Giustizia: passa la fiducia sul decreto-carceri, oggi voto finale a Montecitorio di Alberto Custodero La Repubblica, 5 febbraio 2014 La Camera ha votato ieri sera la fiducia sul decreto carceri. I sì sono 347, mentre 200 sono risultati i voti contrari. Il decreto cosiddetto "svuota-carceri" è stato bocciato da Forza Italia, 5Stelle, Lega Nord, Fratelli d’Italia e Sel. Oggi il voto finale. Alcuni partiti hanno colto l’occasione del voto per proteste plateali: il deputato della Lega Nord Gianluca Buonanno ha sventolato ("A titolo personale", ha precisato) le manette. I deputati di Sel hanno mostrato il libro di Corrado Augias "bruciato" su Facebook da un grillino. I leghisti hanno esibito cartelli con le scritte "No al libera-criminali" e "No al libera-mafiosi". Tra i partiti che hanno sostenuto il dl, il Ncd ha votato la fiducia, anche se il deputato Alessandro Pagano ha ribadito che il partito di Alfano "non condivide in toto il dl". "Il Nuovo Centro Destra - ha dichiarato Pagano - vuole sapere dal ministro Cancellieri perché non sono stati resi fruibili quei 5000 nuovi posti in più nelle carceri che si sarebbero potuti ottenere proponendo deroghe significative al blocco del turn over e indicendo concorsi per l’assunzione di nuovi agenti penitenziari". Ecco in sintesi le novità del decreto legge. I braccialetti elettronici saranno la regola, non più l’eccezione. D’ora in avanti il giudice dovrà prescriverli in ogni caso, a meno che (valutato il caso concreto) ne escluda la necessità. Per il cosiddetto "piccolo spaccio" viene meno il rischio (come è stato fino a oggi) che la valutazione di aggravanti, come la recidiva, porti a pene sproporzionate. Cade anche il divieto di disporre per più di due volte l’affidamento terapeutico al servizio sociale dei condannati tossico-alcool dipendenti. Ai minorenni tossicodipendenti accusati per piccolo spaccio sono applicabili le misure cautelari con invio in comunità. Si spinge fino a 4 anni il limite di pena (anche residua) che consente l’affidamento in prova ai servizi sociali, ma su presupposti più gravosi (periodo di osservazione) rispetto all’ipotesi ordinaria che resta tarata sui 3 anni. Per quanto riguarda la detenzione domiciliare, acquista carattere permanente la disposizione che consente di scontare presso il domicilio la pena detentiva (anche se parte residua) non superiore a 18 mesi. Sul fronte dei detenuti stranieri, è ampliato il campo dell’espulsione come misura alternativa alla carcerazione. Non solo vi rientra (come è oggi) lo straniero che debba scontare 2 anni di pena, ma anche chi è condannato per un delitto previsto dal Testo Unico sull’immigrazione. Viene velocizzata già dall’ingresso in carcere la procedura di identificazione per rendere effettiva l’esecuzione dell’espulsione. Presso il ministero della Giustizia è istituito il Garante nazionale dei diritti dei detenuti con il compito di vigilare sul rispetto dei diritti umani nelle carceri e nei Cie. Sono introdotte maggiori garanzie giurisdizionali nel reclamo davanti al giudice contro sanzioni disciplinari o inosservanze che pregiudichino i diritti dei detenuti. Sale, infine, da 45 a 75 giorni lo sconto per la liberazione anticipata speciale. Giustizia: il decreto-carceri è stato approvato, ma è a rischio di incostituzionalità di Giovanni Bianconi Corriere della Sera, 5 febbraio 2014 I detrattori più agguerriti del decreto cosiddetto “svuota carceri” l’hanno ribattezzato “indulto mascherato”. Senza tenere conto della differenza tra un provvedimento generalizzato e automatico e una riduzione di pena che deve comunque passare dal vaglio di un giudice. Le critiche riguardano soprattutto l’estensione della liberazione anticipata di 45 giorni per ogni sei mesi trascorsi in cella (già in vigore da alcuni decenni) a 75 giorni ogni sei mesi; misura “straordinaria” da applicarsi retroattivamente e in prospettiva per il periodo di tempo 2010-2015. Adesso, per superare perplessità che metterebbero a rischio l’approvazione del provvedimento, governo e maggioranza hanno deciso di lasciare fuori da questo beneficio i reclusi per mafia, terrorismo, omicidio, violenza sessuale e altri reati considerati ad alta pericolosità sociale; un tentativo di limitare proteste e allarmi su boss e criminali incalliti destinati a tornare liberi troppo presto. Operazione legittima, se non si riesce a giustificare davanti all’opinione pubblica la necessità di una norma. Ma l’esclusione introdotta in corsa, insieme alla questione di fiducia per essere sicuri di trasformare il decreto in legge prima della sua decadenza, porta con sé qualche rischio di incostituzionalità. Perché la “liberazione anticipata” non è collegata ai reati commessi dal condannato, bensì alla sua “rieducazione”, il reinserimento a cui - secondo la Costituzione - deve tendere l’espiazione della pena. Ecco perché quel beneficio è l’unico concesso finora anche a mafiosi e terroristi, a differenza di tutti gli altri (permessi premio, forme alternative di detenzione, eccetera). Limitarne oggi l’applicazione potrebbe significare andare incontro a una bocciatura della Corte costituzionale, se e quando qualcuno vi si rivolgerà. Qualora i dubbi fossero confermati, sarebbe il “giudice delle leggi” a riallargare le maglie che il Parlamento oggi restringe pur di incassare un risultato che aiuti a fronteggiare il drammatico sovraffollamento carcerario; per non lasciare più inascoltato di quanto non lo sia già l’accorato appello del presidente della Repubblica a trovare rimedi d’emergenza in una situazione d’emergenza. Senza mascherare alcunché. Giustizia: meglio la fiducia che l’ostruzionismo giustizialista di Patrizio Gonnella (presidente di Antigone) Il Manifesto, 5 febbraio 2014 Il Governo ha chiesto alla Camera la fiducia per ottenere la conversione del decreto legge sulle carceri. Ma quello sulle carceri non è il primo decreto legge del Governo Letta e quella richiesta ieri non è la prima fiducia. Allora dov’è la novità? La novità sta nel fatto che di solito decreti e fiducie sono usati per comprimere diritti e garanzie e non per allargarne l’area. La decretazione di urgenza in materia di sicurezza e in ambito penale ha negli anni scorsi prodotto delle nefandezze giuridiche. Ne ricordo due: l’approvazione della legge Fini-Giovanardi sulle droghe e le norme anti-rumeni del 2008 dopo l’omicidio efferato della signora Reggiani a Roma. Un autorevole costituzionalista come Valerio Onida disse allora che dopo un fatto di cronaca nera la politica deve imparare a stare in silenzio. In questo caso il decreto legge contiene invece norme contro il sovraffollamento carcerario nonché dirette a garantire in modo più efficace i diritti delle persone private della libertà. C’è urgenza del decreto? Sì, in quanto il 28 maggio 2014 la Corte Europea dei Diritti Umani potrebbe condannarci cinquecento, mille, duemila volte per tortura e trattamenti inumani e degradanti e il prossimo giugno saremo giudicati dal Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite. C’è necessità del decreto? Sì, in quanto nelle carceri italiane vi sono 25 mila persone in più rispetto ai posti letto regolamentari, la salute non è garantita, mancano gli spazi vitali, spesso anche se non dappertutto le persone sono trattate molto male, si muore e non di rado. Una vita salvata, centinaia di vite migliorate, valgono una fiducia e un dibattito parlamentare strozzato? Antigone, la protagonista della tragedia di Sofocle, non avrebbe dubbi a riguardo, direbbe inequivocabilmente di sì. Lei ha dato sepoltura a Polinice, il fratello traditore, violando la legge di Creonte. L’elogio della disobbedienza civile di Antigone suggerisce che ogni riduzione del tasso di sofferenza umana giustifica una contestuale, eventuale, compressione del tasso di legalità. Se questa è la premessa, possiamo dirci soddisfatti dell’azione di governo e dei contenuti del decreto legge che, va ricordato, comunque dovrà ancora passare dalla forche caudine del Senato? Il decreto legge del Governo conteneva all’origine provvedimenti importanti sul versante della tutela dei diritti nonché misure, modeste, dirette a ridurre i flussi di ingresso in carcere e ad aumentare quelli in uscita. Riepiloghiamo i contenuti originari del decreto: istituzione del Garante nazionale delle persone private della libertà con compiti di ispezione di carceri, Cie, caserme dei carabinieri e della Polizia così come imposto dall’Onu, maggiori garanzie giurisdizionali per il detenuto che si rivolge a un magistrato di sorveglianza nel caso di un diritto violato come imposto dalla Corte Costituzionale dal lontano 1999, modifica alla legge sulle droghe attraverso la previsione della fattispecie di reato autonoma della lieve entità che dovrebbe ridurre i tassi di arresto e detenzione, identificazione dello straniero in carcere per evitare che dopo la prigione passi anche dal Cie, estensione della possibilità di ottenere l’affidamento in prova al servizio sociale, riduzioni di pena per chi tiene in carcere regolare condotta. C’è poi l’importanza di un’assenza, ovvero nel decreto fortunatamente non vi è uno straccio di norma sull’edilizia penitenziaria, dopo anni di bugie e propaganda. Purtroppo il contributo parlamentare non ha prodotto miglioramenti al testo di legge, anzi. Salvo la previsione della nomina del Garante affidata al Capo dello Stato anziché al Governo, procedura che avrebbe messo a rischio l’indipendenza dell’autorità, le altre modifiche sono state peggiorative. Il Parlamento è stato più severo del Governo. E allora meglio la fiducia che non l’ostruzionismo giustizialista e vendicativo di chi come la Lega e il M5S è già posizionato sul fronte elettorale per capitalizzare le paure i desideri di vendetta che sono nella pancia di una parte dell’opinione pubblica. Ben venga la ghigliottina parlamentare se serve a evitare la ghigliottina che si consuma nella patrie galere. Giustizia: il nodo del decreto-carceri che riguarda i detenuti per mafia e terrorismo di Chiara Rizzo Tempi, 5 febbraio 2014 Una norma del decreto carceri al voto oggi prevede che per ogni semestre di "buona condotta" tutti i detenuti abbiano uno sconto di pena di 75 giorni. Cosa ne pensano l’Anm, il procuratore aggiunto Ardita e il capo del Dap. Sit-in davanti il carcere di Regina Coeli per i ragazzi arrestati durante la manifestazione del 19 ottobre. Stasera, si voterà la fiducia sul decreto carceri. Uno dei temi più discussi è quello dell’aumento dello sconto di pena ai detenuti per buona condotta, che ha rappresentato il pomo della discordia tra i partiti, contrapponendo in particolare Lega e Movimento 5 stelle (che sostengono che il decreto favorisca la liberazione di pericolosi criminali) a tutti gli altri. Il tema ha anche diviso gli specialisti del settore che hanno partecipato alle audizioni della commissione Giustizia della Camera. Attualmente, per ogni sei mesi di pena trascorsi in carcere, il detenuto che ha una buona condotta riceve 45 giorni di "sconto" sulla detenzione rimanente. Il decreto "svuota carceri" ha innalzato lo sconto a 75 giorni: si tratta di una norma che è destinata a tutte le persone in carcere, compresi i detenuti per reati di mafia o terrorismo (non all’ergastolo) ma che non è automatica, dato che è il magistrato di sorveglianza a valutare il comportamento del detenuto e, nel caso di reati più gravi, è richiesta una "motivazione rafforzata" per la concessione della riduzione. Fino ad oggi, invece, i detenuti per associazione mafiosa o terroristica (e non all’ergastolo) non hanno avuto diritto ad avere "benefici premiali" di alcuna natura, a meno che non fossero collaboratori di giustizia. Ardita: peggio di un indulto mascherato Tra coloro che più hanno criticato la misura, spicca il procuratore aggiunto di Messina, ed ex direttore generale dei detenuti del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), Sebastiano Ardita, che nell’audizione in commissione Giustizia ha lanciato un allarme: "Vi è la possibilità di favorire l’uscita dei soggetti più pericolosi dal punto di vista criminale". Secondo Ardita, "si parla di "indulto mascherato", ma mi permetto di dire che è più di un indulto mascherato, perché, mentre l’indulto opera in modo lineare e uguale per tutti per cui, se si dà un indulto di un anno di pena, tutti i detenuti avranno un anno di sconto, con questo meccanismo lo sconto cresce con il crescere della pena, quindi riguarda i più pericolosi e poi tutti gli altri, a decrescere. Chi ha una pena di 6 anni o superiore avrà il