Giustizia: le "priorità" del neo-ministro? il processo civile telematico e l'emergenza carceri di Silvia Barocci Il Messaggero, 23 febbraio 2014 "Grazie presidente". È un sorriso che lascia trasparire l’ironico ringraziamento per una "patata bollente" di cui avrebbe fatto volentieri a meno quello che il neo Guardasigilli Andrea Orlando sfodera dinanzi al Capo dello Stato. "Stai tranquillo, devi stare tranquillo", è stata la risposta di Giorgio Napolitano. Il tutto sotto gli occhi dei signori Orlando, i genitori, venuti da La Spezia per non perdere la cerimonia del giuramento al Quirinale. "Eh sì, mi aspettavo un incarico più tranquillo. Avrei avuto il piacere di continuare il lavoro cominciato all’Ambiente", confida a Maurizio Martina, anche lui fresco di giuramento. Il neo ministro dell’Agricoltura lo rassicura: "tanto la materia già la conosci". Quei tre anni da ex responsabile Giustizia del Pd, nel periodo di maggiore impegno parlamentare per far fronte alle legge "ad personam" di Berlusconi, non sono trascorsi invano. Orlando se ne accorge appena arriva in Via Arenula, per ricevere le consegne dal ministro uscente Annamaria Cancellieri. È lì, in quel salone affrescato dal Bargellini che ancora conserva la scrivania di Togliatti, che matura il convincimento sulle tre priorità: carceri, giustizia civile, efficienza organizzativa. Per oltre un’ora e mezza ha tenuto la prima riunione operativa con il capo di gabinetto, Renato Finocchi Ghersi, il capo del legislativo, Domenico Carcano, e i capi dipartimento del ministero. Ha voluto un report da tutti. Per partire con il piede sull’acceleratore in vista di luglio, mese indicato da Renzi per la riforma della giustizia. "È in assoluto la prima da fare", andava ripetendo ieri Berlusconi puntando il dito contro la "giustizia politicizzata" che lo ha condannato in via definitiva per frode fiscale. Ma non è dalla separazione tra giudici e Pm che partirà Orlando. L’arretrato di circa 5 milioni di cause civili pesa sulla crescita del Pil per un punto percentuale all’anno. Occorre sfoltire. Il prossimo 30 giugno diventerà obbligatorio il processo civile telematico, ma non è detto che tutte le sedi siano pronte, seppure in un anno le comunicazioni telematiche hanno consentito un risparmio di circa 42 milioni di euro. E poi l’efficienza. La riforma della geografia giudiziaria è partita, con la chiusura delle piccole sedi. Ma il blocco del turn over del personale amministrativo - che da 36mila unità calerà presto a 34mila - rischia di far rallentare i servizi. L’altra scadenza in vista è il 28 maggio, quando l’Italia dovrà dimostrare alla Corte di Strasburgo di aver adottato le riforme necessarie per risolvere l’emergenza sovraffollamento. Anche il neo ministro Orlando, come il premier Renzi, punta su riforme strutturali e non su amnistia e indulto. La legge svuota carceri del governo Letta ha fatto calare i detenuti a 61mila, contro 47mila posti regolamentari. Ora Orlando dovrà seguire da vicino altri due ddl: quello al Senato per limitare il ricorso alla custodia cautelare e l’altro sulla messa in prova, in terza lettura alla Camera. Nessuna trattativa con Berlusconi "In Parlamento, quando al governo c’era Berlusconi, con Donatella Ferranti ho guidato la battaglia del Pd contro le leggi ad personam e quella durissima sulle intercettazioni. E in questa legislatura ho subito sottoscritto la proposta per una legge più dura contro la corruzione e per ripristinare appieno il falso in bilancio". Il neoministro della Giustizia Andrea Orlando smentisce, in un colloquio con Repubblica, l’esistenza di trattative con Silvio Berlusconi: "Ho sempre fatto le mie proposte alla luce del sole". "Io ministro della Giustizia? Mamma mia, che responsabilità enorme. E' un fardello pesante, e lo so bene io che per tre anni, da responsabile Giustizia del Pd, ho girato per tutte le procure, i tribunali e le carceri italiane per ascoltare tutti, capire i problemi, trovare le soluzioni giuste", commenta Orlando. Il nuovo Guardasigilli spiega quindi che sarebbe voluto rimanere al ministero dell’Ambiente. "Lì stavo facendo bene, avevo un sacco di progetti in piedi", dice. "Avevo chiesto a Renzi di non essere spostato altrove". Come responsabile della Giustizia, aggiunge, "una cosa la farò subito: approvare la lista degli eco-reati". Uil-Pa Penitenziari: pronti a confronto con Orlando "Abbiamo avuto modo di conoscere, ed apprezzare, Andrea Orlando quale responsabile Giustizia del Pd. In quelle vesti ha più volte incontrato le rappresentanze sindacali, accettando sempre il confronto su proposte e progetti per risollevare il sistema penitenziario dalle criticità che lo oberano". Lo afferma Eugenio Sarno, Segretario Generale della Uil-Pa Penitenziari. "Ho motivo di credere - prosegue Sarno - che si potrà riprendere quel percorso di confronto sulle soluzioni possibili. Voglio auspicare che il neo Ministro della Giustizia intenda confermare in blocco i vertici del Dap che hanno, da qualche tempo, messo in campo un progetto di riorganizzazione del sistema penitenziario e di innovazione delle dinamiche gestionali. Progetto che andrebbe, a nostro avviso, sostenuto ed accompagnato. Sono certo - conclude il leader della Uilpa Penitenziari - che con il Ministro Orlando anche la Polizia Penitenziaria potrà ritrovare dignità e attenzione, ma soprattutto risposte concrete". Giustizia: ministro Orlando; mio primo impegno sarà per il contrasto ai reati ambientali di Adolfo Pappalardo Il Mattino, 23 febbraio 2014 L’ambiente resta nel cuore di Andrea Orlando, ecco perché il primo pensiero del nuovo Guardasigilli riguardagli "eco-reati". "Crimini ambientali come il disastro o l’inquinamento servirebbero a contrastare il fenomeno dei roghi e di chi sversa veleni. Solo in questo modo si può rispondere strutturalmente al problema campano". Ecco la prima rotta tracciata dal ministro della Giustizia che ha appena lasciato il dicastero dell’Ambiente. Come è nel suo stile. Come fece da ministro dell’Ambiente: due giorni dopo la nomina era già nella Terra dei fuochi. Per vedere, quasi per toccare con mano, l’emergenza campana. E così ieri Andrea Orlando nella veste di responsabile della Giustizia: inchiodato al primo piano di via Arenula a macinare riunioni operative. "Carceri, organizzazione del sistema giudiziario e riforma del processo civile: emergenze che sono il frutto di tutto un sistema da cambiare", dice. Poi, il quarantacinquenne ministro spezzino, ammette: "E una grande responsabilità". "Un’enorme responsabilità", ripete lui che pure, per tre anni, è stato responsabile Giustizia del Pd. "Proprio perché conosco la materia dico che è una grande responsabilità". Paradossi. Perché a riavvolgere il nastro a venerdì sera, sino alle 18, Orlando era ben saldo alla sua poltrona di ministro dell’Ambiente: "Che lascio a malincuore". Poi la moral suasion di Giorgio Napolitano sul premier Matteo Renzi eh e proponeva invece per la casella di Guardasigilli il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Nicola Gratteri. Ma una regola non scritta vuole che sulla poltrona più alta di via Arenula non sieda mai un magistrato. Ed ecco Orlando. "Pensavo di rimanere all’Ambiente. Speravo, e volevo, continuare un lavoro già cominciato e che vede va ancora cose importanti da fare. E spero che il mio successore, incontrato oggi (ieri, ndr) per il passaggio di consegne, vorrà proseguire il mio percorso". Perché Andrea Orlando tiene molto alla legge sulla Terra dei Fuochi: "Rimane e rimarrà il mio fiore all’occhiello: sono fiero di aver contribuito a far approvare quella legge. E rimangono orale partite più importanti sulla quella zona della Campania: la bonifica e la mappatura dei suoli avvelenati", dice ieri sera dal suo studio di via Arenula da dove non si è mai mosso dopo il giuramento. Già al lavoro. Non solo. "Dispiace di aver lasciato cose importanti che non portò più seguire". Quali? "C’è in approvazione una legge sul consumo del suolo, un collegato ambientale sul dissesto idrogeologico, forme di incentivo verso il riciclo e verso la fiscalità verde". Ma l’occhio rimane focalizzato sulla Campania. Alla legge che Forza Italia ha tentato di intestarsi facendo stampare centinaia di 6 per 3 per plaudire al proprio lavoro. Non entra certo in questa querelle il ministro e spiega: "L’occhio rimane sul triangolo tra Napoli e Caserta dove c’è ancora molto da fare". Sembra cocciuto ma c’è una spiegazione. Non è solo per indole ma anche per stirpe: "Sono legato a quella terra. Il padre di mio padre era di Santa Maria Capua Vetere, un ferroviere antifascista