Giustizia: il Senato ha rinviato ad oggi l’esame del decreto-carceri, si vota entro le 14 Tm News, 19 febbraio 2014 Ieri pomeriggio sono stati sospesi i lavori d’aula al Senato, impegnata con la conversione dei decreti legge in scadenza. Lo ha deciso la Conferenza dei Capigruppo che ha accolto, a maggioranza, la richiesta di rinvio di alcuni gruppi di opposizione convocati stamani per le consultazioni sul nuovo governo dal presidente del Consiglio incaricato Matteo Renzi. È stato quindi rinviato ad oggi, con inizio alle 10,30 e voto finale per le 14, l’esame in aula del decreto sulle carceri. Governo: nessuno contesta dato di fatto emergenza carceraria "Ho ascoltato molti interventi negativi, ma nessuno ha contestato un dato di fatto: l’emergenza carceraria. Il Governo si è confrontato con questa emergenza con risultati molto positivi. Questo è stato possibile grazie a due leve: gli effetti del Piano carceri e gli effetti dei provvedimenti messi in atto, come il decreto carceri del 2013 e questo" in discussione in Aula al Senato. Lo ha detto il sottosegretario al ministero della Giustizia Giuseppe Berretta, intervenendo al termine della discussione generale al dl carceri. M5S: voto entro le 14? si vuol applicare la tagliola Il gruppo di M5S la Senato non è soddisfatto della sospensione dei lavori d’aula di ieri pomeriggio, mentre le commissioni hanno continuato a lavorare. In particolare, il capogruppo pentastellato Vincenzo Santangelo protesta per la decisione di votare entro le 14 di oggi il decreto-carceri, su cui ci sono circa 400 emendamenti da esaminare. "Si vuol mettere la tagliola, è assurdo" commenta Santangelo che ripresenterà la questione in Aula quando si voterà il calendario uscito a maggioranza dalla capigruppo. Giustizia: Dna; mancano strutture per 41bis, difficile impedire comunicazioni all’esterno Ansa, 19 febbraio 2014 Sono sempre di più i detenuti sottoposti al 41 bis, ma mancano carceri adeguate a questo regime. L’allarme arriva dalla Direzione nazionale antimafia nella sua relazione annuale. È elevato, osserva la relazione, il numero di detenuti al 41 bis grazie ai successi investigativi, ma esso "non può andare a scapito della qualità del servizio". Le strutture che ospitano i detenuti sottoposti al 41 bis, prosegue la Dna, "sono nate spesso come strutture carcerarie femminili, nate dunque con lo scopo, ben diverso ed addirittura opposto a quello che deve realizzare il regime di cui all’art. 41 bis, di promuovere la socialità tra le detenute e con le conseguenti difficoltà strutturali che tali istituti hanno nell’impedire le comunicazioni interne alle carceri, nel senso che le celle spesso si trovano sullo stesso corridoio e che tale situazione rende, appunto, molto difficile impedire comunicazioni tra i detenuti, che poi possono essere veicolate in via indiretta all’esterno (ad es. attraverso familiari di altri detenuti)". Secondo la relazione, "se l’azione dello Stato sul territorio è vincente, essa non può subire rallentamenti per carenze di struttura e proprio nel mondo delle carceri. Anzi, tali strutture devono essere potenziate con maggiori investimenti e la creazione di nuove aree riservate ai detenuti sottoposti al regime in argomento". In questo senso, aggiunge, "diviene sempre più necessario individuare nel piano carceri nuove strutture idonee, nate esclusivamente per l’assolvimento della funzione di prevenzione prevista dall’art. 41 bis, e da destinare in via esclusiva a tale scopo". Bindi: riflettere su efficacia 41 bis "L’imponente operazione della Dia e della Dda di Catania guidata da Giovanni Salvi che, in collaborazione con i colleghi tedeschi, ha permesso di neutralizzare le attività criminali della famiglia di Orazio Privitera, detenuto al 41 bis è un colpo significativo ad una pericolosa cosca mafiosa che, attraverso la moglie del boss, continuava ad esercitare il controllo del territorio con pesanti intimidazioni su diverse attività economiche fino alla truffa sui fondi europei per l’agricoltura". Lo dichiara l’on. Rosy Bindi, presidente della Commissione Antimafia. "Il fatto che le donne, mogli o sorelle dei boss, prendano il posto degli uomini alla guida dei clan - aggiunge Bindi - rende necessario approfondire la riflessione sull’efficacia del 41 bis e sulle misure più adeguate a tagliare i collegamenti tra mafiosi dentro e fuori dal carcere". Giustizia: Legambiente a Procuratore Gratteri "no riapertura carceri Pianosa e Asinara" www.greenreport.it, 19 febbraio 2014 Ieri a Presa Diretta, il programma di inchiesta di Rai 3 condotto da Riccardo Iacona, il procuratore aggiunto della Dda di Reggio Calabria Nicola Gratteri, tra le tante condivisibilissime cose che ha detto sulla lotta alle mafie e la crisi della giustizia in Italia, ha sollecitato anche la riapertura dei carceri speciali di Pianosa e Asinara per metterci nuovamente i mafiosi, n’dranghetisti e camorristi più pericolosi. Legambiente gli ha scritto una lettera aperta nella quale sottolinea che "È stato importante ieri sera sentirLa parlare a Presa Diretta di lotta alle mafie, vedere i successi dell’azione della sua Procura contro la criminalità organizzata e le operazioni che hanno portato in carcere pericolosi esponenti della ‘ndrangheta. Molte di quelle inchieste, come pure Lei ha sottolineato, avevano al centro reati di violenta aggressione al territorio: basti pensare all’operazione Metropolis che ha portato al sequestro di numerosi villaggi turistici sulla costa jonica calabrese, un’illecita speculazione più volte denunciata dalla nostra associazione. Grazie ancora quindi per quanto sta facendo per il nostro Paese e per la tutela del suo territorio. C’è però una cosa sulla quale ci permetta di dissentire dalle sue affermazioni. È quando parla di riapertura delle carceri di Pianosa e Asinara per utilizzarle come luogo di detenzione di mafiosi, camorristi e ‘ndranghetisti più pericolosi". Il presidente nazionale del Cigno Verde scrive: "Spiace dirlo, dott. Gratteri, ma Lei ripropone il modello delle isole blindate del cui fallimento, gestionale ed economico, il Parlamento Italiano ha preso atto ormai 18 anni fa, trasformando quelle isole in territori di parchi nazionali, così come ha fatto l’Unione Europea. Noi pensiamo che nuovi carceri per i detenuti pericolosi a Pianosa e all’Asinara sarebbero proprio il contrario di quanto ha sostenuto in maniera molto convincente in chiusura del suo intervento, si tradurrebbero cioè in un incredibile spreco di soldi e risorse umane. Riaprire quelle carceri sarebbe molto più costoso e richiederebbe molto più tempo che costruirne di nuovi in continente o utilizzare quelli costruiti eppure mai aperti. Per non parlare dei costi di gestione stratosferici che nel 1996 portarono il Parlamento a optare per la loro chiusura. È illusorio anche ritenere che strutture carcerarie sulle isole siano garanzia di maggiore sicurezza, come dimostra l’inutile, costosissimo e fatiscente muro cosiddetto "Dalla Chiesa" che sfregia Pianosa tagliandola a metà". Il presidente di Legambiente ribadisce quanto la sua associazione va dicendo da tempo in Toscana e Sardegna: "Noi riteniamo ci sia un malinteso senso di risparmio ed efficienza collegato alla presenza di carceri sulle isole, come fosse sufficiente dare un po’ d’aria e una rinfrescata alle pareti per riempirle nuovamente di detenuti a costi contenuti. In realtà attivare strutture del genere significherebbe sostenere costi di ristrutturazione, di gestione e di sorveglianza enormi, ben più alti di quelli necessari per realizzare una struttura ex novo sulla terraferma. Si può discutere se la gestione che lo Stato ha fatto di questi ex penitenziari sia all’altezza degli impegni e delle potenzialità (enormi) delle due isole, ma quello che è certo è che anche le esperienze carcerarie insulari più avanzate e meno "dure" sono in crisi e che il modello di valorizzazione di questi luoghi è quello del turismo sostenibile, a mare ed a terra, e dell’agricoltura di qualità che si sta sperimentando, tra mille difficoltà burocratiche, proprio a Pianosa". Cogliati Dezza conclude: "Altra cosa sarebbe, come Legambiente ripete da tempo, la presenza nelle due isole di un nucleo di detenuti a bassa pericolosità che serva anche alla loro formazione professionale nel campo del recupero edilizio e dell’agricoltura sostenibile in ambienti semi-aridi mediterranei. Una presenza che potrebbe essere di supporto ad altre attività economiche, turistiche ed educative, e che rappresenti per quelle isole una risorsa per la riabilitazione dei detenuti e per le comunità locali vicine. I Parchi hanno riaperto isole chiuse, non possiamo tornare a blindarle dopo 20 anni". Giustizia: Senatori Pd; basta proroghe per chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari Adnkronos, 19 febbraio 2014 "No ad una ulteriore proroga della chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari, senza introdurre precisi vincoli di legge che favoriscano le dimissioni e le misure alternative alla detenzione". È l’ appello unanime lanciato dai senatori Pd in Commissione Igiene e Sanità di Palazzo Madama e dal Comitato Stop Opg al ministro della Salute e alle Regioni, in un incontro che si è svolto questa mattina a Palazzo Madama. I senatori propongono "l’istituzione di una Autorità dedicata" al superamento definitivo degli Opg, "composta dai rappresentanti dello Stato (ministeri Salute e Giustizia), delle