massimo dell’applicazione del beneficio, mentre chi sconta una pena modesta avrà un beneficio proporzionale all’entità della pena. Un detenuto condannato ad un massimo di 6 anni per l’associazione mafiosa, che stia in carcere dal 1 gennaio 2010 dopo circa 3 anni e 6 mesi riacquisterà la libertà, in quanto lo sconto di pena sarà pari a 2 anni e mezzo". Complessivamente, secondo il procuratore messinese "oggi sono 10 mila i detenuti per mafia, di cui 1.300 ergastolani. Circa novemila detenuti, che sono in custodia cautelare o in esecuzione pena e non all’ergastolo, beneficeranno comunque di questo provvedimento". L’Anm: nessun automatismo Posizione diametralmente opposta quella espressa dal segretario dell’Associazione nazionale magistrati Rodolfo Sabelli in commissione, che si è espresso favorevolmente alla norma ("purché sia solo un provvedimento per risolvere l’emergenza"): "Non vi è alcun sconto automatico, ma tutto è rimesso esclusivamente al comportamento corretto sotto il profilo disciplinare: la norma richiede un’adesione all’opera di rieducazione, che va valutata caso per caso, periodo per periodo in relazione individualizzata ad ogni detenuto". Nel merito l’Anm ha chiarito: "Aderire al trattamento, o opera di rieducazione, non significa formale osservanza delle regole di condotta disciplinari, anche se un’interpretazione burocratica potrebbe anche portare a un’interpretazione così limitativa, ma che il detenuto ha dimostrato con i suoi comportamenti di aderire al progetto rieducativo predisposto per lui all’interno dell’istituto penitenziario, quindi implica un atteggiamento di collaborazione rispetto alle istituzioni preposte alla rieducazione. Ovviamente ogni magistrato di sorveglianza, prende decisioni anche in base alla giurisprudenza ormai consolidata della Corte di Cassazione. La prova dell’adesione all’opera rieducativa non può che trarsi da vari elementi, tra i quali gli atti di osservazione interna al carcere, quindi le relazioni comportamentali, le relazioni di sintesi fatte dall’équipe con l’intervento dell’educatore, dello psicologo, dell’assistente sociale, ovviamente la condotta disciplinare, il comportamento generale e anche la conoscenza diretta da parte del magistrato di sorveglianza". La critica dell’Anm sta semmai nel fatto che il meccanismo di valutazione in carico al magistrato di sorveglianza "è farraginoso e si può rivedere". Tamburino (Dap): pena comunque espiata Sul provvedimento è intervenuto anche l’attuale numero 1 del Dap, Giovanni Tamburino: "Sono favorevole all’aumento della liberazione anticipata e vorrei porre qualche osservazione per quanto riguarda la distinzione con i fenomeni indulgenziali o estintivi. Qui non si tratta di estinzione della pena, ma di riduzione di una pena sul presupposto di una sua effettiva espiazione, cioè di una effettività. La pena, infatti, viene eseguita entro certi limiti ed è quindi patita, sofferta, sia pure con una riduzione rispetto alla determinazione quantitativa del giudice in sede di condanna. Vi è poi un’applicazione caso per caso, quindi è nominativa persona per persona, non a reati o a categorie di reati. Debbo anche ricordare che è visto favorevolmente un sistema di elasticità o di flessibilità della pena rapportato al soggetto a livello delle indicazioni del Consiglio d’Europa. A me sembra che, di fronte alla necessità di un riequilibrio del sistema, questo sia uno strumento con una buona efficacia e forse il meno lesivo delle esigenze di certezza e giustizia". Giustizia: Antigone; non è più possibile perdere tempo…. in carcere la gente muore Ristretti Orizzonti, 5 febbraio 2014 "Il decreto legge del Governo sulle carceri - ha dichiarato Patrizio Gonnella, presidente dell’Associazione Antigone, attiva da anni nella tutela dei diritti delle persone detenute - è un provvedimento timido che va nella direzione giusta. Una direzione obbligata perché, va ricordato a chi si oppone in Parlamento, è stata l’Europa a imporci di mettere mano a un sistema penitenziario che produce in modo industriale trattamenti inumani o degradanti. Vi sono circa 25mila persone in più rispetto ai posti letto regolamentari. Ci saremmo aspettati un radicale cambiamento delle leggi sulle droghe, sull’immigrazione e sulla recidiva che questo disastro hanno prodotto. Ci saremmo aspettati l’introduzione del delitto di tortura. Ci saremmo aspettati provvedimenti più efficaci. È demagogico oggi fare opposizione evocando indulti mascherati che non sono all’orizzonte. Il decreto legge del Governo è il minimo indispensabile. Chi vi si oppone lo fa perché spera di racimolare qualche punto di consenso nell’elettorato più forcaiolo". Giustizia: Gozi (Pd); il decreto sulle carceri è un passo in avanti urgente e dovuto Agenparl, 5 febbraio 2014 "Il Decreto Legge del Governo sulle carceri è un atto urgente e dovuto. Si tratta di un altro importante passo in avanti nella giusta direzione, che non affronta solamente il dramma del sovraffollamento degli istituti di pena, ma anche le questioni più di merito inerenti all’illegalità rispetto alla nostra costituzione e all’Unione europea. La Corte europea dei Diritti umani, infatti, non si limita a condannare l’Italia per le condizioni di vita nei penitenziari, ma ci sanziona anche per le procedure troppo complesse attribuite alla magistratura di sorveglianza. Le facilitazioni nei percorsi di affidamento in prova ai servizi sociali, l’estensione delle possibilità di scontare la pena nei paesi di provenienza, lo snellimento delle procedure di identificazione, l’istituzione del garante nazionale dei detenuti, sono tutte misure efficaci che vanno quindi accolte positivamente". Così l’Onorevole Sandro Gozi (Pd), Vice Presidente dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa Sel contro la fiducia: Governo e M5S hanno svuotato il decreto "Voteremo contro la fiducia" al decreto Carceri "non solo perché è posta da un Governo a cui noi ci opponiamo, ma anche perché abbiamo lavorato per migliorare il decreto, con aspettative positive, ma abbiamo verificato che tanto il Governo, condizionato da Ncd, che il M5s alzando la polemica sull’indulto mascherato, hanno svuotato il provvedimento". Lo ha detto il capogruppo Sel alla Camera Gennaro Migliore, durante una conferenza stampa a Montecitorio in merito al decreto Carceri su cui il Governo ha posto la fiducia. M5S a Dap: vogliamo sapere quanti sono usciti e per quali reati Il decreto "svuota carceri" ha già prodotto i suoi effetti. Il M5S vuole sapere in quanti sono usciti a partire dalla data della sua pubblicazione, il 24 dicembre scorso, fino a oggi e, soprattutto, di quali reati si è macchiato chi ha potuto usufruire dell’indulto mascherato firmato Letta-Cancellieri. Il gruppo parlamentare del Movimento 5 Stelle alla Camera ha quindi inviato al capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburino, una richiesta "per conoscere le statistiche penitenziarie in seguito all’applicazione del decreto prima che, grazie alle denunce dei deputati M5S, venissero escluse dall’applicazione fattispecie di reato particolarmente gravi e socialmente allarmanti". Coisp: parlamento fermi decreto, è uno scempio "Non è giusto. Non è corretto. Non è leale. Non è etico. Non è dignitoso. Non è rispettoso degli italiani onesti. Non è serio. Non si può sforbiciare di netto in maniera così sostanziosa la condanna inflitta con regolare processo a chi evidentemente lo merita secondo l’ordinamento solo nel disperato quanto inutile tentativo di ridurre una falla causata dall’incapacità di affrontare seriamente e adeguatamente il problema degli istituti di pena. Il Parlamento deve fermare il nuovo scempio rappresentato dall’ennesimo svuota-carceri". È l’appello lanciato da Franco Maccari, Segretario Generale del Coisp, nel giorno in cui si discute la conversione in legge del decreto ‘svuota carcerì, varato dal governo prima di Natale. Un provvedimento che, fra l’altro, prevede 75 giorni di riduzione di pena per ogni sei mesi scontati. "Non c’è argomentazione al mondo - insiste Maccari - che possa giustificare quanto previsto in questo decreto. Le sanzioni che l’Europa può infliggerci per lo stato delle carceri italiane, la funzione positiva degli sconti di pena contro le recidive, le valutazioni sulle condizioni non dignitose in cui si trovano i detenuti". Secondo il segretario del Coisp "sono tutte questioni che meritano attenzione, ma mai più del diritto di chi ha subito l’altrui scelta dell’illegalità ad ottenere quella giustizia che la legge dovrebbe garantirgli con norme codificate e poi, di fatto, neutralizzate da interventi improvvidi". "La legge impone a noi operatori delle Forze dell’Ordine ed alla magistratura di lavorare per mettere in carcere determinati soggetti, non si può poi pretendere di cancellare parte di tutto questo con un decreto che, per l’ennesima volta, un governo vuole imporre con la questione di fiducia che asservirà un argomento così delicato ed esclusivo come le questioni di Giustizia ai giochi della politica". Giustizia: Unione Camere Penali "Caro Grillo, prima di dare i numeri... te li diamo noi" Ristretti Orizzonti, 5 febbraio 2014 Sul decreto svuota carceri il leader del Movimento 5 stelle Scrive ai vertici di Magistratura e Polizia oltre che all’Anm, attingendo alla peggiore cultura "manettara". L’Unione delle Camere Penali gli ricorda che i numeri gli danno torto. Ai tanti che stanno protestando contro il decreto cosiddetto svuota-carceri definendolo "indulto mascherato" viene da rispondere che purtroppo non è così, anche se ci piacerebbe il contrario visto che l’Italia ha bisogno di amnistia ed indulto come il pane, per sfoltire le carceri e riportarle nei canoni di una minima civiltà, oltre che per evitare le pesanti condanne economiche che dal prossimo giugno la Corte Europea inizierà ad infliggerci. Invece a Beppe Grillo che scrive ai vertici della magistratura e della polizia e, visto che è un uomo di mondo e sa chi comanda, anche al sindacato dei magistrati, per avvisarli che usciranno dal carcere mafiosi e stupratori e chissà chi altro, vorremmo esprimere il nostro dispiacere per non essere stati inclusi tra i destinatari. Il dispiacere nasce da due considerazioni: così facendo Grillo dimostra di avere una idea delle cose di giustizia un tantino forcaiola, posto che evita di rivolgersi a chi si occupa della libertà delle persone mentre, per una volta, coccola quelli che sono deputati eventualmente a toglierla; in secondo luogo dimentica che i giuristi, e tra questi gli avvocati penalisti, potrebbero dargli qualche numero, inteso per una volta in senso statistico e non comico, che dimostra che i benefici penitenziari aiutano a prevenire la recidiva e dunque la sicurezza pubblica, non il contrario come demagogicamente sostiene, e fanno parte del nostro ordinamento da tempo. Insomma i benefici penitenziari non sono un atto di debolezza della società, bensì un atto di forza, quella che ci viene dal rispetto della Costituzione e dei valori in essa contenuti, per i quali i parlamentari del movimento 5 stelle sostengono, crediamo anche con convinzione, di battersi. A questi ultimi, che abbiamo visto attenti e desiderosi di informarsi nel corso delle audizioni parlamentari, cui partecipa spesso l’Unione delle Camere Penali, suggeriamo di essere nella sostanza meno manichei del loro leader, di farsi un’idea interpellando tutti gli operatori che si occupano di carcere, e di non utilizzare in politica, per pura demagogia elettorale, la maschera del "manettaro" - che tanta fortuna ha avuto nell’avanspettacolo- per contrastare le leggi che potrebbero servire a limitare lo scandalo civile di un carcere disumano, quello per il quale l’Europa ci condanna. Giustizia: Ospedali Psichiatrici Giudiziari… sembra “folle” ma non chiudono fino al 2017 di Carmine Gazzanni La Notizia, 5 febbraio 2014 Le Regioni chiedono che i termini slittino al marzo 2017. Ancora 890 persone internate in 6 strutture fatiscenti. L’Italia non è in grado di chiudere “luoghi di tortura”. È questo il quadro che emerge in merito agli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg). Luoghi di tortura, appunto, come tempo fa li ha definiti la Commissione europea. Dovevano chiudere il 31 marzo 2013 ma è stato deciso di rinviare la data di un altro anno. Ora però la Conferenza delle Regioni ha stilato un documento in cui si chiede un’ulteriore proroga di ben tre anni. Prossima (ipotetica) chiusura: 31 marzo 2017. Veri e propri lager Per capire la realtà dei 6 Opg ancora presenti