Giustizia: decreto-carceri; il governo pone la questione di fiducia, stasera voto alla Camera Ansa, 4 febbraio 2014 Il Movimento Cinque Stelle e la Lega nord hanno dichiarato il loro voto contrario perché il decreto libererebbe pericolosi criminali e mafiosi; Sel non lo voterà per motivi opposti. Stasera si voterà per il decreto svuota carceri. Il governo ha infatti posto la questione di fiducia alla Camera. Il ministro dei Rapporti con il Parlamento, Dario Franceschini: "C’è stata anche l’abitudine di fare un maxiemendamento del governo ma noi abbiamo sempre rispettato il lavoro della Commissione e anche in questo caso prendiamo atto che la commissione ha modificato il provvedimento e quindi poniamo la fiducia sul testo approvato dalla commissione". Mentre il Movimento Cinque Stelle e la Lega nord hanno annunciato il loro voto contrario perché il decreto libererebbe pericolosi criminali e mafiosi, Sel non voterà la fiducia sul decreto per motivi opposti, "perché questo provvedimento è stato svuotato" e "ci allontana dall’Europa", ha sottolineato il deputato di Sel Daniele Farina. Gli emendamenti votati ieri pomeriggio in commissione Giustizia "sono quelli su cui c’era stata convergenza da parte di quasi tutti i gruppi, anche delle opposizioni", ha sottolineato la presidente della commissione Giustizia Donatella Ferranti, ricordando che la scorsa settimana il comportamento dei deputati del Movimento Cinque Stelle ha impedito il regolare esame del decreto. "Questi emendamenti, tranne uno mi pare, sono stati votati all’unanimità", ha concluso Ferranti, e "ho la coscienza a posto che questo sia stato un passaggio democratico e di alto senso di responsabilità". Grillo: fuori assassini, mafiosi e stupratori. Giustizia è morta "Svuota-carceri: usciranno assassini, mafiosi e stupratori!". Così Beppe Grillo sul suo blog commenta la discussione alla Camera del dl carceri e pubblica una dichiarazione dei componenti Cinque Stella in Commissione Giustizia in cui si ricorda che il decreto approda a Montecitorio dopo l’applicazione della ghigliottina in commissione Giustizia. "Lì è stato impedito alle opposizioni di esercitare il proprio ruolo". Dunque, "la giustizia è morta. Oggi alla Camera si celebrerà il suo funerale". "La giustizia è morta. Oggi alla Camera si celebrerà il suo funerale. Causa della morte è l’ennesimo decreto. Lo chiamano svuota carceri e dietro l’intenzione nobile c’è la solita truffa semantica e l’incapacità dei partiti di risolvere i problemi"scrivono i 5 Stelle in una lettera inviata al comandante della polizia, dei carabinieri, della guardia di finanza, ai vertici delle procure, ai presidenti di tribunali e di corti d’appello, nonché all’Anm. "Gli effetti di questo svuota carceri - sostiene - si vedono già. Ogni settimana ci sono 200 detenuti in meno nelle celle. Per perseguire l’obiettivo di svuotare le carceri, si produce un vero e proprio indulto che ha già fatto uscire mafiosi, stupratori, assassini, e ne farà uscire molti altri. Uno che senz’altro trarrà beneficio sarà Totò Cuffaro, l’ex governatore della Sicilia ora in carcere grazie a uno sconto di pena di oltre un anno. È già uscito un boss importante, tale Nicola Ribisi, pezzo grosso della mafia di Agrigento. Chi risponderà di tutto ciò? Chi - denunciano ancora i 5 Stelle - avrà il coraggio di assumersi la responsabilità di raccogliere l’appello di Franco Roberti, il capo nazionale antimafia, che ha denunciato che siamo di fronte a qualcosa di peggio di un indulto mascherato? Fate sentire la vostra voce, perché - concludono - questo decreto ha già causato troppi danni e deve decadere". Cancellieri: su carceri Grillo vuole solo provocare disaffezione Le affermazioni riportate sul blog di Beppe Grillo in merito al decreto carceri "sono cose dette per generare emozione nella gente, per provocare momenti di disafezione". È la replica del ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri, affidata ad un’intervista all’agenzia Vista. Con il decreto, sottolinea Cancellieri, "non abbiamo fatto nulla di più di quanto previsto dalle leggi. Abbiamo solo previsto fino al 2015 un ampliamento delle giornate di uscita, ma sempre con il giudice che deve valutare che tipo di detenuto: non sono mai fatti automatici come l’indulto, vanno visti caso per caso dal magistrato di sorveglianza e lascerà dentro il serial killer". Il Guardasigilli ha poi ribadito la motivazione del provvedimento: "Abbiamo 62mila detenuti, con 47mila posti. Stiamo lavorando a nuovi posti, nel frattempo il detenuto attende il giudizio nei domiciliari, il tossicodipendenti sconta la pena in una comunità di recupero, lo straniero a casa sua: una serie di accorgimenti che dovrebbero aiutarci a ridurre questo sovraffollamento carcerario". Giustizia: nel decreto-carceri no a sconti di pena per i boss e più personale per gli Uepe di Donatella Stasio Il Sole 24 Ore, 4 febbraio 2014 Entrato nell’aula della Camera ieri mattina, il decreto legge "svuota carceri"ne uscirà stasera approvato. Ieri il governo ha posto la fiducia sul testo, così come modificato dalla commissione Giustizia durante una breve sospensione dell’aula. In particolare, sono stati esclusi dalla "liberazione anticipata speciale"(lo sconto di pena di 75 giorni, invece degli attuali 45, per ogni semestre di detenzione) i detenuti per reati di mafia, omicidio, violenza sessuale, estorsione. Modifiche volute anche da M5S e Lega, che però hanno abbandonato la commissione per protesta contro il tempo ristrettissimo a disposizione. E hanno rincarato la dose quando in aula è stata annunciata la fiducia. "Questa non è una democrazia ma un fantoccio di democrazia e tutti ne siete responsabili! Rifletteteci quando sarete opposizione"ha tuonato in aula Andrea Colletti. In linea con quelle del leghista Nicola Molteni: "Stiamo assistendo a una violenza della democrazia da parte della maggioranza, nel silenzio delle istituzioni, a cominciare dalla presidente Laura Boldrini". Detto questo, delle modifiche approvate in commissione (che il governo riproporrà con il maxiemendamento oggi sottoposto alla fiducia) tutti si assumono la paternità, a cominciare proprio da 5 Stelle e Carroccio. "Noi scopriamo le magagne e loro ci accusano di essere allarmisti: dopo un mese la maggioranza capisce però di aver sbagliato e finalmente una volta tanto si allinea alle nostre posizioni"è la rivendicazione di entrambi, secondo cui, però, il provvedimento resta "inaccettabile". In realtà la correzione alla "liberazione anticipata speciale"approvata in commissione va più in là di quanto avessero proposto inizialmente i penta-stellati, poiché non si limita a escludere dallo "sconto"solo i mafiosi ma anche gli autori di altri gravi delitti, come omicidio, violenza sessuale, rapina aggravata e estorsione. La modifica porta la firma della presidente della commissione Giustizia Donatella Ferranti (Pd), soddisfatta di aver così smontato ogni "slogan propagandistico". "Ora gridano a chissà quale colpo di mano - dice dei 5 Stelle - ma perché non hanno altri argomenti per attaccare un provvedimento che, sfoltendo la popolazione carceraria senza rinunciare a esigenze di sicurezza, contribuirà a ridare dignità a chi vive dietro le sbarre". Anche le altre due modifiche, approvate all’unanimità, portano la firma di Ferranti e colmano altrettante lacune lasciate dal governo, perché consentono le misure cautelari con invio in comunità nei confronti di minorenni tossicodipendenti accusati per piccolo spaccio e rinforzano l’organico dell’esecuzione penale esterna (gli uffici addetti al trattamento socio-educativo del detenuto) consentendo, in attesa di assunzioni per concorso, di utilizzare come dirigenti i funzionari già inseriti nel ruolo di dirigenti degli istituti penitenziari. Il rischio che l’ostruzionismo dell’opposizione bloccasse la conversione in legge del decreto (che scade il 21 febbraio) era concreto. Tant’è che la scorsa settimana la Commissione non era riuscita a votare nessun emendamento, mandando perciò in aula il testo del governo. Il breve rinvio in commissione, ieri, ha consentito le tre modifiche e, quindi, la fiducia ne potrà tener conto. Giustizia: decreto-carceri, l’appello delle Associazioni "no allo stralcio sulle droghe" Il Manifesto, 4 febbraio 2014 Nei giorni scorsi il Parlamento è stato messo gravemente sotto ricatto dal Ncd di Giovanardi che minaccia di non votare il decreto legge Cancellieri se si tocca la legge carcerogena sulle droghe che porta il suo nome e che è sotto il giudizio della Corte Costituzionale per manifesta illegittimità. Il Parlamento deve decidere se migliorare il decreto secondo le nostre richieste o subire il ricatto di uno dei principali responsabili del sovraffollamento penitenziario. Per far cessare la vergogna dell’intasamento delle prigioni il quinto comma dell’art. 73 della legge antidroga, che colpisce la detenzione di sostanze stupefacenti per fatti di lieve entità, non solo deve restare nel decreto come un reato autonomo e distinto dal traffico di sostanze stupefacenti, ma dovrebbe prevedere una pena più mite (da sei mesi a tre anni) come richiesto dalla stessa Commissione ministeriale presieduta dal prof. Giostra membro del Csm. Attenzione, se la montagna si limiterà a partorire il topolino, sarà concreto il rischio che a fine maggio pioveranno centinaia di condanne della Corte europea sui diritti umani. Il prossimo 23 febbraio scadranno i due mesi entro i quali dovrà essere convertito il decreto legge del Governo diretto a contrastare il sovraffollamento e a garantire una più efficace tutela dei diritti dei detenuti. Le ultime turbolenze parlamentari non lasciano ben sperare. In quel decreto vi è una norma che modifica la legge Fini-Giovanardi sulle droghe. Un piccolo cambiamento, molto piccolo. Nel decreto è stata infatti introdotta la fattispecie autonoma della lieve entità. Non si tratta di un cambiamento epocale. Noi avremmo voluto una ben più ampia depenalizzazione e decriminalizzazione della vita dei consumatori di droghe, il ritorno alla ragionevolezza sanzionatoria e alla differenziazione tra le sostanze. In questo senso è comparso nel dibattito parlamentare anche un emendamento del relatore, il democratico David Ermini. Invece, una maggioranza intimorita dalla voce grossa fatta dal Nuovo Centrodestra di Alfano e Giovanardi rischia di impantanarsi su questo tema. È stato evocato uno stralcio della seppur timida norma che andava a cambiare la legge Fini-Giovanardi che così andrebbe a finire in un binario morto. Noi, che con la campagna Tre leggi per la giustizia e i diritti abbiamo raccolto decine di migliaia di firme per l’abrogazione della legge Fini-Giovanardi, invitiamo tutte le forze presenti in Parlamento sensibili al tema della dignità umana, dei