Giustizia: il programma di riforme di Renzi deve riguardare anche il carcere di Giovanni Palombarini (Magistratura Democratica) Il Mattino di Padova, 27 febbraio 2014 Con grande velocità Matteo Renzi ha formato il nuovo governo, ha esposto il programma alle Camere e ha ottenuto la fiducia. Nei primi cento giorni intende realizzare un consistente programma di riforme in importanti settori della vita istituzionale e sociale, compreso quello della giustizia. Il programma prevede un primo intervento sulla giustizia amministrativa. È un settore vecchio e lento, che difficilmente produce esiti tempestivi ed efficaci per i cittadini. Dunque è giusto intervenire, vedremo come. Ma per il resto? Il neo ministro Andrea Orlando ha anticipato che guarderà con attenzione da un lato al tema del processo civile, per assicurare ai cittadini decisioni in tempi ragionevoli, dall’altro che incontrerà presto i due magistrati antimafia Gratteri e Cantone per adottare rapidamente le misure necessarie per rafforzarla difesa dello Stato contro la criminalità organizzata e la corruzione. Anche questi sono ottimi propositi, come tali meritevoli di approvazione. C’è però un problema, da tempo all’ordine del giorno, ed è quello del carcere. In attesa di riforme di sistema non c’è "altra via che l’indulto" per ridurre subito il numero dei detenuti, scarcerando chi "non merita di stare in carcere ed essere trattato in modo inumano e degradante". Sono le parole, ed è la soluzione all’emergenza carceri, del primo presidente della Cassazione Giorgio Santacroce, esposta nella sua relazione di apertura dell’anno giudiziario. Tanti, il presidente della Repubblica per primo, hanno sottolineato l’urgenza di un provvedimento di clemenza. Non è però pensabile, realisticamente, che questo Parlamento sia in grado di coagulare le maggioranze necessarie per adottare una simile misura. E allora, dopo le sentenze di condanna dell’Italia in sede europea, quali misure si possono adottare? Negli ultimi anni al ministero della Giustizia si sono succeduti ministri diversi per provenienza e collocazione politica. Ad Angelino Alfano è succeduto Francesco Nitto Palma (già, un magistrato, come Gratteri), sostituito nel governo Monti da Paola Severino, poi è arrivata nel governo Letta Anna Maria Cancellieri. Novità? Quanto a riforme "di sistema" sostanzialmente nessuna. Certo, i governi delle larghe intese hanno finalmente realizzato la chiusura di una serie di uffici giudiziari inutili e negli altri hanno rafforzato il personale. Hanno anche studiato una serie di accorgimenti per ridurre il numero dei detenuti, compreso il decreto "svuota carceri": tutte cose apprezzabili ma non decisive. Tanto che è probabile che un ridimensionamento più significativo della popolazione detenuta possa derivare dalla recente sentenza della Corte Costituzionale che ha finalmente cancellato la legge Fini-Giovanardi. Dall’approvazione dell’indulto del 2006, per effetto del quale sono usciti dal carcere circa 26 mila detenuti dei 61.400 presenti (il 30% erano in custodia cautelare), c’era tutto il tempo, volendo, per approvare un insieme di interventi, intanto sui presupposti e sulle forme della carcerazione preventiva, attraverso una riscrittura in senso coraggiosamente restrittivo delle condizioni per la sua applicazione e con il potenziamento degli arresti domiciliari. C’era il tempo per ragionare sull’estensione del proscioglimento per la particolare tenuità del fatto, e anche su una più ampia articolazione del ventaglio delle pene con il rafforzamento delle misure alternative, a cominciare dall’affidamento in prova, con riduzione di quella carceraria ai casi gravi di assoluta necessità. Volendo, appunto. Ma non lo si è fatto. Cosa farà il governo Renzi per consentirci, come si usa dire, di "rientrare in Europa"? Giustizia: dalle parole… ai fatti, proposta per una riforma a costo zero di Paolo Borgna Avvenire, 27 febbraio 2014 "Passare dalle parole ai fatti". È questa la sfida - ispirata da un alternarsi e intrecciarsi di incredulità e speranza verso le mirabolanti promesse del premier - che tutti rivolgono al nuovo governo. Tradurre in fatti le promesse. Indicare non solo gli obiettivi ma la strada per raggiungerli. Trovare i fondi per passare dai titoli alle riforme vere. Le parole "riforma della giustizia", molto sbandierate in troppi programmi, sono generiche e possono celare intendimenti anche molto diversi. Non sappiamo, perché non ci è stato detto, se il governo appena varato ha un’idea precisa e articolata di una "riforma organica" della giustizia. Una riforma non improvvisata va pensata, discussa nelle sue linee essenziali e nelle sue traduzioni pratiche. Deve essere sorretta da un respiro profondo e da una riflessione culturale a più voci. Ce l’insegna la storia delle grandi riforme di struttura che furono varate nella più felice stagione che l’Italia abbia conosciuto: il centro-sinistra dei primi anni 60. Ma anche le riforme organiche possono essere anticipate da interventi minori, in linea con l’obiettivo generale che ci si è dati, e capaci di dare una prima concretezza alla marcia verso quell’obiettivo. E allora, sia consentito a questo giornale richiamare una proposta che avanzammo nel 2012, a pochi mesi dal varo del governo Monti, e che definimmo "una riforma a costo zero". Si tratta della possibilità - da anni già sperimentata con successo nel processo minorile e in quello del giudice di pace - di archiviare la notizia di reato nei casi di "particolare tenuità del fatto", desumibile dalla "esiguità delle conseguenze dannose o pericolose" della condotta. Ciò avverrebbe, su proposta del pubblico ministero, ad opera del giudice, che in concreto, caso per caso, dovrebbe valutare la sostanziale irrilevanza del danno. La prima proposta in questo senso fu formulata dal guardasigilli Gian Maria Flick ai tempi del primo governo Prodi (1996) ma purtroppo fu accantonata in vista di una riforma costituzionale più vasta (quella della Bicamerale, poi fallita). Da allora, la proposta è riemersa, in modo carsico, nel corso di varie legislature e anche oggi giace in Parlamento. Ma ancora attende d’essere realizzata. Eppure questa riforma - concretizzabile con l’inserimento di un semplice articolo nel nostro codice di procedura penale - sarebbe non solo, come dicevamo, "a costo zero" ma produrrebbe grandi risparmi: riducendo drasticamente quell’enorme arretrato che rallenta tutta la macchina della giustizia e affida spesso le sorti del fascicolo all’indiscriminato decorso del tempo, suscitando le giuste critiche che a livello europeo ci vengono rivolte (con pesanti richieste di risarcimento). Ecco, dunque, che la domanda oggi rivolta al governo - dove trovate i fondi? - potrebbe essere ribaltata con la sicura affermazione: "In questo modo, creiamo nuovi fondi, da destinare ad altro". Ma c’è un altro vantaggio: affidare al giudice la decisione di accogliere la richiesta di non procedere del pubblico ministero eviterebbe il rischio - presente in altri ordinamenti - di archiviazioni arbitrarie. E avrebbe il pregio di formalizzare e dare piena legittimazione alla discrezionalità di fatto che già oggi il pubblico ministero è costretto a esercitare con alcune inevitabili scelte di priorità, dando invece trasparenza a queste scelte, rendendole così "leggibili" e criticabili dall’esterno. E ancora: la riforma non contrasta con il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale previsto nell’art. 112 della Costituzione. Perché la Corte costituzionale, con una sentenza del 2003, ha escluso questo rilievo con riferimento all’identico meccanismo "deflattivo" già previsto nel processo penale minorile. Non si corre, dunque, il rischio di impigliarsi in una discussione "ideologica" che, inevitabilmente, una modifica dell’articolo 112 innescherebbe. Insomma, sarebbe una piccola e facile riforma, che darebbe grandi frutti. E, soprattutto, preparerebbe il terreno a un intervento complessivo, ma non improvvisato, di cui la nostra Giustizia ha bisogno. Giustizia: il sovraffollamento delle celle persiste, anche dopo il decreto svuota-carceri di Andrea Spinelli Barrile www.polisblog.it, 27 febbraio 2014 Con 9 suicidi e 23 morti in totale in meno di due mesi, il 2014 non è cominciato esattamente in modo roseo per i carcerati italiani: l’approvazione del decreto svuota carceri, una sorta di "cavallo di Troia" (come dice qualcuno al Ministero della Giustizia, riferendosi a provvedimenti più impattanti sul sovraffollamento che sarebbero nella cartucciera del nuovo Guardasigilli Orlando) non ha avuto quell’effetto sul sovraffollamento che ci si aspettava, ed entro la fine di maggio occorrerà rimettere mano alla questione. "Entro maggio saremo in regola con l’Europa", ha detto Orlando in una delle sue prime dichiarazioni pubbliche (fatta al quotidiano Il Mattino) dalle stanze di via Arenula. Sono 61.449 i detenuti (al 31 gennaio 2014) stipati in 47.711 posti disponibili nelle 205 carceri italiane, un numero che da solo la misura del problema del sovraffollamento. Numeri che decuplicano, come in un drammatico moltiplicatore, se contestualizzati in un contesto dove l’assistenza medica e psicologica è ridotta ai minimi termini e dove le possibilità di reinserimento (il fine costituzionale della detenzione) sono pari allo zero: di fatto, chi entra in carcere entra in una sorta di Università del crimine, dove stabilire nuovi contatti, affinare nuove tecniche, stringere sodalizi pericolosi. È la rabbia che monta in cella a fare da collante, la rabbia di chi si trova a pagare un prezzo altissimo per i reati commessi (e non); se consideriamo inoltre che il 47% dei detenuti in Italia si trova in attesa di giudizio (e quindi in una condizione giuridica di "presunto innocente"), e che il 30% di costoro risulteranno innocenti secondo le recenti statistiche, è evidente che mettere mano alla carcerazione preventiva, ed all’abuso che di questa spesso si fa da parte delle procure, non è un atto di clemenza o di buonismo, ma di legalità. Se è vero, come detto anche dal primo presidente della Corte di Cassazione, Giorgio Santacroce, all’apertura dell’anno giudiziario 2014, che "il potere giudiziario si limita ad applicare le leggi", altrettanto vero è ridurre la possibilità di interpretazione di certe norme, e dei margini di manovra concessi giustamente ai magistrati: non è un "attacco alla Giustizia" ma un atto di garantismo. Secondo la Corte Europea dei diritti dell’uomo ogni detenuto ha diritto ad almeno tre metri quadri di spazio a testa, al netto degli arredi, e non sempre lo Stato italiano riesce a garantire questo minimo spazio ai suoi ospiti: il tema qui non è "chi sbaglia paga" ma "riabilitare chi ha sbagliato", una differenza non da poco in uno stato di diritto. Ammalarsi in carcere spesso vuol dire aggravare semplicemente le proprie sofferenze, ma la vita dei detenuti è dura in ogni aspetto: dalla possibilità di lavarsi all’ora d’aria (nella maggior parte delle carceri i detenuti restano chiusi in cella per 22 ore al giorno per evitare "situazioni" che la carenza di personale penitenziario non permetterebbe di affrontare adeguatamente), dal pranzo (spesso gli ultimi restano senza cibo) alle violenze che talvolta i detenuti sono costretti a subire. Il Partito Radicale propone da anni l’amnistia come unica soluzione immediata al problema del sovraffollamento delle carceri, nonché unica soluzione che incanala il provvedimento in una più ampia riforma della Giustizia: per questo, e per i prossimi 90 giorni, i Radicali hanno annunciato uno sciopero della fame. Altri invece propongono, come fu nel 2006, l’indulto mentre, come Lega Nord e Movimento 5 Stelle, altri ancora spingono sull’edilizia carceraria. Non si considera però che il 40% dei detenuti si trova recluso per la violazione del Testo unico sulle droghe (sono oltre 20mila i detenuti tossicodipendenti, in numero superiore rispetto a quelli che arrivano direttamente nelle comunità terapeutiche): affidare al carcere questioni medico-sanitarie non consegnerà un futuro migliore nelle mani di questi individui. Il decreto svuota carceri