in Italia bisogna partire da lontano. È negli anni Settanta che queste strutture prendono vita, in sostituzione dei vecchi manicomi criminali. Ma, come tengono a precisare dall’associazione Antigone, è solamente “una questione di pudicizia”: internati imbottigliati di pillole e sedativi, strutture fatiscenti, stanze occupate anche da sette o otto pazienti, letti con le reti bucate nel mezzo per permettere l’espulsione di urina e feci. Insomma, veri e propri lager. Né uscire da tali strutture è così scontato. “I gravi ritardi - ci dice Stefano Cecconi dell’associazione “Stop Opg” - sono relativi al fatto che si doveva e si poteva e si deve lavorare per lo smantellamento di questi istituti attraverso le dimissioni delle persone che sono riportabili sul territorio, cioè quelle in regime di proroga che sono almeno un terzo del totale”. In molti casi quest’ultime non vengono dimesse “semplicemente perché i servizi sociali non hanno presentato progetti di presa in carico e quindi rimangono parcheggiati in Opg, ben oltre la durata della misura di sicurezza comminata dalla sentenza”. Non è quindi un caso che si parli di “ergastolo bianco” dato che le proroghe raggiungono talvolta anche i 20 anni. Un periodo infinito per coloro che devono sopravvivere in queste strutture. Finanziamenti congelati In totale sono 273 i milioni stanziati dal governo per la riconversione dei 6 Opg in strutture regionali: ben 180 milioni per la riconversione delle strutture, più altri 93 per il personale. Soldi che però, allo stato attuale, rimangono congelati. Nessuno (per ora) ha utilizzato un solo centesimo per ritardi colossali nella presentazione dei progetti da parte delle Regioni. La legge approvata nel 2012 prevedeva infatti che queste avanzassero progetti per la riconversione al ministero della Salute che, di concerto col ministero dell’Economia (che si sarebbe occupato del conteggio delle spese), avrebbe dato l’ok per l’avvio dei lavori. I soldi dunque c’era- no ma nessuno, per negligenza o per cattiva gestione, li ha utilizzati. La situazione attuale È difficile dire di chi siano le responsabilità. A sentire le Regioni sarebbe tutta colpa dei tempi troppo stringenti imposti dal governo. “Nonostante il fatto che le Regioni abbiano presentato i programmi per la realizzazione delle strutture sanitarie alternative agli Opg - si legge nel loro documento - le stesse non saranno in grado di poter nemmeno avviare nei pochi mesi rimasti, le procedure di gara per la scelta del progettista e dell’impresa esecutrice dei lavori”. Le istituzioni centrali, però, non sono dello stesso avviso. Nella relazione stilata dal ministero della Salute e presentata al Parlamento lo scorso 18 dicembre, infatti, si sottolinea ad esempio come non tutte le Regioni abbiano rispettato i tempi: il Veneto non ha presentato alcunché tanto che “è stata avviata la procedura di commissariamento” con tanto di diffida per il governatore Zaia. Per quanto riguarda Friuli, Liguria, Emilia Romagna, Marche, Lazio, Campania, Calabria e Sardegna si è in attesa di pubblicazione del decreto in Gazzetta Ufficiale. Per tutte le altre Regioni si è invece ancora “in attesa del concerto tecnico finanziario del ministero dell’Economia”. Insomma, ritardi di ogni genere. E intanto rimangono internati ancora 890 persone. L’alternativa si chiama Rems ma non convince Secondo la norma, entro il 2017 i sei Opg oggi esistenti dovranno lasciare il posto alle cosiddette Rems (Residenze per l’Esecuzione della Misura di Sicurezza), strutture regionali (16 in totale) che però, a detta di molti, altro non sarebbero che mini-Opg. Cambierebbe la forma, dunque, ma la sostanza e il funzionamento delle strutture rimarrebbero gli stessi. Secondo Stefano Cecconi dell’associazione “Stop Opg”, infatti, “la chiusura degli Opg non può significare riprodurre nel territorio un’alternativa regionalizzata: facciamo tanti Opg nelle regioni italiane e abbiamo risolto il problema”. Si dovrebbe invece insistere, secondo le associazioni, sul potenziamento delle misure alternative alla detenzione previste da ben due sentenze della Corte Costituzionale. Il rischio, insomma, è che alla disapplicazione segua l’ennesimo dispendio di soldi per un progetto morto già in partenza. “Quello che si sta portando avanti - aggiunge Cecconi - è un megaprogetto da 180 milioni per mille e più posti che sono tra l’altro più degli attuali internati. Siamo davvero fuori strada”. Giustizia: evasione Cutrì; videoconferenze per i killer, pronto il decreto del governo di Liana Milella La Repubblica, 5 febbraio 2014 Videoconferenze per decreto. Per tutti i detenuti pericolosi. Ovviamente a piena discrezione del giudice, il quale però dovrà spiegare perché, rispetto all’obbligo del collegamento video, decide invece di chiedere la presenza in aula, assumendosene la responsabilità. Palazzo Chigi si muove. Prepara un pacchetto anti- crimine e anti-corruzione che potrebbe arrivare in Consiglio dei ministri già la prossima settimana, o al massimo quella successiva. Ad accelerare un intervento già in programma, e già preannunciato dal premier Letta con tanto di conferenza stampa sui risultati della commissione Garofoli, sono stati due fatti, per pura coincidenza avvenuti nello stesso giorno. Da un lato l’evasione di Cutrì, dall’altro l’allarme Ue sulla corruzione. Il piano, che avrebbe dovuto concretizzarsi in un disegno di legge dai tempi ovviamente ben più lunghi, adesso assume le sembianze di un possibile decreto. Nel quale il governo ascolterebbe la voce di chi, come il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Nicola Gratteri, già ieri aveva detto che "la videoconferenza obbligatoria per detenuti di alta sicurezza" avrebbe evitato il gravissimo caso Cutrì. Sul fronte dell’anti-corruzione, ecco il reato di auto-riciclaggio, suggerito con insistenza dalla commissione Ue, da sempre sollecitato dai magistrati impegnati sui reati economici. Un decreto. Nella cui scaletta ci sarebbero, oltre a videoconferenze e anti-riciclaggio, pene inasprite per il reato di associazione mafiosa (oggi da 7 a 12 anni per chi partecipa e da 9 a 14 per i capi), con un congruo aumento del minimo della pena, la revisione delle misure di prevenzione e delle confische con l’obiettivo di accelerare al massimo i tempi, l’ampliamento degli enti da sciogliere (società partecipate e consorzi pubblici, oltre ai Comuni), un intervento sui detenuti al carcere duro, il famoso 41-bis. Mossa anti-Riina, il boss di Cosa nostra che in cortile ordina di uccidere il pm di Palermo Di Matteo discutendo con un altro detenuto. Nel team di Letta sono convinti che il tempo è maturo. Il decreto, com’è avvenuto per le carceri, sarebbe una risposta immediata. Le premesse politiche e tecniche ci sono. Ieri, sulla necessità di videoconferenze obbligatorie, ha twittato il segretario del Pd Matteo Renzi, "colpito" dalle parole di Gratteri. Il tweet: "Mi ha colpito l’analisi del procuratore. Con la videoconferenza avremmo evitato assalto, morti, evasione". Sul fronte tecnico parla il direttore delle carceri Giovanni Tamburino, un magistrato di sorveglianza che conosce bene il mondo del carcere. Innanzitutto dà le cifre, 187mila traduzioni per 368mila detenuti effettuate dalla sola polizia penitenziaria. Poi commenta: "Questo numero deve necessariamente porre la questione se non sia giunto il momento di pensare a un maggior utilizzo delle videoconferenze per garantire la partecipazione di detenuti, soprattutto di alta sicurezza, alle udienze. Ciò consentirebbe un minor impiego di personale impegnato nelle traduzioni, un contenimento dei costi e garantirebbe una maggiore sicurezza per il nostro personale e per i cittadini". Sono sempre le cifre che, a palazzo Chigi, hanno portato la commissione presieduta dal segretario generale Roberto Garofoli, in cui hanno lavorato sia Gratteri che il pm anti-camorra Raffaele Cantone, a proporre la videoconferenza obbligatoria. Un dato, la polizia di Stato, nel 2012, ha effettuato 2.466 accompagnamenti per videoconferenze dei soli pentiti e 264 per i testimoni di giustizia. Videoconferenze obbligatorie dunque. È favorevole il sottosegretario alla Giustizia del Pd Giuseppe Berretta ("Siamo convinti che vada estesa per i reati gravi"), è contrario il presidente delle Camere penali Valerio Spigarelli ("Così si lede il diritto di difesa"). Giustizia: Sottosegr. Berretta e Dap; processo in videoconferenza per detenuti pericolosi Ansa, 5 febbraio 2014 "Prevedere la possibilità di far intervenire in videoconferenza i detenuti, specie quelli pericolosi". È l’auspicio espresso dal sottosegretario alla Giustizia Giuseppe Berretta sul caso dell’evasione del detenuto Domenico Cutrì. "La commissione presieduta da Glauco Giostra in tema di ordinamento penitenziario e misure alternative alla detenzione - aggiunge il sottosegretario - ha affrontato il problema proponendo di estendere l’utilizzo del collegamento audiovisivo nell’intento di conseguire cospicue economie di tempo e di risorse, cercando di evitare restrizioni dei diritti dei detenuti". "La norma attuale - ricorda Berretta - prevede che per alcuni reati molto gravi sia prevista questa possibilità, sono convinto, e in questo condivido l’opinione del segretario del Pd Matteo Renzi, dell’esigenza di ampliare l’uso della videoconferenza". "In particolare penso che la possibilità dell’intervento in videoconferenza - sottolinea il sottosegretario - vada esteso anche per i detenuti per reati gravi che debbano rispondere anche per altri reati: come accaduto per il caso Cutrì". "L’utilizzo delle nuove tecnologie, sia in campo penale sia in campo civile - conclude Berretta - è tra le priorità del Governo che sta puntando concretamente sull’ammodernamento della Giustizia". Dap: usare più video conferenze Il capo del Dap Giovanni Tamburino esprime solidarietà e vicinanza agli agenti che ieri, a Gallarate, sono stati coinvolti nell`agguato durante il quale è evaso il detenuto Domenico Cutrì, e, sottolineando che "l`assalto al blindato della polizia penitenziaria non ha precedenti da quando, nel 1996, la polizia penitenziaria ha assunto il servizio delle traduzioni", ha rilanciato la proposta di un maggior utilizzo delle video conferenze per i detenuti che devono partecipare ad udienze. "Non entro nel merito della dinamica dei fatti, sui cui le forze di polizia stanno conducendo indagini accurate, ma va evidenziato come - prosegue Giovanni Tamburino - gli agenti di scorta impegnati nella traduzione del detenuto al Tribunale di Gallarate abbiano dovuto affrontare una situazione drammatica mettendo a repentaglio la propria vita e salvaguardando quella degli ignari cittadini presenti sul luogo dell`assalto". Il servizio delle traduzioni - ha spiegato il capo del Dap - "impegna un numero considerevole di unità di polizia penitenziaria che svolgono un compito delicato e rischioso con grande professionalità e sacrifici personali". Nel 2013 il servizio ha espletato 187mila traduzioni che hanno interessato complessivamente 368mila detenuti, tradotti per motivi di giustizia e per trasferimenti di istituto. "Il numero delle traduzioni effettuate - ha aggiunto il capo del Dap - deve necessariamente porre la questione se non sia giunto il momento di pensare a un maggiore utilizzo delle video conferenze per garantire la partecipazione dei detenuti, soprattutto di alta sicurezza, alle udienze dinanzi all`autorità giudiziaria". "Tale soluzione - ha concluso Tamburino - consentirebbe un minore impiego di personale impegnato nel servizio traduzioni che potrebbe essere destinato ai servizi interni agli istituti penitenziari, un contenimento dei costi del servizio e, non da ultimo, garantirebbe una maggiore sicurezza per il Personale e i cittadini". Giustizia: Unione Camere Penali; il processo in videoconferenza lede il diritto alla difesa Ansa, 5 febbraio 2014 "Andiamoci piano. Siamo di fronte a un fatto che possiamo definire eccezionale e non a un fenomeno che ha una forte incidenza statistica: attenzione a fare le leggi sulla base di episodi di questo tipo, le leggi non si fanno così". Lo afferma il presidente dell’Unione penalisti italiani, Valerio Spigarelli, sottolineando la assoluta contrarietà della categoria a un’estensione delle udienze in videoconferenza, perché "il diritto di difesa ne risulterebbe fatalmente amputato". Il tema è tornato d’attualità dopo la vicenda dell’evasione di Domenico Cutrì, detenuto che avrebbe dovuto prendere parte a un’udienza. "Se il caso del detenuto evaso a Genova dal permesso