Giustizia: l’emergenza carceri chi? per il premier la priorità italiana è l’omicidio stradale di Eleonora Martini Il Manifesto, 25 febbraio 2014 Il messaggio alle Camere (mai discusso) del capo dello Stato Giorgio Napolitano, la corsa del Senato a convertire in legge in extremis il decreto svuota-carcere con Letta dimissionario e in pieno blocco delle attività parlamentari, l’avvicinarsi pericoloso della dead line del 28 maggio imposta dalla corte di Strasburgo per risolvere il problema dell’illegalità in cui versano gli istituti di pena italiani. Tutto rimosso. Per il richiedente fiducia Matteo Renzi esiste solo un’emergenza, nel campo della giustizia: l’omicidio stradale. Lo stesso reato che l’ex Guardasigilli Annamaria Cancellieri - chissà perché rimossa, a questo punto - aveva promesso di introdurre entro lo scorso gennaio. Non una parola sul sovraffollamento, come fa notare anche l’Unione delle camere penali. Il resto, insomma, può aspettare il "mese di giugno", quando "sarà compito del Ministro competente", dice Renzi, portare in Parlamento "un pacchetto organico di revisione della giustizia". Parla di quella amministrativa e di quella civile, nel suo discorso a braccio, ma quando si addentra sul penale Renzi riesce solo a chiedere pene più alte per "chi ubriaco e drogato si mette alla guida di un motorino causando il decesso di un ragazzo di 17 anni". La storia che ripete - "volutamente banale" - di Lorenzo Guarnieri, ucciso nel 2010, l’ha già citata durante il commiato da Palazzo Vecchio. Sul resto glissa, ma non è un caso: la sua ambizione è affidare al pm antimafia Nicola Gratteri (bocciato da Napolitano come ministro) la consulenza per un piano "svuota carceri", da declinare in una versione poco "garantista". Nichi Vendola le chiama "frasi da bar", quelle capriole verbali con cui il giovane presidente del Consiglio tenta di bypassare gli ultimi "20 anni di scontro ideologico sul tema" che hanno lasciato - spiega - le opposte fazioni "calcificate" nelle loro posizioni di partenza. "Vi rendete conto cosa possa diventare incontrare nel giorno del 18° compleanno di Lorenzo i suoi amici che festeggiano il suo compleanno senza di lui ricordandolo?", domanda retoricamente Renzi. Poi la chiosa da grillino: "Questa è la vita reale che vorremmo informasse di più la discussione sulla giustizia: non, semplicemente, i nostri derby ideologici, ma la necessità di fare della giustizia un asset reale per lo sviluppo del Paese". C’è ancora il sindaco, nei panni del presidente del Consiglio. Lo si sente soprattutto quando affronta il tema della giustizia amministrativa: "Negli appalti pubblici", dove "lavorano più gli avvocati che i muratori" (anche qui, strana sintonia con Cancellieri), "non c’è alternativa al ricorso sul controricorso con la sospensiva". "Siamo al punto - dice Renzi - che i tribunali amministrativi regionali discettano di tutto", e che "un provvedimento di un sindaco (in alcuni casi anche del Parlamento) è comunque costantemente rimesso in discussione in una corsa ad ostacoli impressionante". Mentre il problema della giustizia civile si riassume nella lapidaria frase della "lunghezza dei processi" per cui "non soltanto se ne vanno gli investimenti (ed è un problema), ma se ne va anche la possibilità di credere realmente che il Paese sia redimibile, che il Paese sia recuperabile". "A fronte della deludente dichiarazione programmatica di Renzi", inquinata dal "pernicioso riflesso pavloviano di considerare emergenza qualsiasi cosa abbia un’evidenza mediatica", il presidente degli avvocati penalisti, Valerio Spigarelli si dice "convinto che il nuovo ministro Andrea Orlando, che ha esperienza su questi temi per essersene occupato nel Pd, saprà rappresentare nel governo quali siano le vere emergenze in questo campo, prima fra tutte quella delle carceri". "Per un’azione efficace - suggerisce il presidente dell’Ucpi - va ripreso subito il pacchetto di misure messo a punto dalla commissione incaricata dal precedente ministro e presieduta dal presidente della corte d’appello di Milano, Canzio: è un buon progetto, chiavi in mano". Ma coma sa bene il nuovo Guardasigilli, secondo Spigarelli "bisognerebbe mettere mano a una riforma del titolo IV della Costituzione", ma "non mi sembra che Renzi abbia parlato di riforma costituzionale della giustizia". Giustizia: priorità a carceri, processi e organici, ecco le emergenze sul tavolo del governo di Liana Milella La Repubblica, 25 febbraio 2014 Andrea Orlando mette subito in pratica il consiglio di Renzi, non parlare del "derby ideologico" se ci si occupa di giustizia. Dello scontro del ventennio, della guerra Berlusconi-toghe, in questa prima giornata di dibattito in aula, Orlando non parla proprio. Di conseguenza, non parte da lì, dalle avvelenate leggi ad personam, per cambiare la giustizia. Anche se i dossier che le riguardano sono già allineati in bella evidenza sulla sua scrivania, dalle nuove norme contro la corruzione, al falso in bilancio, alla prescrizione. Studi e analisi, per ora, una base di discussione e di confronto. Ma cominciare a litigare subito, anche nella maggioranza, soprattutto con Alfano e gli uomini di Ncd, può essere il viatico peggiore per affrontare le riforme e per alzare il muro dei veti. Basti pensare che proprio il titolare dell’Interno Angelino Alfano, parlando di giustizia, ha rilanciato sulle intercettazioni, tema quanto mai fonte di rissa. Per questo, la parola d’ordine del neo Guardasigilli, in questi primi giorni di incarico, è "cominciare dalle emergenze vere, quelle più gravi, dalle carceri, alla giustizia civile, alla storica e cronica mancanza di personale". Perché se non si affrontano quelle, "la giustizia resterà inefficiente proprio com’è adesso, con i suoi quasi 8,7 milioni di processi pendenti tra civile (5,3) e penale (3,4), che consegnano l’Italia agli ultimi posti nelle classifiche internazionali sull’efficienza". In cima alla lista di queste emergenze - come dice Orlando in una pausa del dibattito sulla fiducia al Senato - ci sono "la mancanza del personale amministrativo, il tuttora pesante sovraffollamento delle carceri, lo spaventoso arretrato nei processi civili". Qui si butterà a capofitto. Anche se il capitolo della giustizia penale, quello che certamente fa più notizia, non resta in secondo piano. Proprio per i dossier già pronti sull’accelerazione del processo penale, che contiene un rigido filtro ai ricorsi in Cassazione, e sulle misure antimafia elaborato a palazzo Chigi dalla commissione Garofoli, in cui ha lavorato anche il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Nicola Gratteri. Lì ci sono proposte forti, come le videoconferenze per tutti i detenuti pericolosi, oltre che per i mafiosi e i pentiti, l’aumento della pena per il reato di associazione mafiosa, carceri ad hoc e rafforzamento del regime speciale detentivo noto come 41bis. Di tutto questo Orlando parlerà domani con Gratteri, che incontrerà in via Arenula e a cui proporrà una consulenza proprio sugli interventi contro la criminalità organizzata. In aula, l’ex pm Felice Casson, oggi esponente della sinistra Pd, ha sollecitato Orlando a prendere la scure su "lotta alla corruzione, falso in bilancio, auto-riciclaggio, prescrizione". Il ministro non nega affatto che queste emergenze ci siano, ma strategicamente fa la scelta, come prima mossa in via Arenula, di puntare in prima battuta sull’efficienza della macchina. Non nega affatto che questi dossier siano importanti, ma la prima mossa è quella di rimettere in piedi una struttura che, così com’è ridotta adesso, non è più in grado di funzionare. Orlando respinge subito anche la voce maligna che lo vorrebbe ministro non in conflitto con Berlusconi. Lui nega e fa intendere che in via Arenula, nei prossimi mesi, "non verranno certo scritti provvedimenti per avvantaggiare l’ex premier". Per esempio non c’è nulla allo studio sulla responsabilità civile dei giudici, tema caro ad Alfano e ovviamente al leader di Forza Italia. L’allarme del "non ce la facciamo più" arriva da troppi uffici. Per questo, il primo passo riguarda il personale. Lo stop delle assunzioni, che data al 1990, ha prodotto un buco considerato enorme dell’organico, meno 8mila dipendenti. Domani Orlando incontrerà i rappresentanti dei dipendenti amministrativi, e studierà con loro soluzioni per recuperare uomini. "Senza uomini è tutto inutile, la giustizia continuerà a essere un settore che non garantisce la competitività del Paese" dice il neo ministro. Stesso ragionamento per il processo civile, ormai alla paralisi. Idem per il processo penale, con interventi sugli irreperibili e sulle notifiche. Un antipasto sulla via della modifica delle leggi ad personam che sicuramente richiederà più tempo e più diplomazia. Giustizia: Associazione Nazionale Forense; ok Orlando ministro, ora si apra confronto Dire, 25 febbraio 2014 "È nell’interesse generale che il nuovo governo guidato da Matteo Renzi proceda spedito sulla strada delle riforme necessarie al Paese, a partire da quella per una giustizia rapida e a tutela dei diritti del cittadino. Siamo certi che il ministro Orlando, cui rivolgiamo i nostri auguri di buon lavoro, saprà guidare con mano sicura il ministero della Giustizia, grazie alla sua consapevolezza delle problematiche della macchina giudiziaria e imprimerà l’accelerazione necessaria al confronto con le sue varie componenti". Lo dichiara il segretario generale dell’Associazione Nazionale Forense Ester Perifano, che continua: "L’avvocatura italiana vive, come del resto tutto il Paese, un momento estremamente difficile. Alcune misure fintamente liberalizzatrici di questi anni, il gravoso aumento del contributo unificato, hanno penalizzato fortemente i diritti dei cittadini, colpendo anche l’avvocatura". "L’augurio - conclude Perifano - è che questo governo non voglia continuare sulla strada dei precedenti, che hanno indebolito le tutele dei cittadini, e ascolti piuttosto chi si confronta tutti i giorni con le difficoltà del sistema della giustizia italiana". Giustizia: Spigarelli (Ucpi); discorso Renzi deludente, ma il ministro Orlando è preparato Ansa, 25 febbraio 2014 "A fronte di una dichiarazione programmatica un po’ deludente sul fronte della giustizia, sono convinto che il nuovo ministro, che ha esperienza su questi temi per essersene occupato nel Pd, saprà rappresentare nel governo quali siano le vere emergenze in questo campo, prima fra tutte quella delle carceri. Ho appena licenziato una richiesta per poter incontrare il nuovo Guardasigilli, Orlando". È il commento del presidente dell’Unione penalisti, Valerio Spigarelli, al discorso del premier Matteo Renzi al Senato. Spigarelli si è detto "sorpreso del fatto che Renzi abbia fatto riferimento all’omicidio stradale parlando del capitolo giustizia: tutto abbiamo come emergenza, tranne l’omicidio stradale". Il riferimento è alle parole di Renzi, che ha ricordato il caso di un ragazzo ucciso dopo essere stato travolto da una persona in motorino. Un caso, insieme ad altri simili, di cui Renzi si è occupato come sindaco. "Il riflesso direi pavloviano di considerare emergenza qualsiasi cosa abbia un’evidenza mediatica, è pernicioso. Semmai, la vera emergenza è il carcere, con la condanna che la Corte di Strasburgo ha pronunciato contro l’Italia per trattamento disumano e la scadenza di fine maggio per indicare soluzioni", rileva Spigarelli. Bene, invece, l’idea di affrontare una riforma complessiva della giustizia, come annunciato da Renzi. "Per farlo, però, bisognerebbe mettere mano a una riforma del titolo quarto della Costituzione e non mi sembra che Renzi abbia parlato di riforma