Giustizia: i costi delle carceri inumane di Massimo De Luca Il Mattino di Padova, 18 febbraio 2014 Nell’estate del 1971 un professore americano di nome Philip G. Zimbardo condusse un interessante esperimento nel seminterrato dell’Università di Psicologia di Stanford. Scelse 24 studenti tra i più maturi ed equilibrati e li divise in due gruppi, affidando a un gruppo il ruolo di guardie carcerarie e all’altro il ruolo di detenuti. I prigionieri furono obbligati a indossare divise a righe e furono sottoposti a una rigida serie di regole, mentre alle guardie, dotate di manganello e manette, fu concessa ampia discrezionalità circa i metodi da adottare per mantenere l’ordine. Dopo qualche giorno si dovette interrompere la prova, perché gli episodi di violenza furono da subito numerosi e divennero sempre più intollerabili. L’esperimento Zimbardo è utile per capire che qualsiasi tipo di istituzione repressiva è potenzialmente generatrice di violenza e la piena tutela dei diritti dei detenuti è una sfida continua per tutti i sistemi democratici. Scriveva Foucault: "Conosciamo tutti gli inconvenienti della prigione, e come sia pericolosa, quando non è inutile. E tuttavia non vediamo con quale altra cosa sostituirla. Essa è la detestabile soluzione, di cui non si saprebbe fare a meno". Il carcere costituisce un vero archetipo della condizione umana, un microcosmo che rispecchia il macrocosmo del mondo esterno. Purtroppo il sistema carcerario italiano, soprattutto per il problema del sovraffollamento, non ci mette certo all’avanguardia tra i paesi occidentali, anzi ci espone ai continui richiami e sanzioni delle istituzioni comunitarie. L’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che proibisce, oltre alla tortura, il trattamento inumano o degradante dei reclusi, funge da parametro per valutare le condizioni di vita in carcere e la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) ritiene, ormai, che sia violato automaticamente l’art. 3 della Convenzione laddove lo spazio a disposizione del detenuto sia inferiore ai tre metri quadrati. Questo orientamento emerse nel caso Sulejmanovic contro Italia, nel quale la Corte con una sentenza del luglio 2009 condannò l’Italia per trattamento inumano e degradante, a causa dell’insufficienza particolarmente rilevante dello spazio individuale (2,7 metri quadrati) nella cella del ricorrente. Come era immaginabile, vista la situazione costante di sovraffollamento delle carceri in Italia, la decisione ha spianato la strada a numerosi altri ricorsi, con il rischio di provocare un "effetto valanga". Con la recente sentenza Torreggiani dell’8 gennaio 2013, la Corte, preso atto che il sovraffollamento delle carceri in Italia è un problema strutturale, ha sospeso la decisione di altri ricorsi, dando tempo allo Stato italiano fino a maggio di quest’anno per risolvere la situazione. Manca ormai poco tempo alla scadenza, ma il legislatore sembra incapace di adottare provvedimenti strutturali che risolvano questo annoso problema: dall’ammodernamento dell’edilizia carceraria a una seria depenalizzazione, dall’adozione di sanzioni alternative al carcere alla velocizzazione dei processi. Le misure previste dal recente "decreto svuota carceri" servono a tamponare la situazione, ma non sono certo risolutive. Il rischio è che la condizione dei detenuti continui a essere intollerabile e sullo Stato italiano fiocchino condanne milionarie per trattamenti degradanti all’interno delle nostre carceri. Oltre alla giustizia internazionale anche i magistrati di Sorveglianza hanno iniziato a intervenire, imponendo alle direzioni dei penitenziari di assicurare ai detenuti celle più ampie, pena il pagamento di risarcimenti pecuniari ai ricorrenti, come deciso in alcune recenti ordinanze dei giudici veneziani. C’è, insomma, il rischio concreto che il fallimento della politica carceraria ci costi parecchio, da tutti i punti di vista, ma è evidente che la politica è in tutt’altre faccende affaccendata. La battaglia per carceri più umane non è popolare, ma dovremmo sempre ricordarci che il grado di civiltà di uno Stato si misura dal grado di civiltà delle sue prigioni, come diceva