Giustizia: ancora sovraffollamento, 61.449 detenuti in 47.711 posti disponibili nelle 205 carceri italiana www.clandestinoweb.com, 28 febbraio 2014 Il 2014 non è si è aperto con dati rassicuranti in fatto di carceri. Un bilancio stimato evidenzia come siano stati 9 i sudici all’interno degli istituti penitenziari e 23 morti nel totale, solo in meno di due mesi. Ci si aspettava molto dallo "svuota carceri", ma così non è stato perché l’effetto sperato era un bilanciamento del sovraffollamento che rende disumane le condizioni dei detenuti. Il neo ministro della Giustizia, Andrea Orlando, aveva già resi noti alcuni numeri in fatto di capienza e appunto sovraffollamento. "Sono 61.449 i detenuti stipati in 47.711 posti disponibili nelle 205 carceri italiane, un numero che da solo la misura del problema del sovraffollamento". Nelle celle italiane monta la collera dei detenuti e se si getta anche in questo caso un rapido sguardo alle cifre è evidente come le condizioni di salute, di igiene e quelle relative alle condizioni psico-fisiche sono drammatiche. Il 47% dei detenuti in Italia si trova in attesa di giudizio e il 30% di costoro "risulteranno innocenti secondo le recenti statistiche, è evidente che mettere mano alla carcerazione preventiva, ed all’abuso che di questa spesso si fa da parte delle procure, non è un atto di clemenza o di buonismo, ma di legalità", si legge sulle pagine online di PolisBlog. Secondo la Corte Europea dei diritti dell’uomo ogni detenuto dovrebbe avere disponibili almeno tre metri quadri di spazio a testa, ma questo non viene sempre garantito dallo Stato italiano. Intanto il Partito Radicale, sempre in prima linea per sensibilizzare le istituzioni sul tema dell’amnistia e delle carceri in Italia, ha lanciato una nuova iniziativa "Satyagraha", che partirà proprio oggi. "Anche alla luce dell’incontro che dovrà esserci a breve con il Ministro della Giustizia Andrea Orlando, da lui richiesto, crediamo che sia fondamentale far parte e allargare il nostro Satyagraha che, non necessariamente dovrà limitarsi al tradizionale sciopero della fame, ma che auspicabilmente dovrà vederci impegnati a scandire i novanta giorni che ci separano dal 28 maggio con iniziative quotidiane che possono essere di tipo diverso", si legge sul sito di Radicali italiani. Giustizia: ecco quattro riforme a costo zero di Gian Carlo Caselli Il Fatto Quotidiano, 28 febbraio 2014 Modificare la prescrizione e il sistema delle impugnazioni, abolire l’appello e reintrodurre il falso in bilancio: serve coraggio, ma si può fare. Si torna a parlare di riforma della giustizia. La misura è colma: costi e tempi vergognosi fanno di quella italiana una denegata giustizia. Ma da sempre le denunce restano senza terapie. Semmai qualche tentativo di riformare non la giustizia ma l’indipendenza dei giudici. Per contro sono possibili, subito e a costo zero, interventi decisivi. A cominciare dalla prescrizione, che soltanto in Italia non si interrompe mai, mentre ovunque altrove si interrompe con il rinvio a giudizio o con la sentenza di primo grado, o - a tutto concedere - con quella di appello. Da noi niente. E allora conviene sempre allungare il brodo all’infinito perché arrivi la prescrizione che tutto azzera. Ma così i processi non finiscono mai e qualunque riforma che non toccasse la prescrizione si risolverebbe in una presa in giro. Poi c’è il sistema delle impugnazioni. Oggi, per andare subito a un esempio concreto, l’imputato confesso di un reato da niente, perciò condannato al minimo della pena, ricorre lo stesso. Sempre e comunque. In appello la pena (reo confesso condannato al minimo) sarà ovviamente confermata. Al che l’imputato - sempre più incredibile - ricorre persino in Cassazione, pur sapendo che non c’è niente da sperare. Morale: tutti ricorrono, il sistema si ingolfa, i tempi rallentano e i processi si allungano. Occorrono (eppure non si fa) dei filtri di grado in grado, che impediscano o fortemente sconsiglino i ricorsi inutili. Per esempio si potrebbe finalmente abolire un retaggio del diritto romano, il cosiddetto divieto di reformatio in pejus, grazie al quale se a ricorrere è soltanto lui, l’imputato non rischia assolutamente nulla, perché è vietato peggiorare di un solo giorno o euro la condanna già inflitta. Ultra comodo, al punto che non ricorrere è masochismo. C’è poi un intervento in radice, di sistema, che ritengo indifferibile. Tra civile e penale abbiamo ben nove milioni di processi arretrati. Una montagna contro cui qualunque riforma è destinata a schiantarsi. Bisognerebbe avere il coraggio di abolire tout court il grado di appello. Così si ricupererebbe una quantità consistente di magistrati, segretari e cancellieri, da destinare in una prima fase esclusivamente all’elimi - nazione dell’arretrato. Poi andrebbero concentrati sul primo grado che ne trarrebbe una forte accelerazione, mentre la scomparsa dell’appello dimezzerebbe - se non più - i tempi dei processi. Certo, lo ripeto, ci vuole un gran coraggio. Ma è necessario (pur essendo scontato che le voci contrarie sarebbero un mare) per non soccombere sotto un cumulo di macerie. Si torna a parlare, poi, di falso in bilancio. L’attuale disciplina è una iattura. Perché allenta fortemente le regole dell’impresa favorendo i più forti. Rende opache le regole dell’economia pregiudicandone credibilità e affidabilità. Dissuade risparmiatori e investitori. Oscura tutta una serie di "spie" tecniche utilissime perché non restino sommersi fatti di corruzione o di economia illegale, anche mafiosa. Urge dunque una riforma. Anche per chi - come il nuovo premier - chiede che cessi il "derby ideologico" fra politica e giustizia. Ora, se derby è sinonimo di scontro ad armi pari - dissentono i tifosi del Toro, scottati da certi arbitraggi - è improprio parlare di scontro quando uno solo, la politica, le dà e l’altro le prende. Comunque sia, è facile vedere che nella storia del "derby" entra anche il falso in bilancio. Perché, al netto della propaganda, è un fatto che un’infinità di processi è cominciata quando il falso in bilancio era reato; - ma a processo aperto le regole sono state allegramente cambiate con la depenalizzazione, e i processi sono stati rottamati "perché il fatto non costituisce più reato". Uno dei tanti esempi di leggi ad personam, ma in questo caso al danno si sono aggiunte beffe devastanti. Benzina per il preteso "derby". Chi con la depenalizzazione del reato è stato "graziato" (magari in decine di processi), ha poi avuto la sfrontatezza di dire: vedete, decine di volte i Pm mi hanno accusato e decine di volte sono stato poi assolto. Un accanimento perverso. Ce l’hanno con me. Questi orridi magistrati invece che giustizia fanno politica! Falso, ma così nasce la storia del "derby". Per cui, quando sull’attuale disciplina del falso in bilancio sarà messa una croce, non sarà mai troppo presto. Giustizia: Human Rights Practices; in Italia emergenza per carceri e centri immigrati Agi, 28 febbraio 2014 Il sovraffollamento delle carceri, le condizioni dei "centri di detenzione" per gli immigrati e la corruzione sono tra i "principali problemi" dell’Italia per quanto riguarda le violazioni dei diritti umani. È quanto sottolinea il Dipartimento di Stato americano nel Rapporto 2013 sulle "Human Rights Practices". Tra i "principali problemi" ci sono "le condizioni di vita nei centri di detenzione per i migranti privi di documenti, la corruzione, il pregiudizio sociale e le politiche delle amministrazioni