a fine anno discuterà la tesi diventando "dottore". "Un altro - dice Daniele - che ha preferito gli studi alle partite a carte". Modena: donato un defibrillatore per il personale della Casa circondariale di Sant’Anna www.bologna2000.com, 8 febbraio 2014 Un defibrillatore destinato alla sicurezza del personale che opera all’interno della casa circondariale Sant’Anna di Modena. È quello che sarà donato alla struttura lunedì 10 febbraio dall’associazione Gli Amici del cuore nel corso di una giornata dedicata alla prevenzione del rischio cardiovascolare, prevedendo un percorso di formazione per alcune figure che diverranno i referenti interni. Nella stessa giornata, gli operatori penitenziari che lo desiderano (il personale ammonta complessivamente a 230 unità, considerata sia la polizia penitenziaria che quello del comparto ministeri), saranno sottoposti a uno screening cardiologico. Un ulteriore momento di prevenzione all’interno della struttura si svolgerà inoltre il prossimo 3 marzo. L’iniziativa, promossa dal Comune di Modena, dall’associazione Gli amici del cuore e dal carcere di Sant’Anna, prevede l’effettuazione di una serie di esami: la misurazione della pressione, del girovita, del rapporto peso/altezza, il test del colesterolo e della glicemia. Tutte le analisi verranno effettuate con risultati in tempo reale e successive consulenze da parte di un dietologo e di un cardiologo, accompagnate, se necessario, da un elettrocardiogramma o da un ecocardiogramma. Per ogni persona che si sottoporrà al test sarà compilato un documento dal quale il cardiologo trarrà le considerazioni finali e individuerà i suggerimenti. "Con la costruzione del nuovo padiglione - afferma l’assessore alle Politiche sociali, sanitarie e abitative del Comune di Modena Francesca Maletti - aumenta il numero di persone trattenute e di operatori penitenziari facendo aumentare il bisogno di prevenzione in termini di salute. La tutela sanitaria dei detenuti, in capo all’Ausl territoriale, e quella del personale si integrano così in un mix in cui la sinergia tra pubblico e privato sociale si dimostra in grado di offrire risposte efficaci". Il presidente Giovanni Spinella de Gli Amici del cuore evidenzia che all’associazione "fa molto piacere essere al servizio della cittadinanza e ciò è possibile soprattutto quando il volontariato trova nelle istituzioni fattiva collaborazione. Lo stress rappresenta uno dei principali fattori di problemi cardiaci - ha aggiunto - e chi lavora all’interno di un carcere è senz’altro particolarmente soggetto a stress; per questo è molto importante fare prevenzione cardiologica". La direttrice della casa circondariale, Rosa Alba Casella, evidenzia che "si tratta di una nuova e importante iniziativa a garanzia del benessere del personale dipendente che, come è noto, svolge un lavoro particolarmente delicato, in cui è esposto anche a situazioni di stress. La donazione del defibrillatore, inoltre, che si aggiunge a quello già a disposizione dei detenuti nell’infermeria, consentirà di effettuare interventi d’urgenza in caso di arresto cardio respiratorio su persone presenti negli alloggi collettivi del carcere e nelle zone adiacenti". L’attività di screening cardiologico arriva all’interno della casa circondariale di Sant’Anna dopo aver trovato già applicazione in diverse sedi, non solo modenesi. L’associazione "Gli amici del cuore", dopo aver avviato sul territorio tale pratica, ha infatti esteso l’attività a livello nazionale attraverso l’utilizzo di un pulmino attrezzato. Eboli (Sa): detenuti in scena con i poliziotti, la nuova sfida teatrale dell'Icatt di Sabrina Sica www.metropolisweb.it, 8 febbraio 2014 Sperare. Credere in un domani diverso, riuscire a costruirlo. Imparare dagli errori, gridare libertà: l'Icatt di Eboli accende, ancora una volta, i riflettori del suo teatro, la compagnia dell'Istituto di custodia attenuata, "Canne pensanti", ha portato in scena la celebre opera di De Simone "La gatta cenerentola". Grande debutto, un successo di pubblico che entusiasta ha scandito con applausi la performance di attori provetti con alle spalle un passato difficile, scomodo, che però hanno deciso di voltare pagina, ricominciare. "Il teatro rappresenta una vera e propria terapia, un'attività per i nostri giovani che mira