Regioni e della pubblica amministrazione - spiega Nerina Dirindin, capogruppo Pd in Commissione Sanità - che vigili sui tempi di attuazione. Una vera e propria governance che coinvolga tutti gli attori interessati". "Il 1 aprile - ricorda Dirindin - scade il termine per il superamento degli Opg e ci troviamo ancora una volta di fronte all’ennesima richiesta di proroga, almeno 4 anni, da parte della Conferenza delle Regioni per la costruzione delle Residenze per l’esecuzione della misura di sicurezza (Rems). Consideriamo inaccettabile il rinvio e intollerabile la motivazione. Non si può - incalza - derubricare il superamento degli Opg, luoghi indegni di un Paese civile, a mera questione di lavori pubblici. Si tratta di garantire il diritto alla salute mentale dei detenuti superando una logica manicomiale che rischia di compromettere la vita futura di molte persone. Vogliamo quindi sollecitare il ministro e le Regioni a dare risposte concrete e urgenti per il superamento degli Opg". "Sono necessari precisi vincoli di legge - prosegue la senatrice - che favoriscano le dimissioni e le misure alternative alla detenzione, che frenino gli ingressi impropri e pongano fine alle proroghe detentive dovute, più che alla pericolosità della persona, all’incuria delle istituzioni che dovrebbero farsi carico di costruire un credibile progetto terapeutico riabilitativo individuale (Ptri). Il tempo dell’attesa è finito", conclude Dirindin. "Occorre lavorare concretamente per l’effettivo e definitivo superamento degli Opg e il rafforzamento dei servizi di salute mentale". Giustizia: "L’imputato è innocente"… ma lui è morto in carcere 15 anni fa di Francesco La Licata La Stampa, 19 febbraio 2014 Non finisce di stupire la storia buia dell’inchiesta sulla strage della casermetta di Alcamo Marina (27 gennaio 1976), che costò la vita ai carabinieri Carmine Apuzzo e Salvatore Falcetta, assassinati nel sonno con una vera e propria operazione da commando militare. Né gli autori, né tantomeno il movente delle feroce aggressione sono mai stati individuati. Al contrario - adesso si può affermare con certezza - furono condannati quattro innocenti, solo dopo quasi quarant’anni riconosciuti tali e vittime di un colossale depistaggio che, forse, servì a coprire ben altre congiure. L’ultimo atto di questa lunga ed incredibile spy-story è dello scorso lunedì, quando la corte d’appello di Catania, sentenziando a conclusione del processo di revisione chiesto dai familiari dell’ultimo imputato a suo tempo condannato ingiustamente , ha "assolto" con formula piena Giovanni Mandalà, morto in carcere per un tumore nel 1998. È terrificante il bilancio di questa incredibile trama: due servitori dello Stato assassinati senza pietà e quattro ragazzi senza colpe "scelti" come capro espiatorio per rabbonire l’opinione pubblica e coprire l’inconfessabile movente della strage. Vale la pena riassumerla per sommi capi, l’intera vicenda. Dopo la scoperta dei cadaveri dei militari, avvenuta tra l’altro in modo rocambolesco ad opera della scorta dell’on. Giorgio Almirante, allora segretario del Msi, le indagini furono immediatamente indirizzate a sinistra, nell’ambito di un terrorismo rosso che in Sicilia non esisteva. Il "gancio" che consente l’operazione è Giuseppe Vesco, un ragazzo vagamente di sinistra che finisce per accusare amici e coetanei: Giuseppe Gulotta, Giuseppe Ferrantelli e Gaetano Santangelo. Confessa Vesco e poi anche gli altri parlano. Ma molti anni dopo - grazie alla crisi di coscienza di Renato Olino, uno dei carabinieri che "interrogarono" i sospettati, si saprà che quelle confessioni furono ottenute con la tortura. Vesco verrà trovato impiccato in cella, protagonista di un poco probabile suicidio, dal momento che, privo di una mano com’era, difficilmente avrebbe potuto approntare il nodo per uccidersi, come pure difficilmente avrebbe potuto inserire il colpo in canna nella pistola automatica che deteneva al momento del suo arresto. Insomma qualche dubbio di messinscena avrebbe dovuto turbare la coscienza della magistratura di allora, ma i carabinieri - comandati dal capitano Giuseppe Russo (poi ucciso dalla mafia) - la spuntarono. Ferrantelli e Santangelo, in un momento di libertà provvisoria, "emigrarono" in Brasile per tornare soltanto l’anno scorso, dopo la seconda sentenza di revisione. Giuseppe Gulotta, invece, dovette scontare 22 anni di carcere prima che - aiutato dagli avvocati Rosario Lauria e Pardo Cellini - tentasse la carta disperata di una revisione che sembrava impossibile. Due anni fa, Gulotta fu dichiarato innocente e adesso chiede allo Stato un mega risarcimento per l’ingiusta detenzione e, soprattutto, per la violenza subita e certificata agli atti del processo. Ma c’è un’ulteriore indecenza, venuta fuori durante le udienze che hanno portato alla riabilitazione del povero Mandalà, morto senza neppure la soddisfazione di esser riconosciuto innocente. Il dibattimento di Catania ha potuto stabilire con certezza che, a suo tempo, i carabinieri si macchiarono di frode processuale, nascondendo ai giudici prove importanti. Su una giacca del Mandalà era stata trovata una macchia di sangue dello stesso gruppo di una delle vittime: la prova della sua presenza sulla scena del crimine. La difesa ipotizzò che quella macchia fosse stata "trasportata", ma i giudici scartarono l’ipotesi perché non risultava da nessun atto che i carabinieri fossero in possesso di campioni del sangue dei due militari uccisi. E invece non era così: gli avvocati Cellini e Lauria hanno esibito un verbale del 6 febbraio del 1976 - documento nascosto ai giudici della prima Corte d’assise - che prova il contrario. I carabinieri conservavano due provette col sangue di entrambe le vittime e dunque - dicono i legali - "esiste la prova di una contraffazione della verità processuale, venuta fuori a distanza di oltre 36 anni". Peccato che Mandalà non abbia potuto ascoltare la sentenza. Umbria: Garante detenuti; si abbassa quorum per la nomina, ma ancora non c’è un nome www.umbria24.it, 19 febbraio 2014 Locchi: "Atto necessario perché incapaci di una soluzione condivisa". Lignani: "Figura inutile". I Radicali: "Aspettiamo da 8 anni". Dopo un’infinità di rinvii e polemiche, il consiglio regionale ha approvato la modifica (varata in commissione) alle procedure di nomina del Garante dei detenuti con l’abbassamento del quorum: a partire dalla quarta votazione la designazione può avvenire con la maggioranza assoluta dei consiglieri regionali (fino alla terza con i 2/3). Previsto, inoltre, un tetto massimo del 20% dell’indennità di un consigliere regionale quale compenso per l’incarico e una norma transitoria. Accolto l’emendamento dell’opposizione che in prima applicazione prevede la decadenza del garante a fine legislatura e la sua rieleggibilità. Le votazioni L’Assemblea legislativa dell’Umbria ha approvato la modifica con 14 sì (Partito democratico, Italia dei valori, Comunista umbro, Partito socialista) 8 no (Forza Italia, Nuovo Centrodestra, Fratelli d’Italia e Lega nord) e 2 astenuti (Brega e Smacchi, Pd) la legge (proposta da Dottorini-Idv, Stufara Prc-Fds e Locchi Pd). Respinto l’emendamento Cirignoni (Lega nord) che proponeva di assegnare le funzioni del garante a presidente e vicepresidente della Terza Commissione consiliare. Approvato invece con 21 sì, 2 contrari (Goracci - Cu e Brutti- Idv) e 1 astenuto (Brega), l’emendamento Lignani (FdI) - Nevi (FI) che introduce una norma transitoria per la quale in prima applicazione il garante resta in carica fino alla fine della legislatura e può essere rieletto. Incapaci di un nome condiviso Il relatore Renato Locchi (Pd) ha spiegato che "si tratta di un’integrazione che prende atto dell’esperienza vissuta in questo Consiglio regionale nel corso degli ultimi mesi. Le motivazioni per le quali fu varata la legge rimangono e nel frattempo diverse Regioni hanno già nominato il garante. A questa modifica arriviamo dopo che questo Consiglio regionale non è stato in grado di dare esecuzione a una legge che si era dato. Sono state fatte quattro votazioni, al massimo in due occasioni sono stati raggiunti 18 voti mentre ne servono 21. Su questo punto, da mesi e mesi giaceva una proposta a firma di Dottorini, che devo dire abbiamo messo su un binario morto perché volevamo arrivare alla nomina con 21 voti, ma se questo Consiglio regionale si è dimostrato non all’altezza di fare una nomina occorre introdurre il principio della modifica del quorum alla quarta votazione". Minoranza resta contraria Il relatore di minoranza Andrea Lignani Marchesani ha spiegato che "la contrarietà dell’opposizione è basata su due principi: il primo è che non si può scegliere un soggetto che dovrebbe essere garante con una maggioranza semplice, soprattutto in ragione del delicato ruolo che deve esercitare; l’altro è che il garante delle carceri non dovrebbe nemmeno esistere. Non per una questione di costi della politica ma perché il consigliere regionale è di per se stesso il garante delle carceri, dato che visitare le carceri della regione è una sua prerogativa. Faremo di tutto per evitare che questa norma possa in andare in porto e, come atto di dissenso, abbandoneremo l’Aula in sede di votazione". Il dibattito Nel corso del dibattito, Orfeo Goracci ha rimarcato come "le altre Regioni che hanno istituito il Garante lo hanno anche eletto, l’Umbria no. Spero che non appena approvata questa