premio aveva un’incidenza dell’1%, quest’ultima vicenda si inserisce in una casistica ancora più contenuta. Quanti attacchi a furgoni della polizia penitenziaria impegnati in un servizio di traduzione detenuti si ricordano? Non si può partire da qui per predisporre una regola generale. È invece si sta ipotizzando come regola generale il processo penale telematico", afferma Spigarelli, rispondendo a quanti, compreso Matteo Renzi, hanno rilanciato quest’idea. "Il processo penale non è il processo civile - rimarca Spigarelli - I processi a distanza, in cui non si vede la faccia del testimone, devono rimanere delle eccezioni. Se diventassero la regola, il diritto di difesa non sarebbe più garantito appieno. Essere sul posto con il proprio avvocato e poter interloquire con lui è cosa completamente diversa che parlare attraverso la linea telefonica. Esiste un diritto a starci, nel processo, che non può essere compresso". Giustizia: evasione Cutrì; caccia in tutta Italia all’ergastolano evaso, "è pericolosissimo" Il Tirreno, 5 febbraio 2014 "Un uomo pericolosissimo, con legami familiari molto forti e una forte capacità di intimidazione e di condizionamento". Con queste parole il procuratore generale del Piemonte, Marcello Maddalena, descrive Domenico Cutrì, 32 anni, l’ergastolano liberato da un commando di fronte al tribunale di Gallarate, Varese, con un blitz organizzato nei minimi dettagli costato però la vita al fratello minore dell’evaso, Antonino, 30 anni, ferito a morte nello scontro a fuoco con gli agenti di Polizia penitenziaria. "Per Antonino tirare fuori Domenico era diventata una vera ossessione " racconta la madre, ieri ascoltata a lungo dai carabinieri, mentre la caccia all’evaso si allarga a tutta Italia, estendendosi fino ai confini con la Svizzera. Fu Maddalena, assieme al pm Vittorio Corsi, a rappresentare l’accusa nel processo d’appello che portò alla condanna all’ergastolo di Cutrì per le responsabilità nell’omicidio di un giovane polacco, Luckasz Kobrzeniecki, freddato a colpi di pistola nel 2006 a Trecate perché aveva osato posare lo sguardo sulla fidanzata di Cutrì, esponente di una famiglia senza legami con la criminalità organizzata, ma capace di farsi rispettare. E unita. Per fare evadere il fratello, Antonino aveva addirittura imparato a pilotare un elicottero. "È stato uno sconosciuto a citofonare ieri per avvertirmi: "scenda che suo figlio sta male" sostiene la madre con gli inquirenti. Sarebbe stata lei, dopo aver trovato Antonino in fin di vita sul sedile anteriore, mentre l’altro uomo sedeva dietro, a mettersi alla guida per portare il figlio all’ospedale di Magenta. Durante il tragitto lo sconosciuto le avrebbe detto di fermarsi e sarebbe sceso. Ma la versione della donna stride con il luogo del ritrovamento della vettura, una Citroen C3 nera, in un parcheggio vicino all’ospedale, fuori dal perimetro della struttura. Entrambe le auto sono state ritrovate. Entrambe sono risultate frutto di una rapina: sottratte lunedì stesso, armi in pugno, a Bernate e ad Arluno, nel Milanese. A bordo della Nissan, scoperta in una stretta via non lontano dal tribunale, sono stati rinvenuti due fucili a pompa, uno a canne mozze e munizioni di vario calibro. Gli investigatori, che parlano di un’azione studiata nei dettagli, non escludono che per nascondere l’evaso siano stati allestiti uno o più covi. "Cutrì non ha mai dato problemi" sottolinea Claudio Mazzeo, direttore del carcere di Cuneo. Ma dopo la sua evasione riprende forza il dibattito sulla necessità di evitare i trasferimenti dei detenuti: "Con la videoconferenza avremmo evitato assalto, morti, evasione" dice il segretario del Pd, Matteo Renzi, posizione condivisa dal sottosegretario alla Giustizia Giuseppe Beretta. E il capo del Dap, Giovanni Tamburino, conferma: "Forse è arrivato il momento di pensare a un maggiore utilizzo della videoconferenza". Giustizia; il pasticcio del braccialetto elettronico, milioni per una convenzione illegittima di Chiara Rizzo Tempi, 5 febbraio 2014 Stasera si vota la fiducia sul decreto che introdurrebbe l’uso dei braccialetti. Pansa: "In uso 90 braccialetti su duemila, costano 3 milioni l’anno. Colpa di un accordo illegittimo con Telecom". Il giorno stesso in cui è arrivato in Aula, è stata annunciata la fiducia sul decreto carceri, che tra le misure propone la riduzione del ricorso alla custodia cautelare in carcere, il braccialetto elettronico, l’aumento dei giorni di sconto pena da 45 a 70 giorni ogni sei mesi per buona condotta. Sono queste ultime due misure che hanno suscitato maggiori critiche, in particolare il Movimento 5 stelle e la Lega nord avevano annunciato il voto contrario perché il decreto, a loro dire, libererebbe mafiosi e terroristi. In commissione Giustizia della Camera - che secondo il governo "ha modificato il provvedimento", ecco perché si vota con la fiducia - si è parlato moltissimo di "sconto pena" e braccialetto. Su quest’ultimo tema di particolare interesse c’è stata l’audizione del capo della polizia, il prefetto Alessandro Pansa, che ha offerto dati precisi e un ammonimento sul "sistema attuale davvero costoso", con "cifre esagerate". Il prefetto ha esordito spiegando che, "al momento, siamo legati a regole tecniche del 2001 e per questo parliamo di braccialetto elettronico - che altro non è se non una cavigliera elettronica - ma allo stato se ne fa un uso molto limitato". Poi: "Negli ultimi tempi, grazie alla grande attenzione posta su questo tema, siamo arrivati a novanta apparecchiature utilizzate, mentre fino a poco tempo fa erano, al massimo, una quindicina". "La convenzione attuale" con Telecom, iniziata nel 2001, e "che siamo costretti a utilizzare, ci consente di impiegare un numero massimo di duemila dispositivi". Il capitolo più "disdicevole" della convenzione con Telecom sui braccialetti elettronici, riguarda i costi che spettano allo Stato dal 2001, per la strumentazione anche e nonostante l’uso limitato che è stato fatto sinora del braccialetto. Il prefetto Pansa ha spiegato che "il sistema attuale è abbastanza costoso: a regime, qualora impiegassimo tutti e duemila i braccialetti disponibili, raggiungeremmo un costo annuo di circa 9 milioni di euro. La parte più rilevante è data dai costi fissi. Al di là dello strumento in sé, a costare è soprattutto la centrale operativa che deve ricevere i segnali da tutti i braccialetti installati in Italia - attualmente sono solo novanta, ma potrebbero essere duemila - e inviare gli allarmi a tutte le sale operative. Il numero dei braccialetti incide in maniera relativa, perché al massimo la spesa potrebbe raggiungere 2,4 milioni". Più nel dettaglio, Pansa ha calcolato che "il costo è di 9.083.000 euro all’anno. Il noleggio di 2.000 braccialetti elettronici costa 2.400.000 euro, la movimentazione logistica dei braccialetti 2.900.000, la centrale operativa, le reti di trasmissione e le segnalazioni 3.717.000. Noi oggi non spendiamo 9 milioni, ma 3.170.000 per l’organizzazione, una cifra minore per quanto riguarda la manutenzione, perché i braccialetti sono pochi, e una cifra ancora minore per il noleggio. Intorno a questo servizio spendiamo, dunque, io credo, meno di 5 milioni. È chiaro che si tratta di una diseconomia enorme e di cifre esagerate: in effetti, il braccialetto elettronico è un cellulare che trasmette e non riceve". Pansa tuttavia ha sottolineato che "quello che costa moltissimo è la rete di gestione degli allarmi, la sala operativa aperta ventiquattro ore su ventiquattro che fa il monitoraggio di ognuno di questi braccialetti. Una megasala operativa per 90 braccialetti è eccessiva, ma, se i braccialetti saranno migliaia, diventerà un valore". Inoltre, "noi incentiviamo la detenzione domiciliare non solo perché diventa un meccanismo per svuotare il carcere, ma anche perché è facile controllare il soggetto. Il braccialetto, quindi, creerà un sistema sicuramente molto più efficace". Il prefetto ha proseguito: "Sicuramente oggi, se andiamo sul mercato, troveremo soluzioni che costeranno molto di meno. Il problema fondamentale è che oggi sul mercato troveremmo di meglio". La domanda in commissione Giustizia è stata a quel punto unanime: se si può risparmiare, perché si mantiene il contratto con Telecom? La risposta di Pansa lascia chiaramente comprendere come nel 2001, quando l’allora ministro dell’Interno Enzo Bianco avviò la convenzione con Telecom la procedura non fu né trasparente né corretta. Nel 2011, durante il Governo Berlusconi, tale convenzione fu poi rinnovata, sempre senza condurre alcuna gara o revisione. "Si tratta, tuttavia, di una convenzione illegittima - ha spiegato Pansa - poiché il Consiglio di Stato, confermando una sentenza del Tar, ha stabilito che non avremmo potuto accordarci direttamente con Telecom e ricorrere a una convenzione unica". Telecom, intanto, ha fatto ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, che interverrà su questa vicenda a giugno, probabilmente secondo Pansa confermando l’illegittimità. Intanto però "siamo costretti a spendere ventisei milioni di euro per una fideiussione da depositare in banca in caso di soccombenza". Eppure il braccialetto elettronico nelle esperienze di altri paesi ha rappresentato un successo. "Perché non si è utilizzato da noi così tanto? Perché negli altri Paesi non è richiesto il consenso dell’interessato. Questa è la prima questione" ha chiarito il prefetto, aggiungendo come seconda ragione che all’estero "è uno strumento molto più diffuso perché il meccanismo giudiziario di molti altri Paesi non è basato sulla carcerazione preventiva. Il nostro ordinamento sì". Con il decreto legge parte del problema sarebbe definitivamente corretto perché "sicuramente riteniamo che il braccialetto costerà molto di meno, non fosse altro perché è evidente che, nel momento in cui la legge stabilirà che si deve usare, non ci sarà bisogno del consenso. Addirittura il magistrato dovrà motivare il caso in cui non lo utilizza". Giustizia: frodi finanziarie, ok di Strasburgo a sanzioni per 4 anni carcere come minimo Agi, 5 febbraio 2014 Il parlamento europeo ha approvato oggi a Strasburgo l’inasprimento delle pene per i colpevoli di reati come le frodi finanziarie, che finora erano solo di tipo amministrativo: le sanzioni massime nazionali per reati gravi come per esempio la manipolazione dei tassi di riferimento (come avvenuto nel recente scandalo del Libor) o l’insider trading dovranno essere di almeno 4 anni di carcere. I voti a favore della nuova direttiva sono stati 618, 20 i contrari e 43 le astensioni. Ora è necessaria l’approvazione del Consiglio Ue, e successivamente, dopo la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale prevista per il prossimo giugno, gli Stati avranno 24 mesi per attuare le norme. Come sottolinea in una nota la Commissione, l’adozione della direttiva da parte del Parlamento dimostra l’impegno dell’Europa di combattere le frodi finanziarie con sanzioni dure ed efficaci. "Ci deve essere tolleranza zero per i manipolatori nei nostri mercati finanziari - ha commentato la vicepresidente Viviane Reding, assieme al Commissario per il mercato interno e i servizi finanziari Michel Barnier. Nell’attuazione delle nuove norme, gli Stati dovranno adottare le definizioni comuni per i reati di abuso di mercato come la manipolazione dei mercati, l’insider trading e l’utilizzo illegale di informazioni riservate, le pene minime di 4 anni per primi due reati, considerati più gravi, e di due per quelli meno gravi, stabilire la giurisdizione per questi reati e garantire l’adeguata preparazione sul tema specifico delle autorità giudiziarie preposte. Per garantire un’applicazione uniforme in tutta l’Ue, gli Stati membri dovranno chiedere ai giudici di condannare i trasgressori a un massimo di pena non inferiore a quattro anni di carcere per le forme più gravi d’insider trading e manipolazione di mercato e non meno di due anni per la divulgazione illegale di informazioni. I reati di manipolazione di mercato, punibili con una pena detentiva di almeno quattro anni, includono la partecipazione in una transazione o un ordine che dà indicazioni false o fuorvianti in merito all’offerta, alla domanda o al prezzo di uno o più strumenti finanziari, o fornire input falsi o fuorvianti per manipolare il calcolo di tassi di riferimento, come il London Interbank Offered Rate (Libor) o l’Euro Interbank Offered Rate (Euribor). I reati di abuso d’informazioni privilegiate puniti con quattro anni di carcere includono anche quelli in cui le informazioni