Giustizia: il presidente Napolitano agli smemorati "sulle carceri siamo con le spalle al muro" di Gabriella Monteleone Europa, 6 febbraio 2014 Il presidente della Repubblica a Strasburgo ricorda l’imperativo della Corte Ue sui trattamenti "inumani" dei detenuti e il rischio di pesanti condanne economiche. E ribadisce: "Stop all’austerità a ogni costo". Mentre in Italia, alla camera, andava in onda l’ormai consueta bagarre di grillini e Lega ritrovatisi insieme, guarda caso, contro il decreto sulle carceri, Giorgio Napolitano trovava il modo di rammentare ai parlamentari italiani a Strasburgo "l’imperativo" della sentenza Torreggiani e dunque le motivazioni che stanno dietro al provvedimento: "Siamo con le spalle al muro, dobbiamo metterci in regola" ha detto riferendosi alle migliaia di ricorsi dei detenuti per "trattamenti inumani" pendenti. "Se la Corte Ue riterrà che non ci siamo adeguati a quella che è un’umanizzazione delle carceri - ha ricordato ancora ai parlamentari - condannerà lo Stato italiano a pagare centinaia e centinaia di milioni". Questione di soldi, certo, ma prima ancora di "coscienza" per il capo dello Stato. Con l’occasione ha messo poi più di un puntino su varie "i" offrendo una prospettiva di ragionamento al discorso fatto il giorno prima al parlamento Ue, e apprezzato al punto da emarginare facilmente la solita gazzarra a firma leghista messa in scena contro di lui in quanto "difensore" dell’euro. E che pure ieri si è ripetuta nell’incontro con gli eurodeputati italiani, con il capogruppo del Carroccio, Lorenzo Fontana, che ne ha chiesto le dimissioni seguito da un boato di nooo di tutti gli altri presenti. Niente che "turbi" il capo dello Stato che non fa fatica certo a riconoscere il "diritto" di chiederle, solo però esorta i leghisti ad essere "europeisti critici" ma senza mettere in discussione dei capisaldi "come l’irreversibilità dell’euro". Un tasto su cui invece la Lega in forte crisi di consensi e di identità ha deciso di puntare in vista delle elezioni europee. Non meraviglia dunque che Matteo Salvini ieri abbia superato lo "scontro" con Napolitano stringendogli la mano - "niente di personale" - ma ribadendo che dovrebbe lasciare la carica. Il capo dello stato sa bene "quante cose non vanno" nell’Unione europea e lo dice proprio mentre invoca uno stop a "una politica di austerità ad ogni costo" auspicando una "svolta" perché, aggiunge, "non è perseguibile una politica di riequilibrio finanziario a tappe forzate". Sta qui il peso delle parole pronunciate proprio dal "padre" dei governi Monti e Letta la nascita dei quali, però, non è dovuta ad un "capriccio del presidente della Repubblica" ma il frutto "delle consultazioni". E comunque, guardando avanti, nella stessa Europa stanno emergendo indicazioni in questo senso: "Nel Consiglio europeo ci sono condizione diverse rispetto a due anni fa - sottolinea ancora il presidente - si è aperta una dialettica che prima non c’era. Prima si ratificavano di fatto le decisioni di Francia e Germania, ora diversi paesi hanno preso le distanze da questa prassi del fatto compiuto". Altra "grave carenza" dell’Unione, per Napolitano, è la mancanza di una politica comune europea "su asilo e immigrazione". Giustizia: Napolitano; rischiamo di pagare cari i ricorsi a Strasburgo sul sovraffollamento Tm News, 6 febbraio 2014 L’Italia rischia di pagare "centinaia e centinaia di milioni di euro" a causa dell’accoglimento di tutti i ricorsi inoltrati alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo contro la situazione di sovraffollamento e inadeguatezza delle sue carceri, già oggetto di ripetute condanne della stessa Corte. Lo ha detto oggi a Strasburgo il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, durante il suo terzo ultimo intervento della visita ufficiale all’Europarlamento, questa volta di fronte agli eurodeputati italiani di tutti i gruppi politici. Napolitano, che rispondeva a un intervento critico del capodelegazione leghista Lorenzo Fontana, ha ricordato di aver voluto usare una sola volta lo strumento, giudicato un po’ "obsoleto" da diversi costituzionalisti, del messaggio del capo dello Stato al Parlamento, proprio per sollecitare le Camere a occuparsi della questione delle carceri. "Ho ritenuto di doverlo fare su un tema su cui siamo con le spalle al muro. C’è la sentenza ultimativa della Corte dei diritti dell’uomo: se riterrà che noi non ci adeguiamo alle sue indicazioni di umanizzazione delle carceri, verranno accolti tutti i ricorsi dei detenuti e lo Stato sarà condannato a pagare cifre enormi, centinaia e centinaia di milioni di euro", ha spiegato il presidente della Repubblica. "Noi siamo tenuti a metterci in regola sulle condizioni minime di vivibilità, innanzitutto per ragioni etiche. Dobbiamo evitare il continuo e insostenibile aumento dei detenuti, soprattutto per quanto riguarda quelli in attesa di giudizio. Poi c’è la questione della capienza delle carceri", spesso di vecchia costruzione, e infine, ha proseguito Napolitano, la questione dell’opportunità di "un provvedimento di indulto o di amnistia", di cui "il Parlamento ha discusso ma senza giungere a conclusioni". "Se il Parlamento non ritiene opportuno un indulto, che trovi altre soluzioni per adeguarsi alla sentenza della Corte dei diritti dell’uomo", ha osservato il capo dello Stato. Quanto alla questione dei detenuti stranieri, che secondo i leghisti andrebbero rimandati nei paesi di provenienza, Napolitano ha ricordato che per farlo è necessario avere degli accordi con quei paesi, cosa che si sta cercando di fare di più che in passato. Giustizia: oggi l’approvazione del decreto-carceri, ma con il rischio della inapplicabilità di Eleonora Martini Il Manifesto, 6 febbraio 2014 Intervista al relatore in Commissione Giustizia, il deputato Pd David Ermini. Il decreto, da oggi all’esame del Senato, fa sorgere dubbi di costituzionalità per l’esclusione dei mafiosi e per la finestra temporale. "Pd complice dei mafiosi". Dopo le manette sventolate martedì mentre si votava la fiducia, ieri sono comparsi anche i cartelli. E la Camera torna un’arena, nemmeno si stesse votando l’amnistia perenne per i capi clan anziché il cosiddetto "svuota carceri", per di più ormai in versione acqua di rose. Il leghista Giancarlo Buonanno riesce a spararle talmente alte da farsi espellere dal presidente di turno, Luigi Di Maio, salvo poi pentirsi e farsi riammettere da Laura Boldrini. E così, tra urla e insulti, si votano i 120 ordini del giorno, quasi tutti ostruzionistici, del Carroccio, del M5S e dei Fratelli d’Italia. Oggi alle 14 è fissato il voto finale, poi il testo passa al Senato. Ma i mafiosi non erano stati esclusi dai beneficiari del provvedimento? Urge fare chiarezza, con il relatore in commissione Giustizia, David Ermini, del Pd. La liberazione anticipata (portata da 45 a 75 giorni ogni 6 mesi di detenzione) sarà applicata o no anche ai reati per mafia? Come ho già spiegato, no: quando il decreto arrivò in commissione vedemmo subito l’anomalia, tanto che la presidente Ferranti preparò l’emendamento 4 bis, parallelamente a quelli di Lega e M5S che erano però più restrittivi. Anche la presidente della commissione Antimafia, Bindi, sollecitò una correzione del testo governativo. Nella forma attuale vengono esclusi i reati per mafia, terrorismo, tratta di persone, violenza sessuale, rapina aggravata, estorsioni, ecc. Teniamo presente che parliamo di liberazione anticipata speciale, quindi non applicabile come quella ordinaria ai detenuti sottoposti all’affidamento in prova. Per capirci: Berlusconi non potrebbe usufruirne. Ora leghisti e 5 stelle dicono che non potrà essere revocata a coloro che l’hanno già ottenuta in questi nove mesi di applicazione del decreto - che sono 4 o 5, non di più - e a coloro che ne hanno già fatto richiesta. Ma io dico che invece può essere revocata in modo retroattivo perché si tratta di norma ordinamentale e non sostanziale. C’è invece chi, come l’Unione delle camere penali, solleva dubbi di costituzionalità proprio per questa esclusione, visto che la liberazione anticipata (a discrezione del magistrato) "non guarda al reato ma premia il comportamento tenuto in carcere". Inoltre, c’è il problema della finestra temporale di applicazione, 2010-2015, che crea ulteriore disparità di trattamento con chi non vi rientra. Cosa ne pensa? La ratio della norma è esaudire due esigenze opposte: da un lato ottemperare alla richiesta della Corte europea, dall’altro garantire la sicurezza ai cittadini. Noi abbiamo fatto il nostro compito di parlamento - e per una volta fino in fondo, cambiando il testo governativo - poi, eventualmente, la Consulta ci dirà se c’è un problema di questo tipo. Sulla finestra temporale dico che è una scelta del governo, non del parlamento. Macredo anch’io che porterà un po’ di problemi di applicabilità. Ma se i detenuti per reati mafiosi sono 6.744, quelli per droga sono 24.273, di cui 8 mila tossicodipendenti. Allora, perché lei ha ritirato l’emendamento che abbassava le pene per i fatti di lieve entità riguardanti le droghe leggere? Perché in Senato non c’erano i numeri, visto che il Ncd ha annunciato il voto contrario, e rischiavamo di non riuscire ad arrivare in tempo all’appuntamento del 28 maggio con l’Europa. Ma ho trovato un’altra strada: ho trasformato il mio emendamento in Ddl e ho chiesto a Ferranti di incardinarlo insieme al Ddl Farina. In questo modo, essendo un atto parlamentare, non ho il vicolo di maggioranza e non mi interessa la posizione del Ncd. Tanto più che il mio segretario, Renzi, aveva già dichiarato di essere d’accordo. Nelle carceri oggi ci sono 61.500 persone, un anno fa erano 65.000. E nello stesso periodo i nuovi ingressi sono scesi da 80 mila a 55 mila, mentre la custodia cautelare è passata dal 42% al 37%. Sono numeri che parlano anche di un cambiamento di clima. Ora, quante persone secondo lei usciranno di qui a maggio? Difficile da dire ma penso che con questa legge si potranno liberare circa 5 mila detenuti entro il 2014. Molto importante sarà anche il Ddl sulle misure cautelari in discussione al Senato che dovrebbero diventare legge a giorni. Questo è uno dei due elementi su cui si deve lavorare, insieme alla legge Fini- Giovanardi. Che il 12 febbraio potrebbe essere considerata incostituzionale dalla Consulta... Anche per questo ho ritirato l’emendamento che rischiava di essere travolto dalla sentenza della Corte. Il M5S si schiera anche contro i braccialetti elettronici il cui uso viene incentivato nel decreto perché si ribalta l’onere della prova contro i magistrati che non intendono applicarlo per i domiciliari. Inoltre denunciano un "conflitto di interessi" per l’appalto a Telecom e ricordano che nel 2001 sono stati spesi 9 milioni di euro… Il parlamento fa le leggi, il governo le applica. I magistrati non sono obbligati, devono solo spiegare i motivi delle loro scelte. Il braccialetto elettronico è usato in molti Paesi occidentali, se poi viene affidato a Telecom non è colpa nostra. Non si possono abolire le leggi perché male attuate. Dice il presidente Napolitano che "siamo con le spalle al muro"… Infatti. Siamo abituati a lavarci la coscienza con l’indulto mentre la politica deve dare più risposte, e il Paese ha bisogno di ritrovare la solidarietà umana. Per esempio, abbiamo oltre 15 mila detenuti con un residuo di pena sotto i 3 anni che potrebbero avere l’affidamento in prova o i domiciliari ma non hanno domicilio. Dovremmo spendere soldi per l’housing di queste persone. Il carcere non è la sola risposta per garantire il diritto alla pace sociale. Giustizia: decreto-carceri, dal braccialetto elettronico... al garante nazionale dei detenuti di Francesco Grignetti La Stampa, 6 febbraio 2014 Alcune misure erano note: più diritti ai detenuti, ampliamento dell’affidamento in prova, ulteriore sconto di pena, il reato autonomo di piccolo spaccio, incentivi all’uso dei braccialetti elettronici, espulsione degli stranieri in galera. Alcune altre misure sono una novità: ai mafiosi e molti altri detenuti per reati gravi delitti (come omicidio, violenza sessuale, rapina aggravata, estorsione) sono stati negati gli sconti di pena, la cosiddetta liberazione anticipata speciale. E anche ai minorenni tossicodipendenti accusati per piccolo