diritti e delle libertà a non farsi condizionare da chi è responsabile di avere approvato e difeso una legge dura, vendicativa, ideologica, illiberale. Ricordiamo che circa il 40% dei detenuti ristretti nelle 205 carceri italiane ha un’accusa o una condanna per avere violato la legge sulle droghe. Ricordiamo anche che quella legge è la prima responsabile del sovraffollamento penitenziario. Se viene lasciata così com’è, l’Italia per rispondere alle sollecitazioni della Corte Europea di Strasburgo, non potrà che affidarsi a un provvedimento di clemenza. Non ci saranno più giustificazioni. Nelle prossime settimane la Corte Costituzionale si esprimerà sulla illegittimità della legge Fini-Giovanardi. Una legge che è stata approvata con l’inganno parlamentare, by-passando i vincoli di costituzionalità sulla necessità e l’urgenza che sono i requisiti indispensabili che deve avere ogni decreto legge. Quel decreto conteneva norme sulla sicurezza per le Olimpiadi di Torino. Durante la discussione alle Camere il Governo introdusse un’intera legge di impianto punitivo e proibizionista sulle sostanze stupefacenti. Per l’appunto commise un inganno, anche nei confronti di chi, Capo dello Stato, aveva invece firmato un decreto che aveva un testo ben diverso. È ora di cambiare quella legge che tanto male ha fatto ai ragazzi, alle loro famiglie, alla società italiana, al nostro sistema della giustizia e al nostro sistema delle carceri. Non ci si faccia condizionare da Alfano e Giovanardi. Antigone, Arci, A Roma Insieme - Leda Colombini, Associazione A Buon Diritto, Associazione Federico Aldrovandi, Associazione Cristiani contro la tortura, Associazione nazionale Giuristi Democratici, Bin Italia (Basic Income Network Italia), Cgil Fp, Cir - Consiglio Italiano per i Rifugiati, Cittadinanzattiva- Giustizia, Cnca, Conferenza Nazionale volontariato Giustizia, Coordinamento Garanti detenuti, Fondazione Franca e Franco Basaglia, Forum Droghe, Gruppo Abele, Il Detenuto Ignoto, L’Altro Diritto, Lila, Medici contro la tortura, Progetto Diritti, Rete della Conoscenza, Ristretti Orizzonti, Società Italiana Psicologia Penitenziaria, Unione delle Camere Penali Italiane, Vic-Volontari in carcere. Giustizia: Radicali; discutere il messaggio di Napolitano, di venerdì, a Parlamento chiuso? Notizie Radicali, 4 febbraio 2014 Carceri: discutere il messaggio di Napolitano di venerdì a Parlamento chiuso? Gli indignati nei confronti del M5S, si comportano in modo analogo nel mancare di rispetto al Presidente. Manifestazione radicale a Montecitorio venerdì 7 febbraio. Dichiarazione di Rita Bernardini, Segretaria di Radicali italiani, e Angiolo Bandinelli, Membro della Direzione di Radicali italiani: Abbiamo appena inviato una lettera ai parlamentari per invitarli ad essere presenti (i deputati) al dibattito sul messaggio del Presidente della Repubblica che, ahinoi, è stato calendarizzato nella mattinata di Venerdì prossimo quando è risaputo che i deputati lasciano Roma per essere presenti sui territori di provenienza. Nella lettera chiediamo anche a deputati e senatori di portare un saluto alla nostra manifestazione che si terrà in concomitanza con il dibattito in piazza Montecitorio dalle 9.30 alle 14.00 per dare il meritato risalto al messaggio presidenziale, relativo alle ineluttabilità ed indifferibilità anche e soprattutto di provvedimenti legislativi straordinari per fare rientrare la situazione carceraria e della giustizia italiana nella legalità. Dopo aver stigmatizzato la scelta di calendarizzare il dibattito di venerdì (o addirittura di sabato in caso di slittamento) abbiamo anche sottolineato come gli indignati di queste ore per la richiesta da parte del Movimento 5 stelle di impeachment nei confronti del Presidente della Repubblica, non abbiano però avuto remore a incardinare il dibattito sul messaggio presidenziale in un momento volutamente scelto come inadeguato e, a nostro avviso, sostanzialmente irrispettoso. Nella lettera ai parlamentari abbiamo voluto anche sottolineare l’enorme differenza fra la scelta radicale del metodo nonviolento e quella "pentastellata". Noi radicali - e in particolare Marco Pannella con i suoi prolungati scioperi della fame e della sete - abbiamo sempre cercato (e ricercato), pur nella polemica dura nei confronti del Presidente, di prospettare soluzioni affinché la sua funzione primaria di "garante"della Costituzione si affermasse nel modo più istituzionalmente consono. Ma il presupposto della nonviolenza - la nostra nonviolenza - è la dialogicità, che può ottenere come risultato quello che un’opposizione violenta non può conseguire perché cristallizza le posizioni rendendole impermeabili al dialogo, al dibattito, alla ricerca di una soluzione feconda, come quella che il Presidente Napolitano ha trovato con lo splendido, puntuale e ricchissimo messaggio che ha indirizzato al Parlamento. Giustizia: noi detenute, maltrattate di più perché donne di Costanza Giannelli www.popoff.globalist.it, 4 febbraio 2014 Veri e propri "gironi dell’inferno"in cui finiscono anche neonati e in cui viene violata la femminilità. Carceri in cui si vive bene se si hanno i soldi. "Tutti sbagliamo, tutti abbiamo sbagliato ma dateci la possibilità di vivere questi anni di carcere in modo dignitoso. La legge non ascolta nessuno". Giada ha trentadue anni, diversi dei quali passati nelle carceri italiane. Le donne nelle patrie galere sono meno di tremila, nemmeno il 5 per cento del totale dei detenuti. Sono una minoranza invisibile che sembra non avere voce, le loro storie sembrano schiacciate dalla preponderanza della controparte maschile. Eppure esistono. Sono le marginali dei marginali, condannate a scontare la pena in un universo totalitario fatto dagli uomini per gli uomini. "Spesso le detenute soffrono gli stessi trattamenti degradati e disumani degli uomini. Non ci sono, salvo rarissimi casi, episodi di vera e propria violenza, ma maltrattamenti di tipo diverso. Essere donna in carcere richiede delle attenzioni e delle cure maggiori che troppo spesso le detenute non ricevono". Riccardo Arena, conduttore di Radio Carcere, grazie alle testimonianze di ex detenute ha spesso aperto spiragli su quel mondo sconosciuto che è la detenzione femminile. Un mondo che, a causa della mancata consapevolezza delle differenze di genere e della necessità di un diverso approccio, colpisce le donne proprio nella loro più intima femminilità. La legge prevede che i bambini sotto i tre anni vivano in carcere insieme alle loro madri detenute. I penitenziari riservati esclusivamente alle donne si contano sulle dita di una mano. La maggioranza delle detenute si trova in comunità molto piccole, all’interno di strutture disegnate per gli uomini. Il sovraffollamento è inevitabile: "Il carcere di Sollicciano può accogliere sessanta donne. Quando ero detenuta eravamo in centoventi, in una stanza singola dormivamo in tre e sui letti colava l’acqua che si infiltrava attraverso le pareti", ricorda Deny. La sua testimonianza potrebbe essere quella di Giada, di Silvia, di Francesca, Isabelle o Gabriella. Sono poche le eccezioni, le fortunate che nel coro delle ex detenute possono raccontare esperienze positive. Tante, troppe donne, indipendentemente dal carcere di provenienza, denunciano il degrado, la sporcizia, il freddo, la muffa e l’umidità. Ricordano quelle stanze piene di donne, in cui l’umanità sembra perdersi. "Quando una esce da lì è una larva, vuota, vuota, vuota". In questi "gironi dell’inferno"ci sono anche madri con i loro bambini. La legge italiana, infatti, permette loro di rimanere al fianco della madre fino ai tre anni. Chi non ha la fortuna di poter scontare la pena all’Icam, l’Istituto a custodia attenuata per madri detenute, deve crescere il figlio dietro le sbarre. Nonostante gli sforzi di alcune amministrazioni e associazioni, l’ambiente è troppo spesso inadatto a uno sviluppo sereno. Gabriella è stata incarcerata quando il figlio aveva undici mesi: per un anno e otto mesi il bambino è stato un "detenuto senza colpa". Anche le celle che accolgono i piccoli sono inadeguate, fredde e sovraffollate, mettendone a rischio persino la salute. Compiuti i tre anni, poi, arriva il momento del distacco: i piccoli devono lasciare il carcere. "Il mio ricordo è una valigia e il bambino che si volta dietro alla grata e mi dice "mamma dove mi stai mandando?". Non te lo fanno nemmeno accompagnare, c’è l’agente che ti porta via il bambino dalle braccia che capisce che lo stai cacciando via da te". In carcere "vivi bene se hai un po’ di soldi". Se sei una "poverella"a volte non hai diritto nemmeno a carta igienica e assorbenti. Anche la femminilità è negata. Nel carcere di Terni, in un sacco nero dell’immondizia "ti danno un pacco di salva slip, se hai soldi riesci a comprarti gli assorbenti, altrimenti devi metterti in ginocchio, acchiappare qualche suora, che giù in refettorio trovi che ti gira intorno sfuggente, e pregarla: per favore ho il ciclo mi date degli assorbenti? Quando non ce li davano usavamo le pezze, strappavamo le lenzuola"confessa Giada. Oltretutto, denuncia in una lettera un’ex detenuta del carcere delle Vallette di Torino: "Si sospetta che i prezzi siano aumentati rispetto ai prezzi del supermercato, a volte la cosa risulta palese, quando il prezzo originario è ancora appiccicato sulla scatola da dove vengono distribuiti i prodotti. Dove va quel sovrapprezzo? Ad alimentare l’amministrazione carceraria che si lamenta di mancanza di fondi e di scarsità di strumenti?". Le donne, però, non sono private solo di beni indispensabili. Spesso, anche il diritto alla salute viene loro negato. I medici troppo spesso non ci sono e se succede qualcosa in loro assenza "puoi solo stare lì a morire". Visite specialistiche o, addirittura, interventi d’emergenza non arrivano, o arrivano troppo tardi. "Vite che potevano essere salvate", come quella della donna morta per un ictus in attesa di controlli. Vite a rischio, come quelle di Isabelle e del suo bambino, nato prematuro: la donna stava male da giorni, ma quando le si sono rotte le acque ha dovuto aspettare oltre un’ora perché l’ambulanza la portasse al pronto soccorso. O come quella di Giulia: "Ero incinta. L’avevo dichiarato subito, loro non ci credevano, ma poi l’hanno scoperto: ho avuto minaccia d’aborto e hanno dovuto portarmi in ospedale di notte. Mi hanno messa sdraiata e ammanettata su un P-38 chiuso. Ho detto gentilmente a una delle due agenti che era con me dentro "pensa che vada dove?". "Magari fai la furba", mi ha risposto, nonostante non mi reggessi in piedi". Giulia ha perso il bambino ma questo non le ha garantito un trattamento meno disumano. L’hanno riportata in carcere con un blindato, seduta nonostante avesse abortito da pochissimo. In carcere, poi, si