costretto a trasferirsi in Liguria". Ma cosa farà da Guardasigilli? "Per prima cosa ì cosiddetti eco reati. Crimini ambientali come il disastro o l’inquinamento, mai sistematizzati, che servirebbero invece a contrastare il fenomeno dei roghi e di chi sversa veleni nell’ambiente. Solo in questo modo si può rispondere strutturalmente al problema campano". Ecco la prima rotta da tracciare secondo il ministro della Giustizia che ha cavalcato 300 giorni difficili: "Il caso Uva, le operazioni per la Concordia e le gravi calamità naturali a cominciare dall’alluvione in Sardegna. Ma sono fiero anche che in quest’anno sono state ridotte di un terzo le infrazioni Ue". Beh, quei grattacapi continueranno: c’è l’emergenza carceri. "Quella non è una procedura di infrazione ma una richiesta da parte della Corte Europea a mettersi in regola. Entro maggio". E aggiunge: "Un richiamo nei nostri confronti e il segno che i conti italiani con l’Europa non finiscono mai". E si toma quindi alla poltrona saltata fuori all’ultimo secondo "che mi ha spiazzato". Perché? "Avrei preferito continuare il lavoro anche in vista della presidenza Ue: stavamo lavorando a una nuova strategia energetica nazionale in vista del pacchetto clima Europa e...". E? "Il tema della giustizia lo conosco bene e proprio per questo c’è molta preoccupazione". A cosa si riferisce? "Materia delicata, complessa e non è un caso che in questi anni su questo ministero si è sempre concentrata la massima attenzione". È stato responsabile giustizia del Pd negli anni in cui Berlusconi era al governo. Anzi qualcuno dice che il Cavaliere sarà contento della nomina. "Sempre quell’articolo sul Foglio del 2010? Basta - risponde duro - solo sciocchezze: sono stato proprio io a guidare le battaglie contro le leggi ad personam e la stretta alle intercettazioni". Come si muoverà? "Anzitutto le emergenze che sono il frutto di un sistema da cambiare. E quindi: problema carceri, organizzazione del sistema e giustizia civile. E sono preoccupato non per la non conoscenza di questi problema ma, al contrario, la conoscenza approfondita di quello che mi aspetta". Giustizia: Gratteri voleva "carta bianca", così è stato bocciato, incarico sfumato all’ultimo di Guido Ruotolo La Stampa, 23 febbraio 2014 Il "no" è arrivato inatteso: "Non dico nulla, nemmeno una sillaba". Deve esserci rimasto male. Alla fine di un estenuante tira e molla Nicola Gratteri aveva ceduto. "Ma sia chiaro - aveva detto allo sherpa Graziano Delrio e allo stesso Renzi - mi dovrete lasciare carta bianca sulla riforma dei codici e sulla riorganizzazione della giustizia". Quell’impegno l’aveva ottenuto. E, dunque, quando ha visto aprirsi la porta e uscire Renzi nella Sala della Vetrata, era convinto che avrebbe sentito leggere il suo nome come ministro di Giustizia. Non avevano messo nel conto Renzi e lo stesso Gratteri l’opposizione che la sua nomina a Guardasigilli avrebbe trovato nel Capo dello Stato, Giorgio Napolitano. Inspiegabile, se fosse una pregiudiziale nei confronti di un magistrato, perché non sarebbe stata la prima volta, appunto, di un magistrato Guardasigilli. Proprio con l’ultimo governo Berlusconi aveva giurato un magistrato che aveva lavorato alla procura nazionale antimafia, Nitto Palma. "Non dico nemmeno una sillaba". È l’unico commento strappato al procuratore aggiunto di Reggio Calabria. Un silenzio dettato intanto dalla discrezione, in questi casi. Gratteri è un magistrato operativo, l’ultima sua inchiesta "New Bridge" ha portato al fermo nei giorni scorsi di esponenti della ‘ndrangheta che trafficavano in droga con la famiglia mafiosa dei Gambino di New York. Memoria storica della lotta alla ‘ndrangheta, Gratteri è nato e vive a Gerace, Locride. Terra di ‘ndrangheta, di sequestri di persona un tempo, dei più importanti trafficanti di cocaina in Europa oggi. E lui, oltre a coordinare tutta l’Antimafia della provincia orientale di Reggio Calabria, è stato responsabile anche della sala d’ascolto (delle intercettazioni) della procura di Reggio Calabria. Un esperto di ‘ndrangheta e di strumenti investigativi. Un "razionalizzatore" in grado di produrre risparmi ed efficienza. E oltre a una prolifica produzione di libri sulla ‘ndrangheta (gli ultimi collaboratori di giustizia raccontano che ormai ogni ‘ndranghetista ha sul comodino del letto i suoi libri), Gratteri ha lavorato in una commissione presieduta da Roberto Garofoli, segretario generale di Palazzo Chigi, che ha prodotto un testo ricco di spunti per una efficace lotta alla criminalità. Il presidente del Consiglio Matteo Renzi rimase colpito della sua dichiarazione - erano le ore della clamorosa e sanguinaria evasione dell’ergastolano Francesco Cutri, a Gallarate - sulla necessità di ridurre il rischio di evasione durante i trasferimenti dei detenuti, introducendo la videoconferenza anche per "i detenuti di alta sicurezza". Al largo del Nazareno sono convinti che la "risorsa" Gratteri non potrà non essere utilizzata. Lo stesso presidente del Consiglio, Matteo Renzi, nelle prossime ore potrebbe decidere di consultare di nuovo lo stesso Gratteri. Giustizia: con il "Piano-Carceri" 12mila nuovi posti di lavoro nel settore dell’edilizia di Jolanda Bufalini L’unità, 23 febbraio 2014 19 strutture da Trapani a Bolzano. "Un modello strategico nazionale per non lavorare più per spot". Il commissario Sinesio lavora ad un sistema per evitare infiltrazioni mafiose. Nel dicembre scorso, quando una operazione antimafia ha dato un duro colpo al clan di Matteo Messina Denaro, fra gli arrestati c’erano due insospettabili, Giuseppe Marino e Salvatore Torcivia, ingegneri del provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria di Palermo, accusati di avere intascato mazzette per favorire una ditta di mafia, la Spe.Fra., nei lavori di ristrutturazione del carcere palermitano dell’Ucciardone. L’episodio dà la misura di quanto sia impegnativo il compito del prefetto Angelo Sinesio, commissario al piano carceri, nella messa a punto dei filtri e del monitoraggio per evitare l’infiltrazione della criminalità organizzata negli appalti e nei subappalti. Angelo Sinesio ha partecipato, ieri, al congresso Fillea della provincia de L’Aquila, nella Casa di reclusione di Sulmona, perché ci tiene al rapporto con i sindacati e allo screening che può venire dal mondo del lavoro nei cantieri. Il controllo dei flussi di manodopera e dei materiali che entrano nel cantieri, il rispetto dei contratti, della sicurezza, buste paga in regola, rispetto della qualificazione professionale (impiantisti, carpentieri, elettricisti diventano spesso semplici manovali) sono tutti strumenti che salvaguardano i diritti dei lavoratori ma sono anche notizie che, trasmessi in anticipo e inseriti in una banca dati, spiega il segretario di Fillea Cgil provinciale, possono rivelare una patologia nel cantiere, "i protocolli elaborati per il piano carceri possono migliorare anche la ricostruzione nel cratere del sisma aquilano". "Il lavoro nero e irregolare - sostiene il prefetto Sinesio - è reato antecedente quello di mafia". Il piano carceri, 19 strutture da Trapani a Bolzano, è una cosa importante sia sul versante delle condizioni di vita nelle carceri per i detenuti e per la polizia penitenziaria (anche se fra gli addetti circola la preoccupazione che, se agli ampliamenti non corrisponderà la quantità adeguata di personale, sarà lavoro in più), sia sul versante del lavoro: si calcola infatti che saranno 12.000 i nuovi posti creati. Quello a cui lavora Sinesio (che non ha accettato compensi come commissario, "ho lo stipendio da prefetto"), è un "modello strategico nazionale" perché non bisogna "lavorare a spot, costruendo là dove il politico di turno trova i soldi ma bisogna fare dove serve". Dunque spazi che consentano la socialità che è il presupposto di un trattamento umano e di reinserimento omogenei su tutto il territorio. La tipologia unica ha il vantaggio non secondario della verifica dei costi. E, su questo sindacati e prefetto- commissario sono d’accordo, c’è una riforma a costo zero per garantire la legalità e i diritti dei lavoratori: la tessera sanitaria come badge per entrare nel cantiere. L’obiettivo è prevenire e accostare, in questo modo, l’Italia all’Europa perché, spiega Sinesio "i lavori si fermano sul contenzioso, con i ricorsi al Tar, alla Corte dei conti, all’autorità giudiziaria". L’obiettivo è superare la certificazione antimafia, le soglie che consentono di eludere, con i subappalti irregolari, con le false comunicazioni sociali, la concorrenza e le norme per i contratti con la Pubblica