costituzionale della giustizia". Il rappresentante dei penalisti italiani suggerisce di "riprendere subito in mano, per un’azione efficace, il pacchetto di misure messo a punto dalla commissione incaricata dal precedente ministro e presieduta dal presidente della corte d’appello di Milano, Canzio: è un buon progetto, chiavi in mano". Giustizia: Mannone (Fns-Cisl); chiediamo a ministro Orlando di affrontare tema carceri Ansa, 25 febbraio 2014 "Confidiamo che i neo Ministri responsabili del Corpo della Polizia Penitenziaria, del Corpo forestale dello Stato e del Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco, possano migliorarne l’attività in favore dei cittadini e del Paese". Lo dichiara in una nota, Pompeo Mannone, segretario generale della Fns, la Federazione Nazionale della sicurezza della Cisl. "Le prime dichiarazioni del Ministro della Giustizia, Orlando - continua Mannone - fanno ben sperare sulla necessità di riformare il sistema giustizia e affrontare con efficacia l’emergenza carceri senza dimenticare il particolare lavoro che svolgono gli agenti nelle carceri italiane; la circostanza, poi, che il Ministro abbia già seguito per il Pd la materia, ne garantisce specifica competenza e quindi ne agevola il confronto e le risoluzioni. Al neo Ministro dell’Agricoltura, Martina, chiediamo un’attenzione particolare al Corpo Forestale dello Stato verso il quale c’è bisogno di un condiviso indirizzo sul ruolo istituzionale da svolgere a tutela dell’ambiente e del territorio. Infine dal Ministro Alfano, riconfermato nell’alto incarico all’Interno, ci aspettiamo un riconoscimento concreto di valorizzazione del Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco, spesso considerato il ‘parente povero’ del Ministero nei confronti dei Prefetti e della Polizia di Stato". "Ai tre Ministri, cui auguriamo un proficuo lavoro - conclude Mannone - richiediamo di risolvere la questione relativa agli automatismi ordinamentali del personale e di mettere mano al tema annoso del riordino delle carriere degli appartenenti al comparto sicurezza ed a quello del soccorso pubblico e dei Vigili del fuoco". Giustizia: conversione del decreto carceri, maggiori poteri al magistrato di sorveglianza di Antonio Ciccia Italia Oggi, 25 febbraio 2014 Più poteri al giudice di sorveglianza. Il decreto legge 146/2013 (cosiddetto svuota carceri), pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 43 del 21 febbraio 2014) incide sulla prassi carceraria, facendo in modo che i provvedimenti del magistrato di sorveglianza siano concretamente eseguiti e non rimangano lettera morta. Se il carcere nega un diritto al detenuto, questi può sporgere reclamo e, se lo vince, non possono esserci ostruzionismi nell’esecuzione. Il provvedimento introduce, infatti, un procedimento di ottemperanza delle decisioni del magistrato di sorveglianza. Così come richiesto dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Si pensi, ad esempio, alla disposizione sul ricovero ospedaliero del detenuto. Se non effettivamente eseguita si potrà ora esperire la procedura di ottemperanza, che è disciplinata all’articolo 3 del decreto legge in esame. Vediamo il dettaglio della norma. Il punto di partenza è un provvedimento non eseguito del magistrato di sorveglianza. A questo proposito, mentre prima non vi erano procedure predefinite, il decreto 146/2013 prevede che l’interessato o il suo difensore, munito di procura speciale, possano richiedere l’ottemperanza al magistrato di sorveglianza, che ha emesso il provvedimento. Il magistrato potrà accogliere la richiesta di ottemperanza e, in questo caso, la ordina (l’ottemperanza), indicando modalità e tempi di adempimento. Quindi si passa alla fase operativa e con disposizioni vincolanti per l’amministrazione penitenziaria. Il giudice deve, però, tenere conto del programma attuativo predisposto dall’amministrazione al fine di dare esecuzione al provvedimento, sempre che, si legge nell’articolato, detto programma sia compatibile con il soddisfacimento del diritto. Come dire che il giudice deve tenere conto delle compatibilità organizzative del carcere, ma con un limite. Il limite è che non bisogna aspettare le compatibilità organizzative, se questo significasse arrivare a travolgere il diritto del detenuto, definito dal provvedimento giurisdizionale. Il magistrato, in sede di ottemperanza, ha anche altri poteri. Può, infatti, dichiarare nulli gli eventuali atti in violazione o elusione del provvedimento rimasto ineseguito. Il magistrato, infine, può anche nominare, se occorre, un commissario ad acta, e cioè un funzionario, di solito pubblico, che si sostituisce all’amministrazione carceraria e porta a esecuzione il provvedimento ineseguito (ad esempio dispone materialmente il trasferimento in ospedale, nell’esempio proposto). Nell’articolato originario l’inadempimento portava a conseguenze economiche. Si prevedeva, infatti, che il giudice in sede di ottemperanza potesse determinare, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dall’amministrazione per ogni violazione o inosservanza successiva, oppure per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento, entro il limite massimo di 100 euro per ogni giorno. Evidentemente è parso eccessivo provocare una posizione debitoria a carico dello stato, nella convinzione che sia normale non poter eseguire con tempestività i provvedimenti del giudice di sorveglianza. Insomma è sfumata la possibilità di ottenere un rimborso economico, anche se calcolato su base forfettaria. Fino alla completa esecuzione delle sue disposizioni, infine, il magistrato di sorveglianza è competente a conoscere tutte le questioni relative all’esatta ottemperanza, comprese quelle inerenti agli atti del commissario ad acta. Il decreto legge riformula anche la fase dei reclami proposti al giudice di sorveglianza, dalla cui decisione può scaturire la necessità dell’ottemperanza sopra descritta. In particolare accanto al reclamo amministrativo si riscrivono le regole del reclamo giurisdizionale. La necessità di intervenire è derivata dalla sentenza 8 gennaio 2013 della Corte europea dei diritti dell’Uomo (sentenza Torreggiani), che, oltre al resto, ha condannato l’Italia a istituire un ricorso o un insieme di ricorsi interni, effettivi e idonei a offrire una riparazione adeguata e sufficiente in caso di sovraffollamento carcerario. La stessa decisione della Cedu ha rilevato l’inefficacia della normativa italiana, priva di meccanismi tesi a rendere effettiva la decisione dei reclami (da qui la ragione dell’ottemperanza). Le modifiche introdotte estendono la platea dei soggetti legittimati a ricevere i reclami amministrativi dei detenuti e tra essi vengono inseriti il garante nazionale e i garanti regionali o locali dei diritti dei detenuti. Viene rivisitato, poi, il reclamo giurisdizionale, che si tiene davanti al magistrato di sorveglianza. L’udienza relativa si svolge con la partecipazione necessaria del difensore e del pubblico ministero e l’interessato, che ne fa richiesta, è sentito personalmente; tuttavia, se è detenuto o internato in luogo posto fuori della circoscrizione del giudice, è sentito prima del giorno dell’udienza dal magistrato di sorveglianza del luogo, salvo che il giudice ritenga di disporre la traduzione. Giustizia: la Campagna "3 leggi per la giustizia e i diritti" compie un anno… di Patrizio Gonnella (Presidente Associazione Antigone) Ristretti Orizzonti, 25 febbraio 2014 Dopo un anno dal lancio della nostra campagna "Tre leggi per la giustizia" è il momento di fare il punto. Da gennaio 2013 a oggi sono successe molte cose a livello normativo, giurisprudenziale, governativo, parlamentare. Si avvicina la decisione della Corte Europea sui Diritti Umani. Sarà a fine maggio 2014. I detenuti sono oggi circa 61 mila. Erano 4 mila in più un anno addietro. Non avrei dubbi nell’affermare che la nostra campagna abbia contribuito a favorire una diversa e più qualificata attenzione al sistema carcerario da parte dei media, delle istituzioni e più in generale dell’opinione pubblica. Possiamo certamente affermare che le decine di migliaia di firme raccolte hanno avuto un grande peso. Così come un peso determinante e positivo lo ha avuto Mauro Palma nel suo ruolo cruciale di collegamento tra l’Italia e l’Europa. Ricordo a proposito che proprio nei giorni scorsi è stato nominato Presidente del Consiglio Europeo per la cooperazione nell’esecuzione penale. Ora invece si apre la grande incognita legata al nuovo Governo. Qui di seguito riassumo cosa è accaduto per ciascuna delle nostre tre proposte di legge di iniziativa popolare. Alcune delle nostre proposte ora sono legge dello Stato. Altre non ancora. Proposta di legge sulle droghe Le varie proposte di iniziativa parlamentare che avevano usato i nostri testi hanno stentato a decollare. È invece decollato un dibattito pubblico sulla legalizzazione favorito da prese di posizione autorevoli. Ultima quella del Prof. Veronesi. Ci ha pensato la Corte Costituzionale a risolvere tutto abrogando lo scorso 12 febbraio l’intera legge Fini-Giovanardi che noi emendavamo. Grazie alla Consulta rivive dunque la legge precedente, la Iervolino-Vassalli, come modificata dal referendum radicale del 1993 sulla depenalizzazione del consumo. Anche la legge del 1990 era fortemente penalizzante, però distingueva tra droghe leggere e pesanti e prevedeva spazi maggiori per le politiche di riduzione del danno. I prossimi 28 febbraio e 1 marzo ci saranno due giorni di lavoro a Genova su questo tema dedicati a Don Gallo. Gli effetti della decisione della Corte sono chiari per i processi futuri, non ancora chiarissimi per i processi già conclusi e per i detenuti ristretti in carcere per motivi di droga. Si aspettano a riguardo le motivazioni della Corte. Si contrappongono due tesi: una secondo la quale dovrà esservi il ricalcolo e quindi il ribasso delle pene per ciascun detenuto, l’altra secondo la quale una sentenza passata in giudicato è sempre intangibile. Noi propendiamo ovviamente per la prima delle due tesi visto che la sentenza in questo caso impatta sulla libertà personale e deve applicarsi il principio del favor rei. Proposta di legge sulle carceri La nostra proposta di legge di iniziativa popolare conteneva tantissime norme di natura diversa. Vediamo una per una cosa è accaduto. Reato di immigrazione clandestina. Il reato è stato abrogato al Senato. Si attende l’ultimo passaggio parlamentare alla Camera dei Deputati. È stato trasformato in illecito amministrativo. Resta la responsabilità penale per coloro i quali rientrano in Italia dopo un’espulsione amministrativa. Messa alla prova. La previsione del procedimento di messa alla prova per adulti per reati fino a 4 anni è nello stesso disegno di legge dove c’è l’abrogazione del reato di immigrazione irregolare. Si attende quindi l’ultimo passaggio parlamentare alla camera. Modifiche alla custodia cautelare. Alcune norme corrispondenti a quanto noi prevedevamo sono state approvate lo scorso agosto nel primo decreto legge del Governo Letta. Si prevedeva la non applicabilità della custodia cautelare ogni qual volta il reato avesse una pena massima inferiore ai cinque anni. Altre norme sono al momento in discussione sempre alla Camera dei Deputati. Recidiva. Nel primo decreto-legge del Governo Letta della scorsa estate era stata quasi del tutto abrogata la legge ex-Cirielli nella parte relativa sulla recidiva, così come noi chiedevamo. Purtroppo in sede di conversione in legge il Parlamento ha fatto in parte rivivere le norme sulla recidiva che prevedono aumenti di pena e restrizioni ai benefici. Misure alternative. La detenzione