entra sani e si esce malati. Come il figlio neonato di Isabelle che, nell’umidità del Bassone di Como, ha contratto l’asma. O come Laura, che forse dei figli non potrà mai averli: "Non avevo il ciclo da vari mesi, [nel carcere di Catania] mi dicevano che era a causa dello stress, ma io ho detto "facciamo le analisi, facciamo un dosaggio ormonale, non è normale". Hanno anche pensato che io fossi incinta, mi hanno fatto il test, e quando hanno visto che era negativo hanno dato di nuovo la colpa allo stress. Quando finalmente mi hanno fatto il dosaggio ormonale, un ormone è risultato molto alto, ma mi hanno detto: "Non è niente, non è niente". Quando sono uscita ho fatto tutti i controlli. Mi hanno detto che a causa di questo ormone così alto rischio la menopausa precoce e di diventare sterile a ventitré anni. Loro giocano con la vita delle persone e non se ne rendono conto". Lettere: la giustizia italiana, quella americana.... e quella indiana di Massimo Bordin Il Foglio, 4 febbraio 2014 Il decreto sulle carceri del governo, arrivato al dibattito in aula consente a leghisti, "fratelli d’Italia"e, naturalmente, pentastellati di sfoderare tutto il campionario dei luoghi comuni della logica forcaiola che li distingue. Lo spettacolo verrà con ogni probabilità replicato quando finalmente il Parlamento dovrà discutere il messaggio presidenziale sulla situazione del mancato rispetto di parametri adeguati allo stato di diritto che l’Unione europea ci contesta. Intanto il problema in altre forme si pone anche fuori dell’Europa. Non c’è dubbio sia intollerabile che ancora ieri la giustizia indiana abbia preso tempo per formulare il capo di imputazione nei confronti dei due marò. La protesta e le eventuali ritorsioni italiane sono assolutamente una reazione logica. Disgraziatamente limitata nell’autorevolezza però, visto che si fonda sulla speranza che qualche giurista locale non faccia presente quanto i tempi dei processi italiani rendano la giustizia indiana, a confronto, un modello di rapidità e garanzie. Quanto agli americani, che sui loro giornali, sull’onda della condanna della giovane Amanda, hanno definito la nostra giustizia una notoria buffonata, potremo sì replicare che comunque in Italia la ragazza non rischiava la sedia elettrica ma toccherà sperare che non ci si risponda che i detenuti che muoiono suicidi nelle nostre carceri sono più dei loro giustiziati. Emilia Romagna: Garante regionale incontra Garante dei detenuti del Comune di Parma Ristretti Orizzonti, 4 febbraio 2014 La Garante regionale dei detenuti, Desi Bruno, ha incontrato nel suo ufficio in Assemblea legislativa, a Bologna, Roberto Cavalieri, Garante dei detenuti del Comune di Parma, nominato di recente. Nel porre le basi per un’utile collaborazione, anche in ragione della complessità del carcere di Parma, i due Garanti hanno condiviso la necessità di agevolare ogni forma di scambio e comunicazione, con particolare riguardo alle peculiarità del loro mandato istituzionale: svolgere attività di vigilanza sulle condizioni detentive nell’istituto penitenziario; svolgere attività di sensibilizzazione dell’opinione pubblica e delle istituzioni sui temi del rispetto dei diritti umani e dell’umanizzazione della pena; svolgere un ruolo di raccordo fra il "dentro"e il "fuori", stimolando il territorio a farsi carico della popolazione detenuta e riconoscere alla stessa pieno diritto di cittadinanza. Varese: assalto a furgone Polizia penitenziaria, evade ergastolano boss della ‘ndrangheta Corriere della Sera, 4 febbraio 2014 Il commando armato ha liberato Domenico Cutrì, 32 anni. Nell’assalto morto il fratello, l’altro è a piede il libero. Erano circa le 15 quando un commando di quattro uomini armati ha assaltato un furgone della polizia penitenziaria davanti al tribunale di Gallarate (Varese). Il loro obiettivo: fare evadere Domenico Cutrì, 32 anni, ergastolano e presunto boss della ‘ndrangheta. Il piano è riuscito: gli uomini armati avrebbero preso in ostaggio un passante e poi intimato ai poliziotti di lasciare le armi a terra. Dopo una sparatoria, in cui sono stati esplosi una trentina di colpi di arma da fuoco, è iniziata la fuga dell’evaso e dei banditi a bordo di un’auto nera. Due agenti della polizia penitenziaria sono rimasti leggermente feriti. Poco più tardi uno degli assalitori, Antonino, fratello di Cutrì, è stato lasciato agonizzante dai compagni a casa della madre, a Cuggiono nel Milanese. È stata la donna a portare il figlio in fin di vita all’ospedale di Magenta dove è morto. Cutrì, residente a Legnano (Milano) ma di origini calabresi, trovava fino a 2013 nel carcere di Saluzzo, da cui era stato spostato perché una fonte confidenziale aveva rivelato un tentativo di evasione per farlo scappare. Ha alle spalle diversi precedenti per armi e droga. Lunedì doveva partecipare a un processo per emissione di assegni falsi, e il furgone lo stava portando davanti all’ingresso del tribunale gallaratese. La famiglia di Cutrì è emigrata negli anni 60 da Melicuccà (Reggio Calabria), suo paese d’origine, prima in Piemonte e poi in Lombardia. Le ricerche dell’evaso sono state estese quindi anche alla Calabria nell’ipotesi, che al momento comunque non ha trovato alcun riscontro, che l’ergastolano possa avere trovato rifugio o appoggi anche nella regione. Gli assalitori hanno agito vicino alla porta d’ingresso del tribunale di Gallarate dove, armati di pistola e di spray urticante, hanno sorpreso gli agenti che stavano accompagnando all’esterno il detenuto al termine di una udienza. È scoppiata una colluttazione e sono stati sparati alcuni colpi di pistola. I banditi hanno quindi liberato Domenico Cutrì e sono fuggiti a bordo di un’auto, sulla quale hanno caricato anche il compagno ferito. Polizia e carabinieri hanno allestito posti di blocco per intercettare l’auto in fuga, una Polo nera, e sono in corso i rilievi su una seconda vettura usata dei malviventi, sequestrata, con a bordo alcune armi, tra cui dei fucili da assalto. "All’inizio sembravano botti di Carnevale, poi mi sono affacciata e ho visto molti poliziotti con le pistole spianate. La sparatoria è stata lunga e ho avuto molta paura": è quanto ha raccontato una delle inquiline del palazzo adiacente la piccola pretura di Gallarate dove è avvenuto l’assalto. "Sono corsa da mio figlio che abita al piano di sotto - prosegue il racconto della testimone - e abbiamo visto molti poliziotti sparare"verso una piccola via laterale dalla quale il gruppo dei malviventi è scappato a bordo di una delle due macchine utilizzate per liberare. Cutrì era stato condannato all’ergastolo in appello per l’uccisione di Luckasz Kobrzeniecki, un polacco di 22 anni freddato a colpi di pistola nel 2006 a Trecate (Novara). Secondo l’accusa, il calabrese era al volante dell’auto da cui partirono gli spari che la notte del 15 giugno di otto anni fa uccisero la vittima. Arrestato tre anni dopo, Cutrì si è sempre professato innocente ma la tesi dell’accusa è che sarebbe stata la gelosia a spingerlo ad architettare il delitto: la "colpa"del giovane polacco infatti sarebbe stata quella di aver riservato qualche apprezzamento di troppo alla donna del boss. Con Cutrì, i giudici condannarono anche il gestore di un bar di Trecate a tre anni di reclusione per favoreggiamento. L’esecutore materiale dell’agguato invece, Manuel Martelli, 32enne di Trecate, processato con rito abbreviato (che gli garantì lo sconto di un terzo della pena) è stato condannato a 16 anni e 4 mesi. Nel processo d’appello, a favore di Cutrì, per un periodo difeso anche dall’avvocato Giulia Bongiorno, che poi rinunciò all’incarico ("Di lui - spiega Bongiorno - mi sono occupata solo in un grado di giudizio. Ho rinunciato alla difesa alla fine dell’appello"), testimoniò una donna di origini calabresi, sostenendo che all’ora del delitto avevano avuto un appuntamento galante nell’abitazione dell’imputato. Una versione emersa soltanto a distanza di anni, disse, perché la donna temeva che il marito potesse scoprire quella relazione clandestina. L’alibi, però, non convinse e a smontarlo arrivarono poi le testimonianze del titolare e del portiere di un albergo di Vittuone (Milano), dove l’uomo si trovava realmente come hanno poi confermato anche i registri dell’hotel. "Se fosse stata obbligatoria la videoconferenza per detenuti di alta sicurezza il gravissimo episodio di oggi non si sarebbe verificato". Lo ha detto il procuratore aggiunto della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, Nicola Gratteri, raggiunto telefonicamente dall’Agi, commentando l’assalto di questo pomeriggio compiuto a Gallarate. "Con la video conferenza - ha aggiunto Gratteri - si risparmiano al contempo soldi e tempo, annullando le spese di trasporto e soprattutto annullando il pericolo per l’incolumità degli stessi agenti di polizia penitenziaria e dei passanti". Sull’evasione di Cutrì ha parlato anche il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri :"Si tratta di un episodio molto grave che sto seguendo, nella sua evoluzione, in costante contatto con i vertici del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Spero che al più presto l’ergastolano evaso e la banda complice, venga assicurata alla giustizia grazie al lavoro di tutte le Forze di Polizia. Il mio pensiero, la solidarietà e la vicinanza ai quattro agenti di Polizia Penitenziaria coinvolti nell’assalto e a tutto il Corpo per il delicatissimo e pericoloso compito che svolge". Capece (Sappe): esemplare il comportamento dei poliziotti penitenziari "È esemplare, se non eroico, il comportamento dei colleghi che scortavano l’ergastolano evaso questo pomeriggio". A dichiararlo è Donato Capece, Segretario Generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe. "Con il trascorrere del tempo si sta delineando cosa è davvero accaduto. I poliziotti penitenziari erano attesi da un commando di quattro uomini all’ingresso del Tribunale di Gallarate che, minacciando di uccidere un ostaggio, gli hanno intimato di rilasciare il detenuto scortato. Anteponendo a tutto la vita dell’ostaggio, i colleghi hanno consegnato il detenuto, consentendo il rilascio dell’uomo, pur predisponendo immediatamente una pronta risposta", aggiunge il leader del primo e più rappresentativo Sindacato dei Baschi Azzurri. "Non appena messo al sicuro l’ostaggio, i poliziotti penitenziari non hanno esitato ad ingaggiare un conflitto a fuoco e ad inseguire i fuggiaschi, che però erano attesi da un altra auto pronta a dileguarsi. Nello scontro a fuoco sono rimasti feriti due agenti, uno perché attinto al viso da spray urticante spruzzato dai malviventi e l’altro perché caduto rovinosamente nel tentativo di inseguire i fuorilegge". Emergono dettagli anche sul detenuto evaso, aggiunge il Sappe: "Il