sono utilizzate con l’intento di acquistare o vendere strumenti finanziari o di annullare o modificare un ordine. Gli Stati membri resterebbero liberi di stabilire o mantenere sanzioni penali più severe per gli abusi di mercato di quelle stabilite dalla direttiva. Giustizia: boss Provenzano, detenuto a Parma, incosciente e alimentato artificialmente Ansa, 5 febbraio 2014 Il capomafia Bernardo Provenzano verserebbe ormai in condizioni fisiche pessime: non sarebbe più cosciente e verrebbe alimentato artificialmente. A rivelarlo ai magistrati è stato il figlio Angelo. "Sono stato ascoltato principalmente sullo stato di detenzione e di salute di mio padre. In particolare ho risposto alle domande sulle condizioni psicofisiche e cognitive che, successivamente al trasferimento dal carcere di Novara, si sono cominciate ad aggravare nell’istituto penitenziario di Parma. Fino al definitivo declino che vede mio padre incosciente e alimentato artificialmente". Queste le parole di Angelo Provenzano, figlio maggiore di Bernardo Provenzano, il boss corleonese arrestato l’11 aprile del 2006 e detenuto in regime del 41 bis che proprio qualche giorno fa, il 31 gennaio, ha compiuto 81 anni. Il figlio ha rivelato questo particolare dopo essere stato sentito nella sede palermitana della Dia dal procuratore aggiunto Vittorio Teresi e dai sostituti Nino Di Matteo e Roberto Tartaglia, il pool del processo per la trattativa Stato-mafia. Angelo Provenzano ha risposto come persona informata dei fatti per poco più di tre ore ai magistrati che, partendo dall’ipotesi di un presunto tentativo di suicidio in carcere dell’anziano boss, avevano già ascoltato, nel dicembre 2012, l’altro figlio, Francesco Paolo, 32 anni. Questi, per tutta la durata dell’interrogatorio, ha atteso il fratello fuori dei cancelli della Dia. Lettere: carceri sovraffollate, la soluzione è estradare i detenuti stranieri di Bruno Ferraro (Presidente Aggiunto Onorario Corte di Cassazione) Libero, 5 febbraio 2014 È un problema del quale ho cognizione indiretta oggi, ma diretta e personale in passato, visto che negli anni Novanta me ne sono occupato come direttore di tutto il personale civile dell’amministrazione penitenziaria (ministri l’onorevole Martelli e il professor Vassalli). Su di esso, pertanto, sono in grado di esprimere le mie osservazioni senza essere condizionato da facili suggestioni e senza essere tentato come troppo spesso per tanti personaggi, da strumentalizzazioni di maniera. Il cosiddetto pacchetto giustizia di fine anno 2013 prevede una serie di interventi per ridurre di 1700 detenuti le presenze nelle affollate carceri italiane: affidamento in prova ai servizi sociali fino ad un massimo di4 anni di pena (contro gli attuali 3), arresti domiciliari per gli ultimi 18 mesi, espulsioni più facili per i detenuti stranieri, braccialetto elettronico solo nei casi di detenzione domiciliare. È la risposta al presidente Napolitano che, sulla scia di ripetuti moniti europei, aveva sottolineato "il dovere costituzionale e l’imperativo morale" di intervenire per eliminare il sovraffollamento degli istituti penitenziari (65.000 presenze a fronte di una capienza massima prevista dì 48.000): monito caduto nel vuoto perché un’ipotetica amnistia o indulto avrebbe potuto favorire l’ex premier Berlusconi (quando si dice che la persona del Cavaliere è una sorta di macigno, ma anche un alibi, sulla strada delle non riforme nel settore giustizia). Un’amnistia oggi sarebbe possibile, e forse anche opportuna, purché ne siano chiari i motivi e gli obiettivi, e non si tratti di un atto di clemenza fine a se stesso. Non ha senso liberare un detenuto se, rientrato in società, non ha alcuna prospettiva, per cui sarà costretto nuovamente a delinquere. Con l’indulto si risolverebbe al momento il problema del sovraffollamento e però, senza un piano di prospettiva, la situazione tornerebbe a essere drammatica in breve tempo. Rimettendo in libertà migliaia di detenuti, si riduce inoltre l’efficacia della pena e si mette in discussione la sicurezza dei cittadini. D’altro canto, non capisco davvero le resistenze all’uso del braccialetto elettronico basate su una presunta tutela della privacy del soggetto, il quale senza il braccialetto e dentro un carcere non disporrebbe certamente di una situazione di maggiore riservatezza. Il sovraffollamento, in buona sostanza, è determinato dal numero eccessivo di soggetti in custodia cautelare (cioè finiti in cella prima del giudizio definitivo) ed è su questo che occorre prima intervenire, utilizzando sistemi che hanno dato buoni risultati in altri Paesi. Un esempio: per i detenuti stranieri, in numero preponderante, sarebbe sufficiente concludere accordi con i loro Paesi per estradarli in esecuzione di pena, evitando la beffa di doverli mantenere nelle nostre carceri a spese dei contribuenti italiani. Potrei continuare, ma mi fermo qui. Già negli anni Novanta le carceri italiane non erano al di sotto degli standard europei. Non sono affatto convinto che l’elevato numero di servizi all’interno delle nostre carceri (educatori, assistenti sociali, psicologi, volontariato esterno) le abbiano rese peggiori di quelle straniere di cui poco sì parla. Ma tant’è, noi italiani abbiamo una spiccata propensione a recitare il mea culpa a fini di polemiche interne e di facili strumentalizzazioni: dimenticando che ci siamo inventati di tutto (magistratura di sorveglianza, arresti domiciliari, detenzione domiciliare, semidetenzione, semilibertà) per ridurre il disagio" di finire in carcere. Portando il discorso tino alle estreme conseguenze, mi sentirei invogliato a chiedere ai facili detrattori del carcere che cosa propongono di concreto come alternativa alla pena. Se la pena serve come risposta della società a chi con il reato ha messo in discussione i principi della convivenza sociale; se la funzione emendativa della pena è solo eventuale e concorrente, non certo primaria rispetto a quella repressiva; il problema dovrebbe essere non "meno carcere e più libertà", bensì "umanizzare e civilizzare" la permanenza negli istituti penitenziari. Ma tant’è, siamo nell’Italia del tutto e del suo contrario. Lazio: il Garante; in 2 mesi solo 250 detenuti in meno, decreti svuota-carceri insufficienti Ristretti Orizzonti, 5 febbraio 2014 Il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni: "Come avevamo ampiamente previsto, gli effetti dei decreti svuota-carceri sono insufficienti ad affrontare, in maniera radicale, il problema del sovraffollamento. ma senza una profonda riforma, il sistema è destinato a tornare al punto di partenza". "In due mesi i detenuti presente nelle carceri del Lazio sono diminuiti di quasi 250 unità, un calo comunque insufficiente a garantire a contenere il fenomeno del sovraffollamento e a ripristinare condizioni minime di vivibilità all’interno degli istituti di pena. In questo modo il sistema è soggetto a continue tensioni e sofferenze". Lo dichiara, in una nota, il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni commentando i dati in base ai quali in poco meno di due mesi, i detenuti presenti nelle 14 carceri della regione sono passati dai 7.100 del 1 dicembre 2013, ai 6.856 attuali. A livello nazionale, nelle 205 carceri italiane (con 47.709 posti disponibili) i detenuti sono ancora 61.502, oltre 2.500 in meno rispetto ai 64.084 censiti il 2 dicembre scorso. Il Lazio continua, però ad essere la terza regione italiana per numero di detenuti dopo Lombardia (8.697 reclusi) e Campania (7.977). "Come avevamo preventivato - ha detto Marroni - gli effetti del decreto svuota-carceri" varato dal governo Letta nei mesi scorsi sono purtroppo insufficienti ad affrontare in maniera radicale il problema del sovraffollamento. Il numero dei detenuti che cala è una buona notizia; il dato deludente è che i numeri sono di gran lunga al di sotto di quel che servirebbe. In Italia ci sono 61.500 detenuti a fronte di meno di 48.000 posti; non basta un calo di sole 2.500 unità per far respirare le carceri italiane. La realtà conferma, insomma, che le norme varate in questi anni dall’esecutivo - che per altro trovano un limite quasi insormontabile nei Tribunali di Sorveglianza, quasi paralizzati dalla mole di lavoro - rappresentano solo un palliativo, perché restano inalterati tutti i grandi nodi del sistema. Sulla carceri, l’Italia è ancora inadempiente rispetto alla sentenza della Corte di Giustizia Europea di un anno fa. Bisogna intervenire, con una profonda riforma del codice penale e del codice di procedura penale, sui nodi strutturali che producono carcere: scarsità di ricorso alle pene alternative, i reati connessi alle tossicodipendenze e il delicato tema degli stranieri in carcere. Senza un intervento di questo genere fra qualche mese il sistema si troverà inesorabilmente di nuovo al punto di partenza". Dai dati diffusi emergono altri spunti di riflessione. I detenuti in attesa di giudizio definitivo in tutto il Lazio sono 2.854, quasi il 42% del totale. 1.125 sono, infatti, quelli in attesa di primo giudizio e 1.729 i condannati non definitivi. Sono, invece, 3.978 i reclusi che stanno scontando una pena definitiva. Sardegna: interrogazione dell’On. Pili; le famiglie dei capimafia si trasferiscono nell’isola www.sardegnaoggi.it, 5 febbraio 2014 "Le famiglie dei capimafia hanno iniziato lo sbarco in Sardegna. Da Porto Torres a Palau nuclei familiari hanno preso casa nell’isola per assistere i loro strettissimi familiari detenuti in regime di alta sicurezza nel carcere di Tempio Nuchis". Lo ha detto Mauro Pili presentando un’interrogazione urgente al Ministro della Giustizia denunciando quello che sta accadendo nelle province di Sassari e Gallura. Secondo quanto riferisce il candidato di Unidos "gli ergastolani detenuti a Tempio per mafia non ci stanno a restare isolati e per questo motivo fratelli e affini hanno incominciato la trafila di collegamento e supporto ai detenuti. A Porto Torres, così come a Palau, si sono trasferiti i familiari diretti di alcuni ergastolani giunti a Tempio lo scorso giugno. E già dal mese di Novembre 2013 la residenza risulta certificata nei loro nuovi comuni. Uno dei capi mafia in carcere per il famoso 416 bis, fine pena mai, raggiunto dai congiunti più diretti in terra sarda, è accusato sia di traffico internazionale di stupefacenti che di omicidio. Tutto questo sta avvenendo nel più totale silenzio delle istituzioni, da quelle nazionali che regionali. Un silenzio inaccettabile e vergognoso dinanzi ad un argomento che non può essere tenuto in silenzio". "Il rapporto del Ministero - prosegue Pili - sui detenuti di alta sicurezza aveva messo nero su bianco che il fenomeno di infiltrazione mafiosa sarebbe stato avviato con il trasferimento di congiunti diretti. In questo caso sono direttamente i fratelli dei detenuti che hanno preso casa e stanno iniziando la spola tra il carcere e le nuove residenze. Venga immediatamente bloccato questo fenomeno di infiltrazione mafiosa e si inverta una scelta tutta politica. In nessuna legge c’è scritto che questi detenuti debbano venire tutti in Sardegna con una concentrazione gravissima". Lazio: agente di Polizia penitenziaria in Australia con permesso sindacale, è polemica di Clemente Pistilli www.lanotiziagiornale.it, 5 febbraio 2014 Così perfetto da non sembrare vero. In vacanza con tanto di permesso sindacale, e pure retribuita. Sembra un film, invece è quello che accade al Provveditorato dell’amministrazione penitenziaria del Lazio. Una dipendente-sindacalista, parte dello staff del provveditore Maria Claudia Di Paolo, ha ottenuto un lungo permesso sindacale. Dispensa dal lavoro pagata e più che giusta. Chi tutela i colleghi deve avere giorni a disposizione per poter svolgere attività sindacale. Ma se negli stessi giorni in cui una sindacalista dovrebbe essere impegnata in riunioni e trattative risulta in vacanza dall’altra parte del mondo, ecco che spunta la domanda: chi controlla i sindacalisti e garantisce che l’uso dei permessi per tutelare i lavoratori non diventi abuso? Le organizzazioni sindacali e di conseguenza i sindacalisti hanno diritto ogni anno ad alcuni giorni di permessi per svolgere attività a tutela dei lavoratori. Nell’autunno scorso il Dap, il Dipartimento che si occupa del sistema carcerario, ha diviso le ore a disposizione per i permessi tra i diversi sindacati, specificando che tali organizzazioni, presentando le richieste a favore dei loro dirigenti, devono indicare "la sede di contrattazione presso la quale il dirigente sindacale