Giustizia: il nuovo Guardasigilli sarà Gratteri, Procuratore aggiunto di Reggio Calabria? di Donatella Stasio Il Sole 24 Ore, 21 febbraio 2014 Stupore e perplessità tra i renziani e anche al Colle. Nessun precedente di una toga in servizio per guidare via Arenula. Anche se infilata in corsa nel cronoprogramma, è certo che la giustizia targata Renzi avrà come "priorità" il rilancio del civile, più che il penale, come ha detto lo stesso presidente incaricato. Perciò ieri, anche tra i renziani, ha suscitato stupore e incredulità la notizia che in pole position per il ministero della Giustizia fosse finito un Pubblico ministero: mercoledì sera, infatti, Renzi avrebbe contattato personalmente il Procuratore aggiunto di Reggio Calabria Nicola Gratteri, che si è preso un po’ di tempo per decidere. Stupore e incredulità anche perché fino a mercoledì sera si puntava su un profilo politico che, già da qualche giorno, era stato individuato nell’attuale ministro per i Rapporti con il Parlamento Dario Franceschini (in alternativa ad Andrea Orlando, attualmente ministro dell’Ambiente). Stupore e incredulità, infine, perché l’ipotesi di mandare a via Arenula un magistrato sembrava scartata per ragioni di opportunità nonché per le perplessità, condivise anche dal Quirinale, sul passaggio diretto di una toga alla guida del ministero della Giustizia. Guardando ai precedenti, infatti, i magistrati nominati guardasigilli o erano in pensione (Filippo Mancuso, Luigi Scotti) oppure si erano dimessi dalla magistratura (Francesco Nitto Palma). Dunque, altrettanto dovrebbe fare Gratteri. Insomma, "Matteo" ha preso tutti in contropiede. Forse ha voluto "sparigliare", osserva chi lo conosce bene, cercando di dare una spiegazione a ciò che appare "inspiegabile". È pur vero che nella formazione della squadra di governo contano gli equilibri generali. "Se Gratteri è in pole position per la Giustizia vuol dire che Franceschini va all’Intento" ragionava un altro fedelissimo di Renzi, ricordando che fino a mercoledì Franceschini "era in pista per la Giustizia", anche se preferiva andare alla Cultura, così come Orlando preferisce restare all’Ambiente. Entrambi avevano già incassato il gradimento dei "funzionari" del partito. La matassa è difficile da sbrogliare anche perle pretese e i veti degli alleati. Angelino Alfano rivendica l’Interno per sé e vuole alla Giustizia un "garantista", quindi è difficile che digerisca addirittura un Pm, anche se un Pm antimafia. Casini non ha posto il veto su Michele Vietti, ex parlamentare Udc ora vicepresidente del Csm (in scadenza), ma non sgradito ad Alfano e sostenuto dal Colle. Franceschini metterebbe tutti d’accordo, anche rispetto al programma della giustizia: avvocato civilista, avrebbe competenza specifica su questa "priorità" oltre che una lunga esperienza politica e parlamentare e perciò viene considerato il "candidato naturale". Gratteri, 56 anni, lavora da sempre in Calabria come Pm, impegnato nella lotta alla ‘ndrangheta, e dall’89 vive sotto scorta Appare spesso in tv, dove ha presentato molti suoi libri. Il 4 febbraio, all’indomani dell’evasione del boss Domenico Cutrì, disse che con la videoconferenza per i detenuti di alta sicurezza l’evasione, e quindi la morte del fratello di Cutrì a Gallarate, avrebbero potuto essere evitate e Renzi, con un tweet, espresse subito approvazione: "Tecnologia e giustizia, perché aspettare ancora?". Da lì sarebbe nato il feeling. Peraltro, Renzi vorrebbe candidare anche un altro Pm, Raffaele Cantone, 51 anni, sotto scorta dal 2003 per le minacce ricevute dal clan camorristico dei Casalesi, attualmente giudice addetto al Massimario della Cassazione anche se ha chiesto al Csm di essere nominato Procuratore aggiunto nel neonato tribunale di Napoli Nord. Se la scelta finale dovesse davvero cadere su uno dei due, dovrebbero lasciare la magistratura, così come i loro predecessori. Giustizia: il napoletano Cantone o il calabrese Gratteri? i pm che spaventano Alfano e i suoi di Beatrice Borromeo Il Fatto Quotidiano, 21 febbraio 2014 Il testa a testa è tra due magistrati antimafia che, al momento, sono i più accreditati per guidare il ministero della Giustizia: il napoletano Raffaele Cantone e il calabrese Nicola Gratteri. Il primo, raccontato anche da Roberto Saviano in Gomorra, ha arrestato alcuni tra i più potenti capimafia napoletani, ottenendo l’ergastolo per il boss Francesco Schiavone, detto Sandokan. Ma, almeno fino a ieri sera, l’ago della bilancia pendeva di più verso il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, che mercoledì scorso ha incontrato il braccio destro del premier incaricato, Graziano Delrio. Scelta che, se venisse confermata, autorizzerebbe a immaginare una rivoluzione negli uffici di via Arenula. Ma se il nome di Gratteri ha ricevuto, oltre a un apprezzamento trasversale, persino il via libera di Silvio Berlusconi, a mettersi di traverso è stato invece Angelino Alfano. "Non voglio un giustizialista al ministero della Giustizia", ha detto l’ex delfino del Cavaliere. In effetti la caratteristica che più distingue il 56enne Gratteri, e che forse spaventa Alfano, è proprio l’intransigenza ("La giustizia è una cosa seria" è il suo motto e anche il titolo di un suo libro). L’ultima volta che si è parlato del pm, appena una settimana fa, è stato per via dell’operazione "New Bridge", che ha sgominato l’alleanza sempre più robusta tra alcune cosche calabresi e le famiglie di Cosa Nostra americane. In ballo c’erano spedizioni da 500 chili a volta di cocaina ed eroina e il riciclaggio di milioni di euro. Soprattutto, c’era il consolidamento di una mafia sempre più ricca (fattura oltre 40 miliardi l’anno, pari a circa il 3 per cento del Pil italiano) e globale. Tanto da spingere un allarmato Fbi a chiedere l’aiuto della Procura di Reggio Calabria: "La ‘ndrangheta, ultimamente, è diventata una delle nostre priorità. E abbiamo bisogno di appoggiarci a magistrati del calibro di Gratteri per contrastarla", ha detto un agente speciale del Federal Bureau. Ma per scoprire il lato "giustizialista" che tanto inquieta l’ex Guardasigilli Alfano, bisogna andare nel feudo di Gratteri, Gerace, un borgo medievale in provincia di Reggio. Lì è la gente del paese a raccontare la dedizione al lavoro che l’ha accompagnato pure nel giorno del suo matrimonio: "Ha lasciato l’ufficio alle 18 e dopo mezz’ora di messa ha fatto segno al prete, che era suo zio, di spicciarsi perché doveva tornare alle sue indagini". Al Bar del Tocco ricordano gli ottimi voti a scuola e, soprattutto, il fatto che, tempo dopo, "Nicolino" ha arrestato un buon numero di ex compagni di classe che si erano affiliati. "È stata una cosa difficile da fare, certo, ma che altra scelta avevo?", spiega lui. L’ultimo degli amici d’infanzia a finire in manette è stato un ragazzo con cui Gratteri giocava a calcio all’oratorio, arrestato l’anno scorso mentre veleggiava al largo di Miami con 320 chili di cocaina in stiva. "Ha chiesto subito di parlare con me: i mafiosi sanno che non baro. Io non prometto nulla in cambio di una testimonianza. Arrivo in carcere, accendo il registratore e pretendo che dicano la verità. E loro mi rispettano per questo", dice Gratteri. Ma i nemici sono cresciuti a ogni arresto: nell’estate del 2012 un pentito ha raccontato che erano arrivati in Calabria 16 chili di tritolo pronti a far saltare in aria il magistrato e la sua scorta. "Io sto attento: non faccio dieci metri senza protezione, non entro in un cinema da 20 anni, ho il mare a otto chilometri da casa e non ci vado. Non do occasioni. Questo - chiarisce - è un lavoro che puoi fare solo se sei fortemente motivato. Direi ostinato. E per me la difesa della legalità è una ragione di vita". E su come tutelarla, Gratteri ha le idee chiare. Tanto che, proprio assieme a Cantone, magistrato di Cassazione altrettanto ammirato per la lotta alla camorra, ha stilato una relazione per Enrico Letta con le ricette più efficaci per contrastare la mafia e rimettere in sesto la macchina in avaria della giustizia. Tra i punti forti: l’aggressione dei patrimoni mafiosi, l’introduzione del reato di auto-riciclaggio, la modifica del 416 ter (perché oggi un politico delinque solo se compra voti con soldi, e non con favori) e l’inasprimento del 41-bis, così da assicurare l’isolamento totale dei detenuti. Idee, forse, un po’ troppo "giustizialiste" per un ministro della Giustizia. Giustizia: Coordinamento Garanti, nuovo ministro sia adeguato a situazione drammatica Adnkronos, 21 febbraio 2014 "Il nuovo ministro della Giustizia sia una figura adeguata di fronte alla drammatica situazione delle carceri italiane". Così il garante milanese dei diritti delle persone private della libertà personale, Alessandra Naldi sintetizza l’appello lanciato oggi dal Coordinamento nazionale dei garanti al presidente del Consiglio incaricato, Matteo Renzi. Si è svolta oggi, a Palazzo Marino a Milano, la riunione dell’organismo che rappresenta oltre 50 garanti locali di comuni, province e regioni. "Il Coordinamento dei garanti - ricorda Naldi - chiede anche che il nuovo ministro assicuri la continuità necessaria agli interventi normativi già avviati per fronteggiare