ad un reinserimento sociale" ha spiegato la Direttrice dell'Istituto Rita Romano, "i nostri ragazzi si occupano a 360 gradi del teatro, curano la regia, la scenografia, scrivono i testi. Sono attivi e motivati, attraverso questa forma di arte riescono ad esprimersi senza filtri". Alessio, Antonio, Costantino, Fabio, Francesco, Giacomo, Giuseppe, Massimo, Salvatore e Sergio: sono loro che hanno deciso di non rimanere nell'angolo a leccarsi le ferite, sono loro che consapevoli di aver commesso un errore lottano per la libertà, per un'identità forse persa. Hanno deciso di metterci la faccia, abbattere tabù e pregiudizi, riconquistare la propria vita. "Ho 34 anni, sono libero, volevo essere qui, in scena con il mio gruppo, portare a termine un progetto" ha raccontato Costantino, "l'Icatt è uno strumento, sta alla persona usarlo: mi ha aiutato a riconquistare una tranquillità interiore, quella tranquillità della quale ho bisogno oggi che sono finalmente libero". "La vera anima di questo gruppo è la Direttrice, è grazie a lei che questa realtà è viva e salda" ha raccontato invece Massimo, "quella del teatro è per me una passione, il mio mondo, la dimensione perfetta. L'emozione che si prova sul palcoscenico è descrivibile: riuscire a sdoppiarsi, guardarsi da un'altra piattaforma, il connubio perfetto che va a crearsi con l'intera compagnia teatrale che diventa fulcro, famiglia. Trovare la giusta identità, insieme". Ad aiutarli, motivarli e supportarli la regista Elena Parmenze, la coreografa Sonia Saggese, i ballerini della "Professional ballet" di Pina Testa, le volontarie Piera Acito e Raffaella Zarrella, la costumista Letizia Netti. Particolarmente significativa la presenza di Michele Ferrarese, poliziotto, è accanto ai giovani dell'Istituto, recita insieme a loro, segnale tangibile di integrazione "La mia è una naturale tendenza verso la rottura degli schemi, ho constato che ancora oggi la visione globale del poliziotto è quella di aguzzino, portatore di tortura" ha sottolineato lui stesso, "non dobbiamo considerarci nemici, bensì facce della stessa medaglia. Il nostro obiettivo non è rieducarli, ma dare loro una nuova identità, risollevarli". Attraverso questa nobile iniziativa teatrale, le "Canne pensanti" vogliono vivere senza barriere il futuro, sperano di trovare il giusto riscatto, mirano ad esorcizzare questo male della vita, vogliono essere liberi: niente di più. Cuneo: detenuto a processo per minacce a un agente si difende "mi ha umiliato…" La Stampa, 8 febbraio 2014 Il giudice deciderà il 6 maggio se il detenuto - per spaccio di droga - G.D.S., va condannato per minacce a pubblico ufficiale. L’uomo, secondo l’accusa, aveva minacciato un agente di polizia penitenziaria durante una perquisizione, dicendo che lo avrebbe "aspettato fuori" con suo fratello. Il detenuto si era difeso, nella scorsa udienza, dicendo che durante la perquisizione personale, dopo il colloquio con l’avvocato e prima di incontrare, i parenti era stato umiliato. È emerso che al Cerialdo, prima a dopo gli incontri con esterni, i detenuti vengono fatti spogliare completamente e si piegano sulle ginocchia per far controllare "se trattengono qualcosa, tipo stupefacenti nell’ano". La questione aveva spinto il giudice ad acquisire il regolamento del carcere e sentire due nuovi testimoni tra cui un ufficiale. "Il regolamento prevede questo tipo di perquisizioni - ha precisato l’ispettore - mentre le flessioni sono una nostra prassi. L’esperienza ci ha insegnato che a volte possono essere trattenute cose in parti del corpo". Foggia: Sappe; grazie a unità cinofile, sventato tentativo di far entrare droga in carcere Adnkronos, 8 febbraio 2014 "Ancora droga pronta ad entrare in carcere scoperta durante un operazione congiunta tra il Comando della polizia penitenziaria di Foggia ed il distaccamento cinofilo della Polizia Penitenziaria distaccato a Trani". Lo denuncia Federico Pilagatti, segretario nazionale del Sappe, sindacato autonomo di polizia penitenziaria. I fatti sono accaduti il 5 febbraio scorso ma sono stati diffusi oggi "per non compromettere le ulteriori indagini e perquisizioni domiciliari". L’operazione è stata condotta da diverse guardie carcerarie e da 5 unità cinofile antidroga. Un uomo è stato denunciato a piede libero dagli uomini del