qualcosa, in realtà, l’ha fatto: sono circa 4.000 i detenuti beneficianti del decreto, ma se guardiamo ai numeri si tratta di una vera goccia nel mare. Oltre il 60% dei reclusi infatti sconta in carcere una pena inferiore ai tre anni, privati di quelle misure alternative alla detenzione in carcere che rappresentano, altrove, un diritto. Tuttavia, il dualismo "indulto o amnistia" cristallizza il dibattito sul sovraffollamento in un ottica ideologica. Il Paese di Cesare Beccaria dimentica che il grado di civiltà si misura dalle carceri: oggi gli istituti penitenziari italiani sono un vero e proprio dimenticatoio dei reietti dalla società. Un tema, quello del sovraffollamento, che resta impopolare proprio per quel principio di espiazione che le coscienze di questo Paese farebbero bene ad espellere altrove: il carcere non serve ad espiare ma a "rimettersi in carreggiata". Lo sanno bene i detenuti del carcere di Bollate, alle porte di Milano, uno dei pochi esempi virtuosi di amministrazione penitenziaria: il reinserimento al lavoro a Bollate è la priorità ed i risultati sono eccellenti (con una recidiva bassissima, quasi in linea con la media europea). Altrove, come a Torino o a Frosinone, è il rugby a concedere ai detenuti la seconda opportunità. Ma è mettendo mano ai Tribunali di sorveglianza che si fa il grosso del lavoro: oberati di dossier, in carenza di personale oramai da oltre un decennio, solo di recente i giudici stanno concedendo ampiamente misure alternative al carcere, quando possibile: il braccialetto elettronico, l’affidamento diurno e l’affidamento in prova, gli arresti domiciliari, tutte misure che contribuirebbero sostanzialmente a mitigare il dramma del sovraffollamento. Le misure alternative, in parte anche previste dal decreto svuota-carceri, abbattono di molto i costi della detenzione e riducono la percentuale di recidiva, aumentando quindi la sicurezza sociale ed il welfare del pianeta carceri. La scadenza Entro il 28 maggio Andrea Orlando dovrà risolvere il sovraffollamento carcerario: la data è l’ultimatum dato dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, che minaccia l’Italia di multe milionarie perché torturatrice in flagranza di reato (ma l’Italia il reato di tortura non lo riconosce): uno "Stato criminale" che cozza con la propria Carta costituzionale. Le misure al vaglio dei tecnici del Ministero della Giustizia, aventi effetto immediato e semi-immediato, per risolvere il dramma del sovraffollamento sono: - la riduzione dei tempi della custodia cautelare; - maggiore tutela giuridica per i detenuti; - il rafforzamento dell’affidamento in prova; - incentivazione agli arresti domiciliari ed all’uso del braccialetto elettronico; - la creazione di istituti ad hoc per i detenuti tossicodipendenti; - la revisione dell’istituto di sospensione della pena; - una maggior "umanizzazione" delle carceri attraverso l’applicazione personalistica e non più generale delle norme; - la modifica al Testo unico sulle droghe del 1990; - la depenalizzazione di alcuni reati (possesso di cannabis e immigrazione clandestina, ad esempio); - esclusione dal carcere di donne con figli sotto i tre anni; - miglioramento dei servizi sanitari e di assistenza e sostegno psicologico; - maggior scolarizzazione; - adeguamento numerico del personale. Su eventuali provvedimenti di amnistia e indulto, al momento, le bocche restano cucite: resta comunque una possibilità, di fatto, ancora viva, considerando anche la richiesta del ministro Orlando di incontrare, per un confronto, il segretario dei Radicali Rita Bernardini (che da anni invoca l’amnistia come unico strumento costituzionale per risolvere il sovraffollamento). Giustizia: abbiamo contato gli anni, ora contiamo i giorni fino… al 28 maggio di Rita Bernardini e Irene Testa www.radicali.it, 27 febbraio 2014 Care compagne e cari compagni, a poche ore dal lancio del nostro Satyagraha, vi chiediamo di aiutarci a partire con slancio, dalla mezzanotte di domani giovedì 27 febbraio, già in un numero consistente di dirigenti radicali, responsabili di associazioni radicali e non, deputati e senatori, sindaci, consiglieri regionali, comunali e provinciali, personalità e personaggi del mondo della cultura e dello spettacolo, appartenenti a vario titolo al mondo della giustizia (giuristi, avvocati) e a quello penitenziario (direttori, agenti, educatori, psicologi, assistenti sociali, medici, esponenti delle associazioni del volontariato penitenziario. Anche alla luce dell’incontro che dovrà esserci a breve con il Ministro della Giustizia Andrea Orlando, da lui richiesto, crediamo che sia fondamentale far parte e allargare il nostro Satyagraha che, non necessariamente dovrà limitarsi al tradizionale sciopero della fame, ma che auspicabilmente dovrà vederci impegnati a scandire i novanta giorni che ci separano dal 28 maggio con iniziative quotidiane che possono essere di tipo diverso e proviamo qui a fare un primo elenco: - raccolta di partecipazioni allo sciopero della fame per uno o alcuni giorni, soprattutto dei rappresentanti sopra indicati; - invio di lettere ai giornali e ad altri media; - organizzazione di sit-in davanti alle carceri per raccolta adesioni al Satyagraha dei familiari e dei detenuti; - raccolta di iscrizioni e sottoscrizioni a Radicali italiani e al Partito Radicale, anche questo è una modalità, forse la più forte, di partecipazione al Satyagraha. Abbiamo contato gli anni, ora contiamo i giorni Carceri: "È un problema da non trascurare nemmeno un giorno in più" (Giorgio Napolitano, 17 dicembre 2013). Gli obiettivi e gli interlocutori del nostro Satyagraha. Alla mezzanotte di giovedì 27 febbraio mancheranno 90 giorni a quel 28 maggio fissato per l’Italia dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo come termine ultimo per porre fine alla tortura praticata nei confronti dei detenuti ristretti nelle nostre carceri. Sia chiaro, non ci sarà appello perché il tempo è già scaduto da anni per le reiterate condanne non adempiute da parte del nostro Paese. Non rispettare il termine implicherebbe logicamente, necessariamente, il ricorso alle estreme possibilità e capacità di autodifesa dell’Unione Europea, quali la sospensione o addirittura l’espulsione dall’Unione stessa. È semplicemente inaccettabile "e perciò da radicali non possiamo accettarlo" che le questioni poste dal Presidente della Repubblica con il suo messaggio alle camere dell’8 ottobre scorso siano state finora inascoltate, oscenamente schernite. Sono fuori strada un Parlamento e un Governo che pensino di cavarsela con qualche "salva carcere" il cui esito sarà quello di qualche migliaio di detenuti in meno. Il Presidente Napolitano lo ha detto: non c’è da perdere nemmeno un giorno. E, invece, sono stati persi anni, mesi, giorni, vite umane straziate a migliaia, mentre lì "praticamente nella porta a fianco" si ascoltavano le urla provocate da un dolore insopportabile nei corpi e nelle anime. Una sofferenza inflitta per mano dello Stato che fa strame di leggi il cui rispetto è obbligato, leggi riguardanti i Diritti Umani fondamentali, scritte nella Costituzione italiana, nella Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, nella Dichiarazione universale dei Diritti Umani. L’obiettivo del Satyagraha è lineare e semplice: chiediamo che le nostre istituzioni mettano in atto tutti quei provvedimenti legislativi volti ad eseguire quanto richiesto dalla Corte di Strasburgo con la sentenza Torreggiani e cioè a rimuovere le cause strutturali e sistemiche del sovraffollamento carcerario che generano i trattamenti disumani e degradanti nelle nostre carceri (violazione dell’art. 3 della Convenzione "Tortura"). Gli interlocutori del nostro Satyagraha sono il Governo nella persona del Presidente del Consiglio Matteo Renzi, il Ministro della Giustizia Andrea Orlando, il Parlamento nelle persone del Presidente del Senato Pietro Grasso e della Presidente della Camera Laura Boldrini. Il nostro dialogo nonviolento non vuole costringere alcuno dei nostri interlocutori istituzionali a fare ciò di cui non è convinto. Il Satyagraha vuol dire fermezza nella verità ed esclude qualsiasi forma di violenza o di ricatto. Marco Pannella con i suoi lunghi scioperi della fame e della sete ha sempre detto che per il nonviolento la sconfitta più grande è se qualcuno muore e ha sempre sconsigliato lo sciopero della sete in carcere perché i detenuti non hanno la possibilità di sottoporsi a quei controlli medici che sono necessari e possibili solo a chi è fuori e in contatto con strutture sanitarie competenti. Le decine di migliaia di detenuti e di loro familiari che in questi anni si sono associati al Satyagraha radicale questo lo hanno capito. Non c’è alcun ricatto nella nostra azione, vogliamo solo dialogare con le istituzioni chiedendo ai nostri interlocutori di rispettare la loro stessa legalità, in primo luogo, la Costituzione sulla quale hanno giurato. Nel suo messaggio al Parlamento dell’8 ottobre 2013 "il primo e unico dei suoi due mandati" il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha voluto richiamare la sentenza della Corte Costituzionale (n. 210 del 2013) con la quale essa ha stabilito che, in caso di pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo che accertano la violazione da parte di uno Stato delle norme della Convenzione, "è fatto obbligo per i poteri dello Stato, ciascuno nel rigoroso rispetto delle proprie attribuzioni, di adoperarsi affinché gli effetti normativi lesivi della Convenzione cessino". Ed è lo stesso Presidente della Repubblica che, dopo aver elencato tutta una serie di provvedimenti in tema di decarcerizzazione e depenalizzazione, ad ammonire nel suo messaggio che "tutti i citati interventi - certamente condivisibili e di cui ritengo auspicabile la rapida definizione - appaiono parziali, in quanto inciderebbero verosimilmente pro futuro e non consentirebbero di raggiungere nei tempi dovuti il traguardo tassativamente prescritto dalla Corte europea. Ritengo perciò necessario intervenire nell’immediato con il ricorso a "rimedi straordinari". È dunque il Presidente Napolitano a indicare Amnistia e Indulto non solo per interrompere "senza perdere un solo giorno" i trattamenti inumani e degradanti nelle nostre carceri, ma anche per accelerare i tempi della Giustizia perché anche sulla giustizia "ritardata" (che è giustizia negata) abbiamo un fardello ultratrentennale di condanne europee per violazione dell’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti Umani riguardante "l’irragionevole durata dei processi". Noi vivremo i giorni che ci separano dal 28 maggio, in Satyagraha, dialogando con le istituzioni e controllando giorno dopo giorno quali azioni concrete verranno messe in atto per porre fine alla flagranza criminale in cui da anni vive il nostro Stato. Stato di illegalità che, oltre al suo portato di violenza e di morte, umilia e discredita le nostre istituzioni in Europa e nel mondo. Giustizia: Boldrini (Camera); legge elettorale e carceri saranno priorità lavori dell’Aula Adnkronos, 27 febbraio 2014 Prendendo la parola nel corso della conferenza dei capigruppo, la presidente della Camera Laura Boldrini, ha sottolineato che la riforma delle legge elettorale, insieme al provvedimento per decongestionare la popolazione carceraria, siano considerati due temi "centrali" dei lavori d’aula della prossima settimana. Giustizia: ministro Orlando incontra Sindacati, commenti di Fp-Cgil, Ugl, Confsal-Unsa Ansa, 27 febbraio 2014 Il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, ha incontrato oggi le organizzazioni sindacali del settore giustizia. Positivo il giudizio della Fp-Cgil "sull’avvio immediato del confronto con le organizzazioni sindacali a soli 3 giorni di distanza dalla sua nomina ufficiale. Un bel segnale di attenzione verso gli operatori che rappresentiamo - rileva una nota dell’organizzazione - e, più in generale, verso i temi centrali per i settori della Giustizia e penitenziario, che abbiamo sottolineato al Ministro in modo chiaro: politiche sul carcere per il contrasto al sovraffollamento; superamento di leggi