amministrazione. Lettere: le carceri e la vergogna del sovraffollamento di Henri Margaron (Psicoanalista, responsabile del Sert di Livorno) L’Unità, 23 febbraio 2014 Tra breve, grazie ad un finanziamento della Regione Toscana, un gruppo di tossicodipendenti varcheranno le porte del carcere per andare in comunità terapeutiche. Con questa iniziativa il governatore Enrico Rossi non pretende di risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri ma spronare la politica a trovare delle risposte alla vergogna della nostra democrazia, il sovraffollamento delle carceri. Non è umanamente accettabile che cinque o sei persone siano costrette a trascorrere intere giornate in una cella angusta, insalubre, senza possibilità di privacy ed esposti a tutti i pericoli morali e fisici che può portare una tale promiscuità. Trattare ogni detenuto con dignità è ovviamente un dovere morale ed etico ma è anche lo strumento più sicuro per consegnare alla società a fine pena delle persone capaci di dare il loro contributo. La migliore garanzia del rispetto delle regole, lo sappiamo tutti, è il piacere di condividere delle relazioni all’interno del gruppo e più una società sarà in grado di favorire questo principio e meno le persone saranno tentate di delinquere. Si tratta di una considerazione facilmente condivisibile ma lasciata alle utopie degli umanisti più illuminati, che trova però nuovo vigore nelle più recenti scoperte della scienza. L’insieme delle connessioni tra le informazioni che giungono al cervello si modella sulle nostre esperienze per consentire uno sviluppo funzionale delle capacità percettive, motorie, cognitive e linguistiche. Il modellamento del connessioni, però, avviene solo quando le esperienze sono significative per l’organismo sia in senso positivo che negativo. Nel primo caso le esperienze modelleranno tutte le strategie di approccio e di apertura che conosciamo, nel secondo quelle di fuga o di chiusura. L’adattamento delle connessioni neuronali alle nostre abitudini permette di apprendere e di migliorare, ma porta anche a situazioni dolorose come certi disturbi di personalità o alcune forme di dipendenza. Coloro che non hanno la fortuna di crescere in un contesto idoneo alla formazione di capacità relazionali sicure e gratificanti, avranno maggiori difficoltà a comportarsi in modo adeguato. D’altro canto le droghe, vuoi perché migliorano direttamente le condizioni dell’organismo vuoi perché aumentano alcune capacità, rendono certe esperienze artificialmente più gratificanti. La dipendenza è la condizione nella quale si trova chi, a forza di ripetere le stesse esperienze, ha perso la possibilità di ottenere altre forme di gratificazione. Naturalmente tale evoluzione può essere riscontrata in tutta una serie di altre abitudini che vengono definite condotte di addiction, come il gioco patologico, lo shopping compulsivo o la bulimia. La plasticità neuronale che ha portato una persona ad una condizione di addiction, può però consentire di aiutarla ad uscirne. Per questo dobbiamo aiutare la persona "ammalata di esperienze" a vivere delle relazioni sane ed equilibrate che vorrà coltivare nella misura in cui sono foriere di gratificazione. Un tale processo evidentemente non può svilupparsi in ambiente carcerale ma in contesti alternativi di tipo comunitario. Quali caratteristiche precise dovrebbero avere questi contesti alternativi tra esigenze di sicurezza e dovere di riabilitazione ed a chi dovrebbero rivolgersi? Magari ragionando più sulla personalità del colpevole che sulla natura del reato. Il progetto della Regione Toscana che Cesare Beccaria non avrebbe sconfessato pone queste domande alla politica. Speriamo che la politica sappia prendere delle decisioni che non abbiano come unica ambizione quella di evitare le sanzioni della comunità europea. Lettere: ingiusta detenzione e… bocciatura della legge Fini-Giovanardi di Giulio Petrilli e Marcello Pesarini Ristretti Orizzonti, 23 febbraio 2014 Siamo stati fra i promotori della campagna per l’estensione del risarcimento dell’ingiusta detenzione. Salutiamo con soddisfazione la sentenza della Corte Costituzionale che boccia la normativa che equipara droghe leggere a droghe pesanti. Allo stesso momento esprimiamo il nostro rammarico rivolto alle 10.000 persone detenute ad oggi a causa di questo assurdo giudiziario voluto nel 2006 dall’ennesima associazione negativa fra securitarismo e bisogno di facciata rispettabile, a ridosso delle Olimpiadi invernali di Torino. Il rammarico nei confronti degli ingiustamente detenuti, la cui scarcerazione da alcuni sbandierata, è da sottoporre alla revisione dei processi, ci ricollega alla lunga battaglia da noi iniziata attorno al 2010. A partire dal 2011 abbiamo raccolto firme per estendere i benefici anche ai condannati che avevano ricevuto la revisione della condanna prima del 1989, anno dell’entrata in vigore della legge sul risarcimento dell’ingiusta detenzione. Ci sono due milioni e mezzo di persone che sono state vittime di errori giudiziari dal 1945 al 1989 che non possono chiedere risarcimento. Quando la nostra battaglia, condotta con l’appoggio di centinaia di personaggi della società civile, dell’associazionismo, del mondo della giustizia, sulla spinta di una proposta di legge dei Radicali all’interno del Pd, diede un primo risultato con l’inserimento di un emendamento nella finanziaria 2012, pochi furono gli ex detenuti che poterono usufruirne. Al di là dei titoli roboanti dei giornali, sono molti gli ostacoli in Italia per poter godere di un diritto riconosciuto dalla legge. Cinquantamila persone ingiustamente detenute non hanno ricevuto il risarcimento perché ritenuti aver frequentato cattive compagnie. Assolti ma ugualmente colpevoli. Se si è incappati in condanna per motivi ideologici, e negli anni 70 ce n’è per tutti, sta al Magistrato decidere se si è pentiti oltre che assolti, oppure si continuano a frequentare ambienti pericolosi. Chiediamo alla società civile, ai democratici ed al mondo dell’associazionismo di riprendere la mobilitazione anche per tematiche come il risarcimento dell’ingiusta detenzione, ed a proseguire la campagna per amnistia ed indulto. "Nessuno ci toglierà il freddo patito ingiustamente dalle ossa, chiediamo quella rifusione per poter riaffrontare la libertà restituita in ritardo". Liguria: la Lega contraria alla soppressione del Provveditorato regionale alle carceri www.ligurianotizie.it, 23 febbraio 2014 Il consigliere regionale della Lega Nord Edoardo Rixi raccoglie l’allarme lanciato dal Sappe sulla soppressione del Prap-Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria della Liguria. "Già nel prossimo consiglio regionale - dichiara Rixi - chiederò un intervento urgente alla giunta ad attivarsi per chiarire al più presto le modalità contenute in uno schema di decreto della presidenza del consiglio dei ministri per la soppressione di quattro Prap-Provveditorati regionali dell’amministrazione penitenziaria, per cui la Liguria perderebbe la propria autonomia amministrativa vedendosi accorpata a Piemonte e Valle d’Aosta". Rixi annuncia, così, iniziative urgenti in Regione in seguito alla segnalazione ricevuta dal Sappe che ha denunciato i pericoli conseguenti al provvedimento al vaglio dei prossimi Consigli dei ministri. "Sappiamo che la situazione nelle carceri liguri è già oltre i limiti previsti per legge - spiega Rixi - il sovraffollamento, sopra la media europea, le difficoltà quotidiane affrontate dai poliziotti e dagli operatori penitenziari cronicamente sotto organico, le strutture vetuste, spesso posizionate nel cuore di popolosi quartieri, l’elevata percentuale di detenuti extracomunitari e tossicodipendenti costituiscono un quadro già negativo che rischia di peggiorare ancora di più se verrà messa in atto la decisione di sopprimere il Prap della Liguria. Togliere l’autonomia amministrativa ai sette penitenziari liguri, dove sono detenute oltre 2 mila persone, potrebbe fungere da detonatore a una situazione già esplosiva. La creazione di un unico Prap per Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta vanificherebbe anche la "territorialità della pena", prevista dall’ordinamento penitenziario, rendendo possibile il trasferimento di detenuti da Aosta alla Spezia. Oltre a implicare costi aggiuntivi per la pubblica amministrazione, allontanare i detenuti dalle proprie famiglie, secondo gli addetti ai lavori, significa aumentare la probabilità di atti di autolesionismo e suicidi tra i detenuti che già oggi si verificano con preoccupante frequenza compromettendo ulteriormente la sicurezza