Reparto di Polizia Penitenziaria di Foggia, mentre tentava di introdurre nel carcere del capoluogo dauno della sostanza stupefacente per poi passarla al cugino detenuto. Infatti la droga è stata intercettata dagli agenti del Distaccamento Cinofili Antidroga di Trani, grazie al fiuto del cane Vera, che al passaggio del "corriere" si è lanciata contro, segnalando l’uomo agli operatori. Dalla successiva perquisizione personale si è scoperto che questi aveva nascosto negli slip lo stupefacente di tipo hashish, di 4,32 grammi pronta per essere ceduta al congiunto detenuto. Quindi - conclude Pilagatti - ancora una brillante azione del gruppo cinofilo della Polizia Penitenziaria di Trani che negli ultimi mesi con la presenza costante presso le carceri della Regione, oltre che fare azione di prevenzione, ha consentito il recupero di sostanze stupefacenti nonché l’arresto o la denuncia di diversi soggetti". Immigrazione Napolitano scrive a Manconi (Pd) "rivedere i tempi di reclusione nei Cie" di Vladimiro Polchi la Repubblica, 8 febbraio 2014 Lettera al senatore Manconi per i migranti di Ponte Galeria. Bubbico: riforma non rinviabile. "Sarebbe utile e opportuna un’attenta riflessione sui tempi di permanenza nei Cie". Lo chiede il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in una lettera inviata agli immigrati rinchiusi a Ponte Galeria a Roma, che gli avevano scritto il primo gennaio. Il Quirinale torna così ad accendere i riflettori su quei centri d’espulsione, dentro i quali i migranti possono restare fino a 18 mesi. A fare da messaggero, il senatore Pd Luigi Manconi, presidente della commissione diritti umani del Senato, che ieri è entrato nel Cie romano, assieme a Elena Stancanelli, Christian Raimo e Ricky Tognazzi. In quello stesso centro dove negli ultimi mesi alcuni reclusi si erano cuciti la bocca per protesta. Nella loro lettera, scritta a gennaio al capo dello Stato, i migranti chiedevano un cambiamento delle norme sull’immigrazione. Napolitano risponde, esprimendo "comprensione per la sofferenza e il dolore di coloro che hanno scritto, così come per le loro richieste e speranze", ma precisa di non poter entrare nel merito delle istanze, "oggetto di dibattito nel Paese e in Parlamento". Poi a conclusione del suo messaggio auspica "un’attenta riflessione sui tempi di permanenza nei Cie". Il trattenimento infatti è stato portato a 18 mesi (dai precedenti sei), con un decreto del 2011 dell’allora ministro dell’Interno, Roberto Maroni. Dal recente rapporto della commissione diritti umani del Senato a quello del commissario europeo Thomas Hammarberg, i Cie sono da anni al centro delle polemiche. Il loro scopo dichiarato è di rimpatriare gli irregolari. Ma nel 2012 solo la metà dei circa 8mila trattenuti è stata espulsa: l’1% dei 326mila irregolari stimati dall’Ismu al primo gennaio 2012. Scarsi risultati a fronte di alti costi, se si pensa che per tutti i centri per immigrati, l’Italia spende oltre un milione 800mila euro al giorno. "Il presidente ha evocato la riduzione dei tempi di permanenza nei Cie - sostiene Luigi Manconi - che secondo noi vanno portati dagli attuali 18 mesi a 2 mesi". Del resto lo stesso viceministro dell’Interno, Filippo Bubbico, dichiara che "la drastica riduzione del tempo di permanenza nei Cie rappresenta un impegno fondamentale, non prorogabile". La riforma in discussione porterebbe a 2 i mesi di trattenimento, ma il testo elaborato già a ottobre scorso da Bubbico, col ministro Cecile Kyenge e il sottosegretario all’Interno, Domenico Manzione, resta ancora solo una bozza. Immigrazione: testimonianza Cie di Ponte Galeria "da Napolitano arriva una speranza" Ansa, 8 febbraio 2014 "La lettera del presidente Napolitano ci ha dato da sperare e ci ha sollevato un po’ il morale, perché i tempi di permanenza nei Cie sono disumani é l’attesa é davvero snervante". A parlare con l’Ansa è uno degli oltre 80 ospiti del Centro identificazione ed espulsione (Cie) di Ponte Galeria, a Roma, Assad Jelassad, tunisino di 40 anni, ospite della struttura da 2 mesi, in Italia da 22 anni. "Sono tempi rubati inutilmente alle nostre vite - aggiunge Assad, che racconta di essere finito nel Cie perché trovato senza documenti. In passato ho commesso degli errori e in base alla legge Bossi-Fini non posso riavere il