detenuto evaso è Domenico Cutrì, nel dicembre del 2012 condannato all’ergastolo come mandante dell’omicidio di Lukacs Kobrzeniecki, il giovane polacco freddato a Trecate nella notte fra il 15 e il 16 giugno del 2006, ucciso in un agguato mentre tornava a casa sua dopo una serata al bar con gli amici. Movente la gelosia, per via di un apprezzamento fatto dal giovane straniero alla donna del calabrese. Domenico Cutrì era detenuto fino a qualche tempo fa a Saluzzo finché è stato trasferito a Cuneo e sottoposto a regime di alta sicurezza perché sospettato di voler evadere. Soltanto il 31 gennaio era stato trasferito a Busto Arsizio perché proprio oggi aveva un udienza al Tribunale di Gallarate. Per l’accompagnamento all’udienza erano state predisposte tutte le misure del caso e la scorta era composta da un capo scorta e quattro agenti, tutti appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria". "Nessuno poteva prevedere il sequestro e la minaccia di morte dell’ostaggio"conclude Capece "e comunque sia ripetiamo che il comportamento dei poliziotti penitenziari è stato esemplare compiendo fino in fondo il proprio dovere senza mettere a rischio l’incolumità dei cittadini. A loro va il nostro plauso unitamente agli auguri di pronta guarigione ai due colleghi feriti". Sarno (Uil-Pa Penitenziari): esemplare comportamento della scorta Nell’esprimere vicinanza e solidarietà ai colleghi della polizia penitenziaria in servizio di scorta al detenuto Domenico Cutrì, oggetto dell’attacco violento da parte di un commando che ha determinato l’evasione del detenuto tradotto presso la sede del Giudice Monocratico di Gallarate, non posso non sottolineare l’esemplare atteggiamento tenuto durante i drammatici minuti culminati con un conflitto a fuoco. I baschi azzurri erano attesi dal commando nei pressi dell’ingresso della sede giudiziaria con un arma puntata su un ostaggio che minacciavano di uccidere se non fosse stato consegnato loro il detenuto tradotto. Pertanto hanno ritenuto prioritario salvare la vita dell’ostaggio non ostacolando più di tanto la liberazione del detenuto. Successivamente i fuggitivi hanno coperto la loro fuga sparando verso i poliziotti penitenziari che non hanno non potuto rispondere al fuoco. Pertanto è da ritenersi pienamente legittimo l’uso delle armi. Resta da verificare se la morte del fratello del Cutrì sia stata determinata dai colpi sparati dagli agenti penitenziari. In ogni caso questi sono momenti da dedicare alla cattura dell’evaso. Per le riflessioni , e le probabili polemiche che ne conseguiranno, ci sarà tempo- L’evaso qualche tempo fa era stato già trasferito dal carcere di Saluzzo a quello di Cuneo perché la polizia penitenziaria aveva scoperto un piano per evadere dal carcere di Saluzzo. Proprio in ragione di tale precedente la scorta, per la traduzione odierna, era stata rinforzata La richiesta dei Sindacati: adeguare gli organici della Polizia penitenziaria I sindacati di polizia chiedono al governo di intervenire dopo il grave episodio di Gallarate In seguito al gravissimo episodio di Gallarate, con un commando che ha assaltato un furgone della polizia penitenziaria liberando un carcerato dopo un duro conflitto a fuoco in seguito al quale è deceduto un bandito, intervengono i sindacati di polizia LI.SI.PO., COO.S.P. e S.N.A.L.P.Pe. "Questo gravissimo episodio pone in evidenzia l’arroganza che la criminalità, come in questo caso, non ha esitato a sparare a degli uomini in divisa, pur di raggiungere il loro scopo. Il Libero Sindacato di Polizia (LI.SI.PO.), esprime solidarietà all’Agente ferito e a tutti gli appartenenti la Polizia Penitenziaria, che in condizioni difficilissime, svolgono il loro lavoro con esemplare senso del dovere. Nel momento in cui si parla di emergenza carceri, non si può sottacere sulla necessità e urgenza di adeguare gli organici della Polizia Penitenziaria alle reali esigenze anche per aumentare il personale di scorta a detenuti in trasferimento ed in tutte le situazioni a rischio". Per COO.S.P. e S.N.A.L.P.Pe. servono "urgenti provvedimenti che aiutino le scarse risorse umane del Corpo della Polizia Penitenziaria a meno 12.000 unità ed una maggiore politica sulla sicurezza. Quella di oggi è stata una vera e propria tragedia che poteva anche sfociare in situazione ancor più grave per cittadini inermi passanti e Poliziotti Penitenziari che hanno dovuto comunque in sotto organico affrontare un conflitto a fuoco con un Commando Armato e spietato nell’azione di cui al momento si contano due feriti da arma da fuoco. Per le due Sigle Sindacali Autonome è giunta l’ora del "basta"". Detenuto evaso: ricerche estese in tutt’Italia Sono estese in tutt’Italia le ricerche dei componenti del commando che ieri, a Gallarate (Varese) ha fatto evadere l’ergastolano Domenico Cutrì, 32 anni, mentre suo fratello, Antonino, 30 anni, è morto in ospedale a causa delle ferite riportate nello scontro a fuoco con gli agenti della Polizia penitenziaria che scortavano Domenico per un processo. Antonino era giunto in ospedale con la madre. Oltre all’evaso, carabinieri e polizia cercano altri due o tre uomini che sono entrati in azione poco prima delle 15 di ieri. Erano arrivati a bordo di due auto, una delle quali è stata trovata vicino al tribunale. A bordo c’erano anche delle armi. Ieri sera si era diffusa la notizia che un terzo fratello Cutrì si era costituito in ospedale con una ferita a un piede ma la circostanza è stata smentita dagli investigatori. Napoli: Poggioreale, il mistero della "cella zero", salgono a settanta gli esposti dei detenuti di Titti Marrone Il Mattino, 4 febbraio 2014 Pesano come un macigno le settanta denunce dei detenuti di Poggioreale, che dicono di quella cella del terrore dove ai reclusi verrebbero inflitti soprusi e vessazioni di ogni tipo. Fanno allungare un’insopportabile ombra di sospetto che oscura e offende l’articolo 27 della Costituzione, dove si dice: "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tende re alla rieducazione del condannato". L’allarme rimbalzato dalla Procura di Napoli e incarnato in segnalazioni crude, che raccontano di abusi non coniugabili con alcun "senso di umanità", risuona come una sirena assordante. Una sirena che non dev’essere tacitata né sottovalutata e impone chiarezza, verifiche accurate, riscontri inoppugnabili. Certo, non si può ignorare come la condizione stessa di reclusione, in una situazione di sovraffollamento già giudicata di per sé inaccettabile dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, possa indurre a volte i detenuti a tentativi disperati, estremi, di mettere in vista le proprie vite dimenticate dietro le sbarre. E nemmeno sì tratta di colpevolizzare tout court gli agenti di polizia penitenziaria, chiamati a un compito di custodia per molti versi così contiguo alla quotidianità carceraria da portare le guardie a sentirsi partecipi di alcuni aspetti della dimensione di segregazione. Il tragico suicidio-omicidio compiuto alcune settimane fa dall’agente delle Vallette a Torino sta a dire un aspetto della difficoltà a incarnare un ruolo percepito dai detenuti come odioso e il peso di chi lo vive su di sé. Ma per quanto difficile sia per gli agenti lavora re alla sorveglianza carceraria a organici ridotti, per quanto forte possa essere la pressione esercitata da un ambiente per definizione ostile, il dubbio che a Poggioreale esista un luogo di coercizione e assoluto arbitrio non può esser lasciato in piedi. Lo sì deve allo statuto umano di chi viene recluso dietro le sbarre e non può per questo precipitare in ima terra di nessuno, privato di ogni diritto, diventare preda di vendette o punizioni ad personam. E insieme lo si deve al nostro stesso statuto di comunità civile. I magistrati della Procura napoletana si trovano dunque ad affrontare un compito non facile, per giunta in un momento in cui la discussione alla Camera del decreto legge definito, con una brutta semplificazione, "svuota carceri", diventa occasione per nuove tensioni più funzionali a calcoli politici che a reali volontà di risoluzione dei problemi. E la questione dell’inadeguatezza delle carceri italiane, che il presidente Napolitano fin dall’inizio del suo primo mandato non si stanca d’indicare come una priorità, sta per essere ancora una volta affrontata con un metodo insoddisfacente. Cioè, ragionando sulla base della logica dell’emergenza piuttosto che di un approccio organico al problema. Ed è fin troppo facile prevedere che questo porterà a un intervento raffazzonato, di parziale "svuotamento"di carceri arrivate a un sovraffollamento insostenibile e foriero di ogni tipo di disagio. A questo, presumibilmente, a di-stanza di qualche tempo seguirà un provvedimento di tipo opposto per arginare i prevedibili effetti di un beneficio dispensato anche per chi ha commesso reati particolarmente gravi in una terra - la nostra - dove vive una criminalità organizzata non riscontrabile altrove. Certo, può essere utile arginare almeno un po’ la crescila della popolazione carceraria, intervenendo sulle lunghe detenzioni per reati minori connessi alle leggi sull’immigrazione, sulle droghe, sul patrimonio. Purché non si mandino a casa impuniti boss camorristi, pluriassassini e stupratori. Poi si tratterebbe di riesaminare i casi d’incerta colpevolezza, d’intensificare l’impiego di detenuti in lavori socialmente utili e il loro recupero, di migliorare radicalmente le condizioni di permanenza in carcere. E soprattutto d’inserire il tutto in un globale disegno di riforma della giustizia. Il giorno in cui sul piano legislativo si abbandonasse la logica dell’intervento straordinario per le carceri, con la costruzione di nuovi luoghi di detenzione a misura più umana, non sarebbe possibile che settanta voci si levassero a raccontare soprusi come quelli che oggi emergono da Poggioreale. Ma chissà quando, e chissà in quale Italia. In Procura gli esposti di detenuti, di Giuseppe Crimaldi Altre settanta denunce. Nuovi esposti che fioccano sul giallo della cosiddetta "cella zero"del carcere di Poggioreale. Casi che aggiungono mistero ai misteri, e che riaprono il caso delle presunte violenze che - secondo chi sottoscrive quelle stesse denunce - sarebbero state commesse da agenti infedeli della Polizia penitenziaria ai danni di alcuni reclusi della casa circondariale più popolata d’Europa. Un nuovo dossier starebbe per arrivare (sarebbe solo questione di ore) sul tavolo dei magistrati inquirenti della Procura di Napoli già titolari di due diversi fascicoli sugli abusi. Quattro le ipotesi di reato, e ancora nessun nome iscritto nel registro degli indagati. I reati cui fanno riferimento le indagini nei confronti di persone da identificare sono l’abuso d’ufficio, le lesioni, violenza privata, il falso