modifica, nella prossima seduta, si possa procedere alla nomina". Gianluca Cirignoni (Lega) ritiene che "questa figura debba essere una figura non a titolo oneroso, una figura gratuita, e chi può meglio occuparsi di fare il garante se non il presidente e il vice presidente della Commissione legata agli Affari sociali della nostra Regione?". Il ‘padrè della modifica Oliviero Dottorini sottolinea che "legge sul garante risale ormai al 2006 e noi siamo una delle poche Regioni che ancora non hanno provveduto alla sua elezione. Il garante non sarà risolutivo dei problemi gravi e pesanti che vivono le nostre carceri, ma potrà rappresentare un faro puntato su una realtà di grande disagio in cui, a volte, la dignità è messa seriamente in discussione. Lancio un appello perché si metta al più presto all’ordine del giorno il tema dell’elezione del garante: per noi un dovere morale oltre che un dovere politico". Radicali: subito la nomina Secondo i radicali Andrea Maori e Michele Guaitini "l’approvazione della nuova legge regionale sul garante dei detenuti contiene un paradosso: è la terza legge regionale che regolamenta le funzioni di questa importante figura istituzionale, ma senza che sia mai stata approntata la nomina. Sono otto anni che attendiamo che la legge venga attuata e per otto anni i radicali umbri, insieme alle associazioni di volontariato, si sono battuti. Adesso, di fronte all’emergenza-carcere per cui l’Italia è condannata in tutte le sedi internazionali per le condizioni disumane e degradanti in cui vengono tenuti i detenuti, questa figura risulta molto importante, perché deve svolgere un ruolo di collegamento tra le varie figure del mondo carcerario e con l’opinione pubblica in grado di risolvere spesso problemi molto concreti. Per fare in modo che la nomina sia attuata nel modo più trasparente e serio possibile, chiediamo ai consiglieri di attingere dall’elenco dei candidati selezionati nel 2013 dall’Ufficio di presidenza con un’audizione nelle commissioni consiliari competenti e arrivare rapidamente al voto in consiglio". Provveditorato Sempre in tema di carceri, il consiglio ha approvato all’unanimità una mozione per il mantenimento in Umbria del provveditorato regionale dell’Amministrazione penitenziaria. L’atto prende il via dalle notizie circolate sulla proposta del Capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria di sopprimere il Provveditorato dell’Umbria per accorparlo a quello del Lazio. Se queste voci fossero vere, è scritto nella mozione, "si rischierebbe di perdere un’esperienza virtuosa che negli ultimi anni, anche grazie alla collaborazione con la Regione, ha portato a buoni risultati soprattutto per l’attenzione rivolta ai problemi del sistema degli Istituti penitenziari e alle condizioni e alla qualità della vita dei detenuti". Tutti i gruppi consiliari hanno sottoscritto e votato la mozione che impegna la Giunta regionale ad attivare ogni iniziativa utile per mantenere nella regione Umbria la governance del comparto penitenziario regionale, conservando la sede del provveditorato a Perugia. Dottorini (Idv): approvazione legge sui carceri forte segnale di attenzione "Non potevamo continuare ad assistere al gioco dei veti incrociati che dal 2006 ad oggi hanno impedito la nomina di una figura di garanzia fondamentale": il consigliere regionale Oliviero Dottorini (capogruppo Italia dei Valori) commenta l’approvazione da parte dell’Assemblea legislativa della legge, di cui è primo firmatario, che abbassa il quorum per l’elezione del garante dei detenuti. Per Dottorini ora "non è più rinviabile l’elezione del garante. Occorre scegliere persona competente, con esperienza e senza legami con partiti politici". "Non potevamo continuare ad assistere al gioco dei veti incrociati che dal 2006 ad oggi hanno impedito la nomina di una figura di garanzia fondamentale": il consigliere regionale Oliviero Dottorini (capogruppo Italia dei Valori) commenta l’approvazione da parte dell’Assemblea legislativa della legge, di cui è primo firmatario, che abbassa il quorum per l’elezione del garante dei detenuti. Per Dottorini ora "non è più rinviabile l’elezione del garante. Occorre scegliere persona competente, con esperienza e senza legami con partiti politici". "Non potevamo continuare ad assistere al gioco dei veti incrociati che dal 2006 ad oggi hanno impedito la nomina di una figura di garanzia fondamentale per la vita e la dignità di chi è sottoposto a misure restrittive. L’Umbria è rimasta una delle poche Regioni in Italia a non essersi ancora adeguata ai dettami della legge. Ed è un primato davvero poco invidiabile". Con queste parole il consigliere regionale Oliviero Dottorini (capogruppo Idv) commenta l’approvazione da parte dell’Assemblea legislativa dell’Umbria della legge, di cui è primo firmatario, che abbassa il quorum per l’elezione del garante dei detenuti. Dottorini, che nella nota fa riferimento anche al suo ruolo di presidente dell’associazione "Umbria migliore", aggiunge: "Con la previsione che per l’elezione del garante dopo la terza votazione sarà sufficiente la maggioranza semplice, come avviene per tutte le elezioni di figure apicali, istituzionali e non, abbiamo reso realmente possibile l’istituzione di una figura che non sarà certo risolutiva dei gravi problemi carcerari, ma potrà rappresentare sicuramente un faro puntato su una realtà di grande disagio in cui a volte la dignità delle persone risulta seriamente compromessa. L’attuale legge - spiega Dottorini - si prestava a boicottaggi anche da parte di minoranze di blocco che non sono previste per nessuna nomina o elezione, neppure per quella del presidente della Repubblica. Su un tema così importante, che riguarda la dignità e i diritti delle persone, è bene invece sgomberare ogni tentazione di far prevalere interessi di bottega su quelli collettivi. Un tale atteggiamento vanificherebbe il tentativo stesso che avevamo proposto e sostenuto con forza di sottrarre questo tipo di nomine dalle spartizioni partitiche, basandoci esclusivamente su competenze e sensibilità dimostrate sul campo". "Adesso - continua Dottorini - dobbiamo procedere spediti all’elezione, scegliendo una persona competente e con esperienza, fuori dalla spartizione partitica e il più possibile condivisa, consapevoli che la scelta non è più rinviabile. La procedura scelta, quella del bando pubblico, è sicuramente condivisibile. Oggi abbiamo disinnescato i meccanismi perversi che fino ad oggi ne hanno impedito la nomina. Adesso - conclude - tocca alla politica dimostrare la volontà di giungere a una soluzione per affrontare una situazione non degna di un paese civile". Umbria: approvata mozione per mantenimento del Provveditorato regionale del Dap Agenparl, 19 febbraio 2014 L’Assemblea legislativa dell’Umbria ha approvato all’unanimità una mozione per il mantenimento in Umbria del provveditorato regionale dell’Amministrazione penitenziaria. L’atto prende il via dalle notizie circolate sulla proposta del Capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria di sopprimere il Provveditorato dell’Umbria per accorparlo a quello del Lazio. Se queste voci fossero vere, è scritto nella mozione, "si rischierebbe di perdere un’esperienza virtuosa che negli ultimi anni, anche grazie alla collaborazione con la Regione, ha portato a buoni risultati soprattutto per l’attenzione rivolta ai problemi del sistema degli Istituti penitenziari e alle condizioni e alla qualità della vita dei detenuti". Tutti i gruppi consiliari hanno sottoscritto e votato la mozione che impegna la Giunta regionale ad attivare ogni iniziativa utile per mantenere nella regione Umbria la governance del comparto penitenziario regionale, conservando la sede del provveditorato a Perugia. Liguria: il Presidente Burlando effettua sopralluogo a lavori teatro nel carcere di Marassi Italpress, 19 febbraio 2014 Il presidente della Regione Liguria Claudio Burlando, insieme con l’assessore Raffaella Paita, oggi, alle ore 16.30 farà un sopralluogo ai lavori per la realizzazione del Teatro dell’Arca, all’interno della Casa Circondariale di Genova Marassi. Il teatro sarà gestito dall’associazione culturale onlus "Teatro Necessario" per promuove le attività tra detenuti, studenti e operatori come strumenti di integrazione e di riabilitazione attraverso la produzione di manifestazioni di valore sociale e di qualità artistica. Santa Maria Capua Vetere (Ce): Sappe; un detenuto quarantenne si impicca in cella Gazzetta di Caserta, 19 febbraio 2014 "Un detenuto si è tolto la vita nel carcere di S. Maria Capua Vetere". Lo afferma Donato Capece, leader del Sappe (Sindacato autonomo di Polizia Penitenziaria), che spiega: "Un detenuto 40enne, napoletano ma residente a Teverola, nel Casertano, si è impiccato in cella subito dopo un colloquio con i familiari". "Era detenuto per reati associativi nel Padiglione Tevere -prosegue Capece - in alta sicurezza. Purtroppo, nonostante il prezioso e costante lavoro svolto dalla Polizia Penitenziaria, con le criticità che l'affliggono, non si è riusciti ad evitare tempestivamente ciò che il detenuto ha posto in essere nella propria cella". Il Sappe sottolinea che "negli ultimi 20 anni le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria hanno sventato, nelle carceri del Paese, quasi 18mila tentati suicidi e impedito che oltre 123mila atti di autolesionismo potessero avere nefaste conseguenze". Il