permesso di soggiorno. Ma qui dentro ci sono tanti che non hanno mai commesso reati, come i 13 venuti in barcone dalla Libia per scappare dalla guerra e che si sono ritrovati imprigionati senza sapere perché". Jelassad nel corso delle proteste al Cie di Roma delle scorse settimane ha fatto da portavoce - racconta - perché parla perfettamente italiano. "Non c’é protesta più clamorosa che cucirsi la bocca per chi non parla la vostra lingua e non ha voce - dice. Non dormo la notte per le storie che ho sentito qui e anche gli operatori della cooperativa Auxilium, che ci aiutano in tutti i modi, quando tornano a casa ricordano ciò che hanno visto". "è questa la democrazia? è questa la libertà - conclude il tunisino. Tante belle parole che stanno perdendo significato. Ora speriamo che con le parole di Napolitano succeda qualcosa". Immigrazione: Cie, dentro una gabbia di ferro aspettando Godot, con le scarpe senza lacci di Elena Stanchelli La Repubblica, 8 febbraio 2014 I Centri come un limbo psicotico dove i "trattenuti" guardano la tv invece di vivere e lavorare. Loro dicono che è anche peggio del carcere, perché è insensato. Finire in un Centro di identificazione ed espulsione (Cie) come quello di Ponte Galeria a Roma (erano undici, ne sono rimasti a pieno regime cinque in tutta Italia) significa precipitare in un mondo kafkiano, indecifrabile e insensato. Un universo concentrazionario, un non-luogo, il crocevia dove Vladimiro ed Estragone aspettano Godot. Arrivando in questo fabbricato sinistro, percorrendo i corridoi nati decrepiti, sedendo su panche inchiavardate sul cemento, si ha la sensazione di trovarsi in un luogo che la letteratura aveva previsto. Ecco quello che temevamo, il paesaggio partorito dal nostro novecentesco disagio. Ed ecco il rimosso, lo scarto di irrazionalità che le nostre società producono. Stavo lavorando, ci spiega uno dei ragazzi che incontriamo, stavo vendendo il pesce al porto di Pescara, e mi hanno portato via. Perché il mio permesso di soggiorno era scaduto. Non si arriva qui perché si è rubato, o ucciso, o spacciato, ma perché si è clandestini. Fino a oggi è un reato, nel nostro Paese, ma da domani potrebbe essere una vocazione, un destino avventuroso. Lo è stato, lo è ancora in altri Paesi. Ti portano in un Centro ti tolgono i vestiti e ti consegnano una tuta da ginnastica, un paio di ciabatte o di scarpe senza lacci, ma ti lasciano il cellulare. Anche le regole dentro i Centri, rispetto al carcere, rispondono a criteri misteriosi. Non si possono tenere penne né libri, è consentito usare i fiammiferi ma non gli accendini, si possono incontrare i visitatori come noi senza il diaframma delle sbarre ma la struttura architettonica è formata da un sistema concentrico di sbarre di ferro. Si entra in una gabbia, che contiene un’altra gabbia, che contiene un’altra gabbia. Una matrioska di disperazione, la chiama il senatore Luigi Manconi che ci accompagna e che ha il compito, tra gli altri, di recapitare ai "trattenuti" una lettera del presidente Napolitano in risposta alle loro richieste. Trattenuti. I Centri sono luoghi nei quali persino parole e cose si scollano. Si è detenuti ma non incarcerati, nell’eventualità che uno dovesse riuscire a fuggire non potrebbe essere perseguito per evasione, ma guardie e militari li sorvegliano esattamente come se stessero scontando una pena. Si mangia, ma non ci sono cucine. Il cibo entra nel Centro grazie a un catering garantito dalla società che ha in appalto la gestione. A differenza di quanto avviene nella carceri, non si può cucinare da soli. I fornelletti sono vietati, ma in cambio, con un buono da sette euro al giorno, è possibile comprare ricariche per il telefonino, caffè, patatine e dolcetti nel distributori automatici. Alle tre apre lo spaccio, a quell’ora le donne possono andare a rintracciare i loro oggetti personali, darsi un po’ di profumo per esempio, ma poi li devono restituire. I ragazzi, circa cinquanta uomini e venti donne, ci tengono a mostrare che parlano bene la nostra lingua. Uno di loro, originario della Tunisia, è in Italia da vent’anni. Stavo andando a fare la spesa, racconta, quando mi hanno fermato e portato qui. Due mesi fa. Due, tre dieci, fino a diciotto mesi secondo quando ha stabilito l’Unione europea come tetto massimo. Un