spaccio saranno applicabili le misure cautelari con invio in comunità. Ecco quanto prevede il decreto legge licenziato dalla Camera, in risposta all’Europa dopo la sentenza "Torreggiani" che ha condannato l’Italia. Alcune norme sono state concordate in sede europea per dimostrare la nostra buona volontà e non incorrere in ulteriori sanzioni. L’Italia, va ricordato, è stata infatti condannata per "trattamento disumano" dei detenuti. Braccialetti elettronici. Gli strumenti elettronici di controllo saranno la regola, non più l’eccezione. Attualmente, nel disporre i domiciliari, il giudice li prescrive solo se necessari; da domani dovrà prescriverli in ogni caso, a meno che (valutato il caso concreto) non ne escluda la necessità. Si rovescia cioè l’onere motivazionale, con l’obiettivo di assicurare un controllo più costante e capillare senza ulteriore aggravio per le forze di polizia. Piccolo spaccio. Ciò che era una attenuante (lieve entità nel delitto di detenzione e cessione illecita di stupefacenti) diventa reato autonomo. Ma spesso le attenuanti erano bilanciate dalle aggravanti, tipo la recidiva. L’effetto erano pene sproporzionate. Viene anche meno il divieto di disporre per più di due volte l’affidamento terapeutico al servizio sociale dei condannati tossico/alcool dipendenti. Affidamento in prova. Si spinge fino a 4 anni il limite di pena (anche residua) che consente l’affidamento in prova ai servizi sociali, ma su presupposti più gravosi (periodo di osservazione) rispetto all’ipotesi ordinaria che resta tarata sui 3 anni. Si rafforzano i poteri d’urgenza del magistrato di sorveglianza. Ma dalla magistratura di sorveglianza giunge un grido di allarme: sono intasati di pratiche. Liberazione anticipata speciale. In via temporanea (dal 1 gennaio 2010 al 24 dicembre 2015) sale da 45 a 75 giorni a semestre la detrazione di pena concessa con la liberazione anticipata. L’ulteriore sconto, che comunque non vale in caso di affidamento in prova e detenzione domiciliare, è tuttavia applicato in seguito a valutazione sulla "meritevolezza" del beneficio. Sono in ogni caso esclusi i condannati di mafia o per altri gravi. Detenzione domiciliare. Acquista carattere permanente la disposizione che consente di scontare presso il domicilio la pena detentiva (anche se parte residua) non superiore a 18 mesi. Restano ferme, peraltro, le esclusioni già previste per i delitti gravi o per altre particolari circostanze (ad esempio, la possibilità di fuga o la tutela della persona offesa). Espulsione detenuti stranieri. È ampliato il campo dell’espulsione come misura alternativa alla detenzione. Non solo vi rientra (come è oggi) lo straniero che debba scontare 2 anni di pena, ma anche chi è condannato per un delitto previsto dal testo unico sull’immigrazione purché la pena prevista non sia superiore nel massimo a 2 anni e chi è condannato per rapina o estorsione aggravate. Per evitare il paradosso di iniziare la pratica di espulsione solo dopo che il detenuto ha terminato la pena, e così ingolfare i Cie, già dall’ingresso in carcere dovrebbe partire la procedura di identificazione per poi rendere effettiva l’esecuzione dell’espulsione. Garante dei detenuti. Presso il ministero della Giustizia è istituito il Garante nazionale dei diritti dei detenuti. Un collegio di tre membri, scelti tra esperti indipendenti, che resteranno in carica per 5 anni non prorogabili. Compito del Garante nazionale è vigilare sul rispetto dei diritti umani nelle carceri e nei Cie. Può liberamente accedere in qualunque struttura, chiedere informazioni e documenti, formulare specifiche raccomandazioni all’amministrazione penitenziaria. Ogni anno il Garante trasmette al Parlamento una relazione sull’attività svolta. Reclami e diritti. Si va dall’ampliamento della platea di destinatari dei reclami in via amministrativa a maggiori garanzie giurisdizionali nel reclamo davanti al giudice contro sanzioni disciplinari o inosservanze che pregiudichino diritti. In particolare, è prevista una procedura specifica a garanzia dell’ottemperanza alle decisioni del magistrato di sorveglianza da parte dell’amministrazione penitenziaria. Ok a Odg M5S: madri scontino pena in case famiglia "Eliminare tutti gli ostacoli che ancora non permettono alle madri e ai loro figli, quelli di età compresa tra zero a sei anni, di scontare la pena detentiva in un luogo diverso dal carcere nonché ad istituire le case famiglia protette, al di fuori delle strutture penitenziarie, da considerarsi una forma detentiva privilegiata quando sia indirettamente coinvolto un bambino". È questo l’impegno contenuto nell’ordine del giorno, accolto dal Governo, presentato in Aula alla Camera al decreto Carceri (a firma della deputata M5S Gessica Rostellato). Accolto Odg Binetti su medicina penitenziaria La Camera ha accolto un ordine del giorno al decreto carceri della deputata del gruppo parlamentare Per l’Italia Paola Binetti che impegna il governo a "inserire il tema della medicina penitenziaria nei prossimi provvedimenti inerenti la problematicità delle carceri, valutando l’opportunità di considerare lo stato di salute dei detenuti, soprattutto quelli sottoposti a cure palliative, quale ulteriore requisito necessario ai fini della concessione del beneficio dell’esecuzione della pena presso l’abitazione del condannato o in strutture sanitarie pubbliche". "Esprimo soddisfazione- sottolinea Binetti-, si tratta di un primo passo per contemperare il rispetto della pena con quella, non meno importante, della dignità umana del detenuto nelle carceri". Ok raccomandazione per concorsi educatori Il Governo ha accolto come "raccomandazione" l’ordine del giorno presentato in Aula alla Camera, al decreto Carceri, per l’attivazione di percorsi formativi del personale carcerario. La raccomandazione, a prima firma della deputata di Per l’Italia Milena Santerini, chiede "di aprire nuove procedure concorsuali per l’assunzione di educatori esperti nelle discipline pedagogiche, formative, educative" da inserire negli istituti di pena. E ancora: "Valutare l’opportunità di valorizzare con apposite norme la figura dell’educatore penitenziario e la sua specificità professionale, caratterizzata da una formazione umanistica e da una conseguente speciale sensibilità nei confronti della storia complessiva e del vissuto dei detenuti". In ultimo, la raccomandazione PI, chiede di "attivare percorsi formativi del personale carcerario attraverso esperti del settore formativo, educativo, pedagogico, in modo da garantire formazione continua a quelle professionalità cui sono richiesti compiti delicati all’interno degli istituti di detenzione e pena". Giustizia: il decreto-carceri in Aula alla Camera, dichiarazioni di vari esponenti politici Adnkronos, 6 febbraio 2014 D’Incà (M5S): decreto legge è indulto mascherato, firmato illegittimamente da Napolitano Il dl svuota-carceri "è un indulto mascherato", chi dice il contrario "mente spudoratamente". Lo denunciano i deputati M5S, che sul provvedimento confermano il loro ostruzionismo in Aula. La volontà, spiegano, è quella di far decadere il decreto, "ma i tempi sono favorevoli al governo", afferma amaro il capogruppo Federico D’Incà. Con il dl sul quale l’esecutivo ha posto la fiducia "si scontano 240 giorni a tutti i detenuti - denuncia il deputato Andrea Colletti - questo si chiama indulto, tanto più che ha un effetto evidentemente retroattivo". Dunque, "Letta, Alfano, Cancellieri e Napolitano - secondo il grillino - hanno firmato illegittimamente il provvedimento, visto che l’indulto non può essere introdotto con un decreto". Per D’Incà si tratta di misure "fallimentari, che non risolvono il problema in alcun modo ma che hanno fatto uscire dalle carceri, a partire dal 23 dicembre scorso, anche stupratori e mafiosi. è una situazione di assoluta gravità". Giorgetti (Lega): in Italia in galera prima processo e fuori dopo "Purtroppo questo è un Paese deriso nel mondo perchè siamo l’unico Stato in cui si va in galera prima del processo e si esce dopo, e il Parlamento con lo svuota carceri ribadisce ancora una volta questo concetto". Lo ha affermato, intervenendo in Aula, il capogruppo della Lega nord alla Camera, Giancarlo Giorgetti. "Questo provvedimento -ha aggiunto- è stato discusso in commissione circa un’ora, e ci è stato impedito di votare gli emendamenti come di fatto è stato impedito anche in Aula. Voi dovete chiedere scusa a tutti i cittadini e in particolare alle Forze dell’ordine, che saranno impegnate a rincorrere i criminali che voi avete messo fuori e che inevitabilmente sono ricaduti negli stessi reati di prima. L’imbarazzo che proviamo quando torniamo a casa non è per le risse accadute, ma per le leggi vergogna che approvate e che nessuno capisce". Molteni (Lega): sarà guerra più totale, faremo decadere decreto legge Sul decreto svuota-carceri "sarà la guerra più totale, faremo decadere questo provvedimento-vergogna". è quanto dice il capogruppo della Lega in commissione Giustizia alla Camera, Nicola Molteni, annunciando una battaglia durissima sul dl che è oggetto di ostruzionismo da parte delle opposizioni in aula a Montecitorio. "Questo decreto- spiega l’esponente del Carroccio mentre in aula si discutono gli ordini del giorno- è un regalo alla mafia e alla criminalità organizzata. Nel momento in cui i cittadini lamentano un deficit di sicurezza il governo libera i criminali. La Lega- continua Molteni- non può accettare questa vergogna e faremo di tutto per bloccare e far decadere questo decreto". Patriarca (Pd): mai sentito tante baggianate, l’opposizione non ha argomenti "Non ho mai sentito tante baggianate come oggi. Da Lega e M5S tesi per nulla suffragate dai fatti". Lo afferma il deputato del Pd Edoardo Patriarca, componente della Commissione Affari Sociali. "Col provvedimento sulle carceri all’esame della Camera - spiega - possiamo migliorare la qualità di vita nei nostri penitenziari e allo stesso tempo garantire sicurezza. Le pene alternative sono la vera svolta per tentare un recupero dei detenuti ma anche per rispondere alle obiezioni dell’Unione Europea. L’opposizione - conclude - non ha argomenti e allora, per l’ennesima volta, punta al caos". Di Lello (Psi): chiusura Cie è vittoria socialista "Vittoria in tre mosse: Risoluzione, art. 6 del decreto svuota carceri che impone l’identificazione degli immigrati durante e non dopo l’espiazione della pena, e oggi l’ordine del giorno" Lo ha scritto in una nota il presidente dei deputati socialisti, Marco Di Lello, che prosegue: "Grazie al decreto i Cie vengono così svuotati di qualsiasi ruolo, tenendo conto che oltre il 90% dei reclusi nei Cie è costituito da ex detenuti in attesa di identificazione ed espulsione. È grazie all’impegno dei socialisti nel garantire i diritti fondamentali di tutti se nel nostro paese non ci saranno più i tanti Ponte Galeria. Un successo nel solco delle tante battaglie per i diritti civili portate avanti dai socialisti in tutti questi anni", conclude Di Lello. Ferranti (Pd): sproloqui, falsità e citazioni farlocche… "Un conto è l’ostruzionismo, un conto è sentire in aula sproloqui, falsità e citazioni farlocche". Così Donatella Ferranti, presidente della commissione Giustizia alla Camera, liquida le argomentazioni di Lega e 5 stelle contro il decreto carceri: "Convertire questo decreto è un obbligo imposto dalla nostra coscienza e da una sentenza dell’Europa. E comunque, parlare di indulto mascherato è pura disonestà intellettuale. Il testo su cui è stata votata la fiducia, checché ne dicano gli apocalittici dello sfascio, contempera appieno garanzie umanitarie ed esigenze di sicurezza". Piuttosto, insiste l’esponente del Pd, "incuriosisce la perfetta coincidenza di slogan e luoghi comuni tra grillini e leghisti: il nuovo a 5 stelle è già così terribilmente vecchio". Quanto alle critiche di gestione dittatoriale dei lavori in commissione, Ferranti replica: "I 5 stelle prima bloccano le sedute con violenza e protervia impedendo ogni votazione e poi protestano per la mancanza di tempo sono accuse ridicole e infondate, che rimando al mittente". Sarti (M5S): con braccialetti elettronici enorme conflitto interessi per cancellieri "Noi non siamo contro il braccialetti elettronici, ma c’è un evidente ed enorme conflitto d’interessi per il