l’emergenza delle condizioni di vita e di lavoro negli istituti di pena e che dia piena attuazione alle indicazioni della Commissione Ministeriale sulla riorganizzazione del sistema penitenziario presieduta da Mauro Palma. E proprio per rendere più efficace questa azione riteniamo necessaria la nomina di un sottosegretario con delega specifica al tema del carcere e dell’esecuzione penale". Naldi sottolinea che "in relazione alla nomina del Garante nazionale previsto dal decreto legge convertito ieri in Senato, il Coordinamento auspica che la procedura di nomina sia rapida e che venga istituita il prima possibile un’apposita sede di confronto con i garanti locali. L’obiettivo -conclude - deve essere quello di approfondire insieme gli adeguamenti necessari da apportare alle attuali norme per dotare il Garante di opportunità e strumenti immediati per agire in modo efficace". Giustizia: Bernardini (Radicali); meno di 100 giorni a scadenza ultimatum Corte europea Adnkronos, 21 febbraio 2014 "La parola giustizia non esiste nei programmi dell’incaricato a formare il nuovo governo, come se le riforme di cui parla possano camminare su un’infrastruttura totalmente inagile e rovinata come quella della giustizia italiana. Matteo Renzi sembra voler rappresentare sempre più quell’Italia che storicamente presceglie valori e metodi da regimi anti-democratici". È quanto afferma Rita Bernardini, segretario di Radicali Italiani, che spiega: "È semplicemente inaccettabile - e perciò non lo accetteremo - che le questioni poste dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, con il suo messaggio alle Camere dell’8 ottobre scorso siano state date finora come non ricevute e di fatto inascoltate, se la risposta del Parlamento si limita, come è accaduto, a qualche salva-carcere il cui esito sarà quello di qualche migliaio di detenuti in meno". "A 97 giorni dalla scadenza della sentenza Torreggiani - ricorda - con la quale la Corte europea dei Diritti dell’Uomo ha intimato all’Italia, con un verdetto pilota, di rimuovere le cause strutturali dei trattamenti inumani e degradanti (tortura) praticati nei confronti dei detenuti ristretti nelle nostre carceri, il messaggio del Capo dello Stato non solo non è stato discusso, ma lo si è di fatto sbeffeggiato con l’approvazione di provvedimenti che nulla hanno a che vedere con l’obbligo di uscire immediatamente dalla flagranza criminale in cui si trova il nostro Stato". "Sia chiaro - rimarca Bernardini - gli ultimatum sono già scaduti da anni: il 28 maggio 2014 costituisce un limite temporale che, per le reiterate condanne non adempiute da parte del nostro Paese, implicherebbe logicamente, necessariamente, il ricorso alle estreme possibilità e capacità di autodifesa della Unione europea quali la sospensione o addirittura l’espulsione dall’Unione stessa. Per non parlare dell’altro - conclude - e forse più grave delitto praticato dalle nostre istituzioni, anch’esso evidenziato nel messaggio presidenziale, che ci vede condannati da e per decenni per "l’irragionevole durata dei processi" penali e civili. Giustizia: decreto-carceri: immediatamente applicabili norme più favorevoli all’imputato di Lucia Nacciarone www.diritto.it, 21 febbraio 2014 Ci si riferisce, in particolare, alla modifica apportata dal D.L. 23 dicembre 2013, n. 146, in attesa di conversione, all’articolo 73 di cui al Testo Unico in materia di stupefacenti. La norma fa riferimento al reato di spaccio e considerato "di lieve entità" fattispecie che viene considerata autonoma rispetto alla corrispondente punita più severamente, in considerazione della potenzialità offensiva della condotta del soggetto agente. La ratio della novella legislativa è proprio quella di ridurre, all’interno dei penitenziari, la presenza dei tossicodipendenti, che spesso scontano la pena per fatti di contenuta gravità: in considerazione delle modifiche apportate dal decreto legge, il fatto di lieve entità costituirà una autonoma ipotesi di reato (la relazione al disegno di legge di conversione sembra confermare in questo senso) e la pena edittale più bassa sarà, secondo quanto prevede l’articolo 2 del codice penale (successione di legge più favorevole) immediatamente applicabile, e in alcuni casi, per i procedimenti in corso, il reato estinto. A deciderlo è la quarta Sezione penale della Cassazione, che rileva come nella nuova formulazione del reato di cui all’articolo 73 del Testo Unico, sia prevista la clausola di riserva ("salvo che il fatto non costituisca più grave reato") nonché il riferimento ad un soggetto attivo ("chiunque") e alla condotta ("commette") tutti indici, questi, sintomatici della volontà del legislatore di incriminare in maniera autonoma fatti la cui descrizione è pur sempre in parte mutuata da altre disposizioni incriminatrici, ma che nel quinto comma dell’articolo 73 trovano una loro ulteriore caratterizzazione attraverso la descrizione delle condizioni che li rendono "di lieve entità". Giustizia: penalisti; il decreto carceri crea più problemi di quanti ne possa risolvere Comunicato stampa Ucpi, 21 febbraio 2014 È stato convertito in legge il decreto carceri che partiva debole e che è stato ulteriormente depotenziato e che, come se non bastasse, dovrà essere immediatamente modificato per poter trovare completa applicazione dopo la dichiarazione di incostituzionalità della Fini-Giovanardi. Questo succede quando la politica si piega alla demagogia e si disinteressa della contrarietà alla Costituzione , anche se denunciata per tempo dall’Unione. Il Senato ha licenziato una versione del decreto carceri, - già debole di suo - ulteriormente depotenziata e che non raggiungerà risultati significativi per l’affollamento carcerario, avendo l’iter di conversione in legge ridotto drasticamente l’ambito di applicazione della liberazione anticipata cosiddetta "estesa", per altro esponendola alla quasi certa declaratoria di incostituzionalità. Il Governo che sta per nascere troverà dunque la patata bollente della scadenza fissata dall’Europa per fine maggio con semmai qualche problema in più e non in meno, atteso che la dichiarazione di incostituzionalità della Fini-Giovanardi ha fatto rivivere la distinzione tra droghe pesanti e droghe leggere, cosicché la nuova legge che non ricomprende questa distinzione, dovrà essere immediatamente modificata per poter essere applicata. L’intreccio creatosi non è certo colpa della Corte Costituzionale ma di un Parlamento che continua a legiferare perseguendo obbiettivi politici di corta distanza, disinteressandosi della contrarietà ai principi costituzionali, anche quando la stessa viene preventivamente denunciata, così come ha fatto in questa ed in altre recenti occasioni l’Unione delle Camere Penali. Giustizia: Md; Tribunali di Sorveglianza al tracollo, bisogna provvedere con urgenza Adnkronos, 21 febbraio 2014 "Svuotare carceri dove le condizioni di vita sono disumane è da ieri legge, e, da sempre un dovere morale. Mettere la magistratura in condizioni di applicare la legge è un imperativo altrettanto urgente". Lo sottolinea in una nota Anna Canepa, segretario generale di Magistratura Democratica. "I magistrati ed i tribunali di sorveglianza sono al tracollo, senza personale e senza risorse, sono chiamati ad uno sforzo sovrumano. Il sistema - rileva - è in emergenza, si deve con urgenza provvedere". Giustizia: protesta degli avvocati; troppi costi, non ce la facciamo più a difendere i cittadini di Virginia Piccolillo Corriere della Sera, 21 febbraio 2014 "La giustizia non è più per tutti. I costi sono già aumentati in maniera folle. La marca da bollo è passata da 8 a 27 euro. Ed è solo l’inizio". Marciano e sventolano bandiere tricolori gli avvocati. Hanno cappi al collo, lacci ai polsi, e cartelli con la democrazia pugnalata. Gridano contro le modifiche già fatte al codice di procedura civile che hanno avuto l’effetto paradossale di allungare di 2 anni la media dei procedimenti. E chiedono che vengano subito ritirate quelle annunciate: le motivazioni delle sentenze concesse solo previo pagamento, il filtro in appello, la mediazione obbligatoria, le liti temerarie. Ma si infiammano anche contro la riforma delle circoscrizioni giudiziarie, che a molti ha chiuso il tribunale sotto casa. E prima di cantare l’inno di Mameli, in una nuvola di fumo tricolore, lanciano un appello: "Da Matteo Renzi ci aspettiamo si ponga il problema della difesa dei diritti dei cittadini". In diecimila, secondo le stime dell’Oua (Organismo unitario dell’avvocatura) che, insieme ad ordini e associazioni forensi, ha organizzato il corteo e l’astensione di 3 giorni, hanno attraversato la capitale, dopo un presidio a piazza Montecitorio, visitato da parlamentari di quasi tutti i partiti. Tutti a rassicurare quei rappresentanti di una categoria che ha raggiunto quota 260mila. E in tempi di crisi vede un crollo verticale degli introiti ("del 30-40%", dicono). "L’avvocatura non ce la fa più a difendere i cittadini - avverte Nicola Marino, presidente Oua - i costi sono aumentati: del 55,62% in primo grado, del 119,15% in appello e del 182,67% in Cassazione. La spesa per lo Stato è aumentata dai 773 milioni di euro del 2010 ai 785 