documentale. Ma ricapitoliamo. E facciamo un passo indietro per spiegare meglio come nasce questo fascicolo che - ove venissero confermati gli scenari e le ipotesi accusatorie - lancerebbero una luce sinistra su quanto avviene a Poggioreale, inferno in terra per tanti che subiscono una carcerazione (nella stragrande maggioranza dei casi preventiva) già finita sotto la lente d’ingrandimento della Corte europea dei diritti dell’uomo. A proposito: ieri mattina a Napoli è arrivato il segretario generale del Sappe, Donato Capece; accompagnato dal segretario nazionale con delega regionale Emilio Fattorello, ha incontrato sia il provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria, Tommaso Contestabile, e sia la direttrice della casa circondariale di Poggioreale, Teresa Abate. Una visita, quella dei dirigenti del più rappresentativo sindacato degli agenti di polizia penitenziaria italiani (solo in Campania conta oltre 1500 iscritti) che ha voluto rappresentare la solidarietà alle migliaia di col leghi onesti e perbene che nulla hanno a che vedere con i sospetti adombrati dalle ipotesi per le quali procede la magistratura rispetto ad atti dovuti che sono le denunce. "In Italia - ha detto Capece - non si è mai voluto affrontare con serietà costruttiva la questione carceraria. La Procura di Napoli farà il proprio dovere nell’accertare se quelle denunce sulle presunte violenze commesse all’interno di Poggioreale sono fondate o meno; quel che io so è che i colleghi di Napoli sono - come per il resto d’Italia -persone oneste che svolgono fino in fondo il loro dovere". Capece ha diffuso anche i dati più aggiornati della situazione relativa alla popolazione carceraria in Campania. E a Napoli, in particolare. Vediamoli. A fronte di una capacità "regolamentare"che prevede 5.607 detenuti, oggi nella nostra regione si contano 7.940 reclusi. Tanti, troppi. Il primo febbraio, poi, nel solo carcere di Poggioreale si contavano 2.680 "ospiti", contro i 1.614 previsti dalla capienza massima. Numeri che non hanno bisogno di alcuna sottolineatura. Interviene anche il Garante per i diritti dei detenuti Adriana Tocco, che ha già raccolto 50 denunce di reclusi a Poggioreale. "Confermo - dichiara al Martino - che mi stanno pervenendo altri esposti, si tratta di diverse decine che sto provvedendo a trasmettere all’autorità giudiziaria perchè li esamini. Tengo a dire che sono convinta della professionalità e dello spirito di abnegazione che contraddistingue quotidianamente il lavoro della grandissima maggioranza di agenti della Penitenziaria: e non esprimo giudizi perché non compete certo a me farlo. Sarà la Procura a fare le sue valutazioni". Tocco aggiunge anche che - grazie ai fondi stanziati dalla Regione - oggi è stato possibile acquistare 50 televisori che sostituiranno quelli ormai inutilizzabili perché rotti in altrettante celle di Poggioreale; e che a breve ripartiranno finalmente i corsi di formazione professionale che erano sospesi da quattro anni e che saranno finanziati dall’ assessorato alle Politiche Sociali della Regione. Napoli: Dap; massima collaborazione nell’indagine sui presunti abusi a Poggioreale Adnkronos, 4 febbraio 2014 "Il Dap segue con attenzione gli accertamenti relativi alle segnalazioni di abusi che si sarebbero verificati in passato nel carcere di Poggioreale ed offrirà, in questo come in ogni altro caso, la massima collaborazione alla Autorità Giudiziaria". Lo dichiara in una nota il Capo del Dap Giovanni Tamburino. "Siamo lieti dell’indagine della Magistratura che servirà a fare chiarezza ed evitare ingiustificate strumentalizzazioni circa l’operato della Polizia Penitenziaria che è costituita da uomini e donne che operano con alto senso del dovere per svolgere, all’interno di una realtà difficile e pericolosa, compiti di sicurezza e di garanzia della legalità - aggiunge Tamburino - E lo fa, voglio aggiungere, con umanità e sensibilità che vengono quotidianamente attestate dall’esperienza di migliaia di detenuti". "Il Dap sta perseguendo da anni una politica di trasparenza, aprendo gli istituti al mondo esterno e in particolare ai responsabili dell’informazione, perché tutti possano constatare quanto e come il personale, pur nella pesante situazione attuale, sia impegnato a realizzare il mandato istituzionale affidatogli - assicura il capo del Dipartimento. Vorremmo che anche di questo i mezzi di informazione fossero testimoni nell’interesse della corretta conoscenza della pubblica opinione". Napoli: carcere di Poggioreale, l’assurda morte "per pena"di Domenico Striano di Fabrizio Ferrante L’Espresso, 4 febbraio 2014 Domenico Striano di San Giuseppe Vesuviano, doveva compiere 48 anni nell’ottobre 2006 ma morì a giugno di quell’anno all’ospedale Cardarelli di Napoli. A distanza di oltre sette anni sua sorella Elena ha deciso di raccontare (con voce spesso rotta da pianti incontrollabili) l’assurda fine di un uomo che, arrestato col fratello per un piccolo reato da cui sarebbe probabilmente stato assolto (come accaduto all’altro fratello) è morto di carcere nonostante le sue palesi condizioni di incompatibilità col regime detentivo. Epatite C e un trapianto di rene non sono bastati a convincere i magistrati che, con un accanimento disumano, hanno condotto alla morte un cittadino non curato a Poggioreale, per il quale ancora oggi si chiede giustizia. Signora Elena Striano, ci racconti il contesto che ha portato alla fine di suo fratello Domenico... Mio fratello era gravemente malato ed aveva ricevuto un trapianto di rene, di cui io ero la donatrice. Oltre a questo, soffriva di una serie di patologie tra cui epatite c, tutte documentate e che ne attestavano la palese incompatibilità con la permanenza in carcere. Fu arrestato il 15 maggio 2006 insieme a un altro mio fratello più piccolo. L’arresto fu causato da un’intercettazione nella quale si sosteneva che una pistola fosse in possesso di un certo Mimì e, sebbene a San Giuseppe Vesuviano molti si chiamino in questo modo, gli investigatori attribuirono a mio fratello quella situazione. Quando la Dia lo arrestò, lui era talmente malato che gli dissero di non prendere i farmaci che la mattina dopo l’interrogatorio sarebbe stato mandato a casa. Il blitz scattò alle quattro di mattina e i magistrati conoscevano già Domenico, in quanto in passato qualche casino lo ha combinato e di certo non voglio dire che fosse uno stinco di santo. Io stessa mi sono interessata a lui in prima persona quando ho saputo che si era gravemente ammalato, io vivo a Roma da 45 anni ormai. Cosa successe invece? Fu portato a Poggioreale e immediatamente furono avviate tutte le pratiche per il Riesame visto che lui era immunodepresso e non poteva stare lì. Era al Centro Clinico San Paolo di Poggioreale e ho tutta la documentazione clinica. Fu portato in una barella e ufficialmente è morto di infarto, sebbene avesse la febbre a 40 fu dichiarato compatibile con la detenzione. Tutto questo nonostante le relazioni del professor Citterio, nefrologo che lo aveva trapiantato, assieme all’epatologo Sangiovanni di San Giuseppe Vesuviano e da altre figure che lo avevano seguito. La perizia per il Tribunale fu svolta da un cardiologo, dottor Buonocore. I magistrati, però, come De Simone, Di Monte, Borrelli e altri respingevano automaticamente ogni istanza, fra cui quella di consegna dei farmaci e l’ex direttore di Poggioreale, dottor Belmonte, rifiutava perfino di parlare con il nefrologo che gli avrebbe potuto spiegare la ragione di tutte quelle richieste urgenti. Mi sono rivolta perfino al Quirinale e ho le lettere che lo testimoniano. Era chiaro che Domenico non poteva stare in quell’ambiente sporco e sovraffollato e che di lì a poco sarebbe morto. Cosa che poi è avvenuta. Come è morto Domenico Striano? È morto perché la situazione si era aggravata. Si è verificato tutto ciò che aveva scritto il nefrologo. È morto per mancate cure e nella relazione c’era scritto che se non fosse stato portato in ospedale, di lì a poco sarebbe morto. Non prendeva più il Prograf che lui prendeva come immunosoppressore, doveva fare i dosaggi ogni settimana e rischiava l’avvelenamento. Tutto questo non è accaduto, sono state respinte le istanze per l’ospedale e per i domiciliari. Il presidente Napolitano mi rispose che la competenza era del Csm e in una lettera mi indicò i magistrati a cui dovevo rivolgermi. Tutte le istanze sono state però respinte. In compenso dal Quirinale mi hanno inviato un messaggio di condoglianze dopo che Domenico è morto, in cui mi si diceva che la vicenda sarebbe andata avanti e che i magistrati responsabili sarebbero stati sanzionati. Nulla di tutto questo è avvenuto e a distanza di quasi otto anni, la morte di Domenico è stata insabbiata. Suo fratello era uno dei tanti detenuti in attesa di giudizio? Mio fratello era in attesa di giudizio, fu arrestato il 15 maggio 2006 e morì il 13 luglio 2006. Pensi che l’altro mio fratello arrestato con Domenico, anche lui con problemi di salute in quanto soffre di patologie collegate alla depressione, è stato assolto in Appello dopo quattro anni. A questo punto devo pensare che mio fratello è stato arrestato ed è morto da innocente. Pensi che l’altro mio fratello fu portato al Pagliarelli di Palermo e non gli fu permesso di vedere Domenico ormai in fin di vita. La De Simone cosa fece? Inviò degli agenti a vedere se fosse davvero malato. È uno strazio, hanno ammazzato anche me, lo vedevo morire tutti i giorni mentre faceva la dialisi e alla fine decisi di donargli il mio rene. Questo avvenne il 14 giugno 2006 all’ospedale Gemelli di Roma, la sola cosa che gli hanno concesso di fare durante quei mesi in carcere. E lei, anche come donatrice, come si è sentita alla fine di questa vicenda? Hanno ammazzato anche me, i donatori viventi non ci sono, hanno fatto soffrire lui e hanno fatto una cattiveria a me. Lo vidi il 29 giugno 2006, senza neanche una sedia a rotelle che si trascinava lungo il muro con la febbre a 40 per arrivare a sedersi vicino a noi per il colloquio. Il primo luglio fu portato al Cardarelli, sbattuto da un reparto all’altro e il rene era ormai partito. Andò in rianimazione e rimase 13 giorni così, per finire il 13 mattina. È morto dove ha iniziato la dialisi, la scorta piangeva e uno di loro mi diceva "signora noi ci vergogniamo a stare qui, a piantonare una persona in queste condizioni, che sta morendo". Volevamo portarlo al Gemelli, solo questo chiedevamo per salvargli la vita, non lo volevamo libero ma solo che lo curassero. Sapevano che io sono pensionata, invalida e non ho soldi da spendere e per loro mio fratello era un camorrista, ha lasciato tre figli e una fabbrica di abbigliamento andata a rotoli. Una famiglia distrutta. Mia cognata è morta dentro il giorno in cui morì Domenico. Non