dannose come Bossi-Fini e soprattutto ex Cirielli; politiche sul personale, che sconta gravi carenze di organico (9.000 unità nel settore giudiziario, 8000 in Polizia Penitenziaria, oltre a 1500 tra assistenti sociali ed educatori). Senza una soluzione sul fronte degli organici nessun percorso alternativo alla carcerazione, come previsto dal recente svuota carceri, è possibile. Entro il mese di marzo sarà a disposizione una piattaforma sindacale unitaria di riorganizzazione e modernizzazione di tutto il sistema giustizia. Servono interventi urgenti. Il Ministro Orlando ha dimostrato di conoscere bene quali siano le criticità del sistema, di avere attenzione per il disagio delle lavoratrici e dei lavoratori. Adesso il nuovo Governo di cui fa parte ha la possibilità di uscire dalla retorica e dare il via una vera riforma, così come annunciato dal Presidente del Consiglio Renzi. Su questo diamo la nostra disponibilità e mettiamo in campo le nostre proposte". Ugl: incontro con orlando tempestivo, ma solo introduttivo "Abbiamo accolto con entusiasmo l’avvio di un confronto con il ministro della Giustizia Orlando, praticamente a ridosso della sua nomina alla guida del nuovo dicastero, e giudichiamo positivo il suo proposito di affrontare le difficili condizioni operative del personale di Polizia Penitenziaria in un prossimo, apposito, tavolo tecnico". Lo riferisce in una nota la Segreteria nazionale dell’Ugl Polizia Penitenziaria in seguito alla riunione odierna tra il Guardasigilli e le organizzazioni sindacali. "Abbiamo invitato il neoministro ad affrontare alcune questioni irrisolte e non più procrastinabili, evidenziando soprattutto l’endemica carenza di risorse umane e tecnologiche. Inoltre, - prosegue la nota - abbiamo posto l’accento sulla necessità di affrontare e superare la sperequazione tra il Corpo di Polizia Penitenziaria e gli altri Corpi di Polizia, con riferimento al riallineamento e al riordino delle carriere". "Al prossimo incontro, che auspichiamo venga convocato in tempi brevi, - conclude la nota - sottoporremo al vaglio del ministro un documento di sintesi delle problematiche che la nostra Organizzazione ritiene prioritario affrontare e che non vuole certo essere un’asettica lista della spese, ma una dettagliata disamina delle gravi criticità che affliggono il comparto sicurezza, con l’auspicio di trovare sulle questioni proposte un’unita di vedute e di intenti". Confsal-Unsa: impegno comune su personale ed efficienza "Apprezziamo le parole del ministro per il profondo riconoscimento da lui espresso circa il lavoro svolto in difficili condizioni operative da tutti i lavoratori del dicastero, sia dell’organizzazione giudiziaria, che penitenziaria, che della giustizia minorile". Così il segretario generale della federazione Confsal-Unsa, Massimo Battaglia, commenta l’incontro di oggi tra le organizzazioni sindacali e il nuovo ministro della Giustizia, Andrea Orlando. "La Confsal-Unsa ha chiesto al ministro -prosegue Battaglia- di porre in stand by il decreto di riorganizzazione del ministero per svolgere ulteriori approfondimenti circa l’impatto effettivo che questo avrebbe sull’attività del dicastero e sui lavoratori stessi; con soddisfazione incassiamo la disponibilità del ministro a proseguire il dialogo e a non procedere all’approvazione della corrente bozza di riorganizzazione che giudichiamo profondamente sbagliata e da correggere in numerosi punti strategici". Il segretario generale nel corso della riunione ha ribadito altresì con forza la necessità di coprire immediatamente le gravi carenze in organico sia dell’organizzazione giudiziaria che dell’amministrazione penitenziaria. "Inoltre abbiamo reiterato - spiega Massimo Battaglia - la richiesta al ministro per un intervento legislativo sul Fondo unico giustizia, per recuperare risorse economiche per il personale del dicastero che ha ancora il contratto scaduto dal 2009". Il segretario generale della Confsal-Unsa sottolinea l’opportunità "di favorire l’ingresso nel ministero dei giovani avvocati meritevoli in sostituzione di parte della magistratura onoraria, costituita da pensionati, che tutt’ora opera negli uffici giudiziari". Infine, l’Unsa chiede, ricorda il segretario, "l’immediata apertura, dopo 9 anni di attesa, della trattativa per il nuovo contratto della dirigenza penitenziaria". Giustizia: Orlando vede Gratteri. Il pm: continuo impegno, ma disponibile a contributo di Eva Bosco Ansa, 27 febbraio 2014 Per alcuni giorni i rumors di stampa lo davano ministro della Giustizia in pectore. Oggi ha incontrato in via Arenula chi a guidare il ministero ci è andato davvero e non è stato per una stretta di mano. Nicola Gratteri, procuratore aggiunto di Reggio Calabria, e Andrea Orlando, neo Guardasigilli, hanno avuto un faccia a faccia di un’ora e mezza per discutere dei dossier più urgenti del settore giustizia. La mafia, certo, visto l’impegno di Gratteri come pm antimafia. Ma non solo: al centro, anche gli obiettivi dell’azione di governo, l’organizzazione della Giustizia, la razionalizzazione dell’utilizzo delle risorse, ha fatto sapere il ministero e ha confermato lo stesso Orlando, che punta a sviluppare una collaborazione col magistrato. Tempi? Qualche settimana, fanno sapere da via Arenula. In che termini è da vedere, così come è da valutare se incardinarla sotto il ministero o sotto Palazzo Chigi. Ma anche Gratteri deve fare le proprie valutazioni. E in serata fa sapere, con parole ponderate, due cose. La prima: "ho ribadito al ministro la mia convinzione più profonda di volere continuare nel mio impegno di procuratore aggiunto di Reggio Calabria"; la seconda: "come uomo dello Stato confermo piena disponibilità a fornire ogni utile indicazione di lavoro, a titolo gratuito, per contrastare efficacemente la criminalità mafiosa ed i suoi pericolosi condizionamenti". Gratteri, quindi, vuole restare prima di tutto un pm, ferma restando la possibilità di dare un contributo. Del resto proprio oggi il Procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, interpellato da Radio 24 sulle indiscrezioni che, nei giorni della formazione del governo, davano Gratteri ministro, ha sottolineato che "la cosa migliore che può fare un magistrato è continuare a fare il magistrato". Ora, tra l’altro, ulteriori voci che circolano con insistenza nel mondo dell’amministrazione penitenziaria, danno Gratteri come possibile nuovo capo del Dap al posto di Giovanni Tamburino. Interpellato su questo punto, Orlando ha tagliato corto: "Non intendo occuparmi di organigrammi prima di aver affrontato tutti i passaggi necessari coi soggetti interessati". Prima c’è molto da fare e proprio nell’ambito di una serie di incontri sul programma di lavoro, il ministro ha visto oggi un altro magistrato di spicco, Raffaele Cantone, già pm antimafia e oggi in Cassazione, anche lui entrato nel toto-ministri. Poche ore prima Orlando aveva visto anche i sindacati del settore giustizia, a cui ha chiesto massimo impegno sul tema carceri anche in vista della scadenza di fine maggio imposta dalla Corte di Strasburgo all’Italia sul sovraffollamento carcerario. Altro noto, il sottorganico: 9.000 unità nel settore giudiziario, 8.000 in polizia penitenziaria, 1.500 tra assistenti sociali ed educatori, stima la Fp-Cgil. Un ulteriore incontro con le sigle della polizia penitenziaria si terrà la prossima settimana. Roberti (Antimafia): "Gratteri? meglio continuare a fare magistrato "Polemiche sterili, la cosa migliore che può fare un magistrato è continuare a fare il magistrato - afferma il Procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti - è una priorità l’intervento sulla Giustizia perché un’efficiente risposta giudiziaria contribuisce alla ripresa economica". Tra i provvedimenti "urgenti" Roberti indica "la modifica della prescrizione", il voto di scambio, che definisce "essenziale", e la "costruzione di nuove carceri". "Amnistia e indulto - dice ancora il Procuratore nazionale antimafia - sono solo provvedimenti tampone, che rinviano il problema. Bisogna costruire nuove carceri, degne di un Paese civile". Roberti afferma, infine, di considerare "arduo, ma necessario" l’obiettivo del Governo Renzi di arrivare in pochi mesi ad un pacchetto di revisione organica della Giustizia. Giustizia: Fdi; dopo il Garante dei detenuti istituire un Garante per i diritti delle vittime Ansa, 27 febbraio 2014 "Un paese che istituisce un Garante Nazionale per i Detenuti, per definirsi civile deve avere anche un Garante per i diritti delle Vittime". È quanto afferma Barbara Benedettelli, Responsabile Nazionale per Fdi-An del Dipartimento Tutela Vittime. "Per i rei ci sono, come è giusto, molte tutele. Dall’Agenzia Nazionale di Collocamento, al sostegno per i loro familiari previsto dall’Ordinamento penitenziario. E le vittime? Gli ultimi due governi hanno fatto uno svuota-carceri dietro l’altro, senza pensare mai che ogni delinquente fuori dal carcere è una ferita per chi ne è vittima. Spero - prosegue Benedettelli - che il governo Renzi inverta questa tendenza e cominci a tenere conto anche della parte lesa. Fratelli d’Italia ha depositato sin dall’inizio dello scorso esecutivo proposte di legge che vanno in questa direzione. Siano prese in seria considerazione da un Presidente del Consiglio che per la prima volta le vittime le ha citate durante il discorso alle camere. Letta ci ha lasciato il garante per i detenuti, Renzi sarà in grado di lasciarci quello per le vittime?". Giustizia: dopo scuole e ospedali arriva il "carcere privato" e non mancano le polemiche di Giuseppe Sabella www.ilsussidiario.net, 27 febbraio 2014 Dopo la scuola, la sanità, i servizi al lavoro e alla persona più in generale, in Italia il privato infrange un altro tabù: quello del trattamento penitenziario. A Bolzano, infatti, dopo la chiusura di un bando di gara, si sta identificando il soggetto che gestirà il carcere del capoluogo altoatesino. Se ne parlava da tempo, ora però il progetto è realtà: il primo carcere privato d’Italia sorgerà entro due anni. Il bando per la realizzazione della nuova struttura - 200 posti per detenuti e ben 100 operatori di polizia penitenziaria - era stato pubblicato dalla Provincia autonoma ad aprile 2013, ma solo a gennaio 2014 è partita la fase di selezione dell’ente gestore. Sono sei i soggetti che hanno presentato la loro candidatura: il prescelto dovrà sostenere i costi dell’opera, stimati in 63 milioni di euro, cui si aggiungono i 15 milioni per l’esproprio delle superfici. L’operazione non è ovviamente tutta privata: il contributo pubblico ci sarà, anche se minoritario, e dopo vent’anni l’istituto penitenziario tornerà sotto l’egida del Ministero della Giustizia. Da dove arriva questa novità assoluta per il nostro Paese? Si tratta di una norma contenuta nel decreto "Salva Italia" del governo Monti, che all’articolo 43 prevede la possibilità di finanziamento privato per l’edilizia carceraria, a patto che il contributo pubblico, insieme alla quota di debito garantita dalla Pubblica amministrazione, non ecceda il 50% dell’investimento, e che le fondazioni concorrano almeno per il 20%. Il "Salva Italia" specifica inoltre che al privato va riconosciuta "una tariffa per la gestione dell’infrastruttura e per i servizi connessi, a esclusione della custodia", che il concessionario incasserà dopo aver messo in funzione la struttura; e sempre al privato spetta "l’esclusivo rischio" e "l’alea economico-finanziaria della costruzione e della gestione dell’opera", come specifica ancora il decreto, che fissa la durata della concessione in misura "non superiore a venti anni". La Provincia di Bolzano è dunque il primo ente locale che ha deciso di approfittare dell’occasione, dovendo sostituire il vecchio carcere costruito 120 anni fa (90 posti letto a fronte di 125 detenuti reclusi). Il nuovo istituto, che dovrebbe essere pronto nel 2016, sarà una struttura moderna, con spazi di socialità, di formazione e lavoro. L’aggiudicatario, che dovrà comunque seguire gli indirizzi di progettazione (studio di fattibilità e costruzione modulare) indicati