domiciliare per chi ha pene inferiori ai due anni è divenuta misura stabile. L’affidamento in prova al servizio sociale si applica alle pene residue inferiori ai 4 e non più ai 3 anni. Per un periodo limitato di tempo sarà possibile fruire della liberazione anticipata speciale, ovvero di uno sconto di pena di 75 giorni a semestre nel caso di regolare condotta. Ne sono esclusi i detenuti ristretti per reati di cui all’articolo 4 bis dell’Ordinamento Penitenziario. Tutela giurisdizionale dei diritti. La legge recentemente approvata più o meno ha usato la nostra proposta che a sua volta ricalcava le richieste della Corte Costituzionale risalenti al 1999. Garante nazionale delle persone private della libertà. È stata approvata una proposta simile alla nostra, salvo per ciò che riguarda la procedura di nomina (che è stata affidata al capo dello Stato), la dotazione di bilancio e di staff, i poteri di visita nelle caserme delle forze dell’ordine. Era dal 1997 che Antigone ne aveva sollecitato l’approvazione. Nel 1998 presentammo la prima proposta di legge. Decine i nostri convegni realizzati, i disegni di legge prodotti. Siamo stati noi a ottenere la sperimentazione nel 2003 al Comune di Roma del primo ufficio locale dotato di questi poteri. Proposta di legge sulla tortura Purtroppo in questo caso il dibattito parlamentare langue. In Senato la Commissione Giustizia ha approvato una proposta che diverge da quella nostra. Il reato è generico, ovvero può essere commesso da chiunque, il delitto deve essere reiterato. È necessario in questo caso ripartire con una grande campagna di opinione. Giustizia: Cassazione, la fabbrica dei 7.621 ricorsi inutili, fatti solo per rinviare la pena di Luigi Ferrarella Corriere della Sera, 25 febbraio 2014 Così gli avvocati ingolfano la Cassazione sfruttando norme incoerenti. "Il presente ricorso - mette nero su bianco l’avvocato di un condannato a 2 anni e 8 mesi per droga - viene presentato per finalità trasversali, al solo fine di evitare il passaggio in giudicato della sentenza". Sembra una barzelletta, e invece è tutto vero il contenuto limpidamente dichiarato da un sempre maggiore numero di ricorsi difensivi in Cassazione. Dove non soltanto in un anno si ammassano 7.600 fascicoli di imputati che prima nei Tribunali chiedono e ottengono di patteggiare una pena per il reato contestatogli, e poi però impugnano il patteggiamento al solo scopo di allontanare il più possibile il momento in cui quella pena da loro concordata diventerà definitiva. Ma dove soprattutto si va ormai affermando anche una nuova moda, a metà tra indecenza e sincerità, e cioè quella di impugnare una condanna senza nemmeno fare lo sforzo di inventare un motivo per cui sarebbe sbagliata, anzi candidamente spiegando a cosa davvero miri l’impugnazione in Cassazione: "Il presente ricorso viene presentato al solo fine di impedire che il passaggio in giudicato della sentenza abbia come conseguenza l’immediata emissione dell’ordine di carcerazione", verga ad esempio il difensore di un condannato a 5 anni e 8 mesi per 1,2 chili di cocaina. Quella di impugnare in Cassazione i patteggiamenti, che sino a un momento prima l’imputato davanti al giudice di primo grado aveva fatto di tutto per concordare con il pm, è lucida schizofrenia consentita dalle norme vigenti: per non fare diventare definitiva la pena e ritardare il momento della sua messa in esecuzione, c’è chi legittimamente sfrutta queste norme per impugnare quello che ha appena finito di concordare. E non sono pochi casi: 7.621 sui 52.834 ricorsi (di cui 33.980 inammissibili) che nell’ultimo anno hanno alluvionato la Cassazione penale, unica Corte Suprema al mondo investita da un così enorme numero di fascicoli, tale da far produrre a ciascuno dei 108 magistrati una media di 493 provvedimenti l’anno. Ma il bello è che ormai gli avvocati, forse avvertendo per primi l’assurdità di talune prassi consentite dalle norme, nei testi dei loro ricorsi confessano ai giudici di Cassazione di stare proponendo impugnazioni del tutto campate in aria, addirittura sprovviste di un qualunque motivo, ma ugualmente e comprensibilmente richieste dall’imputato verso il quale hanno obblighi deontologici, e finalizzate appunto a ritardare il più possibile il gong finale. Solo che questo giochetto non è gratis: lo pagano indirettamente tutti coloro che alla Cassazione hanno da sottoporre questioni serie e meritevoli di approfondimento. E invece la macchina della Suprema Corte viene intasata da questi ricorsi strumentali che assorbono tempo, cancellieri e giudici, prima di poter essere cestinati ammenda di 1.000 euro. Anche se non enuncia alcun argomento, infatti, e dunque anche se è "all’evidenza originariamente inammissibile, allo stato della legislazione" il ricorso "non può essere dichiarato de plano manifestamente inammissibile". Le ordinanze della Cassazione sono costrette a spiegare che il ricorso deve invece essere ugualmente "gestito dalla cancelleria della Corte d’Appello con le relative incombenze amministrative e processuali" per essere "trasmesso alla Cassazione". Qui passa la fase della "registrazione, della "fascicolazione", dell’"esame preliminare (spoglio) nella sezione tabellarmente competente", della "successiva assegnazione alla sezione competente per materia", della "fissazione dell’udienza" (secondo i carichi dell’arretrato) e delle "previste notificazioni". Solo alla fine di questa catena di montaggio di una fabbrica costretta a girare a vuoto nel lavorare su così tanti fascicoli, la Cassazione riesce a scrivere nelle sue ordinanze che, "tanto premesso, oggi (un oggi che però arriva in media 7 mesi dopo la presentazione del ricorso campato per aria, ndr) può quindi finalmente dichiararsi che il ricorso presentato dall’imputato nella consapevolezza della sua strumentale inammissibilità, perché non accompagnato da alcun motivo, è effettivamente inammissibile". Effettivamente. Giustizia: il diluvio di ricorsi non è solo colpa degli avvocati, ma della legge che li consente di Luigi Riello (Presidente della Sezione Cassazione Associazione nazionale magistrati) Corriere della Sera, 25 febbraio 2014 Caro direttore, sono tante le barzellette che non fanno ridere, ma quella cui - finalmente - fa riferimento Luigi Ferrarella è di quelle che fanno morire. Ma non dal ridere. Fanno morire la giustizia italiana o quel poco che ne resta. L’alluvione di ricorsi inammissibili perché (talora dichiaratamente) strumentali che quotidianamente inonda la nostra Corte di cassazione non è (solo) colpa degli avvocati: se c’è una porta spalancata, la colpa non è di chi vi entra, ma di chi non l’ha chiusa. La catastrofe che ne deriva in termini di aggravio dei tempi di definizione del processo, di frustrazione dei diritti delle persone offese dai reati, di artificiosa dilatazione della custodia cautelare (se il processo dura così tanto, è chiaro che sono "in attesa di giudizio" imputati che dovrebbero essere in espiazione della pena) non riguarda soltanto la Cassazione, ma si riflette sulla funzionalità e sulla dignità dell’intero processo di cui si continua, di regola, a seguire le vicende nella fase, mediaticamente sovraesposta, delle indagini preliminari e, al più, del giudizio di primo grado, ma di cui si perdono le tracce, tranne rare eccezioni, nel lungo e tortuoso percorso successivo. Il carico di lavoro abnorme di cui è gravata la Corte di cassazione non ha pari in altri Paesi europei: ogni anno, si registra in media una sopravvenienza di circa 30.000 ricorsi civili e 50.000 ricorsi penali e il numero di sentenze annualmente emesse dalla Corte è pressoché simile. È evidente che si tratta di dati del tutto incompatibili con il funzionamento di una Corte Suprema. Se un magistrato, in Cassazione, scrive, nel settore penale, quasi cinquecento sentenze l’anno, la "nomofilachia" diventa solo una bella parola, ma non è più la funzione della Corte, ridotta ad essere, di fatto, il più grande Tribunale d’Italia. Se - come Ferrarella ha opportunamente denunciato - si ricorre in Cassazione perfino avverso le sentenze di patteggiamento (si tratta di oltre il 17% dei ricorsi in materia penale), qualcosa non funziona. Il problema, però - sia quanto al settore civile sia a quello penale - non sta (o quanto meno non consiste solo) nei "filtri" interni - perché l’alto tasso delle declaratorie di inammissibilità dei ricorsi non incide sulle sopravvenienze e, quindi, sul carico di lavoro - ma proprio nel numero di ricorsi che comunque pervengono alla Corte. Nel settore civile, è noto che il cosiddetto decreto del Fare ha introdotto importanti novità, con particolare riferimento ai magistrati destinati all’ufficio del Massimario ed all’intervento del pubblico ministero nei giudizi dinanzi la Corte di cassazione; ma i problemi di fondo restano, si ricorre anche per cause di pochi euro e, peraltro, lo stesso andamento ondivago della legislazione - solo nel 2006 era stato introdotto il "quesito di diritto ", eliminato nel 2009 - non trasmette un segnale di limpidezza e di determinazione da parte del legislatore nell’affrontare il problema del ruolo della Corte, nella prospettiva di coniugare in modo effettivo la necessità di tempestività della risposta giudiziaria con quella della qualità dei provvedimenti. In definitiva, credo che restringere le tipologie di vizi prospettabili in sede di legittimità, meditare sull’ammissibilità del ricorso personale dell’imputato nel settore penale non siano pensieri in libertà, ma priorità non più eludibili. Abbiamo chiesto e ottenuto un incontro, che si terrà nel prossimo mese di marzo, con il presidente della commissione Giustizia della Camera per prospettare questi drammatici problemi che, in gran parte, possono essere risolti con riforme procedimentali "a costo zero" e in tal senso rivolgiamo sin d’ora un pressante appello al governo che si appresta ad insediarsi. Non possiamo essere un Paese "normale" ed effettivamente europeo se non superiamo le deleterie diversità tra la nostra Corte Suprema e quelle degli altri Stati. Per concludere, credo sia amaro, ma realistico affermare, parafrasando Corrado Alvaro, il grande scrittore calabrese autore di Gente in Aspromonte, che la disperazione più grande che possa impadronirsi di una società è il dubbio che fare il proprio dovere sia inutile. Certo, noi magistrati faremo il nostro dovere sempre, comunque e fino in fondo, ma sarebbe stupido e miope non accorgersi del senso di frustrazione che serpeggia in modo sempre più forte tra i colleghi, anche e soprattutto tra quelli più giovani e motivati che, approdando alle funzioni di legittimità, avevano immaginato di svolgere un lavoro diverso, di qualità e non certo di essere inseriti in una infernale "catena di montaggio". Intervenire seriamente non è più rinviabile, per non trovarci un giorno a dover prendere atto, come il protagonista di uno struggente film di Ettore Scola, che "il futuro è passato e non ce ne siamo accorti". Giustizia: con il progetto "Young Europe", l’educazione stradale per i detenuti degli Ipm Ansa, 25 febbraio 2014 Al via il calendario delle proiezioni di "Young Europe" - primo film al mondo realizzato da una Forza di Polizia - per portare l’educazione stradale all’interno degli Istituti Penali per i Minorenni. Prevista per oggi, presso l’Istituto Penale per i Minorenni "Casal del Marmo" di Roma, la prima delle sette proiezioni del film "Young Europe" dirette ai giovani detenuti presso gli Istituti Penali per i Minorenni. Il film - del regista Matteo Vicino e cofinanziato dalla Commissione Europea - viene presentato per la prima volta ai giovani detenuti di alcuni