esce più di casa da allora. Ho le foto di mio fratello con Giovanni Paolo II, erano ricoverati assieme ma per lui è stato un calvario, ha sofferto come un cane e tutti dicevano che era un gran signore, non doveva finire così. Non è possibile, anche fosse stato un delinquente il diritto alla vita non si nega a nessuno. Questa è la storia di mio fratello. Lucera (Fg): sul caso di Alberico Di Noia troppe bugie e silenzi, come su quello di Cucchi di Costanza Giannelli www.globalist.it, 4 febbraio 2014 Le terribili condizioni del carcere di Lucera. I Radicali: "Ogni detenuto che arriva viene pestato dai secondini", con la complicità dei medici". Una cella d’isolamento e un lenzuolo intorno al collo. È finita così la vita di Alberico Di Noia, trovato morto il 15 gennaio in una delle celle di "osservazione"del penitenziario di Lucera. Un suicidio come tanti, o forse no. Tante, troppe cose nella morte del trentottenne di Zapponeta non tornano. Il 30 gennaio, a due settimane dal decesso, Rita Bernardini, segretario radicale, e alcuni militanti dell’Associazione "Mariateresa Di Lascia"di Foggia, tra i quali il segretario Norberto Guerriero, hanno deciso di entrare tra quelle mura per cercare di rispondere alle troppe domande che ancora rimangono aperte. "Non siamo qui solo per la questione carceraria che portiamo avanti da anni. La scomparsa di un detenuto in circostanze da chiarire ha reso necessaria una visita". Il piccolo carcere di Lucera, secondo Rita Bernardini, "come il novanta per cento delle carceri italiane ha dei profili di illegalità, non per responsabilità del direttore, è proprio la struttura, l’organizzazione penitenziaria che non rispetta le leggi. Mi aspettavo di non trovare un carcere sovraffollato: sul sito del ministero della Giustizia è scritto che la capienza regolamentare è di centocinquanta detenuti, mentre qui ci sono centosessanta persone. Andando a vedere le celle, però, ci si rende conto che sedici metri quadri per quattro detenuti, con i letti a castello, i tavoli e gli armadietti sono uno spazio minuscolo. Il gabinetto, poi, non ha il tetto sopra, è ricavato nella cella senza copertura. Praticamente, dove mangiano c’è il gabinetto". Sovraffollamento e mancanza d’igiene sono solo alcuni dei problemi del carcere. Le attività per i detenuti scarseggiano, nemmeno un terzo fra loro lavora e l’ora d’aria può essere trascorsa solo in un cortile di cemento. I detenuti, però, raccontano una realtà ancora peggiore: "Pressoché tutti i detenuti hanno detto che c’è una minoranza di agenti che usano i pestaggi, le botte. Non è un detenuto che l’ha detto, lo hanno detto in tanti. Io non so se Di Noia sia stato picchiato prima di entrare nella cella, ma a quel che mi hanno detto i detenuti, che è tutto da riscontrare, è che prima di entrare lì c’è un trattamento particolarmente violento. In ogni caso, l’isolamento come punizione è qualcosa di molto grave soprattutto se non è supportato da un conforto di tipo psicologico o psichiatrico. Su questo caso dovrà essere fatta verità attraverso la conoscenza degli elementi". Una verità che i legali della famiglia Di Noia vogliono scoprire in ogni modo. "L’obiettivo non è cercare colpevoli a tutti i costi, ma la verità a tutti i costi. Gli interrogativi sono tanti, vogliamo partire dal presupposto che tutti siano innocenti, ma abbiamo bisogno di risposte", ha detto l’avvocato Vaira. "Abbiamo sentito tante voci, e siccome erano discordanti ci siamo insospettiti. Si vuole scongiurare a ogni costo un nuovo caso Aldrovandi o un nuovo caso Cucchi. Per trentasei ore è stato impedito alla famiglia di vedere il corpo esanime di Alberico. Ci sono due orari diversi scritti sull’ora della morte e tre versioni diverse della dinamica della morte, una delle quali è "morte naturale per un problema cardiaco". C’è la storia abbastanza poco plausibile di un suicidio fatto al volo in dieci minuti. Abbiamo avuto qualche risposta in più, ma ne mancano altre". Le incongruenze sono tante, troppe. "Perché è stato disposto l’isolamento in contrasto con condizioni di salute dal punto di vista psicologico? Su questo vi è una responsabilità. Quando è stato deciso e notificato l’isolamento? Chi era l’operatore del 118 intervenuto per primo sul corpo di Alberico, cosa ha visto, perché ha scritto "morte per cause cardiologiche"? Vogliamo conoscere gli orari di servizio di tutti gli operatori nel carcere di Lucera, vogliamo sapere dov’erano, cosa facevano, cosa hanno visto. Vogliamo sapere se ci sono responsabilità anche dal punto di vista disciplinare o regolamentare, non è tollerabile che a oggi non si sappia ufficialmente la storia delle ultime ore di vita di Alberico di Noia e delle ore immediatamente successive. Queste risposte ancora non ci sono, e se non si dispone l’autopsia significa che non si vuole nemmeno indagare. Era un uomo affidato alle istituzioni, allo Stato, e doveva essere tutelato. Se scopriremo che vi sono delle responsabilità di qualsiasi natura il discorso sarà diverso, ma il silenzio su questa storia è uno scandalo, uno scandalo istituzionale che qualcuno ha deciso". Uno scandalo che, secondo l’avvocato Miccoli, delle responsabilità precise le ha: "Io la colpa non la cerco, io parto dal presupposto contrario, perdonatemi. Alberico di Noia muore perché le istituzioni sono sorde. Io cerco solo la gradazione di colpa. Il colpevole c’è, devo solo graduarlo". Ferrara: Sappe; una bomba-carta lanciata all’esterno dell’istituto penitenziatio Adnkronos, 4 febbraio 2014 "Ancora un grave attacco al carcere di Ferrara: dopo il lancio della bomba carta avvenuto qualche mese fa, ieri sera, dopo le 19, un’altra bomba carta è stata lanciata all’esterno del carcere, senza fortunatamente causare danni a persone o a cose". È quanto riferiscono, in una nota congiunta, Donato Capece, segretario generale del Sappe, e Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto dello stesso sindacato di poliziotti penitenziari. "Ribadiamo la necessità di predisporre adeguati servizi di vigilanza esterna - proseguono i sindacalisti del Sappe - rafforzando l’organico della polizia penitenziaria che dovrebbe essere dotata di mezzi adeguati, considerata la carenza che sussiste a Ferrara e in tutti gli istituti dell’Emilia Romagna, dove spesso mancano anche mezzi per trasportare i detenuti". Mercoledì, conclude la nota, una delegazione del Sappe, guidata da Capece e da Durante visiterà gli istituti di Reggio Emilia e Bologna, mentre, il giorno successivo la stessa delegazione sarà a Modena e alla Casa di lavoro di Castelfranco Emilia. Napoli: Caputo (Pd); a Secondigliano pochi medici e mesi di attesa per visite specialistiche Gazzetta di Caserta, 4 febbraio 2014 Napoli. "Abbiamo trovato una situazione critica e per certi versi allarmante per quanto riguarda i livelli dell’assistenza sanitaria del carcere di Secondigliano. Lacune nelle visite specialistiche con casi che arrivano fino a sette mesi di attesa per una Tac. Criticità anche per gli esami diagnostici". È quanto è emerso dalla prima tappa effettuata dalla Commissione Trasparenza e Controllo Alti nell’ambito dell’iniziativa di verifica dei livelli di assistenza sanitaria nelle carceri campane. Con Nicola Caputo presidente della commissione hanno preso parte alla visita i consiglieri regionali Giulia Abbate (segretaria della commissione) ed Enrico Fabozzi oltre ai funzionari Uoc Tsip dell’Asl Napoli 1 Raffaele De Losio e Giovanni Sapio e Adriana Tocco Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della li berla personale. "La casa circondariale, ospita in questo momento, 1200 reclusi che a quanto abbiamo potuto appurare usufruiscono di livelli assistenziali insoddisfacenti, con tempi lunghissimi per le visite specialistiche, carenza di personale e l’assenza di un rapporto di continuità assistenziale tra i sanitari e i detenuti. Complessivamente ci sono solo sei medici di cui due in servizio di guardia medica reperibili h-24 e sei cosiddetti di reparto reperibili solo per alcune ore al giorno". La struttura sanitaria del carcere ha strumenti diagnostici obsoleti mancano gli specialisti per patologie importanti come urologia, gastroenterologia, ortopedia, infettivologia, non c’è la radiologia. Con la conseguenza che spesso si deve ricorrere al trasferimento in strutture esterne al carcere dei detenuti -pazienti con grande dispendio di energie, risorse e dilatamento dei tempi di intervento". "Dalla nostra visita e dal colloquio con il personale e i detenuti è emerso che spesso mancano farmaci perle varie terapie e il personale medico risulta insufficiente a gestire una popolazione carceraria che per quasi la metà è costituita da malati cronici, Aids, patologie legate alla tossicodipendenza e decine di casi conclamati di tumore". "Verificheremo nelle prossime settimane la consistenza e la qualità dei livelli essenziali assistenziali anche delle altre case circondariali campane. Quello alla salute è un diritto costituzionalmente garantito, anche ai detenuti che per la loro particolare condizione dovrebbero avere maggiore attenzione e personale specializzato. Genova: carcere via da Marassi, per il nuovo carcere spunta l’ipotesi dell’area ex Colisa di Stefano Origone La Repubblica, 4 febbraio 2014 Si chiama "Pacchetto Liguria", ed è la soluzione della Regione per risolvere il problema del sovraffollamento nelle carceri. Un nuovo Marassi nell’ex area Colisa, a Campi, dove anni fa si voleva realizzare lo stadio di proprietà della Sampdoria ma, della serie a volte ritornano, non è per niente tramontata l’ipotesi Forte Ratti. Quello di Savona, in un ex convento da tempo in condizioni insostenibili, potrebbe traslocare a Cairo Montenotte, all’interno della scuola di polizia penitenziaria. "Stiamo valutando tante ipotesi, un ventaglio di proposte da portare al ministro di Grazia e Giustizia, Anna Maria Cancellieri, per superare l’annosa emergenza", assicura l’assessore regionale all’Urbanistica, Gabriele Cascino. La casa circondariale di Marassi è una "polveriera": 815 carcerati contro una capienza massima di 436 posti letto. In due mesi, quattro detenuti hanno tentato il suicidio, cucendosi la bocca, impiccandosi alle grate (in tutto il 2013 erano stati 8). In ogni cella ne vivono sette, quando dovrebbero starcene tre. Il consiglio regionale ligure a fine luglio ha approvato all’unanimità la mozione (primo firmatario Francesco Bruzzone della penitenziaria, il più rappresentativo tra la popolazione di agenti in servizio preso i carceri, snocciola dati allarmanti sul caso Liguria: "Il 31 dicembre 2010, i detenuti in Liguria - spiega Roberto Martinelli - erano 1.675 e lo scorso dicembre 2013, nonostante tre leggi svuota-carceri dal 2010 ad oggi, i detenuti sono saliti a 1.703". L’episodio del detenuto che si è