sindacalista non fa nomi, come si usa in questi casi, ma in realtà si tratta del 40enne Mario Cantone di Teverola, arrestato nel giugno del 2013 durante l’operazione "Rischiatutto", ossia il blitz contro l’asse mafia-camorra-ndrangheta per la gestione delle sale da gioco che portò all’arresto di 57 persone. Il monopolio del gioco d’azzardo apparteneva alla holding criminale di Casal di Principe, anche grazie ad un asse con la mafia e la ‘ndrangheta: è anche questo uno degli aspetti al centro dell’operazione "Rischiatutto" ultimo atto dell’operazione che nel giugno del 2013 portò all’arresto di 55 persone. Cinquantasette le ordinanze di custodia cautelare emesse dal Gip Antonella Terzi, 166 i nomi in totale scritti nel registro degli indagati e oltre 450 milioni di euro di beni sequestrati. Gli arresti e i sequestri sono stati eseguiti su tutto il territorio nazionale ed in particolare nelle province di Caserta, Napoli, Frosinone, Modena, Reggio Emilia, Catania. Nel mirino attività economiche del settore del gioco e delle scommesse gestite dalla camorra. Le catture nelle province di Napoli e Caserta, Frosinone, Modena, Reggio Emilia e Catania. Eseguiti sequestri di beni mobili e immobili per 400 milioni di euro. Tra gli arrestati anche esponenti della cosca siciliana dei Santapaola di Catania e di clan del napoletano. L’operazione "Rischiatutto" aveva preso avvio a seguito di atti violenti e vicende societarie che avevano interessato una sala bingo ubicata in Ciociaria ed hanno preso in esame assetti proprietari e collegamenti con la criminalità organizzata arrivando a disvelare una fitta rete di affiliati e prestanome della camorra in grado di acquisire il controllo di rilevanti attività economiche. Era stato scoperto un vasto giro di riciclaggio in sale bingo situate a Nord e a Sud della penisola, e attraverso slot machine e gioco online. Sigilli alla mega struttura Bingo di Teverola, nel Casertano e al Casinò Normanno di Aversa. Gli indagati erano accusati, a vario titolo, di partecipazione e concorso esterno in associazione a delinquere di stampo camorristico, associazione per delinquere finalizzata all’esercizio abusivo dell’attività di gioco e scommesse, illecita concorrenza con violenza e minacce, truffa aggravata ai danni dello Stato, frode informatica, riciclaggio e reimpiego, intestazione fittizia di beni, estorsione e altri delitti aggravati dalle finalità mafiose. Genova: detenuto conficca asta nelle gola di altro carcerato, tentato omicidio a Marassi www.genova24.it, 19 febbraio 2014 "Oltre i numeri da primato che le 7 strutture penitenziarie per adulti liguri annoverano e che le ricordiamo, ovvero poco meno di 1.723 persone a fronte delle 1.042, che per l’anno 2013 ha incoronato la Liguria come regione con il più alto tasso di sovraffollamento ( 65,4% ) in Italia, sono Genova Marassi e Imperia che al momento annoverano gli eventi critici più significativi della Regione, ovvero a Genova Marassi - proprio ieri e solo grazie al tempestivo intervento della Polizia Penitenziaria, si è evitato un omicidio", Lo spiega Fabio Pagani, segretario Uilpa Penitenziari. Presso il Centro Clinico dell’istituto, al secondo piano, un detenuto italiano ha infatti conficcato in gola di un altro detenuto un asta del letto, che ha rischiato di trafiggergli la gola. "Solo grazie all’immediato intervento della Polizia Penitenziaria - dichiara Pagani - e al loro coraggio benché trattasi di detenuti affetti da Hiv/Hcv, si è impedito che lo stesso potesse continuare ad infierire sul ferito (anche lui italiano). Grave episodio anche sabato a Imperia. Così il segretario Regionale della Uil-pa Penitenziari, commenta gli ultimi due gravi episodi in Regione evidenziando quei numeri da primato, ovvero quelli di Marassi di Genova che con una capienza regolamentare di 456 detenuti ne annovera presenti 787 con un esubero di 331 detenuti e un sovraffollamento del 72,6% e quelli di Imperia che con un esubero di 63 detenuti e un sovraffollamento pari al 65,6% con 4 Tentati Suicidi e 22 gli atti di autolesionismo e con una Capienza Regolamentare di 69 detenuti ne annovera 108 - nel concludere il sindacalista della Uil che aggiunge - inviamo un preciso messaggio a Renzi che nell’individuazione del nuovo Ministro, tenga conto dell’assoluta necessità di un cambiamento di rotta e che il Dicastero deve essere affidato a persona capace, competente, con una profonda conoscenza delle questioni che lo riguardano, soprattutto consapevole che le riforme devono essere condivise con le parti sociali nell’ambito di un corretto sistema di relazioni sindacali". Firenze: Osapp; un detenuto di Sollicciano getta candeggina in faccia a un agente www.gonews.it, 19 febbraio 2014 Un detenuto del carcere fiorentino di Sollicciano ha gettato candeggina in faccia ad un agente di polizia penitenziaria che si è fatto medicare in ospedale poiché il liquido lo ha raggiunto anche ad un occhio. È accaduto mentre il detenuto si trovava nella cella, dove disponeva della candeggina per la pulizia del locale. A renderlo noto è l’Osapp, l’Organizzazione sindacale autonoma della polizia penitenziaria. "Mentre si attendono gli sviluppi politici per conoscere chi occuperà la poltrona più importante del ministero della Giustizia, le patrie galere continuano a essere teatri di aggressioni perpetrate ai danni dei Poliziotti Penitenziari", dice Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp. "È auspicabile - conclude Beneduci - che il prossimo Guardasigilli ponga la necessaria attenzione a tutte le problematiche che stanno travolgendo il corpo di polizia posto alle sue dipendenze, perché diversamente le cose non potranno che peggiorare e con esse scadrà sicuramente il livello di sicurezza che il corpo di polizia penitenziaria assicura alla società". Roma: Fp-Cgil Polizia Penitenziaria dichiara stato di agitazione del personale a Rebibbia Ansa, 19 febbraio 2014 Protesta degli agenti nel Carcere di Rebibbia. La Fp-Cgil della Polizia Penitenziaria ha indetto infatti, a partire dal 17 febbraio, lo stato di agitazione per riportare l’attenzione sulle precarie condizioni di lavoro e nella fattispecie, sulla carenza di organico. La dimostrazione sindacale ricorre, ha spiegato l’ente in una nota, "alla straordinaria forma di lotta dell’auto-consegna del personale del nucleo traduzioni e piantonamenti". Tutto questo "per dire basta, basta all’indiscriminato e pericoloso depauperamento dell’organico del nucleo Ntp, che non vede rimpiazzato il personale che va in pensione e che non vede assegnato personale femminile, ormai quasi del tutto assente; basta all’insostenibile aumento del carico di lavoro dovuto all’impegno nel gestire arrestati e estradati, senza le adeguate risorse umane; basta al sacrificio della professionalità, conseguenza della non attuazione dei programmi addestrativi alle tecniche operative di polizia, pure previsti dal contratto di lavoro che obbliga gli operatori a svolgere servizi armati senza neanche la prevista esercitazione di tiro a fuoco nell’arco del semestre; basta all’indolente comportamento dell’amministrazione che ancora oggi non dà risposte in merito all’attuazione del nucleo cittadino, oggetto di tanti sforzi organizzativi e di confronto con i sindacati; alla luce di ciò chiediamo un immediato incontro con la direzione e il provveditore affinché venga istituito un tavolo di confronto ove si possano affrontare concretamente le problematiche suesposte. Nel frattempo continuerà lo stato di agitazione del personale". Campana e Gregori (Pd): vicine al personale di Rebibbia "Nell’esprimere la massima solidarietà agli uomini ed alle donne della Polizia penitenziaria che opera nel carcere di Rebibbia, possiamo affermare che la situazione dell’Istituto è da sempre al centro dell’attenzione delle autorità, ci siamo fatte portavoce e seguiremo personalmente l’intera vicenda, presso le Istituzioni al fine di avere i necessari chiarimenti e garanzie, nell’auspicio di poter produrre una soluzione condivisa alle richieste degli agenti di polizia penitenziaria". Lo dichiarano in una nota congiunta Micaela Campana e Monica Gregori, Deputate del Partito Democratico. Sel: agenti penitenziari occupano a Rebibbia "Una trentina di agenti di polizia penitenziaria del carcere di Rebibbia, che si occupano di trasportare i detenuti, hanno occupato gli uffici del carcere romano in maniera pacifica, garantendo però il servizio. Protestano per la carenza di personale, che li costringe a turni massacranti e ad operare in condizioni di assoluta mancanza di sicurezza per loro stessi e per i cittadini, oltre che per i detenuti". Lo annunciano i deputati di Sel Ileana Piazzoni e Nazzareno Pilozzi, che si trovano con gli agenti. "Gli agenti svolgono anche a servizi al di fuori del carcere - aggiungono i deputati - arresti domiciliari, estradizioni, arresti dal tribunale e piantonamenti presso gli ospedali di Roma e provincia. Non termineranno la protesta fino a quando non arriveranno risposte dal provveditore regionale per l’amministrazione penitenziaria. Sono anche pronti ad intraprendere lo sciopero della fame". I deputati di Sel sottolineano che "si continuano a ignorare non solo i richiami della Corte Europea e del presidente della Repubblica ma anche le richieste dei lavoratori. Le carceri devono essere un luogo dove non si devono violare i diritti dei detenuti e di chi ci lavora ogni giorno. È ormai un’emergenza