dal Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, verrà deciso a breve, visto che in base alla procedura (per la quale la Provincia si è affidata allo studio legale internazionale Price Waterhouse Coopers) il progetto dovrà essere pronto entro giugno. E sempre il soggetto privato dovrà occuparsi della manutenzione ordinaria e straordinaria, la gestione delle utenze, il servizio mensa dei detenuti e il bar interno del personale, i servizi lavanderia e pulizia; oltre alle attività sportive, formative e ricreative, mentre le mansioni di sicurezza resteranno in capo alla polizia penitenziaria e quindi allo Stato. Non mancano comunque le polemiche. Bisognerebbe però considerare che il privato è sempre più attore protagonista del welfare, in Italia come in Europa. In questo tempo di crisi economica, in cui le casse pubbliche sono sempre più vuote, il supporto che il privato-sociale sta dando al pubblico è di notevole importanza. Non solo il privato-sociale può sgravare i costi dello stato, ma in particolare il privato-sociale può svolgere un ruolo di eccellenza nel campo del welfare, e in Italia i casi della sanità lombarda ed abruzzese sono piuttosto eclatanti. Qual è il problema? La poca trasparenza? Le ruberie? Allora il sistema va semmai reso più trasparente e meno malsano. Se consideriamo i dati del Rapporto sulla popolazione carceraria (maggio 2013) del Consiglio europeo, dopo la Serbia e la Grecia, l’Italia oggi è il Paese europeo con il più grave sovraffollamento nelle carceri: ogni 100 posti disponibili, i detenuti sono 147 (sono circa 68.000 a fronte di 44.000 posti letto). Nel 2010, l’Italia ha speso 116,68 euro al giorno per ogni detenuto (escluse spese mediche): significa che la spesa pubblica per ogni detenuto è di circa 45.000 euro l’anno (escluse spese mediche). Francia e Germania, che invece prendono in considerazione anche le spese mediche, ne hanno spesi rispettivamente 96,12 (circa 35.000 euro) e 109,38 (circa 40.000 euro). Visti i costi dell’amministrazione penitenziaria, il supporto del privato-sociale nella gestione del trattamento penitenziario può giocare un ruolo significativo. Vediamo cosa ne sarà di questa prima esperienza pilota. Giustizia: omicidio stradale, centinaia di morti… ma il reato non c’è di Massimo Solani L’Unità, 27 febbraio 2014 Il premier Renzi ha rilanciato il tema durante il discorso per la fiducia. Prima lo avevano fatto molti ministri ma senza arrivare a nessuna legge. "Un’emozione grande e inaspettata". Stefano Guarnieri è il papà di Lorenzo, che la notte del 2 giugno 2010 nel parco delle Cascine a Firenze fu investito ed ucciso da un’auto guidata da un uomo ubriaco e sotto effetto di sostanze stupefacenti. Aveva diciassette anni Lorenzo, stava finendo il quarto anno di liceo scientifico, progettava un viaggio all’estero con gli amici e giocava a volley. "L’uomo che l’ha ucciso si chiama Piero Passerò, oggi ha 49 anni, non ha fatto un minuto di carcere e non ci ha mai cercato, neppure per chiederci scusa", ricorda mamma Stefania. Del loro caso, del destino che si è portato via Lorenzo e della battaglia giudiziaria che Stefano e Stefania hanno combattuto nel nome di quel ragazzone a cui hanno dedicato una Onlus per salvare vite umane dalla violenza stradale, ha parlato il presidente del Consiglio Matteo Renzi chiedendo la fiducia al Senato. Fu infatti lui, da sindaco di Firenze, a firmare per primo la proposta di legge per introdurre il reato di omicidio stradale. "Abbiamo raccolto più di 76mila firme - ricorda Stefano Guarnieri. Adesso vorremmo che quella norma possa diventare una realtà". L’uomo che uccise Lorenzo, in tribunale, fu condannato a due anni e otto mesi di reclusione. "La stessa pena che rischia chi ruba un portafogli sull’autobus", ripete sconsolato papà Stefano. In Italia, nel 2012, 3.653 persone hanno perso la vita in incidenti stradali e la causa di un terzo dei sinistri secondo l’Istituto Superiore di Sanità (ma la stima è approssimata per difetto a causa di un complicato sistema di catalogazione delle cause) sarebbe provocata dall’abuso di alcool o dall’uso di sostanze stupefacenti. "Stato psicofisico alterato", certificano freddamente le statistiche burocratiche. "Vi rendete conto cosa possa diventare incontrare nel giorno del 18° compleanno di Lorenzo i suoi amici che festeggiano il suo compleanno senza di lui ricordandolo? - ha insistito Renzi a Palazzo Madama - Vi rendete conto di cosa possa significare andare a dire che io rappresento le istituzioni? E vi rendete conto che sguardo vi gettano addosso quelle ragazze e quei ragazzi, accusando la politica di non essere capace di dare delle regole chiare, delle regole che non valgono semplicemente un dibattito politico, ma che valgono la vita di un ragazzo come loro? Questa è la vita reale che vorremmo informasse di più la discussione sulla giustizia". Così, nel giorno del dibattito sulla fiducia al governo, per la prima volta un presidente del consiglio è tornato a parlare del reato di omicidio stradale per chi ha causato vittime guidando in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di stupefacenti, un tema che la politica ha ricorrentemente sollevato per poi lasciarlo cadere nel silenzio. Il giorno di Ferragosto del 2011 lo fecero l’allora ministro dell’Interno Roberto Maroni e il Guardasigilli Nitto Palma dopo il caso di un automobilista albanese ubriaco che, guidando contromano e ubriaco sulla A26 Voltri-Sempione, si era scontrato frontalmente con un auto uccidendo 4 giovani turisti francesi. Non se ne fece nulla. Tornò a parlarne, nel febbraio 2012, l’allora ministro dello Sviluppo economico e dei Trasporti Corrado Passera nel corso di una audizione della Commissione Trasporti alla Camera. Anche in quel caso, però, il suo impegno restò lettera morta. Fino al 1 gennaio scorso quando l’allora ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri promise la presentazione di un disegno di legge apposito, o addirittura di un decreto, entro la fine di gennaio. Anche in quel caso, a scuotere l’opinione pubblica erano stati alcuni drammatici fatto di cronaca, con una bimba di 9anni, Stella Manzi, uccisa vicino Roma mentre viaggiava in auto con la mamma a Santo Stefano e due donne morte sulla Salerno-Reggio Calabria. Gennaio, però, è passato, il governo Letta è caduto e la discussione è ancora ferma al palo. Lo sa bene Umberto Guidoni, segretario generale Fondazione Ania per la Sicurezza stradale, che da anni si batte per l’introduzione nel codice penale del reato di omicidio stradale. "I fatti di cronaca rilanciano sistematicamente il dibattito, e per questo abbiamo accolto con favore le parole del premier Matteo Renzi - commenta - Siamo convinti che è necessario fornire ai giudici uno strumento che renda certa la pena nei confronti di chi commette quelli che, in taluni casi, sono dei veri e propri omicidi. Quando ci si metta alla guida con un tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l o sotto l’effetto di droghe, si deve superare il concetto della sola colpa e configurare l’ipotesi di dolo eventuale del conducente e cioè che porsi alla guida in determinate condizioni significa accettare il rischio di poter provocare un danno gravissimo, fino alla morte". In Italia, oggi, il reato stradale rientra nella fattispecie colposa ed è punito con la reclusione da due a sette anni mentre le lesioni personali colpose, perseguibili solo su querela, prevedono una pena che va da uno a tre anni. Diverso, invece, è il caso in cui l’incidente stradale sia provocato da una persona ubriaca o drogata, fattispecie per cui è prevista una reclusione da tre a dieci anni mentre qualora i morti siano molteplici "ovvero di morte di una o più persone e di lesioni di una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni quindici". Sanzioni considerate un po’ da tutti sufficientemente eque se non fosse che quasi mai vengono comminate nella loro totale severità e che la loro connotazione colposa permette il ricorso al patteggiamento che prevede sostanziali riduzioni di pena. C’è poi la questione dell’arresto: i favorevoli all’introduzione del reato di omicidio stradale, infatti, premono perché sia previsto l’arresto obbligatorio in flagranza visto che con le norme attuali è possibile unicamente il fermo in caso di omicidio colposo plurimo. Sul tema, però, dopo l’ultimo annuncio fatto dalla Cancellieri si è riacceso un dibattito che spacca a metà i commentatori. Fra i più scettici anche l’Associazione Nazionale Magistrati. "Si rischia di creare un equivoco. La norma di omicidio colposo per violazione del codice della strada esiste già", commentava a gennaio il presidente dell’Anm Rodolfo Sabelli citando il pacchetto sicurezza del 2008. "Tutte le volte che c`è un omicidio colposo sotto droga o alcool si invoca l`arresto in flagranza, ma questo già ora è possibile. Occorre coerenza - concludeva Sabelli - non ha senso da un lato chiedere più severità e dall’altro sostenere una riforma della custodia cautelare che, se approvata, renderebbe più difficile applicare misure agli autori di un delitto come questo". Il dibattito, quindi, resta aperto e dopo le parole del premier Renzi ha avuto una nuova accelerazione. Se sarà destinato ad arenarsi di nuovo, soltanto il tempo potrà dirlo ma di certo leggi specifiche contro l’omicidio stradale esistono già nel Regno Unito e in Spagna. "La determinazione della natura delle infrazioni stradali, compresi i casi da considerare omicidi stradali e il tipo di sanzioni applicabili - ha spiegato il commissario europeo Siim Kallas nel marzo 2012 - non sono contemplati dalla vigente legislazione Ue in materia di sicurezza stradale e sono pertanto di competenza esclusiva delle autorità nazionali interessate". "Per ora parliamo dei reati di oggi", ha risposto ai cronisti ieri il ministro della Giustizia Andrea Orlando. E in quel "per ora" si specchia la famiglia di Lorenzo, e quella di centinaia di altre vittime della strada che aspettano ancora. Giustizia: gli eco-delitti entraano nel codice penale, ieri il primo "sì" della Camera di Salvatore Maria Righi L’Unità, 27 febbraio 2014 Ci saranno quattro nuovi reati tra i quali il disastro ambientale e il traffico di materiale radioattivo "Una norma che aspettavamo da venti anni" Quattro nuovi reati, tra cui il disastro ambientale e il traffico di materiale radioattivo, e confisca obbligatoria del profitto del reato. Con una svolta legislativa invocata a più riprese per le ultime vicende di cronaca, in primis il caso Ilva, La Camera aggiorna il codice penale introducendo i delitti contro l’ambiente. Un pacchetto di norme che prevede anche aggravanti per mafia e sconti di pena per chi si ravvede, condanna al ripristino e raddoppio dei tempi di prescrizione. Nel ddl approvato in aula è contenuta anche la delega al Governo per il coordinamento della disciplina riguardante gli illeciti in materia ambientale. I sì sono stati 386, i no 4, gli astenuti 45. Il provvedimento passerà ora all’esame del Senato. Per quanto riguarda il dettaglio del ddl e dei reati introdotti, il disastro ambientale punisce con il carcere da 5 a 15 anni chi altera gravemente o irreversibilmente l`ecosistema o compromette la pubblica incolumità. Con la fattispecie dell’inquinamento ambientale, inoltre, si prevede la reclusione da 2 a 6 anni (e la multa da 10mila e 100mila euro) per chi deteriora in modo rilevante la biodiversità (anche agraria) o l’ecosistema o lo stato del suolo, delle acque o dell’aria. Se non vi è dolo ma colpa, le pene sono diminuite da un terzo alla metà. Scattano invece aumenti di pene per i due delitti se commessi in aree vincolate o a danno di specie protette. Il traffico e abbandono di materiale di alta radioattività colpisce con la pena del carcere da 2 a 6 anni (e multa da 10mila a 50mila euro) chi commercia e trasporta materiale radioattivo o chi se ne disfa abusivamente. Creata infine la fattispecie di "impedimento del controllo" per chi nega o ostacola l`accesso o intralcia i controlli ambientali rischia la reclusione da 6 mesi a 3 anni. In presenza di associazioni mafiose finalizzate a commettere i delitti contro l’ambiente