locali che consentono il maltrattamento dei rom e che hanno esacerbato la loro esclusione sociale e limitato il loro accesso all’istruzione, all’assistenza sanitaria, all’occupazione e ad altri servizi sociali", si legge nella parte dedicata all’Italia. Il bureau per la Democrazia, i Diritti Umani e il Lavoro del Dipartimento di Stato Usa pone l’accento su "altri problemi" tra cui, "in alcuni casi, l’uso eccessivo e illegale della forza da parte della polizia, le carceri sovraffollate, la detenzione per persone in attesa di giudizio assieme ai criminali condannati, un sistema giudiziario inefficiente che non sempre assicura una giustizia rapida, la violenza e le molestie sessuali nei confronti delle donne, lo sfruttamento dei bambini e il vandalismo anti-semita". Nel sommario si evidenzia inoltre come si sia verificato "il traffico di esseri umani ai fini dello sfruttamento sessuale e del lavoro (nero)". "Osservatori", prosegue il rapporto, "hanno inoltre riferito di casi di violenza contro lesbiche, gay, bisessuali e transgender e la discriminazione sul lavoro basata sull’orientamento sessuale". Infine, si sottolinea lo sfruttamento del lavoro minorile e di "lavoratori irregolari, soprattutto nel settore dei servizi e nell’agricoltura nel sud Italia". "Il governo", riconosce comunque il rapporto, "ha perseguito e punito i funzionari che hanno commesso crimini e abusi". Giustizia: finora l’unica cosa che ha rottamato... sono indulto e amnistia di Piero Sansonetti Gli Altri, 28 febbraio 2014 Renzi era nato come il "rottamatore". Colui che rottama i "vecchi" per ridare linfa giovane alla politica: nuova vitalità, nuove idee, fine delle vecchie strategie politiche. In effetti appena è stato eletto come segretario di partito ha "ringiovanito" i suoi vertici, peccato che non sempre l’età biologica corrisponda a idee coraggiose e rivoluzionarie. La questione anagrafica è molto relativa e non è sempre garanzia assoluta di qualità e spessore. Ha dato parola al giovane speculatore finanziario Davide Serra, che parla di idee nuove, brillanti, di rottura: il suo discorso è quello del liberismo anni 80. Ha messo come responsabile giustizia del Pd (sostituirà Cancellieri o al suo posto, come si mormora, andrà Vietti?) una donna giovane, coraggiosa, competente e rivoluzionaria, ovvero Alessia Morani che sembra abbia studiato giurisprudenza ascoltando i monologhi di Travaglio. Morani si oppone all’amnistia, all’indulto, ha modificato in peggio il decreto chiamato a torto "svuota carceri" e si è opposta alla proposta dei suoi stessi colleghi del Pd di abolire l’ergastolo. Anche lei parla della "certezza della pena" come le destre securitarie vecchio stampo, ma nello stesso tempo (come hanno fatto i grillini o l’ex Idv, legalitari di ferro) ha presentato un interrogazione parlamentare, scaturita da una bellissima inchiesta di Crispino del Corriere, affinché si faccia luce sulle violenze in carcere. Una meraviglia: si denunciano le violenze, magari anche attraverso provvedimenti disciplinari, ma si fa del tutto affinché ci siano le stesse condizioni che creano questa barbarie. Renzi fino all’altro ieri diceva di voler continuare a fare il sindaco, ma come i vecchi politicanti ha subito cambiato idea. E va al governo senza passare dalle elezioni. Ha ribadito che la sua azione sarà basata sul programma proposto alle primarie. Parla di welfare, riduzione dei costi della politica, riforma del Senato, introduzione dello Jobs Act alla tedesca (in Germania sta fallendo, ma non lo dice nessuno), insomma propone, a detta sua, una riforma radicale per il nostro Paese. In realtà sono proposte ventilate anche dallo stesso Letta ma abbiamo visto quanto sia difficile fare qualsiasi cosa se non si mettono in discussione i trattati europei. Il neopremier in queste ore ha parlato di tutto, tranne che delle riforme in materia di giustizia e carcere: il vento del populismo penale travolge tutti. Concretamente qualcosa l’ha rottamata per davvero: con il nuovo governo decreterà la fine di qualsiasi discussione sulla necessità di indulto e amnistia. In questi mesi il dibattito parlamentare sul messaggio di Napolitano in merito ai provvedimenti di clemenza è stato rinviato più volte. Con un nuovo presidente del Consiglio che si è espresso più volte contro, la discussione sarà inutile e probabilmente rimandata sine die. Si ripresenterà forse quando la situazione carceraria collasserà nuovamente e sarà, forse, troppo tardi. Giustizia: perché è una buona notizia che Gratteri non sia diventato ministro di Piero Sansonetti Gli Altri, 28 febbraio 2014 In una recente intervista al "Fatto Quotidiano" il dottor Nicola Gratteri - polemizzando contro una legge del governo Letta che limitava il ricorso al carcere preventivo per il reato di favoreggiamento - sostenne le seguenti due tesi (che riassumo a memoria ma fedelmente). Prima tesi: in questo modo si toglie agli inquirenti un importante strumento di indagine perché si riduce la possibilità che i favoreggiatori parlino e aiutino a incastrare gli autori principali dei delitti. Seconda tesi: in questo modo si dà un messaggio politico di impunità, cioè si dice al paese: "non esiste la certezza della pena". In quell’intervista, come è facile capire, il dottor Gratteri sosteneva esplicitamente due principi giuridici alquanto dubbi. Il primo è che il carcere preventivo non è una misura cautelare ma uno strumento di pressione per ottenere confessioni e testimonianze più o meno veritiere (una specie di tortura addolcita). Il secondo è che il carcere preventivo è una pena (della quale è necessaria certezza…) nonostante la condizione di non colpevolezza che la Costituzione attribuisce al detenuto. E lo volevano fare ministro della Giustizia… e il "Fatto Quotidiano" si lamenta perché Napolitano lo ha impedito. Io pongo tre domande e offro due risposte: un ottimo investigatore può non sapere un fico secco di diritto? Forse sì. Un ministro della giustizia può non sapere nulla di diritto? Sicuramente no. Perché se c’è un ottimo investigatore che non sa niente di diritto vogliono farlo ministro della giustizia, facendo così un pessimo servizio alla magistratura, che perde un investigatore competente, e un pessimo servizio alla giustizia, che va in mano a un incompetente? Giustizia: Clemenza e Dignità; carceri, sta per scadere il termine per mettersi in regola www.imgpress.it, 28 febbraio 2014 "Questa nota è per rammentare alla politica italiana, che si sta avvicinando il mese di maggio, che non è solo il mese in cui la natura si risveglia, il mese delle splendide fioriture, il tempo in cui le giornate si allungano e si fanno sempre più calde, ma è anche il termine ultimo entro cui l’Italia, dovrà mettersi in regola, per quanto concerne la situazione delle carceri. Ora, a meno che in questo momento di grande ottimismo sulle riforme, non si pensi di riformare, facilmente, anche il calendario e il trascorrere del tempo, desta grande preoccupazione, il fatto che a pochi giorni dallo scadere di questo termine, il nostro Paese non abbia ancora posto in essere dei provvedimenti in grado di risolvere veramente tale enorme problema". Lo afferma Giuseppe Maria Meloni, responsabile del movimento Clemenza e Dignità. Giustizia: martedì in Aula Camera discussione del messaggio di Napolitano sulle carceri Asca, 28 febbraio 2014 Si svolgerà martedì mattina la discussione sulla relazione della commissione Giustizia dopo il messaggio alle Camere del capo dello Stato sulla situazione