non più rinviabile". Direttore Rebibbia: giusta e pacifica protesta agenti "Come direttore del carcere della casa circondariale di Rebibbia Nuovo complesso vorrei precisare che è in atto, da ieri, un’auto-consegna, ovvero una presenza continua da parte del personale del nucleo traduzioni e piantonamento dell’istituto. Gli agenti non stanno consumando nemmeno il cibo della mensa dell’istituto perché vogliono, in modo assolutamente pacifico e che garantisce tutti i servizi del reparto, sottoporre all’attenzione delle istituzione la necessità dell’implementazione del personale della polizia penitenziaria". Lo afferma il direttore del carcere di Rebibbia Mauro Mariani. "Il personale della polizia penitenziaria - aggiunge - nel corso di questi anni è diminuito considerevolmente. La direzione vuole sottolineare il contenuto pacifico e collaborativo della protesta e della richieste. Domani incontrerò il personale e mi farò latore delle giuste richieste degli agenti. Tengo a ribadire che gli agenti stanno lavorando e non stanno occupando nel senso classico del termine". Roma: catturato anche il secondo evaso da Rebibbia, era in ospedale a San Benedetto Agi, 19 febbraio 2014 È durata pochi giorni la fuga di Sergio Di Palo, evaso la sera dell’11 febbraio dal carcere di Rebibbia. Gli agenti della Squadra mobile di Roma, in collaborazione con i colleghi di Ascoli Piceno, del Commissariato di San Benedetto del Tronto e della Scientifica della polizia, hanno rintracciato ed arrestato l’uomo, detenuto per spaccio di stupefacenti, nell’ospedale di San Benedetto del Tronto dove era ricoverato dopo l’intervento chirurgico alla gamba fratturata nelle fasi della fuga. Incessante il lavoro messo in campo dagli investigatori e avviato poche ore dopo la rocambolesca evasione. Lavoro che ha consentito di ripercorrere puntualmente tutte le tracce lasciate da Di Palo sino al momento dell’arresto. Lanotte della fuga, l’uomo, 35 anni, si era ferito gravemente ad una gamba: utilizzando un nome falso si è fatto medicare presso l’Ospedale San Filippo Neri, dove dopo poco è stato prelevato da alcuni complici che gli hanno fornito un documento falso ed accompagnato all’ospedale di San Benedetto del Tronto dove è stato ricoverato e operato. Di Palo era evaso calandosi dal muro di cinta del carcere romano insieme con Giampiero Cattini, individuato ed arrestato, sempre dalla Squadra mobile di Roma, il giorno successivo nel quartiere San Basilio. Tamburino (Dap): con arresto Di Palo si chiude cerchio evasi Il capo del Dap (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria), Giovanni Tamburino, commenta la cattura di Sergio Di Palo, il detenuto di 35 anni che insieme a Giampiero Cattini era evaso il 12 febbraio scorso dal carcere di Rebibbia. Di Palo era ricoverato sotto falso nome in ospedale a San Benedetto del Tronto. A individuarlo sono stati gli investigatori della Squadra Mobile di Roma che hanno ricostruito i suoi spostamenti dal momento della fuga e lo hanno arrestato. "Siamo molto soddisfatti di questo risultato - rimarca il capo del Dap - ancora una volta esprimiamo apprezzamento per il lavoro delle forze di Polizia". Sappe: è comunque il risultato della fallimentare vigilanza dinamica "La cattura in provincia di Ascoli Piceno del secondo detenuto evaso mercoledì scorso dalla piccola struttura detentiva di Roma Rebibbia, terza Casa Circondariale, ci solleva e conforta. Un apprezzamento convinto lo rivolgiamo agli investigatori delle altre Forze di Polizia che, d’intesa con il Nucleo Investigativo Centrale della Polizia Penitenziaria, hanno assicurato alla giustizia in tempi rapidi prima Giampiero Cattini ed oggi Sergio Di Paolo. La sinergia interforze ha funzionato alla perfezione ed ha coronato con successo la proficua collaborazione". È il commento di Donato Capece, Segretario Generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, che ribadisce come, ad avviso del primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, "l’evasione dalla struttura detentiva a custodia attenuata di Roma Rebibbia è comunque il risultato della fallimentare vigilanza dinamica, che azzera la sicurezza nelle carceri". Cagliari: Sdr; via da Buoncammino i detenuti AS, trasferiti in altre carceri della Regione Ristretti Orizzonti, 19 febbraio 2014 Dimagrimento forzato per la storica struttura penitenziaria cagliaritana di Buoncammino dove i detenuti in regime di Alta Sicurezza sono stati quasi del tutto trasferiti in attesa dell’inaugurazione del nuovo carcere di Uta. Attualmente sono rimasti nell’Istituto solo quei cittadini privati della libertà che sono in attesa di declassificazione oppure impegnati in udienze". Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione "Socialismo Diritti Riforme" sottolineando che "per la prima volta dopo oltre un lustro di sovraffollamento il carcere di Buoncammino registra 345 detenuti cioè il numero regolamentare di presenze". "La detenzione in Alta Sicurezza - precisa Caligaris - è gestita direttamente dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria che, incurante delle condizioni di vita di ciascun ristretto e del percorso rieducativo in atto, attua trasferimenti considerando le persone come pacchi postali. Così alcuni detenuti anziani, che stavano ultimando di scontare la pena, sono finiti a Badu e Carros, altri a Tempio-Nuchis o a Oristano-Massama. Alcuni di quelli che si trovavano nel Centro Clinico per motivi di salute sono stati mandati a Parma, Bari o Genova. Da un giorno all’altro sono partiti con al seguito una busta di plastica nera e i bagagli stipati in tutta fretta dentro un borsone". "Gli ultimi rimasti - conclude la presidente di SdR - attendono con ansia il loro destino con la consapevolezza degli ulteriori disagi che dovranno affrontare i familiari per poter effettuare i colloqui. Nel frattempo dovranno anche alleggerire il bagaglio trasferendone una consistente parte nel magazzino del carcere oppure inviandolo a casa. Una circolare infatti invita i detenuti a ridurre la quantità di effetti personali". In Sardegna i detenuti in regime di Alta Sicurezza possono essere reclusi solo a Nuoro, Oristano-Massama e Tempio-Nuchis. A Sassari-Bancali e a Cagliari-Uta saranno invece ospitati i ristretti in massima sicurezza (41bis). Brescia: la Giunta comunale pensa di ricorrere ai detenuti per ripulire la città dai graffiti www.bsnews.it, 19 febbraio 2014 Rigenerazione urbana: tassello fondamentale del programma elettorale dell’amministrazione di Emilio Del Bono. È di ieri la notizia che la Loggia potrebbe presto stringere un accordo con il Tribunale di Sorveglianza e gli istituti di pena di Canton Mombello e Verziano per l’impiego di detenuti a fine pena. Per fare cosa? Ripulire i muri della città, le panchine e i parchi giochi dalle scritte dei graffitari. Quello dei graffiti per Brescia è da sempre, ma soprattutto in seguito alle scritte fatte sui nuovi vagoni della metropolitana al Prealpino (leggi la notizia), un nervo scoperto. Ora l’amministrazione ha reso noto che intende avvalersi del supporto di dieci, dodici detenuti a fine pena per la pulizia delle zone più bisognose. Per adesso si tratta di semplice ipotesi, ma il progetto è già stato spiegato e condiviso con i due carceri, si tratta solo di stringere gli accordi necessari. Il comune potrebbe garantire la necessaria copertura assicurativa, fornire i buoni pasto ed erogare un voucher simbolico da 10 euro per ogni giornata lavorativa; Brescia Mobilità potrebbe fornire i tagliandi di viaggio per gli spostamenti, il vestiario e l’attrezzatura necessaria per la pulizia. Il sindaco ha commentato il progetto sulle colonne di Brescia Oggi, spiegando che i detenuti potranno dare un contributo significativo: "Sembra poca cosa, ma per un’Amministrazione comunale come la nostra sono numeri importanti. Stiamo migliorando la nostra capacità di risposta ai cittadini, i tempi stanno migliorando grazie ad una disponibilità di risorse umane che sta crescendo. Sono soddisfatto del lavoro che stiamo facendo sul fronte della manutenzione, dalla cartellonistica, ai fittoni, all’arredo stabile e del salto di qualità sul fronte del contrasto ai graffiti e alle tag. Una piaga non positiva". Roma: Gruppo di lavoro "La certezza del recupero" alla Camera incontra i parlamentari Adnkronos, 19 febbraio 2014 Istituzionalizzare le misure alternative alla pena e favorire l’inserimento e l’accoglienza dei detenuti. È questo l’obiettivo del gruppo di lavoro sul carcere "La certezza del recupero", che oggi incontra a Roma i parlamentari per illustrare il percorso e le priorità di intervento. L’incontro pubblico "Carcere, verso la certezza del recupero. Il ruolo delle comunità educative di accoglienza: un disegno di legge", promosso dal gruppo coordinato dal Centro nazionale per il volontariato insieme a Seac e Conferenza nazionale volontariato giustizia, si terrà alle 11 alla Camera dei deputati (Palazzo Marini, Sala della Mercede). "Questo gruppo, che ha già discusso ed elaborato alcune possibili modifiche dell’attuale decreto legge sul carcere - spiega il presidente del Cnv Edoardo Patriarca - desidera ora condividere il percorso destinato alla stesura di una proposta di legge che sia capace di riconoscere un sistema di pene alternative che preveda l’istituzionalizzazione dell’accoglienza, la regolarizzazione degli inserimenti lavorativi e il coinvolgimento degli enti locali". All’incontro