o a controllare concessioni e appalti in materia ambientale scattano le aggravanti. Aggravanti, peraltro, sono previste anche in caso di semplice associazione a delinquere e se vi è partecipazione di pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio. Pene ridotte da metà a due terzi nel caso di ravvedimento operoso: ossia se l’imputato evita conseguenze ulteriori, aiuta i magistrati a individuare colpevoli o provvede alla bonifica e al ripristino. Per i delitti ambientali i termini di prescrizione raddoppiano. Se poi si interrompe il processo per dar corso al ravvedimento operoso, la prescrizione è sospesa. In caso di condanna o patteggiamento della pena è sempre ordinata la confisca dei beni che costituiscono il prodotto o il profitto del reato e delle cose servite a commetterlo o comunque di beni di valore equivalente nella disponibilità (anche indiretta o per interposta persona) del condannato. Il giudice, in caso di condanna o patteggiamento, ordina il recupero e dove tecnicamente possibile il ripristino dello stato dei luoghi a carico del condannato. In assenza di danno o pericolo, nelle ipotesi di contravvenzioni, si ricorre alla "giustizia riparativa" puntando alla regolarizzazione attraverso l’adempimento a specifiche prescrizioni. In presenza dei delitti contro l’ambiente (reati "spia"), il pm che indaga dovrà darne notizia al procuratore nazionale antimafia. "Da venti anni aspettavamo l’inserimento dei delitti contro l’ambiente nel codice penale per poter combattere con strumenti efficaci la criminalità ambientale": così il direttore generale di Legambiente Rossella Muroni: "Si tratta di una riforma di civiltà indispensabile per il nostro Paese. Un primo passo avanti per colpire con pene adeguate chi specula e guadagna impunemente danneggiando l’ambiente e mettendo a rischio la sicurezza e la salute dei cittadini". Giustizia: morte Federico Perna; l’autopsia esclude le percosse ma la madre non si arrende Il Fatto Quotidiano, 27 febbraio 2014 Non sarebbero stati evidenziati segni di percosse durante l’autopsia sul corpo di Federico Perna, il ragazzo di 34 anni morto nel carcere di Poggioreale, a Napoli, l’8 novembre scorso. Il documento è stato consegnato ieri alla madre, Nobila Scafuro, che adesso insieme con i suoi legali Autieri e Cannizzo, sta rielaborando una strategia difensiva. "Vediamo ora cosa dirà il mio medico legale di parte e vediamo di che cosa è morto Federico - ha dichiarato la donna. In prima fase aveva una sindrome grave cronica delle coronarie, un problema che comunque non viene neanche dall’oggi al domani. Sono cose che anche un medico di base può vedere. Evidentemente le 130 visite che dicevano di avergli fatto non gliele hanno fatte". Federico Perna, tossicodipendente da 14 anni, doveva scontare un cumulo di pene che lo avrebbe tenuto dentro fino al 2018, ma era malato di cirrosi epatica e di epatite C cronica, aveva problemi di coagulazione del sangue e disturbi psichici. Eppure aveva già scontato tre anni, rimbalzando da un carcere all’altro, ed era finito a Poggioreale, "undicesimo detenuto in una cella di undici metri quadrati". I medici legali lo avevano dichiarato incompatibile col regime carcerario. Tolmezzo: via i detenuti "comuni"? carcere riservato ai regimi "Alta Sicurezza" e "41-bis" www.ilfriuli.it, 27 febbraio 2014 La Casa Circondariale potrebbe essere presto riservata esclusivamente a condannati sottoposti ai regimi di "Alta Sicurezza" e "41 bis". Interrogazione di Giulio Lauri (Sel) in Consiglio regionale. "Un’eventuale nuova destinazione della Casa Circondariale di Tolmezzo a struttura riservata esclusivamente a detenuti sottoposti ai regimi di "Alta Sicurezza" e "41 bis", con il trasferimento dei detenuti comuni in altri istituti comporterebbe l’interruzione dei progetti formativi e lavorativi all’interno del carcere o in regime di semilibertà e allontanerebbe i detenuti dalle proprie famiglie, rallentando e interrompendo i loro percorsi di reinserimento sociale. In caso di trasferimento in altri istituti della regione, invece, si andrebbe incontro ad un insostenibile peggioramento delle già gravi condizioni di sovraffollamento e difficoltà gestionale delle strutture carcerarie del Fvg". Lo ha dichiarato Giulio Lauri in un’interrogazione presentata nella seduta odierna del Consiglio regionale in cui ha chiesto alla Giunta di informarsi col Ministero sull’esistenza di un progetto di riorganizzazione del Carcere di Tolmezzo. Perugia: "Solidarietà oltre le sbarre", campagna promossa da "Afas, farmacia dei servizi" Ansa, 27 febbraio 2014 Sapone, bagno doccia e bagno schiuma, shampoo, detergente intimo, deodorante, schiuma da barba, salviette igieniche, filo interdentale, dentifricio, spazzolino e collutorio: prodotti di prima necessità per l’igiene personale, che, nel quadro di una campagna di solidarietà a favore dei detenuti del carcere di Capanne, potranno essere acquistati in tutte le farmacie del comune di Perugia e deposti in appositi contenitori, per essere quindi devoluti ai destinatari. Lo prevede "Solidarietà oltre le sbarre", una campagna promossa da "Afas. La farmacia dei servizi", in collaborazione con la Casa circondariale di Perugia, l’assessorato alle Politiche alla coesione Sociale del Comune di Perugia e l’associazione "Il Samaritano", che sarà presentata ufficialmente venerdì 28 febbraio a Perugia, in una iniziativa che si svolgerà (con inizio alle ore 11) nella sede del carcere di Perugia. Saranno presenti la direttrice del Carcere di Capanne Bernardina Di Mario, l’assessore alle Politiche sociali del Comune di Perugia Andrea Cernicchi, il direttore dell’Afas Raimondo Cerquiglini e il presidente dell’associazione "Il Samaritano" Giulio De Florentiis. Lo riferisce un comunicato della Regione. Napoli: "Diamo un taglio all’illegalità", un progetto all’Istituto Penale Minorile di Nisida Ristretti Orizzonti, 27 febbraio 2014 La nuova iniziativa de "Il Carcere Possibile Onlus", in collaborazione con la C.A.T. (Confederazione artistica e tecnica del Coiffure) di Napoli e la C.M.C. (Confederazione Mondiale della Coiffure), all’Istituto Penale Minorile di Nisida. Inizia stamattina il laboratorio finalizzato alla formazione e all’avvicinamento dei giovani detenuti al mondo del lavoro nel settore del taglio di capelli e della colorometria. Si vuole ricordare che esiste una fonte lecita di guadagno ed una futura opportunità d’inserimento sociale. Il corso sarà tenuto da Salvatore De Maria, responsabile della C.A.T., con la collaborazione di Francesco Bottone e Alessandro Minopoli. Avrà la durata complessiva di 3/6 mesi e si articolerà su due livelli: coloro che frequenteranno il corso solo per i primi tre mesi riceveranno un attestato di primo livello in "colorometria"; mentre coloro che frequenteranno il corso per sei mesi conseguiranno anche un diploma di secondo livello in "taglio e acconciatura". I ragazzi che avranno conseguito il diploma di secondo livello, avranno la possibilità di essere assunti dal club di formazione "Fashion Mix", associato al C.A.T. Italia. Il progetto non comporterà alcuna spesa, in quanto gli insegnanti svolgeranno le lezioni a titolo di volontariato e gli strumenti da lavoro, necessari per la realizzazione del corso, saranno offerti da Gianni Barrese, direttore della Diffitalia Group S.r.l.. Chiavari (Ge): intesa Comune-Ministero per impiego detenuti in lavoro di pubblica utilità www.tigullionews.com, 27 febbraio 2014 Da anni in Italia ci si scandalizza perché i detenuti vengono lasciati a marcire in celle (quasi sempre disumane, va detto, se si è liberali nel Paese di Beccaria) senza nulla da fare, se non ammazzarsi, o fare risse con altri detenuti o con gli agenti della Polizia penitenziaria. Tutti dicono che li si potrebbe rendere attivi con dei lavori socialmente utili, ottenendo così un minimo "guadagno" per la società ma anche per gli stessi detenuti, non fosse altro per una presa di coscienza sul lavoro e sul mondo al di fuori del carcere. Arriva oggi una buona notizia dall’attivo Assessore Nicola Orecchia, un avvocato, di professione, che ha tra le altre cose gestito la partecipazione del Comune di Chiavari a Pelagos del Santuario dei Cetacei, una scelta che potrà dare entro l’estate ottimi risultati alla città. Siglati due protocolli d’intesa tra il Ministero della Giustizia, Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria "Direzione della Casa di Reclusione di Chiavari, rappresentata dal Direttore, Dott.ssa Paola Penco, e il Comune di Chiavari in qualità di Capofila del Distretto Sociosanitario nr. 15, Assessorato ai Servizi Sociali, rappresentato dall’Assessore Avv. Nicola Orecchia, in merito all’integrazione socio-lavorativa dei detenuti e al recupero del patrimonio ambientale con lavori di pubblica utilità. Già un anno fa si era avviata un’iniziativa pilota analoga. "L’obbiettivo condiviso del progetto, in ambito di pubblica utilità o attraverso l’utilizzo dello strumento borsa lavoro" " Dichiara l’Assessore ai Servizi Sociali Avv. Nicola Orecchia " "è di dare una concreta attuazione al principio costituzionale di rieducazione del condannato, attraverso l’occupazione di alcuni detenuti presenti nell’Istituto Penitenziario di Chiavari in attività utili per la comunità cittadina: colgo l’occasione per ringraziare la Dottoressa Penco, Direttore della Casa di Reclusione di Chiavari, per la sua sensibilità in merito e per aver consentito l’avvio di questa importante collaborazione. Il Comune, in qualità di Ente preposto all’assetto ed utilizzazione del territorio, è deputato allo svolgimento di diverse attività lavorative, anche in ambito di pubblica utilità, finalizzate alla manutenzione sotto diversi aspetti (manutenzione ordinaria, pulizie, ripristino ecc.), implicanti l’utilizzo di diverse professionalità; come Amministrazione non possiamo quindi che riconoscere l’alto valore formativo di un’esperienza di tutela ambientale del patrimonio collettivo nel percorso di rieducazione dei soggetti detenuti, così come i benefici derivanti da tali attività per tutti i cittadini, che potranno anche " ci auguriamo " superare molti dei pregiudizi nei confronti di queste persone". "Ringrazio l’Amministrazione di Chiavari, in particolare il Sindaco, l’Ing. Roberto Levaggi, e l’Assessore Avv. Nicola Orecchia", dichiara la Dottoressa Paola Penco, Direttore della Casa di Reclusione di Chiavari, per aver condiviso insieme l’importante obbiettivo della rieducazione dei nostri detenuti, persone che stanno espiando una pena e che potranno nobilitarsi e dimostrare a chi vive nel contesto civile di essere ancora una risorsa attiva, utile alla collettività: tali iniziative saranno fondamentali anche e soprattutto per smuovere la sensibilità dei cittadini e per contribuire a smantellare i tanti pregiudizi in essere; sono fiduciosa che queste attività saranno foriere di altre iniziative, che operativamente si potranno attuare, grazie anche alla grande disponibilità del personale di polizia penitenziaria che si occuperà della necessaria vigilanza e del controllo, che colgo l’occasione per ringraziare. Non dimentichiamo infine che le iniziative in fase di avvio superano gli ambiti micro territoriali e sono attuate in linea con l’ordinamento ministeriale, avallate dal Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria: ricordo anche in merito il protocollo d’intesa fra l’Anci, l’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani, e il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. I due protocolli: "La progettazione e realizzazione congiunta di attività finalizzate all’integrazione socio-lavorativa delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale", e "Progetto di recupero del patrimonio ambientale lavori di pubblica utilità" hanno per oggetto l’inserimento socio lavorativo di persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale e detenute presso la Casa di Reclusione di Chiavari, attraverso l’utilizzo, da parte del Comune di Chiavari, dello strumento "borsa lavoro" che vede percorsi tutelati di inclusione socio lavorativa, di socializzazione, di avvicinamento