del 2012. Un costo di 73 euro procapite, contro i 57,4 della media europea. E il ddl delega peggiora la situazione. Va ritirato. Con la norma contro le liti temerarie rischierà solo chi può permetterselo". Questo è negare il diritto alla difesa, dicono. E i giovani sottolineano le difficoltà di accesso, impari rispetto ai colleghi europei. Ed evidenziano che il gratuito patrocinio, da loro svolto per i non abbienti, viene già retribuito solo con un terzo delle tariffe, 3 anni dopo. C’è anche chi va contro corrente: "Basta difendere i tribunali aboliti - dice un avvocato romano, a me ne basterebbe anche uno solo ma in grado di sostenere il processo telematico che dovrebbe partire a giugno ma già si avvia verso un rinvio". Giustizia: in Italia soltanto 11 persone sono in carcere per corruzione, in Germania 8.600 Ansa, 21 febbraio 2014 In Italia solo 11 persone sono detenute per corruzione. E la prescrizione regala la salvezza a tutti i responsabili di tangenti, appropriazione indebita e abuso d’ufficio. È quanto si legge sull’Espresso, in edicola domani, secondo cui "in Italia i più ricchi e potenti riescono quasi sempre a sfuggire alla condanna". Il settimanale cita i dati del Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria (aggiornati al novembre 2013), secondo cui "sugli oltre 60 mila detenuti si contano soltanto 11 accusati per corruzione, 26 per concussione, 46 per peculato (cioè per furto di denaro pubblico), 27 per abuso d’ufficio aggravato". Tutto ciò mentre in Germania, ad esempio, per reati economici finanziari vi sono in cella 8.600 detenuti. Inoltre, "di fronte all’enormità di un’evasione stimata nel nostro Paese di 180 miliardi di euro all’anno, in cella per frode fiscale ci sono soltanto 168 persone e appena tre arrestati per reati societari o falso in bilancio". L’inchiesta dell’Espresso evidenzia che la causa principale di questa impunità è la prescrizione. "Oggi in Italia prima che un procedimento penale arrivi a sentenza definitiva servono in media 1.802 giorni. Ma il reato di corruzione si prescrive 2.737 giorni dopo la data in cui è stato commesso: in pratica, tutte le tangenti pagate prima del giugno 2011, anche se venissero scoperte, resterebbero senza condanne. E lo stesso accade con migliaia di inchieste per abuso d’ufficio, appropriazione indebita, frode fiscale, peculato". Nel 2012 "113 mila procedimenti sono stati cancellati dalla prescrizione, mentre nei tribunali si sono accumulati poco meno di 3 milioni e mezzo di fascicoli da smaltire. È un colossale colpo di spugna". Il presidente del Senato Pietro Grasso, interpellato dal settimanale, ricorda che esiste già un disegno di legge per affrontare il problema e lo ha presentato proprio lui nel suo primo giorno da senatore. "L’istituto della prescrizione - afferma - andrebbe rivisto completamente, non solo per i reati legati alla corruzione. Per fare una rivoluzione basterebbe una norma a costo zero: il calcolo della prescrizione si blocchi dopo il rinvio a giudizio; tutti i processi iniziati devono essere conclusi in tempi brevi". L’espresso ha sentito anche il pm napoletano Henry Woodcock, secondo cui "il problema prima ancora che giuridico-giudiziario, è culturale": gli imprenditori si sono ormai rassegnati alle mazzette. Giustizia: il Governo accoglie un Odg su cartella sanitaria informatizzata per i detenuti Adnkronos, 21 febbraio 2014 Introdurre la cartella sanitaria informatizzata in carcere. È l’obiettivo dell’ordine del giorno accolto dal Governo nell’ambito del Decreto svuota carceri, Odg presentato dal senatore Luigi d’Ambrosio Lettieri (Fi). A darne notizia lo stesso esponente azzurro, capogruppo del partito nella Commissione Igiene e Sanità del Senato. L’indicazione contenuta nel provvedimento è quella di "varare al più presto la cartella sanitaria nazionale informatizzata, perché sia assicurata in tutti gli istituti di pena la continuità delle cure per la persona condannata, e individuare strumenti normativi ed operativi volti a migliorare il sistema sanitario negli istituti di pena al fine di garantire tempestività negli interventi sanitari urgenti, superando gli attuali ritardi a cui soggiacciono le persone detenute qualora si verifichi la necessità di sottoporle a visite specialistiche o cure mediche in strutture sanitarie esterne agli istituti di pena, nonché azioni preventive e di profilassi relative alla salute mentale, alla prevenzione del suicidio e dell’autolesionismo, dell’Hiv e delle altre malattie trasmissibili". "La Costituzione italiana - sottolinea d’Ambrosio Lettieri nella nota - considera la tutela della salute non semplicemente una mera concezione biofisiologica ma, soprattutto, una condizione indispensabile per il più completo svolgimento ed integrazione della personalità. La tutela della salute è un bene primario non solo dell’individuo ma anche della società ed è dunque doveroso l’intervento dello Stato volto a realizzare un’organizzazione sanitaria adeguata alle necessità dei cittadini, nella loro singolarità e come parte della collettività. Spetta in primo luogo al legislatore attraverso la predisposizioni di mezzi e l’individuazione di strutture, assicurare il conseguimento di questi obiettivi". Figura centrale diventa il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute cui è affidata la vigilanza del rispetto delle norme e dei principi stabiliti dalla Costituzione, tant’è che può visitare, senza necessità di autorizzazione, gli istituti penitenziari, gli ospedali psichiatrici giudiziari e le strutture sanitarie destinate ad accogliere le persone sottoposte a misure di sicurezza detentive. "Ma è evidente - conclude il senatore - che, per operare al meglio, il Garante, come pure il ministero della Sanità devono poter svolgere un controllo periodico sulle condizioni igieniche degli istituti, lo stato delle celle e dei servizi, le condizioni di vita dei detenuti, avendo a disposizione strumenti agevoli. Di qui la necessità di varare la cartella sanitaria nazionale informatizzata". Giustizia: gli avvocati dei "No-Tav"; in carcere sistematicamente violati diritti dell’uomo Secolo XIX, 21 febbraio 2014 Nel carcere di Alessandria vengono sistematicamente violati i diritti umani, quantomeno con i detenuti con l’accusa di terrorismo. Lo stesso avviene a Roma e Ferrara. Il regime carcerario cui sono sottoposti i quattro No Tav arrestati a Torino lo scorso 9 dicembre con l’accusa di terrorismo è troppo duro e non si può giustificare nemmeno con esigenze investigative: è quanto denuncia un comunicato diffuso dagli avvocati difensori (Claudio Novaro, Eugenio Losco, Giuseppe Pelazza) dei quattro No Tav in cui si sottolinea che l’isolamento crea "grave sofferenza psichica" e che prolungarlo oltre il dovuto non rispetta i dettami della Corte europea dei diritti dell’Uomo, della Cassazione e dello stesso ordinamento penitenziario. I quattro, in attesa del processo che si aprirà a Torino il 14 maggio, nelle scorse settimane sono stati trasferiti dal capoluogo piemontese nelle case circondariali di Alessandria, Roma e Ferrara in condizioni addirittura "più rigide rispetto a quelle previste per gli alti detenuti in regime di alta sicurezza". "Nessuno di loro - si legge nella nota - ha la possibilità di avere colloqui con i rispettivi conviventi". Inoltre "la loro posta in entrata e in uscita è sottoposta a censura". Giustizia: presidente Gip di Torino "nessun isolamento per i quattro No-Tav arrestati" La Repubblica, 21 febbraio 2014 Caro direttore, sulla cronaca cittadina de "La Repubblica" di ieri compare un articolo il cui titolo è il seguente: "Appello contro le misure carcerarie "per esigenze investigative" "Ma l’isolamento è troppo". Gli avvocati dei quattro arrestati: violati i diritti dell’uomo". Al riguardo, mi preme fornire ai lettori del Suo giornale le seguenti notizie. 1) Nessuno - ripeto: nessuno - dei quattro indagati ristretti in differenti carceri con l’accusa di avere commesso un attentato terroristico per impedire la costruzione della linea ferroviaria di alta velocità in Val di Susa si trova in stato di "isolamento". Giova precisare che tale regime si risolverebbe, per quanto stabilito dall’art. 33 dell’ordinamento penitenziario, nella assenza di alcun tipo di contatti con altri detenuti. Non a caso la norma parla di isolamento "continuo". Ciò non è stato disposto né dal giudice per le indagini preliminari, che - ravvisandone i presupposti - sarebbe stato competente a chiederne l’applicazione alla direzione del carcere, né da altri uffici giudiziari. 2) Nei confronti dei soggetti di cui sopra, il Procuratore della Repubblica ha chiesto alle direzioni degli istituti in cui essi si trovano ristretti che non vi siano contatti né tra loro stessi (nell’ipotesi di detenzione nel medesimo carcere), né con altre persone ristrette, appartenenti alla medesima area politica (cosiddetto "divieto di incontro"). 