espleterà il proprio mandato, qualora non coincidente con la sede di servizio". Il dirigente sindacale, al rientro dalla missione, dovrà poi presentare "un attestato di partecipazione, ovvero autocertificazione attestante la presenza alla riunione sindacale". Il mese scorso, il Coordinamento nazionale polizia penitenziaria, sigla nata nel 2001, ha chiesto 35 giorni di permessi sindacali per un’agente, impegnata nel Provveditorato del Lazio e, nello specifico, nella segreteria particolare del provveditore. Un permesso dal 20 gennaio al 28 febbraio. Nulla di strano. Tutto come previsto per legge e tutto giusto. Ma l’agente che ha beneficiato del lungo permesso retribuito sembra che in questo periodo non sia affatto impegnata nel logorante lavoro di tutela dei colleghi. Sulla sua bacheca Facebook ha messo le sue foto con i biglietti aerei in mano per l’Australia e poi le foto di lei in affascinanti località dell’Oceania, da Melbourne all’oceano. Permesso sindacale dunque o vacanza? Il caso non è passato inosservato e non resta ora che capire come e perché siano stati concessi quei 35 giorni. Cosa accade nel sindacato. Ma soprattutto chi vigila su tali permessi mentre la polizia penitenziaria in Italia è proprio come le carceri: al collasso. Varese: Sappe; condizioni di lavoro critiche per Nuclei Traduzione dei Baschi Azzurri Ansa, 5 febbraio 2014 "L’assalto al furgone della Polizia Penitenziaria a Gallarate per favorire l’evasione del detenuto Domenico Cutrì mette drammaticamente in evidenza i gravi rischi e pericoli con i quali quotidianamente hanno a che fare le donne e gli uomini del Corpo impegnati nei servizi di traduzione e piantonamento dei detenuti. Poliziotti penitenziari, e questo va denunciato con forza, che hanno centinaia di automezzi fermi nelle autorimesse in attesa di riparazioni che non possono essere eseguite perché mancano i soldi, tanto che è lo stesso Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) a comunicarlo ufficialmente nelle note di risposta alle lettere delle Direzioni delle carceri che chiedono, appunto, fondi per le riparazioni. Sono centinaia in tutta Italia." A dichiararlo è Donato Capece, Segretario Generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe. "Non solo" aggiunge: "tanti mezzi hanno oltre 300, 400 e persino 500 mila chilometri "sulle spalle" e persino procedure obbligatorie di sicurezza come i periodici collaudi non vengono osservate proprio perché non ci sono soldi. È una situazione catastrofica: questo deve fare seriamente riflettere sui gravi rischi che le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria quotidianamente affrontano nel trasportare i detenuti". Capece, che auspica la pronta cattura dell’evaso Cutrì, denuncia "una volta di più le quotidiane difficoltà operative con cui si confrontano quotidianamente le unità di Polizia Penitenziaria in servizio nei Nuclei Traduzioni e Piantonamenti dei penitenziari: agenti che sono sotto organico, non retribuiti degnamente, impiegati in servizi quotidiani ben oltre le 9 ore di servizio, con mezzi di trasporto dei detenuti spessissimo inidonei a circolare per le strade del Paese, fermi nelle officine perché non ci sono soldi per ripararli o con centinaia di migliaia di chilometri già percorsi". "Nonostante tutto questo", conclude, "gli agenti impiegati nei servizi quotidiani di trasporto dei detenuti hanno grande professionalità e preparazione, come anche il tragico evento di Gallarate ha messo in luce". Savona: un carcere nel futuro della Val Bormida? la proposta di Lorenzo Chiarlone ww.savonanews.it, 5 febbraio 2014 L’opinione del generale Aprea, cairese di adozione, già comandante della Scuola di Polizia penitenziaria di Cairo:" Impensabile nel "Riformatorio". La giusta localizzazione di un grande carcere equivale all’avvio di un’industria che non inquina". L’idea di realizzare un carcere a Cairo non è nuova e ogni tanto riaffiora. Negli anni 70, addirittura, era stato avviato un progetto per la costruzione di una Casa Circondariale, in alternativa a quella di Savona, in località Vesima, nell’immediata periferia di Cairo, sull’area che oggi ospita il campo di calcio e le strutture sportive cittadine. All’epoca fu interessato anche l’Ufficio centrale per l’edilizia penitenziaria dell’allora Direzione Generale per gli Istituti di Prevenzione e di Pena e pare pure che il Ministero di Grazia e Giustizia avesse stanziato 20 miliardi di lire per la realizzazione di tale opera ed il Comune di Cairo avesse delimitato la zona da concedere al Ministero per la realizzazione dell’intero complesso penitenziario. Il progetto non ebbe buon fine perché, con il rinnovo dell’amministrazione comunale, il sindaco e la Giunta che subentrarono all’amministrazione Bracco respinsero il progetto in quanto non gradito alla popolazione (e nemmeno alla nuova amministrazione), per cui furono annullate tutte le intese e il Ministero ritirò lo stanziamento con provvedimento formale pubblicato anche su una Gazzetta Ufficiale di quel periodo. È noto a tutti che, oggi più di ieri, il Carcere di Savona è una realtà che non può essere più sostenuta né dai detenuti e nemmeno dalla Polizia penitenziaria perché fuori da qualsiasi logica non solo detentiva, ma anche di giustizia e di solidarietà umana, per cui servono interventi urgenti per arginare almeno in parte le carenze che, con il fenomeno dell’attuale sovraffollamento delle carceri, al sant’Agostino si sono aggravate. In effetti l’argomento "Casa Circondariale di Savona" in questi ultimi tempi è tornato alla ribalta ed inserito nel progetto "Emergenza carceri" innanzitutto perché vi è una enorme disparità tra il numero dei detenuti presenti e l’effettiva capienza delle strutture e poi manca, o non è sufficienti, tutta quei servizi di cui non solo i detenuti ma anche il personale di Polizia penitenziaria che lavora all’interno di essa ha diritto. Osserva il generale Rino Aprea, per anni comandante della Scuola cairese di Polizia carceraria, figura molto nota, stimata e benvoluta in tutta la valle: "Ho la sensazione che questo nuovo interessamento nasca dalle richieste, provenienti da più parti, di provvedimenti immediati per colmare almeno in parte le carenze più urgenti. Di ciò sono convinto perché ultimamente sono scese in campo anche le organizzazioni sindacali della Polizia penitenziaria ed in particolare Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto del Sappe, che ripetutamente, con i suoi articoli sulla stampa sia locale che nazionale, ha reso noto all’opinione pubblica questa necessità e ha sollecitato, attivamente, le autorità istituzionali responsabili a prendere a cuore la situazione del carcere di Savona." Aggiunge Aprea: "Ormai è chiaro che il Comune di Savona non ha aree idonee per costruire il nuovo sant’Agostino, per cui le uniche proposte rimangono Cairo M. e Cengio. Cairo perché è già sede di una Scuola di Polizia penitenziaria e Cengio perché ha offerto la propria disponibilità alla costruzione di un carcere sul proprio territorio. Lasciando Cengio di cui non conosco le potenzialità, per quanto riguarda Cairo pare che si prospettino due soluzioni: un carcere ex-novo oppure reperire aree interne alla Scuola per realizzare una sezione detentiva. Ovviamente per chi non conosce la Scuola nelle sue tradizioni e nella sua storia non potrà comprendere i valori che essa esprime, non solo a Cairo e nella Val Bormida, ma su tutto il territorio nazionale, per cui una scelta in tal senso potrebbe essere la soluzione più semplice, meno costosa e quella più facilmente realizzabile in poco tempo. Ma essa, però comporterebbe importanti risvolti da prendere molto seriamente in considerazione perché si tratterebbe di barattare un’eccellenza di Cairo con un’esigenza di Savona, in aggiunta a tutte le conseguenze che potrebbe portare una struttura penitenziaria nel cuore di una città. Considerazione diversa, invece, è la scelta della costruzione di un carcere ex-novo da realizzare fuori dal centro abitato di Cairo, in una zona periferica. In tal caso - anche se ogni medaglia ha il suo rovescio ed occorre sempre valutare attentamente ogni aspetto del problema - sono sicuro che in una località come Ferrania, in declino per mancanza di lavoro, la costruzione di un istituto carcerario di medie dimensioni porterebbe certamente nuove opportunità sia in termini economici che in termini di lavoro e forse anche notevoli benefici di ripresa senza incidere molto sulla vita comunitaria della cittadina. Pare però che per affrontare il problema in modo immediato negli ambienti politici interessati si stia valutando l’ipotesi della creazione di una sezione detentiva nel complesso dello storico Riformatorio cairese - un tempo intitolato a G.C. Abba, struttura poi trasformata in Scuola degli Agenti di custodia e oggi di Polizia penitenziaria - senza tener conto che il complesso storico G.C. Abba è stato oggetto di un piano di ammodernamento che è durato oltre venti anni e che è costato alle casse dello Stato diversi miliardi di lire e oggi si presenta come una moderna Scuola di Polizia da fare invidia ai migliori campus universitari, per cui qualsiasi modifica inciderebbe sul funzionamento dell’intera struttura a danno della sua immagine e della sua efficienza operativa, didattica ed alloggiativa." Tutti conoscono infatti il prestigio riscosso nel corso degli anni e riconoscono le connotazioni di eccellenza per l’intero complesso. Nata come succursale della Scuola Militare Agenti di Custodia di Portici nel dicembre 1954, nel 1961 ha avuto la propria autonomia. In tanti anni di vita la Scuola militare è stata visitata da autorità e personalità di rilievo sia del mondo politico che culturale e da quasi tutti i Ministri della Giustizia che si sono succeduti negli ultimi quarant’anni tra i quali l’on. Aldo Moro e nel ‘90 quella del presidente della Repubblica Francesco Cossiga. Aggiunge il generale Aprea: "La struttura che ospita la Scuola è idonea ad accogliere corsi di formazione e di aggiornamento per centinaia di persone, ma di fatto da anni è sottoutilizzata. Ma questo non significa che si possa facilmente ed opportunamente realizzare un carcere al suo interno o al suo posto. Certamente con difficoltà potrebbe continuare ad esistere una Scuola, se i suoi spazi e le sue strutture venissero decurtate per fare spazio ad una prigione. Se poi si volesse adibire tutto il complesso alla funzione di carcere, l’eccellente Scuola di Polizia sparirebbe completamente e questo non sarebbe gradito né dalla popolazione e nemmeno dall’amministrazione comunale. Inoltre la realizzazione di una struttura carceraria all’interno della Scuola richiederebbe lavori di adeguamento che comporterebbero una spesa superiore a quella richiesta per la costruzione di un carcere ex-novo. E comunque anche se si tratta di realizzare una piccole opera carceraria di custodia attenuata, per fronteggiare l’emergenza, va ricordato cha al di là delle negatività che tale opera potrebbe comportare, non solo per l’immagine della scuola ma anche per la comunità cairese, è sicuramente l’inizio di un percorso di trasformazione dell’intera struttura perché l’obiettivo principale è la Casa circondariale di Savona". Quanto alla creazione di un carcere ex novo, che sarebbe la cosa migliore, certamente non si può pensare ad una localizzazione nel centro di una città. Solo le vecchie prigioni sorgevano in zone centrali, in strutture recuperate da vecchi conventi o comunque da immobili preesistenti. Oggi tutti le carceri nuove sorgono fuori dai centri abitati. Ne abbiamo molti esempi. Nel nostro caso, quindi, andrebbe benissimo la soluzione di Ferrania." Osserva Rino Aprea: "Forse l’ipotesi di realizzare l’istituto di pena nella frazione di Ferrania, allo stato attuale sembrerebbe un’ottima scelta. Ferrania sta vivendo una situazione di crisi dovuta alla cessazione dell’attività principale di quella che era la più importante industria della provincia di Savona e seppure siano presenti alcune piccole attività produttive, nella zona dello stabilimento (e non solo) vi è ampia disponibilità di spazi, la posizione è strategica per i collegamenti viari e ferroviari, la vicinanza del casello autostradale di Altare e la realizzazione in corso di una bretella dal Ponte della volta in aggiunta alla viabilità ordinaria e ai collegamenti ferroviari. La costruzione di un complesso penitenziario, anche se di medie dimensioni, porterebbe sicuramente enormi benefici all’intera comunità. Difatti la presenza dei servizi e della attività