Voltaire più di due secoli fa. Giustizia: decreto-carceri in aula al Senato senza modifiche, malumori nella maggioranza Public Policy, 18 febbraio 2014 Nessuna ulteriore modifica al decreto-carceri. La commissione Giustizia al Senato ha licenziato il provvedimento così come arrivato dalla Camera. Come anticipato dei giorni scorsi, infatti, il decreto è a rischio decadenza (scade il 21 febbraio) e per questo la commissione di palazzo Madama ha "congelato" il testo, che oggi approda in Aula per un veloce via libera entro domani. In commissione sono state presentate 500 proposte di modifica (per la maggior parte a firma Lega e M5s), ma tra inammissibilità, ritiri e pareri contrari di relatore e Governo il provvedimento rimane così com’è. Stessa cosa, dicono fonti parlamentari, succederà con l’esame in Assemblea. "In base alla calendarizzazione - ha detto a Public Policy il relatore del dl Enrico Buemi (Psi) - non ci sono più spazi per ulteriori modifiche". Certo è che il poco tempo ha creato malumore tra i gruppi di maggioranza che, invece, avrebbero voluto emendare il decreto, soprattutto in due parti. "Andrebbe modificata - ha riferito una fonte Ncd - la parte che riguarda la libertà anticipata speciale", misura temporanea che scadrà tra 2 anni, con la quale si amplia il beneficio dell’aumento dei giorni di detenzione (da 45 a 75) per ciascun semestre di pena espiata. Norma non condivisa da una parte della maggioranza, che con più emendamenti ha chiesto di ridurre l’aumento dei giorni "visto - spiega un senatore Pd - che ora, con la sentenza della Consulta (che ha dichiarato incostituzionale la legge Fini-Giovanardi; Ndr), potrebbero essere liberati molti detenuti". Tra le modifiche a cui mirano alcuni senatori, ripresentate ora in Aula, c’è la norma che rende reato autonomo lo "spaccio di lieve entità", che al momento prevede una pena da 1 a 5 anni. Per una parte della maggioranza questa andrebbe abbassata, magari distinguendola per droghe pesanti e droghe leggere. Non è escluso - riferisce una fonte di palazzo Chigi - che la norma "possa essere modificata con un disegno di legge ad hoc". L’ipotesi di una proposta di legge per il piccolo reato di spaccio (da presentare alla Camera) o un ddl (al Senato), era già stata avanzata durante l’esame del dl a Montecitorio. Come anticipato, infatti, la modifica proposta inizialmente dal relatore alla Camera David Ermini del Pd (in seguito ritirata), potrebbe diventare una pdl, che - riferisce una fonte Pd - sarà discussa insieme alla proposta di legge a firma Daniele Farina (Sel) sulla depenalizzazione della coltivazione domestica di piante stupefacenti o psicotrope. Buemi (Psi): dovrebbe avere ok nonostante crisi governo "Almeno il nostro decreto dovremmo convertirlo in tempo utile, nonostante la crisi di governo". Enrico Buemi (Psi), relatore del cosiddetto svuota-carceri, la norma che amplia il ricorso alle pene alternative alla detenzione e depenalizza alcuni reati, si mostra convinto che, salvo imprevisti, il ddl di conversione verrà approvato dal Senato entro la data-limite del 21 febbraio. "Oggi in aula a Palazzo Madama - spiega - c’è la mia relazione per l’assemblea e la discussione generale sul provvedimento. Ancora non so se il Movimento Cinque Stelle o la Lega vorranno presentare qualche pregiudiziale di costituzionalità, ma comunque sia penso che per mercoledì 19 febbraio dovremmo avere l’ok definitivo. Peraltro il testo esce dalla Commissione Giustizia blindato: tutti gli emendamenti sono stati respinti e quindi non ci saranno modifiche al testo licenziato il 6 febbraio scorso a Montecitorio". L’unico rischio, aggiunge Buemi, potrebbe derivare da un eventuale ostruzionismo ad oltranza del Carroccio, già molto critico, fino all’esibizione del manette in aula, durante le votazioni alla Camera. "Tra l’altro - sottolinea sempre Buemi - in un momento così delicato per la nostra situazione economica nazionale non licenziare questo testo vorrebbe dire non ottemperare per tempo a quanto prescritto in sede Ue sui diritti dei detenuti, con conseguente sanzione per infrazione e successivi indennizzi a tutti quei cittadini che volessero ricorrere