dietro e oltre le sbarre. L’attività di supervisione, coordinamento e controllo del Provveditorato ligure è decisivo per salvaguardare il mantenimento della sicurezza interna ed esterna, in raccordo con le autorità del territorio, in primis con la Regione in materia di salute dato che dal 2008 la sanità carceraria è gestita dalle Asl. La gestione fallimentare del problema da parte degli ultimi governi "tecnici" e di larghe intese di centrosinistra è dimostrata dalla condanna inflitta dalla Corte europea dei diritti umani all’Italia, che, se non si metterà in regola, rischia di far pagare ai contribuenti una multa fino a 300 milioni di euro". Sulmona (Aq): tristemente noto per i suicidi, il carcere ospiterà il Congresso Fillea-Cgil di Jolanda Bufalini L’Unità, 23 febbraio 2014 "Cerchiamo di riscattare il nostro passato in modo da reinserirci nel mondo una volta fuori di qui". E i detenuti impiegati nei progetti realizzano anche i gadget. Nei laboratori interni si realizzano scarpe anti infortunistica, mobili per le celle e tessuti di pregio. Fuori ci sono i parenti, due signore arrivate in pullman di linea da Enna, cambio a Roma. Quindici ore di viaggio per quattro di colloqui, divisi in due giorni. Non sapevano che le famiglie dei siciliani si sono organizzate e ogni mese parte un autobus privato che arriva direttamente al super carcere di Sulmona. C’è un ragazzo che ha accompagnato le zie da Napoli, dietro quelle mura ci sono due suoi parenti. "La cosa triste - racconta il ragazzo - è che la condanna è arrivata quando mio zio aveva cambiato vita. Gestiamo un bar - racconta - lavorava lì. Ma non è niente, 13 anni non sono niente. C’è di peggio". Cosa c’è di peggio del carcere? "La morte", risponde. "Zio ha perso un figlio di 16 anni, se potesse riaverlo starebbe qui dentro per altri 20". Questa immagine nel grigio di una giornata piovosa nella Valle Peligna circondata da montagne innevate è l’altra faccia, il lato dolente, l’umanità stanca e disagiata che si cela spesso dietro i reati che creano più allarme sociale, quelli di criminalità organizzata, quelli con le pene detentive più pesanti. Sembra singolare la scelta del segretario provinciale de L’Aquila della Fillea Cgil, Emanuele Verrocchi, di tenere il congresso dei lavoratori delle costruzioni dietro questi cancelli, nel complesso in cemento nudo eretto negli anni Ottanta. Eppure ci sono diverse buone ragioni: il piano carceri, che prevede l’ampliamento del penitenziario e i protocolli di legalità che si stanno stipulando per gli appalti, il ponte del lavoro come strumento del reinserimento sociale, secondo l’articolo 27 della Costituzione. "Bisogna avere il coraggio di applicarlo", dice la dottoressa Luisa Pesante, direttore del carcere, "purtroppo la politica non ci aiuta". Il carcere di Sulmona non è di quelli a "porte girevoli", secondo l’efficace definizione che ne diede l’ex ministro Severino. Qui stanno i reclusi ad alta sorveglianza, As1 e As3, capi e gregari. Da qui non si esce per molto tempo. E si lavora, o almeno si cerca di dare lavoro il più possibile visto che la spending review ha colpito anche qui. C’è persino un patronato Inca che fa i calcoli dei contributi pensionistici. L’odore, camminando nei corridoi che portano alla zona lavorazioni, lo riconosci subito, mentre una porta in ferro alle spalle si chiude ed un’altra, davanti, si apre. È l’odore della cucina uguale nelle carceri e negli studentati . Ecco i laboratori, grandi stanzoni molto ben attrezzati: la serigrafia con i plotter per le decorazioni su carta, su stoffa, su pelle. Quando arriviamo qui si stanno ultimando i gadget per il congresso Fillea, borse in tela per la cartellina documenti, portaoggetti in cuoio, il logo, una spirale del Dna con delle silhouette che ci danzano sopra è di Elena Cirella, della associazione "gruppo di idee", che fa volontariato per il reinserimento. Poi la falegnameria, che produce sgabelli, tavolini, armadietti per le celle. Gaetano è il più entusiasta dei falegnami, ha capelli lunghi e grigi: "Mi costruisco il futuro", dice. È di Catania. Cosa faceva prima? "Se devo dire la verità, niente". In calzoleria producono scarpe anti infortunio per questo e per altri istituti di pena, sufficientemente sicure per i lavori che si fanno all’interno del carcere. Ora stanno registrando il brevetto per un altro tipo di antinfortunistica, che si potrà vendere all’esterno. Luisa Pesante è arrivata da due mesi, dopo Rebibbia e Frosinone, i laboratori sono nati quando c’era Siciliano, ora direttore a Opera, ma la direttrice vuole un salto di qualità, cercando committenti esterni: "Non solo perché sono diminuite le provvidenze del ministero, soprattutto per creare opportunità per chi esce dal carcere. Si parla tanto di recidivi ma il contrasto si fa quando le persone non vengono abbandonate". La sartoria, con i banchi lindi, le macchine da cucire e le spolette ricorda certe foto Alinari delle fabbriche primo Novecento. È la stanza delle meraviglie, dal magazzino escono i broccati e i velluti di seta con cui i detenuti hanno realizzato, sotto la guida del capo d’arte Maria Impedovo, i bellissimi costumi della giostra cavalleresca di Sulmona. Antonio Di Giovanni, Baba dalla Costa D’Avorio, Giovanni Ciccarelli sono alcuni dei detenuti che hanno lavorato ai gadget per il congresso Fillea. Antonio: "Ci dà una emozione grandissima questa esperienza", dice. E spiega: "uno vuole riscattare il proprio passato e punta su questo". E Giovanni domanda: "le possibilità di reinserimento qui ci sono ma fuori c’è la possibilità di lavorare?". La manualità, l’abilità di sarti, calzolai, falegnami, serigrafisti, e dei coltivatori di aglio rosso di Sulmona (nei campi esterni) non è il frutto di naturali inclinazioni. Spiega Luisa Pesante: "persone che sono qui da venti anni sono diventate veramente brave, si sono specializzate. La creatività e anche la solidarietà verso gli altri disagiati sono attitudini che nella sofferenza della pena, del poco che c’è qui, si sviluppano molto". È questa consapevolezza che porta Luisa Pesante a criticare la politica: "Alcune di queste persone sono cambiate ma quando il Parlamento vota l’esclusione della possibilità di liberazione anticipata speciale per chi si è macchiato di reati gravi, dimostra di non riconoscere il percorso". La direttrice del carcere di Sulmona se la prende con l’allarmismo sociale alimentato anche dai media: "ci vuole coraggio per applicare l’articolo 27 della Costituzione e, per farlo, non ci si può basare solo sulla gravità del reato iniziale". E torna il tema dei suicidi, per cui la casa di reclusione di Sulmona è diventata tristemente famosa. "Ingiustamente", dicono gli ispettori della polizia penitenziaria. "Si raccontano le tragedie ma non quanti abbiamo salvato". E c’è la considerazione amara di un detenuto: "Le esecuzioni capitali negli Usa sono un numero molto più basso dei suicidi nelle carceri italiane". Trieste: sopralluoghi e inventario dell’Azienda Sanitaria in carcere "tutto fuori norma…" di Gabriella Ziani Il Piccolo, 23 febbraio 2014 Pareti degli ambulatori medici e dentistici non piastrellati come regola vuole, pavimenti sconnessi che impediscono l’igienizzazione, impianti elettrici non adeguati, ambulatorio della sezione femminile "privo di illuminazione e ventilazione naturale" sufficiente, e dove "manca inoltre il lavello". Lo spogliatoio maschile diventato un archivio, il locale dove stanno i farmaci privo di climatizzazione funzionante "così da garantire una temperatura idonea per la conservazione dei farmaci". Ma poi nella farmacia ci sono sedie "in pessimo stato", computer "vetusti", l’astanteria "oltre a essere adibita ad archivio e spogliatoio è anche utilizzata come deposito rifiuti". In area dentistica il bagno è anche spogliatoio del medico, e pure deposito di "prodotti chimici per lo sviluppo di lastre radiografiche, i liquidi sono risultati scaduti". L’infermeria femminile è del tutto non idonea allo scopo e va sostituita. E questo non è nemmeno tutto quello che i tecnici e responsabili dell’Azienda sanitaria hanno rilevato nei locali del carcere di Trieste adibiti alle cure sanitarie quando hanno fatto il sopralluogo lo scorso gennaio. Sono andati a guardare perché da quest’anno la sanità penitenziaria è passata per legge nazionale dallo Stato alla Regione. All’assessore alla Salute Maria Sandra Telesca sono stati appena consegnati tutti gli inventari di attrezzature, arredi, beni strumentali, e dei locali, fatti dall’amministrazione penitenziaria e dalle Aziende sanitarie. Tutti i beni entrano a far parte