Istituti Penali per i Minorenni d’Italia, nell’ambito di un programma di educazione stradale avviato dal Dipartimento della Pubblica Sicurezza in collaborazione con il Dipartimento per la Giustizia Minorile. Un’iniziativa promossa dalla Polizia Stradale per facilitare il percorso di integrazione sociale dei giovani detenuti in vista della loro rimessa in libertà attraverso un percorso educativo sui temi della sicurezza e legalità che passi attraverso una comunicazione diretta con il mondo dei ragazzi. Le proiezioni riguarderanno gli Istituti di Roma, Napoli, Catanzaro, Milano, Torino, Pontremoli e Palermo con l’obiettivo finale di estendere le proiezioni anche agli altri Istituti presenti sul territorio nazionale e alle Comunità. Ogni proiezione sarà seguita da un dibattito moderato dagli operatori della Polizia Stradale per un messaggio di apertura e prossimità che vuole arrivare anche nelle realtà più difficili. Il film - realizzato sulla base di uno studio sui profili di rischio del giovane guidatore - nasce nell’ambito del Progetto europeo sulla sicurezza stradale denominato "Icarus" che ha visto la Polizia Stradale capofila in Europa, con una ricerca scientifica che ha coinvolto 14 Paesi dell’Unione ed un manuale tradotto in tutte le lingue europee. Nel progetto Icarus, Young Europe si affianca ad un programma di educazione stradale ai giovani condiviso dai 14 Paesi. Il calendario delle proiezioni: Roma - "Casal Del Marmo": 24 febbraio; Napoli - "Nisida": 11 marzo; Catanzaro - "Silvio Paternostro": 12 marzo; Milano - "Beccaria": 18 marzo; Torino - "Ferrante Aporti" : 19 marzo; Pontremoli: 28 marzo; Palermo - "Malaspina": 15 aprile Lettere: noi, detenuti in attesa di rieducazione di Sandro F. (Casa Circondariale Mario Gozzini di Firenze) www.firenzepost.it, 25 febbraio 2014 Sugli ultimi interventi riguardanti le carceri italiane, si sono sollevate purtroppo numerose polemiche, spesso del tutto fuori luogo. Si è puntato più alla spettacolarizzazione che alla ricerca della verità. È stato messo tutto in un frullatore, senza distinzioni e criterio. Nel recente decreto legge in materia di carcere, ci sono però almeno due punti importanti e che rappresentano l’unica strada percorribile per fronteggiare l’emergenza carceraria. Un’alternativa ad un eventuale e necessario indulto. Il primo riguarda l’aumento del tetto di residuo pena, per poter accedere alla misura alternativa prevista dall’affidamento in prova ai servizi sociali. Non più di 3 anni ma bensì di 4. Il secondo riguarda la "liberazione anticipata", cioè una detrazione di pena per ogni singolo semestre scontato. Da 45 giorni si è passati a 75 di riduzione. In tutti e due i casi si tratta di benefici che possono essere concessi dal magistrato di sorveglianza, dopo un’attenta valutazione, un filtro da parte dell’équipe tratta mentale interna al carcere, qualora sussistano tutte le condizioni necessarie. Non è facile accedere ad un beneficio come quello previsto dall’affidamento in prova ai servizi sociali. Per la maggior parte delle persone detenute (disperate) che attualmente popolano le prigioni, è letteralmente un miraggio irraggiungibile, niente di più. Basti pensare che è necessario avere un lavoro accreditato, fare un percorso di revisione critica d’un certo tipo, offrire un sacco di garanzie e molto altro ancora. Anche la liberazione anticipata non è un beneficio che viene concesso così, senza alcun criterio. Non basta che la persona detenuta mantenga un comportamento corretto, non litighi con gli altri compagni o con il personale dell’amministrazione penitenziaria: è necessario che si partecipi concretamente all’opera tratta mentale, rieducativa. Inoltre, il beneficio, può essere concesso ma nello stesso tempo anche revocato dalla magistratura di sorveglianza. In realtà, non si è fatto altro che equiparare, finalmente, queste misure alternative con quelle che si adottano nella stragrande maggioranza dei paesi europei più evoluti e civili, come ad esempio Svezia e Olanda. Cioè quei paesi che hanno da tempo capito che per rieducare una persona che finisce in carcere occorrono strumenti efficaci e necessari, sui quali è possibile fare leva. Senza, peraltro, mai dimenticare che restituire alla società libera una persona cambiata positivamente rappresenta senza dubbio un bene, un dovere istituzionale imprescindibile, una necessità per tutta la collettività. Un carcere che imbruttisce la persona non ha alcun senso e si traduce in pura vendetta sociale. Il tentativo di umanizzare le pene non è un male della società, al contrario, rappresenta la misura, il metro, della civiltà di un popolo, d’un paese. Non a caso, in Svezia, grazie proprio al perfezionamento dei programmi rieducativi, all’umanizzazione del carcere, delle pene, attualmente molte prigioni si stanno chiudendo, perché le persone non ritornano più a delinquere, questo è un dato di fatto concreto. L’affidamento in prova ai servizi sociali, la semilibertà, la liberazione anticipata, come tutti gli altri benefici, rappresentano, sostanzialmente, degli interventi efficaci, insostituibili, soprattutto per quanto riguarda l’aspetto pedagogico. È scorretto pensare a tutto ciò come ad una porta girevole: non è così nella realtà, nella pratica. La vera preoccupazione, invece, dovrebbe essere quella dei 0,08 centesimi al giorno che lo Stato investe per la rieducazione di ogni singola persona detenuta, a fronte di un costo complessivo giornaliero di centocinquanta euro circa. Lettere: per un’etica della pena di Riccardo Polidoro (Presidente "Il Carcere Possibile Onlus") Ristretti Orizzonti, 25 febbraio 2014 Una pena "certa", scontata con modalità legali, con un diverso ruolo del Giudice di Merito, che possa finalmente concretizzare il ruolo della Magistratura di Sorveglianza La difficoltà maggiore che s’incontra nell’affrontare le problematiche relative alla detenzione è l’assoluto disinteresse dell’opinione pubblica all’argomento. Il sovraffollamento, le disastrose condizioni degli Istituti, le continue morti e i suicidi, non destano allarme, ma anzi si ritiene che si esce troppo presto dal carcere, laddove, invece, si vorrebbe "buttare la chiave". Non si può ignorare tale circostanza, se davvero si vuole il necessario e indispensabile consenso, per modificare la vergognosa situazione delle nostre prigioni per la quale la Corte Europea ci ha più volte condannati e, ultimamente, diffidato a trovare soluzioni entro il 24 maggio 2014. In realtà, in Italia non vi è un’etica della pena, nel senso che essa è "incerta" e "ingiusta". Le proposte di riforma devono necessariamente partire da tale dato e mirare ad una pena scontata in maniera legale, così come previsto dalla nostra Costituzione e dall’ordinamento penitenziario, che risponda anche all’irrinunciabile principio della "certezza della pena". Il nostro Legislatore, al fine di ridurre i tempi di una pena scontata in violazione di legge, ricorre a riduzioni della sanzione che, a volte, non rispondono al dettato normativo e che trovano il giusto dissenso dell’opinione pubblica. Ad esempio, l’istituto della "Liberazione Anticipata", che prevede la riduzione di pena di 45 giorni - di recente diventati 75, grazie alla conversione in legge del decreto del 24 dicembre 2013 - per ogni semestre di pena scontata, dovrebbe essere applicato a quei detenuti che partecipano ai piani di recupero e rieducazione, ma nell’impossibilità di applicazione di tali programmi, nella prassi, tale beneficio è diventato metodo di repressione che, di fatto, impedisce ai detenuti di protestare, per non vedersi negare il rilevante sconto di pena. Lo Stato, incapace e inerte, ha aumentato l’offerta (da 45 a 75 giorni) e, in cambio delle sofferenze patite, riduce ogni anno di pena scontata a 7 mesi. Per comprendere: una condanna a 5 anni di reclusione, se scontata senza protestare, diminuisce a 3 anni e un mese. Non è poco. È questo un comportamento privo di etica. Da un lato, infatti, si baratta la perdita di dignità (bene non disponibile) del detenuto, aumentando gli sconti di pena, dall’altro s’inganna l’opinione pubblica con una pena sempre più "incerta". Legalità e Certezza della pena devono essere le basi da cui partire per un globale confronto sulle soluzioni da trovare. Va rivista l’attività della Magistratura di Sorveglianza. L’Ordinamento Penitenziario prevede che il Magistrato di Sorveglianza deve vigilare sull’organizzazione degli Istituti e assicurare che la detenzione sia attuata in conformità delle leggi e dei regolamenti. Tale ruolo oggi è del tutto vanificato dalla prassi, laddove raramente i Magistrati visitano gli Istituti, restando relegati nei palazzi di Giustizia a smaltire le numerose istanze di benefici e permessi proposte dai detenuti, sulle quali provvedono sulla scorta d’informazioni, spesso incomplete e tardive, degli organi di polizia. Alcuna effettiva vigilanza viene, pertanto, messa in atto ed alcun reale contatto vi è tra la persona detenuta e il Magistrato di Sorveglianza. Mutare questa situazione è un dovere etico. Va rivisto l’intero sistema delle pene. Laddove è il Giudice di Merito che, per aver giudicato la persona e i fatti, è, più di tutti, in grado di stabilire il percorso punitivo e rieducativo che dovrà affrontare l’imputato. Egli potrà condannare ad un numero di mesi o di anni e stabilire quali saranno le modalità della detenzione. Ad esempio, un periodo di carcere, un altro di arresti domiciliari, un altro ancora di affidamento ai servizi sociali, ecc. Ovvero non prevedere il carcere, ma solo gli arresti domiciliari, ovvero l’affidamento, o altro. Il Magistrato di Sorveglianza dovrà vigilare sul percorso stabilito dal Giudice e, eventualmente, modificarlo ove siano sorte problematiche. Solo così la Magistratura di Sorveglianza, spogliata del compito di elargire permessi e benefici, potrà recuperare il ruolo che la Legge le aveva destinato ed investire effettivamente il Ministero della Giustizia delle problematiche riscontrate negli istituti, per il raggiungimento di una pena finalmente "legale". Solo così potrà aversi l’invocata certezza della pena, quella comminata inizialmente dal Giudice di Merito, che non dovrà subire ingiustificati mutamenti. Sicilia: Garante dei diritti dei detenuti, silenzio assordante della Regione di Patrizia Penna Giornale di Sicilia, 25 febbraio 2014 Il mandato del Garante per la Sicilia Salvo Fleres è scaduto ad agosto, ma il governo Crocetta non ha ancora nominato questa figura prevista dalla legge. Petizioni dei carcerati per chiedere la conferma dell’uscente. La Sicilia è ancora senza Garante dei Diritti dei Detenuti. Alla scadenza del mandato di Salvo Fleres, lo scorso mese di agosto, ha fatto seguito un lungo, inspiegabile ed ingiustificato silenzio da parte del presidente della Regione, Rosario Crocetta, cui spetta la nomina di questa figura, così come previsto dalla legge regionale n. 5/2005 (art. 3). Questa situazione di impasse, oltre a rappresentare un clamoroso passo indietro nella tutela dei diritti e della dignità umana dei detenuti delle carceri siciliane, costituisce un doppio paradosso: da una parte perché la Sicilia era stata tra le regioni italiane "pioniere", avendo istituito questa figura con larghissimo anticipo rispetto alle altre, dall’altra perché proprio in questi giorni è diventato legge il cosiddetto decreto "svuota carceri" che, oltre a prevedere misure di contrasto al sovraffollamento delle strutture penitenziarie, istituisce ufficialmente a livello nazionale la figura del Garante dei Diritti dei Detenuti. Tra i detenuti dell’Isola, intanto, ha cominciato a girare una petizione per chiedere la riconferma