alla giustizia europea e italiana per le attuali condizioni inaccettabili di sovraffollamento delle nostre carceri". Giustizia: Meloni (Clemenza e Dignità); su carceri battaglia persa, va combattuta sino a fine Ansa, 18 febbraio 2014 "L’attenzione sulla drammatica situazione delle carceri, sull’amnistia e l’indulto, è probabile che subisca un potente affievolimento a causa di nuove situazioni politiche che vanno profilandosi all’orizzonte". È quanto afferma in una nota Giuseppe Maria Meloni, responsabile di Clemenza e Dignità, che aggiunge: "Si tratta, quindi, di una battaglia, che sulla carta, può dirsi, probabilmente, già persa". "Tuttavia, - prosegue - anche se questa battaglia con il passare del tempo è divenuta superiore alle nostre forze, anche se questa battaglia sulla carta può dirsi già persa, la stessa battaglia deve essere combattuta ugualmente e sino alla fine". "Difatti, - osserva - è solo mediante la trasformazione di questa sconfitta teorica in una sconfitta reale, è solo attraverso un vero combattimento, che l’opinione pubblica potrà compiutamente rendersi conto dell’importanza dei valori in gioco e sacrificati." "Solo attraverso un vero combattimento, - conclude - si attingerà la garanzia di una successiva vittoria finale: la vittoria data da una giustizia nuova e migliore, che prenderà forma non appena l’opinione pubblica, all’esito della lotta, potrà compiutamente rendersi conto della sorte infelice che sarà riservata alle previsioni della nostra Costituzione, ai diritti fondamentali dell’uomo ed al diritto naturale". Giustizia: Uil-Pa; Renzi scelga bene nuovo ministro, cambiare rotta per sistema penitenziario Ansa, 18 febbraio 2014 "Nonostante l’intero panorama sindacale, con buona parte della politica, avesse espresso la propria contrarietà sul provvedimento di riorganizzazione del Dicastero della Giustizia, redatto dall’Amministrazione in splendida solitudine, senza confronto con chicchessia, la bozza di Dpcm è arrivata al vaglio dell’ultimo Consiglio dei Ministri del Governo Letta ma non ha superato l’esame". Lo afferma in una nota il segretario generale della Uil Pubblica Amministrazione, Benedetto Attili, che chiede a Renzi "un cambiamento di rotta" sulla Giustizia. "Dopo aver perso inutilmente un altro anno di tempo rispetto ai gravissimi problemi che attanagliano l’amministrazione giudiziaria - aggiunge il sindacalista - aggravati e non risolti dalla sciagurata modifica della geografia giudiziaria e dal sovraffollamento delle carceri, si chiede sin da adesso al prossimo Governo di concentrare la propria attenzione sulla questione della Giustizia e di cominciare subito una nuova pagina nella gestione di questo delicato e difficile Dicastero. Al riguardo - conclude Attili - inviamo un preciso messaggio a Renzi: nell’individuazione del nuovo Ministro, tenga conto dell’assoluta necessità di un cambiamento di rotta, il Dicastero deve essere affidato a persona capace, competente, con una profonda conoscenza delle questioni che lo riguardano, soprattutto consapevole che le riforme devono essere condivise con le parti sociali nell’ambito di un corretto sistema di relazioni sindacali". Giustizia: processo revisione Mandalà, morto in cella nel 1998... e assolto dopo 15 anni Tm News, 18 febbraio 2014 La Corte d’Appello di Catania, al termine del processo di revisione sulla strage della casermetta di Alcamo Marina, ha assolto Giovanni Mandalà, condannato 33 anni fa all’ergastolo per l’omicidio dei due carabinieri Carmine Apuzzo e Salvatore Falcetta la sera del 27 gennaio 1976, e morto in cella nel 1998. Questa sentenza scrive dunque la parola "fine" in una delle vicende giudiziarie più oscure e controverse degli ultimi 40 anni. Per quella strage vennero condannati anche Giuseppe Gulotta, Giuseppe Ferrantelli e Gaetano Santangelo, la cui condanna è stata già oggetto di revisione con assoluzione due anni fa, da parte della Corte di Appello di Reggio Calabria. Nei confronti di Mandalà, sempre condannato nei due gradi di merito, oltre alla chiamata in correità di Giuseppe Vesco, ritenuta illegale dalla sentenza di revisione Gulotta, perché estorta dai carabinieri, vi era