partecipano, oltre a Patriarca, Maurizio Artale (Centro di accoglienza Padre Nostro di Palermo), Mauro Cavicchioli (Associazione Papa Giovanni XXIII), Guido Chiaretti (Sesta Opera San Fedele di Milano), Pier Giorgio Licheri (Cnv), Francesco Marsico (Caritas italiana), Luisa Prodi (Seac) e don Sandro Spriano (Conferenza nazionale volontariato giustizia). In conclusione, spazio anche al dialogo con i parlamentari presenti. Si parlerà dei costi del carcere, del perché investire sulle misure alternative è più conveniente, del contesto normativo (percorsi di reinserimento, misure alternative, accesso della comunità esterna all’azione rieducativa in affiancamento all’Uepe). E ancora di mediazione, rieducazione e percorsi di accompagnamento. Pavia: nominato il primo Garante provinciale dei diritti dei detenuti, è Moreno Baggini Adnkronos, 19 febbraio 2014 In provincia di Pavia è stato nominato il primo Garante dei diritti dei detenuti. Questa nuova figura, eletta ieri durante il Consiglio provinciale, sarà un tramite tra chi si trova in carcere e la società civile. Il "Garante dei diritti delle persone private della libertà personale" della provincia di Pavia è Moreno Baggini. Il suo ruolo sarà quello di consentire a quanti hanno vissuto l’esperienza del carcere di ricostruirsi una nuova vita, superando i pregiudizi, e non sentirsi escluso dalla società. Teramo: inchiesta Procura, soldi e favori per "aprire" le porte del carcere di Castrogno Il Tempo, 19 febbraio 2014 Informazioni riservate fatte uscire fuori dalle mura del carcere in cambio di soldi e favori di vario genere. E un giro di sostanze stupefacenti che sarebbero entrate ed uscite dal penitenziario di Castrogno costituendo un vero e proprio affare economico per il diretto interessato. Accuse gravissime quelle mosse dalla Procura di Teramo nei confronti di un agente di polizia penitenziaria, che ieri mattina è comparso davanti al gip Domenico Canosa per essere interrogato a fronte della richiesta di sospensione dal servizio avanzata nei suoi confronti dal pubblico ministero Luca Sciarretta. Interrogatorio nel corso del quale l’uomo, indagato con l’accusa di rivelazione del segreto d’ufficio, corruzione e detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti ed assistito da un avvocato d’ufficio, si è avvalso della facoltà di non rispondere. E se la decisione del gip sarà depositata solo nei prossimi giorni la sensazione è che le indagini avviate dalla Procura di Teramo, e che sarebbero scattate alcuni mesi fa dopo alcune segnalazioni particolarmente dettagliate giunte sul tavolo del pm Sciarretta, siano solo all’inizio. Ad oggi, comunque, l’inchiesta è avvolta dal massimo riserbo e non è escluso che nelle prossime settimane possano esserci ulteriori sviluppi. In ogni caso le indagini, particolarmente delicate, gettano una luce inquietante sul penitenziario teramano, già in passato finito sotto la lente d’ingrandimento della Procura di Teramo per un caso di un presunto pestaggio di un detenuto da parte di alcuni agenti di polizia penitenziaria. Inchiesta che era poi stata archiviata su richiesta della stessa Procura, con i magistrati che avevano sottolineato l’impossibilità di dimostrare i fatti anche per un clima di omertà registrato proprio all’interno del carcere. Lo stesso carcere finito al centro delle cronache per i numerosi tentativi di suicidio, per il sovraffollamento e adesso anche per quest’ultima inchiesta da parte della magistratura teramana. E se le indagini sono solo all’inizio, con le accuse a carico dell’agente ancora tutte da provare, la decisione del gip Domenico Canosa potrebbe rappresentare un primo banco di prova per l’impianto accusatorio messo nero su bianco, in questa prima fase, dalla Procura di Teramo. Firenze: "Per Ulisse", il film sugli ex detenuti proiettato nel carcere di Sollicciano Redattore Sociale, 19 febbraio 2014 Il documentario di Giovanni Cioni racconta gli ospiti della comunità di recupero fiorentina Ponterosso. Proiezioni pubbliche anche al Cinema Stensen e allo Spazio Alfieri. Il cinema sociale entra nel carcere di Sollicciano. Il prossimo 24 febbraio verrà proiettato nell’istituto penitenziario fiorentino il film "Per Ulisse" di Giovanni Cioni, vincitore dell’ultimo Festival dei Popoli. Protagonisti del film di Cioni sono gli abitanti di una "Firenze invisibile" che frequentano il centro di socializzazione fiorentino Ponterosso, aperto a varie categorie di marginalità sociale: persone che hanno terminato le cure di disintossicazione, uscite dal carcere o senza domicilio, che percorrono la città molto spesso senza essere visti. I protagonisti di "Per Ulisse" raccontano di loro, cantano, suonano, camminano in città, in una Firenze insolita, senza luci e tappeti rossi. "I protagonisti - ha detto Cioni - sono tutti quelli Ulisse che hanno visto la morte e sono tornati a raccontarcela". Infatti nel documentario il regista ci racconta la vita dei protagonisti attraverso la figura dell’eroe dell’Odissea, Ulisse, uomini e donne che raccontano e si raccontano, inventano, vivono, rivivono le proprie storie, dal "metaforico naufragio" iniziale fino all’incontro finale con il mare, affrontato con la gioia di chi sfida la vita. Martedì 18 il film sarà presentato dal regista ial Cinema Stensen e allo Spazio Alfieri di Firenze: alle 20.30 allo Stensen (viale Don Minzoni, 25), alla presenza di Don Giovanni Stinghi e alle 21.30 allo Spazio Alfieri (via dell’Ulivo, 6). Si tratta di un originale caso di distribuzione reso possibile grazie alla stretta collaborazione con Fondazione Sistema Toscana, che proprio con il Festival dei Popoli, cura la rassegna "CinemAdhoc" . Il film sarà poi in tenitura presso il Cinema Stensen a partire da giovedì 20 febbraio (giovedì 20 febbraio ore 18.30, venerdì 21 febbraio ore 16.30, domenica 23 febbraio ore 16.40, martedì 25 febbraio ore 16.30, mercoledì 26 febbraio ore 20.30) e allo Spazio Alfieri da mercoledì 19 (mercoledì 19 ore 16.30 e 18.00, sabato 22 ore 18.00, domenica 23 ore 18.00 e 21.30). Napoli: "An American Tribute"… il disco che porta la musicoterapia nelle carceri www.napolitoday.it, 19 febbraio 2014 Tra musica e impegno sociale è uscito il disco di Sergio Carlino e Fabrizio Soprano Trio. 11 brani ispirati allo swing di una New York in bianco e nero. Da un intento benefico e dalla passione per la musica americana degli anni 30 e 40 è nato An American Tribute, primo lavoro discografico del crooner Sergio Carlino e del pianista Fabrizio Soprano, accompagnati da Domenico Santaniello (bass) e Claudio Borrelli (drums). Il ricavato delle vendite è destinato alla Fondazione Carpe Diem per opere di solidarietà da realizzare nelle carceri campane: dal ripristino e la manutenzione delle aree di ricreazione dei detenuti, all’organizzazione di concerti, con l’obiettivo di contribuire a rinsaldare il senso di appartenenza al mondo sociale, anche attraverso la musicoterapia. Il disco racchiude 11 brani belli e rari che piacciono agli appassionati e non solo, e un inedito composto da Soprano dal titolo Lulluby for you, che ben si amalgama alle riletture di classici come The lady is a tramp. Il disco si apre con I fall in love too eaisily, I only have eyes for you, Time after time, per proseguire con Nancy, The shadow of your smile, You, my love e arrivare ad All the way e Where is the one. La tracklist comprende anche I’ll be seeing you e You go to my head. Un tuffo nelle atmosfere di una New York in bianco e nero, attraverso pezzi che possiedono una forza e una qualità irripetibili. Un tributo ben preciso agli interpreti che hanno reso quelle melodie ancora più straordinarie come Dean Martin, Tony Bennet, Ella Fitzegerald, Bing Crosby e primo fra tutti Frank Sinatra, vero ispiratore del disco. Sergio Carlino crooner napoletano, diffonde da anni questo tipo di sound, portando in giro la tradizione della musica USA suonata durante il periodo tra le due guerre. Pur seguendo la scia dei grandi Frank Sinatra e Dean Martin, ha uno stile assolutamente personale e ben definito, ispirato anche ai crooners italiani come Roberto Murolo e Fausto Cigliano. L’incontro con Fabrizio Soprano pianista di fama internazionale diplomato al Conservatorio di S. Cecilia e cresciuto artisticamente nella grande mela, illumina la sua strada, e insieme creano a colpi di swing An American Tribute Volume I. Il risultato è un disco ricco di brani di grande suggestione, dagli ambienti rarefatti, intimi e confidenziali, come è nella migliore tradizione dei crooners. L’album pubblicato con il sostegno della Fondazione Carpe Diem, è stato registrato nel Blue Zone Studio e vede la partecipazione col Fabrizio Soprano Trio di eccellenti musicisti come Domenico Santaniello (bass) e Claudio Borrelli (drums). Inoltre speciale partecipazione della cantante Lucia Dinacci. Il disco benefico è in vendita su Itunes e su tutti i più importanti store digitali, ed è distribuito da La Semicroma di Roma, etichetta discografica indipendente nata nel 2003, che ad oggi vanta un considerevole catalogo di produzioni musicali. Televisione: "Per non morire dentro", su Rai Storia vite di tre detenuti che ce l’hanno fatta Il Velino, 19 febbraio 2014 Si può uscire dal carcere e rientrarci più volte. Si può vivere chiusi in casa guardando il mondo solo dalla finestra, con la polizia che viene a controllarti ogni giorno. Si può fare una vita normale, andando ogni giorno a lavorare e