di Salvo Fleres come Garante per i diritti dei detenuti. Questo è il testo della petizione: "In questi sette anni di attività abbiamo visto l’impegno costante per i diritti dei detenuti del dottor Salvo Fleres. Da mesi il suo mandato è scaduto, e la Sicilia è senza Garante. Le nostre lettere si accumulano presso l’ufficio del Garante, ma nessuno può risponderci. Tutto questo rende più drammatica la nostra situazione. Noi chiediamo al Presidente della Regione Sicilia che vi sia al più presto la nomina di un Garante e chiediamo che possa essere riconfermato il dott. Salvo Fleres di cui abbiamo toccato con mano capacità e impegno". Maggiori informazioni sulle firme raccolte sono disponibili su www.urladalsilenzio.wordpress.com. Sicilia: reinserimento dei detenuti, la regione inizia finalmente a muoversi di Fabrizio Margiotta Quotidiano di Sicilia, 25 febbraio 2014 Al Sud e anche nell’Isola 388 enti no profit si sono impegnati nel recupero di 1.300 minori autori di reato. I progetti avviati mirano a reintegrare il carcerato nel contesto sociale e lavorativo. Com’è possibile dare speranza a chi è rimasto segnato dalla vita e dalle situazioni? Come si interviene per cambiare il destino, spesso tragico, di tanti giovani (e meno giovani) che hanno scelto la via della delinquenza come rimedio ai loro problemi economici, personali, sociali? Chi crede di avere risposte esaustive e soluzioni davvero definitive si faccia avanti. Chi conosce il mondo penitenziario, sa bene che l’ora di rimboccarsi le maniche è arrivata da un pezzo, non si può più aspettare. "Pena & Territorio" è un notiziario quadrimestrale con cui l’Ufficio rapporti con le regioni del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, che fa capo al ministero della Giustizia, informa la collettività su statistiche, ricerche e progetti, accordi relativi all’inserimento (o reinserimento) sociale e lavorativo dei detenuti. Se nella prima pubblicazione del 2013 non era pervenuto alcun dato siciliano, in quella diffusa a inizio febbraio troviamo notizie interessanti sull’attuale stato di sviluppo dei programmi siciliani di reinserimento. In particolare, la nostra Sicilia è una delle quattro regioni incluse nel cd. Obiettivo convergenza 2007-2013 (le altre sono Calabria, Puglia e Campania), un percorso di legalità rivolto ai minori. Di cosa si tratta? Negli ultimi anni si è messo in piedi un network di imprese ed enti no profit, composto da ben 388 enti, che si sono impegnati per il recupero di circa 1.300 minori autori di reato. Tramite 21 sedi operative, dislocate sulle diverse province del Meridione, si sono avviati oltre 200 giovani a concrete esperienze di lavoro remunerate con borse di lavoro mensili, e non sono mancate neanche le assunzioni presso le ditte ospitanti. L’associazione Euro di Palermo, con il finanziamento del ministero dell’Interno, nell’ambito del Pon "Sicurezza per lo sviluppo del Mezzogiorno d’Italia", è stata al centro di questi progetti, testimoniando che la Sicilia c’è, è presente, non demorde. Orientare professionalmente i giovani con trascorsi criminali, insegnargli un mestiere attraverso training lavorativi sul campo, assisterli con la consulenza specialistica di professionisti-tutor, sono tutte azioni che meriterebbero una medaglia al valore, più che una semplice menzione. Certo, ci vogliono i soldi, ma di sicuro quando sono spesi bene i risultati non tardano ad arrivare. E a proposito di menzioni e riconoscimenti, delle targhe di merito sono anche state riconosciute all’Ente scuola edile di Catania e all’impresa Camillo Alessi di Palermo, per l’impegno dimostrato nell’ambito del Network etico per la giustizia minorile, date le assunzioni di ragazzi in difficoltà. Qualcosa si sta muovendo in questa dimenticata Sicilia: i 1.300 minori di cui parlavamo prima, hanno potuto usufruire di ben 205 stage (46 solo in Sicilia) con borsa mensile di 400 euro. Sono numeri incoraggianti, ma molto più toccanti sono le storie che si celano dietro questi dati: come quella di Fausto che, a Catania, dove stava scontando già da quattro anni una pena detentiva, ha ottenuto dal giudice l’affidamento in prova ai servizi sociali e il rientro in famiglia. Ha lavorato sodo alla scuola edile, lui che non aveva mai lavorato, acquisendo le competenze tecniche di manovale e, successivamente, di aiuto muratore; ha imparato a installare pannelli fotovoltaici, a occuparsi di manutenzione degli spazi verdi, ciò che nel presente (e nel futuro) serve (e servirà) per ridare lustro e nuove possibilità alle nostre città martoriate. E c’è poi "Terzo tempo", il progetto Uisp volto all’avviamento, in un triennio, di un programma di attività sportive, di formazione, di inserimento lavorativo. L’obiettivo primario è quello di creare degli spazi fruibili dai detenuti fuori dalle mura circondariali (del Malaspina di Palermo e del Bicocca di Catania), e aperti anche ai ragazzi dei relativi quartieri. Perché quando si tratta di giovani e giovanissimi, non ci sono delinquenti e santi, ma solo creature che hanno eguale diritto di divertirsi, di lavorare e di costruire, insieme, il proprio futuro. Lombardia: la Commissione speciale su situazione carceraria ha visitato Bollate e Opera Ansa, 25 febbraio 2014 La commissione speciale del Consiglio regionale della Lombardia sulla situazione carceraria ha visitato oggi i penitenziari di Bollate e Opera (Milano), per approfondire insieme con i direttori dei penitenziari le modalità di gestione delle strutture. All’appuntamento hanno partecipato il presidente della commissione del Pirellone Fabio Fanetti (Lista Maroni) e i consiglieri regionali Lucia Castellano (Patto civico), Fabio Pizzul (Pd), Iolanda Nanni e Paola Macchi (M5S), Giulio Gallera (Fi) e Carolina Toia (Lista Maroni). "direttori, polizia penitenziaria, magistrati di sorveglianza e associazioni di volontariato", ha osservato Fanetti, hanno costruito un clima "dove la persona è al centro di ogni attività quotidiana". Napoli: quanto costa fare la spesa nel carcere? ecco il listino prezzi di Poggioreale di Gaia Bozza www.fanpage.it, 25 febbraio 2014 Il prezzario della Casa circondariale partenopea evidenzia un problema sollevato da molti detenuti e dalle loro famiglie: negli spacci di molti carceri italiane ci sono prezzi più alti e la possibilità di scelta è molto limitata. Dietro le sbarre, in Italia, i diritti delle persone sono ridotti ai minimi termini: anche come consumatori. Succede da anni in tutte le carceri e anche a Poggioreale, a Napoli. Per i 65mila detenuti italiani il ministero della Giustizia stanzia "la bellezza" di 2,90 per tre pasti al giorno. Pasti dei quali i detenuti, molto spesso si lamentano: per qualità e per quantità. E poi esiste lo spaccio interno, dove si vende il cosiddetto "sopravvitto", affidato in appalto ai privati: attraverso un conto corrente postale il detenuto può comprare alcuni beni di prima necessità e altre piccole cose che possono servire nel quotidiano, compilando un modulo. Il tariffario della Casa Circondariale di Napoli Poggioreale, che Fanpage.it ha potuto visionare, lo mostra chiaramente, anche se non si tratta di un caso isolato, ma comune alla maggioranza dei penitenziari: ancora oggi, dopo anni di proteste, dopo un dossier di Ristretti Orizzonti nel 2011 e l’avvio di un’inchiesta sulla gestione del sopravvitto, ci sono prezzi gonfiati e la scelta è molto limitata, a volte assente. Non solo a Napoli, ma in tutte le carceri italiane continua questa anomalia. Un esempio per il penitenziario partenopeo: il dentifricio? Un euro e settanta centesimi, a fronte dei novanta centesimi del vicino supermarket: quasi il 90 per cento in più. La camomilla - di unico tipo, secondo il tariffario - costa il 76 per cento in più, il caffè quasi il 50 per cento in più. I bicchieri e i piatti di plastica, tra il 40 e il 50 per cento in più. Persino sulla pasta ci sono almeno 10 centesimi in più. E poi, le marche: non c’è vasta scelta, e in molti casi dal prezzario non si evince alcuna possibilità di scelta. Sottomarche oppure offerte speciali? Nemmeno a parlarne. Nelle carceri italiane i prezzi, spesso maggiorati, sono un vero affare per chi gestisce il business, sempre le stesse ditte. Come l’ormai nota Saep spa, che gestisce gli spacci di 26 penitenziari ma è anche una controllata della Tarricone srl, una holding con un giro d’affari nel gioco d’azzardo: sale bingo, poker online, scommesse sportive e ippiche. Il caso Poggioreale - Negli anni 2000 il penitenziario fu al centro di roventi polemiche per i prezzi alti dello spaccio interno, e nel 2009 ci fu lo sciopero della spesa all’interno del carcere. Storicamente, i detenuti si sono sempre lamentati per i prezzi più alti di diversi beni di prima necessità. Le denunce - Quella del sopravvitto è una lunga battaglia dell’Osservatorio Ristretti Orizzonti e di un ampio cartello di associazioni e sindacati, Antigone e i Radicali in primis. Dopo il dossier-choc di Ristretti "Prendi due, paghi tre" è intervenuto il Dap con l’apertura di un’inchiesta. E poi una circolare, che recita così: "Il tariffario modello 72 deve essere, compatibilmente con le esigenze d’ordine e sicurezza, il più ampio possibile e prevedere tre o quattro articoli dello stesso genere, tra i quali vanno inseriti anche i prodotti di diversa qualità e quindi a prezzi più modesti". Che sembra essere rimasta lettera morta, o quasi. Roma: malata di Aids a Rebibbia da 42 giorni, Tribunale le ha fissato udienza a fine pena Ansa, 25 febbraio 2014 "Oggi è il 42° giorno in cui una donna molto malata è tenuta in carcere in violazione delle più elementari norme sulla salvaguardia della salute e della dignità umana". A denunciarlo é l’avvocato Giancarlo Liberati, legale di Giulietta Vinci Aquila, detenuta nel carcere romano di Rebibbia da inizio gennaio per scontare un residuo di pena di meno di 3 mesi, nonostante sia malata di Aids e affetta da altre gravi patologie. La donna si trova nell’infermeria del penitenziario. "Sono trascorsi 32 giorni dalla presentazione dell’istanza di differimento pena che ho depositato presso il Tribunale di Sorveglianza di Roma - aggiunge l’avvocato, che dopo una lunga istruttoria ha fissato l’udienza al 28 marzo, praticamente al termine naturale della pena. Giulietta aveva minacciato di suicidarsi e, purtroppo, così è avvenuto qualche giorno fa quando ha tentato di togliersi la vita tagliandosi le vene dei polsi. Da allora è in isolamento e sorvegliata a vista. Tutto ciò per un residuo di pena di solo 2 mesi e 24 giorni". "Quello che oggi sta accadendo a Giulietta domani potrebbe colpire chiunque altro che non sia protetto da qualche potentato - dice Liberati, come contribuente sono indignato per l’ingiustificata quantità di denaro pubblico che lo Stato sta spendendo per tenere in carcere una poveretta che ben avrebbe potuto scontare a casa sua questo irrisorio residuo di pena". "Giovedì della scorsa settimana mi sono rivolto al Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Roma a cui ho presentato un’istanza di fissazione urgente dell’udienza supportata da validi motivi che spero vengano accolti". dice ancora il legale, che ringrazia la direttrice e il personale di Rebibbia "per la grande sensibilità dimostrata". Santa Maria Capua Vetere (Ce): sanità penitenziaria sotto esame, tra luci e ombre www.campanianotizie.com, 25 febbraio 2014 "Abbiamo trovato una situazione che presenta dei dati incoraggianti ma che risente ancora di carenze e criticità come per alcune visite specialistiche e per l’assenza di un centro diagnostico (Cdt)". È quanto è emerso dalla terza tappa effettuata dalla Commissione Trasparenza e Controllo