Giustizia: ministro Cancellieri; la riforma è una priorità che non si può più rinviare La Nuova Sardegna, 2 febbraio 2014 La riforma della giustizia è un’assoluta “priorità”, magari partendo proprio da quella penale perché nessuno “può seriamente dubitare che abbia bisogno di innovazioni significative”. Parola del Guardasigilli Anna Maria Cancellieri che su innovazioni “significative” ha scommesso fin dal suo arrivo al ministero. Riforme sulle quali cerca il consenso, perché un politico ha anche il compito “di ascoltare e mediare”, ma “non a tutti i costi”. Quasi un avvertimento che sembra voler lanciare nel periodo in cui si ricomincia a parlare di riforme e, subito, partono i distinguo e le prime polemiche. Per dimostrare che al confronto ci tiene, il ministro Cancellieri è venuta a Firenze per incontrare l’Unione delle Camere penali, che qui ha aperto il proprio Anno giudiziario, sapendo bene che su alcuni argomenti con gli avvocati c’è sintonia, come su indulto e amnistia, temi sui quali il ministro prese una posizione “coraggiosa” fin dal suo arrivo, ha riconosciuto il presidente dei penalisti italiani Valerio Spigarelli. Posizione che invece “il governo non ha avuto” ha aggiunto. I legali, usciti per un giorno dalle aule dei tribunali, chiedono che il ministro sia sempre “coraggiosa”, sfidando quel contesto politico che vorrebbe bloccare tutto, perché “certe volte, su alcune questioni - ha spiegato Spigarelli -, raggiungere un piccolo obiettivo significa fallirne uno più grande” Certo non è facile pensare a riforme senza risorse, una realtà che attanaglia tutti i tribunali italiani, “da dieci anni non possiamo sostituire chi va in pensione: le risorse sono quelle che sono”, ha detto il ministro lasciando il Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio. Ma il problema, per un’ottimista come lei assicura di essere, non è tanto questo quanto il fatto che appena se ne annuncia una si assiste “a dure e ferme critiche che poco spazio sembrano lasciare al confronto costruttivo come se, alla fine, debba sempre prevalere lo status quo, preferito e vissuto come il migliore dei mali”. Non solo: la paura, “nei momenti di maggiore crisi” ha aggiunto Cancellieri parlando dal palco agli avvocati, “spinge al ripiegamento sull’esistente”, e “il futuro è temuto quanto più non si ha fiducia nelle capacità di conformarlo alle nostre migliori aspettative”. Il Guardasigilli è consapevole che “le riforme possibili non sono sempre quelle migliori” ma “quelle che danno maggiori garanzie di buon funzionamento”, quelle che alla fine “sono utili e giuste, perché magari hanno sacrificato qualche aspetto di maggiore apprezzabilità tecnica, ma lo hanno fatto in nome di un rafforzamento della capacità di cambiare realmente l’esistente in un contesto di accresciuta partecipazione democratica”. Intanto, però, da Cagliari dove è andato per sostenere la conferma di Ugo Cappellacci alla guida della Regione Sardegna, Silvio Berlusconi tuona contro la mancata riforma: “C’è una riforma non fatta che grida vendetta davanti a Dio e agli uomini: è la riforma della giustizia”. Berlusconi ha poi insistito: “Dentro i Club Forza Silvio dobbiamo fare centri di sostegno e vicinanza alle vittime della giustizia. Se in Italia esistesse un partito di vittime della giustizia, non vi dico che percentuali avrebbe”. E infine, l’affondo prevedibile e previsto contro la Corte costituzionale: “Secondo la nostra Costituzione, la Consulta dovrebbe essere sopra le parti. Oggi invece è un organo politico della sinistra”. Insomma tutto il repertorio del cavaliere contro le toghe. Tema delle riforme è di assoluta priorità (Adnkronos) Il Guardasigilli a Firenze all’inaugurazione dell’anno giudiziario dei penalisti italiani: “Nessuno può seriamente dubitare che sul penale servano innovazioni significative”. Sull’indulto: “Decide il Parlamento”. Cancellieri: “Quasi nove milioni di processi pendenti”. Il tema delle riforme è oggi “di assoluta priorità”, “perché nessuno può seriamente dubitare che la giustizia penale abbia bisogno di innovazioni significative”. Lo ha detto il ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri, intervenendo a Firenze all’inaugurazione dell’anno giudiziario dei penalisti italiani. “Ogni convegno, ogni dibattito, ogni incontro di studi affronta il problema delle riforme. Non ho mai sentito affermare che non occorra porre mano a qualche modifica, più o meno importante, del sistema normativo, salvo però assistere, annunciata una riforma, a dure e ferme critiche, che poco spazio sembrano lasciare al confronto costruttivo, come se, alla fine, debba sempre prevalere lo status quo, preferito e vissuto come il minore dei mali”, ha aggiunto Cancellieri. “Penso sia la paura dei momenti di maggiore crisi che spinge al ripiegamento sull’esistente”, ha osservato il Guardasigilli. “Il futuro è temuto quanto più non si ha fiducia nelle capacità di conformarlo alle nostre migliori aspettative. E i sentimenti di diffusa incertezza, a volte di smarrimento, si vincono - ha aggiunto il ministro - privilegiando un metodo di lavoro politico, che chiami tutti, nella diversità dei ruoli, a farsi costruttori del benessere collettivo”. “Le riforme utili e giuste”, che magari “hanno sacrificato qualche aspetto di maggiore apprezzabilità tecnica”, ha proseguito Cancellieri, sono quelle fatte “in nome di un rafforzamento della capacità di cambiare realmente l’esistente in un contesto di accresciuta partecipazione democratica”. “Come ministro della Giustizia - ha continuato - non pretendo e non ricerco il consenso a tutti i costi, ma mi impegno con il massimo sforzo possibile a far sì che le riforme, che è già difficile confezionare, possano trovare le condizioni indispensabili di complessiva accettabilità da parte di quanti ne dovranno assicurare l’effettività”. Il ministro della Giustizia ha poi risposto ai giornalisti a proposito delle richieste avanzate dall’avvocatura e dalla magistratura per avere più personale nei palazzi di giustizia. “Le risorse finanziarie purtroppo sono quelle che sono - ha detto Cancellieri -. Si può cercare di chiedere e di fare ma ci sono delle oggettive difficoltà. Io speriamo che me la cavo”. A proposito di indulto, ha poi detto il ministro, “è una questione che attiene al Parlamento. Io mi sono già espressa”. Giustizia: intervento della Cancellieri all’inaugurazione dell’anno giudiziario dei penalisti www.giustizia.it, 2 febbraio 2014 Sono lieta di poter intervenire a questo Vostro convegno, dedicato ad un tema oggi di assoluta priorità, ovvero quello delle riforme, perché nessuno può seriamente dubitare che la giustizia penale abbia bisogno di innovazioni significative. Ogni convegno, ogni dibattito, ogni incontro di studi affronta il problema delle riforme. Non ho mai sentito affermare che non occorra porre mano a qualche modifica, più o meno importante, del sistema normativo, salvo però assistere, annunciata una riforma, a dure e ferme critiche, che poco spazio sembrano lasciare al confronto costruttivo, come se, alla fine, debba sempre prevalere lo status quo, preferito e vissuto come il minore dei mali. Penso sia la paura dei momenti di maggiore crisi che spinge al ripiegamento sull’esistente. Il futuro è temuto quanto più non si ha fiducia nelle capacità di conformarlo alle nostre migliori aspettative. E i sentimenti di diffusa incertezza, a volte di smarrimento, si vincono privilegiando un metodo di lavoro politico, che chiami tutti, nella diversità dei ruoli, a farsi costruttori del benessere collettivo. Ho subito apprezzato, ricevuto il gradito invito, la saggezza con cui avete definito l’oggetto dei lavori odierni, con il riferimento alle riforme possibili. Avete infatti dimostrato di ben comprendere che sono molteplici i fattori capaci di condizionare le scelte del decisore politico, specie in un sistema complesso, quale è il nostro, che non ha mai perso l’ambizione di qualificarsi in termini di democrazia partecipata. E non penso soltanto, tra i fattori che ci condizionano, alle