del patrimonio delle Aziende, mentre i locali sono concessi in uso gratuito. I medici che vi operano sono stati già "passati" dall’amministrazione statale al servizio sanitario regionale e dunque per il Coroneo triestino all’Ass1. La nostra Regione, a statuto speciale, che "paga" tutto il costo della Sanità, con l’ultima legge di stabilità ha ricevuto un aumento di compartecipazione ai tributi per mantenere economicamente anche questo nuovo servizio. Nei giorni scorsi il direttore Nicola Delli Quadri ha firmato la delibera che certifica l’avvenuto passaggio di consegne, l’inventario di strumenti e oggetti (dalle sedie agli appendiabiti, ma soprattutto agli strumenti sanitari) che appartengono agli ambulatori del carcere, giovandosi delle relazioni tecniche degli esperti che inquadrano la situazione e tutti gli interventi necessari, e che sono state indirizzate al direttore sanitario Adele Maggiore. Interventi che appunto saranno a carico della Regione. E così Fabio Aizza, responsabile della struttura Prevenzione e protezione ambiente che fa parte dello staff della direzione strategica ha segnalato tutte le mancanze di cui ha preso nota visitando gli ambienti sanitari del carcere, e ai già citati se ne aggiunge una lunga lista, come estintori non appesi alla parete, sportello del quadro elettrico che non si chiude, sedie non a norma, bombole di ossigeno senza cartello segnaletico, bagni "ciechi" e cioè senza finestre né aspiratori e con la luce che non funziona quindi anche bui, e (veniale forse, ma la legge è legge) cartelli che segnalano l’estintore e il divieto di fumo rimasti "coperti da mobilio". Mentre nell’ala femminile non solo l’ambulatorio non è idoneo a quell’uso ma altrettanto è stato rilevato per l’ambulatorio ginecologico privo di "metratura sufficiente". Anche il responsabile della struttura Immobili e impianti dell’Ass1, Alberto Russignan, ha fatto la sua lista di cose non a regola, e il catalogo si allunga ulteriormente con impianti elettrici privi di certificato di conformità, mancanza di luci di emergenza e di adeguati servizi igienici, mentre manca anche "una stanza per l’osservazione medica e la degenza dei detenuti". Carceri: una emergenza nazionale ben nota. Nella lentezza estrema delle riforme, questa è arrivata a compimento concreto e ora sta alle Aziende sanitarie governare si spera più degnamente il diritto alla salute che è anche dei detenuti, e anche del Coroneo. Lista di strumenti "fuori uso" Il climatizzatore è uno, negli spazi sanitari del Coroneo, ed è "fuori uso" e perfino le due semplici bilance pesapersone sulle quattro che dovrebbero essere presenti sono altrettanto "fuori uso". Questo è stato constatato coi sopralluoghi fatti dall’Azienda sanitaria alla quale passano gratuitamente sia i locali della sanità penitenziaria e sia mobili e strumenti medici. Peggio ancora coi frigoriferi, su tre sono "fuori uso" due. Anche il dentista per gli uomini ha fin qui lavorato con strumenti mancanti: la lista parla di una dotazione di dieci "porta aghi", ma ben nove "fuori uso". In carcere, dice l’inventario, c’è un defibrillatore ma, neanche dire, viene rubricato anche questo "fuori uso" e addirittura gli autori dell’inventario non sono stati in grado di trovarlo ("non riscontrato"). In campo oculistico non sono stati trovati moltissimi strumenti di cui sulla carta era segnata l’esistenza, dalla cassette delle lenti a occhiali di prova e oftalmoscopio. Mentre per l’unico "sfigmomanometro" e cioè il semplice misuratore della pressione l’Azienda sanitaria ha certificato che non è a norma, o è ormai obsoleto, e quindi sarà da eliminare. Enna: la direttrice Bellelli; soltanto per 11 detenuti applicato il decreto "svuota carceri" www.vivisicilia.it, 23 febbraio 2014 Con il via libera del Senato è diventata legge il decreto "svuota carceri" sulla quale il Parlamento si è duramente confrontato. Dai primi dati pare che la popolazione carceraria potrebbe scendere sotto le 60 mila unità. Ma qual è la situazione alla Casa circondariale di Enna? Negli anni il centro di reclusione ha sofferto i numeri alti gestendoli comunque senza particolari problemi. L’attuazione della legge non porterà ad Enna grandi cambiamenti perché da una prima analisi è emerso che sono undici i detenuti che rientrano tra i beneficiari. Di questi cinque sono i detenuti a cui è già stata concessa la scarcerazione anticipata, mentre sei sono quelli che usciranno prima della fine della pena. A fornire i dati il direttore della Casa Circondariale ennese, Letizia Bellelli, che fa un’analisi delle conseguenze dell’applicazione della legge e della situazione del carcere ennese. Questi movimenti insieme all’apertura del nuovo padiglione mette il carcere ennese nelle condizioni di non soffrire un eccessivo sovraffollamento. Il nuovo padiglione, infatti, è nei limiti della capienza regolamentare, mentre nel padiglione vecchio si registra un po’ di sovraffollamento. "Quando tutto sarà a regime non ci sarà sovraffollamento nel carcere di Enna" dice la direttrice Bellelli che giornalmente è impegnata insieme agli agenti di polizia penitenziaria nella gestione del carcere ennese. Le principali novità della legge approvata prevede pene alternative tramite l’affidamento ai servizi sociali, l’utilizzo del braccialetto elettronico, sconto di pena (fino al 24 dicembre 2015) che sale a 75 giorni per ogni semestre (anziché i precedenti 45) ma solo se in presenza di condizioni meritorie. Salerno: un "carcere" per detenuti con disturbi mentali nell’ex Centro diurno di Pazzano di Angela Sabetta La Città di Salerno, 23 febbraio 2014 Capaccio, il Comune voleva destinarlo a distretto sanitario Squillante: "Impossibile, si rischia solo di perdere i fondi". Un carcere per detenuti mentali o la sede per il distretto sanitario Capaccio-Roccadaspide? Ora non ci sono più dubbi: l’ex Centro diurno "Sole luna", situato in località Pazzano e di proprietà dell’Asl, sarà riconvertito in una struttura sanitaria extra ospedaliera per detenuti malati di mente. Un’ipotesi, questa, già avanzata da tempo dal commissario straordinario dell’Asl Maurizio Bortoletti (atto deliberativo 564 del 30/07/2012) e ora in fase più che avanzata per diventare un’iniziativa concreta. La struttura per detenuti psichiatrici sarà dunque realizzata, nonostante il tentativo del sindaco di Capaccio, Italo Voza, di scongiurare l’ipotesi. A renderlo noto, attraverso una comunicazione ufficiale inviata al primo cittadino, è il direttore generale dell’Asl Salerno, Antonio Squillante. Una comunicazione che sarà al centro degli argomenti all’ordine del giorno del prossimo consiglio comunale, in programma il 27 febbraio, a partire dalle 17,30. Per la riconversione dell’immobile, dislocato su due livelli, sono stati stanziati circa due milioni di euro dai ministeri della Salute, dell’Economia e della Giustizia. Il primo cittadino di Capaccio aveva proposto all’Asl di destinare la struttura a sede del distretto sanitario, attualmente ospitato all’interno di un immobile privato, a Capaccio scalo, per il cui utilizzo l’Asl Salerno paga un canone di affitto, di circa 100mila euro annui. "Mi sono impegnato - ha spiegato il manager Squillante - a verificare se la progettualità potesse essere proposta su altra sede, sebbene si fosse già in una fase avanzata della sua attuazione, essendo stata avviata prima del mio mandato. Malgrado lo sforzo compiuto, non è stato possibile modificare la destinazione dell’iniziativa". All’Asl Salerno sono state assegnate, infatti, delle risorse specifiche, vincolate all’implementazione del programma da mettere in atto per la realizzazione di strutture sanitarie extra ospedaliere per il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari (legge 17 febbraio 2012/9). "In considerazione dei ripetuti solleciti pervenuti dagli uffici regionali a rispettare il cronoprogramma previsto - ha concluso Squillante - poiché vi è il concreto rischio che il finanziamento assegnato possa essere revocato con conseguenti danni erariali. D’altronde, come Azienda sanitaria abbiamo un obbligo normativo importante, che è quello di eliminare le strutture Opg (gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari). Proprio per raggiungere questo obiettivo sono stati previsti dei finanziamenti europei". È da tempo che, da più parti, viene sollevata la necessità del recupero della struttura di Pazzano che, fino al dicembre del 2011, è stata utilizzata per ospitare il centro diurno per disabili "Sole Luna". Da quella data, il Centro è rimasto chiuso, diventando ostaggio di vandali e ladri. Ora la decisione