3) Ciascuno dei soggetti di cui sopra è inserito nel circuito penitenziario definito di "alta sicurezza" (che, sia detto per inciso, non ha nulla in comune con altri regimi detentivi, di cui si legge nell’articolo, riservati ad altre categorie di detenuti). Tale classificazione, che rientra tra le competenze esclusive dell’amministrazione penitenziaria (che la dispone sulla base del reato contestato), non comporta affatto l’isolamento, e neppure limiti alla fruizione del trattamento penitenziario (a partire dalla partecipazione alle attività ricreative, sportive e culturali) e dei periodi da trascorrere all’aperto, salvo il fatto che gli stessi debbono svolgersi nel proprio reparto detentivo, in modo da evitare contatti con la rimanente popolazione detenuta. 4) L’amministrazione penitenziaria - per quanto accertato dal giudice del procedimento - si è scrupolosamente attenuta al rispetto delle prescrizioni e divieti di cui sopra, derivanti dalle disposizioni date dall’Autorità Giudiziaria e dalle regole vigenti. Questi sono i fatti, che - come sempre - hanno la testa dura. Le opinioni - come sempre - legittime, non dovrebbero mai prescinderne. Ma, si sa, la passione, alle volte, non giova alla obiettività dei racconti. Ecco perché può accadere che siano evocati scenari inesistenti: i quali, comunque, neppure potrebbero seriamente ricondursi ad altri aspetti - previsti dalla normativa in vigore - del regime detentivo, come il visto sulla corrispondenza e il divieto di colloquio con alcune persone, diverse dai congiunti. Francesco Gianfrotta Presidente della sezione dei giudici per le indagini preliminari del Tribunale di Torino Giustizia: strage Alcamo Marina; riconosciuto innocente dopo 38 anni… parla la famiglia Tm News, 21 febbraio 2014 La notte che lo arrestarono, quasi 40 anni fa, mentre i carabinieri lo portavano in caserma, disse alla moglie "torno tra poco". Giovanni Mandalà, artigiano di Partinico, a pochi chilometri da Palermo, non poteva immaginare che quello sarebbe stato soltanto l’inizio di un calvario che sarebbe durato 38 anni. L’accusa contro di lui era gravissima: aver fatto parte del commando che la notte del 27 gennaio 1976 uccise due carabinieri, Carmine Apuzzo e Salvatore Falcetta, di stanza alla casermetta di Alcamo Marina. Una strage rimasta avvolta dal mistero, e in cui a farne le spese, oltre alle vittime, furono anche i quattro ragazzi che il principale sospettato per quel duplice omicidio, Giuseppe Vesco, fu costretto a coinvolgere dopo essere stato sottoposto a pesanti sevizie da parte dei carabinieri: Giuseppe Gulotta, Giuseppe Ferrantelli, Gaetano Santangelo e Giovanni Mandalà appunto. Dietro le pressioni e le torture da parte dei militari, i primi tre ammisero colpe che non avevano. E per i quali furono condannati, venendo riconosciuti innocenti soltanto nel 2012. Mandalà, invece, non ammise mai alcuna responsabilità. Contro di lui, dunque, qualcuno decise di "costruire" la prova regina: una macchia di sangue di una delle vittime sulla sua giacca. Una prova finta, la cui costruzione a regola d’arte, i legali della difesa sono riusciti a dimostrare solo recentemente, dopo il moto di coscienza di un carabiniere che ha alzato il velo sulla frode processuale compiuta dai carabinieri. Una verità arrivata lo scorso 17 febbraio, con l’assoluzione da quella accusa, ma che Giovanni Mandalà non ha potuto assaporare, perché morto in carcere nel 1998, quando ancora il processo di revisione non era iniziato. A seguire la famiglia Mandalà è stato l’avvocato Baldassare Lauria, che da anni si occupa del "Progetto Innocenti", per far luce sui torti giudiziari, e restituire giustizia alle vittime degli errori della magistratura. "Le indagini condotte dai carabinieri erano indagini costruite ad hoc da un manipolo di carabinieri che indegnamente ha vestito quella divisa dell’Arma - ha detto Lauria intervistato da Tm News. Questo ha determinato il falso storico dei finti colpevoli, e impedito che si facesse luce sulla vicenda. È evidente che oggi la verità su quella strage è ancora più difficile da raggiungere. Questo rende ancora più inquietante il comportamento dell’Arma, che a distanza di anni, nonostante sia stata fatta luce, non ha avvertito la sensibilità per chiedere scusa a nome di quegli uomini che hanno sporcato la divisa dell’Arma". L’emozione per la sentenza che restituisce l’onore sottratto ingiustamente a suo marito si legge chiaramente negli occhi della signora Maria, che per tutti questi anni non ha mai smesso di lottare per la verità. "Il mio obiettivo era liberare mio marito - ha detto -. Perché non soffrisse anche nella tomba l’onta della colpevolezza, quando invece era innocente. Così come mi chiese in punto di morte. Mi disse, tu sai che sono innocente, non abbandonarmi, sono innocente e tu lo sai. Quella notte stavamo insieme, lo posso giurare". Di questi anni, divisi dal bancone di una sala colloqui in carcere, la signora Maria racconta: "Lo seguivo in tutte le carceri in cui lo portavano. Andavo a trovarlo coi bambini. Non potevo privarlo, e togliere ad un uomo innocente la gioia di vedere i suoi figli. Anche dietro le sbarre. Anche se tornando a casa piangevo sempre". La famiglia Mandalà vive a Partinico, in una casa ricavata in quella che un giorno era la bottega del padre. E insieme alla madre, ci sono due dei cinque figli dei coniugi Mandalà: a me interessava pulire il nome di mio padre - ha detto Benedetta Mandalà. Perché le persone incontrandomi non pensassero "lei è la figlia di un assassino, ma è la figlia di Giovanni Mandalà, una vittima". Vorrei che il nome di mio padre non si dimenticasse, ma semmai ci sarà un giorno un risarcimento mi piacerebbe costruire qualcosa di concreto che portando il suo nome testimoni la sua presenza e il suo sacrificio, perché la gente sappia la sua storia, e apprenda il gran valore del suo insegnamento. Lettere: in 25 anni ben 50mila persone sono state detenute ingiustamente e non risarcite di Giulio Petrilli Ristretti Orizzonti, 21 febbraio 2014 I dati sugli errori giudiziari e sull’ingiusta detenzione in Italia sono sempre più in aumento, ma quello che lascia sbigottiti è l’altissimo numero di persone che pur essendo state detenute ingiustamente non hanno avuto nessun risarcimento. A fronte di 23.000 persone che hanno avuto i risarcimento dall’entrata in vigore della legge 1989, (dati del Ministero dell’economia) ce ne sono all’incirca 50.000 mila che non lo hanno avuto (dati Eurispes e Camere penali) . Cinquantamila persone che hanno subito mesi, anni, a volte tanti anni di carcere ingiusto e si vedono rifiutare il risarcimento per il semplice motivo che la legge italiana dà al giudice la possibilità di negare il risarcimento quando il ricorrente pur essendo stato assolto ha avuto frequentazioni non idonee. Quindi, i magistrati preposti, esprimono non più un giudizio giuridico, ma morale e con il giudizio morale si valuta se dare o meno il risarcimento. Cinquantamila persone e tra queste ci sono anche io, sei anni di carcere ingiusto poi l’assoluzione dal reato di banda armata. In Italia mi hanno rifiutato il risarcimento ora spero nell’Europa, nella Corte Europea per i diritti dell’uomo alla quale ho presentato ricorso. Dei cinquantamila innocenti non risarciti, dall’entrata in vigore della legge sulla riparazione per ingiusta detenzione (ottobre 1989), quasi nessuno ha presentato ricorso a Strasburgo, quindi il mio è un po’ un caso pilota. La speranza che venga accolto, diventa a questo punto anche la speranza di tanti come me. Sicilia: apprezzamento Anci per il protocollo della Regione su reinserimento dei detenuti Il Velino, 21 febbraio 2014 "Un’idea positiva e apprezzata, un accordo significativo e con grandi potenzialità per un concreto reinserimento sociale e lavorativo dei soggetti reclusi negli istituti penitenziari di Castelvetrano, Sciacca e Trapani". Così Giorgio Pighi, sindaco di Modena e delegato Anci alla Sicurezza, immigrazione e legalità, in occasione della firma del Protocollo d’intesa che sarà firmato domani tra l’assessorato dell’Agricoltura della Regione Siciliana, il ministero della Giustizia - Dipartimento amministrazione penitenziaria e l’Ente di sviluppo agricolo, finalizzato proprio al reinserimento di questi soggetti. In particolare, l’accordo prevede la realizzazione di un programma sperimentale di agricoltura sociale che verrà realizzato dai detenuti nei terreni e nei fabbricati dell’azienda agricola "Campo Carboj" attraverso percorsi di accompagnamento personalizzati all’inserimento lavorativo. "In linea con quanto avviato attraverso le attività del Protocollo sottoscritto tra Anci e ministero della Giustizia-Dap il 20 giugno 2012, questo accordo è il primo intervento di ampliamento regionale - conclude Pighi - tutto ciò nella piena convinzione che il lavoro ha un ruolo centrale per il percorso riabilitativo finalizzato al reinserimento sociale del detenuto e che è attraverso questo impegno che i detenuti sperimentano l’opportunità concreta di individuare percorsi alternativi al crimine". Oristano: duecento detenuti del Reparto di Alta Sicurezza fanno lo sciopero della fame di Nicola Pinna La Stampa, 21 febbraio 2014 Il silenzio della campagna di Massama è rotto dalle urla. Voci incomprensibili e rumori fortissimi che arrivano dalle celle del supercarcere: nella sezione alta sicurezza la rivolta è in corso già da parecchi giorni. Quasi duecento detenuti esiliati da mesi in Sardegna, tutti