risorse finanziarie, che sono importanti, a volte necessarie, e che oggi, come ben sappiamo, sono scarse. La mia attenzione è piuttosto rivolta al bisogno, per me cogente, di coinvolgimento - nel complesso meccanismo di produzione di nuovi assetti di regole - di quei soggetti che, fatte le riforme, saranno i protagonisti della loro attuazione. Come Ministro della giustizia, non pretendo e non ricerco il consenso a tutti i costi, ma mi impegno con il massimo sforzo possibile a far sì che le riforme, che è già difficile confezionare, possano trovare le condizioni indispensabili di complessiva accettabilità da parte di quanti ne dovranno assicurare l’effettività. So bene che questo metodo di lavoro rende ancor più faticoso e difficile il compito di chi assume l’onere dell’iniziativa legislativa, ma sono convinta che è un passaggio obbligato al fine di incidere sull’esistente con la dovuta carica di innovazione. Non credo agli eccessi di autorità nella formazione delle regole, anche se la legge è comando ed espressione dell’autorità sovrana, e trova già nel procedimento parlamentare il luogo del confronto delle varie posizioni. E dico questo perché è di comune esperienza che la crisi dei meccanismi di funzionamento della democrazia rappresentativa, determinata ed acuita dalla progressiva complessità della compagine socio-politica, possa essere superata soltanto ampliando gli spazi del confronto e del dialogo, arricchendo il percorso istituzionale di ulteriori momenti di ascolto. Le riforme possibili non sono pertanto quelle migliori, assumendo in questa definizione - va da sé - un punto di vista spiccatamente soggettivo, ma sono quelle che danno le maggiori garanzie di buon funzionamento. Mi sento di affermare che solo le riforme possibili, intese nel senso che ho appena esposto, sono le riforme utili e giuste, perché magari hanno sacrificato qualche aspetto di maggiore apprezzabilità tecnica, ma ciò hanno fatto in nome di un rafforzamento della capacità di cambiare realmente l’esistente in un contesto di accresciuta partecipazione democratica. È con questo programma ideale che, appena insediata al Ministero della giustizia, ho provveduto a istituire commissioni e gruppi di studio in numero consistente, ben cinque, a composizione mista, avvocati, magistrati, professori. Ho voluto creare proprio al Ministero e nel cuore dell’elaborazione dell’iniziativa legislativa, l’Ufficio legislativo, quei luoghi e quei momenti di incontro e di confronto preordinati alla messa a fuoco dei temi e dei settori in cui le riforme sono, appunto, possibili. Di quel lavoro prezioso ho già tenuto conto con il decreto-legge n. 146 del 2013, che ha ripreso alcuni dei suggerimenti e delle proposte avanzate in sede di Commissione Giostra e del gruppo di lavoro presieduto da Mauro Palma, e so che l’Ufficio legislativo ha parimenti valorizzato il contributo offerto dalla Commissione Canzio in tema di processo, predisponendo una bozza di disegno di legge, ancora in fase di definizione. In tempi spero rapidi avrò modo di mettere a frutto, quanto meno in parte, i contributi della Commissione Fiandaca e della Commissione Palazzo, tenendo conto che si sta ragionando in vista di alcune modifiche al codice antimafia e che è di prossima approvazione il disegno di legge delega, di iniziativa parlamentare, in materia di depenalizzazione e messa alla prova. Ma non è soltanto ai risultati degli studi e degli approfondimenti posti in essere dalle Commissioni che volgo la mia attenzione. Se così facessi, verrei in qualche modo meno ad un primo e preciso dovere, di assunzione di responsabilità circa le scelte da fare; come se mi servissi delle Commissioni non già per formare la base solida di un più ampio lavoro di riforma, ma per schermarmi dalle inevitabili critiche che l’annuncio di una iniziativa legislativa provoca. Il mio compito, condivisa l’elaborazione delle Commissioni, è di tentare un passo in più, pur sempre mosso nella direzione tracciata da quelle riflessioni; e di saper rinunciare, magari, a qualche più coraggioso suggerimento, quando mi rendo conto che il contesto politico-parlamentare non è per nulla favorevole, assai poco disponibile già all’avvio di un confronto approfondito su quel tema. Il ruolo politico chiama ad un dovere di ascolto e di mediazione, che si adempie in più momenti e su più piani, ma sempre nella prospettiva di maggiore soddisfacimento dell’interesse collettivo. Le vostre idee, le vostre indicazioni, le vostre critiche, al pari di quelle delle altre categorie professionali - penso soprattutto alla magistratura - sono per me contributo prezioso, del quale, come Ministro della giustizia, mi giovo nel definire l’orizzonte dell’azione politica, necessariamente più ampio e più profondo. Per questo voglio ribadire anche in questa occasione il mio fermo convincimento e il mio personale impegno a che mai si interrompa, pur nella naturale dialettica delle parti, quell’indispensabile filo di interlocuzione e dialogo tra il Ministro e l ‘Avvocatura italiana fondamentale garante della legalità e custode dei diritti e delle libertà dei cittadini. Vi ringrazio. Giustizia: Spigarelli (Ucpi); sul tema dell’indulto la Cancellieri è coraggiosa, Governo no Ansa, 2 febbraio 2014 “Il ministro Cancellieri è stata molto coraggiosa quando ha detto, in maniera semplice e lineare, che ci vuole l’indulto”. Lo ha detto il presidente dell’Unione delle camere penali italiane, Valerio Spigarelli, a margine dell’apertura dell’anno giudiziario degli avvocati penalisti oggi in Palazzo Vecchio a Firenze. Ma se il ministro è stata “coraggiosa” su questo tema, altrettanto Spigarelli è convinto “che il governo non lo sia stato nel perseguire questo obiettivo”. Fondamentale se “vogliamo eliminare la cooptazione dei diritti fondamentali delle persone che stanno in carcere”. Il presidente dell’Unione delle camere penali, a proposito dell’intervento del ministro al convegno fiorentino, ha quindi sottolineato come il Guardasigilli “ha detto che ci sono riforme che potrebbero essere fatte ma che il contesto politico non permette di fare, è realpolitik corretta”. “Però è anche vero - ha concluso Spigarelli - che certe volte, su alcune questioni, raggiungere un piccolo obiettivo significa fallirne un più grande”. Giustizia: Ass. Giovanni XXIII; la “strategia del perdono” conviene, anche economicamente Tempi, 2 febbraio 2014 L’Associazione Giovanni XXIII di Rimini mostra, dati alla mano, quanto convenga umanamente ed economicamente la “strategia del perdono”. La recidiva dei carcerati è solo del 10 per cento; lo Stato risparmia quasi un milione e mezzo di euro. Il perdono non è un’equazione matematica, ma una dirompente forza d’amore capace di trasformare la rabbia e il rancore in speranza. Ne sono sicuri quelli dell’Associazione papa Giovanni XXIII di Rimini che sperimentano da tempo questo percorso con alcuni carcerati in cerca di riscatto. “Perdonare conviene”, diceva il vescovo Francesco Lambiasi. Ma è difficile anche solo da pronunciare, quella parola. Figurarsi per chi ha subìto un torto, magari una violenza. Certo, è un concetto cristiano che viene insegnato nella Bibbia sin dall’inizio, nella drammatica vicenda di Caino e Abele. Ma l’Associazione, dati alla mano, dimostra che è anche conveniente. Economicamente si intende. Don Oreste Benzi aveva ragione quando diceva che chi ha sbagliato deve maturare la consapevolezza dell’errore ma deve essere posto anche in condizione di riscattarsi attraverso le opere. L’Associazione Giovanni XXIII, a sostegno di questa tesi, fornisce alcuni dati sul vantaggio economico delle misure alternative al carcere: “Per ogni detenuto lo Stato spende 200 euro al giorno. Circa l’80 per cento di chi esce di prigione torna a delinquere. Quando invece si applicano misure alternative, la recidiva si abbassa al 20 per cento. Nelle strutture dove si applica la “strategia del perdono” si arriva addirittura al 10 per cento”. È il caso dell’esperienza riminese: il progetto “Comunità educate con i