tempo che dovrebbe servire soltanto a identificare le persone trattenute. Questo è lo scopo dei Cie: dare un nome alle persone. Attraverso consolati, relazioni coi paesi di origine che non collaborano, incroci di informazioni. Per farlo, ripeto, ci mettiamo anche un anno e mezzo. Il tempo di permanenza nel Centro è imprevedibile e quindi non può essere comunicato. I trattenuti stanno lì, in questo limbo psicotico, a non fare niente. Non sono previste attività, come avviene invece in un carcere. Un ragazzo marocchino, sbarcato a Lampedusa su un nave scampata al naufragio - l’altra, quella che viaggiava insieme alla sua, è affondata - non parla l’italiano. Era in Libia, lavorava come macellaio, ma è dovuto scappare dall’inferno di un paese a pezzi. L’italiano non lo imparerà, perché nessuno glielo insegna. Non è previsto un suo reinserimento, a differenza di quanto avviene, almeno in teoria, in un carcere: sta lì in attesa di essere rimpatriato. E costa allo Stato una cinquantina di euro al giorno. Peccato che solo il 40% del trattenuti nel Centri finirà davvero sugli aerei che li riportano nel luogo dal quale sono scappati. Affrontando, come sappiamo, viaggi che sono vere ordalie. Un ragazzo algerino di ventotto anni racconta il suo: avevo tredici anni, e nessuna speranza. Mi sono attaccato sotto un camion, a Casablanca. Sono rimasto nascosto là sotto per sette giorni, fin quando non abbiamo raggiunto il confine tra la Spagna e la Francia (qui ha chiamato un numero di telefono, qualcuno gli ha dato un po’ di soldi ed è riuscito ad arrivare a Torino). Sono stato in una casa famiglia, sono scappato, mi hanno portato in un Centro, poi in un altro, e in un altro. Sono palline di un flipper demente. Ognuno di loro è stato sballottato su è giù per l’Italia, è entrato e uscito da un Centro, ha perso anni e anni in balia di una giustizia incomprensibile. Anni in cui avrebbe potuto lavorare, fare figli, pagare le tasse. Invece non fanno altro che dormire, nelle camerate da otto letti c’è un televisore acceso a volume basso. Le ragazze guardano Masterchef, e hanno tappezzato le pareti con le pagine di una rivista. Gli uomini, ogni tanto, giocano a calcio. Perché, ci chiedono. Già, perché? Droghe: tre ragioni per essere antiproibizionisti di Patrizio Gonnella (Presidente Associazione Antigone) Il Manifesto, 8 febbraio 2014 Sono tre le ragioni che giustificano un cambio radicale di strategia intorno alle droghe e una svolta non proibizionista e non punitiva. La prima è una ragione etico-filosofica che possiamo riassumere sotto il grande contenitore delle libertà. Uno Stato non autoritario è uno Stato che sa ben distinguere l’etica e la religione dal diritto. L’etica deve restare fuori dall’ordinamento giuridico. L’etica è al massimo un criterio di orientamento dell’azione politica e della formazione delle leggi, ma non deve permeare di sé lo Stato. Lo Stato costituzionale di diritto non può che essere uno Stato laico. Viceversa non può essere uno Stato etico. La legge Fini-Giovanardi sulle droghe è una legge invece che parte da un punto di vista etico e lo trasforma in criterio di regolamentazione dei comportamenti individuali. È una legge che nega la libertà, che impone un unico stile di vita, che esprime giudizi morali anche su chi usa la propria libertà senza interferire su quella altrui. La seconda ragione è di natura giuridico-costituzionale ed è strettamente correlata alla prima. Il nostro sistema penale è un sistema fondato sul principio dell’offensività. Un delitto per essere considerato tale deve offendere un bene o un interesse giuridicamente rilevante, dove la rilevanza è data dal fatto di essere un bene o un interesse protetto dalle norme costituzionali. I delitti senza vittime non hanno dunque legittimità giuridica. Nel caso di buona parte delle norme penali in materia di droghe si fa fatica a individuare quale sia la vittima del comportamento tenuto. La vittima in questo caso è solo colui che fa uso di droghe. La terza ragione è di politica criminale. La lotta alla droga fatta con eserciti, polizie, carceri e stigmatizzazioni sociali non ha funzionato. Se vogliamo affidarci a un criterio utilitarista si può dire che il consumo su scala globale non è diminuito e i morti non sono calati. Inoltre le organizzazioni