mafiosi e camorristi, fanno lo sciopero della fame e all’ora del tramonto organizzano questa rumorosissima protesta. Sbattono pentolini e altri oggetti in ferro contro le grate delle finestre e sulle sbarre che si affacciano su una distesa sterminata di campi e pochissime abitazioni intorno. Hanno già scritto al magistrato di sorveglianza ma nessun altro, a parte gli abitanti di questo paesino, si è reso conto della protesta che sta agitando il penitenziario di Oristano. Per raccontare e riprendere quello che accade tra le celle e i corridoi della piccola Alcatraz sarda bisogna attraversare le strade infangate e i campi di carciofi della zona di Pedriaxiu, alle spalle della chiesetta delle Vergine Assunta, lungo la strada Provinciale che da Oristano porta a Siamaggiore. Le prime urla si sentono qualche minuto dopo le 19, quando gli agenti della Polizia penitenziaria fanno il cambio del turno. Il baccano va avanti a lungo e si ripete anche durante la notte. Qualcuno dà il via e gli altri rispondono quasi subito. Tra una cella e l’altra si crea una sorta di dialogo: qualcuno fischia, qualcun altro lancia grida disperate. Il tono sale velocemente e per oltre mezz’ora il baccano attira l’attenzione della gente. "Da quando c’è questo carcere noi non viviamo più tranquilli - racconta un contadino - La presenza dei mafiosi, ma soprattutto quella dei loro parenti che vengono qui per i colloqui, ci spaventa non poco. Qui non è mai successo niente di grave, ora non vogliamo che venga messa a rischio la sicurezza della nostra comunità". Di mafiosi e camorristi, nel penitenziario di Oristano (la provincia che anche quest’anno ha ottenuto il riconoscimento della più sicura d’Italia) ce ne sono oramai centosessanta. Molti sono condannati all’ergastolo, quasi tutti hanno appena finito di scontare il periodo di carcere duro del 41bis. Quattro delle sei sezioni della gigantesca struttura (inaugurata poco più di un anno fa e costata circa 40 milioni di euro) sono dedicate all’alta sicurezza e proprio in questi corridoi è iniziata la rivolta. "Non è uno sciopero della fame, semmai lo sciopero del vitto - fanno sapere dal carcere. Rifiutano il cibo della mensa, mangiano esclusivamente i prodotti che possono cucinare con i loro fornelli dentro la cella". Le ragioni della protesta sono diversi. Il trasferimento in Sardegna è il motivo che accomuna tutti: "Questo è un esilio inaccettabile - dice la moglie di un palermitano arrivata in Sardegna per un colloquio di poche ore - Ai detenuti viene negato il diritto di incontrare i propri parenti. Noi non possiamo venire in Sardegna frequentemente: i collegamenti sono molto complicati e anche piuttosto costosi. Al massimo, possiamo prendere l’aereo una volta al mese". Poi c’è anche la questione della corrispondenza, ma da qualche giorno il personale ha consegnato tutti i pacchi arrivati da Campania e Sicilia che erano rimasti fermi a lungo nel deposito. "Per controllarli tutti accuratamente ci vuole un po’ di tempo - precisano dalla direzione - Sulla sicurezza non possiamo commettere leggerezze e dopo le ultime evasioni l’attenzione è salita ulteriormente". Protesta detenuti ex 41-bis, chiedono avvicinamento a casa (L’Unione Sarda) Protesta nella casa circondariale di Massama. Mafiosi e camorristi che hanno terminato il carcere duro, chiedono di essere riavvicinati a casa. Anche a notevole distanza si potevano sentire le urla e il rimbombo di oggetti metallici battuti contro le sbarre alle finestre. È la forma di protesta scelta dai detenuti del carcere di Massama. Sono stati un centinaio quelli che hanno contestato in maniera così rumorosa l’amministrazione penitenziaria. A motivare l’iniziativa, secondo quanto riportato dal sito internet del quotidiano La Stampa, che ha pubblicato il video, sarebbe il tentativo da parte dei detenuti, di dare forza alla richiesta di essere avvicinati a casa. Mafiosi e camorristi, sottoposti a regime di Alta sorveglianza, sono arrivati a Oristano divisi in più scaglioni, nei mesi scorsi, alimentando più di una polemica. Nulla però che abbia impedito al ministero della Giustizia di proseguire nel suo piano di distribuzione degli ex 41 bis nelle carceri sarde. Ora sembrano essere proprio i detenuti a non aver gradito la sistemazione. Non tanto per la qualità del carcere oristanese, di recente inaugurazione, quanto per la lontananza dalle famiglie. Molti hanno appena terminato il regime del carcere duro e chiedono di poter scontare la pena nelle regioni di origine. Sul tavolo del giudice di sorveglianza ci sono già numerose richieste di trasferimento. Alcuni detenuti avrebbero anche rifiutato il cibo della mensa per dare più risalto alla protesta che si sarebbe ripetuta più volte nei giorni scorsi. La situazione è sotto controllo, ma l’episodio potrebbe rafforzare la richiesta del sindacato di polizia di potenziare l’organico degli agenti, ritenuto inadeguato. Napoli: Commissione Trasparenza su assistenza sanitaria e criticità nelle carceri cittadine Cronache di Napoli, 21 febbraio 2014 L’emergenza carceraria non è solo a Poggioreale. "Abbiamo trovato una situazione critica e per certi versi allarmante per quanto riguarda i livelli dell’assistenza sanitaria del carcere di Secondigliano. Lacune nelle visite specialistiche con casi che arrivano fino a sette mesi di attesa per una Toc. Criticità anche per gli esami diagnostici". È quanto emerse dalla prima tappa effettuata dalla commissione Trasparenza e controllo alti nell’ambito dell’iniziativa di verifica dei livelli di assistenza sanitaria nelle carceri campane. La casa circondariale, ospita in questo momento. 1.200 reclusi che a quanto abbiamo potuto appurare usufruiscono di livelli assistenziali insoddisfacenti. con tempi lunghissimi per le visite specialistiche, carenza di personale e ["assenza di un rapporto di continuità assistenziale Ira i sanitari e i detenuti. Complessivamente ci sono solo sci medici di cui due in servizio di guardia medica reperibili 24 ore su 24 e sci cosiddetti di reparto reperibili solo per alcune ore al giorno. "La struttura sanitaria del carcere hi strumenti diagnostici obsoleti mancano gli specialisti per patologie importanti come urologia, gastroenterologia, ortopedia, infettivologia, radiologia. Con la conseguenza che spesso sì deve ricorrere al trasferimento in strutture esterne al carcere dei detenuti -pazienti con grande dispendio di energie, risorse e dilatamento dei tempi di intervento. Dalla visita e dal colloquio con il personale e i detenuti emerse che spesso mancano farmaci perle varie terapie e il personale medico risulta insufficiente a gestire una popolazione carceraria che per quasi la metà è costituita da malati cronici. Aids, patologie legale alla tossicodipendenza e decine di casi conclamati di tumore, "Verificheremo nelle prossime settimane - riportava la nota sul resoconto della riunione - la consistenza e la qualità dei livelli essenziali assistenziali anche delle altre case circondariali campane". Rovigo: il Garante Ferrari; il carcere è una realtà abbandonata che la gente non conosce Rovigo Oggi, 21 febbraio 2014 Quinta ed ultima relazione nella Casa circondariale di Rovigo di Livio Ferrari. Dure parole sul fallimento dell’istituzione che pecca su molti aspetti ma soprattutto sul sistema rieducativo. Livio Ferrari, sino ad ottobre garante dei diritti delle persone private della libertà del comune di Rovigo, ha inviato al Sindaco, giunta e consiglieri la sua relazione per quanto operato nel 2013 nella Casa circondariale di Rovigo, che è la quinta ed ultima. "Oltre a tutti i problemi e i drammi che il carcere continua a produrre, che gli sono connaturati - evidenzia Ferrari nella sua relazione - quello che ho visto prevalere in questo periodo è il senso di rassegnazione che pervade le persone detenute, in molti è profonda la sensazione di sentirsi come dei vuoti a perdere, nonostante il continuo parlare del carcere sui mezzi di informazione, nonostante l’ipotesi dell’amnistia e dell’indulto, la carcerazione viene nella maggior parte dei casi vissuta come lontananza e perdita di appartenenza". "Tanti parlano di carcere senza conoscerlo veramente a fondo, nelle storture che determinano poi questo fallimento che è davanti agli occhi di tutti. Basta verificare il bilancio dell’amministrazione penitenziaria per rimanere senza parole davanti al fatto che per ciò che concerne la rieducazione, che dovrebbe essere l’arte portante che si rifà ancora una volta all’art. 27 della Costituzione, la spesa risulta davvero a livelli irrisori: nel trattamento della personalità ed assistenza psicologica vengono investiti ben 8 centesimi al giorno! Appena maggiore il costo sostenuto per le attività scolastiche, culturali, ricreative, sportive, pari a 11 centesimi al giorno per ogni detenuto". "C’è una grande irrazionalità nel sistema penitenziario, il problema, comunque, è che questa consapevolezza, cioè tutte le argomentazioni che fanno parte del bagaglio di informazioni vere e reali che sono bene a conoscenza degli addetti ai lavori, per una larga estensione di popolazione tutto ciò è un segreto. Se la gente veramente conoscesse lo stato di incuria e abbandono in cui