anche una macchia di sangue sulla giacca, appartenente allo stesso gruppo sanguigno di una delle vittime. La difesa di Mandalà, rappresentata dai legali Baldassarre Lauria e Pardo Cellini, è riuscita a dimostrare la frode processuale dei carabinieri, riportando alla luce un verbale del 6 febbraio 1976 dei militari di Alcamo, tenuto nascosto al processo di merito, in cui si fa riferimento al possesso da parte dei carabinieri del sangue delle vittime, prelevato dai rispettivi cadaveri. In sede di revisione, la difesa della famiglia Mandalà, che ha attivato la revisione tramite gli avvocati Baldassare Lauria e Pardo Cellini, ha dimostrato la fondatezza della frode processuale. Un verbale del 6 febbraio 1976 dei carabinieri di Alcamo, infatti, tenuto nascosto al processo di merito, dà atto del possesso da parte dei carabinieri del sangue delle vittime, prelevato dai rispettivi cadaveri. Per i legali Cellini e Lauria, questa "evidenza è l’epilogo di una contraffazione della verità processuale, che a distanza di oltre 36 anni è venuta fuori". La sentenza di Reggio Calabria che ha assolto Gulotta ha conclamato le torture commesse dai carabinieri per estorcere le confessioni degli arrestati, e dunque la falsità dei verbali di arresto; per questo Gulotta, che è rimasto in carcere 22 anni, ha già avviato la procedura per il risarcimento dei danni contro l’Arma dei Carabinieri, chiedendo un risarcimento record di 59 milioni di euro. Giovanni Mandalà, però, non potrà giovare della verità perché è morto in carcere nel 1998, malato di tumore. Nel processo di Catania il pentito Leonardo Messina ha dichiarato che quella strage fu concepita dalla mafia, di concerto con esponenti dell’Arma, per preparare un colpo di Stato. Calabria: Sappe; ci sono più imputati che condannati nei penitenziari della regione Adnkronos, 18 febbraio 2014 "Ci sono più imputati che condannati nelle 13 carceri calabresi". Lo affermano i vertici del Sappe, il sindacato autonomo di Polizia Penitenziaria, che da domani farà visita, con una delegazione, alle carceri della Regione. "La Calabria rimane per noi una regione di assoluta importanza e saremo nei prossimi giorni in alcune carceri regionali per esprimere la gratitudine del Sappe, alle donne e agli uomini del Corpo della Polizia penitenziaria che vi lavorano quotidianamente", spiega il segretario generale, Donato Capece, che sarà affiancato nei vari incontri dal segretario generale aggiunto Giovanni Battista Durante e dal segretario nazionale Damiano Bellucci. "Parliamo di una regione abbandonata dai vertici dell’Amministrazione penitenziaria e del ministero della Giustizia, come dimostra il fatto che da anni la Calabria non ha un provveditore regionale, nonostante sia terra ad alta densità mafiosa ‘ndranghetista" spiega il sindacato, che sottolinea: "al rilevamento del 31 gennaio scorso era emerso che i detenuti complessivamente presenti sono 2.706, 52 donne e 2.654 uomini: 1.361 gli imputati, 1.343 i condannati". "A seguito della nostra visita redigeremo una relazione che sarà inviata proprio ai vertici penitenziari nazionali affinché pongano le criticità calabresi tra le priorità d’intervento", conclude Capece. Liguria: detenuti al lavoro in coop sociali, progetto servizio civile regionale in area penale Ansa, 18 febbraio 2014 Mario ha 22 anni e per 6 mesi ha prestato servizio civile in esecuzione penale esterna alla Caritas Diocesana di Genova, Giovanni ne ha 25 e negli ultimi sei mesi ha lavorato al Consorzio sociale Agorà. Entrambi confessano di non aver mai pensato "di portare a termine qualcosa. Non vogliamo più tornare a fare le cose che facevamo prima". Sono due delle testimonianze raccolte da Daniele Lago, curatore della ricerca "Inclusi-tu" sul progetto di servizio civile regionale nell’area penale, unico in Italia, che l’assessorato al welfare della Regione Liguria ha messo a punto e portato avanti per alcuni giovani seguiti dal Ministero della Giustizia. Il progetto, partito nel 2010, ha permesso a 44 ragazzi, dai 18 ai 28 anni, detenuti o in affidamento a strutture di svolgere alcune esperienze in associazioni, coop del terzo settore e pubbliche assistenze distribuiti