Giustizia: decreto-carceri, ecco perché non fa uscire "assassini e stupratori" di Susanna Marietti Il Fatto Quotidiano, 7 febbraio 2014 Il decreto carceri è stato votato alla Camera. Vedremo adesso cosa succederà al Senato. In questo primo passaggio parlamentare ne abbiamo viste e sentite di tutti i colori. Bugie patentate, a partire dall’epiteto di "svuota-carceri" affibbiato a un testo di legge che, come abbiamo avuto già modo di notare su queste colonne, è un timido provvedimento che non svuoterà proprio niente. Dalla Lega ci si aspetta di tutto. E personalmente ho poco interesse a dialogare con qualcuno che per principio mette insieme criminali e stranieri come fosse lo stesso problema ("per voi vengono prima i delinquenti e gli extracomunitari e poi la gente onesta ed i cittadini italiani", ha detto in aula Nicola Molteni). Mi interessa invece capire cosa intende il Movimento 5 Stelle quando afferma che il decreto è un indulto e che farà uscire stupratori e assassini. Il decreto si compone di varie misure. A quali di esse si riferiscono? Escludiamo garante dei detenuti, potenziamento del ricorso e braccialetto elettronico perché non si vede come possano entrarci. Anche la modifica della normativa sulle droghe non farà uscire nessuno, e comunque non riguarda assassini e stupratori. Quanto all’espulsione degli stranieri, non credo sia di questo che i 5 Stelle (e tanto meno la Lega) si preoccupano. La stabilizzazione della detenzione domiciliare speciale introdotta da governi passati porta a regime quel che già c’era e quindi è anch’essa da escludere. Resta un lievissimo ampliamento della possibilità di accesso all’affidamento al servizio sociale, che permetterà a qualcuno - sotto stretta valutazione individuale del giudice - di accedervi qualche mese prima di quanto sarebbe successo senza decreto o per più di una volta. E resta l’aumento di giorni di liberazione anticipata che un detenuto può avere per buona condotta, dal quale sono esclusi i reati più gravi. Anche in questo caso la decisione è strettamente rimandata al giudice. L’indulto dunque, che è una misura automatica che non richiede valutazioni discrezionali, non c’entra nulla. Accadrà che qualche detenuto - se non si è macchiato dei gravi reati esclusi, se in galera si è comportato bene e se il giudice decide a suo favore - avrà qualche giorno di sconto di pena in più nei prossimi mesi (la misura è a termine e scade alla fine del 2015). Qualcuno che sarebbe comunque uscito per fine pena a novembre, faccio per dire, uscirà a ottobre. Indulto, assassini, stupratori? Mi pare tecnicamente, al di là delle ideologie, infondato. Detto questo, vorrei tornare su una norma del decreto che credo meriti attenzione: quella sulle tossicodipendenze. Non perché sia rivoluzionaria, ma perché appunto non lo è affatto. E tuttavia è la prima volta che si riesce, pur marginalmente, a mettere mano a quella scriteriata legge che è la Fini-Giovanardi. Forse qualcosa si può muovere. "Illegale è la legge, il suo costo è reale", è lo slogan della manifestazione nazionale che si terrà a Roma sabato 8 febbraio contro la Fini-Giovanardi. Tantissime le adesioni. La frase ci ricorda gli enormi costi sociali ed economici della politica proibizionista, dimostratasi inutile, dannosa, dispendiosa in cinquanta anni di war on drugs. Ci auguriamo di vedere sabato a Roma tanta gente accomunata dalla consapevolezza che per combattere la tossicodipendenza il carcere è ingiusto, inutile e costoso. La prossima settimana sarà la Corte Costituzionale a pronunciarsi sulla Fini-Giovanardi. Speriamo chiuda un’epoca e ne apra una nuova. Giustizia: la Camera approva decreto-carceri; governo soddisfatto, fermo no opposizioni 9Colonne, 7 febbraio 2014 L’aula della Camera ha dato il via libera in prima lettura al dl Carceri con 296 voti favorevoli, 183 contrari e 2 astenuti. Il testo, in scadenza il 21 febbraio, passa ora all’esame del Senato. Dopo le manette sventolate in occasione del voto di fiducia di martedì scorso dal senatore leghista Gianluca Buonanno, oggi i deputati del Carroccio hanno di nuovo creato un po’ di bagarre in aula esponendo uno striscione con scritto: "Criminali in galera" mentre parlava il loro collega Nicola Molteni, capogruppo in commissione Giustizia. Per il presidente della commissione Giustizia della Camera Donatella Ferranti il decreto è "un altro passo avanti verso Carceri più vivibili e detenzioni più dignitose". "Credo che questo decreto, che si aggiunge agli altri interventi strutturali già approvati o in via di approvazione come la messa alla prova e la riforma del cautelare - spiega Ferranti - sarà una buona carta da giocare in sede europea dopo la sentenza Torreggiani per evitare la procedura di infrazione e l’esborso di vari milioni di euro". Secondo la presidente si tratta di "un buon punto di equilibrio tra garanzie umanitarie ed esigenze di sicurezza. Non c’è alcun cedimento nei confronti dei delitti gravi e di mafia, nessun indulto mascherato, nessuna liberazione automatica. Si potrà avere uno sconto di pena solo sulla base di una valutazione in concreto da parte del giudice della positiva condotta dei condannati". Ad ogni modo tutto ciò non basta e "una politica carceraria seria è impensabile a costo zero" perché "servono investimenti per attuare un deciso piano edilizio secondo moduli e criteri avanzati - aggiunge Ferranti - servono investimenti per potenziare numericamente e professionalmente l’organico degli agenti, degli educatori, degli psicologi e di tutte quelle figure che operano nei servizi sociali dell’esecuzione penale esterna". Oltre alla Lega nord un’opposizione molto dura al provvedimento è stata fatta anche dal Movimento Cinque Stelle, che anche oggi in aula ribadisce con Andrea Colletti che "questo provvedimento è come l’indulto del 2006, fra qualche mese avremo la stessa identica emergenza perché l’indulto non risolve il problema del sovraffollamento delle carceri". Senza appello anche la bocciatura del provvedimento da parte di Fratelli d’Italia: "Tre svuota carceri in un anno dal governo Letta. Tre schiaffi ai cittadini onesti e alle vittime. Alla faccia della certezza della pena. Vergogna", twitta la presidente dei deputati Giorgia Meloni. E anche Forza Italia non risparmia critiche al decreto ma per motivi opposti. Per il partito di Berlusconi "bisogna mettersi in testa che gli unici provvedimenti utili per il Paese sono indulto e amnistia". A chiedere interventi di clemenza è anche Sinistra ecologia e libertà che con Daniele Farina parla solo di "ritocchi che non svuotano alcunché" per il testo passato ora all’esame del Senato e definito da molti "svuota-carceri". "I miei colleghi hanno perso la voce a furia di parlare di indulto e amnistia mascherati - dice Farina rivolgendosi in particolare ai deputati di Lega e M5S - forse hanno sbagliato aula e provvedimento, forse pensavano a qualche Paese più civile". In particolare il testo approvato dalla Camera che ha fatto solo alcune piccole modifiche in commissione Giustizia rispetto al decreto emanato dal governo, prevede diverse misure per affrontare il problema del sovraffollamento delle carceri. A partire dall’ampliamento dell’affidamento in prova e uno sconto di pena ulteriore (esclusi i condannati di mafia o per altri gravi delitti come omicidio, violenza sessuale, rapina aggravata o estorsione) per chi tiene un comportamento meritevole, fino all’incentivo all’uso dei braccialetti elettronici: in pratica ora il giudice dovrà prescriverli in ogni caso a meno che non ne escluda per qualche motivo la necessità. Giustizia: sì della Camera al decreto-carceri, entro il 21 febbraio serve l’ok del Senato di Donatella Stasio Il Sole 24 Ore, 7 febbraio 2014 Ribattezzato "svuota-carceri", il decreto approvato ieri dalla Camera con 296 sì, 183 no e due astenuti, passa al Senato. I tempi per la conversione in legge sono strettissimi perché il provvedimento decade il 21 febbraio e quindi è improbabile che venga modificato e rimandato a Montecitorio. Tanto più se Lega e M5S alzeranno anche a Palazzo Madama le barricate per impedire l’approvazione di quello che considerano un "indulto mascherato", un "regalo" a mafiosi, assassini, stupratori. E stato questo il refrain delle dichiarazioni di voto leghiste e grilline, a cui si sono associati Fratelli d’Italia, mentre Forza Italia ha rilanciato l’indulto. Contraria anche Sel, ma per ragioni diametralmente opposte agli altri poiché ritiene che il provvedimento sia un’occasione mancata e non svuoterà affatto le carceri. Intanto, però, i detenuti stanno progressivamente diminuendo: a dicembre erano 64mila, a fine gennaio 61.449, anche se al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ritengono che non si scenderà al di sotto dei 60-59mila detenuti. Troppi rispetto ai 47mila posti disponibili, tanto più che 4.500 sono inagibili (per 3.000 non è neanche cominciata la manutenzione e per gli altri 1.500 i lavori sono in corso, ma i fondi per la manutenzione sono inesistenti). In diretta Tv, ieri mattina, è andato in scena lo scontro sul decreto, e più in generale tra due diverse visioni del carcere. Lega, M5S e Fratelli d’Italia hanno gridato all’allarme per la scarcerazione di "stupratori veri e non di quelli con cui se la prende la presidente Boldrini". Dai grillini anche l’accusa al governo di "opacità nella lotta alla criminalità" e per aver voluto un "indulto che non risolve il problema carcerario" con la "complicità" del presidente della Repubblica "che firma questo decreto e si rifiuta di andare a Palermo a farsi interrogare sulla trattativa Stato-mafia" (Colletti). I leghisti, stoppati nell’esibizione di uno striscione con la scritta "criminali in galera", hanno sostenuto che il decreto è un "indulto che libera 200 criminali a settimana" e se la sono presi con gli sgravi fiscali alle aziende che assumono detenuti "penalizzando i giovani che hanno studiato e si sono comportati bene" (Molteni). Per Forza Italia (Chiarelli) il decreto è "un’ipocrisia" perché non si ha "il coraggio" di approvare l’unico provvedimento utile, cioè un indulto/amnistia. Tra i favorevoli, l’Ncd ha chiarito che si tratta di una misura "emergenziale e non strutturale" Costa), mentre Marazziti dei popolari di Per l’Italia ha riconosciuto al provvedimento il merito di "rompere il cerchio dell’illegalità" in cui si trova il nostro paese, aggiungendo che chi inneggia a "più carcere, senza se e senza ma, parla alla pancia e non alla testa" dell’Italia. Alessia Morani del Pd ha denunciato le "troppe menzogne sul decreto al solo fine di lucrare qualche voto in più". Come quella secondo cui Nicola Ribisi, condannato per mafia, è uscito dal carcere grazie alla "liberazione anticipata speciale", il presunto indulto mascherato. "Voglio dirvelo - ha detto rivolta alla Lega: Ribisi doveva uscire il 22 gennaio è uscito l’8. Di che cosa stiamo parlando?". Giustizia: un puzzle sulle carceri, per evitare oltre 20 milioni di multa dall’Europa di Claudia Fusani L’Unità, 7 febbraio 2014 Poiché concetti come "umanizzare la pena" e "dignità della persona" possono essere troppo complessi per chi oscilla manette in Parlamento sui banchi del governo, il Presidente della Repubblica l’altro giorno a Strasburgo l’ha messa sul piano dei soldi. Decisamente più concreto. Quindi non più indulto, amnistia, diritto e pietas, ma quattrini. Se entro maggio l’Italia non si mette in regola, non facciamo vedere che stiamo facendo qualcosa sul fronte delle