ministro Cancellieri. Ne viene incentivato l’uso mentre in Telecom, ad occuparsi di questo, c’è il figlio. Ve li immaginate gli incontri tecnici sui braccialetti? Attorno al tavolo il ministro Alfano, la collega Cancellieri e, per Telecom, il figlio Piergiorgio Peluso". A denunciarlo è Giulia Sarti, deputata del M5S, in una conferenza stampa in cui i grillini confermano l’ostruzionismo al dl svuota carceri, "un indulto mascherato". Nel decreto, "c’è un’ulteriore stortura - denuncia Sarti - i braccialetti elettronici, che diventano la regola e non più l’eccezione". Tra le nuove misure contenute nel provvedimento, c’è infatti anche il braccialetto elettronico, che viene incentivato, prevedendone l’obbligo di applicazione per i domiciliari, nei permessi o nell’affidamento in prova. I magistrati saranno obbligati a presentare delle motivazioni nei casi in cui decideranno di non adottarli. "Abbiamo fatto notare - incalza Sarti - che dietro questa operazione c’è una convenzione illegittima per Telecom, dichiarata tale dal Consiglio di Stato nel 2012. Dal 2001, sono stati spesi 9 milioni di euro l’anno per questi braccialetti. Ma la Cancellieri, anziché stralciare quella convenzione e comprendere cosa non ha funzionato, l’ha reiterata con affidamento diretto a Telecom. C’è un conflitto d’interessi enorme, ma si fa finta di nulla con ipocrisia. In Commissione, dove siamo stati silenziati, e in Aula". Giustizia: Ucpi; decreto-carceri andava modificato con più misure anti-sovraffollamento Italpress, 6 febbraio 2014 L’Unione Camere Penali italiane, in una nota, sottolinea che la conversione del decreto sul carcere "si sta rivelando l’ennesimo appuntamento mancato della politica con il coraggio". Il decreto legge "andava modificato, si, ma in meglio - fanno notare i penalisti - allargando l’area dei benefici e delle misure che possono sfoltire la popolazione detenuta. Viceversa, laddove occorreva abbassare la pena per la modica detenzione di droghe leggere - affidando a percorsi alternativi e più idonei al recupero la pletora di giovani che affolla, e continuerà ad affollare, le patrie galere - è invece arrivata l’esclusione dal beneficio della liberazione anticipata "speciale" dei condannati per reati elencati nell’art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario, cosa che riduce di molto gli effetti positivi sul carcere ed allo stesso tempo determina una disparità di trattamento certamente incostituzionale, dal momento che la misura non guarda al reato ma premia il comportamento tenuto in carcere ed inoltre, essendo il richiamo al nudo elenco di reati, si finisce per escludere il beneficio anche a coloro per i quali, per aver collaborato o altro, lo stesso art. 4 bis prevede un’eccezione". Ed allora, "pur senza disconoscere i buoni propositi alla base del decreto legge - conclude l’Ucpi - non possiamo sottacere la prova di debolezza che la politica sta ancora una volta dando, confermandosi incapace di portare a compimento il piano di azione prestabilito - una volta che sia stato ponderato e deciso sulla base di dati criminologici scientifici ed obiettivi ben precisi da conseguire - e dimostrandosi priva di una minima capacità di resistenza di fronte alle immancabili polemiche demagogiche, come al solito edificate sulle basi scivolose del più recente fatto di cronaca ovvero sostenute con azioni rozze e grossolane, quali manette agitate in aula o tweet ingiuriosi dell’imbonitore di turno". Giustizia: Icsa; sospensione condizionale della pena, soluzione a sovraffollamento carceri Adnkronos, 6 febbraio 2014 Sospensione condizionale della pena come soluzione strutturale al problema del sovraffollamento delle carceri italiane. E responsabilizzazione del detenuto beneficiario, evitando "regali a costo zero". È la proposta della Fondazione Icsa sulla questione carceraria italiana, per alleviare le condizioni di sovraffollamento all’interno degli istituti di pena, "che impongono l’abbandono dalla logica emergenziale con cui da sempre viene affrontato il tema per attuare una serie di misure strutturali in qualche modo risolutive". Le proposte sono contenute in un rapporto della Fondazione Icsa, sul sovraffollamento carcerario, che sarà presentato oggi dal prefetto Carlo De Stefano e dal procuratore aggiunto della Procura di Roma, Giancarlo Capaldo, estensori del documento, insieme ai consiglieri scientifici di Icsa. "Siamo partiti dalla necessità di non ricorrere a misure di emergenza ma a interventi di carattere strutturale", spiega all’Adnkronos il prefetto De Stefano, vice presidente della Fondazione Icsa. "L’esperienza ci dice che l’indulto è stato sempre inefficace ai fini della riduzione del sovraffollamento carcerario perchè - è il ragionamento dell’ex sottosegretario all’Interno - dopo circa un anno o poco più dall’applicazione della misura, si raggiunge il numero dei detenuti iniziali". A motivare la proposta dell’Icsa, anche un’altra considerazione: "Quando si concede un provvedimento di clemenza - fa notare De Stefano - nell’opinione pubblica si può ingenerare la sensazione che le sentenze vengano fatte dal potere esecutivo, non dalla magistratura né dal Parlamento. E nei detenuti si alimenta una aspettativa di liberazione anticipata che non può essere a costo zero". Dunque, "da una disamina dei detenuti, soprattutto di quelli condannati per la legge Fini-Giovanardi e delle persone che devono scontare pene inferiori ai 4 anni, l’Icsa formula la sua proposta che si basa su due criteri: respingere soluzioni regalo ai detenuti, e responsabilizzare la persona che può beneficiare di provvedimenti di liberazione anticipata". Da qui la "proposta della sospensione condizionale speciale, ovvero una sospensione dell’esecuzione della pena detentiva per tutti i detenuti che devono scontare una pena inferiore a 4 anni, con l’esclusione di coloro che sono stati condannati per reati di particolare gravita"‘. La novità di questa proposta è anche un ‘altra. "Il beneficio - rimarca De Stefano - non deve essere concesso automaticamente, ma a domanda dell’interessato, in modo che il detenuto si responsabilizzi". Al detenuto saranno di regola applicate dal magistrato di sorveglianza le misure di prevenzione personali ritenute più adeguate, per un periodo pari a quello della pena di cui è stata sospesa l’esecuzione. Il beneficio sarebbe invece revocato se il detenuto viene condannato per inosservanza delle misure di prevenzione applicate e per qualunque altro delitto doloso commesso nei dieci anni successivi alla sospensione. In tal caso sarà contestata all’imputato di nuovi delitti, già detenuto beneficiario della sospensione speciale, un’apposita aggravante del nuovo reato commesso, da ritenersi speciale e come tale non soggetta a giudizio di prevalenza o equivalenza. Nel quadro attuale, si legge nel Rapporto della Fondazione Icsa, "la proposizione di provvedimenti generalizzati di clemenza ed indulto sulla falsariga di quello del 2006 non è auspicabile", perchè "studi documentati e analisi approfondite hanno evidenziato che, nell’anno successivo all’indulto del luglio 2006, vari reati hanno subito improvvise impennate (in particolare, le rapine in banca sono quasi raddoppiate) e che la popolazione carceraria, nel successivo biennio, è sostanzialmente ritornata, sul piano numerico, identica a quella precedente". Per la Fondazione Icsa, prosegue il documento, "l’impianto normativo predisposto dal ministro Cancellieri risulterà inefficace ai fini della riduzione strutturale del sovraffollamento carcerario, rivelandosi destabilizzante per il sistema dell’amministrazione della giustizia in Italia". In primo luogo perchè "impatta sui criteri di valutazione dei giudici nella determinazione della pena nei processi in corso ed in quelli futuri". Inoltre, rimarca l’Icsa, "l’intervento del governo con provvedimenti che di fatto incidono sull’entità della pena, ingenera la sensazione che le sentenze vengano fatte dal potere esecutivo, inficiando così l’equilibrio dei poteri statali a scapito del Parlamento e della magistratura". Al 27 gennaio 2014 - spiegano le elaborazioni della Fondazione Icsa su dati del Dap - a fronte di una capienza regolamentare totale di 47.716 posti, erano presenti negli istituti di pena, 61.709 detenuti (59.038 uomini e 2.671 donne). L’osservazione generale dell’andamento e della composizione della popolazione carceraria, evidenzia un dato piuttosto significativo e cioè che, "indipendentemente dal periodo di rilevazione - si legge nel rapporto Icsa - il 38-40% dei detenuti presenti nelle carceri italiane ha subito una condanna per violazione della legge antidroga (la Fini-Giovanardi)". Per esempio, al 31 dicembre 2013, su 62.536 detenuti complessivi, il 38,8% del totale, ossia 24.273 unità aveva subito una condanna per violazione delle leggi antidroga. Il numero dei condannati per droga è quindi "costante nel tempo e può spesso accadere che chi termina di scontare la pena, torni facilmente di nuovo in galera per avere reiterato lo stesso tipo di reato, proprio per la peculiarità dello stesso". Per l’Icsa, "a sette anni dall’entrata in vigore della legge Fini-Giovanardi, possiamo affermare che essa ha prodotto una eterogenesi dei fini, in quanto ha ottenuto effetti contrari all’obiettivo principale che si era prefissata, ossia il contrasto dell’uso e della diffusione di sostanze stupefacenti, nonché quello di esercitare una funzione deterrente. Conseguentemente, appare opportuno un intervento più ampio e urgente sulla disciplina dei reati in materia di stupefacenti". La riforma proposta dal decreto legge n. 146 del 2013 "appare condivisibile, ma purtroppo non risolutiva. Pertanto, in attesa di una ridefinizione di detta legge in senso meno punitivo per i consumatori di droghe leggere - conclude l’Icsa - quantomeno occorrerebbe evitare di immettere (o re-immettere) nel circuito carcerario individui che vi rimarrebbero per pochi giorni attraverso l’utilizzo di procedure tanto costose quanto inutili, in attesa di un processo". Giustizia: Commissione Ue; normativa europea su detenzione applicata solo in metà Paesi Ansa, 6 febbraio 2014 La Commissione sollecita gli Stati membri a garantire la pronta attuazione delle norme sulla detenzione in un altro paese Ue. La normativa riguardante la detenzione, adottata all’unanimità dagli Stati membri, risulta applicata in appena la metà dei 28 paesi dell’Unione. È quanto rivela oggi la relazione pubblicata dalla Commissione europea, che esamina l’attuazione di tre decisioni quadro dell’UE, la prima sul trasferimento dei detenuti, la seconda sulla sospensione condizionale e le sanzioni alternative e la terza sull’ordinanza cautelare europea. In applicazione delle norme emananti da queste tre decisioni, le pene detentive, le decisioni di sospensione condizionale o le sanzioni alternative e le misure cautelari possono essere eseguite in un paese dell’UE diverso da quello che ha emesso la condanna o nel quale la persona è in attesa di giudizio: nel paese di cittadinanza o di residenza abituale o in un altro paese dell’UE con il quale l’interessato intrattiene stretti legami. Le tre decisioni, approvate all’unanimità dagli Stati membri tra il 2008 e il 2009, avrebbero dovuto essere attuate rispettivamente entro il 5 dicembre 2011, il 6 dicembre 2011 e il 1º dicembre 2012. A tutt’oggi però la decisione sul trasferimento dei detenuti viene attuata in appena 18 Stati membri, quella sulla sospensione condizionale e le sanzioni alternative in 14 e l’ultima sull’ordinanza cautelare europea in appena 12 (per la ripartizione per paese si veda la tabella in allegato). Le tre decisioni non solo mirano a consolidare la fiducia reciproca tra i sistemi giudiziari europei, elemento essenziale per uno spazio comune europeo di giustizia, ma sono anche importanti strumenti in grado di favorire la riabilitazione sociale dei detenuti e ridurre il ricorso alla custodia cautelare, una ragione di più perché siano adeguatamente attuate. L’attuazione tardiva o incompleta in diversi Stati membri è quanto mai pregiudizievole se si pensa che le tre decisioni potrebbero contribuire a ridurre le condanne alla reclusione emesse a carico dei cittadini non residenti. Una tale riduzione permetterebbe non solo di alleggerire l’affollamento delle carceri, con un