definitiva, che non mancherà di scatenare proteste e polemiche. Ivrea (To): manifestanti "No-Tav" si radunano davanti al carcere, ma detenuti li fischiano Ansa, 23 febbraio 2014 No Tav fischiati dai detenuti del carcere di Ivrea, dove questa mattina hanno protestato una ventina di attivisti del movimento che si oppone alla realizzazione della Torino-Lione. I fischi dei carcerati sono partiti, in particolare quando i manifestanti hanno iniziato a gridare "liberi tutti", scandendo slogan contro i suicidi avvenuti nel carcere eporediese negli ultimi anni. Sul posto polizia e carabinieri stanno controllando a distanza il presidio. Nell’ambito delle manifestazioni nazionali contro la Tav, oggi la protesta in Alto Canavese si sposterà a Quincinetto, di fronte alla Cogeis, una delle aziende impegnate nei lavori di realizzazione della nuova linea ad alta velocità. Taranto: da domani una "Cella in Piazza", per far riflettere sulla condizione dei detenuti di Vittorio Polito www.giornaledipuglia.com, 23 febbraio 2014 Da lunedì 24 febbraio a domenica 2 marzo 2014 in Piazza della Vittoria a Taranto si svolgerà l’iniziativa "Cella in piazza", organizzata dalla Camera Penale di Taranto "Avv. Pasquale Caroli" e dalla Direzione della Casa Circondariale di Taranto, con il patrocinio dell’Università degli Studi di Bari "Aldo Moro". I dettagli del progetto sono stati illustrati nel corso di una conferenza-stampa che si è svolta venerdì scorso nella sede della Camera Penale, all’interno nel Palazzo di Giustizia di Taranto. Il progetto ha previsto la realizzazione di una esatta riproduzione di una cella del carcere in modo da consentire a chiunque di poterla visitare e di rendersi conto delle effettive condizioni di vita dei detenuti. L’iniziativa è volta a sensibilizzare la società civile sulla drammatica questione del sovraffollamento delle carceri italiane - che attualmente ospitano circa 20.000 detenuti in più rispetto alla loro capienza regolamentare - e a far riflettere sulla funzione rieducativa della pena. Sono intervenuti: l’avv. Fabrizio Lamanna, Presidente della Camera Penale di Taranto, la dott.ssa Stefania Baldassarri, Direttrice del Carcere di Taranto, e il prof. Nicola Triggiani, Docente di Diritto Processuale Penale nel Dipartimento Jonico dell’Università di Bari. Triggiani ha evidenziato che le condizioni di detenzione sempre più spesso finiscono con il negare la stessa dignità della persona umana - tanto da aver determinato la condanna dell’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo per trattamenti inumani e degradanti (sentenza 8 gennaio 2013, Torreggiani c. Italia) - e come sia indispensabile porre mano ad una radicale e coraggiosa riforma di tutto il sistema sanzionatorio penale per evitare il collasso del sistema penitenziario. Siena: presentata, ieri mattina alla stampa, la nuova Biblioteca della Casa circondariale www.sienafree.it, 23 febbraio 2014 "Dalla cultura e dalla conoscenza - ha detto il sindaco Valentini - il superamento delle divisioni sociali e l’integrazione nella comunità". Presentata, ieri mattina alla stampa, la Biblioteca della Casa circondariale di Siena. Insieme al sindaco Bruno Valentini e a Sergio La Montagna, direttore della Casa circondariale, Sabrina Falcone responsabile dell’area pedagogica dell’Istituto, il presidente del Cda della Biblioteca Roberto Barzanti e il direttore Luciano Borghi, Stefania Jahier, presidente dell’associazione Amici delle biblioteche (sezione di Siena). Il nuovo spazio, che sarà inaugurato ufficialmente martedì prossimo, 25 febbraio, alle ore 14, con la presenza dello scrittore Tiziano Scarpa, nasce per volontà della direzione dell’Istituto di pena senese in collaborazione con la Biblioteca comunale degli Intronati e con la sezione senese dell’associazione Amici delle biblioteche. "La realizzazione della Biblioteca rientra - come ha detto Sergio La Montagna - tra le numerose attività che sta promuovendo la direzione della Casa circondariale in sinergia con istituzioni, enti e associazioni con lo scopo di integrare sempre più l’istituto di pena nella vita cittadina. La legge penitenziaria e il relativo regolamento di esecuzione prevedono, infatti, la presenza di una biblioteca all’interno di ogni istituto, con libri e periodici scelti secondo criteri che garantiscano una equilibrata rappresentazione del pluralismo culturale esistente nella società". "Dalla firma della convenzione tra la Casa circondariale di Siena e la Biblioteca comunale degli Intronati - ha evidenziato il sindaco Valentini - la dimostrazione della nostra volontà per favorire, in ogni modo, l’integrazione sociale. Il percorso da seguire, per combattere la solitudine, la marginalità e le divisioni sociali, è rappresentato da una nuova alfabetizzazione che si concretizza usando gli strumenti della cultura e della conoscenza. Questi obiettivi sono contenuti anche nel progetto per la candidatura di Siena a capitale europea della Cultura 2019". Da un lato, dunque, la Biblioteca avrà le stesse caratteristiche di quelle esistenti nella realtà esterna e, dall’altro, svolgerà, in maniera più incisiva, il ruolo che le è proprio, cioè quello di spazio dove sia possibile superare l’isolamento, la deprivazione culturale, le barriere mentali e fisiche, in modo da favorire la promozione culturale, la libera espressione della creatività. La costruzione di un canale d’informazione, e di scambio interno/esterno, finalizzato all’acculturamento, al superamento dei pregiudizi e delle reciproche diffidenze. "Un grande risultato - come ha commentato Roberto Barzanti - raggiunto, soprattutto, grazie all’impegno volontario dell’associazione Amici delle biblioteche, che ha provveduto all’acquisto degli arredi e del computer. Questa Biblioteca rappresenta il mezzo che permette la formazione. Un passo significativo per migliorare profondamente una condizione che attende molti altri interventi per essere resa davvero civile". Sarà un luogo, stante l’attuale composizione della popolazione detenuta (70 persone), di incontro multiculturale, di integrazione e comunicazione per persone che dopo aver scontato la propria pena dovranno ritornare nella nostra società. Come ha, infatti, ricordato il direttore della Biblioteca degli Intronati Luciano Borghi, "con la convenzione sottoscritta oggi la Biblioteca della Casa circondariale entra a far parte della Rete provinciale documentaria e bibliotecaria senese (Redos), usufruendo, così, di tutti i servizi e delle risorse umane, economiche, professionali e di coordinamento funzionale per la gestione complessiva, in misura proporzionale alle risorse disponibili per i servizi di biblioteca sul territorio". Lo spazio biblioteca, coordinato da Sabrina Falcone responsabile dell’area pedagogica dell’Istituto, da ora in poi, dovrà arricchirsi sempre più di contenuti e di iniziative culturali di vario genere, che possano risultare di interesse non solo per quei detenuti che già abitualmente partecipano ad attività formative, ma anche per quanti, non essendo coinvolti in attività pedagogiche strutturate o di altra natura, possano partecipare a eventi paralleli (cineforum, laboratori di scrittura creativa ecc.). Un vero e proprio work in progress che ha già le premesse della riuscita, perché "se la Biblioteca è nata - come ha evidenziato Stefania Jahier, che non è ricorsa a nessun contributo pubblico, attingendo solo dal volontariato - è proprio per l’interesse dimostrato, lo scorso anno, dai detenuti durante una serie di letture che abbiamo fatto all’interno della Casa circondariale. Adesso incrementeremo il materiale a disposizione (sono circa mille i libri già in scaffale e altri 2mila in magazzino), con pubblicazioni in lingua. Il prossimo obiettivo: offrire, insieme ai libri, anche la possibilità di vedere film, viste le tante richieste che abbiamo ricevuto". Camerino (Mc): detenute per spaccio in carcere studiano giurisprudenza e prendono tutti 30 di Angelo Ubaldi Il Messaggero, 23 febbraio 2014 Due recluse marchigiane seguono online la facoltà di Giurisprudenza e superano gli esami con voti molto alti. Il rettore: sono molto brave, mi scrivono e mi ringraziano. Si tratta di due donne marchigiane trentenni, finite in carcere per reati connessi al mondo degli stupefacenti, che nel loro percorso di recupero durante la detenzione, hanno scelto corsi giuridici attraverso la piattaforma on-line con l’ateneo locale. È il risultato della sperimentazione già avviata al carcere di Camerino, di un progetto di collaborazione fra la locale università e il Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria, per