carceri, "rischiamo di pagare una multa di decine e decine di milioni di euro". Napolitano non ha indugiato in cifre. Che però sono circolate in commissione Giustizia alla Camera mettendo in fila le multe già sanzionate (sentenza Torregiani + 6 del Cedu) e quelle possibili. L’Italia è già stata condannata per i primi sette casi a 100 mila euro, circa 14 mila euro a testa. I ricorsi pendenti sono 2.800. Se anche la metà saranno dichiarati inammissibili, basta avere 1.500 condanne (poco più della metà dei casi) per raggiungere 21 milioni di euro. Ma ci sono altri ventimila ricorsi potenziali, pari al numero del sovraffollamento. Ed ecco che vengono fuori le decine e decine di milioni di multa che rischiamo di pagare. Dal 28 maggio in poi. A meno che il governo non dimostri a Bruxelles che sta facendo qualcosa per "umanizzare e rendere quindi efficace la pena". Si comprende, così, il valzer di decreti e provvedimenti di leggi sulle carceri che portano la firma del ministro Guardasigilli Anna Maria Cancellieri e del presidente della Commissione Giustizia Donatella Ferranti. L’ultimo è stato licenziato ieri dalla Camera e attende ora il via libera definitivo del Senato. Ma si tratta solo di un pezzo di un puzzle assai più complesso e che è la risposta del Parlamento al messaggio alle camere che il presidente Napolitano volle inviare l’8 ottobre scorso. Messaggio che metteva in conto anche amnistia e indulto. Governo e Parlamento provano a risolvere il problema carcere con un piano B. Un puzzle composto tra tre provvedimenti di legge che si completano l’uno con l’altro e misure speciali decise dal ministro (entro maggio 4.500 posti letto in più e8 ore d’aria al giorno per tutti i detenuti). Il decreto approvato ieri, contro cui hanno fatto fuoco e fiamme M5S e Lega (i deputati del Carroccio hanno esposto in aula uno striscione con scritto "criminali in galera"), punta a diminuire ingressi e permanenza in carcere lavorando su snodi non clamorosi ma utili se sommati insieme. È il decreto che prevede il nuovo reato di "piccolo spaccio" e che, evitando il cumulo delle recidive, diminuirà la presenza in cella di tossicodipendenti (sono 8mila)ma non spacciatori, ragazzi che possono essere ancora recuperati dopo una limitata carcerazione. È il decreto, soprattutto, che prevede la liberazione anticipata speciale (75 giorni, invece di 45, di sconto pena per buona condotta ogni semestre di condanna; sono esclusi i reati gravi e di mafia); l’affidamento in prova ai servizi sociali per reati fino a 4 anni di pena e la possibilità di scontare a casa gli ultimi 18 mesi di pena. E poi l’espulsione per i detenuti stranieri, l’obbligo del braccialetto elettronico per chi ottiene i domiciliari. Questo pezzo - ancora non definitivo - avrebbe scarso significato se non fosse incastrato con il disegno di legge sulla custodia cautelare che è stato approvato alla Camera a larga maggioranza ed è stato calendarizzato il 20 febbraio al Senato per - è la speranza - l’approvazione definitiva. L’obiettivo del provvedimento è sfoltire quel numero impressionante di detenuti (il 24 per cento del totale che sono 65mila) in attesa di giudizio. Gli arresti (prima della condanna definitiva), infatti, dovranno essere motivati con "pericoli concreti e non solo attuali". Completa la figura del puzzle un terzo provvedimento che è già alla seconda lettura alla Camera (in aula il 21 febbraio) ed estende l’istituto della messa alla prova, un patto tra condannato e giudice per cui si offre un percorso alternativo (lavori socialmente utili) per espiare la pena, lontano dal carcere. Se poi la prova va a buon fine, la pena sarà estinta. È un cambio di prospettiva culturale radicale: il carcere non sarà più la prima opzione, tranne che per i reati gravi. Finché si può l’arrestato resta agli arresti domiciliari con tutte le limitazioni del caso. Nessuno di questi provvedimenti sarà automatico, ogni volta ci sarà il filtro del giudice di sorveglianza. Se il Parlamento riuscirà, come sembra, ad incastrarli entro marzo nell’unico puzzle dell’emergenza carcere, eviteremo decine di milioni di multa. Soprattutto, potremo ristorare la coscienza. Almeno un po’. Giustizia: la "bufala grillina" del decreto-carceri che libera i mafiosi di Stefania Carboni www.giornalettismo.com, 7 febbraio 2014 Ieri la deputata 5 Stelle Laura Castelli ha attaccato il collega Pd Mattiello sul provvedimento che ora dovrà passare al vaglio del Senato. Qual è la verità? "Il decreto svuota-carceri farà uscire con grandi sconti di pena mafiosi, assassini e stupratori. Quelli veri. L’enorme ipocrisia della maggioranza ha raggiunto il culmine. Grazie alla nostra opposizione il Governo ha rimandato in commissione questo decreto della vergogna. La battaglia parlamentare per evitare questo indulto mascherato continua". Così Beppe Grillo ha annunciato qualche giorno fa sul suo blog tutta la sua critica verso il provvedimento che ieri ha ricevuto il suo ok alla Camera. Una linea portata avanti anche dai suoi deputati durante il voto. "In questa foto - ha postato ieri Laura Castelli. c’è un collega, deputato della Repubblica italiana, per anni Presidente di Libera Piemonte e oggi eletto nel Pd. Nessuna parola lui ha speso per un decreto "lo svuota carceri", che ha rimesso in libertà i mafiosi. E oggi voterà a favore. Insomma, con quale faccia i ragazzi di Libera possono guardarlo negli occhi e credere che lui in Parlamento sia davvero il portavoce di tutti quelli che gridano a gran voce "Fuori la mafia dallo Stato?". Peccato che però il deputato in questione, Davide Mattiello del Pd, si sia preoccupato abbastanza di non liberare i "mafiosi" all’aria aperta. L’ha fatto con due emendamenti, di cui uno passato in Commissione Giustizia prima della messa in fiducia del governo (indi per cui oramai parte integrante del testo) e sotto la firma di Donatella Ferranti. Si tratta dell’abrogazione del comma 4 all’articolo 4: la parte che allargava la liberazione anticipata speciale anche ai condannati per mafia. Procediamo per passi. Il post di Laura Castelli non ha ricevuto tanti complimenti. Sotto sono partiti gli attacchi verso l’associazione Libera: "Mi aspetto - spiega sotto un utente - reazione di Libera altrimenti per me sono collusi anche loro". Ma c’è anche chi chiede a Laura di precisare: "Avessi vissuto un solo decimo della vita spesa da Davide Mattiello verso gli ultimi forse saresti una persona migliore". Ma il provvedimento svuota carceri libera i mafiosi? Ora con l’emendamento passato in Commissione prima del voto (e soprattutto della fiducia) in aula la liberazione anticipata speciale non vale per i condannati per mafia. Si tratta del 4.5. A darne annuncio fu il deputato Pd stesso il 3 febbraio scorso: Ieri Mattiello, sempre in serata, ha risposto a Castelli: "Durante la discussione del Dl Cancellieri i deputati del M5S hanno provocato e offeso chi si impegna sul fronte della legalità, finanche personalità come don Ciotti, Caselli e Saviano, e hanno sostenuto una colossale falsità: secondo loro nessuno di noi impegnato sul fronte antimafia avrebbe agito per correggere il decreto sulle carceri nella parte in cui estendeva la liberazione anticipata speciale anche ai condannati per mafia. La cosa grave è che sanno bene di mentire: ho personalmente depositato l’emendamento abrogativo il 17 gennaio, lo stesso proposto dalla presidente della Commissione Giustizia, Ferranti, sottoscritto dalla presidente della Commissione Antimafia, Bindi. L’emendamento è stato poi votato in commissione e l’articolo abrogato. Punto. Gli esponenti 5 Stelle, dopo averci spiegato che soltanto loro rappresentano i cittadini, adesso pretendono di dirci che solo loro fanno antimafia. La smettano". Mattiello aveva presentato in Commissione anche un ulteriore emendamento (che non è passato) chiedendo di aggiungere allo stesso comma, tra i requisiti soggettivi anche coloro che "abbiano collaborato con l’autorità di polizia o con l’autorità giudiziaria ai sensi dell’art. 58 ter legge 354 del 26 Luglio 75?". E i ragazzi di Libera? Enrico Fontana, coordinatore nazionale, preferisce non commentare le accuse che sono partite dal post: "Polemiche che francamente non ci riguardano. Non è nel nostro stile entrare in questo tipo di questioni". Cosa altro contiene il decreto? Tra le norme spiccano il reato autonomo di piccolo spaccio, gli incentivi all’uso dei braccialetti elettronici e l’espulsione degli stranieri in stato detentivo. Cosa cambia nel caso dei braccialetti elettronici? Oggi nel disporre i domiciliari, il giudice li prescrive solo se necessari. In futuro dovrà indicarli sempre, salvo casi in cui ne escluda la necessità. Se i 5 Stelle denunciano i legami tra il figlio della Cancellieri e l’uso dei dispositivi, il cambiamento di fatto c’è comunque: si tratta dell’onere motivazionale, ora rovesciato, per garantire l’obiettivo di "assicurare un controllo più costante e capillare senza ulteriore aggravio per le forze di polizia". E sullo spaccio? Ci sarà l’attenuante di lieve entità nel delitto di detenzione e cessione illecita di stupefacenti che diventa ora reato autonomo. Viene anche meno il divieto di "disporre per più di due volte l’affidamento terapeutico al servizio sociale dei condannati tossico/alcool dipendenti". Ai minorenni tossicodipendenti accusati per piccolo spaccio si apriranno le porte della comunità piuttosto che quelle del carcere. Uno sforzo in più però poteva esser fatto. A raccontarlo è il vicepresidente di Abele Leopoldo Grosso che a Giornalettismo spiega: "Il risultato è uno svuota carceri comunque relativo che non coglie gli aspetti essenziali delle leggi criminogene, specialmente per le tossicodipendenze e immigrazione". La norma prevede però comunità per gli under 18: "Per minori italiani comunque c’è già tutta una serie di opportunità, semmai si dovrebbe pensare a minori stranieri non accompagnati. Il vero problema sono gli adulti. Ci sono reati che andrebbero rivisti. O si mette mano alle Bossi-Fini e Fini-Giovanardi o si hanno solo dei tamponamenti non provvedimenti che risolvano a monte le carceri sovraffollate". Sarà istituito un garante per i detenuti e sarà fino a 4 anni il limite di pena (anche residua) che consente l’affidamento in prova ai servizi sociali, ma su presupposti più gravosi (periodo di osservazione) rispetto all’ipotesi ordinaria che resta invece sui 3 anni. Oltre ai poteri rafforzati d’urgenza del magistrato di sorveglianza si è parlato soprattutto di liberazione anticipata speciale. Passa infatti da 45 a 75 giorni a semestre la detrazione di "pena concessa con la liberazione anticipata". E torniamo sempre sul punto in questione. Ne godranno anche i mafiosi? L’ulteriore sconto, che comunque non vale in caso di affidamento in prova e detenzione domiciliare, è tuttavia applicato in seguito a valutazione di merito del beneficio. "Sono in ogni caso esclusi - spiega la nota - i condannati di mafia o per altri gravi delitti (come omicidio, violenza sessuale, rapina aggravata, estorsione)". A ribadirlo è anche Grosso stesso che davanti alla tesi del "libera mafiosi" osserva: "Ecco. Questo sicuramente no". Giustizia: con lo svuota-carceri espulsioni più facili per i detenuti stranieri di Sonia Oranges Il Messaggero, 7 febbraio 2014 L’aula della Camera, ieri mattina, ha dato l’ok alla conversione in legge del decreto legge carceri, ora in lettura al Senato, finalizzato a svuotare le carceri (come prima risposta alla sentenza Torreggiani, con cui