carceraria. Lo ha stabilito la Conferenza dei capigruppo di Montecitorio. La discussione inizierà alle 10.00 e durerà 5 ore. Giustizia: Pagano (Dap); indagini hanno accertato verità sul caso Perna, nessuna violenza Adnkronos, 28 febbraio 2014 "La notizia ci conferma qualcosa di cui eravamo sicuri. Giustamente bisognava però attendere l’esito degli esami autoptici e gli accertamenti che l’autorità giudiziaria ha condotto con i tempi, la cautela e la capillarità necessari per un caso così delicato". Lo dice all’Adnkronos Luigi Pagano, vice capo del Dap, Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, commentando le indiscrezioni sull’autopsia del giovane Federico Perna, morto nel carcere di Poggioreale a Napoli lo scorso 8 novembre. L’esito dell’autopsia ha infatti accertato che non vi sono segni di violenze o percosse e che la causa della morte di Perna è riconducibile a una grave ischemia miocardica acuta. "Questo - rimarca Pagano - rende giustizia al personale di Poggioreale e fa verità rispetto a tutte le accuse che alcuni media hanno scagliato sulla correttezza e professionalità della Polizia Penitenziaria, sfruttando anche il dolore di una madre. Speculazioni, vorrei sottolineare, gravissime quanto gratuite e volgari. Non aggiungo altro - precisa il vice capo del Dap - proprio per riguardo a quella sofferenza: la perdita di un figlio è una tragedia immane che, mi permetto di dire, giustifica ogni atteggiamento della madre e merita solo rispetto e silenzio". "Diversa cosa, invece, sono le ricostruzioni precostituite - sottolinea Pagano - i giudizi sommari che altri hanno voluto pronunciare senza neppure attendere gli esiti della annunciata indagine della Magistratura, indagine a cui l’Amministrazione si è attenuta e a cui ha lealmente e ampiamente collaborato, come era ovviamente giusto che fosse, senza alcuna preclusione. E lo abbiamo detto con chiarezza, sin dal primo momento: avremmo accolto senza riserve qualunque esito delle indagini, perché -conclude il vice capo del Dap - il nostro unico interesse era fare chiarezza sui fatti". Sappe: restituire dignità e onorabilità a Corpo della Polizia penitenziaria La morte di Federico Perna, avvenuta nel carcere di Napoli Poggioreale, fu causata da un malore e in nessun modo da violenze o pestaggi. Sarebbero queste alcune indiscrezioni sull’autopsia del giovane, raccolte da Donato Capece, segretario generale del Sappe, Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria. "Lo avevamo detto fin da subito: Perna è morto per un malore e non per presunte violenze. Cosa faranno e diranno ora tutti quelli che per settimane e mesi hanno accusato e linciato moralmente i Baschi Azzurri di Poggioreale? Bisogna restituire dignità e onorabilità ai poliziotti penitenziari, tutti, al centro per mesi di accuse agghiaccianti ma senza alcuna prova. Ora si parli degli oltre 17mila detenuti salvati dal suicidio in carcere dai Baschi Azzurri negli ultimi vent’anni". Prosegue, Capece: "La Polizia penitenziaria, a Poggioreale come in ogni altro carcere italiano, non ha nulla da nascondere. L’impegno del primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il Sappe, è sempre stato ed è quello di rendere il carcere una "casa di vetro", cioè un luogo trasparente dove la società civile può e deve vederci "chiaro", perché nulla abbiamo da nascondere ed anzi questo permetterà di far apprezzare il prezioso e fondamentale - ma ancora sconosciuto - lavoro svolto quotidianamente dalle donne e dagli uomini della Polizia Penitenziaria. Del carcere e dei Baschi Azzurri viene spesso diffusa un’immagine distorta, che trasmette all’opinione pubblica un’informazione parziale, non oggettiva e condizionata da pregiudizi. Non abbiamo, lo avevano detto subito, nulla da nascondere e le indiscrezioni sull’esito dell’autopsia al povero giovane lo confermano oggi. E ora sarebbe il caso che chi ha accusato ingiustamente i poliziotti del carcere di Napoli Poggioreale chiedesse quantomeno scusa per avere offeso l’onorabilità del Corpo". Liguria: Tullo e Vazio (Pd); no alla soppressione del Provveditorato regionale alle carceri Ansa, 28 febbraio 2014 I deputati del Pd Mario Tullo e Franco Vazio hanno rivolto una interrogazione al ministro della Giustizia Andrea orlando per chiedere se corrisponde al vero l’intenzione di sopprimere 4 Provveditorati Regionali dell’Amministrazione Penitenziaria tra i quali quello della Liguria, che sarebbe accorpato con quello del Piemonte, nell’ambito della riorganizzazione del Dap. I due parlamentari liguri ritengono la scelta "immotivata e contraddittoria con la grave situazione carceraria del paese" e chiedono al titolare della giustizia se "non si ritiene di ripensare questa scelta che rischia in una situazione carceraria già fortemente messa alla prova per il noto sovraffollamento, di creare ulteriori disagi ai detenuti e alle loro famiglie, al personale della Polizia Penitenziaria e a tutto il sistema". Tullo e Vazio sottolineano che il PRAP di Genova fa riferimento a sette strutture carcerarie (Sanremo, Imperia, Savona, Genova Pontedecimo, Genova Marassi, Chiavari, La spezia) nelle quali sono detenute circa 2000 persone e nelle quali lavorano centinaia di poliziotti e operatori penitenziari. "Nel corso del solo anno 2013, il personale di Polizia Penitenziaria ha movimentato circa 9000 detenuti presso altre sedi penitenziarie e aule di giustizia, circa 14000 sono quelli transitati nelle carceri liguri, circa 2400 detenuti sono stati interessati da misure alternative" sottolineano i due parlamentari, indicando che nel 2013 ci sono stati 371 atti di autolesionismo e 46 tentativi di suicidio. Liguria: Pellerano (Lista Biasotti); affrontare emergenze su carceri e reinserimento sociale www.albengacorsara.it, 28 febbraio 2014 "Prevenire l’uso di droghe e alcool tra i giovani e assicurare efficaci, percorsi riabilitativi a chi è vittima delle tossicodipendenze dovrebbe rappresentare un preciso dovere per tutte le istituzioni che, come ha anche ribadito il Presidente della Repubblica, non possono neppure ignorare la "prepotente urgenza" della questione del sovraffollamento carcerario". Così Lorenzo Pellerano, consigliere regionale della Lista Biasotti, che a gennaio ha presentato in Regione un’interrogazione per conoscere le reali dimensioni del fenomeno della tossicodipendenza negli istituti penitenziari della Liguria, commenta l’intervento dell’assessore Montaldo alla presentazione del convegno sulle tossicodipendenze organizzato dalla Comunità di San Benedetto. "L’assessore può fare molto per affrontare queste emergenze, in Regione - perché è l’ente responsabile della sanità nelle carceri e del contrasto alle tossicodipendenze - e nella Conferenza delle Regioni, dove Montaldo è presidente del comitato di settore Regioni - sanità. Da fonti sindacali - spiega Pellerano - sappiamo che la Liguria, in linea con il triste trend nazionale, deve fare i conti con un 29% della popolazione carceraria vittima delle dipendenze da droghe o alcol. Questo comporta un ulteriore aggravio della situazione carceraria già esplosiva. Ricordo che lo scorso anno la nostra regione ha ottenuto la "maglia nera" per il sovraffollamento negli istituti carcerari, con il 176,9% della capienza contro la media europea del 99,6%". "Nonostante i ripetuti appelli lanciati dai sindacati delle agenti penitenziari ai Governi che si sono succeduti in questi ultimi tre anni, purtroppo resta ancora lontana una radicale soluzione del problema, e il nuovo