proporre attività didattiche formative, rivolte alla specializzazione professionale, al perfezionamento e all’aggiornamento. Attività rivolte al recupero dei detenuti, ma anche alla formazione e al perfezionamento del personale del sistema penitenziario. L’accordo è stato sottoscritto ieri dal rettore Flavio Corradini e il provveditore Ilse Runsteni. "Tengo spesso contatti con due detenute del carcere di Camerino - ha riferito il rettore di Unicam Flavio Corradini - che mi scrivono e mi ringraziano per aver intrapreso questo percorso di rieducazione studiando interattivamente. Inoltre devo dire che sono molto brave e hanno superato gli esami con votazioni alte, che vanno dal 28 al 30. Questo non può che renderci soddisfatti". "L’accordo - dice il provveditore Rusteni - è un ulteriore rapporto di integrazione dei detenuti con la società, dove il carcere è diventato parte integrante della stessa. Mi auguro che questo tipo di attività venga ampliato agli altri detenuti e al personale del sistema penitenziario, perché l’accordo è a livello regionale". "Questo tipo di attività è iniziata con il diploma di scuola media superiore - dice l’ispettore Luigi Tarulli comandante della Polizia penitenziaria a Camerino - adesso è iniziato il corso di laurea in giurisprudenza. Partiamo anche da corsi di formazione base come quello di alfabetizzazione che riguarda tutta la tipologia dei detenuti presenti". Rimini: un messaggio al Papa dall’Associazione dei detenuti Papillon… "Ti aspettiamo" di Fausta Mannarino www.romagnanoi.it, 23 febbraio 2014 Un tempismo perfetto. La delegazione dei detenuti e simpatizzanti dei detenuti riminesi supera il colonnato ed entra in piazza San Pietro alle 10 e un quarto proprio mentre al microfono un sacerdote declama: "Un saluto all’associazione Papillon di Rimini e Roma" e poi continua con l’infinito elenco di pellegrini venuti da ogni dove per vedere il Pontefice da vicino. Il tempo di stupirsi della prima sorpresa che arriva la seconda. Il posto assegnato alla delegazione dei detenuti è sul sagrato, a pochi metri dal Santo Padre. Una fortuna incredibile, un posto d’onore, a tu per tu con Papa Francesco. I rappresentanti di Papillon Rimini avevano organizzato l’incontro da lungo tempo e l’invito era stato fissato per l’udienza generale del mercoledì 19 febbraio. Oltre al presidente Claudio Marcantoni, erano presenti Alessandra Venturini, Antonio Tommasini, Paolo Moretti, Liliana Venturini, Carla Forcellini, Sergio Giordano, Francesco e Ornella Bragagni. Oltre a portare il saluto delle persone che si trovano rinchiuse nel carcere dei Casetti, la missione consisteva nella consegna di una lettera. Non una missiva qualsiasi ma l’invito a partecipare, "anche in incognito", al prossimo Festival Francescano che si terrà a settembre a Rimini. Missione compiuta. È stato un incontro a cui l’associazione che rappresenta le persone che hanno sbagliato, teneva davvero tanto. "Anche perché - spiega Marcantoni - questo Papa si è speso molto per i detenuti: ha abolito l’ergastolo nel sistema penale vaticano e ha ristabilito il reato di tortura, compiendo passi da gigante finora impensabili per la Chiesa. Ma torniamo all’udienza di mercoledì e alle vibranti parole pronunciate dal Santo Padre che come al solito scaldano il cuore. In piazza c’erano ventimila persone, ma mentre lui parlava, non volava neppure una mosca. I riminesi hanno avuto il privilegio di assistere all’udienza generale a pochi passi dalla struttura di ferro realizzata contro le intemperie sotto cui erano seduti il Papa e altri sacerdoti. Si tratta di un manufatto che assomiglia tanto a due ali di aereo pronte a inclinarsi e virare in caso di pioggia per proteggere il capo del Santo Padre. Il tema del giorno, neanche a farlo apposta, è stata la riflessione sulla Confessione e il Perdono. La catechesi tenuta da Francesco si è aperta con un fresco e salutare "Cari fratelli e sorelle... buongiorno!". "Il perdono non è qualcosa che possiamo darci noi. Io non posso dire mi perdono i peccati. Il perdono si chiede". E ha aggiunto che i benefici del perdono sono chiari ed evidenti perché quando si riceve il perdono si è in pace. "A chi dice, ma padre io mi vergogno..." io rispondo. Anche la vergogna è buona, è salute avere un po’ di vergogna, perché vergognarsi è salutare". Scroscio di applausi. Non è l’unico momento in cui Francesco tocca le corde più profonde dei fedeli ma anche di chi non ha fede ma sente il bisogno di parole semplici ma sagge. " Non avere paura della confessione! - incita - Quando finisce la confessione uno esce libero, grande, bello, perdonato, bianco, felice". E poi quasi una tiratina di orecchie ai suoi fedeli: "Da quanto tempo non vi confessate? Correte a farlo perché tanto il sacerdote sarà buono". E poi di nuovo il classico bagno di folla, durante il quale si trasforma in una formichina bianca che passa da un abbraccio all’altro, mescolandosi tra la gente con gli addetti alla sicurezza che faticano a rincorrerlo e a non perderlo di vista. Si dilegua, si mescola, si china per abbracciare ad uno ad uno la lunga fila dei disabili in carrozzina, poi scompare alla vista, si rialza e riappare. C’è chi lo tira da una manica chi gli lancia le braccia al collo chi lo bacia, chi lo accarezza o chi si limita a chiamarlo con tutto il fiato che ha in gola. È il caso di una suorina anziana con il bastone che trova pace solo quando lui, finalmente, si gira e le rivolge la parola. "Prego ogni giorno per te" urla un ragazzo di colore e il Pontefice lo guarda e risponde: "Sì, va bene, ma da quanto tempo non vai a confessarti?". E poi c’è chi gli allunga regali, quadri, fiori e fotografie o rosari da benedire. La nutrita delegazione di argentini lo inonda di pacchettini che le guardie del corpo raccolgono e ripongono sulla "Papa car" bianca immacolata che lo attende per riportarlo a casa dopo il lungo abbraccio con la sua gente. Caltagirone (Ct): cerca di introdurre droga in carcere, fermato dalla Polizia penitenziaria Italpress, 23 febbraio 2014 Gli agenti della Polizia penitenziaria della Casa circondariale di Caltagirone hanno scoperto e fermato il familiare di un detenuto che avrebbe tentato di introdurre della droga all’interno del carcere. Il parente, entrato nel perimetro della casa circondariale, si è accorto dei cani dell’unità cinofila ed ha tentato di disfarsi della sostanza stupefacente che teneva nascosta nelle parti intime. Immediatamente i cani, che si trovavano nelle vicinanze, hanno fiutato e trovato l’involucro contenente la droga. A questo punto gli agenti della Polizia penitenziaria hanno fermato l’uomo e perquisito anche l’auto dell’indagato, dove è stato trovato un altro involucro contenente altra sostanza stupefacente. A rendere noto l’episodio è Mimmo Nicotra, segretario generale aggiunto del sindacato Osapp, secondo cui "purtroppo la Polizia penitenziaria di Caltagirone è stata abbandonata da Roma, la carenza di personale è tanta e mancano le risorse. Speriamo che il nuovo Ministro rinnovi anche il Capo del Dap e riporti la giusta attenzione del dicastero alla periferia". Cinema: detenuti Opg in docu-fiction "Le stanze aperte", presentazione 10 marzo a Roma Roma One, 23 febbraio 2014 Le stanze aperte di Maurizio e Francesco Giordano sarà proiettato per la prima volta a Roma al Caffé Letterario di via Ostiense 95, il prossimo 10 marzo alle ore 21:00. Un docu-fiction che vede come attori protagonisti i detenuti dell’Opg (Ospedali Psichiatrici Giudiziari) di Secondigliano e che superando la loro stessa realtà, immagina cosa potrebbe essere di loro se quelle porte si aprissero per lasciarli andare. Cosa ne sarebbe di questi reietti di un mondo occidentale globalizzato, se alternative concrete alle Opg non verranno messe effettivamente in pratica. Ovviamente un film che non solo fa riflettere e commuove ma che scatena anche la necessità di un dibattito serio sull’argomento. Napoli Secondigliano, Ospedale Psichiatrico Giudiziario. Una documentarista chiede di entrare per realizzare un servizio: a lei gli internati e i detenuti ospitati nella struttura raccontano "in presa diretta" la vicenda personale e la vita quotidiana, che scorre tra varie forme di attività e aggregazione. Tra queste si snoda la storia del protagonista, Vincenzo Arte detto il Maestro, un personaggio volutamente contraddittorio nel quale convivono il sogno di una fervida immaginazione creatrice ed artistica, la realtà del duro rifiuto da parte della famiglia d’origine, la "lucida" follia di chi ha perso la propria identità ma la ritrova, come un bambino, rientrando