l’Europa ha messo in mora l’Italia per le pessime condizioni di detenzione nel nostro Paese), ma anche per garantire maggiori diritti a chi sconta una pena: 296 i "sì", 183 i "no" e due astenuti, con la Lega che ha esposto uno striscione con su scritto: "Criminali di guerra", preannunciando il voto contrario, come quello degli altri gruppi d’opposizione. A cominciare dal M5S che ha imposto l’esclusione dalla cosiddetta "liberazione anticipata", dei detenuti per reati gravi, come mafia e terrorismo. A difendere le nuove misure, invece, l’intera maggioranza, anche se Ncd avrebbe preferito affrontare anche le questioni connesse alla custodia cautelare e alla responsabilità civile dei magistrati. "Il testo è un buon punto di equilibrio tra garanzie umanitarie ed esigenze di sicurezza", ha dichiarato la presidente della commissione Giustizia, la democratica Donatella Ferranti, commentando il provvedimento che introduce una serie di novità. Prima fra tutte, il recupero del braccialetto elettronico, stavolta come regola e non come eccezione. Nel testo, inoltre, l’attenuante di lieve entità, nel caso di detenzione e cessione illecita di stupefacenti, diventa reato autonomo, per evitare che l’equivalenza con le aggravanti (come la recidiva) abbia per effetto pene sproporzionate. Per i condannati tossicodipendenti, inoltre, scompare il divieto di disporre per più di due volte l’affidamento terapeutico al servizio sociale, mentre ai piccoli spacciatori minorenni le misure cautelari saranno applicabili in comunità. C’è poi il capitolo riguardante le misure specifiche per alleggerire il sovraffollamento carcerario: si va dall’affidamento in prova ai servizi sociali (il limite di pena è quattro anni, ma presuppone un periodo d’osservazione più gravoso, mentre si rafforzano i poteri d’urgenza del magistrato di sorveglianza), alla liberazione anticipata speciale (la misura contestata da Lega e grillini che, nella versione più soft approvata ieri, prevede l’innalzamento da 45 a 75 giorni a semestre della detrazione di pena concessa in seguito a una valutazione di "meritevolezza", che però varrà solamente dal 1 gennaio 2010 al 24 dicembre 2015), alla stabilizzazione della norma che consente di scontare ai domiciliari la pena detentiva (anche se residua) non superiore a 18 mesi, ma non nei casi di delitti gravi, se c’è rischio di fuga o a tutela di persone offese. Il perimetro dell’espulsione come misura alternativa alla detenzione è allargato anche agli stranieri condannati per un delitto previsto dal testo unico sull’immigrazione (a patto che la pena prevista superi nel massimo i 2 anni), e per rapina o estorsione aggravate, velocizzando già dall’ingresso in carcere, la procedura di identificazione propedeutica all’effettività dell’espulsione. C’è infine, l’insieme di misure sui diritti: in via Arenula sarà istituito il Garante nazionale dei diritti dei detenuti, ovvero un collegio di tre esperti indipendenti, che vigileranno sul rispetto dei diritti umani nelle carceri e nei Cie, anche attraverso la formulazione di specifiche raccomandazioni. Giustizia: il Sottosegretario Berretta; provvedimento importante per risolvere emergenza Italpress, 7 febbraio 2014 "Il voto favorevole della Camera alla conversione del Dl carceri è un passo avanti per rimettere al centro del nostro sistema carcerario la dignità della persona". Così il sottosegretario alla Giustizia, Giuseppe Berretta, a seguito dell’approvazione alla Camera del Dl carceri. "I risultati di questi ultimi mesi - aggiunge - testimoniano la bontà della strategia del Governo in tema di lotta al sovraffollamento carcerario: in poco più di 9 mesi e senza provvedimenti emergenziali il tasso di sovraffollamento è sceso dal 141% al 128%. Con il decreto è stata istituita la figura del Garante nazionale dei detenuti, sono state introdotte nuove misure a tutela dei reclusi, come la possibilità di rendere davvero effettivo il reclamo al magistrato di sorveglianza, e sono stati rafforzati gli uffici di esecuzione penale esterna", spiega il sottosegretario. "L’utilizzo del braccialetto elettronico non sarà più l’eccezione ma la regola alleggerendo così il lavoro della Polizia e aver reso reato autonomo lo spaccio di lieve entità, tipico dei consumatori di stupefacenti, dallo spaccio vero è un segnale da parte del Governo della volontà di intervenire su un versante che rappresenta uno dei punti nevralgici per il corretto funzionamento della giustizia e del nostro sistema penitenziario". Con questo decreto sono state inoltre ampliate le possibilità di utilizzo dell’espulsione dei detenuti stranieri come misura alternativa alla detenzione e l’uso dell’affidamento in prova al servizio sociale e alle comunità terapeutiche dei detenuti tossicodipendenti", sottolinea il sottosegretario alla Giustizia. "Infine, attraverso l’introduzione della liberazione anticipata speciale si alleggerirà la pressione sui nostri Istituti di pena, ma senza alcun meccanismo automatico e solo per i detenuti meritevoli Questa misura, al contrario di quanto affermato dall’opposizione in questi giorni in Aula - conclude Berretta - esclude dai benefici i condannati per mafia o per altri gravi delitti". Giustizia: commenti di esponenti politici dopo l’approvazione del decreto-carceri Dire, 7 febbraio 2014 Morani (Pd): decreto strumento per dare risposte immediate "Dato l’assetto istituzionale e politico italiano il legislatore è costretto sempre a legiferare in emergenza. L’imperativo è dare risposte immediate al problema carceri e la conversione di questo decreto è uno degli strumenti per farlo". Lo dice in in Aula alla Camera la responsabile Giustizia del Pd, Alessia Morani, durante il suo intervento in dichiarazione di voto finale sul dl carceri, annunciando il voto favorevole del suo gruppo. "Il Pd vuole il superamento della Fini-Giovanardi e che vengano stanziate risorse per gli assistenti sociali e per la polizia penitenziaria", aggiunge Morani, che poi attacca i deputati del Carroccio: "Troppe menzogne in quest’aula - dice rivolta direttamente al collega Nicola Molteni - per racimolare qualche voto in più". "L’indulto è un provvedimento che si applica in maniera generale, la liberazione anticipata è invece un beneficio concesso solo in presenza di determinate condizioni - dice ancora la deputata democratica - L’unica vera vergogna sono le leggi come la Fini-Giovanardi e la Bossi-Fini". "Non ci fermeremo qui: custodia cautelare, pene detentive non carcerarie, si tratta di decreti che tutti insieme daranno risposte efficaci al problema del sovraffollamento", conclude Morani, che durante il suo intervento ha più volte criticato - senza mai nominarlo - Beppe Grillo. Verini (Pd): penitenziari più umani e più sicurezza "Il decreto carceri approvato dalla Camera è un provvedimento che tiene insieme la sicurezza dei cittadini e la necessità di rendere umane carceri che umane non sono". Lo ha dichiarato Walter Verini, capogruppo del Pd in commissione Giustizia alla Camera. "Lega e 5 Stelle hanno fatto terrorismo: per raccattare qualche voto hanno agitato paure, inventandosi cose di cui nel decreto non c’è traccia", ha assicurato. "Con gli emendamenti del Pd, per esempio, ora i detenuti ragazzini tossicodipendenti potranno essere curati in Comunità e non morire in carcere. I detenuti per gravi reati di mafia, terrorismo, violenza sessuale non godranno di ulteriori sconti di pena", ha assicurato. "Il decreto prevede poi l’uso serio dei braccialetti elettronici e altre misure che, insieme ad altri provvedimenti, potranno ridurre quel sovraffollamento carcerario che, oltre ad essere una vergogna, rischia di far pagare all’Italia centinaia di milioni di euro di sanzioni europee. Rendere umane le carceri, far sì che la certezza della pena significhi recuperare persone che una volta uscite possano reinserirsi e non tornare a delinquere, è un dovere civile e vuol dire difendere la sicurezza dei cittadini: credo che la Lega e 5 Stelle si debbano vergognare per le speculazioni e le volgarità che in questi giorni hanno caratterizzato il loro comportamento", ha concluso. Ferranti (Pd): passo avanti per detenzioni dignitose "Un altro passo avanti verso carceri più vivibili e detenzioni più dignitose. Credo che questo decreto, che si aggiunge agli altri interventi strutturali già approvati o in via di approvazione come la messa alla prova e la riforma del cautelare, sarà una buona carta da giocare in sede europea dopo la sentenza ‘Torreggianì per evitare la procedura di infrazione e l’esborso di vari milioni di euro". Così Donatella Ferranti, presidente della commissione Giustizia alla Camera, commenta il via libera al decreto carceri da parte dell’aula di Montecitorio. "Il testo che approda ora al Senato - sottolinea l’esponente del Pd - è un buon punto di equilibrio tra garanzie umanitarie ed esigenze di sicurezza. Non c’è alcun cedimento nei confronti dei delitti gravi e di mafia, nessun indulto mascherato, nessuna liberazione automatica. Si potrà avere uno sconto di pena solo sulla base di una valutazione in concreto da parte del giudice della positiva condotta dei condannati". Ma se il pacchetto normativo fin qui definito va nella direzione giusta, ora occorre che "il governo - dice Ferranti - metta in campo anche risorse economiche: una politica carceraria seria è impensabile a costo zero. Servono investimenti per attuare un deciso piano edilizio secondo moduli e criteri avanzati, servono investimenti per potenziare numericamente e professionalmente l’organico degli agenti, degli educatori, degli psicologi, di tutte quelle figure che operano nei servizi sociali dell’esecuzione penale esterna". Coletti (M5S): è un indulto e non risolve i problemi "Questo provvedimento è come l’indulto del 2006, fra qualche mese avremo la stessa identica emergenza. Perché l’indulto non risolve il problema del sovraffollamento delle carceri". Lo ha detto in Aula alla Camera Andrea Colletti (M5s), durante il suo intervento in dichiarazione di voto finale al dl carceri, annunciando il voto contrario del suo gruppo. Colletti, in aula, ha anche citato - subito richiamato dal presidente di turno Roberto Giachetti - il presidente della Repubblica, che secondo i 5 stelle "si rifiuta di testimoniare al processo" sulla presunta trattativa Stato-mafia. Durante il suo intervento il deputato M5s è stato rimproverato più volte da Giachetti, a causa delle insinuazioni sui rapporti con la mafia degli altri parlamentari: "Voi - ha detto Colletti - avete dato un segnale di resa alla mafia, nella lotta alla mafia bisogna essere fermi. Noi non ci arrenderemo alla vostra politica criminale, vorreste vederci schiavi ma non ci arrendiamo". Chiarelli (Fi): unici provvedimenti utili sono indulto e amnistia "Forza Italia per primo chiede di calendarizzare subito in aula il dibattito sul messaggio di Napolitano sulle carceri. Invece questo dl non segue le indicazioni del capo dello Stato, perché bisogna mettersi in testa che gli unici provvedimenti utili per il Paese sono indulto e amnistia, bisogna avere il coraggio di dirlo". Lo dice in in Aula alla Camera Gianfranco Giovanni Chiarelli (Fi), durante il suo intervento in dichiarazione di voto finale sul dl carceri, annunciando il voto contrario del suo gruppo e aggiungendo: "Gli italiani non possono rimanere ostaggi della doppia morale di chi governa questo Paese. Chi oggi è detenuto non ha nessuna colpa, la colpa è della politica che non è riuscita a risolvere i problemi". Costa (Ncd): serve riforma organica per garanzia pena "Voteremo a favore del decreto, ma non possiamo pensare che questa sia la riforma organica di cui il nostro Paese ha bisogno. Non possiamo fare una riforma con la paura della sanzione o dell’infrazione (europea; Ndr), ma dobbiamo fare una riforma organica che garantisca la certezza della pena". Lo dice in Aula alla Camera il capogruppo di Ncd Enrico Costa, durante le dichiarazioni di voto al decreto Carceri. Il gruppo Ncd voterà a favore del provvedimento. Marazziti (Sc): decreto passo per uscire dall’illegalità "I Popolari per l’Italia voteranno con convinzione questa legge per ridurre alcune distorsioni terribili del nostro sistema carcerario, che è da tempo in bancarotta, e per consentire al nostro Paese di tornare più legale e più civile, più sicuro e al tempo stesso più umano". Lo ha affermato il deputato dei Popolari per l’Italia Mario Marazziti, intervenendo in Aula, durante le dichiarazioni di voto finale al decreto carceri. "è facile in quest’Aula parlare alla pancia e non alla mente - ha sottolineato Marazziti , ma non c’è bisogno di sceneggiate da parte di chi dice "criminali in galera senza se e senza ma in questo carcere". Il nostro è un sistema ormai ufficialmente fuorilegge, condannato dalla Corte Europea di Giustizia perché per il sovraffollamento, le condizioni disumane in tanti istituti di pena, l’impossibilità pratica di programmi di riabilitazione e di cura, offre un trattamento disumano e degradante qualunque sia la ragione per cui in carcere ci si è finiti. Nessun indulto mascherato. Noi siamo contro l’illegalità. Contro la criminalità organizzata. Chi commette un reato deve pagare, capire l’errore che ha commesso, scontare una condanna, ma deve anche essere aiutato a reinserirsi nella società". Farina (Sel): un passo quasi immobile e a costo zero "I miei colleghi hanno perso la voce a furia di parlare di indulto e amnistia mascherati: forse hanno sbagliato aula e provvedimento, forse pensavano a qualche Paese più civile. Secondo Lega e M5s avremmo fatto quattro svuota carceri negli ultimi tempi, ma si tratta solo di ritocchi che non svuotano alcunché. Oggi serviva intelligente coraggio, ma così non è stato. È un passo quasi immobile quello che compiamo e soprattutto a costo zero". Lo dice in in Aula alla Camera Daniele Farina (Sel), durante il suo intervento in dichiarazione di voto finale al dl carceri, annunciando il voto contrario del suo gruppo. "È prevalso il tono muscolare, con il risultato che in galera continuano ad andare cittadini per fatti che non dovrebbero essere reato. In quest’aula sono state sventolate manette, ma rivolte a chi? - dice Farina rivolto ai leghisti - Chi ha votato la Fini-Giovanardi (legge sulle droghe; Ndr) ha votato a favore della mafia e della sua infiltrazione nell’economia legale". Farina accusa poi il governo di essere troppo "timido, ecco perché il dibattito parlamentare sul messaggio di Napolitano sulle carceri slitta di settimana in settimana". Molteni (Lega): chi sbaglia paga. lo chiedono gli italiani onesti "Ci sono 60 milioni di italiani fuori dal carcere, che vogliono vivere onestamente. E invece voi vi occupate solo di chi delinque. Altro che buonismo o solidarietà. Altro che solo diritti dei detenuti. Chi sbaglia paga: questo chiedono i 60 milioni di italiani che stanno fuori dalle galere". Interviene così, in Aula alla Camera, il deputato della Lega Nord Nicola Molteni, durante le dichiarazioni di voto al decreto Carceri, annunciando il voto contrario del suo gruppo. "Dove sono i professionisti dell’antimafia - aggiunge - e i Saviano-boys? Il ministro Roberto Maroni è stato l’unico a combattere seriamente la mafia". Giustizia: il decreto-carceri? un indultino in borghese di Riccardo Arena www.ilpost.it, 7 febbraio 2014 La Camera ha approvato la conversione in legge del decreto sulle carceri. L’ennesimo. E infatti negli anni passati, decreti simili li ha proposti Alfano, poi la Severino e ora la Cancellieri. Tre governi, tre Ministri della Giustizia, stesso risultato. Non provvedimenti utili al sistema penitenziario, ma provvedimenti tampone utili solo al governo. Lo scopo è chiaro: evitare che si superi la soglia di 65 mila presenze nelle carceri, facendo uscire 5 o 6 mila detenuti. Un risultato ben lontano da quello prioritario: eliminare il sovraffollamento e le sue cause, così come ci chiede l’Europa. Ma in quest’ultimo decreto c’è qualcosa di diverso. Non solo si ribadisce la possibilità di poter sostituire la detenzione carceraria con quella domiciliare, ma si eleva a 4 anni il tetto di pena per poter accedere alle misure alternative e si innalza da 45 a 75 giorni la liberazione anticipata. Meccanismo questo che consentirà di far uscire dalle carceri qualche migliaio di detenuti. Una riforma che ha suscitato non poche critiche, non ultima quella di essere un indulto mascherato. E in effetti, che ci sia qualcosa di anomalo lo si ricava dallo stesso decreto. Decreto che, proprio in riferimento alla liberazione anticipata, pone una scadenza: i detenuti potranno beneficiare dell’innalzamento dei giorni per la liberazione anticipata solo per i prossimi due anni e basta. In altre parole, grazie alla riforma sulla liberazione anticipata, si applicherà uno sconto di pena temporaneo e di fatto indiscriminato, tipico di un atto di clemenza. Ma vi è di peggio. Infatti il decreto, non ricorda solo un indulto mascherato, ma ricorda (e non poco) un indultino in borghese. Indultino, approvato qualche anno fa, che subito in carcere ribattezzarono "insultino" per la sua modesta portata. Esattamente ciò che accadrà col decreto sulle carceri, grazie al quale si inciderà solo in minima parte sulla piaga del sovraffollamento. Infine, come se non bastasse, ancora più striscianti e pericolosi appaiono poi gli effetti indiretti che produrrà questo "indultino in borghese". Primo fra tutti, rimandare di un anno se non di più il dibattito politico sull’indulto, sull’amnistia e sulla riforma della giustizia penale. Dibattito imposto dalla Corte Europea, che ha dato tempo all’Italia fino al 28 maggio per trovare soluzioni concrete e di sistema. Dibattito auspicato dal Capo dello Stato nel messaggio inviato alle Camere. Dibattito non più rinviabile per chi ha a cuore il rispetto della legge e la conservazione dello Stato di diritto. Insomma, "l’indultino in borghese", ovvero il decreto sulle carceri, non solo è inutile. È anche dannoso. Giustizia: così si muore nelle "celle zero" italiane… dai pestaggi ai suicidi sospetti di Antonio Crispino Corriere della Sera, 7 febbraio 2014 Per quando questa inchiesta sarà tolta dal sito del Corriere (più o meno 48 ore), in carcere sarà morta un’altra persona. Sono 2.230 decessi in poco più di un decennio. Quasi un morto ogni due giorni. Morte naturale, arresto cardio-circolatorio, suicidio. Queste le cause più comuni. Quelle scritte sulle carte. Poi ci sarebbero i casi di pestaggio, di malasanità in carcere, di detenuti malati e non curati, abbandonati, le istigazioni al suicidio, le violenze sessuali, le impiccagioni a pochi giorni dalla scarcerazione o dopo un diverbio con il personale carcerario. Sono le ombre del sistema. La versione ufficiale è che il carcere è "trasparente", sono tutte fantasie, storie metropolitane. "I detenuti, ormai, l’hanno presa come una moda quella di denunciare violenze". Parola di Donato Capece, leader del Sappe (Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria). Per essere credibili bisogna portare le prove, le testimonianze. In che modo? "Il carcere è un mondo a parte, un sistema chiuso dove si viene a sapere quello che io voglio che si sappia e dove le carte si possono sistemare a piacimento. Il sistema tende a proteggere se stesso" sintetizza Andrea Fruncillo, ex agente penitenziario di Asti. Lo avevamo incontrato già qualche anno fa. Grazie anche alla sua denuncia (caso più unico che raro) venne alla luce il sistema di pestaggio organizzato all’interno del carcere dove prestava servizio. In primo grado non si trovò nessun responsabile. In secondo grado sono arrivate le condanne. È una lotta impari, una fatica di Sisifo. "Anche lì dove riusciamo faticosamente a reperire delle prove finisce quasi sempre con una prescrizione" spiega l’avvocato Simona Filippi. È uno gli avvocati di Antigone, l’associazione che si occupa dei diritti dei detenuti. Carte alla mano, ci mostra come i reati per cui si procede sono attinenti alle sole lesioni. I tempi di prescrizione sono facilmente raggiungibili rispetto a un reato di tortura. Se fosse introdotto nel nostro ordinamento. Ad oggi, infatti, questo reato non esiste. Come praticamente non esistono condanne passate in giudicato. Esistono, invece, foto e documenti agghiaccianti che pochi dubbi lascerebbero sulla natura della morte del detenuto. Ma tutto è interpretabile e la scriminante è sempre dietro l’angolo. Lo avevamo testato anche noi, nel 2012, dopo l’aggressione ricevuta da parte del comandante degli agenti penitenziari di Poggioreale che minacciò: "Se non spegni questa telecamera te la spacco in testa... I detenuti li trattiamo anche peggio, lo puoi anche scrivere". Anche in quel caso chiedevamo di presunti casi di violenza. Tante scuse per l’accaduto, la richiesta - cortese - di non denunciare da parte della direttrice e promesse di azioni disciplinari da parte del Dap. Nulla di concreto. Anzi. Sul sito della polizia penitenziaria il comandante viene descritto come un "martire della battaglia", in puro stile corporativo, provocato da giornalisti in cerca di scoop. "Nessuna prova". Qualche foto gira su internet per la pervicacia di genitori che chiedono giustizia: sono i casi di Stefano Cucchi, Marcello Lonzi (la mamma ha venduto tutto quello che aveva per pagare avvocati e periti. Ultimamente ha messo in vendita il proprio rene per poter pagare il ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo a Strasburgo. La battaglia legale va avanti da 10 anni) o Federico Perna. Gli altri non li conosce nessuno. Come Manuel Eliantonio, Carlo Saturno, Bohli Kaies, Raffaele Montella, Aldo Tavola, Stefano Guidotti, Antonino Vadalà, Mauro Fedele, Gregorio Durante, Giuseppe Rotundo e troppi altri. Raccogliamo tutto quello che si può documentare. Lo mostriamo, in una miscellanea di orrore e terrore, al Garante dei detenuti della Lombardia Donato Giordano, la regione con il più alto numero di carcerati. "È una follia, se è vero come è vero quello che ho visto siamo messi peggio del nazismo". Eppure casi di pestaggio sulla sua scrivania non sono mai arrivati. Nemmeno uno. Invece da mesi ci arrivano via posta segnalazioni dal carcere di Opera. "Fate luce sulla cella 24", ci scrivono. Cos’è la cella 24? "Solo una cella come tante altre dove mettono drogati e alcolizzati. Il direttore del carcere mi ha detto che è vuota per evitare che si facciano male. Indagherò" ci fa sapere il garante Giordano. In tutta Italia la cella 24 ha tanti nomi. Ogni detenuto, a seconda della provenienza geografica, la apostrofa in modo diverso, ma il senso è quello: cella 0, cella interrata, cella frigorifera, cella nera, cella estiva/invernale… Ogni termine ha una spiegazione. Incontriamo un poliziotto di Poggioreale per chiedergli del sovraffollamento ma il discorso vira inevitabilmente sull’esistenza della "cella zero", la cella dove verrebbero portati i detenuti da punire. Non sa di essere ripreso. Spaventa la normalità con la quale afferma cose di una certa gravità: "Poggioreale è stato scenario di tante cose violente, dentro Poggioreale si è sparato, ci sono stati i morti, sono girate pistole… fino a quando non c’è stata la svolta autoritaria delle forze dell’ordine. Nella gestione di una popolazione del genere, permetti che c’è anche il momento di tensione, che si superano dei limiti, da ambo le parti e si interviene in questo modo? Penso che è naturale… È un po’ come lo schiaffo del padre in famiglia, no?". La denuncia che il garante si aspetta sulla scrivania dovrebbe partire da un detenuto pestato che si trova all’interno del carcere e convive con altri detenuti che non vogliono problemi. La stessa denuncia prima di essere spedita passerebbe tra le mani del sistema carcerario. Dopodiché il detenuto dovrebbe continuare a convivere con i suoi presunti carnefici, ogni giorno. Il tutto partendo dal presupposto che un detenuto, per definizione, ha una credibilità pari allo zero e una possibilità di documentare quello che dice praticamene nulla. "Anche se viene trasferito dopo la denuncia, il detenuto sa che le prende lo stesso. Tra di noi arrivava la voce di chi aveva fatto l’infame e si trovava ugualmente il modo di punirlo. Chi sa sta zitto, anche i medici. Ad Asti dicevamo noi al medico cosa scrivere sulla cartella clinica dopo un pestaggio. Ovviamente nei casi in cui lo portavamo da un medico. Ci sono tanti bravi agenti che fanno solo il loro dovere ma seppure assistessero ai pestaggi non potrebbero parlare. Sarebbero mandati in missione in chissà quale carcere sperduto d’Italia, gli negherebbero le licenze, i permessi, farebbero problemi con le ferie, verrebbero discriminati... Insomma il carcere è un mondo con le sue regole" ricostruisce così la sua esperienza, Fruncillo. "Ci aveva provato Carlo Saturno a denunciare le violenze subite nel carcere minorile di Bari" ricorda Laura Baccaro autrice con Francesco Morelli del dossier "Morire di carcere" pubblicato su Ristretti Orizzonti. È stato sfortunato. Era l’unico testimone ed è morto impiccato una settimana prima dell’udienza in cui doveva deporre. Il processo si è chiuso per mancanza di prove. Katiuscia Favero. Anche lei aveva denunciato: un medico e due infermieri dell’Opg di Castiglione delle Stiviere, in provincia di Mantova. La avrebbero violentata ripetutamente. "Dopo la denuncia viene trovata impiccata a un albero in un recinto accessibile solo al personale medico-infermieristico. Sfortunata anche lei. Perché spariscono anche le perizie ginecologiche effettuate dopo la denuncia". Caso chiuso. Nel 2008 verranno assolti sia il medico che gli infermieri denunciati da Katiuscia, per mancanza di prove. Cristian De Cupis diceva che alcuni agenti della Polfer di Roma lo avevano picchiato durante l’arresto. Denuncia tutto al Pronto soccorso. Muore prima ancora che gli convalidino l’arresto. Aveva 36 anni. Manuel Eliantonio viene fermato all’uscita di una discoteca. Aveva fumato, usato droghe. Gliene trovano alcune in tasca e lui scappa. L’agente lo rincorre e lo porta nella caserma della Polizia stradale di Carcare, provincia di Savona poi in carcere. Ufficialmente muore per "arresto cardiaco" ma il giorno prima aveva scritto alla mamma: "Mi ammazzano di botte, mi riempiono di psicofarmaci, quelli che riesco li sputo, se non li prendo mi ricattano". Anche qui, nessuna prova. Nessuna prova e nessuna testimonianza neppure per Bohli Kaies. È uno spacciatore tunisino morto per "arresto cardiocircolatorio". La perizia disposta dal procuratore di Sanremo precisa: "Avvenuta per asfissia violenta da inibizione dell’espansione della gabbia toracica". In pratica: soffocato. Così il procuratore Roberto Cavallone decide di indagare i tre carabinieri che procedettero all’arresto. Dirà: "È una morte della quale lo Stato italiano deve farsi carico. Chi ha visto si faccia avanti e i tre militari raccontino come è andata". Non si saprà mai come è andata nemmeno per Rachid Chalbi. Trovato morto in cella per "suicidio". Qualche giorno prima era stato punito con il trasferimento nel penitenziario di Macomer. Quando i parenti si recano all’obitorio notano ecchimosi sul volto e sul petto. I parenti si chiedono: "Nonostante la richiesta del consolato e dei legali l’autopsia non è stata eseguita. Perché?". Giustizia: inaccettabile la richiesta della proroga di 4 anni per la chiusura degli Opg da Unione delle Camere Penali Italiane - Osservatorio Carcere Ristretti Orizzonti, 7 febbraio 2014 Con una proposta emendativa alla legge "mille proroghe" la Conferenza Stato Regioni ha chiesto di apportare al "al comma 4 dell’articolo 3-ter della legge 17 febbraio 2012, n. 9" la seguente modifica: le parole: " 1 aprile 2014" sono sostituite dalle seguenti: "1 aprile 2017". In buona sostanza le Regioni con un atto sconcertante chiedono di prorogare di ben 4 anni il termine per la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. Nella motivazione si legge: "Nonostante il fatto che le Regioni abbiano presentato, entro i ristretti termini assegnati (15 maggio 2013), i programmi per la realizzazione delle strutture sanitarie alternative agli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, le stesse non saranno in grado di poter nemmeno avviare nei pochi mesi rimasti, le procedure di gara per la scelta del progettista e dell’impresa esecutrice dei lavori. Per tale motivo risulta necessaria una proroga di almeno quattro anni per realizzare le strutture alternative agli ex Opg consentendo la chiusura definitiva di quest’ultimi". La richiesta delle Regioni al momento non è stata introdotta nella legge "mille proroghe": al Senato, infatti, non è stato presentato alcun emendamento in tal senso. Tuttavia questa proposta appare scandalosa e dà conto appieno della errata logica sottesa ai progetti delle Regioni, finalizzati sempre e solo alla costruzioni di nuove Rems (residenze per la esecuzione delle misure di sicurezza), e ben lontani dai principi di umanizzazione della cura, di inclusione sociale attraverso percorsi terapeuti riabilitativi territoriali. Le Regioni chiedono di prorogare per 4 anni la condizione di illegalità in cui versano mille internati e non si preoccupano di predisporre, impiegando le risorse a disposizione, condizioni strutturali territoriali per favorire la adozione di misure di sicurezza alternative a quelle detentive. È indispensabile una presa di posizione forte affinché non venga demandata interamente alle Regioni, alla luce di queste desolanti iniziative, la gestione della riforma dell’impianto strutturale entro il quale sono collocate e dovranno essere collocate persone private della libertà, e pure della dignità. È indispensabile una vigilanza seria affinché le Regioni non solo chiedano proroghe ma creino condizioni per facilitare la dimissione dei pazienti internati inutilmente e per la applicazione di misure di sicurezza alternative con percorsi di cura ispirati alla inclusione sociale del paziente autore di reato. Occorre prevedere non solo e non tanto una proroga per la costruzione delle Rems ma uno specifico provvedimento legislativo che crei e determini le condizioni per la applicazioni dei principi di legge e dei principi sanciti dalla Corte Costituzionale e non si occupi solo di stabilire nuovi termini per l’edificazione di strutture ben lontane dai principi indicati. L’Osservatorio carcere dell’Unione delle Camere Penali ancora una volta deve intervenire con forza a fronte di provvedimenti e proposte emendative lesive dei diritti delle persone detenute ed internate e della dignità delle medesime. Qualsiasi iniziativa con le modalità proposte sarà avversata con forza dagli avvocati penalisti che da anni sulla tutela dei diritti degli ultimi non accettano deroghe o proroghe di alcun genere. Giustizia: quattro in manette per l’evasione di Cutrì, durante il blitz c’era un basista di Paolo Colonnello La Stampa, 7 febbraio 2014 Adesso Mimmo è un uomo disperato. Rimasto solo e armato, è pericoloso per sé e per gli altri. In meno di 72 ore, da quando è iniziata la sua folle fuga per la libertà, i carabinieri di Gallarate e Varese hanno arrestato più di metà della sua banda. E Mimmo Cutrì, un ergastolo alle spalle e un futuro di massima sicurezza, ormai ha i minuti contati. Potrebbe arrendersi o fare il matto. È scappato finché ha potuto, come gli aveva ordinato la mamma, in nome del fratello morto in un sacrificio di sangue assurdo e inutile. Ma ormai è finita. I reparti dei Ros lo stanno braccando tra i paesi e le campagne di Inveruno e del Magentino, risalendo fino alla Valsesia, perché alla fine Mimmo sembra che in realtà di strada ne abbia fatta poca. E che il piano per raggiungere la Calabria sia saltato fin dal primo giorno, da quando fuggendo nel pomeriggio piovoso di Gallarate, ha dovuto constatare che suo fratello Antonino non ce l’aveva fatta, raggiunto da un proiettile alla gola. Mimmo ha portato Nino a casa della mamma a Inveruno, ha perso un’ora preziosa per cercare di curarlo nel garage della palazzina di famiglia e poi per accompagnarlo quasi fino all’ospedale di Magenta. Momenti preziosissimi per le indagini. I carabinieri hanno imboccato la pista giusta quasi subito, individuando il commando di amici e famigliari che ha agito a volto scoperto e ha lasciato dietro di sé tracce e indizi, dalle armi pesanti alle munizioni ritrovate sulla Nissan Qashqai abbandonata vicino al tribunale. Il dettaglio rivela che se i banditi, pur con un arsenale del genere, hanno agito inizialmente con un semplice spray al peperoncino e usando più le mani che le pistole, è perché forse temevano di far del male a qualcuno. Un basista, forse presente in quel momento sul luogo dell’assalto. Intanto, tra le carceri di Opera, San Vittore, Como e Busto Arsizio, sono rinchiusi i 4 componenti del "gruppo di fuoco" che lunedì pomeriggio ha scatenato l’inferno davanti al tribunale di Gallarate. Sono quattro balordi, tutti napoletani, esaltati e "poco furbi" come Mimmo, dicono gli inquirenti. E uno di loro avrebbe "cantato". I primi tre li hanno presi mercoledì verso le 13 a Cellio, un paesino sopra Borgosesia, nel Vercellese, alle pendici del Monterosa. L’allarme è stato dato da uno dei pochi abitanti della zona, insospettito: erano, con un pitbull, in un boschetto e svuotavano una valigia piena di salami, alimenti a lunga conservazione e vestiti da uomo. I carabinieri del posto, avvisati, a loro volta hanno chiamato i colleghi di Gallarate. I tre erano armati e, dopo aver trascorso la notte nella baita di un parente, sembra si preparassero per raggiungere il confine con la Svizzera. Il particolare della valigia, organizzata per una latitanza, rivela che la banda ha dovuto separarsi in fretta, lasciando l’evaso privo di cibo e vestiti. Un altro uomo, l’unico di cui si conosce il nome, Aristotele Bunhe, i militari lo hanno arrestato ieri mattina a Napoli, davanti al cimitero di Portici. "Volevo portare dei fiori sulla tomba dei miei genitori", ha spiegato lui. Un giorno strano per decidere di portare dei fiori, soprattutto così lontano da Castano Primo, paese vicino a Gallarate, dove Bunhe risiede e fino al 2010 era titolare di un’impresa di pellame. Anche lui sarebbe stato presente alla sparatoria davanti al tribunale di Gallarate. A Bunhe, come agli altri della banda, frequentatori degli stessi bar un pò indolenti di provincia dove i Cutrì amavano farsi belli e bulli della loro caratura criminale, gli inquirenti sono arrivati scavando nel passato recente di Nino Cutrì e risalendo ai protagonisti