Premier Renzi non si è distinto per attenzione al tema. Per giunta, pende sopra l’Italia la spada di Damocle della sentenza europea Torregiani che condanna il nostro Paese per trattamenti disumani e degradanti in relazione allo stato della carceri. Se entro il prossimo 28 maggio 2014 non si risolverà l’emergenza del sovraffollamento, l’Italia dovrà pagare una multa che potrebbe arrivare a 300 milioni di euro". Secondo gli ultimi dati forniti dal ministero della Giustizia i detenuti delle carceri italiane sono 64.323, di cui 26.042 per reati, in molti casi di lieve entità e pericolosità, correlati alla droga. "Con la mia iniziativa - l’ultima di una serie - chiedo all’assessore Montaldo un quadro preciso delle strutture in Liguria che ospitano persone con problemi di dipendenza e a cui possono essere affidati i detenuti, anche per prevenire il fenomeno delle "fughe" sanitarie verso strutture di altre Regioni che comportano un aggravio di costi per la Liguria. Ci risulta inoltre che alla Regione Liguria, con l’ultima manovra Finanziaria, siano stati destinati oltre 1,3 milioni di euro per il recupero dei tossicodipendenti. Vorremmo risposte precise sulle azioni di prevenzione, riabilitazione e reinserimento intraprese dalla Regione con i fondi a disposizione. È infatti necessaria una riflessione urgente sulle strutture presenti in Liguria per fare fronte a questo fenomeno che, purtroppo non accenna a diminuire e vede una recrudescenza dell’eroina". "Inoltre - prosegue il consigliere regionale - propongo all’assessore, nella sua veste di Responsabile della Sanità nella Conferenza delle Regioni, di sollevare la questione delle comunità terapeutiche a livello nazionale, per fare in modo che le Regioni siano incentivate a potenziare le comunità attraverso il trasferimento di una parte dei risparmi che l’amministrazione penitenziaria conseguirebbe grazie allo "svuotamento" delle carceri. Secondo dati recenti, l’inserimento in comunità di recupero o nei servizi per le dipendenze è una soluzione che, oltre a risolvere il problema del sovraffollamento carcerario potrebbe diminuire notevolmente la spesa complessiva, visto che la detenzione costa circa 200 euro al giorno, mentre l’inserimento in comunità costa tra gli 80 e 100 euro". "Pare però esserci un problema di imputazione delle spese: quella per le carceri è a carico dello Stato, mentre alle Regioni compete la spesa per la sanità in carcere e per le comunità terapeutiche; queste ultime non sono incentivate a puntare sui percorsi di recupero fuori dal carcere, perché con la presa in carico del detenuto in comunità terapeutica si addossano il costo aggiuntivo di vitto e alloggio e non vengono compensate per il risparmio che l’alleggerimento della pressione sulle carceri comporta per le casse Stato. Forse anche questi aspetti "contabili" spiegano il malfunzionamento del sistema. E un tema di questo genere - conclude Pellerano - deve essere affrontato a Roma". Molise: presentata una proposta di legge per il Garante regionale dei diritti dei detenuti www.primonumero.it, 28 febbraio 2014 La Regione Molise non si è ancora dotata di questa figura specializzata in materia penitenziaria volta a tutelare la dignità e i diritti di chi è sottoposto a misure restrittive, oltre a segnalare problemi di sovraffollamento carcerario. Il governatore, che si è impegnato a portare in aula la legge, ha detto che "nel giro di tre mesi colmeremo questo vuoto, ci sarà un compenso minimo e requisiti precisi sulla incompatibilità". Lunedì, intanto, parte il corso di formazione per venti coadiutori del Garante. La consigliera di Parità: "Volevamo che anche i più giovani potessero accedere a questa professione". Il garante delle persone detenute o private della libertà personale è un organo di garanzia che, in ambito penitenziario, tutela chi è sottoposto a misure restrittive. La Regione Molise si appresta a dotarsi di questa figura con una proposta di legge che il presidente Paolo Frattura porterà in Consiglio "nel giro due, massimo tre mesi", come ha detto lui stesso oggi pomeriggio in Giunta, presentandola assieme alla consigliera di Parità, Giuditta Lembo. Spetterà poi all’Assemblea di via IV Novembre eleggere il Garante e i suoi coadiutori. "Per dare opportunità ai più giovani di acquisire competenze in materia penitenziaria - ha spiegato Lembo - abbiamo avviato, dopo una selezione pubblica, un percorso di formazione per venti persone che inizierà il prossimo lunedì e finanziato con fondi comunitari. Volevano allargare il ventaglio dal quale pescherà il Consiglio quando la legge sarà approvata. Oltre ai requisiti abbiamo anche definito le cause di incompatibilità con questa figura che si occuperà non soltanto della questione sovraffollamento, pure importante, ma più in generale dei diritti dei detenuti in un’ottica di reinserimento". E qui Frattura ha spezzato una lancia in favore "delle sensibilissime dirigenti dei penitenzia molisani che hanno già dimostrato di saper ampliare l’offerta di crescita personale e culturale durante il periodo di detenzione, con corsi di teatro o di cucina". Il primo Garante in Italia lo ha istituito la Regione Lazio nel 2003 "noi non ci siamo inventati nulla". Un occhio attento anche ai costi "i compensi saranno minimi - ha detto ancora il governatore - un migliaio di euro di indennità e i rimborsi per missioni o trasferte. Puntiamo, con il corso, a formare figure capaci di lavorare anche oltre i confini regionali". Viterbo: al via progetto europeo Rehab, per migliorare le condizioni di salute dei detenuti Il Messaggero, 28 febbraio 2014 L’Europa punta sulla salute nelle carceri e lo fa partendo dall’Italia. Un progetto pilota, ideato dall’Università della Tuscia e dalla Società italiana di medicina e sanità penitenziaria, lavorerà per due anni al miglioramento della comunicazione all’interno degli istituti penitenziari. Sono 265mila euro i fondi messi a disposizione dalla Commissione europea, nell’ambito del programma sull’Apprendimento permanente degli adulti. Due i carceri coinvolti, il Mammagialla di Viterbo e l’Istituto penitenziario IV di Madrid. Oltre agli spagnoli, il progetto vede in azione partners francesi e inglesi. Obiettivo del progetto Rehab (Removing Prison Health Barriers) è quello di diminuire le diseguaglianze sanitarie all’interno degli istituti penitenziari, di far crescere la motivazione del personale carcerario e di migliorare le condizioni di salute, accrescendo le opportunità di apprendimento e le attività ricreative e riducendo i tassi di recidiva tra detenuti. Per arrivare a ciò verranno realizzati percorsi formativi mirati promuovere una migliore comunicazione tra il personale penitenziario e i detenuti. "Per la prima volta non si va ad agire sulla salute del detenuto, come spesso si è fatto in passato, ma sul miglioramento dell’ambiente carcerario, andando a intervenire sulle capacità comunicative delle persone che lavorano in carcere e dei detenuti stessi - spiega il dottor Roberto Monarca, presidente della Società di sanità penitenziari. L’istituzione penitenziaria è un posto dove lo stress lavorativo raggiunge livelli molto alti, con gravi conseguenze sia sul piano del rendimento professionale sia su quello della salute, basti pensare ai drammatici casi di suicidio". Non sono rari i casi in cui un detenuto intraprende uno sciopero della fame, o rifiuta una terapia, dopo aver discusso con la guardia del piano o l’infermiere di turno, il tutto a causa di un difetto di