cucito la bocca, il quarto da gennaio, è sintomatico della tensione che si vive nel carcere di Genova. "La situazione è diventata insostenibile per il costante sovraffollamento della struttura e per il continuo verificarsi di eventi critici. Parlo di bocche cucite, tentati suicidi, colluttazioni, risse ed aggressioni. Bisogna dare un lavoro a questi detenuti. Lo Stato deve intervenire". Milano: progetto "Fuori casa", a Bollate inaugurata una struttura per ex detenuti www.ilnotiziario.net, 4 febbraio 2014 Nel complesso di case comunali di via Cesare Battisti, è stato inaugurato il progetto "Fuori casa"per il reinserimento sociale di persone uscite dal carcere o sottoposte a misure alternative. Grazie a Comuni Insieme e alla Cooperativa sociale Estia, è stato creato un appartamento in housing sociale da destinare a persone disagiate che necessitano dell’accompagnamento all’autonomia e al reinserimento abitativo e sociale nella collettività. Il progetto, realizzato grazie al contributo dell’Asl Milano 1 e di Fondazione Cariplo, prevede la permanenza nella casa di 2-4 persone in affidamento ai servizi, per un periodo di tempo che va dai sei mesi all’anno. Ma può prevedere anche permanenze più lunghe e personalizzate a seconda dei casi. Presenti all’inaugurazione rappresentanti di molti comuni soci di Comuni Insieme (tra cui il sindaco di Solaro Moretti), è stato il presidente Luigi Boffi a introdurre spiegando che si tratta di una scommessa che l’azienda ha vinto, mentre la dirigente Elena Meroni ha spiegato che l’appartamento è stato messo all’asta da Gaia e Comuni Insieme l’ha acquistato grazie a un finanziamento dell’Asl, mentre l’aiuto di Fondazione Cariplo ha permesso di ristrutturarlo e arredarlo. Michelina Capato della cooperativa Estia ha spiegato che "una persona dopo il carcere deve ricostruire la sua esistenza: ha esigenze non solo lavorative, che noi definiamo "una vita"e questo progetto è una risposta a tali esigenze". Libri: "L’aria è ottima (quando riesce a passare)", di Aniello Arena, ergastolano-attore di Paolo Petroni Ansa, 4 febbraio 2014 Aniello Arena con M.C. Olati, "L’aria è ottima (quando riesce a passare)"(Rizzoli, pp. 222 - 16,00 euro). Quando, detenuto "fine-pena-mai", arriva al carcere di Volterra, dopo averne girate tante di galere italiane, racconta: "Mi accorsi subito che c’era qualcosa di diverso", non fu sbattuto in cella, ma accompagnato, e aggiunge: "Conoscere le sfumature di una lingua che prima non mi apparteneva, aiuta a pensare bene. Ma il 26 novembre 1999 ero ancora un pezzo di carne che camminava. Non conoscevo i verbi, né l’italiano, né molte altre cose". La storia di Aniello Arena, ergastolano per essere stato coinvolto a Napoli in una sparatoria con morti, da scugnizzo di Barra col padre in galera e parenti malavitosi a attore premiato col Nastro d’Argento quale miglior interprete 2013 come protagonista del film ‘Reality’ di Matteo Garrone, Gran Premio della Giuria a Cannes, è esemplare e scioccante, cruda quanto esaltante, lì pronta a dimostrare come la rieducazione sia possibile se solo i detenuti vengono considerate persone, esseri umani, e come la cultura sia la chiave del riscatto. Un libro importante in questo momento di dibattito sulle nostre carceri. Alla sua scoperta del teatro, alla sua carriera d’attore sotto la guida di Armando Punzo, regista, ideatore e animatore in quella prigione con la moglie Cinzia della Compagnia della Fortezza, oggi conosciuta a livello internazionale, Arena dedica, nel racconto che fa a Maria Cristina Olati per questo libro, poco più di un quinto dello spazio. Il resto è la sua storia sino a quel giorno, come l’ambiente in cui si cresce e la tentazione di risolvere tutto in una volta, divengano i semi di un destino di perdizione, di discesa agli inferi. Non c’è altra definizione per la realtà di Poggioreale, dove Aniello entra la prima volta ragazzo, e scopre che per le guardie botte e punizioni sono la norma, che vige solo violenza e maniere forti, "ma così forti che quando uscivi ce l’avevi a morte con l’istituzione... l’umiliazione era la regola non scritta di Poggioreale"e il risultato sono sentimenti d’odio. Per pagine e pagine coinvolgenti è come qualcuno ci aprisse una porta sulle prigioni italiane, sulla vita in cella e in un carcere, tra soprusi e tempo che non passa mai, perché Arena ci racconta la vita quotidiana, gli accadimenti normali, e già in questo è l’esasperazione della loro assurdità. Un’assurdità che alla fine riguarda tutta la sua esistenza, in cui diventa quasi impossibile e durissimo qualsiasi riscatto se, per provvedere a moglie e figli, ti ritrovi costretto a cercare scorciatoie illegali, se niente e nessuno ti mostra vie diverse e migliori. Se invece questo accade, i nodi, pian piano e dolorosamente ma cominciano a sciogliersi. Da 25 anni Punzo fa questo lavoro, dar vita a "un palcoscenico di un mondo imprigionato che ci racconta le contraddizioni della nostra società", parlando ai carcerati delle "sbarre terribili che ci possiamo portare dentro"e di quanto "fuori talvolta la realtà sia più orribile che dentro". Ogni anno nascono così spettacoli che sono stati premiati e richiesti da festival internazionali, provati in una stanza stretta come un corridoio: "Armando ha fatto di quella cella la sua seconda casa. L’ho visto stare in carcere sette giorni su sette, compresa la domenica, come uno di noi", e poi capace, se serve, di prendere letteralmente per mano questi omoni segnati dalla vita per dar loro un po’ di fiducia in se stessi. La rabbia così sparisce, vinta dalla passione per il teatro, e l’autore sente nascere "un Aniello che non conoscevo, che aveva dentro di sé una forza nuova, quella del cambiamento". Arrivano quindi i permessi, la semilibertà, l’incontro con Garrone, venuto a veder uno degli spettacoli della Fortezza. Allora non pare retorico Arena quando afferma: "Oggi che ho scoperto come è bello leggere, quante porte ti apre un libro e quante te ne chiude l’ignoranza, penso che Dostoevskij abbia avuto ragione a scrivere: il grado di civilizzazione di una società si misura dalle sue carceri". Droghe: la legge Fini-Giovanardi è costituzionale? fra 7 giorni la decisione della Consulta L’Unità, 4 febbraio 2014 La legge al vaglio della Consulta la prossima settimana. Sul web la mobilitazione per abolirla. Il caso del medico che si è autodenunciato Michele Russotto (il suo caso è stato sollevato dall’Espresso) che coltivava marijuana per un disturbo della personalità, patologia provata da certificati medici. Dopo anni di Valium, Seroquel, Tranquirit e altro, questo ragazzo romano di 25 anni seguito dalla Asl ha sostituito i farmaci con il fumo. Ma il 5 gennaio scorso è stato arrestato e poi condotto ai domiciliari. Ora rischia 20 anni di carcere perché la legge Fini Giovanardi, equiparando le droghe pesanti e leggere per lo spaccio e la detenzione (le pene sono da 6 a 20 anni), non ammette la coltivazione in proprio. Recentemente è stato il senatore Luigi Manconi a presentare un ddl che disciplina l’uso terapeutico della cannabis. Dice Manconi: "È anche un modo di disciplinare la farmacopea fai da te cui attualmente sono costretti i pazienti". Nel ddl è previsto che anche "le persone giuridiche private siano tra i soggetti autorizzati alla coltivazione di piante di cannabis per scopi terapeutici". E legittima la coltivazione in relazione alle esigenze terapeutiche proprio e di propri congiunti. Anche il M5S si è mosso per la liberalizzazione, si è mossa la Lega, si è mosso Formigoni. I tempi sono maturi. Se la Consulta dovesse decidere per l’abrogazione della Fini-Giovanardi rivivrà la precedente legge Jervolino-Vassalli così come modificata dal referendum radicale del 1993 che aveva depenalizzato il consumo. L’uso terapeutico è oramai legale in 21 Stati degli Usa. In Colorado è legale anche il consumo ludico della cannabis e in Uruguay è produzione di Stato. Lo ha detto Obama: "Non dovremmo infliggere ai giovani o chi ne fa uso individualmente lunghe pene in prigione quando alcuni di quei tipi che hanno scritto quelle leggi hanno fatto probabilmente lo stesso". India: caso marò, la Corte suprema concede ancora una settimana all’accusa Il Tempo, 4 febbraio 2014 È l’ennesima presa in giro. De Mistura: "Importante che continui la mobilitazione in Italia e a livello internazionale". Ancora una settimana: i marò detenuti in India da quasi due anni in attesa della formalizzazione di un’accusa dovranno attendere sette giorni. La Corte Suprema indiana, ieri, durante l’udienza che poteva essere decisiva, ha preferito concedere ancora tempo all’accusa, chiedendo di sbloccare l’impasse entro una settimana e non oltre: il 10 febbraio il ministero dell’Interno di New Delhi dovrà decidere se invocare la legge anti pirateria, che prevede la pena di morte, contro i due fucilieri del battaglione San Marco. Ma continue e pressanti indiscrezioni indicano che i giudici indiani, consci dell’enorme eco mediatica dell’evento, non abbiano nessuna intenzione di giudicare come pirati due militari della Nato in missione internazionale. All’udienza sul caso dei marò, accusati della morte di due pescatori indiani al largo delle coste del Kerala, il 15 febbraio 2012, c’era anche, per la prima volta, l’inviato speciale del governo italiano, Staffan de Mistura. L’udienza, molto attesa in Italia (e non solo, dopo il pressing diplomatico della stessa Unione Europea), è durata appena una decina di minuti. De Mistura finora aveva evitato di presentarsi per rispetto della giurisdizione indiana, stavolta ha voluto render visibile l’indignazione del governo italiano per un’odissea giudiziaria che ancora non ha visto un capo d’imputazione formale a carico dei due militari. In apertura, la procura indiana ha chiesto ancora due o tre settimane di tempo, scatenando l’irritazione della difesa, che ha ricordato la lunga sequela di rinvii subiti dalla vicenda. E a questo punto il giudice ha deciso di incalzare l’agenzia antiterrorismo Nie e il Ministero dell’Interno: hanno a disposizione una settimana ancora e non di più. E poi la richiesta dell’inviato speciale del governo italiano che, di fronte alle lungaggini della magistratura indiana (25 rinvii in due anni), ha chiesto che i due marò Salvatore Girone e Massimiliano Latorre tornino in Italia, per attendere che venga istruito il processo e arrivi la sentenza. Sul caso marò è "importante che continui la mobilitazione in Italia e a livello internazionale", ha detto de Mistura. In attesa della prossima udienza dinanzi alla Corte Suprema l’inviato ha sottolineato l’importanza che continui il pressing diplomatico sull’India per sbloccare l’impasse che ha impantanato la vicenda giudiziaria. E di fronte all’ennesimo rinvio anche il presidente del