a casa. India: "Faremo semplicemente di tutto", il neo premier Renzi telefona ai marò italiani Il Tirreno, 23 febbraio 2014 Matteo Renzi non perde tempo. Sa che tra i tanti dossier in ballo c’è anche quello urgentissimo dei marò e, appena insediatosi a Palazzo Chigi, prende il telefono e chiama in India Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. Il suo governo - è il messaggio che affida prima a Twitter e poi a una nota - è pronto ad affrontare il caso, che "considera una priorità, facendo tutto quanto è in suo potere per arrivare il più rapidamente possibile ad una soluzione positiva". Ovvero far tornare a casa i Due militari. Ma la telefonata di Renzi non è stata l’unica verso l’India. Nel loro primo giorno da ministri degli Esteri e della Difesa, anche Federica Mogherini e Roberta Pinotti hanno chiamato i due militari, a testimoniare la massima "determinazione" del nuovo esecutivo a fare tutto il possibile per riconsegnarli quanto prima alle loro famiglie. Pinotti li ha ringraziati per la "dignità" dimostrata: "Siete il mio primo pensiero e il primo del nuovo governo", ha detto. Mentre la titolare della Farnesina ha insistito ancora sulla necessità di coinvolgere pienamente la comunità internazionale, evocando il possibile ricorso a "tutti gli strumenti consentiti". La vicenda dei due fucilieri di Marina "scotta" dopo i tanti rinvii e passi falsi che hanno lasciato Girone e Latorre da oltre due anni in mano alla giustizia indiana. Lunedì è atteso un nuovo pronunciamento della Corte di New Delhi, da dove però arrivano, ancora una volta, messaggi contraddittori. Secondo il Times of India, di solito sempre ben informato sul dossier, l’India avrebbe deciso di non applicare quella legge antiterrorismo (il "Sua Act") che aveva fatto infuriare l’Italia. Escludendo così definitivamente ogni ipotesi, seppur remota, di pena di morte. Ma continuerebbe a sostenere il ricorso alla Nia, la polizia antiterrorismo, e al suo lavoro per la definizione dei capi di accusa. Un’indicazione confermata anche da non meglio precisate "fonti" citate dall’agenzia di stampa indiana stasera. Ma che rappresenta un altro messaggio controverso in vista dell’udienza di lunedì, che rischia di tradursi nell’ennesimo" nulla di fatto". Lunedì tuttavia a Delhi non ci saranno rappresentanti del governo italiano. Neanche l’inviato speciale Staffan de Mistura, che - spiega - come non si è ritenuto opportuno un "mio nuovo viaggio". E non ci sarà neanche l’ambasciatore italiano, Daniele Mancini, richiamato a Roma per consultazioni dalla Bonino nei giorni scorsi. Ieri sera intanto ci sono stati un presidio e una fiaccolata dei radicali a Torino per chiedere la liberazione dei due marò. Ucraina: Yulia Timoshenko scarcerata. Yanukovich in fuga, il Parlamento lo destituisce di Michela Iaccarino La Stampa, 23 febbraio 2014 Yulia Timoshenko ha incontrato la folla a Kiev poche ore dopo il suo rilascio dall’ospedale della prigione di Kharkiv Visibilmente provata su una sedia a rotelle, ma determinata, la ex premier e leader della rivoluzione arancione del 2004 ha annunciato ringraziato gli "eroi di Maidan". Kiev anno zero. Assaltato il Parlamento, il ritorno della zarina: "Abbiamo vinto. La dittatura è caduta". Yulia Timoshenko torna libera con la sua treccia bionda dove sa incastonare il volto della vecchia icona, ma stavolta nella nuova leggenda ucraina. Volja Yuli, la libertà di Yulia. Condottiera in lacrime che scavano altre rughe rabbiose, è pronta alla guerra sulla sedia a rotelle: ha conservato lacrime dalla prigione all’ospedale di Kharkiv per farle scintillare sotto i fuochi d’artificio di Maidan, raggiungendo la piazza in elicottero cancellando dieci anni in due ore e 500 km. Alla piazza sembra già Europa per una notte: "Per chi abbiamo combattuto, per chi rimaniamo a combattere". Adesso gli occhi azzurri di Kiev guardano gli occhi neri di Yulia. Ma Maidan ha cambiato tonalità, non più monocolore arancione. "Gli eroi non muoiono" urla Yulia: dalla sua bocca a quelle delle migliaia in piazza rimbombano nel coro della rivoluzione le parole sopra il cielo di Kiev. "L’abbiamo aspettata per anni, abbiamo pregato dietro le finestre accendendo candele come se potesse vederle, sono sicura che quella che vedi sul palco sulla sedia a rotelle è il nostro prossimo presidente: guardala, è più forte di un uomo. Eto pobeda naroda, eto nasha novaja Ukraina, "è la vittoria del popolo, è la nostra nuova ucraina": Ljudmila Ljubic è una delle donne di Yulia di questa arena soprattutto femminile. Ma la Timoshenko è anche "madre di tutti i minatori" che raggiungono Kiev da Leopoli". Ricordato per l’occupazione di quasi tutti i palazzi governativi della città, cominciati di notte, culminati al mattino con la presa della Bastiglia slava, la Rada, il Parlamento, ripresa coi telefoni dalla folla inferocita, mentre si moltiplicavano le ore di odio collettivo e le urla: "morte, tribunale o a Maidan". Sono gli scudi del Pravij Sektor, settore destro, a dover difendere dal linciaggio i membri del Partja Regionov come Levcenko, il partito di Yanukovich, dal linciaggio. La fila di uomini sotto colore rossonero prende il posto del nuovo esercito ucraino mentre nell’aula della Rada erano gli amici stessi del Presidente, il vecchio sistema senza più vertice autoritario, la maggioranza da lui creata, a votargli la sfiducia. È la svolta politica, l’opposizione occupa le sedi del governo e la Rada anticipa le elezioni, saranno il 25 maggio, addio all’accordo con il governo per votare a dicembre. A quell’ora Yanukovich è già lontano, in fuga. C’è chi dice a Kharkiv, chi lo vuole nel Golfo. In serata gira perfino la voce che abbia cercato di corrompere le guardie di frontiera per entrare in Russia. Le ultime notizie lo danno nascosto nel suo feudo elettorale a Est, quell’Oriente fedelissimo a lui e alla Madre Russia che mal digerisce l’accelerata impressa da Klitschko e compagni. L’unica immagine dell’ex presidente è quella di un video in cui parla di colpo di stato e definisce illegittimo il nuovo parlamento di Kiev. Anche i suoi ministri fuggono, quello degli Interni viene preso a est. Il "regime" è sfaldato, l’opposizione mostra i muscoli e si prende il potere. In mattinata il primo atto è stato proprio quello di votare la liberazione della Timoshenko, che poi verrà rilasciata nel pomeriggio e in serata farà esplodere di gioia Maidan. In piazza la folla è esaltata: "È giusto essere qui, i nostri in questa guerra sono stati i primi a cadere, la gente deve capire che stiamo combattendo per l’Ovest" dice Timofei, 27 anni. Sono quelli della la prima linea, qui da sempre che ora reclamano il loro pezzo di piazza e potere. Comincia una passerella politica di chi ha capitanato le squadre di Maidan, di chi si dichiara democratico tanto quanto di chi si dichiara apertamente radicale. Anche Vitalij Klicko arriva per dire poche parole, quelle che bastano a farsi vedere ancora a stringere i pugni. Intanto la gente sul Kreshatik fa la fila per scattarsi la foto con il segno della vittoria sul blindato dell’esercito ora in mano ai paramilitari ribelli. Anche il palazzo del Cabinetto dei ministri preso: "Ora è vostro?". "È del popolo", rispondono in mezzo ad altari improvvisati di bottiglie di plastica, candele e fotocopie di fotografie dei morti. Un russo in piazza ha paura di far sentire il suo accento moscovita e scappa. Il paese unico dove c’è spazio per far battere il cuore di due popoli, uno che trema per Mosca ed uno che si riversa da tutte le province qui a Maidan, comincia ad assomigliare a un uomo confuso, minaccioso, arrabbiato e strabico. L’incubo nei sogni occidentali ucraini arriva sempre da est: le minacce di Mosca attraversano il paese sul baratro economico, "è come se qualcuno stesse stracciando questo paese in due parti come un foglio di carta, una mappa dove tra Mosca e Bruxelles L’Ucraina non è un giocatore, piuttosto una scacchiera". Il calcio alla Russia e i baci spediti all’Europa via video non sono serviti se Mosca minaccia sovranità sul suo vecchio granaio, il suo polmone meridionale. Se questo non succederà qui in piazza ci sono le facce della prossima Euro-Ucraina. Gloria alla Nazione e morte al nemico, chiunque esso sia, d’ora in poi. Cosa accadrà adesso, dopo la politica del passamontagna, nessuno si azzarda a immaginarlo: "certo che una piazza non ha richieste precise, è una piazza", dice Dima, 22 anni. Domani comincia l’alba dopo lo zero e i sogni di decenni che si avverano in un giorno solo, quanto possono durare nessuno lo sa. Specialmente qui, dove gli eroi non muoiono.