Atti nell’ambito dell’iniziativa di verifica dei livelli di assistenza sanitaria nelle carceri campane. Con Nicola Caputo Presidente della Commissione hanno preso parte alla visita i consiglieri regionali Giulia Abbate (segretaria della commissione) Enrico Fabozzi e Adriana Tocco Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale. Ad accogliere la commissione, la direttrice del carcere Carlotta Giaquinto e il direttore sanitario dell’Asl Caserta Nino D’Anzi, oltre ai funzionari dell’Asl Nese, Fornasier e Iannotta. "Nel carcere di Santa Maria Capua Vetere sono ospitati 920 detenuti - spiega Caputo - di cui 60 donne gestiti da circa 450 agenti di Polizia penitenziaria. In questo momento grazie all’apertura di nuovi plessi non ci troviamo in una situazione di sovraffollamento". "I detenuti possono contare su una unità di personale di guardia medica H24 e cinque medici divisi uno per reparto che fanno un servizio di 24 ore settimanali di continuità assistenziale. Un totale di 72 unità sanitarie tra medici infermieri psicologi che a differenza di quanto riscontrato in altri istituti hanno un rapporto di continuità assistenziale con i detenuti grazie anche ad una precisa scelta strategica operata dall’Asl locale. "Lodevole anche il lavoro fatto in questi anni per dotare la struttura di un reparto dedicato ai malati psichici evitandone il trasferimento automatico in Opg. Non mancano le note dolenti, nonostante l’ampliamento la struttura soffre per la carenza di personale mentre la situazione è particolarmente critica, sia per le visite specialistiche, che non coprono il fabbisogno del carcere che per esami diagnostici come la risonanza magnetica e la radiologia. Inoltre manca nella struttura un centro diagnostico terapeutico (Cdt)". "Anche nel carcere di Santa Maria C.V. come per le altre strutture carcerarie che abbiamo visitato ci sono problemi per l’approvvigionamento di alcune tipologie di farmaci. Dunque quella che abbiamo trovato a Santa Maria C.V. è una situazione che presenta ancora delle criticità ma che si avvia sulla strada giusta per garantire livelli di assistenza sanitaria adeguati a tutti i detenuti. Dalla prossima settimana - conclude Caputo - proseguiremo il viaggio nella sanità penitenziaria, quello alla salute è un diritto costituzionalmente garantito, anche ai detenuti che per la loro particolare condizione dovrebbero avere maggiore attenzione e personale specializzato". Piacenza: lavori di pubblica utilità per i detenuti, rinnovata la convenzione fino al 2016 Il Piacenza, 25 febbraio 2014 Firmata la convenzione che rinnova, sino al 2016, la possibilità che ogni anno 50 cittadini condannati alla pena del lavoro di pubblica utilità possano prestare tale servizio, non retribuito e svolto in favore della collettività, presso gli uffici del Comune di Piacenza È stata siglata questa mattina dal sindaco Paolo Dosi e dal presidente del Tribunale Italo Ghitti - in rappresentanza del Ministero della Giustizia - la convenzione che rinnova, sino al 2016, la possibilità che ogni anno 50 cittadini condannati alla pena del lavoro di pubblica utilità possano prestare tale servizio, non retribuito e svolto in favore della collettività, presso gli uffici del Comune di Piacenza. L’attività in questione, regolata dall’articolo 54 del decreto legislativo 274 del 2000, può sostituire in alcuni casi la pena detentiva e pecuniaria. È il provvedimento del giudice a definirne tipologia e durata, ma l’intesa ufficializzata stamani negli uffici di via del Consiglio considera prioritarie le aree della sicurezza e dell’educazione stradale, valutando inoltre inserimenti nell’ambito dei lavori di manutenzione stradale, di tutela del patrimonio ambientale o del verde pubblico, dei beni comunali, culturali e museali, nonché l’impegno nei settori del turismo e della biblioteca. A carico dell’Amministrazione comunale vi sono unicamente gli obblighi assicurativi contro infortuni e malattie professionali, nonché riguardo alla responsabilità civile verso terze persone. La convenzione triennale firmata in data odierna fa seguito all’analogo percorso avviato nel 2011, di cui il sindaco Paolo Dosi e il presidente Italo Ghitti rimarcano "la profonda valenza sociale, per un progetto che si fonda sulla centralità della persona e sulla componente rieducativa e riabilitativa della pena. Dal progetto è scaturita, inoltre, una proficua e intensa collaborazione tra Comune e Tribunale, grazie alla quale l’esperienza dei primi tre anni, appena conclusasi, si può definire indubbiamente positiva". Sono stati 129, complessivamente, gli inserimenti di cittadini condannati a lavori di pubblica utilità tra il 2011 e il 2013, per un totale di circa 14 mila ore di servizio prestate. Tale pena alternativa - all’inizio comminata esclusivamente per sentenze connesse all’alcolismo - è stata progressivamente estesa a diverse tipologie di reati, tra cui l’evasione fiscale o il possesso di stupefacenti. Tra le mansioni affidate ai cittadini in questione, il supporto alle attività di educazione stradale nelle scuole, l’archiviazione di documenti, la catalogazione di testi e l’inserimento di dati, ma anche la pulizia e lo sgombero di locali, la pulizia e manutenzione di aree verdi, la sistemazione di segnaletica stradale, la piccola manutenzione di impianti. Perugia: visita in carcere del neo-cardinale Bassetti, incontro con il personale e i detenuti Ansa, 25 febbraio 2014 Ha scelto il carcere di Perugia per la sua prima visita da neo cardinale l’arcivescovo del capoluogo umbro Gualtiero Bassetti. Il presule è giunto stamani nella struttura di Capanne dove è stato accolto dal direttore Bernardina Di Mario. Il cardinale Bassetti ha quindi incontrato il personale dell’istituto. Poi cominciato la visita all’intero carcere. "Ci sono tante categorie che chiamiamo poveri - ha detto il cardinal Bassetti - ma le altre le posso incontrare tutti i giorni. Gli unici che non possono venire da me e gli ultimi, sono i carcerati. Se sono gli ultimi - ha concluso - vorrei che fossero i primi per me". "Voglio essere il vescovo di tutti. Non solo dei credenti": a sottolinearlo è stato il cardinale Gualtiero Bassetti, presule di Perugia-Città della Pieve, in occasione della sua visita al carcere del capoluogo umbro. "Tutte le persone che in qualche modo desiderano avere un riferimento con me - ha sottolineato il porporato - devono sentirsi libere di poterlo fare. Perché nel momento in cui il Signore mi ha dato questo incarico, mi ha detto: "Io ti affido un popolo". Non mi ha detto quello dei battezzati o dei credenti. Chiunque di questo grande popolo vuole avere un riferimento - ha concluso Bassetti - ha il diritto di farlo". "In tema di carceri e giustizia dobbiamo fare qualcosa di più. È l’Europa che ce lo ha detto. Non vogliamo essere il suo fanalino di coda": a sottolinearlo è il cardinale Gualtiero Bassetti in occasione della sua visita alla casa di reclusione di Perugia, città di cui è vescovo. "Non guardiamo a questa struttura che tutto sommato è nuova - ha detto il cardinal Bassetti - dove gli ambienti si presentano bene e non c’è problema di sovraffollamento. Ma considerando la situazione generale delle carceri italiane, credo ci sia veramente tanto, tanto da fare". Secondo il vescovo c’è poi la questione dei cosiddetti reati minori. "Non sono un giurista - ha aggiunto - ma ci possono essere ammortizzatori della legge. Bisogna comunque anzitutto prevenire il più possibile. Poi vedere se per tutti i reati applicare una pena carceraria. Un maggiore discernimento. Uno Stato moderno deve essere in grado di garantire a tutti i cittadini - ha concluso il cardinale - una base di equità". Sono 447 i detenuti a Capanne Ospita attualmente 447 detenuti, uomini e donne, il carcere di Perugia dove stamani si è recato in visita il vescovo, cardinale Gualtiero Bassetti. Vi lavorano 220 agenti di polizia penitenziaria. Si tratta di una struttura di media sicurezza inaugurata nel 2005 e della quale è direttrice Bernardina Di Mario. Tecnicamente un complesso penitenziario. Nella sezione femminile sono rinchiuse 60 detenute, una delle quali incinta e un’altra che ha con sé in cella il figlio piccolo. In quella maschile sono invece 387 i reclusi. La struttura di Capanne non ha in questo momento problemi di sovraffollamento. I detenuti sono alloggiati in celle a due posti che per l’80 per cento del giorno rimangono aperte. Circa 200 posti sono riservati alla casa di reclusione, con condannati a pene definitive piuttosto lunghe. Gli altri alla casa circondariale con detenuti in attesa di giudizio o condanne non ancora definitive. I semiliberi e coloro ammessi al lavoro, all’interno e all’esterno del carcere, sono 17. Roma: detenuto evade e si scusa "devo donare il midollo a mia figlia…" di Andrea Ossino Il Messaggero, 25 febbraio 2014 In fuga per salvare la figlia. Ha tutta l’aria d’essere la trama di un film ma in questo caso la realtà supera la fantasia. Accusato di detenzione di sostanze stupefacenti, V. L. K., olandese cinquantaduenne, in attesa del processo, era stato affidato ad un’associazione che si occupa di assistenza ai detenuti. L’uomo però, nel novembre scorso, era scappato lasciando una lettera in cui affermava di essere evaso per andare a donare il midollo osseo alla figlia, ricoverata in un ospedale europeo dopo un incidente stradale. A raccontarlo è la moglie, che parla attraverso l’avvocato di V.L.K. ma chiede di restare anonima e di raccontare solo in modo indiretto una storia che ricorda da vicino l’evasione dei due detenuti dalla sezione per tossicodipendenti del carcere di Rebibbia, avvenuta poche settimane fa. Anche in quel caso, i fuggitivi lasciarono una lettera in cui si scusavano per le loro azioni e spiegavano di essere scappati per problemi legati alla tossicodipendenza V. L. K. era stato arrestato lo scorso aprile, quando le forze dell’ordine avevano trovato nel suo furgone frigorifero una tonnellata di hashish. Detenuto nel carcere di Regina Coeli l’uomo, grazie al comportamento esemplare e all’intervento del suo avvocato Valerio Vitale, era riuscito ad ottenere l’affidamento presso la sede dell’associazione Isola dell’Amore Fraterno. Durante il periodo di detenzione però, la figlia dell’indagato era rimasta vittima di un grave incidente stradale. V. L. K., racconta ora la moglie, attendeva così che qualcuno si facesse avanti donando il midollo osseo a sua figlia ma nessun donatore risultava compatibile. Dopo alcuni mesi le condizioni della ragazza erano precipitate. Così l’uomo aveva fatto una scelta, estrema. Quando lo scorso novembre, l’avvocato Vitale chiamò l’associazione per parlare con il suo assistito, i responsabili lo informarono dell’evasione. Successivamente, nello studio dell’avvocato era arrivata una lettera. A scrivere era lui, V. L.K.: "Sono l’unica persona che può aiutare mia figlia in questo momento molto difficile. Devo andarmene per recarmi in un ospedale dove prenderanno il mio midollo osseo e lo doneranno a mia figlia che sta per morire, non c’è nessun altro che la può aiutare". Insomma, al solo pensiero di dover assistere impotente alla morte della figlia, l’uomo aveva perso la testa. Stando alle parole della moglie, l’evaso è riuscito ad essere operato e l’intervento ha permesso alla figlia di sopravvivere. "Un comportamento certamente antigiuridico - afferma il penalista Valerio Vitale - ma al suo posto, probabilmente, avrei fatto lo stesso. Salvare una figlia è più importante di salvare se stessi. Proverò l’ innocenza del mio assistito sia riguardo alle accuse di detenzione di sostanze stupefacenti, che da quelle riguardanti l’allontanamento