criminali hanno costruito imperi economici intorno al narcotraffico. La via non proibizionista non è stata invece ancora sperimentata. Alla manifestazione che parte oggi da Bocca della Verità a Roma ha aderito anche l’imprenditrice e testimone di giustizia Valeria Grasso, impegnata in prima linea contro le cosche. Non è il primo caso che il fronte anti-mafia rompe il fronte proibizionista. Lo ha fatto di recente anche lo scrittore Roberto Saviano. Non abbiamo la certezza che il narcotraffico si ridurrebbe, non sappiamo cosa accadrà in Uruguay o in Colorado dove la cannabis a uso anche non terapeutico è stata legalizzata, ma conosciamo i danni della cultura proibizionista. L’Italia di solito arriva ben dopo gli Usa in tante cose nella sua storia. Mentre noi abbiamo i cultori della war on drugs al governo pubblico delle tossicodipendenze, gli Stati Uniti hanno scelto un’altra via. Barack Obama afferma senza che il Paese gli si rivolga contro che "la cannabis non è più pericolosa dell’alcool". Il Presidente del Consiglio Enrico Letta invece si costituisce con una propria memoria a difesa della legge Fini-Giovanardi che è sotto giudizio davanti alla Corte Costituzionale. Il giorno della sentenza sarà il prossimo 11 febbraio. Questo è l’altro tema di grande attualità. La legge Fini-Giovanardi è stata varata con l’inganno nei confronti del capo dello Stato. È stata inserita con un emendamento governativo in un decreto-legge che si occupava della sicurezza alle Olimpiadi di Torino. Così è stato usato illegittimamente un tram legislativo. Ora si tratta di cambiare strategia, di portare il tema delle droghe dentro la campagna per le prossime elezioni europee, di sondare le forze politiche per costruire un fronte anti-etico. Nel mentre si apre una discussione sulla legalizzazione è necessario però procedere rapidamente verso politiche di depenalizzazione totale del consumo, di decriminalizzazione della vita quotidiana di consumatori e tossicodipendenti. È necessario rilanciare le politiche nazionali, regionali e locali di riduzione del danno. È altrettanto necessario cambiare il capo del Dipartimento anti-droghe. Il dibattito parlamentare dei giorni scorsi purtroppo non fa ben sperare. La gran caciara fatta dai cultori della tolleranza zero contro il timidissimo decreto del Governo non fa presagire nulla di buono. Droghe: il 12 workshop a Roma dedicato a dati e soluzioni per i detenuti tossicodipendenti Adnkronos, 8 febbraio 2014 Definire meglio le tecniche di rilevamento ed elaborazione dati per programmare le soluzioni alternative al carcere destinate alle persone tossicodipendenti, è l’obiettivo al centro del workshop tecnico scientifico "Carcere e tossicodipendenza", coordinato dal dipartimento Politiche antidroga della Presidenza del Consiglio, che si svolgerà mercoledì 12 febbraio. L’incontro si pone come momento di confronto tecnico-scientifico tra i ministeri, le amministrazioni locali, gli enti di ricerca e le organizzazioni coinvolte nello studio del fenomeno, per discutere la chiarezza, validità e rappresentatività dei dati informativi da inserire nella Relazione annuale al Parlamento. All’esame, tra gli altri, i dati relativi alla popolazione detenuta per violazione del D.p.r. 309/90 artt. 73 e 74, ai detenuti con diagnosi di tossicodipendenza, alla differenziazione delle tipologie di reato nei soggetti tossicodipendenti detenuti, ai trattamenti per la tossicodipendenza in carcere, agli esiti dell’alternativa alla pena, e alle modalità di rappresentazione dell’andamento temporale. "Siamo fermamente convinti che il carcere non è e non deve essere un luogo di cura delle tossicodipendenze, così come esplicitamente previsto dagli attuali atti normativi" dichiara Giovanni Serpelloni, capo del Dpa, che sottolinea: "non vi è dubbio che chi è affetto da tale condizione patologica debba e possa trovare opportune cure al di fuori del carcere. Esistono da tempo dispositivi di legge che permettono di realizzare tale intervento, ma purtroppo sono ancora molto poco sfruttati". "Le persone tossicodipendenti devono e possono essere inserite in programmi di cura e riabilitazione, sia territoriali che residenziali, al fine di restituirle ad una vita sana e ben integrata sia socialmente che lavorativamente" precisa il capo del Dpa, che