di una sparatoria avvenuta nel maggio 2012 a Milano, in via Zuretti, durante la quale Nino e i suoi amici tirarono fuori fucili a pompa, revolver e una semiautomatica per una rissa da strada con alcuni tunisini. Quasi lo stesso tipo di armi ritrovate sulla Nissan usata per l’assalto di Gallarate. Il commando che ha agito lunedì scorso, hanno calcolato gli inquirenti, dovrebbe essere stato composto da 6 elementi, 7 con l’evaso. Se dunque 4 sono stati arrestati e uno è morto, rimangono in libertà ancora due persone. Si pensa che Mimmo Cutrì sia in compagnia del solo di cui può davvero fidarsi: Daniele, 24 anni, il fratello più giovane, intravisto sabato scorso a Napoli e poi "scomparso". Si credeva fosse in Calabria per preparare un rifugio sicuro, più probabilmente è ora in compagnia di Mimmo. Per capire dove, basterà attendere ancora per poco. Giustizia: fermate 4 persone sospettate di essere coinvolte nell’evasione di Cutrì www.fanpage.it, 7 febbraio 2014 Proseguono le indagini sull’evasione dell’ergastolano 32enne, avvenuta a Gallarate lunedì pomeriggio e che è costata la vita anche a un uomo, il fratello minore del fuggitivo. Per tutta la notte sono state interrogate tre persone che potrebbero aver favorito la fuga. Sono stati fermati i tre interrogati questa notte nella caserma dei carabinieri di Gallarate in relazione al blitz per liberare Domenico Cutrì. I tre sono sospettati di essere coinvolti nell’assalto di lunedì. Una quarta persona è stata fermata a Napoli in relazione alle indagini sulla evasione di Domenico Cutrì. A renderlo noto sono i carabinieri di Varese. Si tratta di un pregiudicato di origini napoletane che da tempo abitava nel milanese. Insieme agli tre pregiudicati fermati stamani dopo l’interrogatorio durato tutta la notte, avrebbero fatto parte del commando che ha liberato l’ergastolano. I tre sono residenti nell’alto milanese e a loro carico i Carabinieri hanno raccolto "gravi elementi di colpevolezza". Potrebbero essere a un punto di svolta le indagini sull’evasione di Domenico Cutrì, il detenuto in fuga da lunedì pomeriggio. Per tutta la notte sono state interrogate tre persone portate nella serata di ieri nella caserma dei Carabinieri di Gallarate, in provincia di Varese, per accertamenti in relazione alla fuga dell’ergastolano. Le tre persone sarebbero, da quanto si apprende, residenti nella zona dell’hinterland milanese dove vive la famiglia di Domenico Cutrì. Sarebbero gregari e basisti che avrebbero aiutato il detenuto nell’evasione e poi nella fuga. Nella caserma dei carabinieri erano presenti anche il procuratore di Busto Arsizio Gianluigi Fontana e il pm Raffaela Zappatini. Nelle ultime ore è stata ascoltata anche la mamma del detenuto in fuga, che ha detto di essere felice che Domenico Cutrì sia libero. Le parole della mamma dell’evaso. La donna ha fatto appello al fuggitivo di non costituirsi per non rendere vana la morte del fratello minore, Antonino Cutrì. L’uomo, lo ricordiamo, è deceduto lunedì per le ferite riportate nel corso dello scontro a fuoco con gli agenti che scortavano l’ergastolano a Gallarate. Intanto resta irreperibile l’altro fratello di Domenico Cutrì, Daniele. I familiari hanno detto che l’uomo sarebbe stato estraneo al blitz in quanto a Napoli da amici. Una spiegazione che, da quanto si apprende, avrebbe trovato alcuni riscontri. Si sospetta però che Daniele Cutrì abbia avuto un ruolo nella pianificazione dell’assalto e che ora possa essere in fuga assieme al fratello maggiore e agli altri complici. Pisa: il Garante Corleone; carcere Don Bosco sovraffollato per la legge Fini-Giovanardi Il Tirreno, 7 febbraio 2014 "Quello di Pisa è un carcere complesso e difficile, è necessaria una presenza quotidiana che vigili sulle condizioni nella quale vivono i detenuti". Le parole di Franco Corleone, Garante dei diritti dei detenuti della Regione, chiamano in causa l’amministrazione che, dal suo insediamento, non ha ancora proceduto a nominare il successore di Andrea Callaioli come garante cittadino. L’ex europarlamentare Corleone ha effettuato nella mattinata di ieri una visita all’interno del carcere Don Bosco per verificare lo stato delle condizioni di vita dei detenuti e, alla sua uscita, il suo responso non è stato lusinghiero per la struttura pisana: "È necessario un lavoro enorme dal punto di vista strutturale, c’è un padiglione del centro clinico che è fermo da due anni". I numeri forniti dall’amministrazione carceraria vanno in quella direzione: il Don Bosco ospita 304 detenuti (di cui 33 donne) con una capienza stimata sulla carta di non oltre 250 ma, come riporta lo stesso Corleone, per una corretta gestione la soglia da non superare sarebbe 200. Un tale sovraffollamento, secondo Corleone ha un motivo preciso: "Oltre 120 detenuti presenti devono la loro pena alla legge Fini-Giovanardi. Questa malaugurata legge, che prevede pene troppo alte e non distingue a seconda della gravità, ha intasato le carceri e questo peggiora la qualità della vita di tutti i detenuti". Il Garante ha poi riportato il caso di un detenuto al quale sono state vietate dall’Asl le visite ai figli minorenni dopo che la compagna ha cambiato residenza (trasferendosi da Pontedera a Pisa, peraltro). "Il direttore mi ha detto che c’è una promessa di finanziamento per completare l’adeguamento dell’ingresso dei familiari, adesso le perquisizioni avvengono in ambienti del tutto inadeguati". Castelfranco Emilia (Mo): Uil-Pa; abbiamo 107 internati e 7 detenuti e solo 57 agenti Modena Qui, 7 febbraio 2014 Troppi detenuti e troppo pochi agenti. È questo quello che denuncia il sindacato provinciale di polizia penitenziaria Uil-Pa. Il carcere in questione è la Casa di reclusione di Castelfranco nel quale si registra un "sovraffollamento" come spiega il coordinatore provinciale del sindacato, Raffaelle Mininno. "Ci sono 107 internati e 7 detenuti - dichiara Mininno - per un totale di 114 persone. Gli agenti, compresi quelli che sono impiegati in ufficio, sono 57. Ma il problema vero è il sovraffollamento con rischi per la sicurezza degli agenti". Il coordinatore infatti riferisce di episodi di violenza che si sono verificati negli ultimi mesi ai danni di alcuni agenti. A novembre un sottufficiale è finito all’ospedale con una prognosi di 25 giorni perché aggredito da un internato. Il condannato infatti gli ha spezzato un dito. Altre contusioni in un episodio di dicembre. Mesi prima invece, a settembre, è stato appiccato un incendio: un detenuto infatti ha dato fuoco a un tavolo procurando danni alla struttura. "Pensi - spiega il coordinatore Mininno - è come se in una casa in cui possono viverci in cinque, costringessi a convivere 20 persone. Prima o poi capita che la situazione diventi esplosiva. Riteniamo dunque sia indispensabile assegnare altro personale di polizia penitenziaria. Inoltre vorremmo sapere che fine ha fatto il progetto di custodia attenuata così tanto pubblicizzato". Nello specifico si tratta di un progetto che avrebbe potuto alleggerire il carico di detenuti meno pericolosi a Castelfranco permettendo loro di intraprendere un percorso riabilitativo. Ma ancora oggi il piano è rimasto lettera morta. Rimini: nel carcere dei Casetti si arriva anche a 190 detenuti, il doppio della capienza www.riminitoday.it, 7 febbraio 2014 "Ieri la Camera ha approvato il decreto sulla tutela dei diritti dei detenuti e per la riduzione della popolazione carceraria su cui la Commissione Europea è ripetutamente intervenuta. Dai dati aggiornati al 30 settembre 2013 risulta che le persone detenute in Italia sono 64.758, mentre la "capienza regolamentare" è di 47.615. Nel confronto con gli altri Paesi aderenti al Consiglio d’Europa, l’indice di sovraffollamento italiano (147 detenuti ogni 100 posti disponibili) è inferiore soltanto a quello di Serbia (157,6) e Grecia (151,7)". L’analisi viene fatta dal deputato del Pd, Tiziano Arlotti. "A Rimini (dati giugno 2013) nella casa circondariale dei "Casetti" erano presenti 168 detenuti (di cui 74 stranieri e 70 condannati in via definitiva). I detenuti in estate arrivano anche a 190 e comunque la presenza è quasi il doppio rispetto a quanto la struttura dovrebbe contenerne. - sottolinea Arlotti - Da quando sono stato eletto al Parlamento ho fatto due visite al carcere di Rimini e mi sono ripromesso di visitare alcune strutture che le associazioni no profit e della cooperazione sociale hanno attivato da tempo nel territorio riminese, che anche sul tema della rieducazione, del recupero e del reinserimento sociale dei detenuti sono all’avanguardia a livello nazionale. La detenzione non può essere vista solo come espiazione della pena, ma deve essere considerata come il punto di partenza per una rieducazione del soggetto nel pieno rispetto del dettato costituzionale", afferma il deputato. "La Corte dei Conti nel 2013 ha svolto una relazione sulla materia che mi ha colpito soprattutto quando scrive letteralmente che "...si deve affermare con maggior vigore che investire in rieducazione e recupero dei detenuti fa risparmiare una valanga di soldi e porta alla sicurezza sociale" (sic). Inoltre, sulla questione del lavoro in carcere, mette in evidenza le difficoltà e la marginalità degli interventi che coprono solo il 20% dei detenuti. Solo il 2-3% inoltre operano non alle dipendenze della amministrazione. Eppure i dati confermano che l’inserimento dei detenuti nelle cooperative sociali abbatte il tasso di recidiva dal 70 al 10%! La Corte sprona inoltre lo Stato affinché promuova il più possibile il lavoro esterno dei detenuti che, oltre ad essere impegnati socialmente, si sentirebbero meno inclini a tornare a delinquere una volta liberi. Basti pensare che negli Stati Uniti, dove è prevista anche la pena di morte, c’è la più alta percentuale di popolazione carceraria con 2.228.424 detenuti e un’incidenza pari a 707 ogni 100.000 abitanti, contro i 110 dell’Italia. Oltreoceano la recidiva sfiora il 90%", dice. "Sabato scorso, ho visitato la Casa Madre del Perdono della Associazione Papa Giovanni XXIII a Taverna di Montecolombo, associazione all’avanguardia, per assistere ad una riflessione sul tema del perdono con due straordinari relatori, il vescovo di Rimini Monsignor Francesco Lambiasi e il professor Stefano Zamagni. È stato un incontro che mi ha toccato, in cui ho potuto constatare quale imponente forza sa mettere in campo il volontariato, troppo spesso ignorato dal pubblico, come rilevato anche dalla Corte dei Conti. Ma mi ha anche insegnato che i provvedimenti adottati, fra cui il decreto legge convertito oggi, non possono essere pensati solo per dare una risposta alla condanna e all’infrazione europea, ma devono avere una diversa incardinazione e un orizzonte sussidiario attualmente ancora molto timido. Credo sia questo il terreno su cui sarà opportuno impegnarsi a fondo e il mio impegno andrà sicuramente in questa direzione", conclude Arlotti. Sant’Angelo dei Lombardi (Av): i detenuti che vogliono restare nel "carcere felice" di Gianluca Testa Corriere della Sera, 7 febbraio 2014 Provate a pensare alla logica aziendale e aggiungete una buona dose di capitale sociale. Quello fatto di relazioni, formazione e valorizzazione delle competenze. Ecco, il carcere di Sant’Angelo dei Lombardi incarna tutto questo. E forse anche qualcosa in più. Si tratta infatti del primo istituto penitenziario completamente autosufficiente. I detenuti sono tutti assunti dall’amministrazione penitenziaria, lavorano in cucina e in