conseguente miglioramento delle condizioni di detenzione, ma anche di tagliare i costi del sistema carcerario. La Commissione sollecita quindi tutti gli Stati membri che non l’abbiano ancora fatto a adottare il prima possibile misure atte a garantirne la piena attuazione. La relazione pubblicata oggi si limita a fare un bilancio preliminare sull’attuazione delle tre decisioni quadro negli Stati membri, non potendo valutare la qualità dell’applicazione dal momento che la metà degli Stati membri non ha ancora provveduto a attuarle. In applicazione dell’articolo 10, paragrafo 1, del protocollo n. 36 dei trattati, attualmente la Commissione non può avviare i procedimenti di infrazione previsti dall’articolo 258 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea perché le tre decisioni quadro sono state adottate prima dell’entrata in vigore del trattato di Lisbona. Per lanciare i procedimenti di infrazione la Commissione dovrà quindi aspettare il 1° dicembre 2014. La relazione di oggi ricorda pertanto agli Stati membri la necessità di provvedere a allineare ulteriormente la legislazione nazionale. Ogni anno decine di migliaia di cittadini dell’UE sono processati o condannati in un altro Stato membro. In attesa del processo, molto spesso i giudici emettono un’ordinanza di custodia cautelare per evitare che l’imputato non residente scappi e non si presenti in udienza. Nella stessa situazione, un cittadino residente beneficerebbe invece di misure cautelari più lievi, per esempio l’obbligo di presentarsi alla polizia giudiziaria o il divieto di espatrio. Le tre decisioni quadro, intese quali pacchetto di norme coerenti e complementari sulla detenzione dei cittadini dell’UE in altri Stati membri, potrebbero ridurre il ricorso alla custodia cautelare o facilitare la riabilitazione sociale dei detenuti in un contesto transfrontaliero. Esistono infatti nessi operativi non solo tra le tre decisioni ma anche tra queste e la decisione quadro sul mandato d’arresto europeo. Con il Libro verde sulla detenzione, pubblicato a giugno 2011, la Commissione ha voluto valutare in che misura la custodia cautelare e le condizioni carcerarie danneggino la fiducia reciproca e l’effettiva cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri e, in senso più ampio, che ruolo possa avere l’Unione in questo ambito (IP/11/702). Dall’esame dei numerosi contributi ricevuti in risposta al Libro verde, si evince innanzitutto l’importanza di garantire un’attuazione adeguata e tempestiva dell’attuale normativa dell’Ue mirata a promuovere soluzioni alternative alla detenzione. Giustizia: il Protocollo Farfalla sui rapporti tra carceri e servizi segreti non esiste (più) di Roberto Galullo Il Sole 24 ore, 6 febbraio 2014 Il Protocollo Farfalla sui rapporti tra carceri e servizi segreti non esiste più. Parola di Giovanni Tamburino, capo del Dap. Martedì 14 gennaio in Commissione parlamentare antimafia siede Giovanni Tamburino, Capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Risponde alle domande con tono cortese e fermo. La commissaria Pina Picierno (Pd) chiede di sapere, una volta acquisite le informazioni tra detenuti in socialità carceraria (e quindi sulla permanenza all’aperto, sui colloqui e così via), con chi e tra chi vengono condivise le informazioni. Inoltre, chiede ancora Picierno, se nei momenti in cui emerge una notizia di reato, quest’ultima viene comunicata ai sensi di un protocollo all’autorità giudiziaria. Lo spunto per le domande, lo avrete capito, è dai colloqui tra il boss Totò Riina e il detenuto pugliese Alberto Lorusso nel carcere milanese di Opera. Ma il riferimento, forse non tutti lo avranno capito, è al famoso "Protocollo Farfalla" di cui si favoleggia da tempo e che ha (avrebbe) disciplinato i rapporti tra i vertici delle carceri italiane e i servizi segreti. Bene. Tamburino esordisce parlando di "convenzione" anziché di "protocollo". È una distinzione terminologica, ma serve per distinguere questa convenzione che "ho consegnato oggi - afferma - i cui contenuti quindi saranno pienamente conoscibili, da eventuali altre forme di collegamento che siano eventualmente e ipoteticamente esistite in passato". Tamburino, dunque, non risponde per il passato che per lui è ipotetico ma per il suo presente. Come forse è doveroso che sia anche se viene da domandarsi se il "passato" del Dap non faccia parte (o non debba fare parte) delle conoscenze del "presente" nel momento in cui un magistrato (prima era presidente del Tribunale di Sorveglianza a Roma) va a ricoprire un ruolo così importante e delicato (dal 2012). Tamburino specifica che la convenzione prevede che rispetto alle notizie che possano avere rilevanza per le finalità dell’Agenzia di informazione e sicurezza interna (Aisi), insomma dei Servizi segreti, vi possa essere una richiesta, rivolta al Dipartimento, di acquisizione di informazioni. Questa richiesta, sottolinea Tamburino, verrebbe accolta, alle condizioni previste dalla convenzione stessa, dal Dipartimento che fornirebbe le notizie richieste. "Questo è peraltro basato su norme di legge - spiega Tamburino - su norme primarie che prevedono, almeno così sono state interpretate, l’obbligo, il dovere di collaborazione di tutte le pubbliche amministrazioni con l’Agenzia". Per quanto riguarda le ipotesi di notizie di reato, Tamburino sottolinea che vengono trasmesse immediatamente all’autorità giudiziaria, come è obbligo di ogni pubblico ufficiale e, in particolare, come è obbligo della Polizia giudiziaria. E la Polizia penitenziaria ha la qualifica, nell’ambito della sua competenza, di Polizia giudiziaria, quindi è doppiamente tenuta a farlo: in quanto pubblico ufficiale e, specificamente, in quanto Polizia giudiziaria. Non vi è, dunque, alcun dubbio, sottolinea Tamburino davanti ai commissari antimafia, che tutte le notizie di reato vengono immediatamente trasmesse all’autorità giudiziaria penale; se questo non avvenisse, si commetterebbe un reato. "Per quanto riguarda, invece quella che chiamavo l’acquisizione in via amministrativa, in quanto sia documentato e documentabile - specifica Tamburino - vi è certamente la possibilità, alle condizioni che dicevo prima, quando ne sia fatta richiesta, che vengano trasmesse le informazioni all’Agenzia che ne fa richiesta. Nei 14 casi in cui questo è avvenuto, abbiamo fornito le informazioni coerenti con la richiesta pervenuta". Va tenuto presente che la legge istitutiva e di riforma dell’Agenzia ha previsto anche ulteriori poteri nell’esercizio dell’attività di informazione per la sicurezza dello Stato; questi poteri vanno molto al di là e molto al di fuori dei poteri comuni ma, per quanto risulta a Tamburino non sono mai stati utilizzati nelle relazioni con il Dipartimento successive alla convenzione del 2010. A Vincenza Bruno Bossio, altro commissario del Pd che interviene nel dialogo con il capo del Dap, sembra dunque di capire che il cosiddetto "Protocollo Farfalla" o, quantomeno, i suoi contenuti non siano più sostanzialmente attuali e che il rapporto con la nuova organizzazione dei Servizi segreti sia basato semplicemente sullo scambio di questioni documentali ovvero di banche dati. Tamburino, risponde secco: "Del protocollo Farfalla, come ho detto più volte, non so nulla. Non l’ho visto, non so nemmeno se esista. Non ho alcuna ragione per conoscerne l’esistenza, posto che c’è un procedimento penale in corso che riguarda quel periodo. Questo è l’unico dato certo che ho. Quindi, ripeto, non so se il protocollo Farfalla esista, se abbia questo nome o quali contenuti abbia. Oggi il contenuto della collaborazione è definito in modo precisoin questa convenzione che ho lasciato, ed è sicuramente prevista la possibilità di accesso alla banca dati, che peraltro mi risulta non sia ancora mai avvenuto, nel senso che in tutti i casi che ho avuto modo di conoscere non c’è stato un accesso diretto alla banca dati, come pure sarebbe possibile, ma c’è stata una richiesta di informazioni alla quale noi abbiamo risposto con le informazioni che ci venivano richieste". Resta da vedere se qualcuno avrà voglia di capire ancora, tra i commissari antimafia, cosa sia successo prima del 2010. Magari per non lasciare che il Protocollo Farfalla si trasformi in protocollo "fantasma". In Italia, del resto, ci siamo abituati. Milano: la Garante; a San Vittore 19 detenuti ogni 10 posti e il 30% assume psicofarmaci di Oriana Liso La Repubblica, 6 febbraio 2014 Per ogni dieci posti letto ci sono diciannove detenuti. Una media che non racconta gli estremi della situazione di San Vittore, come le celle che dovrebbero ospitare due persone al massimo e che invece hanno due letti a castello da tre posti l’uno, con sei persone, quindi, a contendersi pochissimi metri quadri. A fine gennaio la situazione delle carceri del sistema milanese era, nel complesso, in leggero miglioramento rispetto agli ultimi mesi del 2013, grazie a una serie di trasferimenti in altre strutture, anche fuori dalla Lombardia, decise nel momento in cui gli istituti erano già oltre ogni soglia di tolleranza. Ma è un miglioramento ben lontano dalla normalità: per 702 posti a San Vittore ci sono 1.351 detenuti, ad Opera sono 1.271 ospiti per 973 letti, a Bollate 1.195 per 976 posti. La relazione annuale della garante dei detenuti del Comune Alessandra Naldi - presentata ieri in commissione carceri - racconta anche un disagio profondo, soprattutto a San Vittore dove, nonostante gli annunci, non sono ancora partiti i lavori di ristrutturazione dei due raggi chiusi (e forse partiranno a maggio): "Quasi tutte le persone detenute assumono sedativi o altri farmaci per favorire il riposo notturno, il 30 per cento dei detenuti è sottoposto a terapie farmacologiche specifiche per problemi più o meno gravi di ordine psichiatrico che poi si ripresentano aggravati alla fine della detenzione", scrive la garante, ricordando anche che pesa, su questa situazione, la composizione della popolazione di San Vittore, fatta al 65 per cento di cittadini stranieri, "detenuti per reati mediamente meno gravi rispetto agli italiani" ma più poveri e senza legami familiari. È questo il motivo fondamentale per cui restano in cella e non avvedono alle pene alternative: nel primo semestre 2013 su 237 persone mandate ai domiciliari solo 23 sono straniere, le 13 che hanno avuto la semilibertà sono tutte italiane. Napoli: Ass. Antigone; il "sistema Poggioreale" può alimentare episodi di violenza www.fanpage.it, 6 febbraio 2014 Su Fanpage.it interviene il presidente di Antigone Campania: "Siamo preoccupati, la magistratura faccia presto. Crediamo nella responsabilità penale individuale ma apriamo una discussione sul sistema Poggioreale". Sono circa centoventi le denunce alla Procura di Napoli per i maltrattamenti in carcere e ombre sulla presenza della cella zero per i pestaggi: tra smentite e allusioni, si infittisce la rete di sospetti intorno al carcere di Poggioreale. La prima inchiesta, condotta dal procuratore Vincenzo Piscitelli, è partita alcuni mesi fa, dopo la denuncia del presidente dell’associazione degli ex detenuti napoletani, Pietro Ioia. La seconda inchiesta, condotta dal pm Alfonso D’Avino, è partita alcuni giorni dopo il servizio di Fanpage.it sui presunti pestaggi e la cella zero. Secondo alcune delle oltre 50 testimonianze raccolte dalla Garante dei Detenuti Adriana Tocco, la cella zero sarebbe una stanza vuota, senza videosorveglianza, sporca di sangue sulle pareti, dove si consumerebbero i pestaggi da parte di alcuni agenti della polizia penitenziaria. Circostanze, queste, tutte da verificare. Anche Rita Bernardini, segretario dei Radicali, è stata ascoltata dalla Digos di Napoli nel 2013, dopo un’ispezione durante la quale almeno tre detenuti le avevano chiesto aiuto e denunciato pestaggi nella cella zero. "Siamo preoccupati. Alla magistratura chiediamo di chiudere presto le indagini". Non usa giri di parole Mario Barone, presidente di Antigone Campania, l’associazione che tutela i diritti dei detenuti, che sgombra subito il campo da dubbi e aggiunge: "Noi crediamo nel principio della responsabilità penale individuale. Detto questo, però, bisogna aprire una riflessione sul carcere di Poggioreale". Per come è congegnato, spiega il presidente, "può alimentare episodi di violenza portati avanti