versano le carceri, se sapesse come la prigione crea solamente una società più pericolosa producendo persone più pericolose. Se tutto questo fosse una conoscenza reale, un clima per smantellare il carcere necessariamente si creerebbe, poiché la gente, in contrasto con la prigione, è razionale in questo problema. Pertanto - conclude Ferrari - per riportare le persone alla legalità ed al rispetto delle regole è assolutamente necessario che anche le regole del sistema siano rispettose delle persone! E nel nostro caso i soggetti non sono solo i reclusi ma anche coloro che vi lavorano che, in un sistema come questo, pagano un prezzo alto di malesseri fisici e psichici". Roma: Ugl; a Rebibbia il personale penitenziario si autoconsegna e si astiene dal vitto Adnkronos, 21 febbraio 2014 "Da lunedì scorso il personale del Nucleo Traduzioni e Piantonamenti del Polo di Rebibbia si è autoconsegnato e si astiene dalla consumazione del pasto presso la mensa obbligatoria di servizio per protestare contro la carenza di risorse umane e materiali che incidono negativamente sull’andamento dei servizi, ponendo le donne e gli uomini del Corpo in costante pericolo". Lo afferma in una nota il segretario nazionale dell’Ugl Polizia Penitenziaria, Giuseppe Moretti che sottolinea: "Crediamo sia giunto il momento che l’Amministrazione penitenziaria dia un segnale ai propri lavoratori, sospendendo quei servizi, quali le traduzioni degli arrestati e degli internandi, che non competono al Corpo ma al Provveditorato del Lazio". "Nel reparto - prosegue Moretti - che alla fine degli anni 90 contava un organico pari a 241 unità, oggi operano poco più di 140 agenti, mentre la popolazione detenuta è aumentata fino ad arrivare ad oltre 2500 unità. In particolare - aggiunge - risultano insufficienti le unità femminili, ora assestate a 7, e quelle del personale con il ruolo di Ispettore e di Sovrintendente, che non arrivano a 20. Per quanto riguarda i mezzi sono del tutto inadeguati, soprattutto se si considera che il Nucleo del Polo di Rebibbia assicura molteplici servizi". "Nell’esprimere la vicinanza della nostra organizzazione agli agenti che da quattro giorni hanno deciso di chiudersi all’interno del reparto reclamando la giusta attenzione per le criticità menzionate - aggiunge Moretti - ci uniamo alla loro protesta chiedendo all’Amministrazione penitenziaria, con il Provveditorato in testa, di rendersi conto della delicatezza delle attività svolte e di accogliere le richieste del personale che in fondo chiede solo di lavorare con i giusti canoni di sicurezza e con mezzi efficienti". L’Aquila: nel carcere di Sulmona primo congresso sindacale con la Fillea-Cgil di Maria Trozzi www.quiquotidiano.it, 21 febbraio 2014 È la prima volta che un Congresso sindacale si svolge dentro le mura, in una Casa di reclusione. Il primo nella storia della Cgil si terrà proprio sabato 22 Febbraio 2014 nel carcere di via Lamaccio, a Sulmona. Presso il penitenziario di massima sicurezza si svolgerà il Congresso Fillea Cgil della Provincia di L’Aquila. Il titolo Città Future per il Congresso provinciale ha come colonna portante il Piano Carceri e tra gli argomenti di cui si discuterà ci sarà spazio per la sostenibilità e la legalità, per il territorio e le case sicure, per il lavoro regolare e la buona contrattazione. Non è un caso che proprio a Sulmona stia per aprire uno dei cantieri di ampliamento più interessanti per migliorare le strutture penitenziarie italiane. In base al progetto, si costruirà un nuovo padiglione in grado di ospitare altri 200 detenuti per provare a superare anche i problemi derivati dal sovraffollamento della struttura penitenziaria e non solo per la carenza di organico, troppi gli episodi negativi denunciati dalle associazioni sindacali e dai politici più sensibili alle questioni degli ultimi. La Fillea è contrattualmente coinvolta nell’impresa visti il Protocollo di Legalità, già sottoscritto in Prefettura, e la Contrattazione di anticipo con l’impresa aggiudicataria che regolerà le condizioni di lavoro per l’importante appalto. Molti aspetti sindacali del Piano Carceri, come per esempio la tracciabilità dei flussi di manodopera, possono essere importati nella Ricostruzione del cratere sismico abruzzese. Inoltre, l’attualità del tema delle carceri in Italia e le sue analogie con il mondo del lavoro hanno contribuito a sperimentare tale innovazione. Nel nuovo modello di sviluppo, delineato dal sindacato per il settore delle costruzioni, non mancano le motivazioni per le quali la Fillea L’Aquila ha scelto un luogo come il carcere per svolgere uno dei suoi congressi più importanti. Primo, il Patronato Inca Cgil che, due volte al mese, assiste i detenuti lavoratori. Inoltre, la Scuola edile, grazie alla disponibilità del nuovo Direttore del carcere, Luisa Pesante, sta approntando un progetto di formazione utile al reinserimento nel mercato del lavoro. Ancora, la presenza di una falegnameria, di una calzoleria, di una sartoria, di una serigrafia, di una piccola tenuta agricola dove si coltiva l’aglio rosso di Sulmona. Tanto può bastare per chiedere e ottenere un Congresso diverso, più vicino al recupero dei detenuti che, proprio per l’evento, provvederanno alla costruzione dei gadgets congressuali e al rinfresco per i delegati e gli invitati. Un appuntamento sicuramente alternativo, non scontato, che inaugura una nuova stagione di collaborazione tra carcere e sindacato degli edili, ribadendo l’impegno del sindacato per la Legalità, in una Provincia tanto complessa e devastata, sotto i riflettori di un’intera nazione ancora per molto tempo. Simbolicamente, un incontro che guarda la parte più debole della società, quella ai margini. Verrà ufficializzata anche l’adesione della Fillea L’Aquila alla campagna Miseria Ladra dell’Associazione Libera Nomi e numeri contro le mafie, sui temi del lavoro e per il riscatto sociale. Si proverà a dare una immagine positiva ad un carcere che fa del Lavoro la strada maestra, lo strumento riabilitativo per eccellenza. Un Congresso, quello di Fillea Cgil che celebra il Lavoro, soprattutto quello umile che dà dignità e un senso alla vita. Palermo all’Ipm "Malaspina" inaugurata palestra, grazie a progetto Uisp "Terzo tempo" Ansa, 21 febbraio 2014 Utilizzare lo sport come mezzo educativo e di aggregazione ma anche come opportunità professionale. È con questo obiettivo che è stata inaugurata oggi all’interno dell’istituto penale minorile "Malaspina" di Palermo una palestra completamente ristrutturata e dotata di nuove attrezzature sportive. L’iniziativa è stata realizzata grazie al progetto "Terzo Tempo" che la Uisp (Unione italiana sport per tutti) ha avviato lo scorso mese di maggio in otto città italiane e che in Sicilia sta coinvolgendo due istituti minorili di Palermo e Catania. "Questo progetto ha una concretezza reale e una grande importanza - ha detto l’assessore regionale allo sport, Michela Stancheris - e il mio impegno qui serve a dare risonanza a un’iniziativa che può essere presa come esempio da altri istituti". "L’istruttore qui diventa un educatore e un modello - spiega Gianfranco Verace, coordinatore delle attività sportive - per questo oltre a permettere ai giovani detenuti di poter fare sport cercheremo di dare loro un’opportunità professionale attraverso un corso di formazione tecnico sportiva della durata di 300 ore per tre anni". Gli istruttori Uisp nella seconda fase del progetto - che dovrebbe essere avviata tra un mese - daranno nozioni tecniche di base per consentire ai ragazzi, una volta scontata la propria pena, di lavorare in una palestra nel settore sportivo in cui hanno scelto di specializzarsi. Ma le attività di recupero non si fermano qui: "Al Malaspina verranno anche atleti detentori di titoli mondiali proprio per dare un messaggio di speranza e un modello di vita umano e professionale ai ragazzi". All’evento sono intervenuti anche l’assessore allo sport del comune di Palermo, Cesare La Piana, il responsabile nazionale politiche sociali, educative e giovanili della Uisp, Fabrizio De Meo, il presidente della Uisp Sicilia, Fabio Maratea, il vice presidente del Coni Sicilia, Orazio Arancio, e il direttore dell’istituto penale minorile Malaspina, Michelangelo Capitano. Nuoro: Sdr; la voce delle Associazioni in 2° incontro su diritti al carcere di Badu e Carros Ristretti Orizzonti, 21 febbraio 2014 L’esperienza maturata dalle associazioni culturali, che vivono costantemente a contatto con la realtà detentiva, sarà portata all’attenzione dei partecipanti al secondo incontro, domani venerdì 21 febbraio, del progetto "Carcere: il diritto penitenziario tra dentro e fuori" promosso dalla Scuola Forense del capoluogo barbaricino in collaborazione con la Direzione della Casa Circondariale di "Badu e Carros". Lo ricorda Maria Grazia Caligaris, presidente di "Socialismo Diritti Riforme" che interverrà nell’ambito del tema "Procedure amministrative e giuridiche" dopo l’introduzione dei coordinatori e relatori Marcello Dell’Anna, ergastolano dottore in legge e l’avv. Monica Murru ideatrice dell’iniziativa. Nella sezione dedicata ai circuiti penitenziari invece correlatore