conclude: "auspichiamo che questo workshop possa contribuire a rafforzare le basi di conoscenza per comprendere quali siano le cause di un così ridotto ricorso alle misure alternative, per poter incrementare il flusso di tossicodipendenti e alcoldipendenti dal carcere verso percorsi di cura e riabilitazione. Vale la pena di ricordare un dato molto positivo, purtroppo poco conosciuto: il 75 % dei tossicodipendenti provenienti dal carcere ed inseriti nei programmi alternativi sulla base dell’art. 94 del DPR 309/90, conclude con successo il percorso riabilitativo, con cessazione dei comportamenti criminali e dell’uso di droghe". Droghe: il carcere non è il luogo per la cura dei tossicodipendenti… parola di Serpelloni www.iljournal.it, 8 febbraio 2014 Un terzo dei detenuti in Italia è in carcere per motivi legati alla droga. E chi è malato non può trovare negli istituti di pena le giuste terapie. "Il carcere non può e non deve essere un luogo di cura delle tossicodipendenze". Lo dice il capo del Dipartimento nazionale politiche antidroga, Giovanni Serpelloni, che sottolinea come chi è affetto da questa condizione patologica debba e possa curarsi al di fuori del carcere e "che esistono da tempo dispositivi di legge che permettono di poter realizzare tale intervento, ma che purtroppo sono ancora molto poco sfruttati". Un peccato, sempre secondo Serpelloni, perché secondo i dati del Dipartimento il 75% delle persone tossicodipendenti provenienti dal carcere e inserite nei programmi alternativi conclude con successo il percorso riabilitativo "con cessazione dei comportamenti criminali e dell’uso di droghe". Per poter programmare sempre meglio le azioni alternative al carcere per i tossicodipendenti c’é la necessità di definire meglio le modalità e le tecniche di rilevamento e di elaborazione dati, che spesso - secondo il Dpa - in questi anni hanno fornito valutazioni difformi e che non consentono il reale dimensionamento del fenomeno e quindi decisioni consapevoli e basate su dati reali. Servono dunque flussi di dati puntuali e periodici: sulla popolazione detenuta per violazione delle norme sulla droga, sulla popolazione detenuta con diagnosi di tossicodipendenza, la differenziazione delle tipologie di reato nei soggetti tossicodipendenti detenuti, i trattamenti per la tossicodipendenza in carcere, la rilevazione della domanda di applicazione delle misure alternative, la valutazione degli esiti dell’alternativa alla pena, la rilevazione dell’alternativa alla pena per i soggetti provenienti dalla libertà, e le modalità di rappresentazione dell’andamento temporale. India: caso marò; si allontana il rischio della pena di morte ma resta l’opzione "pirateria" Ansa, 8 febbraio 2014 Si allontana lo spettro della pena di morte per i due marò, che però potrebbero essere giudicati con la legge anti-pirateria. L’ipotesi, già formulata nei giorni scorsi, è stata riportata anche oggi dalla stampa indiana, ma l’Italia, ha puntualizzato l’inviato speciale Staffan De Mistura, commenterà soltanto notizie ufficiali, in attesa della prossima udienza della Corte suprema, lunedì prossimo. Secondo un’agenzia di stampa indiana, il ministero degli Interni indiano avrebbe rinunciato oggi ad invocare la pena di morte nei capi di accusa della polizia Nia - uniformandosi alla posizione degli Esteri e della Giustizia - pur mantenendo lo strumento della legge anti-pirateria (Sua Act) per formulare i capi d’accusa contro i Fucilieri di Marina italiani, dopo la morte di due pescatori indiani il 15 febbraio 2012. Una fonte a conoscenza della decisione ha confermato all’Ansa la posizione indiana, spiegando che l’idea degli Interni sarebbe quella di replicare il trattamento riservato al super boss della mafia indiano Abu Salem, implicato negli attentati terroristici a Mumbai del 1993, estradato dal Portogallo dove era stato arrestato con la promessa a Lisbona che non sarebbe stata applicata la pena di morte. In Italia si mantiene la linea della prudenza. "Non reagiamo, come in passato, a notizie non ufficiali pubblicate dalla stampa", spiega De Mistura, aggiungendo che "il governo italiano farà sapere la sua posizione durante e dopo l’udienza di lunedì" in Corte Suprema, durante la quale la procura generale indiana dovrà svelare la soluzione trovata per costruire