lavanderia, producono vino e miele, si fanno carico delle pulizie e gestiscono una tipografia. Ben oltre le riforme, oltre l’indulto e il sovraffollamento, questo è un bell’esempio di come le cose possono funzionare davvero (e nonostante tutto). Il valore aggiunto? Questo modello - che potrebbe essere facilmente esportabile - nasce al sud, in Alta Irpinia, in un Comune che conta poco più di quattromila abitanti. Qua si valorizzano le competenze: il detenuto che ha studiato alla scuola d’arte disegna e illustra pareti e corridoi, il carrozziere ha rimesso in sesto i mezzi, imprenditori condannati per abuso edilizio hanno lavorato per diversi mesi alla ristrutturazione di un ex convento trasformato in "Casa per ferie" che accoglie famiglie e gruppi di giovani. Basta pensare che in circa cinque anni, dal 2008 a oggi, per le pulizie l’amministrazione ha risparmiato ben 300mila euro. Cifra che poi è stata investita in nuovi progetti e servizi. Gli unici costi esterni riguardano il lavoro svolto dalle ditte che gestiscono gli impianti termici. Un passaggio necessario, previsto dalla legge. Il merito è soprattutto dello spirito d’iniziativa del direttore del carcere Massimiliano Forgione, che sostenuto da personale e volontari - tutti ben preparati e formati - è riuscito ad aprire le porte dell’istituto alla città e all’Europa. Non è un caso che la sala convegni interna alla casa di reclusione - anche questa costruita e allestita dagli stessi detenuti - abbia ospitato nei giorni scorsi olandesi, austriaci e ungheresi per l’evento "Carcere e povertà" organizzato da Cilap (Collegamento italiano di lotta alla povertà) e da Eapn (European anti poverty network) in collaborazione con associazioni locali come la Don Tonino Bello di Avellino e la cooperativa Il Germoglio, che a Sant’Angelo ha fatto nascere anche la fattoria sociale "Al fresco di cantina". Forgione continua a ripeterci che "occorre investire sull’uomo, non sul reato. Che è indispensabile formare i detenuti per facilitare il loro inserimento nel mercato del lavoro, che è necessario investire nelle misure alternative alla pena, che l’obiettivo più alto riuscire a collegare il carcere col territorio". Tutte cose che cominciano a prendere forma nella casa di reclusione di Sant’Angelo dei Lombardi. Tant’è che tra i circa duecento detenuti c’è chi ha rinunciato a chiedere la revisione della pena temendo di essere assegnati ad altri istituti. Un primo passo concreto nel tormentato percorso destinato al rispetto della Costituzione, che - lo ricordiamo - al terzo comma dell’articolo 27 sancisce il principio di umanizzazione della pena. Affinché l’idea della rieducazione diventi davvero un principio fondante. Cagliari: detenuto mostrato in manette, la scena davanti al Tribunale dei minori L’Unione Sarda, 7 febbraio 2014 L’episodio, verificatosi in via Dante, è stato denunciato da un uomo che andava al lavoro. Riceviamo e pubblichiamo la lettera-denuncia di un nostro lettore, Matteo Cara. La stessa segnalazione è stata condivisa sulla pagina Facebook del sindaco di Cagliari, diventando così argomento di dibattito tra i frequentatori del social network. Al momento, né l’amministrazione comunale, né le associazioni che si occupano di diritti, hanno fatto sentire la loro voce. "Stamattina (ieri, ndr.) mentre mi dirigevo verso l’ambulatorio, nei pressi di via Dante a Cagliari, ho assistito ad un episodio che mi ha profondamente turbato. Verso le 9 un furgone blindato della polizia penitenziaria, ha parcheggiato di fronte al Tribunale dei minori. Sono scesi due agenti che hanno aperto lo sportello posteriore dal quale è uscito un terzo agente con una lunga catena attaccata per un lato alla propria cintura e l’altro capo alle manette che stringevano i polsi di un uomo di circa 50 anni. Il detenuto è così sceso dal blindato ed è stato scortato dagli agenti fino al Tribunale tra sguardi increduli di alcuni bambini con il grembiule, di ragazzi e di altre persone che passeggiavano in via Dante. La "passeggiata" è durata più o meno 3 minuti, il tempo "opportuno" per gli agenti di fumarsi una sigaretta e chiacchierare un po’, mentre il prigioniero stava in silenzio e con lo sguardo basso, probabilmente per la vergogna. Voglio denunciare questo episodio, perché a mio parere vìola i diritti dell’uomo. Qualsiasi persona colpevole di qualsiasi reato, grave o lieve, non può essere sottoposta a questo vergognoso trattamento! Basterebbero dei piccoli accorgimenti per trattare con dignità e decoro i carcerati o coloro che devono subire un processo. Sarebbe bastato parcheggiare nel retro o nel garage, anziché esporre il pubblico, bambini inclusi, a uno spettacolo che non é necessario, che indebolisce il sistema "sicurezza", e che tinge di vergogna tutti quanti! Colpevoli e innocenti". Ancona: progetto Jail Break, centro raccolta di bene primari intitolato a Stefano Cucchi di Laura Boccanera www.cronachemaceratesi.it, 7 febbraio 2014 Un progetto per sensibilizzare verso la detenzione in carcere e aiutare tutti coloro che stanno scontando la pena nella struttura di Montacuto. Con questo scopo nasce il progetto Jail Break, un’iniziativa nazionale che a Civitanova è supportata dai ragazzi del collettivo Jolly Rogers, declinata in un centro raccolta di beni primari intitolato a Stefano Cucchi. L’obiettivo è quello di invitare la cittadinanza a raccogliere coperte, indumenti intimi, scarpe, felpe, lenzuola e altri prodotti ammessi nelle strutture carcerarie per rendere la detenzione più umana. "Le condizioni di vita nelle carceri spesso sono al minimo dell’umano e molti sono gli stranieri che non possono contare sul sostentamento delle famiglie - ha detto David Bastioli dei Jolly Rogers - per questo in collaborazione con l’associazione Antigone vogliamo invitare tutti a devolvere questi beni". L’iniziativa partirà ufficialmente sabato 8 febbraio con l’inaugurazione del centro di raccolta nei locali di via Parini e per l’occasione è stata realizzata anche un’installazione che rende visivamente e spazialmente la difficoltà dei detenuti di vivere in uno spazio ristretto e senza privacy: "abbiamo ricreato una cella del carcere adatta per due persone, ma dove solitamente vivono almeno 4 detenuti. Li abbiamo raffigurati con dei manichini bianchi e senza volto proprio per rendere l’idea della spersonalizzazione". A partire dalle 17 di sabato sarà possibile anche partecipare ad un incontro dove si discuterà del tema insieme con l’avvocato Lorenzo Simonetti del foro di Roma, Giulia Torbidoni dell’associazione Antigone, Andrea Giovannini un ex detenuto e con Marco Bocci e Gabriella Ciarlantini dell’ambasciata dei diritti. Dopo questo primo appuntamento il collettivo ha in programma altri incontri, tra cui uno nel quale sarà invitata la sorella di Stefano Cucchi. Immigrazione: Cooperativa Auxilium; nel Cie di Roma match calcetto ospiti-operatori Ansa, 7 febbraio 2014 Una partita di calcetto con squadre miste di operatori e immigrati si svolgerà oggi pomeriggio al Centro identificazione ed espulsione (Cie) di Ponte Galeria, a Roma, dove negli ultimi mesi si sono svolte proteste drammatiche degli ospiti contro le condizioni e i tempi di detenzione. Lo ha reso noto la cooperativa Auxilium, che gestisce i servizi all’interno della struttura. Tra i giocatori, diversi immigrati protagonisti delle proteste delle bocche cucite. La partita si giocherà alle 15.30 su un campo di erba sintetica che è stato realizzato al Cie nel 2010 con la collaborazione dell’ufficio del Garante dei detenuti del Lazio, ha riferito il direttore del centro Vincenzo Lutrelli. Droghe: appello di 140 giuristi "la Consulta bocci la dannosa legge Fini-Giovanardi" La Città di Salerno, 7 febbraio 2014 La legge Fini-Giovanardi in materia di droghe? "Certamente incostituzionale" recita l’appello lanciato da Franco Corleone, garante dei detenuti per la Toscana, Antigone, Cnca, Forum Droghe e Società della ragione. Il documento, firmato da 140 professori e giuristi, che invoca l’illegittimità della legge, è stato inviato alla Corte Costituzionale. Proprio la Consulta infatti, è stata chiamata dai giudici della Cassazione a esprimersi sulla Fini-Giovanardi e si riunirà in udienza pubblica l’11 febbraio: il 12 la pronuncia. "Da otto anni imperversa una repressione ideologica nei confronti di consumatori di stupefacenti e tossicodipendenti che ha il risultato di riempire prima le aule dei tribunali poi le carceri" sottolinea Corleone parlando di "sfregio al Parlamento da parte di Giovanardi che ha inserito strumentalmente una riforma insabbiata in commissione perché impraticabile". Nell’appello si contesta l’assenza dei requisiti di necessità e urgenza e l’estraneità della materia rispetto al decreto (sulle Olimpiadi di Torino) in cui la norma è confluita. Droghe: "Strappare l’erba al proibizionismo", corteo per abolizione della Fini-Giovanardi di Checchino Antonini www.popoff.globalist.it, 7 febbraio 2014 L’8 febbraio nella Capitale una manifestazione per l’abolizione della Fini-Giovanardi che intasa le carceri e favorisce le cosche. "Il proibizionismo ha fallito, la "guerra alla droga" è persa, lo ha compreso tutto il mondo tranne quei pochi ancora barricati nell’ultima isola proibizionista in un mondo che volta pagina e accerchiati da un oceano antiproibizionista che sabato 8 febbraio manifesterà a Roma". Alessandro Buccolieri, per tutti Mefisto, è il portavoce della Rete Legge Illegale, promotrice della street parade che attraverserà Roma tra 48 ore. "Non si può, nel 2014, anche in buona fede, essere proibizionisti, perchè l’evidenza dei danni creati ed il potere delle narcomafie, è evidente. I fatti ci hanno dato, purtroppo ragione: un arresto in ogni famiglia. C’è un universo in movimento che reclama un approccio diverso al fenomeno del consumo di sostanze che il proibizionismo con le sue speculazioni trasforma in problema sociale invitiamo quindi il presidente del Consiglio Letta a fare retromarcia e a ritirare l’avvocatura dello stato da lui sollecitata a difesa della tanto socialmente devastante e odiata legge illegale". Ieri, la presentazione ufficiale in Campidoglio della Campagna di Abolizione della Legge Fini-Giovanardi sulle droghe in vista del pronunciamento della Corte Costituzionale sulla incostituzionalità della Legge 49/06, dopo che diverse corti hanno bloccato i processi agli imputati e inviato la legge alla Consulta. Una legge che fu approvata con l’inganno parlamentare, by-passando i vincoli di costituzionalità sulla necessità e l’urgenza che sono i requisiti indispensabili che deve avere ogni decreto legge. Quel decreto conteneva norme sulla sicurezza per le Olimpiadi di Torino. Durante la discussione alle Camere il Governo Berlusconi introdusse un’intera legge di impianto punitivo e proibizionista sulle sostanze stupefacenti. Sono intervenuti oltre a Mefisto, Patrizio Gonnella di Antigone, Giorgio Bignami di Forum Droghe, Valeria Grasso, imprenditrice antimafia di "Legalità è Libertà". "Dagli ultimi dati risulta che il 40% dei detenuti è in carcere per la Legge Fini-Giovanardi. La maggioranza di governo è sotto ricatto da parte della compagine nella quale Giovanardi ha ancora una posizione rilevante - ha detto Gonnella con una certa indulgenza verso il Pd che in verità non ha mai dato sfoggio di una concreta cultura antipro. Noi non ci accontentiamo dell’abrogazione della legge per ragioni etico-filosofiche, di politiche anticriminalità, per ragioni legate all’affollamento delle