tornando ogni sera in cella, tenendosi stretto il proprio passato o cercando di inventarsi un futuro. Sono storie di detenuti quelle raccontate da Crash "Per non morire dentro", il documentario scritto e diretto da Andrea Terrinoni e Simona Fasulo in onda domani alle 21.15 su Rai Storia (ch. 54 del digitale terrestre e ch. 23 Tivu Sat). Protagonisti Massimo, Federico e Vito: tre uomini che hanno sbagliato - pagando - e che si rimettono in gioco, parlando davanti alla telecamera senza reticenze né esitazioni. "Sono storie molto toste di tre persone che hanno passato anni difficili, hanno commesso reati, hanno cercato lo sballo e conosciuto l’esperienza della droga, ma che alla fine ne sono usciti. Personaggi molto diversi ma che hanno cose in comune, tre storie di dolore ma anche di speranza" spiega al Velino Terrinoni che firma anche le musiche. Il documentario ripercorre il passato degli ex detenuti e ne racconta il presente, fatto per esempio di una casa nuova, della ricerca di un lavoro, di un legame affettivo, insomma di un riscatto. "Sono uomini che in carcere sono cresciuti, sono maturati fino a una presa di coscienza e un cambiamento" conclude il regista. Il documentario è prodotto dalla Sdm. India: le mogli dei marò a Sanremo "diamo voce a un’ingiustizia" Ansa, 19 febbraio 2014 Le due donne: "Non saremo all’Ariston, non siamo dell’umore giusto per partecipare a una festa". Vania Ardito, moglie di Salvatore Girone, e Paola Moschetti, compagna di Massimiliano Latorre, sono arrivate in sala stampa a Sanremo per sensibilizzare sulla situazione dei due Marò detenuti da oltre due anni in India. "Siamo qui a Sanremo per dare voce a un’ingiustizia che da due anni Salvatore e Massimiliano sopportano, l’ingiustizia che due militari in missione hanno subito da un governo con l’inganno. Da questo inganno bisogna partire per comprendere due anni di 27 rinvii". "Il sindaco ha voluto che fossimo qui, ci ha anche invitate alla serata ma non ci saremo. Non siamo dell’umore giusto per una festa della musica". "L’ambasciatore italiano in India, appena richiamato, dovrebbe restare in Italia fino al rilascio di Massimiliano e di Salvatore". "Speravamo che il governo indiano desse ascolto al diritto internazionale. I due militari devono rientrare in Italia, e semmai proseguire con una verifica dei fatti in Italia". "Non abbiamo mai perso la fiducia nelle istituzioni: questo è il terzo governo che si istituisce, ma la nostra fiducia resta: sono loro che devono portare a casa Salvatore e Massimiliano". "Non ci sentiamo abbandonate dallo Stato". India: ragazzo di Albenga detenuto, genitori preoccupati da crisi in rapporti tra due Stati Ansa, 19 febbraio 2014 Sono preoccupati i genitori di Tomaso Bruno, il ragazzo di Albenga in carcere da quasi 4 anni a Varanasi con Elisabetta Boncompagni dopo una condanna all’ergastolo con l’accusa di avere ucciso un compagno di viaggio e dal 2013 in attesa che la corte suprema indiana fissi l’udienza del ricorso. "Sono molto preoccupata se i rapporti fra i due paesi non sono buoni, anche se l’avvocato continua a dire che il caso è diverso da quello dei marò", dice all’Ansa la madre di Tomaso, Marina Maurizio, dopo l’ennesimo rinvio. "Trovo comunque indegno che in due anni i marò non abbiano ancora un capo d’imputazione". "Non so cosa dire: da un lato sono molto preoccupata, dall’altro trovo giusto che l’Italia prenda posizione", ricordando che martedì prossimo è prevista una nuova udienza per il caso dei due ragazzi. "Spero che rientri tutto nella normalità", ha aggiunto. "Non vedo accanimento anti italiano, solo malagiustizia. Noi ci siamo ritrovati in un sistema che è una vergogna", ha detto il padre Euro Bruno, aggiungendo che i due ragazzi stanno bene, "sono tranquilli e stanno bene fisicamente". "Hanno dalla loro la certezza di essere innocenti e questo li rende più forti". Francia: morte Daniele Franceschi, a processo medico e due infermiere carcere di Grasse Ansa, 19 febbraio 2014 Un medico, due infermiere del carcere di Grasse (Francia) e i vertici amministrativi dell’ospedale di Grasse sono stati rinviati a giudizio per la morte di Daniele Franceschi, il viareggino di 36 anni deceduto nel carcere della città transalpina in circostanze dubbie il 25 agosto 2010. È quanto appreso, tramite i corrispondenti legali francesi, dagli avvocati della famiglia di Franceschi Aldo Lasagna e Maria Grazia Mennozzi. Il processo si terrà al tribunale correzionale di Grasse. L’ottobre 2013 c’era stata la richiesta a giudizio per i presunti responsabili della morte del giovane italiano. "Attendiamo che venga comunicata la data del processo che si terrà presso il Tribunale Correzionale di Grasse - riferisce l’avvocato Aldo Lasagna - che equivale ad una sorta di nostro tribunale collegiale", e "appena avremo la notizia ci recheremo presso il consolato di Nizza dove fra l’altro è console la viareggina Serena Lippi, in modo da avere un supporto anche istituzionale per affrontare il processo con una assistenza anche sul posto". Cira Antignano, mamma di Daniele, che ha iniziato una lotta dal primo momento per cercare che venga fatta luce su questa morte misteriosa del figlio, aveva avuto qualche indiscrezione del rinvio a giudizio nei giorni scorsi, ma ora c’è l’ufficialità. Anche ospedale non capì gravità Il coinvolgimento dei vertici dell’ospedale di Grasse nella vicenda della morte in carcere del viareggino Daniele Franceschi, nel 2010, si baserebbe su un’errata valutazione degli esami medici forniti dal carcere all’ospedale nelle fasi in cui lo stesso Franceschi, che era detenuto, accusò malori e poi morì nel penitenziario. È quanto risulta ai legali della famiglia di Franceschi riguardo all’inchiesta che coinvolge anche dirigenti dell’ospedale di Grasse; anch’essi rinviati a giudizio insieme a un medico e a due infermiere del carcere. Secondo quanto appreso, i vertici dell’ospedale sono accusati di non aver valutato la gravità delle condizioni di salute di Daniele Franceschi, che poi morì nel carcere della città. Siria: avvocato; in carceri cinque attivisti diritti umani, circa 30 uccisi da bombardamenti Ansa, 19 febbraio 2014 Cinque attivisti per i diritti umani in Siria, tra cui tre donne, sono stati arrestati dalle forze governative nella periferia di Damasco nelle ultime ore. Lo riferisce l’avvocato Anwar al Bunni, da anni difensore di molti dissidenti siriani. I media ufficiali non confermano né smentiscono. Bunni e altre fonti contattate dall’Ansa via Skype affermano che ieri sera una pattuglia delle forze di sicurezza del regime ha intercettato a Sehnaya, a sud di Damasco, un’auto a bordo della quale c’erano cinque attivisti: Jihan Amin, 40 anni, Rania Maatuq di 24 anni, una donna identificata solo col nome di persona Fariza e altri due. Rania Maatuq, studentessa alla facoltà di Belle Arti all’università di Damasco, è la figlia di Khalil Maatuq, noto avvocato difensore di dissidenti e arrestato a Damasco nell’ottobre 2012. Continuano intanto la conta delle vittime della guerra civile. È di 31 uccisi, tra cui sei minori e quattro donne, il bilancio provvisorio dei bombardamenti aerei e di artiglieria compiuti stamani dalle forze lealiste contro località solidali con la rivolta. Lo riferiscono i comitati di coordinamento locali che riportano una lista dettagliata delle vittime. In particolare, 18 uccisi si registrano a Mzeirib, nella regione meridionale di Daraa, morti sotto i bombardamenti con barili esplosivi lanciati da elicotteri. Altre vittime si contano nelle regioni di Damasco, Raqqa, Homs e Hama. Altri tre siriani sono stati giustiziati sommariamente da miliziani qaedisti nel nord della Siria. Lo riferisce l’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria (Ondus), che opera tramite una fitta rete di ricercatori e fonti locali. L’Ondus precisa che un giovane, arrestato dai qaedisti a Raqqa, nel nord della Siria, è stato ucciso perché accusato di aver fatto esplodere un ordigno nei pressi di un posto di blocco dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isis), l’influente gruppo sedicente legato ad al Qaida e proveniente dal vicino Iraq. Altre due persone arrestate dall’Isis, e di cui non si conosce l’identità, sono state uccise dai qaedisti nei pressi di Tal Abyad, a nord di Raqqa, perché accusati di aver aperto il fuoco contro la locale sede dell’Isis. Papua Nuova Guinea: un morto in scontri nel Centro detenzione australiano per migranti La Presse, 19 febbraio 2014 Una seconda notte di disordini dentro e nei pressi del centro di detenzione per richiedenti asilo stabilito dall’Australia nella remota isola di Manus in Papua Nuova Guinea, ha avuto sviluppi tragici, con la morte di uno dei detenuti. Altri 77 sono rimasti feriti, di cui 22 con lesioni gravi e uno in condizioni critiche con una frattura cranica. Un altro è stato colpito da un proiettile. Il ministro dell’Immigrazione Scott Morrison ha descritto come "una grande tragedia" la notizia della morte, ma ha aggiunto che si trattava di "una situazione molto pericolosa in cui delle persone hanno deciso di protestare in maniera violenta, sfondando le linee di recinzione e uscendo all’esterno, esponendosi a grave rischio". All’esterno si sono scontrati con la polizia locale e sono stati violentemente aggrediti da abitanti dell’isola, anche all’interno del campo. I disordini sono scoppiati dopo un periodo di massima tensione nel centro, in cui sono