carcerati” accoglie 20 persone, facendo risparmiare ai contribuenti 4.000 euro al giorno, quasi un milione e mezzo di euro all’anno. Il responsabile della Casa madre del Perdono fa sapere che “i nostri ospiti quando prendono coscienza del male che hanno fatto, cambiano; la loro vita cambia. La condivisione con i carcerati e con le vittime di violenza, suggerisce di continuare questa tematica nella speranza che la proposta del perdono acquisti una dimensione sociale”. Pavia: in un mese 342 richieste di liberazione anticipata “speciale”, respiro per le carceri di Maria Fiore La Provincia Pavese, 2 febbraio 2014 Dovrebbe dare respiro agli istituti sovraffollati. Uno scopo che, per i sindacati, è stato in parte raggiunto. Ma il decreto “svuota carceri” deciso dal governo sta avendo anche un altro effetto: tribunali intasati e magistrati di sorveglianza sommersi da cumuli di pratiche. Pavia non fa eccezione: nel solo mese di gennaio, da quando il decreto è stato introdotto, sono arrivate negli uffici del magistrato di sorveglianza 342 richieste di liberazione anticipata. Le richieste riguardano i tre istituti della provincia: Torre del Gallo a Pavia, il carcere dei Piccolini a Vigevano e il carcere di via Prati Nuovi a Voghera. Di queste richieste, l’ufficio del magistrato di sorveglianza ne ha già accolte 108. E questo significa che oltre cento detenuti torneranno in libertà. Non tutte le scarcerazioni, tuttavia, sono immediate. I tempi di liberazione sono vincolati a un complesso calcolo, che spetta appunto agli uffici del magistrato di sorveglianza. Le liberazioni anticipate, che riguardano solo i condannati in via definitiva, passano da 45 a 75 giorni per ogni semestre di detenzione, ma il decreto ha anche valore retroattivo, cioè si applica a partire dal 2010. Ad esempio, se un detenuto è entrato in carcere nel 2010 per scontare una pena di sei anni, potrebbe uscire con due anni e mezzo di anticipo. I cancellieri devono dunque districarsi tra calcoli e valutazione dei requisiti. Ogni pratica va esaminata con attenzione e deve contenere una relazione sul comportamento del detenuto, che deve dimostrare il suo recupero attraverso il carcere. Da un lato, quindi, vanno valutati i requisiti, “perché bisogna pure stare attenti a chi mettiamo fuori”, spiegano i cancellieri, e dall’altro ci sono le urgenze, perché alcuni detenuti che i requisiti ce li hanno dovrebbero, in base ai calcoli, essere già fuori dalla cella. Per risolvere il problema, gli uffici del tribunale stanno cercando di fare una sorta di graduatoria, per chiudere più in fretta le pratiche urgenti. “Gli effetti ci sono - dice Salvatore Giaconia, del sindacato Osapp - ma sarebbero maggiori se le pratiche venissero smaltite in tempi utili. La stima è che la liberazione anticipata possa alleggerire del 20 per cento il carico sugli istituti”. E Fabio Catalano, della Fp Cgil, le definisce “misure favorevoli per il sovraffollamento, ma a Torre del Gallo - aggiunge - ha inciso in maniera positiva anche l’apertura del nuovo padiglione, che ha creato per i detenuti condizioni più dignitose. Basti pensare che nel vecchio padiglione non c’è più la terza branda in cella e siamo tornati a una capienza tollerabile”. Uil: la norma può dare respiro alle strutture sovraffollate Celle sovraffollate e pochi agenti di polizia penitenziaria. Così fino all’altro ieri. Ma per gli istituti pavesi si intravedono segnali di miglioramento. Conseguenza del decreto svuota carceri? “In realtà su Voghera l’effetto è minimo, per la tipologia di detenuti, che per buona parte non rientrano nelle categorie candidate a ottenere il beneficio - spiega Gian Luigi Madonia, segretario regionale della Uil. Anche su Vigevano si parla di circa 20 casi di liberazione anticipata, quindi il dato non è molto significativo”. Decreto inutile, dunque? “No, può dare respiro alle strutture, anche se non come potrebbe darlo un’amnistia o l’indulto - dice Madonia -. Purtroppo il sistema penitenziario vive ancora grosse difficoltà, ma l’iniziativa legislativa è da apprezzare. Allo stesso modo si stanno rivelando positivi i nuovi modelli organizzativi proposti dall’amministrazione penitenziaria, che stanno rimettendo al centro il ruolo dell’agente di polizia penitenziaria. Anche il decreto valorizza di più il trattamento e la gestione del detenuto”. Beneficio pure per gli omicidi ma sono esclusi i reati di mafia Spaccio di droga, ma anche rapine, violenze sessuali e omicidi. Il beneficio della liberazione anticipata riguarda anche chi è stato condannato in via definitiva per questi reati, ma la scarcerazione è vincolata a una relazione sul comportamento del recluso. Il detenuto, in altre parole, deve dare prova del proprio recupero attraverso la parte di pena già scontata. Il decreto “svuota carceri”, che è stato approvato a dicembre per far fronte al problema del sovraffollamento carcerario già sanzionato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo e che ora attende di essere convertito in legge, non si applica ai reati di mafia, che peraltro sono esclusi anche dall’indulto e dall’amnistia. Lo stesso ministro della giustizia Anna Maria Cancellieri, per rispondere alle polemiche sull’applicazione del decreto, ha sottolineato “che gli imputati di associazione mafiosa ai sensi del 416 bis e detenuti in regime di carcere duro non potranno trovare beneficio dalle eventuali leggi di indulto e amnistia” Reggio Emilia: slitta all’aprile 2017 la chiusura dell’Opg, le Regioni non sono pronte di Luciano Salsi La Gazzetta di Reggio, 2 febbraio 2014 La chiusura dei sei ospedali psichiatrici giudiziari italiani, fra cui quello di Reggio, sarà probabilmente rinviata al primo aprile 2017. Lo chiede la Conferenza delle regioni, vista l’impossibilità di rispettare la precedente scadenza, già prorogata dal 2013 al primo aprile 2014. La Conferenza delle regioni propone, nello specifico, un emendamento al decreto Mille Proroghe, che è già stato trasmesso alle Commissioni parlamentari competenti. Le regioni sottolineano, a tal proposito, che hanno presentato entro i termini assegnati i programmi per la realizzazione delle strutture destinate ad accogliere una parte degli attuali reclusi, ma nei due mesi che mancano non sono in grado neppure di avviare le gare per la scelta del progettista e dell’impresa esecutrice. Mila Ferri, responsabile della regione Emilia-Romagna per la salute mentale e le dipendenze patologiche nelle carceri, spiega: “Abbiamo ricevuto soltanto alla fine di dicembre il decreto di approvazione del nostro programma. Poiché occorrono due anni per iniziare e terminare i lavori, noi che siamo i primi pensiamo di completarla alla fine del 2016, ma tutte le altre regioni sono più indietro”. Il programma prevede che la nuova struttura, dipendente dall’Ausl, sia realizzata in via Montessori, non lontano dall’attuale sede, per un costo di oltre 17 milioni. Avrà 40 posti, divisi fra tre reparti. Pur avendo carattere sanitario, vi sono previste misure di vigilanza. Attualmente l’Opg reggiano, trasferito negli anni scorsi dalla vecchia sede di via Franchi (ex- carcere dei Servi) a un reparto annesso alla Casa circondariale di via Settembrini, ospita circa 160 reclusi, provenienti dalle regioni di pertinenza (Emilia-Romagna, Triveneto e Marche) ma anche dalla Lombardia e da altre zone. La maggior parte è composta da internati, cioè da persone prosciolte per infermità mentale dai crimini commessi, ma rinchiuse nell’Opg perchè giudicate socialmente pericolose. Vi è poi un 20-30% di detenuti, che, dopo una condanna ordinaria, si sono visti riconoscere la malattia mentale quando erano già in carcere. La riforma prevede che questi ultimi ritornino in prigione, dove riceveranno un’assistenza psichiatrica. Dei rimanenti rimarranno nella nuova struttura di Reggio soltanto i residenti in Emilia-Romagna, che ora sono 25. Gli altri troveranno posto nelle analoghe strutture che ogni regione è tenuta a realizzare. Napoli: Sappe; presunte violenze a Poggioreale, carcere deve essere trasparente