l’impianto accusatorio contro i marò. Bocche cucite anche sul fronte indiano. Lo stesso procuratore generale, che gestisce l’accusa, ha spiegato di non voler parlare prima dell’udienza. Il caso marò, che attende una soluzione da quasi due anni, sta mettendo l’India sotto crescente pressione internazionale. La ministro degli Esteri Emma Bonino, incontrando a Roma il collega tedesco Frank-Walter Steinmeier, ha ricordato che la Germania, in occasione della visita del presidente della Repubblica Gauck a New Delhi, ha chiesto un esame del caso senza disparità, avvertendo che sono in gioco anche le relazioni tra India ed Europa. In Italia, intanto prosegue il boicottaggio di tutto ciò che è made in India. Dopo la sospensione di alcuni concorsi di bellezza, la provincia di Lecco ha negato il permesso di utilizzare per le riprese di un film per Bollywood l’elegante Villa Monastero di Varenna, sul Lago di Como. Bonino: grazie Germania per pressione su India L’Italia ringrazia le autorità tedesche per aver sollecitato "una rapida conclusione" della vicenda marò. Lo ha detto la ministro degli Esteri Emma Bonino dopo in incontro con il collega Frank-Walker Steinmeier. "Abbiamo molto apprezzato" quanto detto dalla Germania anche in occasione della visita del presidente Gauck in India, quando cioè l’ambasciatore tedesco Steiner ha chiesto a New Delhi di esaminare il caso senza disparità e avvertendo che sono in gioco anche le relazioni con l’Europa. Iraq: ministero della Giustizia; non c’è nessuna "stanza delle torture" nelle nostre carceri Nova, 8 febbraio 2014 Nelle carceri irachene non esiste più alcuna "stanza delle torture". Lo ha affermato un portavoce del ministero della Giustizia di Baghdad, Haidar al Saadi, in risposta a un rapporto pubblicato ieri dall’organizzazione Human Rights Watch definito da Saadi "pieno di omissioni". Nel rapporto si accusano le autorità irachene di detenere migliaia di donne "in maniera illegale" e si denunciano episodi di tortura e di molestie sessuali. "I detenuti che sostengono di aver subito abusi hanno il diritto di sporgere denuncia", ha sottolineato il portavoce del ministero della Giustizia, secondo cui le autorità sono impegnate a favorire il reintegro nella società dei condannati. Siria: esercito riconquista carcere di Aleppo, nei combattimenti morte almeno 46 persone Ansa, 8 febbraio 2014 Le forze regolari siriane hanno riconquistato il controllo della maggior parte del carcere di Aleppo, caduto giovedì in mano alle milizie ribelli: lo hanno reso noto fonti delle organizzazioni siriane per la difesa dei diritti umani, precisando che nei combattimenti hanno perso la vita almeno 46 persone. Non è chiaro che cosa sia successo ai detenuti: secondo le Ong centinaia di persone sarebbero state liberate, ma dopo l’intervento dell’esercito non confermato che siano riusciti effettivamente a darsi alla fuga. Nord Corea: il missionario americano Kenneth Bae trasferito in un "campo di lavoro" Adnkronos, 8 febbraio 2014 Il missionario Kenneth Bae è detenuto dal 2012. Era stato arrestato mentre faceva da guida a un gruppo di turisti e nell’aprile successivo era stato condannato a 15 anni di lavori forzati con l’accusa di complotto contro lo Stato. Kenneth Bae, il missionario americano detenuto in Corea del Nord dal 2012, è stato trasferito dall’ospedale dove era ricoverato a un campo di lavoro. Ne ha dato notizia il dipartimento di Stato americano, secondo cui di questo sviluppo, "per il quale siamo profondamente preoccupati", gli Stati Uniti sono stati informati dall’ambasciata svedese a Pyongyang incaricata di seguire il caso (Washington non ha una rappresentanza nel regno eremita, ndr). Bae, 45 anni, con doppia nazionalità americana e sudcoreana, era stato arrestato nel novembre del 2012, mentre faceva da guida a un gruppo di turisti e nell’aprile successivo era stato condannato a 15 anni di lavori forzati con l’accusa di complotto contro lo Stato. In ospedale era stato ricoverato nell’autunno scorso, a causa del peggioramento delle sue condizioni di salute: secondo i famigliari, Bae soffre di diabete e di problemi cardiaci. E nel campo di lavoro, stando a quanto riferito dal dipartimento di Stato, che cita i diplomatici svedesi che hanno potuto visitarlo, è stato rimandato il 20 gennaio scorso.