dal luogo ove era agli arresti domiciliari, da poco ottenuti. Ha solo scelto di salvare sua figlia". Udine: all’Università arrivano le borse in materiale riciclato realizzate dai carcerati Messaggero Veneto, 25 febbraio 2014 Si chiamano "Snait Bag" e sono composte con i vecchi striscioni pubblicitari. L’iniziativa sarà aperta anche ad altri enti e associazioni. Il progetto di merchandising anche in una tesi di laurea Il merchandising dell’università di Udine si arricchisce delle "Snait Bag", le borse in materiale riciclato dagli striscioni stradali, realizzate dai detenuti della casa circondariale maschile di Santa Maria Maggiore di Venezia, che lavorano con la cooperativa sociale "Rio Terà dei Pensieri". "L’iniziativa - spiega Manuela Croatto, responsabile dell’Area relazioni esterne dell’ateneo - è nata all’interno del nostro ufficio con un triplice obiettivo: riciclare gli striscioni stradali e pubblicitari utilizzati per promuovere gli eventi dell’università e offrire un’opportunità di lavoro a chi vive un momento di difficoltà nella vita e veicolare in modo nuovo l’immagine dell’Ateneo". Il progetto è diventato realtà grazie alla collaborazione con Giulia Montecchio, 22 anni, di Lozzo di Cadore, studentessa di Scienze dei servizi giuridici pubblici e privati all’università di Udine e tirocinante dell’Area relazioni esterne dell’ateneo. Proprio grazie a quest’ultima esperienza, Montecchio svolgerà la sua tesi di laurea su "Il lavoro nelle cooperative sociali" con relatrice la professoressa Valeria Filì, del dipartimento di Scienze giuridiche dell’ateneo friulano. "La cooperativa individuata per il progetto - spiega Montecchio - è stata istituita nel 1994 ed è formata sia da detenuti, uomini e donne, che da persone libere. Ne fanno parte la casa circondariale maschile di Santa Maria Maggiore e la Casa di reclusione e Casa circondariale della Giudecca. Gli uomini si occupano della serigrafia e del riciclaggio del pcv, mentre le donne di un orto botanico e di una linea biologica di cosmetici. La scelta, sulla base di procedure pubbliche, è caduta su questa cooperativa - spiega ancora la studentessa - dopo aver contattato varie strutture del Friuli Venezia Giulia e del Veneto, sulla base dei soggetti che si sono dimostrati interessati e della facilità di realizzazione dei prodotti". Il nome scelto deriva dall’unione di due parole: alla classica "bag" ("borsa" in inglese) è stata anteposto "snait", termine friulano usato per indicare qualcosa di dinamico e di veloce. "È un modo per rendere omaggio alla nostra lingua e alla laboriosità dei friulani - spiega Croatto - e ci è sembrata la sintesi perfetta della volontà di dare un significato a materiali che altrimenti sarebbero finiti in discarica. Quello che oggi per tutti è sintetizzato con "smart" per noi friulani è sempre stato "snait". L’iniziativa è aperta anche ad altri enti o associazioni - conclude Croatto - che volessero portare a noi i loro striscioni da riutilizzare". Le "Snait Bag", disponibili in quattro tipologie (tre borse e un porta iPad) non soltanto inaugureranno la nuova linea di prodotti di merchandising dell’ateneo ma daranno anche il nome al negozio di merchandising dell’ateneo ("Snait Store"), che si trova in via Petracco 4 a Udine, nella sede dell’Ufficio relazioni con il pubblico. Apprezzamento è stato espresso dal rettore Alberto Felice De Toni che ha visitato il nuovo negozio per complimentarsi con la studentessa e con lo staff dell’Area relazioni esterne che ha realizzato il progetto. Chieti: il detenuto trova lavoro, ma lo cacciano dall’Italia.. è "socialmente pericoloso" Il Centro, 25 febbraio 2014 Si chiama Tarek e la sua storia è un paradosso. Mette a nudo le contraddizioni della legge che caccia gli stranieri dall’Italia. Tarek Sgaieri ha 29 anni. È un detenuto tunisino arrestato nel 2008 per rapina e droga. Ma ha scontato la sua pena e oggi uscirà dal carcere di Chieti. Per lui però non è un giorno di festa. Per lo Stato, Tarek resta "socialmente pericoloso". Quindi, in base alla Bossi-Fini, sarà espulso dall’Italia. Cacciato dal Paese che, nei sette anni di pena che finiscono tra poche ore, ha investito soldi per riabilitare il tunisino. Tarek infatti è stato inserito, con altri reclusi, in un programma di recupero, finanziato dalla Stato, attraverso la Regione, che gli ha permesso di lavorare come muratore. La valutazione della commissione che lo ha scelto è positiva: "Merita il reinserimento", scrive dopo che per mesi il detenuto è uscito dal carcere, ogni mattina, per andare a lavorare in cantiere. E una lettera del proprietario dell’impresa edile gli ridà la patente del buon cittadino: il datore di lavoro lo definisce un uomo di coscienza e volontà. Ma oggi lo Stato, che ha speso soldi per riabilitarlo, lo caccia dall’Italia perché la legge guarda solo al passato di Tarek. Per la Bossi-Fini è come se la vita del detenuto-modello si fosse fermata al giorno della rapina e della droga. Tutto il resto non è mai esistito. Ma il paradosso di Tarek, denunciato da Francesco Lo Piccolo, referente dei Radicali abruzzesi per i diritti dei detenuti, ha oltrepassato i confini del carcere. Ed è finito in parlamento. Per Tarek è il giorno della verità: oggi finisce di scontare la pena. Oggi lo Stato lo caccia dall’Italia. Il carcere lo ha riabilitato, lo Stato lo manda via. Ma il caso finisce il Parlamento grazie al deputato di Sel, Gianni Melilla, che ha presentato un’interrogazione, e a Francesco Lo Piccolo (nella foto), giornalista impegnato in prima linea per i diritti dei detenuti, come referente dell’Associazione radicali d’Abruzzo e con una eccezionale rivista, "Le voci dei dentro", che ci fa conoscere tante storie come quella di Tarek Sgaieri, 29 anni, tunisino, arrestato nel 2008 per rapina e possesso di droga e rinchiuso nel carcere di Chieti. Ma oggi, Tarek, salda il suo debito: "La sua storia", scrive Lo Piccolo su Huffingtonpost, "è emblematica di come la parola rieducazione sia vuota e il carcere sia in realtà solo punizione fine a se stessa. In breve, nonostante le relazioni del personale giuridico pedagogico del carcere di Chieti, nelle quali è scritto che Tarek è persona rispettosa, dalla condotta regolare, conscio del suo errore, ben intenzionato a costruirsi un’alternativa di reinserimento; nonostante le positive valutazioni di una commissione che doveva selezionare alcuni detenuti per immetterli a un progetto lavorativo esterno finanziato dalla Regione Abruzzo e che lo aveva definito meritevole di aiuto; nonostante che per un intero anno Tarek sia uscito dal carcere tutte le mattine per andare a lavorare in un cantiere, e che gli stessi compagni di lavoro abbiano riferito e scritto che si è sempre comportato con coscienza; nonostante una lettera del titolare dell’impresa edile nella quale si dice disposto ad assumerlo a tempo indeterminato... Nonostante tutto questo, non ultimo il desiderio di Tarek di restare in Italia, perché qui ha ritrovato la strada per vivere onestamente, in forza della legge Bossi Fini (tra l’altro più volte dichiarata incostituzionale), verrà espulso e rispedito in Tunisia perché la Questura di Chieti lo ritiene "socialmente pericoloso" al punto da non rinnovargli il permesso di soggiorno. Come se la mano destra non sapesse cosa fa la sinistra. Ecco dunque che il giudizio di oggi (pericoloso socialmente) basandosi sui fatti del passato e sul pregiudizio "che non muore", butta alle ortiche il lavoro svolto dal personale del carcere e ignora l’investimento (anche in termini economici) per restituire alla società una persona migliore. E soprattutto nega la speranza in chi dopo averla persa era riuscito a ritrovarla. Concludo: se la legge prevede che gli stranieri, una volta espiata la pena siano subito espulsi, perché spendere per loro idee, progetti e risorse? E ancora: se la pena serve a rieducare solo gli italiani, la Costituzione della Repubblica e l’ordinamento penitenziario non valgono per gli stranieri?". Nuoro: galeotto fu un concerto a Su Pezzu Mannu, ospiti i ragazzi dell’Ipm di Quartucciu La Nuova Sardegna, 25 febbraio 2014 "Sì, certo, il decreto svuota-carceri... l’esperienza di Badde Manna si potrebbe estendere anche agli adulti, perché no?, sarebbe bello avere la possibilità di inserire nelle aziende agricole della Sardegna ragazzi e adulti che quando escono dal carcere non sanno neppure dove andare". A lanciare l’idea è Gigi Sanna, leader degli Istentales, che da quattro anni a questa parte ospita i ragazzi di Quartucciu nella sua coop sociale di Badde Manna. "Per loro sarebbe un’occasione di lavoro e al contempo le campagne avrebbero un ricambio generazionale assicurato. Se poi venisse creato un marchio doc, una rete commerciale di prodotti "galeotti"... beh, sarebbe il massimo" aggiunge. Un sogno cominciato già sette anni fa, quando la band nuorese mise piede per la prima volta nell’Istituto penale minorile di Quartucciu. Era il 6 giugno 2007. Per gli Istentales era la sesta tappa di un intenso tour nelle carceri. Concerto a Su Pezzu Mannu, dunque, a 13 chilometri dal capoluogo isolano, vicino ai comuni di Settimo San Pietro e Selargius. Naturalmente, a firmare il beneplacito ci pensarono i funzionari del Dipartimento per la giustizia minorile del Ministero della Giustizia. "La nostra è voglia di libertà e vogliamo darla a chi non ce l’ha" aveva esordito il pastore-cantante davanti a un pubblico davvero speciale: dieci ragazzi, quasi tutti extracomunitari, molti ex clandestini, adolescenti che attraversavano la fase forse più critica della loro crescita. Quasi tutti avevano già avuto esperienze traumatiche con l’alcool e la droga. Loro che per un’ora e passa ascoltavano la musica dei quattro baronetti di Badde Manna: Gigi Sanna, Tattino, Luca Floris e Daniele Barbato. Indelebile il ricordo lasciato da Abdulah, un marocchino che diede il via alle danze, benché la limba e il ballo sardo fossero per lui segni di un’identità straniera. Il messaggio delle canzoni di Quartucciu fu uno soltanto: "Per chi ha sbagliato e ora sta dentro, c’è un mondo che aspetta e sta oltre le sbarre". Così alla fine, gli Istentales salutarono con una promessa: "Torneremo. Ma sia chiaro: non per vedere le stesse facce". E gli Istentales sono tornati aprendo le porte dell’ovile di Badde Manna, per una nuova possibilità, una nuova occasione di vita e di rinascita dalla terra. Ragusa: nasce Compagnia dell’Arte In Grata, detenuti-attori con regista Gianni Battaglia Italpress, 25 febbraio 2014 Un incontro su "Legalità e realtà carceraria italiana" si è tenuto a Ragusa, insieme ad uno spettacolo di teatro-canzone dal titolo "Liberi di...." proposto dalla compagnia dell’Arte In Grata. L’iniziativa è stata promossa dalla Casa circondariale di Ragusa, da Avviso Pubblico e dai Comuni di Ragusa e Vittoria. Durante l’incontro è stato firmato un protocollo d’intesa tra le parti coinvolte nel progetto, che mira a promuovere, con la direzione artistica del regista Gianni Battaglia, l’attività del laboratorio teatrale della Compagnia dell’Arte In Grata formata dai reclusi, con l’intenzione di creare occasioni di incontro, confronto e riflessione sul tema della legalità con gli alunni delle scuole secondarie di primo e secondo grado. "Quest’evento, insieme al protocollo che abbiamo sottoscritto, intende contribuire a dare un’inversione di rotta propria di un paese civile e maturo - ha dichiarato il vice presidente di Avviso Pubblico, Piero Gurrieri -. Mentre le istituzioni considerano le carceri come un problema noi pensiamo che esse debbano essere spazi di umanizzazione, socializzazione e rieducazione positiva ai valori della libertà, della