comunicazione. Episodi che si accentuano nel momento in cui ci si trova di fronte a persone straniere. La stessa difficoltà si presenta per le guardie, che a volte non riescono ad avere un corretto rapporto con il detenuto, considerato solo come una persona pericolosa da tenere sotto sorveglianza, andando incontro ad uno stress continuo che mina l’ambiente lavorativo. Rehab prevede la formazione di un gruppo di trainers, che a loro volta andrà a "preparare" agenti, operatori e detenuti. In ogni istituto saranno "istruite" 100 persone tra cui 50 detenuti, 30 agenti, e il resto tra personale sanitario e dell’area psicosociale come educatori, assistenti sociali e psicologi. Saranno gli esperti dell’università della Tuscia e della Simspe a formare questi primi "specialisti" che a loro volta fungeranno da formatori per i diversi operatori. Il carcere di Viterbo, che prevede anche il regime di massima sicurezza con il 41 bis, attualmente conta 700 detenuti a fronte di una capienza sui 440 posti. "In Europa - spiega Roberto Monarca – sono oltre 2 milioni le persone in stato di detenzione. Il Regno Unito è in cima alla lista dei tassi di reclusione con più di 150 detenuti ogni 100mila abitanti, seguita dalla Spagna (152), dall’Italia (112) e dalla Francia (111). E, mentre la popolazione carceraria cresce, le condizioni all’interno delle strutture rimangono critiche e debilitanti, sia per i detenuti sia per il personale penitenziario. I detenuti sono sempre più caratterizzati da una preoccupante percentuale di disturbi fisici e psicologici, da una graduale esclusione sociale e da una consistente incidenza di malattie epidemiche. Esistono alti livelli di abuso di sostanze stupefacenti e casi sempre più frequenti di stress-lavoro tra il personale carcerario. La mancanza di una continuità terapeutica tra dentro e fuori le strutture di reclusione, inoltre, richiede un intervento urgente. Per questa ragione il progetto Rehab può rivelarsi di vitale importanza anche alla luce dei risultati che saranno raggiunti e delle indicazioni che potrà fornire a livello europeo". L’università della Tuscia ha messo a disposizione il 25% del costo totale del progetto, quale cifra necessaria per poter aderire al bando - spiega la dottoressa Felicetta Ripa dell’ateneo della Tuscia - questo è l’impegno finanziario che la Commissione europea richiede a fronte del finanziamento elargito". L’Ateneo è coinvolto con il dipartimento Disucom, dipartimento di Scienze Umanistiche, della Comunicazione e del Turismo, il professor Gianluca Biggio, docente di psicologia delle organizzazioni e responsabile scientifico del progetto sarà responsabile della parte di tutoraggio e coaching per la formazione dei formatori. Sulmona (Aq): al via i lavori sul nuovo padiglione del carcere, per 200 nuovi detenuti www.rete5.tv, 28 febbraio 2014 I primi di marzo inizieranno i lavori di ampliamento del carcere di massima sicurezza di Sulmona, come previsto dal piano carceri. In base al progetto si costruirà un nuovo padiglione in grado di ospitare altri 200 detenuti. Sono previsti 400 giorni di lavoro per l’opera, un anno e tre mesi di lavoro per realizzare il nuovo blocco della struttura carceraria. La polizia penitenziaria, tramite le proprie associazioni di categoria, chiede, da tempo, la ridefinizione della pianta organica dell’istituto affinché si ristabiliscano le 328 unità previste nel Decreto Ministeriale del 2001 rispetto agli attuali 240 agenti impiegati nel penitenziario peligno. La Polizia penitenziaria chiede almeno 30 nuovi agenti ed assistenti nella struttura sulmonese per coprire l’attuale emergenza e poi altri 60 agenti attraverso l’implementazione, per iniziare a smaltire le 10 mila ore di ferie maturate da 240 agenti sulmonesi nel 2012. Nella struttura, la più grande d’Abruzzo, che dovrebbe ospitare 306 detenuti, ve ne sono 490, cioè ben 167 detenuti in più. Nell’ultimo anno vi sono stati 4 tentativi di suicidio e 12 casi gravi di autolesionismo tra i detenuti, negli ultimi 10 anni ci sono stati ben 13 casi di suicidio, al punto tale che questo carcere è diventato tristemente famoso a livello nazionale e internazionale. Per questo l’onorevole Gianni Melilla (Sel) ha presentato un’interrogazione a risposta scritta al ministro della Giustizia, per sapere se "se non intenda prendere iniziative per superare rapidamente questa situazione di emergenza e prevedere un incontro con le parti sociali per definire misure straordinarie di riorganizzazione della struttura carceraria e di copertura del fabbisogno di personale penitenziario". Ascoli Piceno: le pinete e le spiagge di Alba Adriatica saranno ripulite grazie ai detenuti di Francesca Cucca www.ilcorrieredabruzzo.it, 28 febbraio 2014 Spiagge pulite, tre pinete pulite ,grazie alla convenzione stipulata dalla Provincia con la Casa circondariale di Ascoli Piceno e con la Poliservice per la pulizia dell’arenile e delle pinete di Alba Adriatica. Con una spesa modesta, ventimila euro è costata la convenzione, i detenuti hanno ripulito le tre pinete ed in questi giorni è iniziato anche lo smaltimento dello spiaggiato già differenziato. Grande soddisfazione per i risultati raggiunti, è stata espressa dal vicepresidente della Provincia Renato Rasicci: "Dalla fine di dicembre e per due volte al mese sei detenuti, stanno lavorando sia sull’arenile, differenziando lo spiaggiato e predisponendo i cumuli di rifiuti per tipologia in maniera da permettere alla Poliservice un’agevole raccolta ai fini dello smaltimento, sia nelle tre pinete della cittadina rivierasca. Un’esperienza assolutamente positiva per l’impegno che i detenuti stanno dimostrando e per i risultati che si stanno ottenendo, tenuto conto del costo molto limitato dell’operazione di pulizia: circa 20 mila euro". Polemiche sui "presunti ritardi" nella pulizia dell’arenile, interviene il sindaco, Tonia Piccioni: "Stiamo operando con buon senso: smaltire le tonnellate di tronchi arrivate in spiaggia con le piogge alluvionali senza aver fatto prima asciugare la legna avrebbe comportato un pagamento di due o tre volte superiore considerando che il costo è calcolato a peso. Cerchiamo di gestire con oculatezza le risorse che abbiamo perché le esigenze sono tante e la coperta è molto corta. Il nostro obiettivo e restituire all’arenile un aspetto pulito e accogliente in tempo per la prima stagione delle vacanze: quelle pasquali". Vicenza: con la legge svuota carceri 24 detenuti fuori subito, presto altri 50 torneranno liberi Giornale di Vicenza, 28 febbraio 2014 Nel carcere di San Pio X su sette sezioni solo una è destinata a rimanere chiusa. Le altre sono state aperte: i detenuti hanno ampi spazi per socializzare, la cella serve solo per dormire. Non solo. Il decreto svuota carceri ha già aperto le porte a 24 detenuti e altri 50 sono in attesa. Questo è il primo grande passo nella direzione che il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, aveva chiesto di assumere ancora a dicembre. "È necessario intervenire nell'immediato e con il ricorso a rimedi straordinari". Una delle tante pecche del nostro Paese, sottolineata anche dall'Unione europea: carceri troppo affollate e detenuti in condizioni inaccettabili. Vicenza nelle classifiche figura come una delle case circondariali più affollate d'Italia, i dati ieri davano presenti 263, oltre il 60 per cento dei quali stranieri, nonostante - come più volte è stato sottolineato - la capienza prevista sia di 146 e quella massima tollerabile 292. Piacenza: 43enne