al mondo del lavoro nonché di capacità di adattamento all’ambiente, dove i soggetti possono acquisire consapevolezza del dovere sociale e del bene comune nel rispetto di norme e regole, imprescindibili e necessarie per un processo di reintegrazione; verranno programmate inoltre una serie di iniziative che coinvolgono tali persone in un percorso di sensibilizzazione all’educazione ambientale. Trani: progetto "Magikambusa", spazio ludico per bambini in visita ai genitori detenuti www.radiobombo.com, 27 febbraio 2014 Questa mattina il sindaco di Trani, Luigi Riserbato, ha partecipato alla conferenza stampa di presentazione del progetto "Magikambusa", uno spazio ludico strutturato di accoglienza per minorenni in visita ai congiunti detenuti. La manifestazione si è svolta nella sala conferenze della casa circondariale maschile di Trani. L’associazione di promozione sociale Paideia, in collaborazione con l’amministrazione penitenziaria tranese, ha presentato il progetto, vincitore di un finanziamento regionale nell’ambito di Principi attivi del 2012. All’interno del carcere maschile è stato creato uno spazio ludico ed un’area attrezzata per attività laboratoriali riservate ai numerosi bambini che, giornalmente, accedono, accompagnati, alla struttura per i colloqui con i congiunti detenuti. Apprezzando lo spirito dell’iniziativa, il sindaco Riserbato ha rimarcato la forte sinergia che si è instaurata tra le istituzioni locali, l’amministrazione carceraria ed il mondo del terzo settore, "un rapporto " ha detto il primo cittadino " sempre più cordiale e stretto, che testimonia l’impegno congiunto per rendere più umana la detenzione della pena. Nella circostanza in questione, il progetto sostiene e difende le relazioni più strette, quelle tra familiari, con un occhio di particolare attenzione ai minori i quali, attraverso le attività ludiche che si andranno a svolgere, avranno un impatto con la realtà carceraria meno doloroso e traumatico. All’equipe auguro davvero tanta fortuna". Cagliari: visita a Cellino in carcere, deputato Mauro Pili (ex Pdl) a processo il 15 aprile Agi, 27 febbraio 2014 Mauro Pili, deputato ex Pdl e candidato presidente alle scorse elezioni regionali della Sardegna con la Coalizione del popolo sardo, dovrà presentarsi davanti al Gup di Cagliari il prossimo 15 aprile per risponde dell’accusa di falso scattata nell’ambito dell’inchiesta sulle visite eccellenti nel febbraio 2013 all’allora detenuto Massimo Cellino, presidente del Cagliari Calcio, che era stato arrestato nell’ambito dell’inchiesta sullo stadio di Is Arenas di Quartu. È invece stato prosciolto dalle accuse l’editore del gruppo Unione Sarda Sergio Zuncheddu, che era entrato in carcere - in veste di collaboratore del deputato - per far visita al presidente rossoblù. L’imprenditore però, come ha stabilito il gip che ha archiviato la sua posizione così come richiesto dal pm Gaetano Porcu, entrò a Buoncammino in "buona fede" così come il campione del Cagliari dello scudetto, Gigi Riva anche lui tra i visitatori di Cellino, accompagnati in cella dal parlamentare. Appresa la notizia dell’udienza, Pili ha pubblicato sul suo profilo Facebook una foto che lo ritrae dietro le sbarre, così commentata: "Questa volta gettano la chiave. Prima, però, dirò tutto quello che devo dire. A processo per il niente, per aver contrastato l’arrivo dei mafiosi e aver difeso, a schiena dritta e testa alta, il diritto di una squadra ad avere uno stadio". In realtà l’accusa di falso è stata contestata al parlamentare per aver portato Zuncheddu e Riva in carcere in qualità di suoi collaboratori visto che gli onorevoli possono entrare in prigione senza autorizzazione per ispezionare le condizioni di vita dei detenuti e possono farsi accompagnare da degli assistenti che li seguono però solo per ragioni d’ufficio. Per questo, quando nel febbraio dello scorso anno, la direzione di Buoncammino vide i nomi eccellenti, figurare nell’improbabile veste di collaboratori di Pili, fece partire una segnalazione alla procura di Cagliari che avviò le indagini. Biella: condannata collaboratrice amministrativa carcere, apriva corrispondenza detenuti Ansa, 27 febbraio 2014 Ha patteggiato 23 mesi di reclusione la collaboratrice amministrativa del carcere di Biella accusata di aprire la corrispondenza dei reclusi. Una ventina i casi contestati alla donna, di 52 anni, che in un caso si era anche impossessata di 150 euro indirizzati a un carcerato. Oltre al reato di violazione della corrispondenza, la donna è stata condannata anche per peculato. Padova: fece prostituire un 17enne, agente penitenziario condannato a 4 anni di carcere di Luca Ingegneri Il Gazzettino, 27 febbraio 2014 I giudici non si erano accontentati delle ammissioni della parte offesa raccolte in sede di incidente probatorio. A conclusione dell’istruttoria dibattimentale avevano voluto convocare in aula la vittima. Quello del 10 dicembre scorso era stato un lungo interrogatorio a porte chiuse. Evidentemente il collegio presieduto da Nicoletta De Nardus ha ritenuto credibile il racconto del ragazzo mestrino, all’epoca diciassettenne, che sosteneva di essere stato sfruttato da un agente penitenziario nell’attività di prostituzione omosessuale. Quattro anni di reclusione e undicimila euro di multa. Questa la condanna inflitta a Davide Gasperini, trentacinquenne agente penitenziario all’epoca dei fatti in servizio al Due Palazzi a Padova. Il Tribunale padovano lo ha inoltre interdetto dai pubblici uffici per la durata di cinque anni. Non solo. Gli ha vietato in perpetuo la frequentazione di istituti, luoghi e attività in cui sia prevista la partecipazione di minorenni. Gasperini dovrà inoltre risarcire la vittima, costituita parte civile, con diecimila euro. La difesa dell’imputato, affidata all’avvocato Annamaria Beltrame, ha già preannunciato ricorso in appello. L’agente penitenziario era accusato di aver accompagnato il diciassettenne mestrino sul marciapiede e di essersi fatto consegnare la somma di trenta euro, frutto della prestazione sessuale con un cliente occasionale, abusando della sua qualifica di appartenente a un corpo di polizia. Quello contestato era un unico episodio, risalente al 1. ottobre 2007. Il pubblico ministero Vartan Giacomelli ne aveva sollecitato la condanna a nove anni di reclusione e trentamila euro di multa. Dal canto suo Gasperini, che non era presente in aula alla lettura del verdetto, ha continuato a professarsi innocente. Diceva di essersi ritrovato nei guai soltanto per aver dato una mano ad un minorenne tossicodipendente, abituato a prostituirsi per strada in cambio dei soldi per la droga. Il difensore della guardia penitenziaria aveva concentrato la sua arringa sulle contraddizioni e sulle incongruenze rilevate nella deposizione della parte offesa. Non sarebbero state rilevate tracce di condotte intimidatorie nè di sopraffazione. La presunta vittima non si sarebbe mai sottratta ai contatti telefonici con Gasperini. Quella sera lo avrebbe incontrato e sarebbe salito sulla sua auto. Con tutta probabilità, nel corso della lunga deposizione a porte chiuse, il ragazzo ha chiarito alcuni aspetti della controversa vicenda. Tra le due versioni completamente divergenti, i giudici hanno ritenuto credibile quella proposta dalla parte offesa. Grosseto: Ass. Querce di Mamre; murales in carcere, grazie a opera di Marco Milaneschi La Nazione, 27 febbraio 2014 L’artista grossetano ha realizzato l’opera nella sala colloqui della casa circondariale di via Saffi grazie a un progetto dell’associazione Querce di Mamre. Una nuova veste per la sala colloqui del carcere di Grosseto. Colori e arte che rappresentano una metafora della vita: dal mare in tempesta fino alla speranza della terraferma raccontata dal faro. È il murales che Marco Milaneschi, noto artista grossetano conosciuto come writer in tutt’Italia, ha realizzato nella sala colloqui della casa circondariale di via Saffi a Grosseto, rendendo concreto così un progetto nato dall’associazione Querce di Mamre e promosso da Fondazione Grosseto Cultura e Gomune di Grosseto. Proprio dalle Querce di Mamre e dalla sua responsabile Daniela Borra, che da tempo collabora con il carcere per tante iniziative di solidarietà, era nata l’idea di riqualificare l’area adibita ai colloqui tra detenuti e familiari. "Abbiamo accolto con piacere l’invito di Daniela Borra - afferma Marco Milaneschi - con la nostra associazione Artefacto abbiamo creduto tantissimo in questo progetto per portare all’interno del carcere l’arte contemporanea e la street art che sono riuscite a riqualificare un’area molto importante della struttura, quella stanza dove si incontrano le famiglie. Tra l’altro, il mio grazie va anche a chi, all’interno della casa circondariale, mi ha dato una mano, contribuendo alla preparazione dei fondi. È stata davvero una grande esperienza". "Lo stabile di via Saffi - sottolinea la direttrice della casa circondariale di via Saffi, Cristina Morrone - è in una situazione delicata e merita che qualcuno prenda decisioni importanti, come più volte ho chiesto a tutti i livelli istituzionali. L’opera di Marco Milaneschi ci appare come un regalo preziosissimo soprattutto per i familiari che vengono a trovare i detenuti. In quella sala che prima era bianca, triste e vuota, si incontrano le storie di bambini che vengono a trovare il proprio padre. Volevamo fare in modo che questi incontri fossero resi più piacevoli. Marco è riuscito a raggiungere questo scopo realizzando un murales a trecentosessanta gradi pieno di colore, di intensità espressiva, di speranza che trasforma quella stanza in un luogo di serenità, per quanto può concedere la situazione". Nell’occasione la Fondazione Grosseto Cultura ha donato alla casa circondariale di via Saffi quaranta libri, di altrettanti autori che hanno partecipato alla prima edizione di "Grosseto scrive", il concorso promosso proprio per dare voce ai talenti del territorio. "Marco Milaneschi - evidenzia il presidente di Fondazione Grosseto Cultura, Loriano Valentini - ha collaborato con noi nell’organizzazione di Oltremare streetart, il festival dedicato ai writers che tanto ha riscosso successo la scorsa estate. Questa nuova forma d’arte può essere utilizzata proprio per la riqualificazione di monumenti ed edifici e come Fondazione siamo molto orgogliosi dell’opera nella casa circondariale. Con la direttrice Morrone intendiamo portare avanti altri progetti perché anche la cultura della nostra città possa passare attraverso le grate del carcere e portare sollievo ai detenuti e ai loro familiari". Soddisfazione è stata espressa anche dal sindaco di Grosseto, Emilio Bonifazi: "Siamo a fianco della direttrice Cristina Morrone in tutte le sua battaglie per mantenere alta l’attenzione sulla casa circondariale. Anche iniziative come queste sono utili per entrare nel carcere e vedere da vicino la situazione dei detenuti e di chi lavora all’interno della struttura". Musica: anniversario "At San Quentin" di Johnny Cash, Man in Black canta per i carcerati di Lorenzo Randazzo www.ilsussidiario.net, 27 febbraio 2014 Pochi giorni fa è stato l’anniversario del celebre concerto di Johnny Cash nella prigione di San Quentin. E da allora sono passati ben 45 anni. Per molti il più bel concerto di Cash nonché uno tra i migliori live di sempre. Un concerto intenso, di altissima qualità, reso godibile e arricchito dalle doti da intrattenitore e di showman di Cash (non dimentichiamoci che di lì a breve metterà in luce tutte le sue qualità diventando la "Voce d’America" con lo spettacolo televisivo Johnny Cash show). Sin dal 1957 Cash suonava nelle carceri e da tempo mostrava l’intenzione di registrare una di quelle esibizioni. "Live at Folsom Prison" del gennaio 1968 è stata la prima incisione: "Il carcere è l’unico posto dove registrare un album dal vivo: non avevo mai sentito una reazione simile alle mie canzoni". L’impegno e l’attenzione di Cash nei confronti dei carcerati, spesso oggetto delle sue canzoni, e le sue abituali frequentazioni delle prigioni... come visitatore, come "ospite" (qualche nottata in cella per ragioni