da singoli individui". Per rendere meglio l’idea delle disumane condizioni di detenzione, descritte dettagliatamente nel Rapporto 2013 dell’associazione intitolato non a caso "L’Europa ci guarda", Barone mette i dati sul piatto: 2800 detenuti su una capienza regolamentare di 1400, meno di tre metri quadrati di spazio vitale a testa, due ore d’aria. Formazione? Neanche a parlarne. Al lavoro sono destinati solo 200 detenuti, né ci sono attività di risocializzazione. Pochi gli educatori; i detenuti si trovano ristretti in 3 metri quadrati di spazio per 22 ore al giorno. "Un sistema come questo - sottolinea il presidente di Antigone. Può essere retto da una sola parola d’ordine: sicurezza". Una logica securitaria che può trascendere, trasformarsi pericolosamente. Secondo alcune denunce, nella presunta cella zero mancherebbe la videosorveglianza: basterebbe, dunque, introdurla anche dove non c’è? "È un argomento delicato - ribatte Barone - Che implicitamente si rifà ai cosiddetti non luoghi istituzionali; dei territori di confine che si sottraggono al controllo di legittimità". Il presidente di Antigone ricorda poi il tragico epilogo del G8 e di Bolzaneto, circostanza definita dalla Cassazione come "sospensione dello stato di diritto". E quello del carcere di Asti, nel quale alcuni agenti penitenziari accusati di aver usato violenza contro i detenuti non sono stati condannati perché in Italia non esiste il reato di tortura. Insomma, per Barone il problema è innanzi tutto culturale. Si tratta di risposte che dovrebbero dare le istituzioni e la società tutta. A proposito di mancate risposte dalle istituzioni, Barone ricorda che otto mesi fa ha riscontrato una inquietante anomalia all’interno del penitenziario napoletano: durante un’ispezione, numerosi detenuti si trovavano in celle di isolamento. "Domandai per quale motivo fossero lì e non mi venne data risposta". È stata presentata anche un’interrogazione parlamentare su questa circostanza, a firma di Luisa Bossa, parlamentare del Pd. "Sono passati otto mesi - conclude Barone. Ma non abbiamo ricevuto alcuna risposta dal ministro della Giustizia". Lucca: accordo con il carcere, Comune "impiega" i detenuti in lavori utili e manutenzioni www.luccaindiretta.it, 6 febbraio 2014 Il Comune di Lucca intende implementare e sostenere attività di collaborazione con la Casa Circondariale di Lucca per il sostegno delle attività e degli interventi in favore dei detenuti. Secondo la normativa vigente in materia, i detenuti possono essere assegnati a prestare la propria attività a titolo volontario e gratuito nell’esecuzione di "progetti di pubblica utilità in favore della collettività" da svolgersi nelle pubbliche amministrazione, enti e organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato. L’iniziativa, che vede il Comune di Lucca primo sul territorio provinciale ad avviare questo tipo di progetto, è stata presentata questa mattina (5 febbraio) a Palazzo Orsetti dal sindaco Alessandro Tambellini, il responsabile protempore della Casa Circondariale di Lucca Francesco Ruello, l’assessore alle Politiche Sociali Ilaria Vietina e il dirigente comunale del settore Servizi Sociali Maurizio Prina. Al termine della conferenza stampa è stata sottoscritta la specifica convenzione per l’avvio del progetto. Tale attività si inserisce nell’ambito degli obiettivi previsti dall’accordo operativo tra i Comuni della Toscana e l’Amministrazione Penitenziaria, sottoscritto il 17 dicembre scorso tra il Ministro della Giustizia e il presidente della Regione Toscana. Per favorire l’integrazione sono necessari momenti di socialità e inserimento nel tessuto cittadino. Dall’esperienza di persone uscite dal carcere si registrano infatti molte difficoltà riguardo al reinserimento attivo nella comunità, perciò è stato ritenuto necessario individuare un percorso rivolto verso la socializzazione attraverso un intervento integrato. Da qui nasce l’apposita convenzione tra Comune di Lucca e Casa Circondariale di Lucca per l’avvio del progetto Una città per l’integrazione di detenuti e internati. Progetto di pubblica utilità sociale a favore della collettività. Le principali finalità del progetto sono quelli di contrastare gli stereotipi relativi ai temi della realtà detentiva e intervenire sui temi della formazione e del lavoro. Secondo la convezione, il direttore della Casa Circondariale di Lucca riserva all’amministrazione comunale un massimo di 5 detenuti che saranno coinvolti per svolgere lavori di pubblica utilità ad esempio riguardanti la manutenzione delle Mura Urbane, dell’Orto Botanico, degli spazi verdi lungo la circonvallazione. Gli ambiti di intervento, quindi, saranno la tutela del patrimonio ambientale e culturale, la manutenzione di aree di verde pubblico, l’eventuale tutela e manutenzione del patrimonio comunale, il supporto operativo al personale dell’Opera della Mura nello svolgimento delle proprie attività. La convenzione, che ha durata di 1 anno a decorrere dalla sottoscrizione, prorogabile per ulteriori 2 anni con un atto successivo, prevede, tra le altre cose inoltre la verifica e la relazione sul lavoro svolto, le modalità di trattamento e di svolgimento dell’attività assegnata. Ancona: nelle Marche cresce l’agricoltura sociale, a Staffolo progetto con i reclusi www.anconatoday.it, 6 febbraio 2014 Sono ormai oltre un centinaio le aziende agricole che hanno attivato servizi e iniziative a carattere sociale, dagli agri-nidi al reinserimento lavorativo dei detenuti e dei disabili, anche con il coinvolgimento delle amministrazioni pubbliche. Sono ormai oltre un centinaio le aziende agricole che hanno attivato servizi e iniziative a carattere sociale, dagli agri-nidi al reinserimento lavorativo dei detenuti e dei disabili, anche con il coinvolgimento delle amministrazioni pubbliche. È quanto afferma la Coldiretti Marche, sulla base di dati Istat, in occasione dell’avvio di un nuovo progetto che all’azienda agricola le Noci di Staffolo vedrà al lavoro due persone condannate a pene alternative al carcere e al soggiorno in una comunità di Cupramontana. "Il sociale è una delle nuove frontiere dell’agricoltura e si stanno moltiplicando le esperienze che vedono le aziende offrire veri e propri servizi alla comunità - spiega Francesca Gironi, responsabile regionale di Coldiretti Donne Impresa e titolare dell’azienda Le Noci -. In un contesto di crescente contenimento delle risorse pubbliche e di parallelo incremento della domanda sociale legata ai disagi diffusi e diversificati, creare un agri-asilo in un’area montana, attivare una agri-colonia per bambini o ospitare un disabile significa venire incontro a necessità delle famiglie che altrimenti non potrebbero essere soddisfatte, utilizzando le risorse esistenti sul territorio". Proprio la Gironi ha preso parte questa mattina alla firma del protocollo d’intesa promosso dall’assessorato regionale alle Pari opportunità per conciliare i tempi di vita e di lavoro. Ma agli agri-nidi e al lavoro per i disabili e detenuti si aggiungeranno presto le agri-residenze per anziani, secondo capitolo del progetto per un welfare rurale promosso dalla Regione Marche. La nuova iniziativa riguarda la realizzazione di servizi di accoglienza e assistenza di qualità rivolti a pensionati. In pratica, le aziende agricole si propongono come strutture in grado di ospitare anziani autosufficienti, una sorta di case di riposo di campagna. La scadenza del bando, inizialmente fissata per il 14 gennaio, è stata prorogata al 14 febbraio prossimo. Biella: Osapp; cinque agenti penitenziari aggrediti da due detenuti extracomunitari La Presse, 6 febbraio 2014 Cinque guardie penitenziarie sono state aggredite nel pomeriggio di ieri all’interno della terza sezione penale del carcere di Biella. Lo rende noto l’Organizzazione sindacale autonoma della polizia penitenziaria (Osapp). A compiere l’aggressione, intorno alle 15.30, sono stati due detenuti - in carcere per resistenza a pubblico ufficiale - un ragazzo marocchino di 25 anni e un algerino di 38, che si sono rifiutati di entrare in cella. Delle cinque guardie aggredite, tre sono state portate al pronto soccorso, ma non è stato necessario il ricovero. Per tutti e cinque gli agenti la prognosi è compresa tra i due e i sette giorni. "Da mesi le condizioni di lavoro alla casa circondariale di Biella sono pessime - afferma il segretario generale dell’Osapp, Leo Beneduci - sia in ragione di palesi errori e incongruenze di carattere gestionale organizzativo da parte dell’attuale direzione, sia a causa della repentina apertura di un nuovo padiglione detentivo non accompagnata da una adeguata integrazione nell’organico del personale di polizia penitenziaria". "Se a questi problemi - aggiunge Beneduci - dovessero aggiungersi anche difficoltà nella gestione della locale popolazione detenuta, le condizioni di vivibilità della struttura diventerebbero assolutamente insostenibili". Novara: detenuto nigeriano morde un agente di Polizia penitenziaria a una spalla Agi, 6 febbraio 2014 Un agente scelto di polizia penitenziaria è stato assalito a morsi da un detenuto nel carcere di Novara. Il fatto, a quanto si apprende, è avvenuto ieri intorno alle 14, dopo che l’agente aveva notificato al detenuto (un nigeriano del 1979, O.A., che avrebbe dovuto essere scarcerato nell’aprile 2014) il decreto con cui il magistrato di sorveglianza gli aveva negato la liberazione anticipata. L’uomo, innervositosi, ha dato un forte morso alla spalla sinistra all’agente, che è stato trasportato all’ospedale cittadino dove gli sono stati prescritti sette giorni di cure e profilassi per scongiurare il rischio di epatite. "Anche se non ne siamo eccessivamente convinti - dichiara Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp, commentando l’accaduto - ci auguriamo che dopo l’approvazione in parlamento della legge di conversione, previa fiducia, dell’ennesimo decreto svuota-carceri questa non sia la regola di condotta dei detenuti a cui potrà essere negata la possibilità di ottenere la liberazione anticipata". "Sta di fatto - aggiunge - che a fare le spese delle disfunzioni del carcere è sempre e comunque la polizia penitenziaria, nei cui confronti non esiste in Parlamento alcuna proposta di legge di iniziativa della Guardasigilli Cancellieri e del governo". Oristano: Sdr, sospensione braccialetto elettronico mamma detenuta per allattare bimba Ristretti Orizoznti, 6 febbraio 2014 "Un imprevedibile evento ha costretto il Tribunale di Oristano a concedere in tempi strettissimi l’autorizzazione a sospendere il braccialetto elettronico a Claudia Radu. La donna, di etnia Rom, madre di cinque figli, dovrà al più presto recarsi all’Ospedale "San Francesco" di Nuoro per allattare la figlioletta di poco più di due mesi di vita. La piccola, ricoverata in Pediatria, rifiuta il latte artificiale". Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione "Socialismo Diritti Riforme", esprimendo un plauso per la solerzia e la sensibilità dimostrata dai Carabinieri di Macomer, dagli Uffici del Tribunale di Sorveglianza di Cagliari, dal Giudice del Tribunale ordinario di Oristano e dal legale avv. Rossana Palmas per consentire alla donna di raggiungere la sua bimba. "Piace rilevare - sottolinea Caligaris - una risposta unanime a una necessità imprevedibile. È però evidente che l’uso del braccialetto elettronico nel caso di madri con creature molto piccole e con problemi sanitari legati al periodo perinatale presenta inconvenienti proprio per la tempistica. Nonostante il legale della donna abbia presentato la richiesta immediatamente, i tempi tecnici per la soluzione del problema risultano lunghi poiché anche il dispositivo deve essere disattivato". "La necessità di disporre di un Istituto a custodia attenuata per madri detenute - conclude la presidente di Sdr - appare dunque ancora più urgente anche perché quando i bimbi sono neonati occorre monitorare costantemente la loro salute". Claudia Radu, 31 anni, è la prima donna in Sardegna ad avere usufruito del braccialetto elettronico. Perugia: "Golose evasioni", nel carcere di Capanne la cena degli chef ristretti Giornale dell’Umbria, 6 febbraio 2014 Oggi serata di beneficenza con 225 coperti e il menu preparato dai 30 detenuti aspiranti cuochi. Alla "cena galeotta" con le "golose evasioni". Appuntamento con tavoli eleganti, tovaglie raffinate, candele accese, stoviglie di ceramica, sottopiatti e bicchieri di vetro. Cucina raffinata, servizio puntuale e preciso. A Capanne. Dopo il successo ottenuto dalle allieve della sezione femminile, l’appuntamento con la "cena galeotta" presso la casa circondariale di Perugia si trasferisce domani alla sezione maschile. Trenta i detenuti al lavoro: alcuni intenti a servire ai tavoli, altri impegnati ai fornelli. Sotto la guida dei loro chef insegnanti, Oriano Broccatelli e Massimo Staiano che coordinano il lavoro e preparano i menù. I detenuti coinvolti nella preparazione della cena hanno partecipato alle attività formative previste dal progetto "Buoni dentro", realizzato, all’interno dell’istituto di pena perugino, dalla cooperativa sociale Frontiera Lavoro e finanziato dalla Provincia di Perugia. Il corso di formazione, riservato a 30 detenuti del reparto circondariale e del reparto penale, è stato articolato in quattro moduli da 60 ore ciascuno, per un totale di 240 ore ed ha permesso ai discenti, guidati da insegnanti di comprovata esperienza, l’acquisizione di competenze di base: produzione e distribuzione dei pasti; abbinamento dei prodotti; pratiche di manipolazione, preparazione alla cottura e di cottura delle diverse tipologie di alimenti. Il ricavato della serata sarà devoluto in sostegno dei progetti di reinserimento socio lavorativo delle persone in esecuzione penale. Alla serata si sono prenotate 225 persone per una cena di alto livello che avrà risultati eccezionali. Roma: incontro di Corrado Augias con i detenuti della Casa di Reclusione di Rebibbia di Giovanni Iacomini Il Fatto Quotidiano, 6 febbraio 2014 In un clima di grande cordialità e vivo interesse si è svolto ieri l’incontro di Corrado Augias con i detenuti della Casa di Reclusione di Rebibbia. Si è trattato dell’ennesimo appuntamento di qualità del progetto "Libertà e Sapere", che porto avanti da nove anni. Il tutto è reso possibile dalla collaborazione della nostra scuola con Direzione, Comando di polizia penitenziaria e Area educativa e trattamentale del carcere. Oltre al relatore, il Direttore Ricca e il sottoscritto, al tavolo della conferenza c’era l’avv. Giovanna Occhipinti, coordinatrice della Scuola forense dell’Ordine degli avvocati di Roma, con cui abbiamo avviato un importante progetto di sostegno allo studio dei detenuti iscritti all’Università. Il tema proposto a Augias è di scottante attualità: "Rapporti tra giornalismo e politica". Tenendosi elegantemente fuori dalle polemiche che lo stanno travolgendo in seguito all’intervista con Daria Bignardi e i giudizi poco lusinghieri sul (e dal) M5s, il giornalista ci ha raccontato delle sue esperienze e del condizionamento "inevitabile" che la politica pone sui media. Succede ovunque, anche se in Italia "abbiamo la febbre troppo alta" e una "gran capacità di farci del male". Con la cordialità che lo contraddistingue, Augias ha lasciato ampio spazio al dibattito e si è curato di rispondere minuziosamente a tutte le domande venute dai detenuti iscritti ai corsi scolastici, dagli studenti della sede centrale alla nostra scuola "Von Neumann" che abbiamo fatto autorizzare per un giorno all’ingresso in carcere, dagli universitari, dai partecipanti al laboratorio teatrale che da anni conduce l’educatore Antonio Turco. Così si è spaziato su temi come il valore dello studio, l’etica professionale, informazione e disinformazione ai tempi di internet, la scarsa democraticità di certe concentrazioni di potere, l’imparzialità dello storico e del giornalista. A tal proposito, Augias ci ha raccontato un provocatorio aneddoto: qualche decina di anni fa, qualcuno esclamò che il quotidiano più obiettivo in Italia era l’Unità che, recando sotto il titolo la scritta "Organo del Pci", dichiarava apertamente al lettore che ciò che vi trovava scritto non era la "verità", bensì una visione di parte, anzi di partito. Una volta di più, si è creato un clima intellettuale estremamente fertile, che qualcuno non si aspetterebbe in un simile contesto, con interessantissimi spunti di riflessione che spetterà a noi, operatori culturali all’interno del carcere, approfondire adeguatamente nelle prossime settimane. Radio: "Sulle ali della libertà, rock in jail", domani in onda uno speciale di Radio2 Rai Agi, 6 febbraio 2014 Quando, il 13 gennaio del 1968 Johnny Cash oltrepassa il portone di ferro del carcere di Folsom, in California, per cantare ai detenuti la "loro" canzone "Folsom prison blues", il rock vive uno dei suoi più celebri cortocircuiti: un brano che parla di un disperato, come tanti di quelli che stanno lì, sotto al palco, senza speranza di redenzione. Ed è questo uno dei racconti proposti da "Sulle ali della libertà, rock in jail", lo speciale di Radio2 Rai, che andrà in onda venerdì 7 alle 13,35, condotto da John Vignola. Le storie del rock, finito dietro le sbarre, tante volte, giustamente o ingiustamente ma sempre con una dirompente forza espressiva, che ha lasciato il segno. Storie di carcere suonate in prima persona, come quella di Leadbelly, musicista nero, condannato per omicidio, che secondo una leggenda sarebbe stato graziato dal governatore del Texas che aveva ascoltato una sua canzone, oppure affrontate con ironia, come Elvis Presley in "Jailhouse Rock". Storie di detenzioni ingiuste, come per la vicenda di Rubin "Hurricane" Carter, denunciata da Bob Dylan; di sbarre dell’anima, di condanne senza appello, come l’atmosfera del braccio della morte cantata da Nick Cave in "The Mercy Seat" o di denuncia sociale con i pezzi di Eugenio Finardi, Peter Gabriel e di tanti altri artisti, che con la musica hanno gridato il loro "no" all’apartheid. Immigrazione: Fdi; pronti a referendum contro cancellazione del reato di clandestinità Public Policy, 6 febbraio 2014 "Abolizione del reato di clandestinità, tre svuota carceri in meno di un anno, svendita della Banca d’Italia e dell’oro del popolo italiano, difesa delle pensioni d’oro e dei privilegi della casta, regali ultramiliardari alle banche e alle società delle slot machine: ecco perché Fratelli d’Italia non potrà mai stare al governo con la sinistra e sostenere l’Esecutivo Letta. Siamo altra cosa rispetto alla sinistra che continua a portare avanti battaglie ideologiche che non risolvono nessun problema degli italiani". Lo scrive su Facebook la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, aggiungendo: "E siamo altra cosa anche da chi si dice di centrodestra ma poi vota questi provvedimenti solo per conservare la poltrona. Ormai quotidianamente la maggioranza infrange a colpi di fiducia ogni regola democratica annullando dibattito e confronto. Tuttavia Fratelli d’Italia continuerà a schierarsi dalla parte del popolo italiano: scenderemo in piazza per impedire la cancellazione del reato di immigrazione clandestina e siamo pronti ad avviare una raccolta firme per chiedere l’indizione di un referendum". "Attraverso il nostro sito ufficiale www.fratelli-italia.it - conclude Meloni - è già possibile sottoscrivere la petizione popolare, che si aggiunge a quelle già da tempo avviate contro la vergogna delle pensioni d’oro e contro indulto e amnistia". Immigrazione: alla Regione Lazio mozione per la chiusura del Cie di Ponte Galeria di Valerio Renzi Il Manifesto, 6 febbraio 2014 Parlano i reclusi del Cie: "Neanche il papa ci ascolta". Ponte Galeria è una località suburbana a nord ovest della Capitale, stretta tra il raccordo e la Roma-Fiumicino. Qui sorge l’omonimo Cie. Una gabbia a cielo aperto, circondata da una rete, un fossato, un muro di cinta e ancora sbarre di metallo per impedire agli "ospiti" di fuggire. Già dall’esterno è difficile avere dubbi sulla natura detentiva della struttura, entrandoci non si può che confutarlo: chiavistelli e sbarre, porte che si aprono solo con badge elettronici, polizia, esercito e carabinieri a garantire l’ordine pubblico. Il Cie di Ponte Galeria ieri ospitava 80 migranti, 17 donne e 63 uomini, delle più disparate nazionalità, dalla Cina al Gambia, dalle Filippine alla Tunisia, allo Sri Lanka. La comunità più grande al momento sono 23 marocchini, quasi tutti giovanissimi, portati qua direttamente da Lampedusa. Sono proprio loro che stanno attuando la protesta più radicale degli ultimi mesi rifiutando il cibo e cucendosi la bocca. Una prima volta era successo il 21 dicembre 2013, qualche giorno di clamore mediatico tante promesse e poi nulla era cambiato. Così sono tornati a protestare il 26 gennaio scorso, ancora titoli sui giornali e poi il primo febbraio la scelta d’interrompere la protesta: "Vogliamo andare avanti tutti insieme nella protesta, ma alcuni di noi stanno male, chi con il cuore, chi con i reni. Ad un paio cominciavano ad infettarsi le labbra", spiegano. Tahrik è uno di loro. Ha 24 anni, viene dal Marocco ed è arrivato a Lampedusa dalla Libia. Di mestiere fa il falegname e la sua unica parente stretta si trova a Firenze, dove vive e lavora da anni. Il suo viso parla per lui: gli occhi gonfi di stanchezza, le occhiaie profonde. Più che lo sciopero della fame è l’ansia per un futuro quanto mai incerto, sospeso in questo limbo che assomiglia di più ad un inferno, a stremarlo. Racconta che non dorme più di due o tre per notte, mano, non vuole prendere sonniferi o psicofarmaci, vuole solo andare via, lui che non è mai entrato in una questura in vita sua. L’alluvione appena passata ha peggiorato ancora di più le condizioni di vita nel centro: le gabbie completamente allegate, perdite dai soffitti e impianti di riscaldamento rotti. A tradurci le parole di Tahrik è Iassid, uno tra gli ospiti più anziani di Ponte Galeria. È tunisino e parla perfettamente in italiano, ha quasi 40 anni, più di metà dei quali trascorsi nel nostro paese. "Abbiamo scritto a Napolitano e al Papa, fatto appello a loro per darci una mano, per cambiare le cose ma non è successo nulla. Sentiamo la vicinanza delle associazioni e dei gruppi che vengono qua, di quelli contro i Cie, ma qualcuno che ha il potere deve intervenire, tanto dopo che sono venute le televisioni la situazione la conoscono tutti. Perché nessuno fa niente?". Era stato Letta stesso ha sottolineare la necessità di intervenire sui Cie e mettere mano alla Bossi-Fini, unico risultato una parziale modifica al reato di clandestinità. "Non lo dico tanto per me - prosegue Iassid - ma per chi ha attraversato il mare, rischiato di morire e visto altri come lui morire in acqua, non può essere rimandato indietro". Per Marta Bonafoni, consigliera regionale del Lazio che nell’ultimo mese e mezzo è al terzo accesso a Ponte Galeria i Cie sono "irriformabili". Per questo ha presentato una mozione in consiglio regionale per chiederne la chiusura e nel frattempo la trasparenza e l’accessibilità: "È più difficile entrare in questi luoghi che in carcere, eppure non dovrebbero essere strutture detentive. Con la mozione che mi auguro sia calendarizzata già per la prossima settimana impegniamo la Regione Lazio a chiedere la chiusura di Ponte Galeria. Ogni cambio di politica in tema d’immigrazione non può che passare per l’archiviazione di queste strutture". Immigrazione: nel Cie di Ponte Galiera "qui dentro ci dimentichiamo persino chi siamo" di Niccolò Zancan La Stampa, 6 febbraio 2014 La verità è che a nessuno importa di Hisham Marach. Del perché sia chiuso qui dentro, a mangiare cotolette di pollo fredde, in questa gabbia di refettorio, dentro cui puoi infilare solo le mani per farti aggiungere sale. Del perché abbia arroventato uno spillo della capocchia grossa, con l’accendino dell’amico Tarek El Wardi, per poi usarlo per cucirsi le labbra. Due giri, nodo stretto. Non parlo più. Non mangio più. Respiro dal naso. Sperava servisse. "Credevo fosse un modo pacifico per farmi ascoltare". Ma in realtà è servito solo a far piangere mia madre Adah in Marocco. Quando ha visto la foto, si è sentita male". Hisham Marach indossa i pantaloni azzurri di una tuta da ginnastica, porta occhiali da vista, parla un po’ di francese. Dopo 117 giorni ancora non ha capito perché l’abbiano rinchiuso qui. In quella che lui chiama, senza i nostri sofismi burocratici, una prigione. Oggi al Cie di Ponte Galeria, il cielo e le sbarre si riflettono dentro grandi pozzanghere. È un incubo