con problemi psichici condannato al carcere per il possesso di una fionda Libertà, 28 febbraio 2014 Un mese di carcere per il possesso di una fionda. Protagonista della vicenda è un 43enne di Castel San Giovanni che soffre di disturbi psichiatrici. Una persona seguita dal servizio di salute mentale dell’Ausl di Piacenza e che in questi giorni avrebbe dovuto iniziare un tirocinio formativo. Invece, da venerdì scorso, si ritrova tra i muri di una cella in via delle Novate. A lanciare l’allarme sono le persone che si stanno prendendo cura di lui. Prima di tutto l’équipe dell’azienda sanitaria formata dal dottor Filippo Lombardi e dall’assistente sociale Luisa Bersani. "Abbiamo fatto un lavoro terapeutico importante e molto lungo - dicono - che rischia di essere compromesso dall’esperienza del carcere. Senza contare che è saltato il tirocinio lavorativo che doveva iniziare in questi giorni". Anche Massimo Oddi, titolare di un ristorante a Pianello, si è preso a cuore la sorte del 43enne. "Ci conosciamo da una vita - racconta - perché quando era un ragazzino il tribunale di Piacenza lo affidò a mia madre. Quando è stato fermato con la fionda attraversava un brutto periodo e girava da solo per i boschi. Ma ora si stava avviando verso la normalità. Spero che gli sforzi fatti dai servizi sociali e dall’Ausl, che hanno lavorato benissimo, non vengano vanificati". Cagliari: oggi pomeriggio il dibattito "Bambini in carcere… innocenti dietro le sbarre" Ristretti Orizzonti, 28 febbraio 2014 Bambini in tenera età spesso neonati al seguito di madri Rom dentro le strutture penitenziarie rappresentano l’esempio più eclatante del fallimento dello Stato in materia di Giustizia. In Italia sono oltre una cinquantina e nonostante siano stati istituiti gli Istituti a Custodia Attenuata per Madri Detenute per ora le poche strutture sono ubicate nelle aree ricche del Paese negando anche le pari opportunità. In Sardegna si attende da anni che venga realizzata un’apposita casa protetta e si ripetono rassicurazioni e inaugurazioni costantemente rinviate. Un tema delicato sul quale occorre riflettere. Se ne parlerà oggi pomeriggio, venerdì 28 febbraio (ore 16.15), nella Biblioteca dell’Ordine degli Avvocati al IV piano dell’Ala Nuova del Palazzo di Giustizia di Cagliari nell’ambito del dibattito "Bambini in carcere: innocenti dietro le sbarre". All’iniziativa, promossa dalla sezione cagliaritana dell’Associazione Nazionale Forense e da "Socialismo Diritti Riforme", interverranno, dopo l’introduzione dell’avv. Francesco Mulas, Maria Giovanna Pisanu, giudice presso il Tribunale per i Minorenni di Cagliari, Maria Grazia Caligaris, presidente SdR, Luisella Fanni, presidente dell’Associazione Italiana Avvocati di Famiglia, Angela Quaquero, presidente dell’ordine degli Psicologi della Sardegna. Coordinerà il dibattito Gianni Massa giornalista segretario SdR. Venezia: progetto teatrale "Passi Sospesi", alla Giudecca laboratorio con Patrizia Milani Ristretti Orizzonti, 28 febbraio 2014 Prosegue a ritmi serrati il laboratorio teatrale del progetto "Passi Sospesi" diretto da Michalis Traitsis di Balamòs Teatro negli Istituti Penitenziari di Venezia. Nell’ambito della collaborazione con il Teatro Stabile del Veneto, Venerdì 28 Febbraio, alle ore 16.00(riservato alle donne detenute), si svolgerà un incontro di laboratorio con Patrizia Milani, attrice del Teatro Stabile del Veneto, in questi giorni a Venezia con lo spettacolo "Il malato immaginario" di Molière. Nata a Pavia nel 1951, Patrizia Milani ha studiato all’Accademia milanese del Teatro Filodrammatici, dove si è diplomata nel 1973. Ha iniziato la sua carriera lavorando con Lilla Brignone e Olga Villi. Nel 1977, dopo aver interpretato il Pirandelliano "Sei personaggi in cerca d’autore" del regista Giulio Bosetti, ha lasciato le scene per qualche tempo. È stato lo stesso Bosetti a riportarla in teatro con il "Pigmalione" di George Bernard Shaw. Nel 1989 è stata chiamata da Marco Bernardi al Teatro Stabile di Bolzano per un ruolo ne "Il Barbiere di Siviglia" di Pierre Augustin Caron de Beaumarchais ed è rimasta come attrice fino ad oggi. Dal sodalizio artistico con Marco Bernardi regista e direttore artistico del Teatro Stabile di Bolzano, sono nati tanti spettacoli, "Anni di piombo" di Margaret Von Trotta, "Libertà a Brema" di Rainer Werner Fassbinder "La rigenerazione" di Italo Svevo, "Il maggiore Barbara" di George Bernard Shaw, ecc. La visita di Patrizia Milani alla Casa di Reclusione Femminile di Giudecca è a titolo gratuito e ha come obiettivo quello di ampliare, intensificare e diffondere la cultura teatrale dentro e fuori gli Istituti Penitenziari di Venezia, attraverso un ricco e complesso programma di pedagogia teatrale che cura il regista e pedagogo teatrale Michalis Traitsis. Torino: Camera di Commercio ospita mostra foto La Drola, squadra di rugby del carcere La Presse, 28 febbraio 2014 Dal 3 all’8 marzo la sede istituzionale della Camera di commercio di Torino, Palazzo Birago in via Carlo Alberto 16, a Torino ospiterà la mostra fotografica "Play Fair", dedicata a La Drola, la squadra di rugby del carcere Lorusso e Cutugno di Torino, che è stata la prima in Italia a disputare un regolare campionato federale. Nelle immagini scattate da Roberto Quagli il rugby viene raccontato come una delle strade da percorrere alla ricerca del proprio equilibrio in un contesto particolarmente difficile come quello detentivo, al quale si è arrivati a causa di scelte non equilibrate. Play Fair fa parte del progetto Everlast "Strike Your Balance" - ideato dal direttore creativo di Aria Adv, Michele Pecchioli - e finalizzato a sensibilizzare al valore dell’equilibrio interiore, con gli altri e con l’ambiente attraverso il coinvolgimento di artisti, intellettuali, imprenditori, studiosi, sportivi. In questo caso ha scelto di condividere l’impegno dell’Associazione Ovale oltre le sbarre Onlus a favore della diffusione dello sport nelle carceri italiane, pratica che contribuisce fattivamente al recupero fisco e sociale dei detenuti, documentando le attività dei giocatori de La Drola Rugby. "Lo sport è uno degli strumenti più validi per aiutare i detenuti a recuperare ruolo sociale e dignità personale. La possibilità di mettersi in gioco e di competere lealmente all’interno di iniziative sane favorisce il rilascio di energie positive e rappresenta l’occasione per scoprire una nuova identità e una nuova consapevolezza del futuro. Tutto questo attiva dinamiche di prevenzione della recidiva, a vantaggio non solo del singolo individuo, ma di un’intera collettività. Sappiamo bene come elevati tassi di recidiva comportano costi significativi per la società, tanto in termini economici quanto di sicurezza sociale; intervenire in tal senso è doveroso, nella consapevolezza che il percorso verso il reinserimento non inizia il giorno della scarcerazione, quanto dell’arresto". A parlare è Walter Rista, nazionale di rugby degli anni Settanta e oggi Presidente dell’Associazione Ovale oltre le sbarre, piccola realtà espressione del mondo del volontariato che - sostenuto dalla Compagnia di San Paolo - ha realizzato nel carcere "Lorusso e Cutugno" di Torino un progetto capace di rendere il binomio sport-carcere massimamente funzionale alle attività di recupero e prevenzione. A partire dal 2010, ha realizzato laboratori propedeutici al gioco del rugby capaci di coinvolgere circa 40 detenuti, coadiuvati dai tecnici abilitati Fir e dal personale medico, che ha potuto