sul territorio ligure. L’iniziativa ha alternato interventi di formazione sulle attività da compiere e sui temi inerenti il servizio civile con una particolare attenzione alla gestione del conflitto e della non violenza. "L’ipotesi che sta alla base del percorso attivato nel 2010 - ha detto l’assessore regionale al welfare Lorena Rambaudi - è che operare in cooperative sociali, associazioni e enti di volontariato introduca elementi nuovi per la persona, in grado di innescare la trasformazione del proprio modo di percepirsi e percepire le proprie capacità, aumentando di conseguenza le possibilità di cambiamento". Non ci sono dati al momento sui risultati circa eventuali recidive dei giovani coinvolti nel progetto, ma i volontari che li hanno affiancati hanno posto l’accento sulla loro voglia di riscatto. "C’è chi non ha mai smesso di credere nella possibilità di potersi riabilitare - ha detto Daniele Lago, curatore della ricerca - e per qualcuno, a distanza di un anno dalla fine dell’esperienza, le cose sono cambiate e il servizio civile ha rappresentato un’occasione di svolta. Tutti i ragazzi coinvolti comunque, pur sapendo che la strada sarà in salita, hanno la speranza di uscire dai problemi penali e di farcela senza ricadute e trovare un lavoro che permetta loro di essere autonomi". Milano: la Garante Naldi; detenuto suicida a Opera, servono più risorse per il carcere Agi, 18 febbraio 2014 Un detenuto si è tolto la vita nel carcere di Opera lo scorso 11 febbraio. Secondo le informazioni fornite dal Comandante dell’Istituto al Garante dei diritti delle persone private della libertà personale, Alessandra Naldi, l’uomo, di 52 anni (M.I. le sue iniziali) e di nazionalità moldava, era stato trasferito nella Casa di reclusione milanese dal penitenziario romano di Regina Coeli. Avrebbe dovuto sottoporsi a una cura medica prima di essere riportato nel carcere di provenienza. Il detenuto si è suicidato tagliandosi le vene del collo con due lamette da barba. "Il suicidio è avvenuto in un momento particolarmente difficile per il carcere milanese - ha dichiarato il Garante che sollecita più risorse per gestire i detenuti". "La Casa di reclusione di Opera, infatti - ha aggiunto Naldi - sta cambiando fisionomia. Da cosiddetto carcere duro deve trasformarsi in un istituto più aperto, con percorsi e trattamenti di reinserimento sociale. Ha cominciato già ad accogliere molti più detenuti comuni. Tuttavia, questa fase di trasformazione non è esente da difficoltà". "A Opera - ha spiegato il Garante - negli ultimi mesi sono arrivate moltissime persone da San Vittore con la obiettivo di tentarne lo sfollamento. Tra queste, sono diffusissimi i problemi di povertà e indigenza, tossicodipendenza, disagio mentale. Una popolazione detenuta che necessita di un’attenzione particolare da parte sia della istituzione carceraria sia del volontariato. Un impegno che richiede nuove risorse per attrezzarsi ad affrontare emergenze finora inedite per questo istituto". Cuneo: detenuto in regime di "carcere duro" muore per infarto, aveva 42 anni Ansa, 18 febbraio 2014 È morto nella notte tra sabato e domenica all’ospedale di Cuneo Francesco Amoruso, 42 anni, ritenuto un esponente di spicco del clan dei Gionta di Torre Annunziata. Detenuto nel carcere di Cerialdo in regime di 41 bis, con fine pena nell’agosto del 2031, si è sentito male in cella ed è stato subito soccorso dalla polizia penitenziaria. Il decesso è avvenuto per un probabile infarto. La magistratura ha disposto l’autopsia. La notizia arriva dal Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, il primo e più rappresentativo della Categoria. "È una notizia triste, che colpisce tutti noi che in carcere lavoriamo in prima linea, 24 ore al giorno. Ma va anche detto che il Parlamento ignora colpevolmente il messaggio del Capo dello Stato dell’8 ottobre scorso, che chiedeva alle Camera riforme strutturali per il sistema penitenziario a fronte dell’endemica emergenza che tra l’altro determina difficili, pericolose e stressanti condizioni di lavoro per gli Agenti di Polizia Penitenziaria", tuona Donato Capece, segretario generale Sappe. "Per il Capo del Dap