Ristretti Orizoznti, 2 febbraio 2014 ”Polizia penitenziaria non ha nulla da nascondere. Carcere deve essere Istituzione trasparente”. Domani Capece in visita a Napoli. Domani sarà in visita nel carcere di Napoli Poggioreale Donato Capece, segretario generale del Sappe, Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria. E la sua visita - “di solidarietà alle donne e agli uomini dei Baschi Azzurri che lavorano nel carcere probabilmente tra i più affollati in Europa con oltre 2.600 detenuti” - coincide con la notizia dell’apertura di due inchieste (Procura e Dap) su presunte violente nel carcere napoletano. “La Polizia penitenziaria, a Poggioreale come in ogni altro carcere italiano, non ha nulla da nascondere. L’impegno del primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il Sappe, è sempre stato ed è quello di rendere il carcere una “casa di vetro”, cioè un luogo trasparente dove la società civile può e deve vederci “chiaro”, perché nulla abbiamo da nascondere ed anzi questo permetterà di far apprezzare il prezioso e fondamentale - ma ancora sconosciuto - lavoro svolto quotidianamente dalle donne e dagli uomini della Polizia Penitenziaria. Del carcere e dei Baschi Azzurri viene spesso diffusa un'immagine distorta, che trasmette all'opinione pubblica un'informazione parziale, non oggettiva e condizionata da pregiudizi. Non abbiamo, ripeto, nulla da nascondere e quindi sono certo che i poliziotti penitenziari di Poggioreale affronteranno con serenità ogni inchiesta e accertamento”. "La situazione del Reparto di Polizia Penitenziaria del carcere di Napoli Poggioreale è diventata insostenibile per il costante sovraffollamento della struttura e per il continuo verificarsi di eventi critici” aggiunge Capece. “Per fortuna delle Istituzioni, gli uomini della Polizia Penitenziaria svolgono quotidianamente il servizio in carcere con professionalità, zelo, abnegazione e soprattutto umanità, pur in un contesto assai complicato per l'esasperante sovraffollamento e per il ripetersi di eventi critici. Ma devono assumersi provvedimenti concreti per Napoli, una realtà nella quale sono stipate più di 2.600 detenuti, perché non si può lasciare solamente al sacrificio e alla professionalità delle donne e degli uomini della Polizia Penitenziaria la gestione quotidiana di uno dei più grandi carceri italiani. E deve fare la sua parte, importante, anche il Parlamento, che invece ignora persino l’autorevole messaggio alle Camere del Capo dello Stato dell’8 ottobre scorso sulla situazione carceraria”. Napoli: detenuto invalido Angelo Rosciano, lascia Poggioreale per i domiciliari www.giornaledelcilento.it, 2 febbraio 2014 È tornato finalmente a casa Angelo Rosciano, 60enne di Polla fino ad oggi rinchiuso nelle carceri di Poggioreale a Napoli. Angelo Rociano costretto in carcere nonostante le condizioni di salute, si è visto riconoscere dal tribunale gli arresti domiciliari, anziché la detenzione in carcere. Di pochi giorni fa il grido d’aiuto della figlia, Carmela Rosciano: “Mio padre, detenuto nel carcere di Poggioreale, è molto malato. È affetto da una grave forma di diabete mellito alimentare e vive su una sedia a rotelle perché gli è stata amputata una gamba. È semicieco, arteriopatico e rischia di morire. Spero che torni a casa presto perché ha bisogno di cure”. “Ha bisogno di terapie quotidiane - ha detto la Carmela - deve seguire un’alimentazione specifica perché tra le tante problematiche non ha la coliciste”. L’uomo è dentro per il reato di ricettazione. “Un reato comune - continua Carmela - non un reato di sangue”. Sulmona (Aq): sciopero bianco della Polizia penitenziaria… ecco le richieste degli agenti www.corrierepeligno.it, 2 febbraio 2014 Si è svolta come prevista, presso la sala conferenze del carcere di massima sicurezza di Sulmona, l’assemblea dei poliziotti penitenziari di stanza presso il carcere peligno ed indetta da tutte le OO.SS. di categoria (Sappe, Uil penitenziari, Osapp, Cgil, Cisl, Sinappe, Cnpp, Ugl) e voluta fortemente da tutto il personale di Polizia Penitenziaria L’incontro, riferisce una nota delle OO.SS., al quale hanno partecipato un centinaio di persone ha avuto il merito di raccogliere il grido di allarme di tutti gli operatori penitenziari, nessuno escluso, riguardante le condizioni oramai insostenibili nelle quali si ritrovano ad operare. A causa della gravissima carenza di personale, più volte denunciata ad un’Amministrazione assente e che mai si è degnata di ascoltarci, prosegue il documento, i turni svolti dai poliziotti penitenziari e che arrivano in talune situazioni anche a 12 ore continuative, stanno minando e non poco le loro condizioni psico-fisiche. Posti di servizio scoperti, e molte volte accorpati, aggravano e non poco i carichi di lavoro oramai limitati al mero contenimento della sicurezza. Pochi giorni di congedo concessi con non poco sacrificio da parte dell’Ufficio servizi, salvo poi essere sistematicamente ridotti nel numero se non del tutto cancellati, non consentono quel recupero che in un lavoro così usurante si ha bisogno di ottenere. Si contano a migliaia le giornate di congedo residue non attribuite al personale. Sovraffollamento carcerario, che ha portato il numero dei detenuti sulla soglia delle 500 unità recluse e tutte di elevato calibro criminale, unito ad un numero di agenti sempre minore( 240 in luogo delle 310 del 2010) hanno raggiunto valori pazzeschi Se si pensa al fatto che sono circa un centinaio gli ergastolani o pluriergastolani presenti nel plesso ben si può capire la conseguente compressione psicologica che ne deriva nel gestirli a volte con una unità per 100 di essi. Condizioni igieniche ridotte al lumicino per rifiuti non conferiti in discarica, aumento esponenziale del numero di traduzioni e di piantonamenti dei detenuti , sovraccarico di lavoro per tutti gli uffici ed in special modo quello dei colloqui con i familiari, matricola, Comando, videoconferenze, sopravvitto e trattamentale stanno rendendo il lavoro un inferno. Gli stessi si son detti pronti a sostenere con forza tutte le manifestazioni di protesta utili per il raggiungimento degli obiettivi tra le quali: 1. richiesta da parte di tutto il personale di Polizia Penitenziaria, cosi come da contratto, di non effettuazione dello straordinario o, in subordine, il recupero delle ore effettuate attraverso riposi compensativi; 2. consegna di tutte le tessere elettorali per il totale immobilismo dimostrato dai politici di fronte ad una situazione carceraria esplosiva; 3. sciopero in bianco consistente nell’applicazione assidua di tutte le disposizioni di servizio; 4. sit-in di protesta, in data da destinarsi, dinanzi il Ministero della Giustizia; 5. eventuali, ulteriori e più eclatanti manifestazioni di protesta e che saranno portate ad oltranza qualora non saranno accontentate le seguenti richieste: a) Ridefinizione della pianta organica dell’istituto unilateralmente decurtata nei numeri da dirigenti che evidentemente non conoscono la realtà sulmonese e riproposizione di quella del Decreto Ministeriale del 2001 ( 328 unità di Polizia Penitenziaria) tenendo ben conto della nuova e più pericolosa caratteristica dei reclusi; b) Invio immediato di adeguato numero di agenti ed assistenti attraverso l’implementazione di un interpello straordinario su base nazionale; c) Regolare pagamento dello straordinario da parte del Mef evitando accantonamenti continue di ore; d) Concessione regolare di tutti i diritti soggettivi quali ferie, riposi, recupero ore etc.; e) Realizzazione, così come da regolamento penitenziario, delle docce all’interno delle celle detentive; f) Automatizzazione di tutti i cancelli; g) Nuovo apparato di videosorveglianza con implementazione di più sale regia. Salerno: corso di formazione per i volontari delle carceri, parla don Virgilio Balducchi www.salernotoday.it, 2 febbraio 2014 Don Petrone: “La necessità è quella di vivere un cambiamento di mentalità che deve partire innanzitutto dai presunti liberi e deve abbracciare il mondo dei detenuti”. “La