legalità e della partecipazione". Roma: "Teatrash, bambini dentro e fuori", spettacolo da Rebibbia a Biennale di Venezia Ansa, 25 febbraio 2014 Un teatrino di marionette, realizzato con materiale di riciclo, sull’inquietante questione dei bambini in carcere, figli di detenute. Si chiama "Teatrash, bambini dentro e fuori" selezionato per il Carnevale Internazionale dei ragazzi della Biennale di Venezia, in corso fino al 4 marzo. Autori del "teatrino" alcune detenute del carcere romano di Rebibbia, allieve del Liceo artistico ‘Enzo Rossi’ in corsi di laboratori artistici e tre classi della scuola. Quindici i bambini in cella con le loro madri e dove resteranno fino ai tre anni. Il progetto è coordinato dal dirigente scolastico Mariagrazia Dardanelli, è sostenuto dal Garante dei diritti dei Detenuti della Regione Lazio, Angiolo Marroni, e da Ida Del Grosso per l’istituto di pena. "L’idea - precisano i promotori dell’iniziativa - è stata quella di creare un punto di contatto tra l’arte e l’azione della vita quotidiana. Attraverso l’uso di oggetti di scarto e scambiandone la funzione, il materiale usato assume una nuova dimensione determinando un senso di immortalità: l’oggetto si riforma e ciclicamente rinasce. Lo spettacolo, con le sue luci, i colori grigi e scuri e la musica, realizzata con suoni e rumori tipici della presenza dei bambini in carcere, guida il movimento delle marionette e richiama in maniera diretta e inequivocabile la reclusione carceraria dei bambini". Chieti: con l’Associazione Solideando, spettacolo illusionismo per detenuti e loro familiari www.chietitoday.it, 25 febbraio 2014 Tra cilindri, fazzoletti colorati e coriandoli i detenuti del carcere di Chieti hanno potuto godere di una parentesi di allegria tenendo sulle ginocchia i propri bambini Grazie ad un progetto dell’associazione Solideando di Pescara finanziato dalla Fondazione Carichieti è stato possibile realizzare un significativo evento a beneficio dei detenuti ospitati dalla Casa Circondariale di Chieti. L’idea, prontamente accolta ed appoggiata dal Direttore dell’Istituto, Dott.ssa Giuseppina Ruggero, e realizzata anche grazie disponibilità del Commissario di Polizia Penitenziaria Valentino Di Bartolomeo, ha consentito ai detenuti della sezione maschile di effettuare un colloquio straordinario con i propri familiari (mogli, figli, nipoti) assistendo ad uno spettacolo di illusionismo, gentilmente offerto dal mago Ivan Cipollini, che ha stupito grandi e piccini. Un "colloquio destrutturato", lo ha definito nei saluti introduttivi la dott.ssa Ruggero, ma proprio per questo idoneo a restituire alle famiglie una dimensione comunitaria, in uno spirito di condivisione dei momenti felici che, per le persone recluse, spesso costituisce solo un ricordo. E così tra cilindri, fazzoletti colorati e coriandoli i detenuti hanno potuto godere di una parentesi di allegria tenendo sulle ginocchia i propri bambini, ai quali hanno potuto offrire dolcetti e caramelle grazie ad un coffee break preparato dall’Associazione. Questa occasione ha concluso un lungo ciclo di incontri di auto mutuo aiuto sul tema "La genitorialità nella coppia: prendersi cura di sé per prendersi cura degli altri", ideato a partire dalla convinzione che, anche in situazioni di disagio e limitazione dell’azione genitoriale, si può migliorare mettendosi in gioco in prima persona a livello di introspezione, introiezione del ruolo di padre, motivazione e progettualità educativa. I risultati attesi e raggiunti dall’azione, sono stati: prendersi cura del ‘sé’ per prendersi cura dei figli, accrescere la consapevolezza dell’essere genitori in uomini che vivono situazioni di restrizione fisica e imparare a saper leggere i bisogni e le esigenze dei propri figli e della propria partner migliorando la comunicazione e la relazione. Inoltre nel corso degli incontri i partecipanti sono riusciti a raggiungere un buon livello di empatia, testimoniato da uno scritto comune che, il gruppo dei detenuti partecipanti, ha voluto leggere in occasione della festa come restituzione agli operatori dell’Associazione che tanto si sono spesi, in questi mesi, per loro: "Questa è la storia vera, di un gruppo di persone, che un giorno si riunirono per fare esplorazione. Volevano capire chi erano davvero, scoprire fino in fondo cos’è l’amore vero. Allora si sedettero, sopra le loro sedie fecero un grande passo, senza spostare un piede erano tutti pronti, si guardarono negli occhi L’anima venne fuori, erano come specchi. Il gruppo di auto aiuto portò con sé dei testi come delle istruzioni per riparare i guasti fecero un gran lavoro, su tutti quei reclusi a cui da molto tempo mancavano i sorrisi. Se fossimo cantanti potremmo dire in coro un grazie ai volontari, che fanno un gran lavoro". India: caso marò; procura rinuncia all’accusa di terrorismo, ma nuovo rinvio del processo Ansa, 25 febbraio 2014 Ancora un rinvio: la nuova udienza si terrà tra due settimane. La procura chiede che i capi di accusa siano formulati dalla polizia, la difesa si oppone. Doveva essere l’ultimo rinvio. E invece, ancora una volta, l’udienza per i due marò italiani detenuti da due anni in India per l’uccisione di due pescatori scambiati per pirati è stata rimandata. Questa volta di due settimane. Come da anticipazioni, la procura ha confermato l’intenzione di non processare i due fucilieri con il Sua Act, la normativa anti-terrorismo che avrebbe potuto far condannare i due imputati alla pena di morte. Il procuratore generale indiano, G. E. Vahanvati, nell’udienza di questa mattina ha presentato l’opinione del governo favorevole ad abbandonare il Sua Act, ma ha chiesto che i capi di accusa vengano formulati dalla polizia del Nia, l’unità antiterrorismo, che ha svolto le indagini. Una ipotesi a cui la difesa si è opposta, costringendo il giudice a fissare la nuova udienza tra due settimane. Per l’avvocato della difesa Mukul Rohatgi "è impossibile utilizzare la Nia in assenza del Sua Act". Il giudice ha allora chiesto alle parti di presentare le loro posizioni fissando per questo un termine di due settimane. All’uscita dell’udienza di oggi, il legale anche detto che "con l’eliminazione del Sua Act abbiamo fatto un primo passo. Ora presenteremo le nostre motivazioni avverse al mantenimento della polizia investigativa Nia". Stati Uniti: caso Chico Forti; iniziativa M5S, mantenere alta attenzione opinione pubblica Ansa, 25 febbraio 2014 Un incontro per sensibilizzare l’opinione pubblica a favore della vicenda di Chico Forti, velista e produttore televisivo italiano dal 2000 detenuto nelle carceri della Florida dopo esser stato accusato di omicidio, si è svolto ieri ad Assemini. Forti si è sempre dichiarato innocente e vittima di un errore giudiziario, un movimento di opinione in Italia chiede la revisione del processo. A discuterne erano presenti oltre ai due parlamentari 5 Stelle che stanno seguendo il caso, Emanuela Corda e Carlo Sibilia, anche il giudice Ferdinando Imposimato, avvocato difensore di Forti, e l’associazione che porta il nome del nostro connazionale detenuto. Fra il pubblico presente anche il sindaco di Assemini, Mario Puddu (M5S). Svizzera: mega-rissa nel carcere Champ-Dollon, un centinaio di detenuti coinvolti 7 i feriti www.swissinfo.ch, 25 febbraio 2014 La tensione è al suo apice nel carcere ginevrino di Champ-Dollon: dopo una rissa che ieri ha coinvolto un centinaio di detenuti, sette prigionieri sono rimasti feriti in altri incidenti scoppiati oggi. A fine pomeriggio la situazione, "benché tesa", è tornata sotto controllo, indica il portavoce del Dipartimento della sicurezza, Laurent Forestier. Una prima rissa era scoppiata ieri pomeriggio, mentre era in corso l’ora d’aria. La polizia è stata costretta ad intervenire in appoggio alle guardie carcerarie, ha precisato oggi all’ats il direttore della prigione, Constantin Franziskakis. Altri incidenti si sono verificati stamani e nel primo pomeriggio. In mattinata due prigionieri sono stati feriti con oggetti contundenti, mentre nel pomeriggio cinque detenuti sono stati feriti in modo grave con dei coltelli, precisa Forestier, secondo cui gli alterchi hanno opposto "due gruppi etnici". Già ieri, le perquisizioni effettuate dopo l’incidente hanno permesso di scoprire che alcuni prigionieri erano in possesso di lame di rasoio e altri oggetti affilati. I principali istigatori della rissa svoltasi ieri sono stati collocati in cella di sicurezza e saranno sanzionati. Sovrappopolata in modo cronico, la prigione ginevrina è spesso teatro di disordini. Previsto per 376 detenuti, il carcere ne ospita attualmente più di 800. Grecia: l’ospedale del carcere di Korydallos è un lager, detenuti in sciopero della fame La Presse, 25 febbraio 2014 I pazienti detenuti della prigione con annessa clinica di Korydallos, in Grecia, hanno iniziato a rifiutare cibo e medicazioni per protestare contro le condizioni in cui sono trattenuti, a loro dire eccessivamente dure. Gruppi per i diritti umani e funzionari della struttura, che sorge a ovest di Atene, affermano che il carcere-clinica sia progettato per ospitare 60 persone ma hanno aggiunto che al momento i prigionieri sono oltre 200. Molti di loro sono sieropositivi e altri soffrono di malattie infettive come tubercolosi, epatite e scabbia. Su Facebook e Twitter i partecipanti alla protesta hanno scritto che durante la settimana passata sono stati almeno 178 i detenuti che hanno rifiutato il cibo, alcuni dei quali sono sieropositivi che hanno respinto anche i loro medicinali antiretrovirali, nel tentativo di attirare l’attenzione sulla loro causa. Negli ultimi anni la crisi economica in Grecia ha provocato una aumento nel numero dei detenuti e un calo nei fondi e nel personale carcerario, favoriti dai tagli alle spese che hanno colpito anche le prigioni, già seriamente sovraffollate. L’ospedale di Korydallos è la sola struttura all’interno del sistema carcerario greco in grado di ospitare detenuti malati. Uganda: presidente firma legge "contro l’Occidente" che punisce gay con il carcere a vita Agi, 25 febbraio 2014 Come preannunciato, il presidente dell’Uganda, Yoweri Museveni, ha firmato la controversa legge anti-gay, che prevede l’ergastolo per gli omosessuali in caso di recidiva, nonostante le critiche e le pressioni internazionali. Lo ha confermato il portavoce presidenziale, Sarah Kagingo, sottolineando che si tratta di una normativa-pietra miliare. Approvata a larga maggioranza lo scorso dicembre, la legge prevede l’ergastolo per i recidivi, vieta qualsiasi propaganda dell’omosessualità e rende obbligatoria la denuncia delle persone omosessuali. Inizialmente era prevista anche la pena di morte, poi esclusa. La norma è stata duramente criticata da Nazioni Unite, Unione europea e Stati Uniti. Il presidente americano Barack Obama ha definito la legge "un passo indietro", che complicherà le relazioni con Kampala e si è detto "profondamente deluso". Per il premio Nobel e arcivescovo del Sudafrica Desmond Tutu, la normativa ricorda il sinistro tentativo dei nazisti e del regime dell’Apartheid di "legiferare contro l’amore". Il mese scorso Museveni aveva fatto sapere che non avrebbe firmato la legge, sostenendo che i gay sono malati, ma non meritano di essere rinchiusi a vita in carcere, ma poi avrebbe cambiato idea dopo aver consultato un gruppo di scienziati, a cui il ministero della Sanità aveva chiesto di "studiare l’omosessualità e la genetica negli esseri umani". "Gli scienziati hanno dimostrato che l’omosessualità è un comportamento acquisito, che certe persone lo adottano per denaro, ed è questo che il presidente vuole impedire", secondo un portavoce.