perfetto. Non si scappa. Anche se Hisham Marach, 27 anni, nato a Fes, non era mai stato in carcere in vita sua. Non aveva mai commesso reati. Aveva comunque sbagliato tutto, adesso è chiaro. Ecco perché si trova qui. Perché è andato in Libia a cercare lavoro, essendo l’unico che poteva farlo, da quando hanno amputato le gambe a suo padre Salhim. Ha sbagliato a fare il piastrellista sfruttato e non pagato, e ad arrabbiarsi per questo, dovendo quindi scappare dalle torture dei "mafiosi libici". Ha sbagliato a imbarcarsi dal porto di Zeltan, a furia di bastonate. Perché quella carretta da 18 posti, con 311 persone a bordo, è arrivata in Italia poche ore prima del secondo naufragio di ottobre. Quando altri migranti erano colati a picco in acque internazionali - 212 salvandosi, 268 morendo - fra Malta e Lampedusa. Hisham Marach non ha commosso il mondo. Non scappava da una guerra. Non è vittima di una sciagura. Nessun poliziotto si è fatto scrupolo. Il questore di Agrigento ha firmato il respingimento il 18 ottobre. È clandestino, dice la legge Bossi-Fini. Il giudice di pace ha convalidato nel giro di 48 ore. Il resto, è questo silenzio enorme che frega vite a casaccio. Non gli hanno neppure spiegato che poteva fare ricorso, opporsi, difendersi. "Quando l’avvocato di Romame lo ha detto, ormai troppo tardi, non riuscivo a capire. Qui dentro mi sto dimenticando persino chi sono". All’ingresso c’è la guardiola. Un crocefisso. La bandiera italiana, quella europea. Oggi, 81 migranti. Gli ultimi due gabbioni sono inagibili perché danneggiati da una rivolta. Non esiste un posto più aleatorio di questo. Puoi essere quello che sfascia i televisori, brucia i materassi, sputa in faccia ai militari e riuscire a scamparla, evitando l’espulsione. O puoi essere Tarek che passa i pomeriggi ad aggiustare le tv scassate dagli altri, visto che è un bravo elettricista, in attesa del rimpatrio forzato. "Restare qui dipende dai posti liberi, dai voli aerei, dalla fortuna, dalla sfortuna, da troppa discrezionalità", dice l’avvocato Laura Barberio. È lei che sta cercando di salvare Hisham Maracah, con poche speranze di successo. Certe volte va bene, altre meno. Secondo i dati della Caritas, dal 1998 al 2012 nei Cie italiani sono passate 169.126 persone. Soltanto 78.081 sono state effettivamente rimpatriate (46%).Una gestione del problema che costa non meno di 55 milioni di euro l’anno. "Spesso sono ragazzi vittime di una totale ignoranza. Chiamarli ospiti è un’ipocrisia inaccettabile". Anche l’avvocato Cristina Durigon combatte lungo questa trincea: "All’inizio, quando entravo mi veniva da piangere. Noto che in carcere c’è maggiore serenità. Il Cie è il posto dell’incertezza assoluta: non capisci, non sai. Ci sono troppi vuoti legislativi". Per esempio, puoi imbatterti nella storia del nigeriano Joshua Francis, che tiene i documenti sotto un materasso di gomma piuma lercia. "Pensavano che avessi droga nello stomaco, ma non era vero. Durante l’operazione, qualcosa è andato storto. Mi hanno tagliato un pezzo di intestino. Sto male e sono qui. Anche se non sono mai stato in carcere nella mia vita, non so cosa sia la cocaina e non ho mai offeso un cittadino italiano. Mi hanno preso davanti al supermarket, mentre compravo il latte per la mia bambina". Rivolgiamo uno sguardo perplesso a un impiegato della cooperativa Ausili, che gestisce questa struttura. Come per dire: "Non sarà mica vera la storia di Joshua...". Lui abbassa la sguardo: "Sì - dice - c’è stato questo errore". Buoni e cattivi stanno insieme, mangiano e pregano insieme, qualcuno a caso si salverà. Quando, alla fine di dicembre, un primo gruppo di immigrati aveva inscenato la protesta delle bocche cucite, in mezzo si era infilato anche un ragazzo palestinese con precedenti penali. Due giorni dopo aver ottenuto fortunosamente la libertà, era stato fermato ubriaco mentre prendeva a calci una fila di motorini. Con grande soddisfazione dei sostenitori dei Cie. Anche se proprio questo è il problema: non riuscire a distinguere. La seconda protesta delle bocche cucite - durata 9 giorni e conclusa sabato per sfinimento - è stata portata avanti nell’indifferenza generale dai compagni di viaggio di Hisham Marach. "Tutti arrivati a Lampedusa ad ottobre, ancora in attesa di espulsione", spiega il nostro accompagnatore. Si chiamano Yousef Ajheni, Tarek El Wardi, Hassan Hawed, Boueza Jarmouni, Said Jarmouini, Yassin Shanione, Hassen Artil, Karim Moujen, Bachir El Wadafi, Mohamed Roushdi, Aziz Jaourmoni, Samir Ghalout, Hamid Dabazi. Non hanno precedenti penali. Non hanno mai avuto un solo giorno da uomini liberi in Italia. Ci consegnano una supplica scritta amano: "Presidente Napolitano, Papa Francesco, vi imploriamo, non dimenticatevi di noi. Concedeteci la grazia. Dateci la possibilità di vivere liberamente in Italia. Non siamo delinquenti. Non conosciamo altro che il lavoro. Ciascuno di noi ha una responsabilità precisa verso la sua famiglia, per questo siamo qui. Per un pezzo di pane". Sono qui. Con le gambe bruciate dalle sigarette spente dai mafiosi libici. Con certe frustate sulla schiena. Con sogni di studi da finire. Con madri da accudire a distanza. Sostengono di avere parenti da raggiungere in Francia e Belgio, forse solo nella speranza di poter scappare dall’Italia. Ma a chi interessano le loro ragioni? Chi vuole sapere, davvero, chi è Hisham Marach? India: caso marò, la magistratura indiana verso il "no" alla pena di morte di Ugo De Giovannangeli L’Unità, 6 febbraio 2014 Il Capo dello Stato. La presidente della Camera. I ministri di Difesa ed Esteri. Pressing totale dell’Italia su New Delhi sulla vicenda marò. C’è un "legame intrinseco" tra "la partecipazione italiana a future missioni antipirateria della Nato e della Ue e la soluzione" del caso dei due fucilieri della Marina italiana, Latorre e Girone, ovvero "fino a quando non ci sarà soluzione positiva, e ciò il ritorno casa con onore dei nostri militari". A sostenerlo è il ministro della Difesa, Mario Mauro, durante il question time alla Camera nel passaggio conclusivo della sua risposta all’interrogazione rivoltagli dal deputato Fabio Rampelli (Fratelli d’Italia) sulla questione dei due marò in India. Una questione che Mauro ha definito "particolarmente sentita da me e da tutte le forze armate italiane", parlando poi della petizione presentata nei giorni scorsi dall’Italia alla Corte suprema di New Delhi con cui veniva lamentato il "forte e ingiustificato ritardo accumulato dal governo e dalla magistratura dell’India per la conclusione delle indagini e per l’avvio del processo", oltre che per contestare il "ventilato ricorso alla normativa indiana antiterrorismo" da parte degli inquirenti indiani come base per la formulazione del capo d’imputazione normativo che assimilerebbe, se accolto, l’incidente della nave mercantile a bordo della quale i due fucilieri di Marina si trovavano in servizio anti pirateria "come atto di terrorismo". Fonti citate dal quotidiano The Indian Express parlano della possibilità di un’esclusione della clausola che nella legge antiterrorismo indiano contempla la pena di morte. La soluzione di compromesso sarebbe stata proposta dal procuratore generale Goolam E Vahanvati. Il procuratore avrebbe ipotizzato che i due militari italiani pur processati ai termini della legge anti terrorismo - Suppression of Unlawful Actsagainst Safety of Maritime Navigation Act (Sua) - non incorrano nella specifica clausola che prevede la pena di morte. Resta da appurare la fattibilità tecnico-giuridico di un simile escamotage. "Desidero rappresentarti le preoccupazioni dell’Assemblea che presiedo e dell’Italia intera in merito alla vicenda". Così la presidente della Camera dei deputati, Laura Boldrini, nella lettera inviata al Presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz, in merito alla vicenda dei due marò. "Colgo qualsiasi occasione di contatto, o prendo io stesso l’iniziativa, con i miei omologhi capi di Stato europei, per parlare dai nostri due fucilieri di Marina, che non erano in India a pescare, né a dare la caccia ai pescatori indiani, ma partecipavano a una missione di lotta alla pirateria riconosciuta a livello internazionale", rilancia da Strasburgo il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano. India: ministro Mauro; a rischio la nostra partecipazione a operazioni antipirateria Public Policy, 6 febbraio 2014 L’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza Ue, Catherine Ashton, "ha parlato di una serie di preoccupazioni dell’Unione europea in merito al caso dei marò italiani detenuti in India, perchè "rischia di avere impatto negativo nella lotta contro la pirateria". Bene, anche in base a queste informazioni è mia premura sottolineare che la partecipazione italiana a future operazioni antipirateria è legata a una positiva soluzione della vicenda giudiziaria dei due fucilieri, che dovrà concludersi con il loro rientro a casa con onore". Lo dice il ministro della Difesa, Mario Mauro, durante un’audizione nelle commissioni riunite Esteri e Difesa di Camere e Senato, sullo stato delle missioni in corso e degli interventi di cooperazione allo sviluppo a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione. Guinea Equatoriale: disperato appello di un detenuto italiano "in cella mi torturano..." Secolo XIX, 6 febbraio 2014 Il corpo smagrito che presenta lesioni, la voce rotta, i segni delle frustrate sulla schiena. È irriconoscibile dopo un anno di detenzione nelle carceri lager della Guinea Equatoriale l’imprenditore edile Roberto Berardi, 49 anni, originario di Latina, accusato di truffa e appropriazione indebita. Berardi è riuscito ad inviare alcune immagini scioccanti che lo ritraggono in cella, ma anche una testimonianza audio - diffusa in serata dal Tg1 - dove afferma di avere subito delle torture. "Da più di un anno sono imprigionato e da due mesi sono in una cella di isolamento senza vedere luce e ricevo bastonate e frustate. La pressione è fortissima, spero di riuscire a resistere almeno per potere vedere i miei figli". Secondo la ricostruzione dei familiari, l’imprenditore aveva formato una società di costruzioni con Teodoro Obiang Nguema Mangue (detto Teodorin), figlio del presidente della Guinea Equatoriale, Teodoro Obiang Nguema Mbasogo. Ma dopo la scoperta di alcune strane operazioni sul conto corrente dell’impresa aveva chiesto spiegazioni. Subito dopo però era stato prelevato, accusato di frode fiscale e sbattuto in carcere. Obiang è sotto processo negli Usa per riciclaggio e inseguito da un ordine di cattura della magistratura francese. Secondo l’inchiesta aperta negli Stati Uniti, i soldi sarebbero stati sottratti da Teodorin. Il risultato è che Berardi è stato condannato a scontare una pena di due anni e quattro mesi in Guinea equatoriale. L’odissea dell’italiano è stata denunciata oggi anche dal presidente della Commissione per la tutela dei Diritti umani Luigi Manconi (Pd), che ha annunciato di avere "presentato un’interrogazione urgente al ministro degli Esteri a proposito di uno dei tremila nostri connazionali detenuti all’estero, spesso in condizioni disumane". "Ho sollecitato la massima attenzione da parte del nostro ministero degli Esteri, che già da tempo segue la vicenda, in ultimo attraverso l’azione del vice ministro Pistelli, nel momento in cui l’attenzione dei media potrebbe portare a un mutamento di orientamento da parte del governo della Guinea Equatoriale. È proprio adesso che si deve sviluppare il massimo dell’iniziativa - ha esortato Manconi - per garantire l’incolumità di Berardi e il rispetto dei suoi diritti fondamentali". Stati Uniti: Virginia sceglie la sedia elettrica come metodo alternativo all’iniezione letale Tm News, 6 febbraio 2014 La Virginia sceglie la sedia elettrica come metodo alternativo all’iniezione letale. È attesa questa settimana, infatti, l’approvazione da parte del Senato statale - dopo quella della Camera - di una norma che prevede il ricorso all’antico metodo per eseguire le condanne a morte, nel caso le sostanze per l’iniezione letale non fossero disponibili. La misura, che sarà adottata per la perdurante carenza delle dosi letali, renderà la Virginia l’unico Stato in cui un detenuto potrebbe essere costretto a subire un’elettrocuzione. A parlarne è il Washington