Consiglio Enrico Letta, dal Qatar, ha affermato che "è chiaro che non c’è più tempo per ulteriori rinvii, la controparte indiana dovrà mettere le carte sul tavolo e dire quali sono i capi d’accusa". Il presidente della Commissione Esteri del Senato, Pier Ferdinando Casini, ha preannunciato "ulteriori passi perché tutti i parlamenti siano informati di questa intollerabile vicenda". Il vicepresidente del Senato, Maurizio Gasparri, ha sollecitato invece il ministro degli Esteri, Emma Bonino, a metter fine a quella che ha definito come la sua "latitanza"e prendere "a cuore il problema". Ieri mattina il tricolore italiano è stato affisso ai cancelli dell’ambasciata dell’India, a Roma, per esprimere lo sdegno nei confronti della decisione di un ulteriore rinvio. Nel corso dell’iniziativa, promossa dal vicepresidente del Parlamento europeo Roberta Angelilli e da Jessica De Napoli, per i giovani del Nuovo Centrodestra, è stato esposto anche lo striscione "Marò a casa! India vergogna!". "Dopo l’ennesimo sconcertante rinvio siamo anche oggi qui per chiedere l’immediato rientro in Italia dei nostri marò", ha dichiarato la Angelilli che ha affisso il tricolore anche a Strasburgo. Via Twitter, la portavoce del gruppo Forza Italia alla Camera, Mara Carfagna si è domandata: "Con Mario Monti ed Enrico Letta acquisita maggiore credibilità e peso internazionale? La condotta dell’India sul caso marò certifica l’esatto contrario". Ignazio La Russa, presidente di Fratelli d’Italia, ha invece commentato: "A due anni dai fatti l’indeterminatezza delle accuse e dei tempi è una violazione dei diritti umani. L’atteggiamento del governo italiano continua ad essere debole e incerto, un impegno più verbale che sostanziale". E ancora: "Il governo mobiliti tutto il sistema Italia e metta in mora Ue, Nato e Onu. Annunci subito le contromisure se entro il 10 febbraio non venisse accolta la richiesta avanzata di consentire ai due marò il rientro in Italia". "L’ulteriore rinvio della Corte Suprema indiana è l’ennesima presa in giro oltre che una palese violazione del diritto", ha concluso. Libia: le autorità danno la caccia a 54 detenuti evasi dal carcere di Tripoli Nova, 4 febbraio 2014 Le autorità libiche stanno dando la caccia ai 54 detenuti che due giorni fa sono evasi dal carcere di Tripoli, in Libia. Secondo quanto riferisce il quotidiano locale "Quryna", i detenuti sono riusciti a evadere dal carcere di al Jabs eludendo le guardie di sorveglianza. Approfittando del momento della distribuzione della colazione mattutina, si sono radunati davanti alla porte d’ingresso ed hanno aggredito le poche guardie presenti riuscendo ad avere la meglio. Le forze di sicurezza hanno cercato di circondare la zona per fermare gli evasi ma senza successo. Stati Uniti: catturato in Indiana pluriergastolano evaso da carcere Michigan La Presse, 4 febbraio 2014 È stato catturato Michael David Elliot, il detenuto pluriergastolano evaso dal carcere di Ionia, nel Michigan. Il prigioniero, condannato a vari ergastoli per i numerosi omicidi commessi, è stato arrestato dalla polizia nella serata di ieri, dopo un intero giorno passato cercando di sfuggire alle autorità. Durante la fuga, Elliot ha sequestrato una donna e rubato la sua auto percorrendo circa 160 chilometri fino al sud dell’Indiana. Una volta fermatosi per fare benzina, la donna è riuscita a scappare a piedi ed Elliot, ripartito, ha in seguito rubato un’altra vettura. Un agente di polizia ha però notato la seconda auto rubata e da lì è iniziato l’inseguimento che ha portato alla cattura del fuggitivo. Nessuno è rimasto ferito nel corso della fuga di Elliot. Le autorità stanno ora cercando di capire in che modo il prigioniero, che nei 20 di reclusione finora scontati non aveva mai creato problemi, possa essere evaso ingannando le guardie ed evitando i recinti elettrificati della prigione di Ionia. Turchia: detenuti del Pkk; i nostri amici vengono lasciati morire in carcere www.pane-rose.it, 4 febbraio 2014 Il ramo di Diyarbakir delle Associazioni della Federazione di Aiuto per le Famiglie dei Prigionieri (Tuhad-Fed) ha richiamato l’attenzione sulla situazione dei detenuti malati nelle carceri turche nel quarto giorno della manifestazione di protesta messa in essere venerdì davanti al Carcere Chiuso di Tipo D di Diyarbakir. La manifestazione fuori dal penitenziario ha visto la partecipazione di famiglie e parenti di detenuti malati nella prigione, il candidato sindaco metropolitano di Diyarbakir Gültan Kisanak, Raci Bilici del ramo di Dyarbakir dell’IHd (Associazione Diritti Umani), l’Associazione Giornalisti Liberi così come i rappresentanti di Meya-Der e centinaia di persone. La manifestazione del quarto giorno è iniziata con la lettura della lettera inviata al Tuhad-Der dai detenuti del Pkk (Partito dei Lavoratori del Kurdistan) di Diyarbakir del Carcere Chiuso Tipo D. I carcerati del Pkk hanno sottolineato nella loro lettera che i rapporti medici hanno approvato la detenzione dei prigionieri malati che - hanno evidenziato - sono praticamente lasciati morire in prigione, aggiungendo che: "Il governo dell’Akp, il Ministero della Giustizia e le autorità dell’Istituto di Medicina Forense sono responsabili per questa situazione disumana. Non potremo mai accettare il silenzio di tomba sui nostri amici malati", hanno detto e chiesto l’immediato rilascio di tutti i prigionieri infermi, e in particolare di Halil Günes, Semsettin Kargili e Adnan Yalçin che - hanno detto - non possono eventualmente ricevere cure in carcere. I reclusi del Pkk hanno detto che si tratta di un diritto giuridico e legale per cui i detenuti malati devono essere curati in condizioni idonee. I prigionieri hanno anche detto di aver chiuso la loro protesta di rifiuto delle visite dei familiari che erano state poste in essere per una settimana per richiamare l’attenzione sulla situazione dei detenuti malati, e hanno esteso i loro ringraziamenti a tutti coloro che non li hanno lasciati soli e hanno sostenuto le loro richieste per il miglioramento delle condizioni di detenzione e il rilascio dei prigionieri malati. Parlando dopo, il presidente dell’Ihd del ramo di Diyarbakir, Raci Bilici, ha espresso preoccupazione per la violazione dei diritti e per le condizioni disumane nelle carceri turche dove - ha messo in risalto - ci sono attualmente 550 detenuti malati tra i quali 163 sono in situazione critica. Bilici ha messo in evidenza che il governo dell’Akp, il Primo Ministro e il Presidente sarebbero responsabili per l’ulteriore morte di prigionieri malati in carcere, e ha invitato le autorità a revocare le leggi anti-democratiche e ad abolire le istituzioni di medicina legale a causa delle decisioni razziste che hanno preso fino ad oggi, aprendo la strada alle morti imminenti nelle carceri. Güllü Bozkurt, figlia del detenuto malato Necdet Bozkurt, ha dichiarato di non aver chiesto pietà al Ministero della Giustizia, ma di aver chiesto la messa in pratica di quelle che sono le sue competenze. "Mio padre non è stato rilasciato nonostante il fatto che abbia scontato la sua pena. Ci siamo rivolti anche all’Ihd e al Ministero della Giustizia il quale, quando chiediamo loro perché a mio padre sia stato negato il rilascio, continua ad avanzare scuse quali punizioni disciplinari", ha sottolineato. Gli interventi sono stati seguiti da un sit-in di cinque minuti fuori dal carcere. Giordania: 120 attivisti islamici detenuti in sciopero fame, protestano per denuncia abusi Ansa, 4 febbraio 2014 Circa 120 attivisti fondamentalisti islamici imprigionati in Giordania hanno cominciato uno sciopero della fame per protestare contro quelli che denunciano come abusi nei loro confronti da parte delle guardie carcerarie e le dure condizioni di detenzione. I detenuti, in gran parte salafiti, affermano di essere tenuti in isolamento dagli altri carcerati e che viene impedito loro di incontrare gli avvocati e i parenti. Il leader salafita Abu Sayaf ha avvertito le autorità che dovranno far fronte a non meglio precisate conseguenze se non verrà migliorato il trattamento dei prigionieri. "Questi detenuti meritano di essere trattati come gli altri", ha affermato Abu Sayaf. Attivisti di organizzazioni per i diritti umani hanno affermato che è stato loro negato l’accesso alle prigioni. Le autorità giordane sono state piu’ volte criticate da organizzazioni internazionali, quali Human Rights Watch e Amnesty International, per il trattamento dei detenuti. Australia: mille profughi minorenni detenuti in attesa di valutazione record ultimi 10 anni Ansa, 4 febbraio 2014 La Commissione australiana per i diritti umani ha aperto oggi un’inchiesta sui minori nei campi di detenzione per richiedenti asilo, lamentando la mancanza di assistenza dal governo conservatore di Canberra sulla questione. L’inchiesta, ha spiegato la presidente della Commissione Gillian Triggs, esaminerà gli effetti della detenzione sulla salute mentale, l’incidenza di casi di autolesionismo e i criteri di valutazione usati prima di mandarli nei campi di detenzione nell’isole del Pacifico, per verificare se l’Australia ottemperare ai suoi obblighi internazionale nel campo dei diritti umani. Vi sono circa 1.000 minori rinchiusi in detenzione, il numero più alto negli ultimi 10 anni, ha aggiunto. Triggs ha spiegato che la Commissione è intervenuta in parte perché negli ultimi mesi ha ricevuto "minima"collaborazione dal Dipartimento Immigrazione nel fornire i dettagli di cui necessita. "In particolare vorremmo capire di più sulla salute mentale di questi minori, sui casi di autolesionismo, come vengono trattati quando manifestano condizioni di ansia estrema". "Vorremmo anche capire come vengono valutati prima di essere mandati a Nauru (il minuscolo stato-isola nel Pacifico in cui l’Australia ha costruito un campo di detenzione per richiedenti asilo, Ndr)", ha aggiunto. Un portavoce del ministro dell’Immigrazione Scott Morrison ha assicurato che il governo continuerà a collaborare con la Commissione e darà assistenza l’inchiesta. "L’opinione pubblica sembra essersi abituato in qualche misura all’idea di tenere bambini in detenzione", ha detto ancora Triggs. "Tuttavia, quando parlo con le persone in generale, trovo che sono assolutamente stupefatte nel sapere che continuiamo a tenere minorenni per molto mesi, talvolta per anni in detenzione dietro recinti metallici in ambienti molto ristrette". La senatrice dei Verdi, Sarah Hanson-Young, ha accolto con soddisfazione l’annuncio, pur esprimendo dispiacere per la necessità di un’inchiesta. "Il triste fatto è che vi sono centinaia di minori rinchiusi in detenzione, una parte dei quali lo sono da sei mesi e lo resteranno per molto ancora", ha detto. "La loro salute mentale sta deteriorando rapidamente, e così il loro sviluppo".