carceri. La manifestazione dell’8 febbraio andrà oltre questo passaggio, verso la depenalizzazione. Noi non siamo estremisti. Lo siamo come lo sono l’Uruguay ed il Colorado". "Nessun altro paese europeo ha così tanti detenuti per reati connessi alle sostanze illegali - ricorda l’appello stilato il 15 dicembre scorso dai promotori - la pesante criminalizzazione dei consumatori stride di fatto con l’impunità riservata dal nostro sistema giudiziario ad autori di reati di ben altra natura, i cui effetti nuocciono alla salute della società intera, come se le categorie da individuare e perseguire fossero pre-costruite a suon di stigma". "La tabella unica delle sostanze rappresenta un falso scientifico - ha spiegato Bignami. Non esiste sostanza farmacologicamente attiva di cui non esista possibilità di abuso. Questa concezione è un attacco diretto alla Costituzione". Valeria Grasso, imprenditrice antimafia non avrebbe "mai pensato di aderire ad un’iniziatica come questa. Ma sono cambiata dopo la mia esperienza. Il compromesso con la mafia è un compromesso di morte. Ho deciso di portare, tra i giovani, nelle scuole, la mia testimonianza. Ho incontrato figli di detenuti che mi hanno fatto avvicinare a queste problematiche. La cosa che mi ha colpito sono gli effetti medici e che la cannabis non ha mai provocato alcun morto. Finora ho avuto le idee confuse o forse me le hanno confuse volontariamente. Mi farò promotrice perciò di questa battaglia, perchè così si potranno sottrarre tanti ragazzi dalla strada, dove trovano guadagni facili. Vorrei lanciare un appello alle mamme, perchè comincino a vedere un mondo diverso". Sabato, a Roma, scenderà in piazza l’Italia dei diritti, dalla galassia dell’autorganizzazione, con i centri sociali da tutto il paese all’associazionismo di base, dalla rete degli operatori di riduzione del danno, con le loro cooperative e comunità di accoglienza fino ai comitati della lotta alle mafie, tutti insieme per dire che "Questa legge è illegale e il suo costo è reale". Ci saranno, tra gli altri, i promotori della campagna "Tre leggi per la giustizia e i diritti" forti di decine di migliaia di firme anche per l’abrogazione della legge Fini-Giovanardi, oltre che contro la tortura, che in Parlamento non han trovato granché ascolto. Per far cessare la vergogna dell’intasamento delle prigioni basterebbe separare il reato di possesso da quello di spaccio ma "dal dl carceri è stata stralciata proprio la parte che riguarda l’ingiusta detenzione dei tossicodipendenti - spiegano Paolo Ferrero, segretario nazionale di Rifondazione comunista, e Giovanni Russo Spena, responsabile Giustizia del Prc. Questo sarebbe stato un provvedimento vero ma evidentemente in Italia anche il carcere è di classe, se sei ricco e tossicodipendente te ne stai fuori, se sei povero e non hai i soldi per gli avvocati stai a marcire in galera. A questo punto per tenere fede agli impegni presi con l’Unione europea le uniche misure praticabili sarebbero l’amnistia e l’indulto". Droghe: Radicali in mobilitazione e disaccordo con il Movimento Antiproibizionista Meridiana Notizie, 7 febbraio 2014 Il giorno 8 febbraio sarà dedicato alla protesta contro la legge Fini-Giovanardi sulle droghe leggere. Un evento anticipato però da furiose polemiche, scaturite dalla decisione del Movimento Antiproibizionista, organizzatore del corteo in partenza sabato alle 13 da piazza Bocca della Verità, di "non accettare - come si legge sul sito leggeillegale.it - adesioni dei radicali né delle associazioni da loro usate come cavallo di Troia, né ovviamente, di associazioni o partiti di destra". Un rifiuto che ovviamente ha scatenato la rabbia dei radicali. "Sono dei poveracci, dei Fra cazzi da Velletri - attacca lo storico leader Marco Pannella. Per le esigenze della causa hanno stabilito che loro sono il movimento antiproibizionista proclamato. Noi andremo al loro corteo - annuncia - decideremo in questi giorni in che modo, ma a noi divieti di questo genere non ci hanno mai fatto tornare indietro". A supporto della legittimità della partecipazione del suo movimento, Pannella ricorda che "la prima manifestazione antiproibizionista fu a piazza Cavour addirittura nella seconda metà degli anni 60? e che "il termine antiproibizionista l’abbiamo usato noi per la prima volta, tra discussioni interne tra chi era favorevole e chi no". Sulla stessa linea il segretario del Partito Rita Bernardini, che ribadisce: "Andremo alla manifestazione come Radicali, siamo orgogliosi di esserlo. Noi abbiamo creato il movimento contro i divieti di uso delle droghe leggere in Italia, ora ci sono queste organizzazioni che sembrano dimenticare che noi abbiamo fatto le battaglie da quarant’anni". Non solo, prosegue il segretario, "hanno deciso di escludere radicali, ma anche chi puzza di Radicali come il Social Cannabis Club, una comunità di malati che usa la marijuana a scopo terapeutico". India: il ministro Bonino al ministro Mauro "Letta sceglierà opzioni, procedere uniti" Agi, 7 febbraio 2014 "Ci sono sul tappeto molte opzioni che sarà il presidente del Consiglio a decidere". Lo ha detto il ministro degli Esteri, Emma Bonino, commentando le parole del collega della Difesa, Mario Mauro, che ha minacciato il ritiro dell’Italia da alcune missioni anti-pirateria in caso di sviluppi negativi della vicenda dei due marò da due anni detenuti in India. "Bisogna andare avanti come una squadra - ha esortato il ministro- in modo coerente e disciplinato, con messaggi unici, perché questo ci ha già consentito di avere una solidarietà sia dell’Europa che degli Stati Uniti, il che non era affatto scontato, perché i rapporti con l’India sono profondi per molti Paesi". "Fino a poco fa - ha aggiunto il capo della diplomazia italiana- si parlava solo di rapporti bilaterali (con l’India, ndr), sperando che andassero a buon fine. Credo che questa solidarietà sia molto importante e mi auguro che faccia riflettere le autorità indiane". Iraq: Human Rights Watch; autorità trattengono donne illegalmente e le torturano La Presse, 7 febbraio 2014 Le autorità dell’Iraq stanno trattenendo illegalmente migliaia di donne, molte delle quali sono soggette a torture e maltrattamenti come la minaccia di abuso sessuale. Lo rende noto Human Rights Watch in un rapporto in cui viene inoltre affermato che le donne in cella passano mesi o anche anni senza essere accusate prima di vedere un giudice. Il documento redatto da Hrw si basa su interviste fatte a 27 detenute, molte delle quali hanno raccontato che le guardie le hanno schiaffeggiate, prese a calci, stuprate o minacciate di violenza sessuale. Tutte hanno raccontato di essere state interrogate sulle attività dei loro parenti invece che sui crimini in cui erano coinvolte. I gruppi per i diritti umani internazionali sono preoccupati che l’Iraq non sia in grado di gestire i detenuti mentre il governo è impegnato a contrastare le minacce dei militanti. I prigionieri si sono spesso lamentati per avere subito abusi e per le pessime condizioni delle carceri. "Le forze di sicurezza irachene agiscono come se maltrattare le donne rendesse il paese più sicuro", denuncia Joe Stork, direttore di HRW per il Medio Oriente e il Nordafrica. "QUeste donne e i loro familiari ci hanno detto che finché le forze di sicurezza continueranno a maltrattare la gente impunemente, non ci si potrà che aspettare un peggioramento delle condizioni di sicurezza". Fra le 27 donne intervistate dall’Ong americana, una, che camminava con le stampelle dopo essere stata sottoposta a choc elettrici per nove giorni, è stata giustiziata. Spesso le donne vengono arrestate solo per essere interrogate sui loro familiari uomini e non per reati commessi da loro, spiega il rapporto. L’Ong registra comunque nel paese un aumento dei maltrattamenti di tutti i detenuti, oltre ad arresti di massa e prolungamenti di detenzioni non giustificati. La collera della comunità sunnita rende la situazione in Iraq sempre più instabile e impedisce oltretutto alle autorità di cooperare con questa comunità per arrestare i componenti dei gruppi jihadisti presenti in Iraq. "Questi abusi hanno creato una collera molto radicata, mancanza di fiducia tra la comunità e le forze dell’ordine, situazione di cui tutti gli iracheni pagano il prezzo", conclude Stork. Siria: Ong; principale carcere di Aleppo in mano ai ribelli, liberati centinaia di detenuti Tm News, 7 febbraio 2014 I ribelli siriani hanno preso il controllo di gran parte della principale prigione di Aleppo, liberando centinaia di prigionieri. Lo ha reso noto l’Osservatorio siriano per i diritti umani. "Le brigate Ahrar al-Sham e Fronte al-Nusra hanno preso il controllo dell’80% della prigione centrale di Aleppo e hanno liberato centinaia di detenuti", ha detto alla France presse il direttore dell’Ong, Rami Abdel Rahman, precisando che il bilancio provvisorio delle vittime è di "almeno 20 soldati e 10 ribelli morti". Da parte sua, la televisione di Stato ha riferito di "un attacco sventato dall’esercito contro la prigione da parte di gruppi terroristici". Stando alla ricostruzione fornita da Abdel Rahman, l’attacco è iniziato con un attentato suicida di un kamikaze del Fronte al Nusra, messo a segno davanti all’ingresso principale del carcere. Quindi "un grosso numero di ribelli è passato all’attacco". Sarebbero circa 3.000 i detenuti presenti nel carcere situato nella periferia settentrionale della città, tra cui figurano estremisti islamici, attivisti e anche minori. L’Osservatorio ha ripetutamente denunciato condizioni "spaventose" all’interno della prigione, segnalando di casi di tubercolosi e di altre malattie. Propria questa situazione aveva spinto il governo siriano ad annunciare lo scorso dicembre il rilascio di 366 prigionieri per "motivi umanitari". Bolivia: in manette 18 italiani, accusati di vendita prodotti contraffatti Ansa, 7 febbraio 2014 Diciotto cittadini italiani sono stati arrestati nella notte fra mercoledì e giovedì a La Paz, insieme a due presunti complici boliviani, con l'accusa di aver organizzato una truffa nella vendita di materiale elettrico con marche false, secondo informazioni della polizia locale. Fernando Mercado, responsabile di una unità speciale anticrimine, ha detto che "queste persone vendevano artefatti elettrici, come pompe o motoseghe, che erano fabbricate in Cina ma alle quali cambiavano la marca e dicevano che erano tedesche, e questa era la loro truffa". Secondo quanto indicato all'Ansa da fonti giudiziarie, i detenuti saranno portati davanti a un magistrato locale venerdì con l'accusa di truffa aggravata e falsificazione di marche, in base all'interrogatorio al quale sono stati sottoposti dopo il loro arresto dal procuratore responsabile dell'inchiesta, Humberto Quispide. Le stesse fonti hanno aggiunto che gli italiani sono stati arrestati nella zona sud della capitale boliviana, dove esiste una forte concentrazione di negozi di ferramenta e materiale di costruzione e dove sarebbe stati venduti gli articoli contraffatti. Mercado, da parte sua, ha precisato che l'inchiesta sulla truffa è partita dalle denunce presentate alla autorità da vari clienti che dopo aver effettuato l'acquisto degli apparecchi hanno scoperto che si trattava di prodotti di qualità chiaramente inferiore, venduti con marche false e a prezzi gonfiati. Il responsabile della polizia boliviana ha precisato che l'identità degli arrestati sarà resa nota solo al termine delle indagini sul caso, che sono ancora in corso.