alloggiati 1300 richiedenti asilo, quando questi hanno appreso che se anche otterranno lo status di profughi saranno accolti solo in Papua Nuova Guinea e in nessun altro paese. La notte precedente 25 richiedenti asilo erano riusciti a fuggire dal centro, ma sono stati presto catturati. Il precedente governo laburista australiano aveva stabilito nel 2012 due nuovi centri di detenzione per i profughi che tentano di raggiungere per mare le sue acque, a Manus Island e nel piccolo e remoto stato-isola di Nauru, sospendendo l’esame delle domande di asilo ed escludendo che anche chi ottenga lo status di profugo possa insediarsi in Australia. Una politica mantenuta e rafforzata con chiaro intento di deterrenza dal nuovo governo conservatore, che si è impegnato a fermare del tutto gli arrivi illegali via mare utilizzando unità della Marina e operando respingimenti verso l’Indonesia. Quella dei richiedenti asilo è una questione molto emotiva in Australia, nonostante i numeri relativamente molto ridotti. Secondo dati dell’Alto Commissariato Onu per i profughi, nel 2012 l’Australia ha ricevuto solo il 3% delle domande di asilo globali. Le condizioni nei due campi remoti nel Pacifico sono state oggetto di dure critiche sia da parte di agenzie Onu che di Amnesty International e di altre organizzazioni per i diritti umani. Queste denunciano che la detenzione prolungata in condizioni anguste e surriscaldate, combinata con la mancanza di chiarezza su quando le richieste di asilo saranno esaminate e dove la persona finirà, stanno causando un’epidemia di disturbi mentali. La portavoce dei Verdi per i profughi, Sarah Hanson-Young, ha ripetuto che il centro di Manus, come quello di Nauru, deve essere chiuso al più presto perché in piena violazione dei trattati internazionali sottoscritti dall’Australia. "Il gulag a Manus Island è inaccettabile", ha detto. Inchieste scontri campo detenzione profughi Manus Il governo australiano e quello di Papua Nuova Guinea hanno ordinato inchieste sui violenti scontri scoppiati nei giorni scorsi nel centro di detenzione per richiedenti asilo stabilito dall’Australia nella remota isola di Manus, in Papua Nuova Guinea, in cui un profugo iraniano è rimasto ucciso e decine di altri gravemente feriti. I disordini erano esplosi tre giorni fa dopo un periodo di tensione nel centro, in cui sono alloggiati 1.300 richiedenti asilo, quando questi hanno appreso che se anche ottenessero lo status di profughi sarebbero accolti solo in Papua Nuova Guinea e in nessun altro Paese. Il ministro dell’Immigrazione australiano Scott Morrison, nell’annunciare un’inchiesta sulle violenze, ha ammesso che non è chiaro finora se gli attacchi si siano verificati dentro o fuori il centro di detenzione. Da parte sua, il primo ministro di Papua Nuova Guinea Peter O’Neill ha detto che è già partita un’indagine approfondita da parte della polizia, dei militari e dell’Immigrazione. Nessuna delle richieste di asilo dei detenuti a Manus è stata ancora esaminata. Il precedente governo laburista australiano aveva stabilito nel 2012 due nuovi centri di detenzione dei profughi, a Manus Island e nel piccolo e remoto stato-isola di Nauru. Una politica mantenuta e rafforzata con chiaro intento di deterrenza dal nuovo governo conservatore, che si è impegnato a fermare del tutto gli ‘arrivi illegali’ via mare utilizzando unità della Marina. Russia: fermate a Sochi le due "Pussy Riot" Nadia Tolokonnikova e Maria Aliokhina Agi, 19 febbraio 2014 Le due Pussy Riot, Nadia Tolokonnikova e Maria Aliokhina, sono state fermate oggi a Sochi da polizia e agenti dell’Fsb. Lo rende noto su Twitter il collettivo artistico Voina, legato alle due attiviste. Insieme a loro, si legge nel tweet, sono stati fermati anche sette persone, tra cui giornalisti. Dal suo account, Nadia ha spiegato che insieme a Maria e a un’altra delle Pussy Riot, si trovavano a Sochi per condurre una nuova azione di protesta del gruppo punk femminista: "La canzone chiamata ‘Putin ti insegnerà ad amare la patria". "Al momento dell’arresto - ha specificato Nadia - non stavamo conducendo alcuna azione". Secondo ipotesi che circolano su internet, si tratterebbe di un "arresto preventivo", per evitare che le ragazze mettessero in scena la pianificata protesta. Voina ha spiegato che le Pussy Riot e altri attivisti si trovano a Sochi - dove sono in corso le Olimpiadi invernali - "per registrare un film musicale", dal titolo appunto "Putin ti insegnerà ad amare la patria". Le Pussy Riot sono diventate celebri per la performance messa in scena nel febbraio 2012 nella cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca e costata a Nadia e Maria quasi due anni di detenzione per "teppismo motivato da odio religioso". Nel video musicale poi messo in rete, le ragazze con l’ormai inconfondibile passamontagna colorato chiedevano alla Vergine Maria di liberare la Russia da Putin. A dicembre, le due ragazze sono state scarcerate grazie all’amnistia voluta dal Cremlino, ma che loro stesse hanno definito una "farsa". Sempre secondo i tweet di Nadia, le ragazze erano già state sottoposte a diversi controlli negli ultimi giorni: "Il 16 (febbraio) siamo state trattenute per sette ore, il 17 (febbraio) abbiamo trascorso 10 ore all’Fsb e oggi ci troviamo nel cellulare della polizia, accusate di furto!". Qualcuno su Twitter ha commentato: "Le Pussy Riot hanno rubato l’onore e la dignità di Putin". Pussy Riot arrestate per borseggio a Sochi, ma subito il rilascio È durato poche ore il nuovo arresto delle Pussy Riot, le due componenti della punk-band russa che erano state fermate a Sochi dalla polizia russa. Erano state fermate dopo la denuncia del furto di una borsa, avvenuto nell’albergo in cui si trovavano le musiciste e attiviste anti Putin. "Qui ognuno è stato privato della propria libertà di parola", hanno detto le Pussy parlando di Sochi. "Questa città funziona come se fosse un centro militare. Non credete a quelli che dicono di avere la libertà di esprimersi. Non esiste niente del genere, e soprattutto non esiste ora, durante i Giochi. Aprite gli occhi". Le Pussy Riot, condannate per blasfemia a due anni di carcere, hanno scontato buona parte della pena prima di usufruire della amnistia annunciata da Putin prima dei Giochi Olimipici invernali. Dopo la liberazione, hanno annunciato di voler scendere in politica. Yemen: al Qaeda attacca il carcere di Sanaa, evadono 29 detenuti di cui 19 quaedisti www.agccommunication.eu, 19 febbraio 2014 I lavoratori hanno ricominciato la ricostruzione della parete della prigione esplosa il 15 febbraio dopo un attentato con autobomba per liberare due detenuti. I detenuti fuggiti sono in realtà 29 di cui 19 presunti membri di Al Qaeda. Fonti, sicurezza dello Yemen. L’agenzia di stampa ufficiale Saba ha citato una dichiarazione del ministero degli interni secondo cui 29 persone condannate "per vari reati, tra cui anche alcuni accusati di terrorismo" sono fuggite dopo uno scoppio violento della parete esterna della struttura. I funzionari della sicurezza hanno detto che l’attacco a due punte è iniziato quando un veicolo carico di esplosivo è andato a sbattere contro la porta orientale subito dopo il tramonto. Uomini armati hanno attaccato simultaneamente le guardie all’ingresso principale, creando un diversivo che ha permesso ad alcuni prigionieri di fuggire attraverso il foro. "Diciannove di loro sono accusati di atti terroristici", ha detto un portavoce del ministero a Saba, aggiungendo che le forze di sicurezza stavano cercando di rintracciare i fuggitivi. Ha dichiarato: "un gruppo terrorista" sta dietro l’attacco, facendo riferimento ad Al Qaeda nella Penisola Araba (Aqap), visto da Washington come il ramo più letale del franchise estremista. L’autorità penitenziarie, capo generale Mohammed Al Zaleb, ha detto che 11 membri delle forze di sicurezza sono stati uccisi nell’assalto. Mentre il ministero degli interni aveva parlato di sette morti. Zaleb, ha detto che "10 membri della nostra forza sono stati uccisi, tra cui un colonnello, mentre un agente delle forze speciali è stato ucciso all’ingresso della prigione centrale dove era in servizio". Zaleb ha detto che l’assalto è stato organizzato da "50 e 60 assalitori" con i militanti che prima hanno attaccato il quartier generale dell’autorità del carcere situato di fronte alla prigione centrale e poi hanno fatto esplodere un’autobomba al cancello della prigione. Le autorità hanno accusato i "membri di Al Qaeda" dell’assalto, dicendo che la rete jihadista aveva minacciato di attaccare la prigione centrale. I primi rapporti hanno parlato di 14 fuggitivi "per lo più detenuti di Al Qaeda". Hanno anche detto che tre aggressori sono stati uccisi. I funzionari sostengono che il carcere detiene circa 5.000 detenuti. Tra coloro che sono fuggiti, Mubarak Hadi Al Shabwani, descritto come uno dei leader di Al Qaeda, che è stato arrestato il 14 dicembre 2009 e condannato a morte nel 2010 per aver effettuato diversi attacchi letali contro i membri della sicurezza. Nel mese di ottobre, le forze di sicurezza hanno sventato un tentativo di fuga da parte di circa 300 detenuti di Al Qaeda dopo un ammutinamento in un’altra prigione Sanaa. Un certo numero di guardie e detenuti sono rimasti feriti in questo incidente, ma nessuno è stato ucciso. Il capo Aqap Nasser Al Wuhayshi promesso nel mese di agosto dello scorso anno che avrebbe liberato i carcerati del suo gruppo.