legate al consumo di droghe) e come performer, sono note ai più. Del resto le intenzioni di Cash sono chiaramente espresse nella sua canzone manifesto Man in Black: "Indosso il nero… per il detenuto che ha a lungo pagato per il suo crimine, ma è lì perché lui è una vittima dei tempi". I detenuti potevano contare su Cash, loro dovevano sapere che non erano stati dimenticati. Filmato e registrato con l’intenzione di essere immesso sul mercato "At San Quentin" negli anni è stato proposto in vari formati: come Lp nel giugno del 1969, come riedizione ampliata nel 2000 e in Legacy edition (2cd + dvd del documentario) nel 2006. Carismatico e performer formidabile, quello che sorprende ed entusiasma di Cash è la sua spontaneità: sin dai primi suoni si percepisce che in quel contesto si trova perfettamente a suo agio. Le immagini disponibili del tempo presentano un artista in perfetta forma fisica e ben determinato fin dal suo ingresso nel carcere. Un uomo vissuto, un volto segnato dal peso degli anni, spalle larghe, capelli perfettamente laccati e una camminata lenta e spavalda. Sulle note di Big River John si presenta al pubblico con il rituale e naturale "Hi, Ìm Johnny Cash" che gli consente di rompere il ghiaccio e di prendere il controllo della scena già dalle note iniziali. Un saluto diventato consueto nel tempo, così come l’espressione: "It’s good to be with you". Cash non perde mai il suo senso dell’umorismo, tanto che gli inframmezzi tra una canzone e l’altra sono piacevoli e divertenti: "Sapete siamo in tour da una settimana e dopo l’ultima sessione di registrazione hanno detto che il vecchio Johnny Cash (avrebbe compiuto 37 anni due giorni dopo) lavora bene sotto pressione"! Cash comunica al pubblico che il concerto sarebbe stato registrato e trasmesso da una televisione inglese. Deciso ma con voce tremante Cash scalda il pubblico: "mi hanno detto di fare quella canzone, di fare quest’altra canzone, di stare in un certo modo e di comportarmi così… non hanno capito, sono qui per fare quello che voi volete che io faccia e per fare quello di cui io ho voglia. Cosa volete sentire"?. Boato, urla, richieste e Cash che attacca con una versione incendiaria di I Walk the Line (per l’appunto "Rigo Dritto"). Per l’esecuzione di Darlin Companion di John Sebastian, viene raggiunto sul palco dalla sua anima gemella June Carter che aveva sposato in seconde nozze un anno prima e che rimarrà la sua compagna per il resto della vita. Per l’occasione Johnny ha composto e presenta delle nuovi canzoni, tra le quali Starkville City Jail. Sul palco non trova il testo della canzone e chiede aiuto ai secondini di recuperargli la borsa con la sua roba (all my dope…, un gioco di parole provocatorio). La canzone parla del suo arresto alle due di notte per mano della polizia di Starkville. Una notte in cella e una multa di trentasei dollari per avere colto dei fiori… o più verosimilmente perché stava girovagando in stato di ubriachezza. Cash: "non chiedetemi cosa mi avrebbero fatto se avessi colto una mela o altro"! Dove lo trovate uno, un’artista affermato s’intende, che viene a fare uno show "a domicilio", che scrive una canzone appositamente per i suoi "ospiti" e che esegue questo brano per due volte di fila? "Pensavo a voi giusto ieri, sono già stato qui tre volte e penso di avere capito un po’ meglio di come vi sentiate su certe cose, non è affare mio di capire come vi sentiate su altre cose e su altre cose ancora invece proprio non mi interessa!". San Quentin è un’altra canzone composta per l’occasione in cui Cash si è voluto immaginare detenuto in quel carcere dal 1963: "San Quentin yoùve been livin’ hell to me… San Quentin I hate every inch of you"! Cash sa come conquistare i cuori e i favori del pubblico e tra i boati di acclamazione propone: "One more time"? e dopo il classico "Can i have a glass of water" ripropone San Quentin per la seconda volta. "Prima di andare via probabilmente la rifarò… mi sto piacendo"! Un gigante. Meritevole di menzione anche l’esecuzione di Wanted Man scritta la settimana precedente in Nashville con Dylan: "Non devo dirvi certo io chi sia Bob Dylan, the greatest writer of our times" (ed era solo il 1969)! Anche A Boy Named Sue è una canzone nuova, il suo testo gli era stato dato da Shel Silverstein qualche giorno prima. Primo singolo dell’album, riscuote un notevole successo di vendite. La canzone parla di un padre che prima di abbandonare il figlio maschio decide di chiamarlo Sue (un nome da femmina) per metterlo fin da subito di fronte alle difficoltà della vita: "Bill or George! Anything but Sue"! L’esecuzione di Folsom Prison Blues è forsennata e il suo testo, crudo e spietato, che è stato scritto dal punto di vista di un detenuto: "Ho sparato a un uomo a Reno solo per vederlo morire" fa ancora oggi raggelare il sangue al suo ascolto. In una sala illuminata a giorno dalle luci dei neon, i secondini armati sono in costante tensione e pronti ad intervenire per placare eventuali rivolte. Comunque Cash dimostra di sapere il fatto suo e come scrisse Ralph Gleason sulle pagine di Rolling Stone dell’epoca: "Ciò che ha fatto era al limite, se si fosse spinto un millesimo più in là il pubblico sarebbe esploso. Sapeva quando fermarsi". Fervente cristiano e amante della Bibbia, anche in questo show Cash include in scaletta delle canzoni gospel: (Therèll be) Peace in the Valley e He turned the water into wine. "Una cosa seria" e Cash racconta del suo viaggio con June in Terra Santa nell’anno precedente, della piccola cittadina di Cana, della sua chiesetta, luogo in cui è avvenuto il primo miracolo di Gesù dell’acqua trasformata in vino: "Una volta uscito ho avuto un’ispirazione, se mai ne ho avuta una, ecco l’ho avuta allora" e andando verso Tiberiade in macchina nei minuti successivi ha scritto He turned the water into wine. Johnny Cash sapeva mettere tutti d’accordo. Amato dagli adulti per il suo trascorso nell’esercito, per le origini umili e di provincia, per suoi canti popolari e per i suoi testi religiosi, trova apprezzamento anche tra i più giovani a cui piace la sua immagine da ribelle e da fuorilegge: emblematica in tal senso la celebre foto di Jim Marshall che ritrae Cash che mostra il dito medio proprio durante lo show a San Quentino. At San Quentin è un disco imprescindibile in cui la grandiosità di Cash trova la sua piena espressione. Johnny Cash non è solo un eroe americano ma è anche un vero eroe dei nostri tempi. Droghe: "serve una nuova politica…", un appello nel segno di don Gallo di Matteo Macor La Repubblica, 27 febbraio 2014 Si riparte nel nome di don Gallo, nella sua città, con il lavoro dei suoi ragazzi. Si riprende "con coscienza e profondità" a parlare di droga e tossicodipendenze, a due settimane dalla bocciatura della legge Fini- Giovanardi e oltre 14 anni dall’ultima vera Conferenza governativa sulle droghe (in scena proprio a Genova nel 2000). Si riparte "perché occorre guidare la politica nel riconsiderare il problema delle dipendenze, e perché - dati e presa di posizione sono di Cnca, la federazione che raccoglie tutte le comunità di accoglienza - dei 62.500 detenuti che oggi in Italia, più del 30 per cento sono in carcere per aver violato la legge sulle droghe. Più del doppio della media europea: e questo vuol dire che qualcosa non ha funzionato". È con questo spirito e questi numeri che prenderà il via domani a Palazzo Ducale il convegno "Sulle orme di Don Gallo", due giorni di dibattito per "ripensare una nuova politica sulle droghe" con cui la Comunità San Benedetto al Porto ha voluto riunire nella città di Andrea Gallo gli stati generali del settore: "un mondo vario e molto vasto - spiega Domenico Chionetti, portavoce della Comunità - composto dagli operatori pubblici, i Sert, le Associazioni, le Comunità e singoli consumatori". Se l’obiettivo è trovare una nuova via da suggerire alla politica, "liberare il dibattito sulle politiche delle droghe da tensioni moraliste e ideologiche" - aggiunge Andrea Fallarino di Itardd, la rete italiana per la riduzione del danno - e varare una "Carta di Genova" che sia di indirizzo alle scelte governative del futuro, a rivolere dopo tanti anni un tavolo di discussione sul tema sono state le principali realtà che operano nel campo delle dipendenze: da Antigone e Forum Droghe a Legacoopsociali e il Gruppo Abele di Don Ciotti. "Urgeva organizzare questa conferenza per riprendere il dibattito sulle droghe - continua Cecco Bellosi, del Cnca - pensarne un nuovo sistema normativo, fare il punto della situazione dopo 25 anni in cui politiche proibizioniste e fortemente repressive hanno fatto soprattutto tanti danni". Dediche significative (Stefano Cucchi e Aldo Bianzino, "vittime dell’inutile guerra alle droghe e ai drogati") e volti noti tra i relatori (il sindaco Doria, Burlando, Don Armando Zappolini, Ivan Scalfarotto, Gian Maria Flick), "Sulle orme di Don Gallo" sarà articolato in quattro seminari. Al via dalle 10 di domani, si partirà dal superamento della Fini-Giovanardi con "I drogati e la legge", seguito da "La città e i drogati", "Parlano i drogati" e "Drogati senza cure", con cui si valuterà il sistema dei servizi pubblici e il funzionamento dei sert. "Il risultato spero sarà il miglior modo per ricordare Don Gallo - commenta il vicepresidente regionale, Claudio Montaldo - Un modo concreto per continuare il suo lavoro, camminando sui suoi passi, e far sì che il tema della tossicodipendenza non sia affrontato in termini di marginalizzazione, ma di solidarietà e rispetto delle persone. Come ci ha insegnato Andrea". La politica delle droghe, di Fabio Scaltritti Domani e il 1° marzo si svolgerà a Genova, tra Palazzo Ducale e Palazzo Tursi, un importante convegno nazionale dal titolo "Nel solco di Don Gallo: per una diversa politica sulle droghe". Don Andrea Gallo amava l’appellativo "L’inganno Droga". L’inganno di un sistema che invece di comprenderne le cause, prendersi cura le vittime insiste in un atteggiamento proibizionista e in malafede che dimentica la storia (il proibizionismo americano sull’alcol) e nega le evidenze. In nome di questo ottuso atteggiamento la Legislazione Italiana ha perseguito per anni la repressione e la carcerazione come unico deterrente per contenere una domanda che è invece esplosa così come si sono moltiplicate le sostanze illegali in circolazione. Attenzione al significato delle parole, ricordava Don Gallo, la liberalizzazione è già ed è ora. È la legalizzazione, la regolamentazione che dobbiamo perseguire in nome di un atteggiamento laico che abbia l’informazione, la prevenzione, la riduzione dei danni e la cura tra i suoi quattro pilastri. Con la repressione puntuale del narcotraffico e delle connessioni mafiose che ne traggono profitto. E quindi proprio da Genova l’avvocato Giovanni Maria Flick in un procedimento penale lancia l’eccezione di costituzionalità della Fini- Giovanardi. La Corte Costituzionale la accoglie e lo scorso 12 febbraio in Camera di Consiglio sancisce la nullità di quella legge frutto di un colpo di mano a scapito del Parlamento e della Carta Costituzionale. Per questo già a ottobre, con una visione profetica, una decina di Reti e Associazioni propongono alla Comunità San Benedetto di raccogliersi a Genova "nel solco di don Gallo" per tentare di modificare quell’impianto legislativo così obsoleto e impregnato di furore ideologico che nel frattempo ha contribuito a riempire le carceri del nostro Paese senza intaccare minimamente né la domanda né l’offerta di droghe in Italia. Genova inoltre riveste un doppio valore simbolico in quanto è proprio a Genova nel 2000 che si riunisce l’ultima "vera" Conferenza governativa sulle droghe in Italia, la lotta alla droga si è puntualmente realizzata con una vera e propria guerra ai drogati e alle loro famiglie. Vogliamo ricordare Stefano Cucchi, Aldo Bianzino e tanti altri che hanno perso la vita a causa di tutto questo. Fino a che punto siamo disposti a spenderci in questa follia? A Genova poi si affronterà la questione della fragilità del sistema dei Servizi pubblici che stanno subendo l’attacco più insidioso