Tamburino, che nostro malgrado è anche Capo della Polizia Penitenziaria, l’Italia non sarà neppure in grado di adottare entro il prossimo maggio 2014 quegli interventi chiesti dall’Unione Europea per rendere più umane le condizioni detentive in Italia…" Capece torna a sottolineare le criticità delle carceri italiane: "Nei 206 istituti penitenziari, nel 2013, ci sono stati in carcere 111 decessi per cause naturali, 42 suicidi, 1.067 suicidi sventati in tempo dalla Polizia Penitenziaria e 6.902 atti di autolesionismo. Dal 1992 ad oggi, le morti in carcere sono state 3.251, 1.170 suicidi e 2.081 per cause naturali. Il sovraffollamento nelle carceri italiane resta costante, rispetto ai circa 40mila posti letto regolamentari, e l’organico del Corpo di Polizia Penitenziaria è carente di 7mila unità. La spending review e la legge di Stabilità hanno cancellato le assunzioni, nonostante l’età media dei poliziotti si aggira sui 37 anni. Altissima, considerato il lavoro usurante che svolgiamo". Amoruso morte d’infarto in carcere, è giallo (www.metropolisweb.it) Era detenuto nel penitenziario di Cuneo: aperta l’inchiesta, disposta autopsia Avvisata dai carabinieri la famiglia dell’uomo: oggi sarà ascoltata la moglie. Quando hanno visto che non si muoveva hanno pensato subito a un malore. Erano da poco passate le otto del mattino di ieri e nel penitenziario di Cuneo, il cuore di Francesco Amoruso, affiliato al clan Gionta conosciuto a Torre Annunziata col soprannome di à vicchiarella, ha smesso di battere. A dare l’allarme, immediatamente, i compagni di cella. Pugni sulle mura, pentole e mestoli sbattuti forte vicino alla grate. I primi ad arrivare sono stati gli agenti della polizia penitenziaria. Quando l’uomo, che era sulla sua branda a pancia sotto, è stato girato, subito i secondini si sono accorti che non c’era nulla da fare. È stato il medico legale a dichiararne il decesso per sospetto arresto cardiaco pochi minuti dopo l’allarme lanciato. Una causa che dice tutto e niente allo stesso tempo. Amoruso era detenuto da diversi anni nel penitenziario di Cuneo. Lo stesso finito al centro delle cronache giudiziarie per un caso clamoroso di mala giustizia. Solo un mese fa, Giacomo Marchisone, ristretto nel carcere piemontese era morto per un cancro non curato. Secondo i medici, infatti, era semplicemente affetto da asma. Un giallo che si ripete anche nel caso della morte di Amoruso. Non un affiliato della prima ora, non uno storico luogotenente della cosca dei Valentini, ma un personaggio di spicco, che per conto del clan del Quadrilatero si era già macchiato di numerosi reati. Dopo aver accertato la morte, è stata la direzione del carcere a comunicare la notizia alle forze dell’ordine di Torre Annunziata. Ieri mattina, nel popoloso vicolo degli Zingari, una pattuglia dei carabinieri si è recata a casa della moglie di Amoruso. Ad una donna straziata è stata data la notizia della morte di suo marito. Immediatamente, però, anche considerate le circostanze in cui è stato ritrovato il corpo e il fatto che a dire di sua moglie Francesco Amoruso non soffriva di alcuna patologia cardiaca ed anzi era sanissimo, è stata aperta un’inchiesta. Per questa mattina, infatti, è stata disposta l’autopsia sul corpo di Amoruso. Un atto dovuto che dovrà chiarire i dubbi e capire se la fine dell’affiliato dei Gionta sia stata effettivamente dovuta a un malore o se, per motivi sconosciuti ma che aprono squarci sinistri sulla pax camorristica di queste settimane, sia accaduto qualcosa di diverso e pericoloso che ha portato alla morte del detenuto. Sua moglie è stata convocata per questa mattina in caserma. I carabinieri vogliono vederci chiaro e, in attesa dell’esame autoptico che chiarirà ogni incertezza, sapere se per caso nelle ultime settimane qualche segnale sia arrivato anche alla famiglia della vittima. Un affiliato non della prima ora, certo. Ma sicuramente un personaggio di spessore che aveva partecipato al raid armato, quello del 14 agosto 2006 nei confronti di Natale Scarpa davanti al piazzale dello stadio Giraud e che di fatto aveva aperto una faida sanguinosa e cruenta. Quella che aveva trasformato Fortapasc in