sarà Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione "Antigone". La prima parte dell’incontro vedrà protagonisti, dopo gli interventi della direttrice della Casa Circondariale Carla Ciavarella e del direttore della Scuola Forense Martino Salis, il Magistrato di Sorveglianza di Sassari Riccardo De Vito e l’avv. Angelo Merlini del foro di Nuoro. "La presenza delle Associazioni impegnate sul tema dei diritti in un seminario di aggiornamento e approfondimento sulle problematiche del sistema penitenziario costituisce - sottolinea Caligaris - un importante riconoscimento per quanti lavorano affinché il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria operi costantemente secondo i criteri indicati dalla Carta costituzionale e dalle leggi sull’ordinamento penitenziario. La presenza di un ergastolano, che si è diplomato e laureato in stato di detenzione, è un motivo in più per offrire l’esperienza diretta maturata con i soci attraverso i colloqui con le persone private della libertà. L’auspicio è che l’iniziativa possa essere replicata in altre sedi e il dott. Dell’Anna - conclude la presidente di SdR - ottenga dal Ministero la possibilità di portare il suo contributo nelle diverse carceri della Sardegna e della Penisola, in attesa di poter avvicinarsi ai familiari e riprendere gli studi com’è nelle sue intenzioni". Padova: domani i detenuti-pasticceri del carcere Due Palazzi a lezione con Stefano Laghi www.agronotizie.com, 21 febbraio 2014 Grazie a Italia Zuccheri, il 21 febbraio il pluripremiato "artista della dolcezza" terrà un corso di formazione nella casa di reclusione "Due Palazzi". Italia Zuccheri, marca con cui il Gruppo Coprob commercializza il primo zucchero certificato 100% italiano, sostiene l’impegno costante di Officina Giotto a favore dei detenuti del carcere di Padova in un percorso formativo che li accompagni a maturare la loro professionalità in vista di un futuro reinserimento nella vita e nel lavoro. Per tale ragione ha deciso di promuovere una giornata speciale all’interno di questa esperienza di qualificazione. Insieme a Stefano Laghi, campione del mondo di pasticceria, è stato organizzato un programma straordinario nel carcere per aggiornare i detenuti attraverso un originale corso di formazione sui prodotti di Italia Zuccheri e sul loro utilizzo migliore. L’iniziativa si terrà venerdì 21 febbraio nella casa di reclusione Due Palazzi di Padova e durerà tutta la giornata. L’obiettivo è trasmettere il massimo della professionalità agli artigiani affinché possano differenziarsi con le loro dolci creazioni. Officina Giotto, il consorzio che coordina le lavorazioni carcerarie padovane, punta da sempre sul coinvolgimento e sulla motivazione delle persone, oltre che sulla ricerca della qualità totale per realizzare prodotti capaci di competere ai più alti standard del mercato e rispondere alle attese dei consumatori. "Siamo molto grati a Italia Zuccheri", commenta il presidente di Officina Giotto Nicola Boscoletto, "per aver promosso un’intera giornata da trascorrere, tra forni e fornelli, insieme ai nostri pasticcieri artigiani che potranno così scambiarsi le esperienze e confrontarsi sotto il profilo umano con uno dei più grandi professionisti del settore". Officina Giotto punta ad aprire il carcere alla società e viceversa, invitando personalità di grande rilievo a confrontarsi anche sul tema della condizione penitenziaria e preparando i detenuti a un futuro inserimento nel mondo del lavoro attraverso un percorso professionalizzante così da ridurre il rischio di una loro recidiva una volta usciti dal carcere. "Italia Zuccheri ha scelto di condividere questo progetto - afferma Stefano Dozio, direttore generale di Italia Zuccheri Commerciale - perché, attraverso la Cooperativa Coprob, è fortemente radicata nel territorio in cui opera, come in Veneto a Pontelongo (Padova) dove si produce lo zucchero 100% italiano". Il docente del corso, Stefano Laghi ha vinto numerosi concorsi nazionali e internazionali, tra cui il campionato mondiale di pasticceria e cucina di Basilea nel 1993 e nel 1994 è diventato pasticciere della nazionale italiana cuochi aggiudicandosi diverse medaglie ai campionati mondiali di Lussemburgo. È inoltre autore di numerosi libri e pubblicazioni del settore e ha un’esperienza pluriennale come docente per corsi di specializzazione in pasticceria, cioccolateria, decorazione, oltre ad essere consulente di grandi aziende del settore. Attualmente, oltre a svolgere docenze e consulenze, gestisce una propria attività con sede a Faenza che opera nel settore della pralineria e soggettistica conto terzi. Chieti: presentato "Viaggio penitente", un film reportage sulla vita delle carceri italiane www.cityrumors.it, 21 febbraio 2014 Recentemente con una autorizzazione speciale del Ministero della Giustizia, siamo stati a fare con l’Agenzia Stampa Italia con la cui redazione collabora il nostro capo - reporter Cristiano Vignali, un film reportage all’interno del Carcere di Madonna del Freddo di Chieti per mostrare all’opinione pubblica e ai comuni cittadini le condizioni di vita dei detenuti in Italia. A tal fine è stata scelta proprio la Casa Circondariale di Madonna del Freddo a Chieti, sopratutto per le sue modeste dimensioni che la rendono più a "misura d’uomo", dunque più facilmente "studiabile". Il penitenziario di Chieti è un istituto di tipo trattamentale, cioè in cui si può osservare e rieducare il detenuto prendendosi direttamente cura di ciascun individuo proprio per le ridotte dimensioni della struttura che permettono una osservazione più efficace e dettagliata di ognuno di loro. Una struttura che funziona pressoché bene proprio per essere a misura d’uomo e che pertanto presenta una collaborazione molto stretta fra le vari componenti del personale e ovviamente una conoscenza accurata di ciascun detenuto. Il carcere di Madonna del Freddo ha attualmente circa 120 detenuti, quasi tutti italiani, di origini napoletane, poiché gran parte degli esuberi di Poggioreale vengono spostati sull’Abruzzo. I detenuti che scontano la loro pena nel penitenziario teatino hanno pressoché tutti commesso reati comuni e non sono perciò appartenenti alla malavita organizzata. La struttura soffre di un leggero sovraffollamento, in ogni caso molto minore rispetto a quello di altre strutture, non avendo molti detenuti extracomunitari accusati del reato di clandestinità, sopratutto dopo l’ultimo decreto di svuotamento delle carceri che ha preferito favorire l’utilizzo della detenzione domiciliare speciale e dei regimi di semilibertà come l’affidamento ai servizi sociali rispetto alla detenzione carceraria. In passato si sono toccati anche picchi di 170 detenuti con una media di 140, cifre che ora fortunatamente sono solo un ricordo. A tal proposito, nel carcere di Chieti tutti i detenuti che non hanno delle situazioni ostative possono accedere a regimi di semilibertà con lavori anche presso enti e strutture esterne. Questa è una struttura che funziona abbastanza bene, che presenta i problemi generali della maggior parte delle carceri italiane: bagno e cucina nello stesso locale; "cesso" alla turca con doccia o water non separato assolutamente o separato dagli sguardi e dalla vita degli altri da un muretto alto appena un metro. Comunque sia l’istituto penitenziario di Chieti permette un trattamento più umano del detenuto che vive la sua detenzione in armonia e collaborazione con il personale della struttura. Anche le condizioni igienico - sanitarie sono discrete rispetto ad altre strutture con medici che puntualmente controllano lo stato di salute dei detenuti. I casi di violenza sono ridotti per l’assenza di spazi come le docce comuni. Di certo, non è un grande hotel, ma pur sempre un carcere e nelle stanze il cucinino è nello stesso spazio in cui c’è il lavabo e la doccia col piatto che funge anche da bagno turco dove si fanno i bisogni. è sicuramente migliore rispetto ad altri istituti penitenziari anche abruzzesi perché ha la doccia nella stanza di detenzione e non le docce comuni e questo riduce di molto la possibilità di stupri e violenze mentre ci si lava insieme. Infatti, come ci hanno detto diversi detenuti intervistati, la casa circondariale teatina, funziona sicuramente meglio di altre strutture perché ci si conosce più o meno tutti. Segnale indicativo del buon lavoro del personale e dell’umanità della struttura teatina è che ci sono stati casi di detenuti che dopo aver commesso dei reati, raggiunti in latitanza da condanne da scontare in carcere, si sono andati a consegnare proprio al Carcere di Chieti. L’unico vero neo è il sovraffollamento per cui l’Italia con la sentenza "Torregiani" è stata condannata. Per ovviare a questo problema sono state aperte le camere di detenzione durante la giornata dalla mattina alle 18.00, permettendo ai detenuti di potersi muovere liberamente nei corridoi e nelle sale dove si svolgono le attività. Ciascun detenuto nel carcere di Chieti svolge almeno due, tre attività trattamentali durante la settimana. Questo ha ridotto di gran lunga il numero delle ore in cui c’è il sovraffollamento che in pratica persiste soltanto la notte con problemi sopratutto nel periodo estivo in cui fa più