Post. Il ritorno di un metodo largamente archiviato negli ultimi due decenni si è appunto reso necessario perché, in tutti gli Stati Uniti, sta diventando sempre più difficile ottenere le sostanze letali, dopo il rifiuto delle case farmaceutiche europee di continuare a venderle per eseguire le condanne a morte, come fatto anche da almeno un’azienda americana. Il cocktail di tre sostanze usato comunemente da quando la Corte Suprema ha ristabilito la pena di morte nel 1976 è, di fatto, introvabile. Questa situazione ha portato gli Stati a sperimentare altre sostanze, ma le nuove opzioni stanno sollevando le stesse proteste delle case farmaceutiche. Le formule non testate hanno provocato complicanze e ricorsi in tribunale; per eseguire la condanna a morte di un uomo in Ohio, recentemente, sono serviti 25 minuti. La Virginia, negli ultimi due anni, ha usato a sua volta cocktail di sostanze alternative, ma non è finora riuscita a ottenere delle scorte sufficienti. Le leggi dello Stato consentono ai condannati a morte di scegliere tra due metodi per l’esecuzione: l’iniezione letale e la sedia elettrica. Come ogni altro Stato del Paese dove è prevista la pena di morte, la Virginia ha scelto di usare l’iniezione letale se il condannato non esprime una preferenza. La nuova legge permetterà inoltre alla Virginia di portare a termine la condanna a morte nel caso il metodo scelto dal condannato non fosse disponibile. Se la legge non dovesse essere approvata, o se il governatore democratico, Terry McAuliffe, dovesse porre il veto, la mancanza di dosi potrebbe portare a una moratoria de facto, con i detenuti che avranno la possibilità di bloccare la loro esecuzione chiedendo un metodo di esecuzione non disponibile. Un’esecuzione con la sedia elettrica imposta dalle autorità non avviene da quella in Alabama, nel 2002, di Lynda Block, una cospirazionista antigovernativa che sparò, uccidendolo, un poliziotto. La Virginia è il secondo Stato per numero di condanne a morte eseguite nel Paese, alle spalle del Texas, e uno degli otto Stati che ancora prevedono l’uso della sedia elettrica. Da quando è stata reintrodotta la pena di morte, la Virginia ha eseguito 110 condanne capitali; tre degli ultimi sei condannati uccisi in Virginia, tra il 2009 e il 2013, hanno scelto la sedia elettrica. Otto detenuti sono al momento nel braccio della morte. La sedia elettrica è considerata un metodo generalmente meno umano, che provoca più sofferenze; si cominciò a farne uso alla fine del diciannovesimo secolo come metodo alternativo all’impiccagione. Gli incidenti avvenuti durante le elettrocuzioni hanno poi convinto gli Stati a scegliere le iniezioni letali. Svizzera: prima la sicurezza della società… poi il reinserimento dei detenuti www.tio.ch, 6 febbraio 2014 Le uscite di detenuti pericolosi sono importanti per il loro reinserimento, ma in futuro dovrà essere privilegiata in primo luogo la sicurezza della società: lo ha dichiarato oggi l’ex consigliere di Stato ginevrino Bernard Ziegler, presentando le conclusioni del suo rapporto sulla morte della socioterapeuta Adeline, uccisa il 12 settembre 2013 mentre accompagnava il detenuto Fabrice A. in un centro equestre a Bellevue (Ge). Per evitare il ripetersi di simili tragedie, l’avvocato suggerisce una serie di riforme. Il dramma di Adeline è dovuto sostanzialmente alla "confusione fra autorità carceraria e socioterapia" operata dalla struttura di reinserimento La Pâquerette presso cui lavorava l’educatrice, ha ribadito Ziegler, riferendosi agli elementi presentati nel suo primo rapporto, lo scorso ottobre. Il regolamento dell’unità di socioterapia risalente al 1988, in particolare, non ha integrato le due riforme del codice penale varate nel frattempo. La futura unità dell’istituto concordatario Curabilis - che aprirà i battenti a Ginevra il 4 aprile - dovrà essere dotata di un regolamento volto ad evitare l’applicazione di regole "a geometria variabile" come quelle riscontrate alla Pâquerette e che hanno contribuito al dramma del 12 settembre. Fra queste, Ziegler ha ricordato il mancato rispetto da parte della Pâquerette del piano di esecuzione della sanzione nei riguardi di Fabrice A., il fatto che gli sia stato permesso di acquistare uno strumento per la pulizia degli zoccoli dei cavalli dotato di una lama di 20 cm e che l’uscita accompagnata dello stupratore recidivo sia stata affidata ad una donna. Anche le uscite nel corso delle quali i detenuti frequentavano bar e prostitute - un elemento rivelato pochi giorni fa - rientrano nell’insieme di "regole pragmatiche a geometria variabile", applicato dalla Pâquerette, diventata con il trascorrere degli anni un "elettrone libero", ha rilevato Ziegler. In futuro, le uscite dovranno essere subordinate ad un’accurata valutazione della pericolosità del detenuto, affidata ad una commissione con poteri rafforzati rispetto all’organo attuale. "Nel dubbio sarà comunque privilegiata la sicurezza della società, e non gli interessi del detenuto", ha sottolineato il consigliere di Stato Pierre Maudet, responsabile del Dicastero della sicurezza, da cui dipenderà l’autorizzazione definitiva per un’uscita. Nel quadro della valutazione della pericolosità del carcerato potrà essere revocato il segreto medico dei terapeuti, ha precisato Maudet, riferendosi ad un’altra raccomandazione dell’esperto, secondo cui è indispensabile favorire "la circolazione delle informazioni fra l’autorità penale, l’autorità amministrativa e i medici" che hanno in cura il detenuto. La futura unità di reinserimento del carcere Curabilis - ha precisato - "sarà un istituto di esecuzione delle pene e non un ospedale", la cui direzione - affidata ad un medico - sarà tuttavia subordinata all’autorità carceraria e allo stesso Dipartimento della sicurezza. In merito alle modalità di uscita dei detenuti, Maudet ha auspicato un’armonizzazione delle pratiche fra i cantoni. Destinato ai detenuti potenzialmente pericolosi e afflitti da turbe mentali, Curabilis - costruito nel perimetro del carcere di Champ-Dollon - disporrà di 92 posti. Per la socioterapia è previsto un settore dotato di 15 posti. Secondo il presidente del governo ginevrino François Longchamp, l’esito delle inchieste amministrative avviate nei riguardi delle direttrici del Servizio ginevrino di esecuzione delle pene (Sapem) e della Pâquerette - entrambe sospese dall’incarico - sarà comunicato fra due mesi. Svizzera: terminato lo sciopero della fame dei detenuti nel penitenziario di Orbe www.tio.ch, 6 febbraio 2014 Il boicottaggio dei pasti al penitenziario di Orbe (Vd) è terminato. Ieri, gran parte dei circa 150 detenuti avevano rifiutato il pranzo e la cena, lamentandosi di non essere abbastanza nutriti. "L’azione di protesta è finita a mezzogiorno. L’insieme dei detenuti è andato a pranzare normalmente", ha spiegato il portavoce del Servizio penitenziario vodese, Anthony Brovarone. Il capocucina era presente presso i detenuti e la direzione si è assicurata che tutto fosse "conforme". Ieri, coscienti che il cibo è un tema sensibile in prigione, le autorità avevano ordinato controlli della quantità e della qualità dei pasti. Questa reazione ha permesso di calmare un pò la situazione. "La direzione continuerà a fare puntualmente controlli", ha aggiunto Anthony Brovarone. Secondo il portavoce, la gestione del cibo è una questione delicata. Non è infatti semplice tenere in debita considerazione il microcosmo multiculturale, etnico e religioso della popolazione carceraria, ha sottolineato Brovarone. A sua conoscenza, il problema del cibo non ha mai dato adito a boicotti dei pasti nelle prigioni vodesi. Sono invece già circolate petizioni. A Orbe, i pasti sono preparati da un team di una decina di prigionieri sotto la direzione di un agente di custodia, di un capo cucina, nell’ambito di un atelier di lavoro. Svizzera: direttore penitenziario sospeso, per sottrazione documenti e sesso con detenuta www.swissinfo.ch, 6 febbraio 2014 Il direttore del penitenziario bernese di Thorberg, Georges Caccivio, è stato sospeso oggi dalle sue funzioni. Da alcuni giorni era oggetto di un’indagine per comportamenti incompatibili con la sua carica, tra cui la soppressione di documenti compromettenti nei suoi confronti, l’acquisto di un quadro da un detenuto e relazioni sessuali con una prostituta tossicomane. La sospensione è stata decisa dal suo superiore politico, Hans-Jürg Käser (Plr), capo del Dipartimento cantonale bernese di polizia e degli affari militari, dicastero che in una nota diffusa in serata giustifica il provvedimento con le nuove critiche rivolte al funzionario. La pressione su Caccivio e Käser si è fatta insopportabile. Il Consigliere di Stato in un’intervista pubblicata stamani dalla Berner Zeitung sosteneva ancora che non vi erano gli estremi per una sospensione. "Mi riservo di decidere quando disporrò di fatti più solidi", ha detto al giornale. Per Käser le accuse contro Caccivio hanno però raggiunto dimensioni tali da mettere in pericolo una guida "ordinata e orientata alla sicurezza" dell’istituto carcerario. Senza fiducia e rispetto una prigione non può funzionare, si legge nella nota. Ad interim la direzione è assunta dal vice di Caccivio, Klaus Emch. Per verificare la fondatezza delle accuse rivolte al responsabile del carcere, il consigliere di Stato la scorsa settimana ha ordinato un’inchiesta esterna. La condotta di Caccivio preoccupa i dipendenti della prigione da mesi, ma solo negli scorsi giorni la vicenda è emersa nei media. Stamani la Berner Zeitung ha rivelato due episodi, confermati al giornale da Käser, che per gravità mettono in ombra quanto sinora riferito dai giornali. Il primo caso riguarda la soppressione di documenti compromettenti. Il direttore di Thorberg ha fatto scomparire una pagina di un dossier di un detenuto che lo metteva in cattiva luce rivelando che, prima di assumere la guida del penitenziario, aveva avuto rapporti sessuali con una prostituta tossicomane. Il detenuto in questione sta scontando una pena per l’omicidio di una prostituta avvenuto a Bienne (BE). Prima della sua nomina quale direttore di Thorberg, Caccivio, stando alla Berner Zeitung, era stato chiamato a testimoniare a margine del delitto e, tra l’altro, aveva affermato di aver avuto rapporti sessuali a pagamento nello stesso ambiente frequentato dall’omicida. Caccivio vi lavorava come operatore sociale. La testimonianza è parte del dossier del detenuto, cui il personale dello stabilimento e i terapeuti hanno accesso per l’esecuzione della pena. Il secondo caso, riferisce sempre la Berner Zeitung, riguarda l’acquisto di un quadro dipinto in carcere da un detenuto noto ai media svizzero tedeschi per la sua brutalità. Caccivio ha sborsato 790 franchi. Käser ha precisato al giornale che la somma è finita sul conto del prigioniero, che ne potrà però fare uso solo al momento della sua messa in libertà. Caccivio ha pure consentito a una terapeuta di acquistare un’opera dallo stesso detenuto e permesso a quest’ultimo di esporre i suoi lavori, con tanto di prezzo, fuori dalla sua cella. Gli altri prigionieri e il personale hanno denunciato quello che hanno considerato favoritismo. I primi rimproveri anonimi di presunto favoritismo ad opera di Caccivio rivolti da dipendenti di Thorberg sono assai datati. Lo scorso 2 settembre Käser aveva perciò ordinato un’inchiesta interna, spiega lui stesso nell’intervista alla Berner Zeitung. Era tra l’altro emerso che il direttore dava del tu a due detenuti. Il capo del Dipartimento di polizia aveva allora ordinato che i due fossero posti sotto la responsabilità del vicedirettore del carcere. In un’intervista al Bund di alcuni giorni fa Caccivio ha respinto le critiche secondo cui, oltre alla rinuncia al "lei", abbia mai ammorbidito le sanzioni pronunciate contro i due prigionieri. L’inchiesta esterna, spiega oggi Käser, deve anche identificare i responsabili delle fughe di notizie confidenziali da Thorberg. Sussiste il sospetto di violazione del segreto d’ufficio. Il carcere Thorberg, che si trova in territorio di Krauchthal, nell’Emmental, dispone di 180 posti e vi lavorano 120 persone. Una ventina di anni fa nella prigione era già emerso un caso di favoritismo che aveva coinvolto l’allora direttore e un noto detenuto condannato per assassinio.