chiesa è quella che rischia, che si sporca, non quella che cerca e vive nella tranquillità”. Queste le parole di Don Virgilio Balducchi, Ispettore generale dei cappellani delle carceri che, questa mattina, presso il Seminario “Giovanni Paolo II” di Pontecagnano-Faiano, è stato il relatore d’eccezione del primo corso di formazione per i volontari delle carceri organizzato dalla Casa Circondariale di Salerno, dal Capellano Don Rosario Petrone e dall’associazione Migranti Senza Frontiere - sezione volontari delle carceri. Circa 40, i partecipanti al percorso fortemente voluto da Don Rosario: “La necessità è quella di vivere un cambiamento di mentalità che deve partire innanzitutto dai presunti liberi e deve abbracciare il mondo dei detenuti che merita non solo l’attenzione da parte delle Istituzioni, ma anche della Chiesa e della società laica - ha sottolineato il Cappellano del Carcere di Salerno. È solo attraverso la relazione e la riscoperta della fraternità cristiana che è possibile aiutare i detenuti a far fronte alle difficoltà innaturali vissute ogni giorno, in un’ottica più estesa che guarda al perdono e alla liberazione autentica”. Tanta buona volontà ed umanità: questi gli unici due requisiti indispensabili per avvicinarsi al mondo del volontariato delle carceri. La sfida, come sottolineato oggi da Don Balducchi è “prendere su di sè il male, per spezzare le catene”: “È questo che ha fatto Gesù ed è questo che ci è chiesto di fare - ha osservato dinanzi all’attenta platea di volontari. Dare del bene e ricevere il male fa parte dell’essere credenti”, ha concluso l’Ispettore. Ultimo appuntamento, dunque, è fissato per l’8 febbraio, al Seminario, quando l’Arcivescovo Luigi Moretti consegnerà gli attestati ai partecipanti del corso di formazione. Un’esperienza toccante. Saluzzo (Cn): per sostenere il Progetto “Parol-Scrittura”… adotta una bolla di sapone www.targatocn.it, 2 febbraio 2014 Il saggio conclusivo del laboratorio di Lettura ad alta voce, nella casa di reclusione Morandi, ha visto impegnati 12 detenuti del circuito Alta sicurezza ed ha presenta il progetto europeo promosso da Cascina Macondo che coinvolge 14 carceri in 5 paesi. Nel salone del carcere Morandi di Saluzzo, in un pomeriggio qualsiasi di alcuni giorni fa, è stata una sorpresa riscoprire il piacere infantile di ascoltare il suono della parola, attraverso storie e racconti letti ad alta voce, da un gruppo di detenuti. E prima della lettura, la melodia di strumenti insoliti che, come un rituale, annunciava l’alternarsi dei protagonisti del saggio di “Lettura ad alta voce” che si teneva in carcere, davanti agli ospiti esterni: Ahmad, Antonio, Antonino, Bruno, Francesco, Matteo, Massimiliano, Paolo, Preng, Riccardo, Salvatore, Totò, al primo debutto pubblico, sono stati applauditi per la loro “prova d’attore” Ad aprire l’evento, l’ultima lezione del corso del carismatico maestro, Pietro Tartamella, direttore artistico della Cascina Macondo di Riva Presso Chieri, associazione di promozione sociale che ha portato nella casa di reclusione saluzzese, dall’ottobre scorso, il laboratorio di lettura del progetto europeo “Parol-Scrittura ed arti nelle carceri. Oltre i confini - oltre le mura”, a cui hanno aderito, per l’Italia, il Morandi e la casa Circondariale “Lorusso-Cutugno” di Torino. “Parol” è un progetto di cooperazione internazionale, finanziato in parte da fondi europei che vuole costruire connessioni tra il sistema penitenziario e la società, attraverso attività artistiche, promuovendo i valori dell’inclusione e della cittadinanza, indirizzata ad una biunivoca responsabilità sociale: dai detenuti alla società, dalla società ai detenuti, ha spiegato il direttore della Casa di reclusione saluzzese Giorgio Leggieri. “Il carcere, è una comunità che vive dinamiche del vivere quotidiano e fa parte della società “ ha continuato sottolineando il segnale dato dal saggio e dal laboratorio che ha coinvolto 12 detenuti del circuito di alta sicurezza. Attraverso l’attività artistica, i detenuti esplicitano parole e pensieri all’esterno, possono aumentare la loro autostima e il senso di responsabilità. “Queste iniziative sono valori in termini di prospettiva di inserimento e di partecipazione, come le altre attività portate avanti all’interno del Morandi. In primis quella scolastica del liceo artistico Soleri- Bertoni ormai radicata, oltre all’appuntamento annuale di Voltapagina del Salone del Libro di Torino e il teatro in carcere”. La Casa di reclusione, luogo della pena, visto come spazio pieno di situazione estreme e di commiserazione, può essere viene vissuto in una dimensione di normalità, di condivisione, grazie ad iniziative come questa che fanno dialogare detenuti e ospiti esterni. Tra questi, per la volta il gruppo di ragazzi disabili della Compagnia integrata (normalità & disabilità) “ Viaggi fuori dai Paraggi” di Cascina Macondo, coinvolta nel progetto. “Parol” - ha spiegato Pietro Tartamella - si propone di coinvolgere oltre 200 detenuti in 14 carceri di 5 paesi europei ( Italia, Belgio, Grecia, Polonia, Serbia) in percorsi di formazioni artistiche di qualità, per attivare relazioni e scambi, tra il mondo prigioniero e il mondo libero e innescare un processo di cittadinanza europea”. Il progetto della durata di tre anni, prevede laboratori di arti plastiche e visive con la produzione di manufatti. Uno sarà lasciato al carcere, un altro al Comune di Saluzzo - ha continuato Tartamella rivolto al sindaco Allemano (presente anche l’assessore provinciale alla Cultura Licia Viscusi) con l’invito a pensare ad una collocazione in città. Un manufatto sarà inviato come dono ad una delle carcere europee coinvolte nel progetto e sono previste mostre collettive in luoghi pubblici. Verranno presentati spettacoli teatrali e anche la compagnia “ Viaggi Fuori dai Paraggi” presenterà qui un suo lavoro, aperto al pubblico esterno e ai detenuti, i quali a loro volta saranno in scena, a fine laboratorio. Ma per portare a compimento il percorso triennale di Parol Cascina Macondo lancia un appello con l’iniziativa “ Adotta una bolla di sapone”. “In Italia sono circa 65.000 i detenuti ospiti delle nostre prigioni sovraffollate e stretti nelle piccole celle e dai pregiudizi della società civile. Il costo del progetto italiano Parol, ammonta a circa 65.000 euro. La Commissione Europea lo sostiene il con un contributo di 26.400 euro. La cifra rimanente (38.600 euro) dobbiamo trovarla noi - conclude Tartamella. E allora dall’equazione: 65.000 euro per 65.000 detenuti, ecco l’iniziativa: adotta una bolla sapone del valore di 1 euro o adotta un grappolo di bolle di sapone per sostenere il progetto”. Ad oggi ne sono rimaste “orfane” 32.088. Napoli: “Adesso. Sotto una buona stella”, iniziativa in favore del minori detenuti a Nisida Metropolis web, 2 febbraio 2014 “Adesso - Sotto una buona stella” questa la nuova iniziativa promossa dall’Associazione Onlus “Il meglio di te” in collaborazione con la Banca della Campania a sostegno dei giovani ospiti dell’Istituto Penale per i Minori di Nisida. Duemilacinquecento euro è la cifra di partenza su cui edificare una raccolta fondi più cospicua. Al fine di allargare ulteriormente la portata del contributo offerto è stato acceso un conto corrente dedicato - enuncia il Capo Area territoriale Napoli/Caserta della Banca della Campania dott. Biagio Canora - siamo fiduciosi e speriamo di coinvolgere i nostri clienti in questa azione benefica, oltre anche i dipendenti e tutti coloro che vorranno parteciparvi. “Adesso - Sotto una buona stella” l’ultimo progetto che si va ad affiancare ai tanti già in atto per invogliare la creatività dei minori detenuti nelle carceri dell’isola, un’attività che punta a tenerli lontano dagli errori del passato, affinché, una volta scontata la pena, possano sfruttare le nozioni imparate durante il periodo di reclusione. Giorno dopo giorno, da 5 anni, abbiamo riattivato i forni all’interno della struttura. I nostri maestri ceramisti portano avanti i corsi per i