rilevare importanti miglioramenti della condizione psicofisica dei partecipanti. Per dare continuità all’iniziativa, nel 2011 è stata costituita La Drola Rugby, la squadra del carcere che dalla scorsa stagione milita nel campionato regionale di serie C piemontese. Dal 2103 le attività propedeutiche alle attività agonistiche sono state avviate anche nelle carceri di Alessandria e Asti. "Questo tipo di percorso" spiega Rista - "consente da un lato di migliorare le relazioni tra i detenuti, favorendo la socializzazione e la condivisione; dall’altro, di avvicinare il carcere al mondo esterno per attivare o rafforzare meccanismi di cooperazione formale o informale, necessari soprattutto nel periodo del reinserimento sociale, che in molti casi è decisamente più problematico di quello della detenzione perché spesso manca il supporto nella ricerca di un alloggio e di un lavoro, i pilastri sui quali costruire nuove relazioni sociali". Immigrazione: giovane libico tenta il suicidio nel Cie di Roma "Ponte Galeria" La Presse, 28 febbraio 2014 Un giovane libico ha tentato il suicidio al Cie di Ponte Galeria a Roma. Lo rende noto Ileana Piazzoni, di Sinistra Ecologia e Libertà. "Ho appreso con sgomento del tentato suicidio di un ragazzo, appena ventenne, trattenuto da tre mesi nel Cie di Ponte Galeria e salvato solo grazie all’intervento di altri giovani migranti che con lui condividono la sorte della reclusione in questa struttura", ha spiegato Piazzoni, di Sinistra ecologia e libertà. "Si tratta di un gesto estremo - ha aggiunto - messo in atto per non incorrere nel destino inaccettabile che lo attenderebbe nel caso del rimpatrio. Le vicende umane di queste persone ci mettono di fronte all’inadeguatezza del sistema Cie e delle norme sull’espulsione degli emigranti. Il ragazzo è un giovane libico che durante la Primavera Araba ha combattuto nella milizia di Gheddafi. Tornare in patria, in questo periodo di caos in una Libia martoriata dalla violenza fondamentalista, per lui significa la morte certa. In Italia aveva un permesso di protezione umanitaria, ritiratogli per la contestazione del reato di detenzione di stupefacenti. Dal carcere è finito a Ponte Galeria dove, dopo 3 mesi, ha tentato il suicidio. L’ambasciata libica si rifiuta di riconoscergli la cittadinanza, quindi il suo status giuridico rischia di scivolare de facto nell’apolidia". India: occorre un libro bianco per spiegare il caso dei marò di Sergio Romano Corriere della Sera, 28 febbraio 2014 Negli scorsi giorni abbiamo appreso che il procuratore generale indiano G. E. Vahanvati ha presentato l’opinione del governo favorevole ad abbandonare il "Sua Act" (la legge antiterrorismo per la repressione della pirateria), ma ha chiesto che i capi di accusa vengano formulati dalla polizia Nia (National Investigation Agency) vale a dire dall’agenzia che tratta, per l’appunto, casi di terrorismo. La difesa si è opposta a quest’ultima ipotesi e il giudice ha fissato una nuova udienza tra due settimane. Abbandonare il Sua Act per la repressione della pirateria significherebbe che i marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone non sarebbero processati come presunti terroristi. La stessa Corte, che ha aggiornato l’udienza al prossimo 7 marzo, ha deciso, come mi sembra giusto e logico, anche di esaminare la richiesta del governo italiano di contestare la giurisdizione della Nia sul caso. Speriamo in bene, e che i due nostri marò ritornino in Patria sani e salvi, e assolti per insufficienza di prove! Andrea Delindati Risponde Sergio Romano Caro Delindati, La sua lettera contiene una buona sintesi della vicenda e ha il merito di non avanzare proposte stravaganti. Qualcuno ha scritto che l’Italia dovrebbe liberare i marò con una operazione di commando. Altri sostengono che il governo dovrebbe nominarli ambasciatori e dar loro un passaporto diplomatico. Altri ancora propongono di rompere le relazioni diplomatiche ed economiche con l’India senza chiedersi quale dei due Paesi ne sarebbe maggiormente danneggiato. Molti invocano il precedente della funivia del Cermis e dimenticano che un trattato internazionale, in quella circostanza, impediva all’Italia di giudicare i piloti americani responsabili del massacro. E quasi tutti infine accusano il governo di inettitudine e di insipienza. Come risulta anche dai puntuali commenti di Danilo Taino sul Corriere, sono stati certamente commessi alcuni errori. Le regole d’ingaggio, forse, non erano sufficientemente chiare. Sarebbe stato meglio evitare che la nave entrasse in un porto indiano. E la posizione dell’Italia sarebbe stata molto più forte, sul piano della coerenza politica e giuridica, se il suo governo avesse continuato a sostenere fermamente sin dagli inizi che l’India non aveva il diritto di processare i due fucilieri di marina e che il caso poteva essere giudicato soltanto da una corte internazionale. Mi chiedo ancora quali ragioni abbiano indotto il governo ad accettare di fatto la giurisdizione indiana. Posso immaginare qualche attenuante. Erano stati uccisi due pescatori, l’opinione pubblica indiana era indignata, il clima elettorale nello Stato del Kerala non favoriva compromessi e accomodamenti. Forse le autorità italiane a Roma hanno pensato che in quel momento convenisse adottare un atteggiamento meno antagonistico. Con questa linea sono stati raggiunti alcuni risultati: dapprima gli arresti domiciliari, poi due ritorni in patria e, infine, una sorta di libertà vigilata a New Delhi. Ma quando chiede che ai suoi cittadini non venga applicata una legge da cui è prevista la pena di morte, il governo accetta implicitamente che ne venga applicata un’altra. Sarebbe stato meglio sostenere che soltanto l’Italia ha il diritto di giudicare i suoi soldati soprattutto quando il fatto è accaduto nel corso di una operazione di polizia internazionale. Forse non ha torto chi sostiene che un mandato di comparizione, firmato da un procuratore italiano in occasione di uno dei due ritorni in patria, avrebbe autorizzato il governo a trattenerli e avrebbe risparmiato al Paese la pessima figura di una promessa non mantenuta. Ne concludo, caro Delindati, che il governo, non appena possibile, dovrà pubblicare sul caso dei marò un Libro Bianco, vale a dire una raccolta di documenti ufficiali. Vorremmo sapere esattamente che cosa è accaduto e quali lezioni si debbano trarre da questa vicenda. Stati Uniti: eseguita pena morte a 48enne condannato per omicidio agente polizia stradale La Presse, 28 febbraio 2014 Le autorità della Florida hanno eseguito la pena di morte nei confronti di un uomo condannato per aver piazzato un tubo bomba dentro un forno a microonde, uccidendo un agente del Florida Highway Patrol. Il 48enne Paul Augustus Howell è stato dichiarato morto alle 18.32 ora locale dopo aver ricevuto un’iniezione letale nel carcere statale della Florida. Howell era stato condannato per aver ucciso Jimmy Fulford a febbraio del 1992. Fulford morì dopo aver aperto il forno a microonde, impacchettato come un regalo, durante un controllo stradale. Howell noleggiò un’auto e pagò un altro uomo per consegnare la scatola con la bomba a una donna. Mentre era per strada l’uomo fu fermato da Fulford vicino a Tallahassee per aver superato il limite di velocità. Il poliziotto telefonò a Howell per chiedere se l’uomo fosse autorizzato a guidare la macchina da lui noleggiata, ma il 48enne non avvertì l’agente dell’ordigno nascosto nella scatola. Marocco: sospesa collaborazione giudiziaria con