commerciali sarebbe rivitalizzata e forse incrementata con nuove attività che sorgeranno appositamente per le nuove esigenze. La grande disponibilità di case e appartamenti a Ferrania verrebbe utilizzata dal personale, così altrettanto le scuole, i servizi socio-sanitari ed i trasporti e forse quant’altro necessario per far rivivere una borgata che si sta spegnendo giorno dopo giorno all’ombra di una speranza che non si realizza mai". "Indubbiamente un istituto penitenziario completamente funzionante in tutte le sue attività operative allo stato attuale è un’industria senza inquinamento - conclude il generale Aprea. - Intanto un istituto costruito ex novo, anche se apparentemente può apparire il contrario, verrebbe a costare molto meno di quanto costerebbe se realizzato all’interno della Scuola e sarebbe sicuramente più adatto alla scopo". Pavia: volontariato invece del carcere, 47 progetti di giustizia riparativa con Csv e Uepe Redattore Sociale, 5 febbraio 2014 Collaborazione fra il Csv locale e l’Uepe per far svolgere lavori di pubblica utilità a persone che avevano subito una condanna penale lieve. In 4 progetti su 9 l’attività di volontariato è proseguita. Coinvolte 15 realtà del terzo settore. Quarantasette percorsi attivati, tra progetti socio-educativi e lavori di pubblica utilità, che hanno visto coinvolte 15 realtà del terzo settore. È questo uno dei principali risultati del primo anno di sperimentazione dei progetti di giustizia riparativa realizzati grazie alla collaborazione fra il Centro servizi per il volontariato (Csv) di Pavia e l’Ufficio esecuzione penale esterna (Uepe) nel solo territorio di Pavia e provincia. Tra novembre 2012 e dicembre 2013, il Csv ha esaminato 22 progetti socio-educativi di giustizia riparativa, proposti dall’Uepe, e 25 richieste di soggetti intenzionati a svolgere attività di pubblica utilità, coordinando e facilitando i rapporti fra i soggetti interessati e le associazioni. Su 9 progetti già conclusi, in 4 casi i soggetti interessati hanno deciso di proseguire l’attività di volontariato presso le stesse associazioni ospitanti. "Questo primo anno di attività ha quindi confermato il valore positivo di queste esperienze, anche in relazione ai dati nazionali che sostengono che il 70 per cento di coloro che, a vario titolo, vengono inseriti in percorsi educativi/rieducativi non reiterano il reato - spiega il Csv - La giustizia riparativa e i lavori di pubblica utilità rappresentano, nell’ambito dello stato di sovraffollamento e degrado in cui versano le carceri italiane, una possibilità concreta offerta al reo per riparare, nei limiti del possibile, le conseguenze del reato, oltre che per risanare, non solo risarcire, il danno provocato nei confronti della comunità". Secondo il Csv questo tipo di esperienze possono inoltre essere "un’occasione di cambiamento e di riflessione su di sé per molti di questi soggetti", la dimostrazione sta nel fatto che in molti territori è aumentato il numero di progetti realizzati dalle amministrazioni penitenziarie in collaborazione con le associazioni. E tra questi spicca il caso di Pavia. Il protocollo, stipulato dai due enti più di un anno fa, ha facilitato l’inserimento, all’interno delle organizzazioni di volontariato, di persone che hanno ricevuto una condanna lieve (ad esempio per guida in stato di ubriachezza) e che accanto ad una pena alternativa al carcere, devono o vogliono svolgere un’attività di volontariato riparativa del danno a favore della collettività. I responsabili degli enti hanno anche evidenziato anche alcune criticità, come le eccessive lungaggini burocratiche. "I tempi sono ormai maturi per migliorare le procedure e la tempistica per la realizzazione di questi progetti - aggiunge il Csv - in molti casi infatti abbiamo riscontrato un lasso di tempo eccessivo (anche oltre un anno) per formalizzare la disponibilità da parte dell’associazione ospitante e l’effettivo inizio delle attività concordate, provocando diverse difficoltà nella programmazione delle attività da parte delle associazioni ospitanti e varie lungaggini burocratiche". Bolzano: Gozi (Pd); carcere in condizioni inaccettabili occorre presto una nuova struttura Alto Adige, 5 febbraio 2014 "Nel carcere di Bolzano, pur non essendoci una grave condizione di sovraffollamento, i detenuti vivono tutto il disagio di una struttura assolutamente inadeguata": è stato questo ieri il commento di Sandro Gozi (Pd), vicepresidente dell’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, che ha visitato il carcere di via Dante. Gozi ha avuto nel pomeriggio anche un incontro al Pd, su invito di "Sinistra liberale", il gruppo renziano guidato da Carlo Bassetti, Pietro Calò e Uwe Staffler. Così Gozi sul carcere: "Si tratta di un edificio ottocentesco, fatiscente e ben lontano dagli standard che dovrebbe avere un istituto di pena nel 2014. Occorre che i tempi di realizzazione della nuova casa circondariale, indicati in circa trenta mesi vengano rispettati e con celerità si giunga alla consegna alla città del nuovo complesso". Riferendosi al dibattito previsto per venerdì prossimo a Montecitorio sul messaggio del Presidente della Repubblica, Gozi osserva che "senza una forte iniziativa riformatrice di parlamento e governo, anche su amnistia e indulto, non potremo rispettare la scadenza del 28 maggio, con la messa in mora dell’Italia da parte dell’Ue". Salerno: Radicali mobilitati per l’amnistia, soddisfatti per i domiciliari a Rosciano di Alessandra De Vita La Città di Salerno, 5 febbraio 2014 Angelo Rosciano è tornato a casa. Lo ha disposto il magistrato di sorveglianza di Napoli, come richiesto dal Comitato per la giustizia e l’amnistia che riunisce in sé diverse forze politiche e sociali per un totale di 2228 adesioni raccolte. Il detenuto - che è invalido al 100 per cento - è originario di Polla, in provincia di Salerno, e sconterà la sua pena nella propria abitazione dì Sala Consilina, assistito nelle cure dalla figlia Carmela, che è stata tra i primi ad attivarsi per raccogliere le adesioni alla mobilitazione, Adesioni volute perché la giovane donna è seriamente allarmata dallo stato di salute del padre, invalidato dal diabete, con scompensi cardiocircolatori, e ormai quasi del tutto cieco. "In carcere gli somministravano pillole sbagliate, ha rischiato seriamente, 1 valori del diabete avevano raggiunto il limite, mentre adesso, che da tre giorni è a casa, si sono ristabiliti. Ora papà - ha spiegato Carmela Rosciano durante la conferenza stampa organizzata ieri pomeriggio a Salerno dai Radicali, presso la sede del gruppo consiliare socialista in Comune - può fare vìsite specialistiche e la terapia come si deve". Angelo Rosciano riceveva assistenza, come stabilito dal Tribunale di Potenza lo scorso ottobre, presso il Padiglione San Paolo di Poggio reale, "che è una sorta di infermeria in cui i pazienti rischiano dì morire", come ha sottolineato Donato Salzano dei Radicali salernitani. Ma tra un anno, l’imputato, ex titolare di un’autofficina, condannato già in tutti e tre i gradi della giustizia per ricettazione e riciclaggio, potrebbe tornare in cella poiché la scarcerazione prevede la concessione dei domiciliari con surrogatoria, in attesa di una perizia che dovrà stabilire se l’ammalato è in condizioni o meno di essere sottoposto al regime carcerario. "Quando il tribunale emise la sentenza, i carabinieri di Sala Consilina si rifiutarono di arrestare un invalido perdipìù mutilato" ha spiegato Pierluigi Spadafora, legale di Rosciano, I Radicali salernitani lanciano dunque un appello a riunirsi domani a Montecitorio, in occasione della discussione alla Camera del messaggio del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano espressosi a favore dell’amnistia e dell’indulto. Volterra (Pi): Cena galeotta con lo chef Riccardo Agostini, per ricostruire le mura crollate www.cenegaleotte.it, 5 febbraio 2014 All’insegna di buona tavola e solidarietà firmato Cene Galeotte: venerdì 21 febbraio sarà il giovane Riccardo Agostini, chef e patron del ristorante Il Piastrino di Pennabilli (Rn, www.piastrino.it), ad affiancare i detenuti nella preparazione della quarta Cena Galeotta. Il ricavato sarà integralmente devoluto alla ricostruzione delle mura medievali crollate lo scorsi 31 gennaio a causa delle piogge. Una sorta di "esordio" trattandosi del primo chef extra Toscana dell’edizione in corso di un evento che, in otto anni, ha portato all’interno del carcere oltre 10.000 visitatori, a ulteriore testimonianza dell’altissimo valore sociale - e solidale - che ha saputo ritagliarsi. Una passione, quella per la cucina, coltivata da Agostini fin da bambino. Studi all’alberghiero, le prime esperienze in alberghi della riviera romagnola, dopo qualche anno l’occasione più importante: uno stage da Vissani, esperienza durata ben dieci anni. Col passare del tempo cresce la voglia di mettersi ulteriormente alla prova: l’Osteria del Povero Diavolo di Torriana, nel riminese, cerca uno chef di grido per fare il salto di qualità nell’alta ristorazione e Riccardo, considerato uno dei più promettenti tra i giovani cuochi italiani, riuscirà nell’intento. Il tutto lascerà spazio dopo due anni (è il 2007) al suo ristorante: Il Piastrino a Pennabilli, paese reso famoso dal suo illustre cittadino Tonino Guerra, che Riccardo apre con la compagna Claudia in una bella casa in sasso tipica dell’Appennino marchigiano. La cucina proposta racconta la passione di Riccardo per questo lavoro e per le sue origini, piatti che rispecchiano la cultura e le risorse del territorio presentati con grande cura dei dettagli e piacevoli particolari. Ad accompagnare il menu sarà una selezione di etichette offerte dalla cantina Marchesi Dè Frescobaldi (www.frescobaldi.it), storica protagonista del panorama vinicolo italiano. Il ricavato (costo cena: 35 euro a persona) sarà come sempre interamente devoluto a progetti di beneficenza: a seguito dei gravissimi danni causati dalle piogge dello scorso 31 gennaio i soldi raccolti nel corso della serata saranno destinati ai lavori di ricostruzione della porzione crollata delle mura medievali di Volterra. Le Cene Galeotte sono possibili grazie all’intervento di Unicoop Firenze, che oltre a fornire le materie prime necessarie alla realizzazione dei piatti assume i detenuti retribuendoli regolarmente. Il progetto è realizzato con la collaborazione del Ministero della Giustizia, la direzione della Casa di Reclusione di Volterra, la supervisione artistica del giornalista e critico enogastronomico Leonardo Romanelli, che provvede ad individuare gli chef coinvolti nell’evento, e il supporto comunicativo di Studio Umami. Un ruolo fondamentale è inoltre ricoperto dalla Fisar-Delegazione Storica di Volterra (www.fisarvolterra.it) che è partner del progetto e si occupa sia della selezione delle aziende vinicole e del servizio dei vini ai tavoli, sia della formazione dei detenuti come sommelier , di cui ben 10 hanno già positivamente svolto il corso base di avvicinamento al vino e seguiranno il percorso formativo per raggiungere la qualifica di sommelier professionali. Per prenotazioni: Agenzie Toscana Turismo, Argonauta Viaggi (Gruppo Robintur), Tel. 055.2345040. Cagliari: detenuti con l’hascisc in tasca, scoperti durante trasferimento a Isili Agi, 5 febbraio 2014 Detenuti, ma con l’hascisc in tasca Scoperti durante trasferimento a Isili Il carcere di Buoncammino. Erano riusciti a sfuggire ai controlli nel carcere di Buoncammino, ma non hanno previsto di trovare le unità cinofile nel carcere di Isili dove erano stati appena trasferiti. E così 20 detenuti provenienti da Cagliari sono stati scoperti con l’hascisc nei bagagli e nelle loro tasche, una volta arrivati al carcere di Isili. Il reparto cinofili di Macomer e gli agenti in servizio della casa di reclusione di Isili, coordinati dal comandante del reparto di Polizia Penitenziaria Alessandro Atzeni, ieri hanno rinvenuto e sequestrato la droga. Per questa operazione esprime soddisfazione il segretario regionale aggiunto della Federazione Nazionale Sicurezza della Cisl, Giovanni Villa. "I nostri complimenti vanno alle unità cinofile che hanno lavorato bene", ha commentato Villa. Milano: processo ex Cappellano San Vittore. Difesa: atti sessuali con detenuti consenzienti Ansa, 5 febbraio 2014 Don Alberto Barin va assolto con formula piena perché "ci sono stati sì degli atti sessuali con i detenuti, in particolare baci a carattere sessuale, ma tra persone consenzienti e maggiorenni e non c’è stato alcun abuso". È