ragazzi al fine di impegnarli in lavori dal significativo valore culturale - spiega l’avvocato Fulvia Russo, presidente della Fondazione. Dal 2006 l’Associazione Onlus “Il meglio di te” opera in favore dei giovani detenuti dell’I.P.M. Di Nisida, con un piano di avviamento al lavoro e, dal 2009, porta avanti anche il finanziamento, l’organizzazione e la gestione delle attività del laboratorio di ceramica. Oggi la nostra rete di sostegno si è allargata grazie anche alla partecipazione di Banca della Campania al progetto - ha sottolineato il dott. Gianluca Guida, direttore dell’Istituto Minorile partenopeo - questo testimonia il riconoscimento e la credibilità delle numerose attività che vengono svolte all’interno della struttura e permette di offrire nuove e più significative opportunità per i ragazzi. Rimini: un ex detenuto denuncia; carcere sovraffollato, porzioni scarse e cibo rancido www.altarimini.it, 2 febbraio 2014 In Inghilterra ha preso piede la “Campaign for Better Hospital Food”, iniziativa con cui i responsabili denunciano la minor qualità del cibo servito negli ospedali, rispetto a quello servito in carcere. In Italia si parla spesso del sovraffollamento delle carceri e delle condizioni in cui si trovano ad alloggiare i detenuti, raramente del cibo. Un ex detenuto ha scritto invece alla redazione della Voce di Romagna, affrontando il tema del “vitto” e denunciandone la sua scarsità. Si comincia con un bicchiere di latte al mattino, allungato con l’acqua. Si prosegue con il pranzo: due mestoli di pasta, una fetta di carne “trasparente che per durezza non ha nulla da invidiare ad una suola per scarpe”. Infine la cena, “la solita brodaglia” e la frutta con il baco nel carrello. L’ex detenuto non chiede per la sua ex categoria pasti cucinati da Antonino Cannavacciuolo o Carlo Cracco, ma si domanda: “Come può una persona alta 185 cm e che pesa 90 chili nutrirsi con 80 grammi di cibo al giorno?”. Può sembrare una questione che riguardi solo chi si trova a dover pagare il suo conto con la legge, ma non è così. “Ogni detenuto costa 250 euro al giorno allo Stato, quindi ai cittadini; dove finiscono tutti questi soldi, mentre il disgraziato di turno fa la fame davvero ?”, si chiede infine l’ex carcerato. Sassari: droga in carcere, dichiarazioni pentito su collusioni tra poliziotti e detenuti La Nuova Sardegna, 2 febbraio 2014 Negli scritti di Giuseppe Bigella (il reo confesso del delitto Erittu che rivelò i retroscena dello spaccio di droga in carcere) erano contenuti tutti i dettagli sul “movimento” della droga. “Facemmo un’analisi degli scritti di Bigella - ha raccontato ieri l’allora capitano del nucleo operativo radiomobile dei carabinieri di Sassari, Livio Rocchi - Veniva descritta l’attività di spaccio in carcere. Bigella spiegava perché quella droga era lì, chi l’aveva commissionata e chi ne faceva uso”. Un resoconto dettagliato, insomma, che agli investigatori è servito per capire alcune dinamiche. E siccome il pentito era considerato attendibile, le sue rivelazioni, scritte e verbali, fecero partire l’inchiesta sul traffico di droga all’interno del carcere. Così, in una delle ultime udienze, aveva riferito ai giudici del collegio presieduto da Salvatore Marinaro, il direttore del carcere Patrizia Incollu. Ieri c’è stata una nuova udienza del processo scaturito dalla maxi-inchiesta “Casanza” sulla droga che sarebbe circolata a San Sebastiano, fino al 2008. Giuseppe Bigella - teste chiave anche nel processo sulla morte del detenuto sassarese Marco Erittu - aveva parlato di spaccio e connivenze tra detenuti e alcuni agenti. E aveva dato il via all’inchiesta che vede Pino Vandi come figura chiave dello spaccio. Poi erano arrivati gli altri collaboratori di giustizia, Pasquale Cozzolino e Giovanni Brancaccio, a confermare in gran parte le sue dichiarazioni. E ancora, intercettazioni, ambientali e telefoniche, e le indagini affidate al nucleo di Polizia Penitenziaria. Bigella aveva ottenuto all’interno del carcere la mansione di “scrivano” che gli consentiva di muoversi con libertà tra un braccio e l’altro. “Le sue informazioni - aveva detto la Incollu - consentirono di effettuare diversi sequestri di sostanze stupefacenti”. Immigrazione: dalle bocche cucite alle troppe parole inconcludenti dei nostri governanti di don Aldo Buonaiuto Il Velino, 2 febbraio 2014 La situazione vissuta da tanti immigrati nei Centri di Identificazione e di Espulsione del nostro Paese sta diventando sempre più incandescente. A dimostrarlo l’ennesima provocazione choc messa in atto pochi giorni fa da 13 marocchini reclusi nel Cie romano di Ponte Galeria che si sono cuciti la bocca per attenzionare l’opinione pubblica sul terribile status di migliaia di detenuti nei 13 centri nazionali. Stranieri irregolari sbarcati sulle nostre coste, spesso dopo viaggi al limite della sopportazione umana e violenze ripetute da parte dei cosiddetti scafisti, in fuga da zone di guerra o di crisi umanitaria come l’Egitto, la Tunisia e la Libia, vengono definiti “ospiti”, ma nella pratica devono sostare coercitivamente in uno di questi centri anche fino a 18 mesi. Queste strutture, istituite dalla legge “Turco-Napolitano” del 1998 e denominate inizialmente Centri di Permanenza Temporanea (Cpt), sono state create per trattenere gli stranieri “sottoposti a provvedimenti di espulsione e/o di respingimento con accompagnamento coattivo alla frontiera” nel caso in cui il provvedimento non sia direttamente eseguibile. La successiva legge integrativa del 2002, Testo Unico delle disposizioni circa la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero (più nota come “Bossi-Fini”) fa un ulteriore passo indietro prevedendo che le persone trovate nel territorio italiano senza permesso di soggiorno ma con un documento di identità (definite dunque “irregolari”) venissero espulse immediatamente con “l’accompagnamento alla frontiera” da parte della forza pubblica; se, invece, il soggetto venisse trovato anche senza documenti di identità (qualificato come “clandestino”) dovrà rimanere detenuto nel Cie per un periodo di sessanta giorni durante i quali si svolgeranno le pratiche per l’identificazione e il successivo rimpatrio. La nuova legge ammette, inoltre, la possibilità dei respingimenti in mare in acque extra-territoriali verso il Paese d’origine, allo scopo di impedire alle imbarcazioni di attraccare in Italia. Questa pratica viola l’articolo 18 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea, che recepisce a sua volta il principio stabilito dalla Convenzione di Ginevra, secondo cui gli Stati non possono rinviare i rifugiati in Nazioni dove questi sono perseguitati e rischiano la vita. Negli oltre 10 anni dall’entrata in vigore della “Bossi-Fini”, sono state numerosissime le critiche pervenute da forze politiche, anche europee, da associazioni attive sul campo dell’immigrazione e da semplici cittadini. Dopo il drammatico naufragio di Lampedusa costato la vita a più di 300 persone, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha espresso chiaramente le proprie perplessità: “Credo che una delle verifiche che vadano rapidamente fatte è quali norme di legge ci sono che fanno ostacolo ad una politica dell’accoglienza, degna del nostro Paese e rispondente a principi fondamentali di umanità e solidarietà”. Nei confronti degli stessi Cie si sono levate numerose denunce, come la relazione redatta dalla Corte dei Conti nel lontano 2003 secondo cui le spese destinate a tali “lager” ammontavano, già al tempo, a quasi 30 milioni di euro. Oggi si presuppone superino addirittura i 100 milioni! A ben vedere questi centri sono assimilabili a dei campi di prigionia dove vengono ammassati, senza diritti, coloro che hanno la colpa di essere fuggiti dalla propria terra nella speranza di trovare lavoro e pace in Italia. Il ddl sicurezza, introducendo il cosiddetto “reato di clandestinità”, crea grandi sofferenze e nuove forme di persecuzioni, non ignorabili da una società che si definisce civile, verso quelle persone bisognose che