caldo. Ma, non è tutto oro ciò che luccica. Esiste comunque una discrepanza fra il giudizio che danno del penitenziario i detenuti di sesso maschile da quello che dello stesso danno le detenute donne. Infatti, se la situazione è di gran lunga positiva per gli uomini, resta più critica per la sezione femminile dove lo spazio nel corridoio non è molto ampio e questo annulla gran parte del beneficio che si ottiene con le celle aperte durante la giornata. Inoltre, le attività da svolgere per le detenute sono ridotte rispetto a quelle per gli uomini. Questo, soprattutto perché il carcere di Chieti è una struttura penitenziaria prettamente maschile. A tal proposito, pubblichiamo due stralci delle interviste fatte ai detenuti, la prima in una stanza di detenzione maschile, la seconda in una stanza di detenzione femminile proprio per far vedere la differenza di giudizio fra gli uomini e le donne a riguardo di una struttura che secondo la maggioranza resta comunque un "isola felice" rispetto ad altri penitenziari come ci hanno detto nel film anche dei detenuti provenienti da altre realtà. Immigrazione: con lo "svuota-carceri" più detenuti rimpatriati senza passare per i Cie di Elvio Pasca www.stranieriinitalia.it, 21 febbraio 2014 Il Senato converte in legge il decreto del governo. Aumentano i casi di espulsione come alternativa alla detenzione, identificazione anticipata appena si entra in carcere. Ieri il Senato ha approvato ieri definitivamente, con 147 voti favorevoli, 95 contrari e nessun astenuto , il ddl n. 1288 di conversione del decreto-legge 146/2013, in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria. Un testo soprannominato "svuota-carceri" che prevede interventi specifici anche per i detenuti stranieri. Non potrebbe essere altrimenti, se si considera che al 31 gennaio scorso, a fronte di una capienza regolamentare di 47.711 posti, nei penitenziari italiani erano presenti 61.449 detenuti e, tra questi, ben 21.167, il 34%, erano cittadini stranieri. Lo "svuota carceri" interviene sull’ l’articolo 16 del testo unico sull’immigrazione, aumentando i casi in cui ai detenuti stranieri si applica l’espulsione come alternativa al carcere quando devono scontare una pena, anche residua, non superiore ai due anni. Vengono esclusi da questa procedura i condannati per reati particolarmente gravi e, specificatamente, i trafficanti di uomini. Un altro intervento significativo, che traduce in legge una prassi finora applicata con difficoltà nei nostri penitenziari, riguarda l’identificazione per l’espulsione di questi detenuti, che inizierà appena entrano in carcere in modo da poterli effettivamente rimpatriare quando usciranno. La Polizia interesserà subito le autorità consolari dei Paesi di provenienza e il ministero dell’Interno si coordinerà con quello della Giustizia. È una misura che dovrebbe ridurre uno dei problemi maggiori dei Centri di Identificazione ed Espulsione, dove transitano molti ex detenuti in attesa di rimpatrio. Questo genera sovraffollamento nelle strutture, costringe gli ex detenuti a un ingiusto "supplemento di pena" e fa convivere in condizioni già molto difficili persone che sono finite nei Cie solo perché erano prive di un permesso di soggiorno e persone che hanno commesso crimini di gran lunga più gravi. Droghe: Anzaldi-Gelli (Pd); liberalizzare? Veronesi va fuori tema, serve depenalizzazione Il Velino, 21 febbraio 2014 "Il professor Umberto Veronesi lancia un appello a liberalizzare la cannabis, ma va fuori tema e presenta argomentazioni superficiali. Dopo la sentenza della Consulta sulla Fini-Giovanardi, la vera priorità è discutere di depenalizzazioni e nel caso di ipotesi di legalizzazione". È quanto dichiarano i deputati del Partito democratico Michele Anzaldi e Federico Gelli, componente della commissione Affari Sociali della Camera. "Invece di discutere di liberalizzazioni - spiegano i due deputati Pd - lo Stato deve risolvere in maniera rapida i problemi che derivano dalla sentenza della Corte, a partire da coloro che sono stati spediti in carcere con pene pesantissime per il consumo di droghe leggere, circa 10mila persone detenute ingiustamente. Deve essere il legislatore a garantire una seria depenalizzazione e, se ci sono le condizioni, a valutare forme di legalizzazione uguali per tutte le regioni. Parlare di liberalizzazione significa cercare titoli a effetto, senza pensare a soluzioni concrete e realizzabili". "Veronesi, sensibile ai diritti e alla questione sociale delle carceri, - aggiungono Gelli e Anzaldi - potrebbe utilizzare la sua grande visibilità per aiutare a sensibilizzare l’opinione pubblica per un dibattito serio, invece di alimentare luoghi comuni e facili appelli". Stati Uniti: New York vuole diminuire il numero dei detenuti in regime di isolamento Tm News, 21 febbraio 2014 Decisione di proporzioni storiche: sarà vieta per i minorenni e per le donne incinte e porrà lo Stato all’avanguardia per la difesa dei diritti dei carcerati Lo Stato di New York si prepara a prendere una decisione storica sulla questione dei detenuti in isolamento con una riforma che dovrebbe diminuire il numero di prigionieri in queste condizioni e vietare la pratica per i minori di 18 anni. Con questa riforma New York diventerebbe il più grande sistema penitenziario americano ad approvare un provvedimento del genere, soprattutto per quanto riguarda i minori. La rivoluzione è contenuta in un documento depositato in un tribunale dello Stato dalla New York Civil Liberties Union, l’associazione che rappresenta tre prigionieri che hanno avanzato tale richiesta. Inoltre i funzionari dei penitenziari non potranno più usare l’isolamento solitario come misura punitiva per donne incinte e la punizione avrà un limite di trenta giorni per le persone disabili e con ritardi mentali. Le nuove linee guida del provvedimento per la prima volta coinvolgeranno tutti i prigionieri e non solo - come succede ora - solo coloro che si trovano in carcere per violenze e per reati legati alla droga. "Lo Stato di New York ha fatto la cosa giusta impegnandosi in una riforma completa del modo in cui viene usato l’isolamento estremo, una pratica dannosa e disumana che per anni è stata usata come prima punizione" nelle prigioni, ha detto Donna Lieberman, a capo dell’associazione. Altri Stati americani - inclusi il Colorado, il Mississippi e lo Stato di Washington - stanno valutando di cambiare le regole sul confinamento solitario e la prossima settimana il sottocomitato Giustizia del Senato prenderà in considerazione la questione. Ma la scelta di New York è di proporzioni storiche, vista la grandezza del suo sistema penitenziario: lo Stato potrà dare l’esempio e porsi all’avanguardia di un cambiamento che in futuro potrebbe cancellare "una misura punitiva che negli Stati Uniti in una forma o nell’altra è stata adottata negli ultimi decenni in quasi tutti gli Stati Uniti", ha concluso Taylor Pendergrass, il legale che sta guidando la causa per la New York Civil Liberties Union. Arabia Saudita: condanne fino a 20 anni di carcere per 7 manifestanti anti governativi Aki, 21 febbraio 2014 Da sei a venti anni di carcere sono stati inflitti da un Tribunale saudita a sette manifestanti di Qatif per aver contestato il governo di Riad. Lo riferiscono i media locali, spiegando che ai sette è stato anche imposto il divieto di espatrio per la durata della pena. Gli imputati, che faranno appello, sono stati riconosciuti colpevoli di aver "preso parte alle proteste", "intonato slogan contro lo Stato" e di "possesso e realizzazione di bombe Molotov". Uno degli imputati è stato anche condannato a 80 frustate per consumo di alcolici. Venezuela: Presidente degli Stati Uniti Obama chiede liberazione manifestanti detenuti Ansa, 21 febbraio 2014 Il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha chiesto "la liberazione" delle persone arrestate durante le manifestazioni antigovernative di questi giorni in Venezuela, invitando, inoltre, il presidente Nicolas Maduro al dialogo. Dopo aver definito "inaccettabile" la violenza nel paese, Obama ha respinto le "false accuse" di Caracas contro gli Stati Uniti. "Il Venezuela cerca di sviare le proprie carenze con accuse" contro Washington, ha precisato il presidente degli Stati Uniti, che si trova in Messico per un vertice a tre insieme al Canada. Maduro aveva ordinato questa settimana l’espulsione da Caracas di tre diplomatici statunitensi. "Il governo dovrebbe concentrarsi nel venire incontro alle legittime richieste dei venezuelani", ha aggiunto Obama. Tunisia: presidente Marzouki grazia autore vignetta offensiva su Maometto Nova, 21 febbraio 2014 Il presidente tunisino, Moncef Marzouki, ha emesso un decreto con il quale è stata concessa la grazia al giovane Jaber el Majari, detenuto in carcere dal 2012 per aver diffuso a mezzo stampa una vignetta, ritenuta offensiva, raffigurante il profeta dell’Islam Maometto. L’annuncio è stato dato dalla presidenza della Repubblica tunisina senza ulteriori informazioni sui termini della grazia. Secondo quanto riferito da un’opinionista all’emittente radiofonica "Shams Fm", tuttavia, sembrerebbero esserci altri procedimenti penali a carico del giovane.