quanto ha spiegato, in sostanza, l’avvocato Mario Zanchetti nell’arringa difensiva nel corso del processo a carico del religioso che era cappellano nel carcere milanese di San Vittore, prima di essere arrestato il 20 novembre 2012, accusato di violenze sessuali su 12 detenuti. La sentenza nel processo con rito abbreviato davanti al Gup di Milano Luigi Gargiulo è attesa per il prossimo 21 febbraio, dopo le repliche delle parti. Nella scorsa udienza i Pm Daniela Cento e Lucia Minutella hanno chiesto la condanna a 14 anni e 8 mesi di reclusione per don Barin. Stando alle indagini, l’ex cappellano del carcere milanese avrebbe fatto leva sullo "stato di bisogno" dei detenuti che si rivolgevano a lui per avere sigarette, shampoo, saponette, spazzolini o radioline. Piccoli beni per vivere meglio in cella che l’uomo avrebbe consegnato in cambio di favori sessuali. Nel corso della lunga arringa di oggi, invece, l’avvocato e professore Zanchetti ha sottolineato che, "a prescindere da qualsiasi valutazione morale ed etica che non può entrare in un processo penale", tra Barin e i detenuti "ci sono stati solo atti sessuali consensuali, in particolare baci". Nessun abuso, dunque, né violenza, secondo la difesa. Da qui la richiesta di assoluzione con formula piena. Tra l’altro, ha aggiunto il difensore, in questo processo non sono in discussione i fatti, che sono stati filmati (gli investigatori avevano piazzato microcamere nell’ufficio del religioso) "ma la loro interpretazione giuridica e noi riteniamo che si sia trattato di atti consensuali". A Barin viene contestato anche il reato di concussione e su questo punto il difensore ha fatto presente che con le recenti modifiche normative la nuova ipotesi di concussione per costrizione può essere contestata solo ad un pubblico ufficiale, cosa che il cappellano non era. Droghe: la legge Fini-Giovanardi alla Corte costituzionale, un appello di Andrea Pugiotto Il Manifesto, 5 febbraio 2014 Le contestazioni sulle procedure di conversione dei decreti legge, il mancato dibattito in Aula sul messaggio presidenziale in materia carceraria, la notizia che l’Italia - seconda solo alla Russia - è il paese più chiamato in giudizio davanti alla Corte europea dei diritti: sono tutte vicende di questi giorni agitati, apparentemente distinte e distanti. Non è così. Si incroceranno a Palazzo della Consulta, la prossima settimana, quando la Corte costituzionale misurerà la legittimità delle modifiche introdotte nel 2006 al testo unico sulle droghe: la cosiddetta legge Fini-Giovanardi. La quaestio ha molto a che fare con l’abuso della decretazione d’urgenza. I tanti giudici remittenti, infatti, hanno impugnato due dei ventitré articoli che il Governo Berlusconi introdusse scaltramente in sede di conversione di un decreto adottato per lo svolgimento delle Olimpiadi invernali di Torino. Per riuscirci, si ricorse alla tecnica del maxiemendamento scudato dal voto di fiducia. Per evitare il rinvio presidenziale, si approvò la legge a ridosso dello scioglimento delle Camere e dell’inizio dei giochi olimpici, mettendo il Quirinale con le spalle al muro. Un innesto normativo artificiale, dunque, che produce un corpo (legislativo) geneticamente modificato. La quaestio ha molto a che fare anche con il messaggio del Capo dello Stato sulle carceri. Si doveva discuterlo venerdì scorso, a ben tre mesi dal suo invio. L’affanno parlamentare nella conversione dell’ennesimo decreto legge fiduciato ha postergato il confronto a chissà quando: e pazienza se questa svogliatezza parlamentare assume ormai i contorni più che dello sgarbo, dello sfregio istituzionale. Quel messaggio indica le vie per uscire da un sovraffollamento carcerario, di cui la legge Fini-Giovanardi è una delle cause normative. Un detenuto su tre entra in carcere ogni anno per la sua violazione. Le sue pene (da 6 a 20 anni di carcere) per chi detiene qualsiasi sostanza stupefacente si applicano a molti consumatori, anche per il semplice possesso di una quantità di poco eccedente la soglia non prevista dalla legge, ma da un decreto ministeriale. E senza distinzione possibile tra droghe leggere e pesanti, perché - Giovanardi dixit - "la droga è droga". Di stupefacente, in tutto questo, c’è un uso della pena come strumento di controllo sociale, a sanzione di uno status (più che di una condotta), amputata della sua finalità rieducativa: perché dal carcere non si può uscire non più tossicodipendenti. La quaestio, infine, ha molto a che fare con l’elevatissimo contenzioso a Strasburgo contro l’Italia. Dandoci un anno di tempo per risolvere un sovraffollamento carcerario che vìola il divieto di tortura, la Corte europea ha congelato gli oltre 3.000 ricorsi presentati da altrettanti detenuti nelle carceri italiane. Un numero destinato a crescere, quanto più nel tempo si protrarrà un sovraffollamento già oggi "strutturale e sistemico". Anche la Consulta deve farsi carico del problema perché la Corte europea, condannando lo Stato italiano, chiama tutti i poteri statali (Corte costituzionale compresa) a risolverlo. Ad esempio, rimuovendo alcune delle norme repressive di una legge carcerogena come quella sulle droghe. Nella pregressa giurisprudenza costituzionale contro l’abuso della decretazione d’urgenza si ritrovano tutti gli argomenti per farlo: quella legge, infatti, è "certamente incostituzionale", come motiva l’omonimo appello firmato da 138 giuristi, garanti e operatori del settore. Si può leggerlo in www.societadellaragione.it Sarà inviato ai quindici giudici costituzionali chiamati a essere, semplicemente, fedeli a se stessi. Mondo: non ci sono soltanto i marò… sono 3.000 gli italiani in carcere all’estero di Gianluca De Martino www.wired.it, 5 febbraio 2014 Cittadini italiano sono detenuti in 85 paesi, molti ancora sotto i riflettori delle Ong per le violazioni dei diritti dei detenuti e le condizioni carcerarie disastrose. Ecco dove non farsi arrestare. Non solo i marò. Tra processi farsa, abusi di potere e maltrattamenti sono oltre tremila gli italiani detenuti all’estero, 2.300 dei quali in attesa di giudizio. Quell’attesa che da ormai due anni accompagna i fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, accusati di aver ucciso due pescatori del Kerala, in India, nel febbraio del 2012. A breve - la settimana prossima - i due marò potrebbero finalmente conoscere i capi d’accusa formulati a loro carico: omicidio o violazione della legge antiterrorismo. Nel secondo caso rischierebbero la pena di morte. Spetterà alla Corte Suprema di New Delhi chiarire questo aspetto e rispondere anche alle pressioni messe in atto dal governo italiano nelle ultime settimane, con l’obiettivo di liberare Latorre e Girone e riportarli in Italia. L’India è uno degli 85 Paesi del mondo che ospitano nostri connazionali nelle proprie carceri. Secondo l’ultima relazione del Ministero degli Affari Esteri, relativa al 2012, sono 17 gli italiani nelle prigioni indiane. Amnesty International considera l’India un Paese ancora indietro sul piano della tutela dei detenuti: "Persistono torture e altri tipi di maltrattamenti, esecuzioni extragiudiziali, morti in custodia delle forze dell’ordine e detenzioni arbitrarie". Una situazione comune ad oltre la metà degli Stati in cui si trovano imprigionati gli italiani. Comprese, ovviamente, le carceri nazionali, per le quali a maggio 2014 l’Italia sarà sanzionata dalla Corte Europea per i diritti dell’uomo. Le situazioni peggiori per i detenuti italiani all’estero si riscontrano in Sud America, Medio Oriente e Africa. Dall’altra parte dell’Oceano Atlantico sono reclusi 494 italiani, la maggior parte dei quali in Brasile, Venezuela e Perù. Il traffico di droga è la principale causa degli arresti e dei relativi processi: un terzo finisce in galera in Sud America, poco più della metà in Europa. Ma anche il tasso di reclusi per omicidio è alto: 28,6% nel nuovo continente, il 59,2% in Europa. India: Simeone (Fi); marò a casa subito caso, dignità nazionale non è valore negoziabile Adnkronos, 5 febbraio 2014 "La dignità nazionale non è un valore negoziabile. L’idea stessa di Nazione passa per la capacità di questa, nella sua forma Stato, di difendere i suoi soldati. Perché sono loro che danno allo Stato anche la vita. La vicenda di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, i due soldati italiani detenuti da due anni in India, senza che quest’ultima abbia formulato capi di accusa, ed in barba a tutte le regole che presiedono i rapporti tra Stati in nome di esigenze di politica interna che nulla hanno a che fare con la vicenda specifica". Lo afferma il consigliere regionale di Forza Italia alla Regione Lazio, Giuseppe Simeone. "Oggi l’intervento anche delle autorità europee è una ulteriore dimostrazione che il nostro Paese ha il dovere di agire con determinazione per arrivare a riportarli in Italia. Ne va della dignità del Paese e della nostra credibilità nel mondo. Se non siamo capaci di tutelare chi lavora per l’Italia - afferma ancora Simeone - non siamo credibili come Italia. Ribadisco che il nostro Paese non può essere accusato , da parte degli indiani, di alcunché e ne è testimonianza la generosità con cui abbiamo accolto migliaia di cittadini di quel Paese che lavorano stabilmente da noi da anni". "Quei soldati erano a difendere dalla pirateria i traffici commerciali di cui in questo momento si avvantaggia anche l’India che è uno dei Paesi emergenti del nuovo sviluppo economico. La vicenda dei due marò italiani - conclude Simeone - ha come contrappeso il rischio che sia i rapporti commerciali, sia ogni altro tipo di rapporto, tra noi, e per noi intendo l’intera comunità europea, e l’India possano essere compromessi. Richiamiamo tutti alla ragionevolezza e il Governo italiano a non indietreggiare nell’unica richiesta possibile: il rientro immediato di Latorre e Girone in Italia". Stati Uniti: quasi 1.300 detenuti riconosciuti innocenti negli ultimi 25 anni Il Mondo, 5 febbraio 2014 Sono stati 87 i detenuti americani che lo scorso anno sono stati riconosciuti innocenti, un numero record di errori giudiziari, anche se si tratta comunque della "punta dell’iceberg". È quanto si legge nel rapporto annuale degli errori giudiziari, da cui emerge che negli ultimi 25 anni sono stati quasi 1.300 i prigionieri che si sono visti riconoscere la loro estraneità ai reati per cui erano stati condannati. "È una buona notizia... ma i casi che abbiamo riconosciuto finora sono solo una piccola parte degli errori che vengono commessi. La maggior parte delle volte, non vengono mai scoperti", ha detto alla France presse il principale autore del rapporto, Samuel Gross. Tuttavia, nel 38% dei casi i detenuti sono stati riconosciuti innocenti grazie "all’iniziativa o attraverso la collaborazione delle forze di sicurezza"; un altro 17% ha riguardato imputati che si erano dichiarati colpevoli "pur essendo innocenti" per ottenere uno sconto di pena. È stato questo il caso di Reginald Griffin, condannato in Missouri e riconosciuto innocente nel 2013 dopo 25 anni di reclusione; il suo caso ha portato 143 il numero totale dei detenuti nel braccio della morte riconosciuti innocenti a livello nazionale. In questo caso, come nel 56% delle vicende dei detenuti riconosciuti innocenti nel 2013, tutto è stato scatenato da una falsa testimonianza. Kuwait: Human Rights Watch; rispettare libertà parola, no carcere per critiche a emiro Aki, 5 febbraio 2014 È un appello a emendare le leggi usate dal governo per mettere a tacere la libertà di parola e arrestare persone che criticato la leadership quella chiesta da Human Rights Watch (Hrw) alle autorità del Kuwait. Inoltre, Hrw ha chiesto alle autorità kuwaitiane di rispettare le loro promesse di risolvere il problema di 105.702 apolidi che reclamano il diritto di cittadinanza. Nel 2013 il Kuwait ha processato 29 persone per aver espresso opinioni critiche suoi social media e per aver protestato. "Il governo deve lasciare che il popolo del Kuwait parli e scriva liberamente e mantenga le sue promesse in merito alle richieste degli apolidi", ha detto il vice direttore di Hrw per il Medioriente Nadim Houry. In base all’articolo 25 del codice penale in vigore in Kuwait che prevede il carcere fino a cinque anni per chi "mette in discussione l’autorità dell’emiro o lo insulta". Hrw accusa infine il Kuwait di adottare "meccanismi per deportazioni rapide ed extra giudiziarie" di stranieri che rappresentano il 69 per cento (2,7 milioni) della popolazione del Paese, composta da 3,9 milioni di persone.