vengono così ulteriormente private di assistenza e soccorso. La coscienza di qualsivoglia cittadino dovrebbe ribellarsi ad una disposizione di legge che disconosce la dignità ed i valori dei più deboli, soprattutto in un momento in cui siamo tutti più poveri e quindi dovremmo sentirci più che mai fratelli. L’Italia perde così il senso della democrazia e della solidarietà diventando forte con i miseri e condannando gli immigrati irregolari ad una clandestinità più estrema o alla reclusione in catapecchie spacciate per strutture organizzate, senza concedere il diritto sacrosanto alla libertà e al rispetto che dovrebbero venire riconosciuti ad ogni essere umano, senza distinzioni di nazionalità e di condizione socio-economica. Speriamo che le provocazioni portate avanti in questi mesi dai tanti extra-comunitari rinchiusi nei Cie servano a risvegliare le coscienze di quei politicanti che, non conoscendo l’indigenza, rimangono indifferenti alle necessità del misero che grida aiuto. È auspicabile, inoltre, che la forte provocazione delle bocche cucite non rimanga semplicemente, come spesso accade nel nostro Bel Paese, una notizia tra le tante per riempire qualche pagina di giornale. Immigrazione: Carta di Lampedusa. Marroni: i detenuti scontino la pena nel loro Paese Corriere della Sera, 2 febbraio 2014 L’idea del Garante: “Accordi bilaterali. Detenzione a casa ma per un periodo più lungo di quello previsto qui. Non più Cie ma Rimpatrio Volontario Assistito”. Sono due le proposte del Garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, per dare un contributo alla Carta di Lampedusa, il documento che vedrà la luce oggi e che analizza le criticità dell’immigrazione e come affrontarle. La prima proposta si basa su “accordi bilaterali e identificazione in carcere”. “L’obiettivo degli accordi - spiega Marroni - è di permettere ai detenuti di scontare la pena nel loro Paese, per un periodo non superiore a quello previsto dal codice italiano. Per rendere tali operazioni fattibili occorre istaurare una procedura di identificazione dello straniero in carcere”. La seconda proposta, invece, parla di “Superamento del Sistema Cie e potenziamento della Misura Rva”. “Sarebbe pertanto auspicabile introdurre forme di rimpatrio volontario nei Paesi d’origine - conclude il Garante - incentivando la realizzazione di progetti appartenenti al programma Rva (Rimpatrio Volontario Assistito), finanziato dal Fondo europeo per i rimpatri. L’introduzione programmatica di questa misura permetterebbe non solo di evitare il trattenimento nei Cie ma anche di allineare maggiormente le politiche migratorie italiane alle linee guida affermate nella direttiva 115/2008/Ce (cosiddetta direttiva rimpatri)”. Immigrazione: terminata la protesta al Cie di Roma, i 13 migranti si sono scuciti la bocca Adnkronos, 2 febbraio 2014 È finita la protesta choc nel Cie di Ponte Galeria, a Roma. Infatti, a quanto apprende l’Adnkronos dall’Ufficio del garante dei detenuti del Lazio, si sono scuciti la bocca i 13 immigrati che da sabato scorso avevano manifestato il loro dissenso, simulando lo stesso gesto che a dicembre fecero altri immigrati contro le condizioni e i tempi di permanenza nel Cie. Oltre a scucirsi la bocca è terminato anche lo sciopero della fame. Infatti i 13 immigrati che da circa una settimana stavano manifestando il loro dissenso contro le condizioni e i tempi di permanenza del Cie, non ritiravano i pasti forniti dall’amministrazione e a digiunare erano anche altri ospiti del Cie. “Queste persone hanno deciso di interrompere la loro protesta per sfinimento non perché i loro problemi sono stati risolti”, commenta il garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni. “Terminata la protesta e spenti i riflettori dei media - prosegue - tocca alla politica fare in modo che la complessa questione dell’immigrazione non torni nel dimenticatoio”. Sulla protesta choc al Cie di Ponte Galeria, il Garante aveva inviato una lettera al ministro dell’Integrazione Cècile Kyenge, invitandola a visitare la struttura romana “per constatare di persona le condizioni di vita all’interno della CIE e per ascoltare le ragioni dei migranti che avevano deciso di cucirsi le labbra”. Nelle scorse settimane, Marroni aveva accompagnato il ministro in visita al carcere di Rebibbia Femminile e, in quella occasione, si erano confrontati su temi di attualità come la gestione dei flussi migratori e la presenza degli stranieri in carcere. Intanto il Garante ha inviato il suo contributo alla Carta di Lampedusa, il documento che vedrà la luce oggi, sull’isola. Ideata dopo la strage del 3 ottobre 2013, la Carta è un documento storico perché, tramite un open document, si è arrivati a definire che cosa non va e come affrontare, con soluzioni concrete, il tema dell’immigrazione. Secondo il Garante, nell’ultimo decennio il dibattito sull’immigrazione è stato caratterizzato da temi come la “criminalizzazione dello straniero irregolare, l’allontanamento dei migranti, i controlli militari alle frontiere. Un comportamento alimentato da operazioni mediatiche tese ad esaltare la paura della diversità e che ha avuto la conseguenza di affermare una maggiore propensione alla marginalità sociale dei cittadini stranieri, spesso accompagnata da forme di intolleranza razziale”. Per questo, osserva l’Ufficio del Garante, non desta stupore il fatto che un terzo dei detenuti è composto da stranieri. L’incidenza degli stranieri in carcere è cresciuta con l’aumento della presenza di migranti in Italia; se alla fine del 1991 i detenuti stranieri erano il 15,1% del totale, a novembre 2013 la percentuale era del 37%. India: caso marò, adesso l’Europa alza la voce di Giampaolo Cadalanu La Repubblica, 2 febbraio 2014 L’Europa alza la voce con l’India, o quanto meno lo fa per conto dell’Unione il vicepresidente della Commissione, Antonio Tajani, riprendendo le parole di José Manuel Barroso. Nei giorni scorsi il presidente aveva detto di essere “molto preoccupato”, ipotizzando che “se questa situazione non sarà gestita in modo adeguato, potrebbe comportare conseguenze nei rapporti tra l’Ue ed i partner indiani”. Tajani sottolinea che “Barroso è stato molto chiaro, l’Europa è contro la pena di morte. Rispolverare la questione della pena di morte ai marò vorrebbe dire creare problemi seri fra l’India, l’Italia e l’Europa. Spingerebbe l’Unione europea a rivedere la trattativa sull’accordo di libero scambio con l’India”. La pressione europea è diretta sul governo di New Delhi, perché scongiuri l’adozione per i due militari italiani della legge anti-pirateria e anti-terrorismo, che prevede anche la pena capitale. Ma secondo il ministro degli Esteri Emma Bonino, “l’India non può applicare la legge anti-pirateria, perché i nostri marò erano in servizio”. In realtà la situazione legislativa dei due italiani è poco definita: sarà la Corte Suprema a decidere, domani, sulle obiezioni sollevate dall’Italia e sugli interrogativi della polizia investigativa indiana, che ancora deve stabilire il capo d’imputazione. Non è chiaro quale sia la fondatezza delle minacce di Tajani: l’India è un mercato immenso e partner produttivo di primo piano per l’Europa, le trattative per l’accordo di libero scambio vanno avanti dal 2007, è difficile immaginare che siano messe in discussione senza adeguate consultazioni. Ma il nodo è altrove: l’atteggiamento rigido verso i due italiani appare legato alla prospettiva delle elezioni indiane. A fine maggio scade il mandato del Lok Sabha, la camera bassa della federazione, e in piena campagna elettorale gli avversari del partito del Congresso sfruttano l’incidente dei due pescatori uccisi al largo del Kerala in chiave nazionalista anti-italiana, collegandolo con le origini della presidente del partito, Sonia Gandhi e affiancandolo alle polemiche sull’acquisto da parte indiana di alcuni elicotteri dell’anglo-italiana Agusta-Westland. A raffreddare in parte l’allarme è arrivata anche la stampa indiana, secondo cui E governo di New Delhi fa pressioni perché la