Francia dopo accuse torture a prigionieri Aki, 28 febbraio 2014 Il Marocco ha annunciato di aver sospeso gli accordi di cooperazione giudiziaria con la Francia in una crescente disputa diplomatica emersa dopo le accuse di torture e abusi dei diritti umani formulate da una ong francese contro il servizio di intelligence marocchino. Sabato Rabat aveva convocato l’ambasciatore di Parigi dopo che giovedì la polizia francese si era recata all’ambasciata marocchina in Francia per indagare sulle accuse di torture contro l’intelligence interna dopo una denuncia presentata da attivisti marocchini. Questa settimana è intervenuto anche il presidente francese Francois Hollande, che ha contattato il re del Marocco Mohammed VI per cercare di placare le acque e mantenere buoni rapporti con Rabat. "Dato che la polizia francese si è presentata con un avviso per la convocazione in Tribunale di un funzionario marocchino presso la residenza dell’ambasciatore (di Rabat a Parigi, ndr) in modo provocatorio, è stato deciso di sospendere tutti gli accordi di cooperazione giudiziaria tra i due Paesi", ha detto il ministero della Giustizia di Rabat in un comunicato. Il funzionario marocchino sotto accusa è il numero uno del contro spionaggio Abdellatif Hammouchi. Già nel 2012 le Nazioni Unite avevano denunciato torture sistematiche nelle carceri e nei centri di detenzione della polizia in Marocco contro persone sospettate di reati concernenti la sicurezza nazionale. Human Rights Watch aveva quindi chiesto alle autorità marocchine di indagare sulle accuse di torture nei confronti della polizia rispetto ad attivisti pro democrazia per ottenere confessioni con la forza. La scorsa settimana Rabat è stata presa di mira anche dall’attore spagnolo Javier Bardem, che citato dal quotidiano francese Le Monde ha detto che un ambasciatore francese gli aveva confessato che Parigi ha scelto di ignorare le violazioni dei diritti umani nel Sahara Occidentale, ex colonia spagnola che il Marocco ha annesso nel 1975. "Il Marocco è come un amante con cui dormiamo ogni notte, anche se non siamo particolarmente innamorato di lui, ma che dobbiamo difendere. In altre parole, chiudiamo un occhio", avrebbe detto il diplomatico francese secondo quanto riferito dall’attore spagnolo. Svizzera: 34 detenuti rifiutano di tornare in cella nel carcere ginevrino di Champ-Dollon www.tio.ch, 28 febbraio 2014 La calma è stata di breve durata nel carcere ginevrino di Champ-Dollon: 34 detenuti magrebini hanno rifiutato stamani di tornare nelle loro celle dopo l’ora d’aria. Altrettanti si sono ribellati nel pomeriggio. Secondo il Dipartimento della sicurezza, la situazione sarebbe tornata alla normalità, una versione contestata dal sindacato delle guardie carcerarie, che chiede l’adozione di misure urgenti. Un primo gruppo di 34 magrebini si è rifiutato di tornare nelle rispettive celle alle 10:45. Un secondo, composto di 26 albanesi e otto magrebini, ha agito allo stesso modo alle 15. A fine pomeriggio i detenuti erano rientrati, afferma il portavoce del Dipartimento della sicurezza Laurent Forestier. In seguito a questi incidenti è stata applicata la procedura prevista in simili casi: dopo trattative senza esito, i detenuti sono stati costretti con la forza a tornare in cella. In entrambi i casi, sul posto sono intervenuti la polizia e i pompieri. Secondo il presidente dell’Unione del personale del corpo di polizia (Upcp) Christian Antonietti, le ribellioni odierne sarebbero invece state quattro, che hanno visto la partecipazione di complessivamente 120 detenuti. Stando alle sue informazioni la situazione non sarebbe tornata alla normalità. Questi incidenti si sono verificati all’indomani di una decisione del Tribunale federale, che ha definito "inumane" le condizioni di detenzione in seno al centro di carcerazione preventiva. Fra domenica e martedì, inoltre, a Champ-Dollon sono state registrate cinque risse che hanno coinvolto ad ogni episodio un centinaio di prigionieri. Le guardie carcerarie fanno sapere oggi in un comunicato di "non essere più d’accordo di assumere simili rischi" e minacciano di "sospendere la loro missione" qualora il Dipartimento della sicurezza non dovesse varare entro fine marzo misure per migliorare la situazione nel carcere. Con 342 guardie per 850 persone detenute attualmente a Champ-Dollon, la proporzione è inferiore allo 0,49 stabilito dallo stesso Dipartimento, rileva Antonietti. Per rimediare alla situazione, le guardie chiedono un potenziamento degli effettivi dei sorveglianti, oppure la diminuzione del numero dei detenuti. Secondo Antonietti quest’ultimo provvedimento è l’unico che permetterebbe di rispettare le esigenze del Tribunale federale. Il sindacato accusa inoltre le autorità di non rispettare i suoi doveri in materia di protezione della salute e dell’integrità fisica del personale e non esclude azioni volte ad ottenere una riparazione per danni morali o fisici, nonché eventuali denunce penali contro i dirigenti. Siria: ancora detenuti un centinaio di uomini sgomberati da Homs Tm News, 28 febbraio 2014 Sono meno di un centinaio gli uomini, sgomberati nei giorni scorsi dalla Città Vecchia di Homs, che rimangono ancora detenuti nelle mani della sicurezza siriana: lo hanno reso noto fonti del governatorato locale, precisando che si tratta di "renitenti, disertori o persone colpevoli di reati comuni". Secondo le fonti le autorità hanno trattenuto per interrogarli 522 uomini di età compresa fra i 15 e i 55 anni, di cui 431 rilasciati e 91 ancora trattenuti; di questi ultimi 56 sono renitenti o disertori e potrebbero beneficiare dell’amnistia parziale approvata nell’aprile scorso dal regime di Damasco. Libia: a Zintan processo contro Saif Al Islam Gheddafi, in carcere dal novembre 2011 Ansa, 28 febbraio 2014 È previsto per oggi il processo a carico di Saif Al Islam Gheddafi, figlio del colonnello, nella città di Zintan dove è detenuto fin dalla sua cattura avvenuta nel novembre del 2011 nel sud della Libia. Il processo è stato aggiornato varie volte negli ultimi mesi perché il giudice aveva chiesto che altri sospetti fossero portati davanti alla corte. Nel processo di Zintan, città a circa 130 km dalla capitale, Saif è accusato di aver tentato l’evasione e di aver oltraggiato la nuova bandiera libica. Saif è apparso per la prima volta in un’intervista tv, sin dalla cattura, lo scorso novembre affermando di stare bene, di essere in contatto con organizzazioni per i diritti umani e di voler essere processato a Zintan, dove si trova in custodia di una milizia armata. Nell’intervista durata un minuto, il figlio del defunto dittatore, dimagrito, con i soliti occhialini e la tuta blu da detenuto, appariva in buona salute e rispondeva alle domande coprendosi la bocca con la mano per nascondere i denti mancanti. Nonostante le forti pressioni del governo centrale di trasferirlo in una prigione della capitale, Zintan non ha mai acconsentito. Il processo di Saif è tra i più importanti che si devono svolgere contro alti funzionari dell’ex regime e che potrebbero svelare parecchi retroscena della dittatura. Organizzazioni per i diritti umani, che denunciano la possibilità di centinaia di condanne a morte per i sostenitori del colonnello, hanno chiesto alle autorità libiche di consegnare il figlio del dittatore al Tribunale Penale Internazionale che nel giugno 2011 ha emesso un mandato di arresto accusandolo di aver compiuto crimini contro l’umanità durante la repressione delle proteste del 2011.