vittime, di un modello di Sanità pubblica sempre meno universale e sempre più improntato a dimensioni e risultati da Azienda privatistica. O si ricomincia a pensare alla spesa pubblica come a un investimento sul futuro del nostro Paese o continueremo a sentircela imporre come spesa da tagliare nelle innumerevoli spendig review che i prossimi governi sapranno proporre, come ricette magiche senza risultati. La riduzione dei danni è ormai quasi scomparsa e ricomincia in Italia la conta della diffusione delle infezioni (Aids ed epatiti). A Genova invece ridaremo voce ai consumatori, a noi stessi e a chi ha saputo con lungimiranza proseguire studi, ricerche, sperimentazioni e servizi non arrendendosi alla logica di un Dipartimento nazionale antidroga che va urgentemente riformato ridando spazio e protagonismo ai territori, agli Operatori. Senza continuare a umiliare i Comuni e riprendendo un dialogo interrotto da troppo tempo con le Regioni. Ci auguriamo che gli enti locali sapranno accogliere la proposta di un garante dei detenuti che si proponga come figura laica e di tutela in un quadro di funzioni che consentano al carcere di non rimanere isolato dentro il suo mondo. Ci auguriamo inoltre che i partecipanti a questo convegno, sappiano proporre alla politica nazionale non un indulto o una amnistia senza risorse ma procedimenti legislativi immediati di indulti selettivi su tutte le tipologie di reati senza vittime. Sarebbe un modo saggio e lungimirante di avviare un processo di riforme legislative che cancelli una volta per tutte le conseguenze più nefaste delle leggi sugli stupefacenti e sull’immigrazione. Superando così le tentazioni di nascondere all’Europa, sotto il tappeto di alchimie organizzative e "creative", l’orrore insopportabile delle attuali condizioni carcerarie. India: telefonata tra Renzi e Ban Ki-moon, da Onu massimo impegno per marò italiani Radiocor, 27 febbraio 2014 Il segretario generale dell’Onu, Ban Ki Moon ha assicurato al presidente del Consiglio, Matteo Renzi, il "massimo impegno" delle Nazioni Unite per il caso dei due marò detenuti in India. Lo afferma una nota di Palazzo Chigi che riporta i contenuti di una telefonata tra il presidente del Consiglio e il Segretario generale. Renzi "nel ricordare l’impegno di militari italiani a sostegno delle operazioni di mantenimento della pace, ha richiamato l’attenzione del Segretario generale sull’arbitraria detenzione in India". Nel ribadire il carattere internazionale della vicenda, il presidente del Consiglio ha confermato l’aspettativa che le Nazioni Unite possano contribuire a una soluzione della questione. Dal canto suo il Segretario generale, spiega una nota di Palazzo Chigi, ha assicurato "massimo impegno delle Nazioni Unite, dicendosi consapevole delle implicazioni di tale specifica vicenda sulle operazioni di contrasto alla pirateria condotte dalla comunità internazionale". Nel corso del colloquio, il Segretario generale ha inoltre formulato i migliori auguri di successo al nuovo Governo e si è soffermato in particolare sul ruolo svolto dall’Italia in favore della stabilità internazionale, sottolineando "il contributo essenziale del nostro Paese quale partner privilegiato delle Nazioni Unite e sede di Agenzie impegnate sulle tematiche della sicurezza alimentare". Renzi ha confermato il forte e convinto sostegno dell’Italia all’Onu e ha espresso a Ban Ki-moon la sua personale ammirazione. Nel corso della conversazione è infine stata ricordata la drammatica situazione umanitaria nella Repubblica centro-africana, che l’Italia segue con attenzione anche nel quadro delle iniziative promosse dall’Unione Europea. Gran Bretagna: libero per "errore" sospetto terrorista Ira, è scontro politico Secolo XIX, 27 febbraio 2014 Un "errore" giudiziario si sta trasformando in un terremoto politico. La decisione di un tribunale di Londra che ha scagionato John Downey, ex membro dell’Ira accusato del sanguinoso attentato a Hyde Park nel 1982 (4 morti), ha prodotto una reazione a catena. È emerso che il sospetto terrorista ha usato per sottrarsi al processo una delle lettere "segrete" inviate dalle autorità britanniche a circa 200 membri del gruppo paramilitare in fuga, garantendo di fatto l’immunità dai processi. Il primo ministro dell’Ulster, l’unionista Peter Robinson, ha reagito con rabbia alla notizia e ha minacciato di dimettersi se Londra non farà luce sull’accaduto. Quelle lettere erano frutto delle trattative, avvenute dopo gli accordi di pace del 1998 fra unionisti e repubblicani in Ulster, che l’allora premier laburista Tony Blair ha condotto con il partito indipendentista irlandese Sinn Fein. Lo scopo era di far consegnare le armi ai militanti dell’Ira ancora attivi e offrire ai cosiddetti "fuggitivi", circa 200 persone, una sorta di amnistia per evitare di finire sotto processo per reati commessi durante il conflitto nord-irlandese. Un momento importante nel processo di "pacificazione". Ma Robinson ha affermato di essere stato all’oscuro di questo accordo e ha invocato l’apertura di un’inchiesta giudiziaria. Delle controverse lettere, 149 sono state inviate dal governo laburista e 38 da quello di David Cameron, nel periodo 2010-12. Una nel 2007 è arrivata (per errore) anche a Downey, che in teoria non avrebbe dovuto riceverla perché già pendeva sulla sua testa un mandato di cattura emesso da Scotland Yard. Il premier, intervenendo alla Camera dei Comuni, ha parlato di "errore madornale" e sottolineato che quella lettera non doveva essere spedita. Cameron ha aggiunto però che la decisione del tribunale dell’Old Bailey, secondo cui il documento presentato da Downey resta valido, è da rispettare. Il caso è quindi arrivato ai più alti livelli di governo e pone seri interrogativi per la giustizia britannica. Il procuratore generale, Dominic Grieve, ha escluso per il momento che verrà fatto appello alla sentenza. Oltre alle polemiche politiche ci sono però anche le accuse dei familiari delle vittime. L’autobomba piazzata di fronte alla caserma di Hyde Park, durante il passaggio di un drappello a cavallo della Household Cavalry, costò la vita a quattro militari. Le famiglie si sono dette sconvolte per questo "errore monumentale" e "abbandonate" dalle autorità. Le risposte potevano arrivare da Downey, che ricercato per 30 anni è stato arrestato solo l’anno scorso all’aeroporto di Gatwick e poi rilasciato su cauzione in attesa di quel processo che però a questo punto non ci sarà. Egitto: al-Jazeera lancia campagna mondiale per suoi giornalisti in carcere Aki, 27 febbraio 2014 La tv del Qatar al-Jazeera ha lanciato una campagna mondiale per ottenere la liberazione dei suoi quattro giornalisti in carcere in Egitto, tre dei quali sono stati rinviati a giudizio con l’accusa di collaborare con un’organizzazione - i Fratelli Musulmani - che Il Cairo ha messo al bando con l’accusa di terrorismo. La campagna - ha spiegato Ghassan Abu Hussein, responsabile relazioni internazionali della tv - prevede lo svolgimento di manifestazioni davanti alle ambasciate egiziane di tutto il mondo per chiedere il rilascio dei giornalisti. "Lanciamo un appello a tutti i giornalisti e a chi sostiene la libertà di stampa di organizzare delle veglie davanti alle ambasciate egiziane di tutto il mondo", ha dichiarato Abu Hussein nel corso di una conferenza stampa a Doha. "Al-Jazeera spera che l’attenzione dei media di tutto il mondo possa fare pressione e spingere le autorità egiziane a tornare sui loro passi", ha aggiunto il responsabile della tv, precisando che la campagna prevede anche una petizione on line per chiedere la scarcerazione dei reporter. Tre giornalisti di al-Jazeera English sono attualmente in carcere con l’accusa di aver collaborato con "un’organizzazione terroristica". Si tratta dell’australiano Peter Greste, dell’egitto-canadese, Mohamed Fahmy e dell’egiziano Baher Mohamed. Tutti e tre sono stati arrestati al Cairo il 29 dicembre. Un altro giornalista della tv, Abdullah Elshamy, è detenuto dal 14 agosto al Cairo. Contro Elshamy, che dal 23 gennaio è in sciopero della fame, non è ancora stata formulata un’accusa, ha denunciato la tv del Qatar. Pakistan: caso Asia Bibi, corte annulla udienza appello per blasfemia Adnkronos, 27 febbraio 2014 La Corte suprema di Lahore ha annullato l’udienza del processo di appello per il quale era stata formulata dai legali di Asia Bibi, la donna cristiana di 45 anni condannata a morte in Pakistan con l’accusa di blasfemia e detenuta dal 19 giugno 2009 nel carcere di Sheikhupura. Lo rivela il quotidiano ‘The Express Tribunè. Deluso il marito e padre dei suoi cinque figli, Ashiq Masih, che ha parlato di una "rara speranza per me e per i miei figli. Il Tribunale dovrebbe riconsiderare i fatti e rilasciarla". Il legale della donna, Muhammad Yasin, ha poi spiegato a "The Express Tribune" che il 14 febbraio scorso è stato informato dalla Corte suprema di Lahore via sms che l’udienza era stata "cancellata". Si tratta di una questione sensibile, ha proseguito l’avvocato, e il Tribunale ne è consapevole. Asia Bibi era stata denunciata nel 2009 da alcuni suoi vicini di casa in un villaggio vicino a Nankana Sahib di aver offeso il profeta Maometto durante una discussione con alcune musulmane scaturita dal suo credo religioso. Pochi giorni dopo, la Bibi è stata arrestata. I legali della donna hanno presentato ricorso in appello alla sentenza di condanna a morte e chiesto la grazia al presidente Asif Ali Zardari, che ha chiesto la revisione del processo. Egitto: tribunale Alessandria condanna più di 200 Fratelli musulmani al carcere Nova, 27 febbraio 2014 Il tribunale di Alessandria d’Egitto ha condannato ieri, nell’ambito di tre diversi processi, più di 200 imputati legati ai Fratelli musulmani e ai gruppi ostili al colpo di mano dei militari dello scorso luglio. Gli imputati sono stati arrestati nel corso dell’ultimo anno e condannati per diversi atti di violenza registrati durante le manifestazioni contro il governo organizzate dai gruppi islamisti. Sono stati condannati in 40 a pene che variano tra i sette e gli otto anni di carcere, mentre altri 45 hanno ottenuto tre anni di carcere. Sanzioni pecuniarie sono state comminate a 19 studenti dell’università di al Azhar, cuore della cultura islamica in Egitto. Bahrain: giovane attivista muore in carcere, denunce di torture Aki, 27 febbraio 2014 Jaffar Mohammed Jaffar, attivista antigovernativo di 23 anni, è morto in carcere in Bahrain e la sua vicenda ha riacceso le polemiche sulle presunte torture che gli oppositori politici riceverebbero nelle carcerei del paese del Golfo. Il ministero dell’Informazione ha annunciato con un comunicato che il giovane è morto all’alba, dopo aver ricevuto cure presso il centro medico di Salmaniya, quartiere della capitale Manama, dove era stato condotto il 19 febbraio. La nota non precisa le cause della morte, ma ricorda che Jaffar soffriva di anemia falciforme. Secondo attivisti dell’opposizione e gruppi per i diritti umani, il giovane, come molti altri oppositori che da tre anni a questa parte animano le proteste antigovernative, ha subito torture e maltrattamenti in carcere. Il governo del Bahrain, tuttavia, ha sempre negato le accuse e ha assicurato di rispettare i diritti dei detenuti in base alle norme internazionali. Stati Uniti: in Missouri eseguita pena di morte a uomo condannato per omicidio 15enne La Presse, 27 febbraio 2014 Le autorità del Missouri hanno eseguito la pena di morte nei confronti di un uomo condannato per aver rapito, violentato e ucciso un’adolescente a Kansas City nel 1989. Michael Taylor ha ricevuto un’iniezione letale poco dopo mezzanotte ora locale nel carcere statale di Bonne Terre. Si è trattato della quarta esecuzione in Missouri da novembre. I legali dell’uomo sostenevano che il pentobarbital usato per l’iniezione letale avrebbe potuto causare a Taylor "un dolore acuto, non necessario, persistente e disumano", ma tribunali federali e il governatore Jay Nixon hanno respinto il ricorso. Il 47enne Taylor si era dichiarato colpevole di aver rapito, stuprato e accoltellato nel 1989 la 15enne Ann Harrison.