legge anti-terrorismo non venga invocata contro i due italiani. Sul caso è curiosamente intervenuto ieri anche Ignazio Larussa: l’ex ministro della Difesa ha ripreso le parole del presidente Napolitano, che aveva definito la vicenda “sconcertante”. Per Larussa “accorgersi solo adesso della gravità del fatto e non fare nulla di concreto è criminale”. Sulle parole del ministro Emma Bonino, che nei giorni scorsi ricordava come fosse stato proprio Larussa a volere “un decreto che prevedeva la presenza di militari su navi civili, senza stabilire perbene le linea di comando”, nessun accenno. Gran Bretagna: chiude definitivamente Reading Gaol, il carcere di Oscar Wilde di Enrico Caporale La Stampa, 2 febbraio 2014 Le sue mura hanno assistito a decenni di sofferenza, esecuzioni, soprusi. Oscar Wilde lo rese celebre con “The Ballad of Reading Gaol”. L’opera racconta la brutalità del carcere, la pena di morte, l’alienazione dei detenuti. Un’alienazione che il poeta fu costretto a subire tra il 1895 e il 1897, dopo che la giustizia britannica lo aveva condannato al massimo della pena per sodomia. Ora, scrive il giornale inglese “Daily Mail”, il penitenziario Reading Gaol, nel Berkshire, verrà finalmente chiuso. Ancora non si conosce il suo destino, ma una cosa è certa: nessuno proverà più i tormenti della cella numero 33, ala C. Qui Wilde si ammalò di gotta, soffrì i dolori di un gravissimo ascesso a un orecchio, subì le angherie di carcerati e secondini. Con il terrore perenne di impazzire (terrore che lui stesso raccontò in una lettera al direttore del carcere, definendo la sua “follia sessuale” una “malattia da curare”). Recentemente, dopo essere stato utilizzato tra le due guerre mondiali come base militare e luogo di internamento per i prigionieri, il penitenziario era diventato un carcere minorile. Poi la decisione del ministero della Giustizia di porvi i sigilli. Troppa sofferenza raccontavano quelle mura. Bolivia: attività del Centro di riabilitazione per giovani e adolescenti privati di libertà di Mirko Olivati (Volontario ProgettoMondo Mlal) Ristretti Orizzonti, 2 febbraio 2014 A Qalauma, centro di Riabilitazione per Giovani e Adolescenti privati di libertà, il nuovo anno si preannuncia ricco di attività interessanti per i ragazzi. Gli ultimi mesi del 2013 sono stati infatti importanti per lo svolgimento di molti corsi proposti dal Programma Liber’Arte che si sta svolgendo in collaborazione con ProgettoMondo Mlal. Alcuni giovani reclusi hanno persino avuto la possibilità di uscire dal Centro per presentare le loro abilità artistiche durante due eventi pubblici, in novembre a El Alto e in dicembre nella Piazza San Francisco nel centro di La Paz, in occasione delle celebrazioni per la commemorazione dell’anniversario della dichiarazione dei diritti umani. I corsi proposti a Qalauma sono stati svariati, oltre a quelli permanenti, di carpenteria, agronomia, cucina e panificio, i ragazzi sono stati coinvolti in corsi bimestrali e trimestrali dal contenuto artistico e culturale. Le lezioni di chitarra tenute da Miguel Gutierrez, per esempio, hanno intrattenuto 15 ragazzi che hanno così appreso le basi per poter suonare: gli insegnamenti teorici su accordi e melodie, si sono combinati con l’insegnamento della pratica, cosicché i partecipanti potranno esercitarsi su una base ben concreta. Di grande interesse è stato anche il corso tenuto dall’organizzazione artistica Compa che opera a El Alto. Quest’ultima ha infatti proposto un corso di arte video-visuale, e i ragazzi, circa venti, sono stati accompagnati nella creazione di un cortometraggio, un videoclip in cui sono emerse le loro doti artistiche. L’entusiasmo dei giovani utenti è stato grande, e il prodotto finale di ottima qualità, tanto che gli educatori di Compa hanno deciso di far partecipare il cortometraggio a un concorso di cinema di El Alto, e il breve filmato si è aggiudicato il premio per la tematica più originale. Certamente l’esperienza si ripeterà quest’anno! Un’altra attività che ha appassionato i ragazzi tanto da essere rinnovata per altri tre mesi è quella di disegno grafico: nella sala di informatica del Centro i ragazzi hanno imparato a utilizzare programmi come Photoshop per disegnare volantini, cartelloni e copertine per Cd. Oltre a tutto questo si sono succeduti corsi di musico-terapia e teatro, e chiaramente non poteva mancare un torneo di calcio a 5 presso la palestra del Centro; inoltre il gruppo musicale creato dai ragazzi di Qalauma, i Sentencia, ha continuato a provare le cover delle canzoni preferite. Questo gruppo di 7 ragazzi è stato invitato a suonare alla piazza centrale di La Paz, San Francisco, dove si è esibito con entusiasmo davanti a un pubblico folto e interessato. Anche Angel e Fernando, due giovani che stanno vivendo a Qalauma, hanno avuto la possibilità di esibirsi presentando i loro pezzi hip-hop in un evento pubblico tenutosi in una piazza de El Alto, ottenendo un ottimo successo soprattutto in virtù dei loro testi che ci ricordano come i ragazzi privati di libertà mantengano la voglia e abbiano il coraggio di riscattare questo periodo difficile della loro vita: “voglio uscire da ciò in cui mi sono messo, tornare a vivere, risorgere come la fenice” recita il brano più applaudito del duo. Visto il successo delle attività svolte nell’anno appena concluso, si respira una grande fiducia per le proposte di questo 2014. Il corso di disegno grafico è già ripreso con la partecipazione di altri 10 ragazzi. Anche le lezioni di musico-terapia stanno continuando, con l’ambizioso obiettivo di preparare un varietà radiofonico che potrà andare in onda nei prossimi mesi; Pamela e Evelyn, le volontarie che organizzano questo corso, stanno lavorando per dare la possibilità al gruppo Sentencia di incidere un primo album. A metà gennaio sono poi cominciati altri due corsi di grande interesse: Jhonny, uno dei giovani reclusi, si è coraggiosamente proposto di tenere un suo corso di disegno: sarà affiancato da un educatore e sono già 15 i ragazzi che hanno deciso di partecipare a quest’attività. Inoltre è iniziato anche un corso di letteratura e scrittura creativa, con l’obiettivo di creare un libro di racconti scritti dai ragazzi, lo stesso corso prevede anche la costruzione di maschere con garze di gesso, una maniera per avvicinare i ragazzi al mondo della letteratura distaccandosi da metodi frontali e accademici. Sempre a gennaio Pawel, un volontario polacco, sta tenendo una serie di incontri per presentare ai ragazzi le tradizioni, la musica, la storia e la geografia del proprio paese: la proposta è stata molto apprezzata dai primi due gruppi di 15 giovani, tanto che l’incontro si ripeterà per gli altri ragazzi. Naturalmente si attende l’inizio di altre attività, si terrà per esempio un corso di fotografia, uno di marionette, e l’organizzazione Compa tornerà al centro per proporre la creazione di un nuovo cortometraggio, visto il successo della prima produzione. Questo fiorire di attività dimostra quanto i giovani di Qalauma sentano la necessità di svolgere una grande varietà di progetti che li possano mettere nella condizione di esprimersi, di sfogarsi, di imparare, di avvicinarsi all’arte o apprendere le basi di una professione; tutto questo con l’entusiasmo proprio dei giovani, e con la consapevolezza che un giorno quello che stanno imparando e conoscendo nel Centro potrà essere una base solida e valida per riprendere la propria esistenza nella società, riscattando così questo periodo difficile della propria vita. L’impegno di ProgettoMondo e del Programma Liber’Arte si propone costantemente di aiutare i giovani in questa direzione: la presenza di volontari internazionali e di educatori è di un’importanza strategica per i ragazzi privati di libertà, i quali possono contare su persone che hanno la voglia di mettere le proprie conoscenze, abilità e sensibilità a loro disposizione. Il 2014 è iniziato nel modo migliore sotto questo punto di vista, e le varie attività avranno senz’altro un seguito importante.