un far west fatto di agguati e regolamenti di conti. All’interno del carcere di Cuneo vi sono molti detenuti affiliati ai Gionta. Un penitenziario difficile caratterizzato dal fatto di essere finito al centro di polemiche e proteste per la condizione carceraria. Se Amoruso sia morto per cause naturali, come la prima ipotesi fa pensare o se dietro vi sia un giallo, lo stabilirà solo l’autopsia. Primo atto di uno scenario per ora inquietante. Intanto anche il penitenziario ha avviato una sua inchiesta interna per ricostruire tutti i momenti precedenti al decesso. Capire cosa avesse fatto Amoruso nelle ore prima di morire potrebbe portare elementi nuovi alla vicenda. Bolzano: primo carcere privato d’Italia, Provincia aggiudicherà nei prossimi giorni gara appalto di Patrizio Gonnella Italia Oggi, 18 febbraio 2014 Nei prossimi giorni la Provincia di Bolzano aggiudicherà la gara per la realizzazione di quello che è stato definito il primo carcere privato italiano. Qualora non subentrino ostacoli di altra natura, quello bolzanino sarà sicuramente il primo carcere costruito con il progetto di finanza, opportunità prevista all’articolo 43 della legge salva-Italia n. 214 del 2011. In quell’articolo si ammetteva la possibilità del project financing per le infrastrutture carcerarie. Opportunità non utilizzata dal commissario straordinario che gestisce il Piano carceri, il prefetto Angelo Sinesio, perché il Piano di edilizia penitenziaria era vincolato a una procedura ad hoc. Sono state sei le offerte ricevute. L’impresa aggiudicataria, oltre a costruire la struttura, dovrà assicurarne la manutenzione ordinaria e straordinaria, gestire il servizio mensa per i detenuti e per il personale, le pulizie quotidiane, le utenze, nonché l’insieme delle attività ricreative, sportive e formative. Dalle autorità bolzanine viene rivendicata l’innovazione dell’iniziativa. Il carcere vecchio verrà quindi dismesso e sostituto con uno che avrà una capienza di 200 posti, più gli alloggi del personale. Agli aggiudicatari è stata richiesta un’attenzione ai bisogni di socializzazione dei detenuti, ivi compresa la realizzazione di una mensa per i detenuti dove possano mangiare insieme, come si vede nei fi lm americani. In Italia usualmente i detenuti pranzano e cenano nelle loro celle. L’esproprio delle terre dove costruire il carcere è costato 14 milioni di euro. Il M5S ha denunciato il prezzo eccessivo pagato ai proprietari. Il costo complessivo sarà di 72 milioni di euro. Alla provincia di Bolzano dovrebbe costare non più di 26 milioni. Così si legge nel bando di gara. È poi previsto un costo annuale per la gestione dei servizi. Cosa cambia rispetto al presente? Sarà quello di Bolzano un carcere privato vero e proprio? La privatizzazione dei servizi di manutenzione, pulizia e ristorazione non è una novità. Da almeno vent’anni accade in moltissimi Istituti che non vi sia una gestione diretta da parte del Ministero della giustizia. L’appalto unico potrebbe ridurre le diseconomie. La sicurezza e la sanità resteranno anche a Bolzano rispettivamente a carico dello Stato e delle Asl. Direttore, poliziotti, medici e infermieri continueranno a essere dipendenti pubblici e non potrebbe essere altrimenti. Il vero nodo è dato dall’insieme delle attività trattamentali devolute alla società costruttrice. La regia non potrà che restare pubblica, gli educatori e gli assistenti sociali continueranno a essere dipendenti del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, gli insegnanti non potranno che essere quelli della scuola pubblica. Trattamento e sicurezza sono inscindibili in un carcere. Quella norma può essere solo interpretata nel senso che il vincitore dell’appalto dovrà offrire occasioni di intrattenimento ulteriori rispetto a quelle istituzionali e pubbliche. Va ricordato che per le Nazioni Unite l’esecuzione della pena deve essere pubblica e che gli Stati Uniti hanno frenato il processo di privatizzazione. Cremona: venerdì Rita Bernardini (Radicali) in visita al carcere e poi partecipazione convegno www.radicali.it, 18 febbraio 2014 Venerdì 21 febbraio a partire dalle ore 12 la segretaria di Radicali Italiani Rita Bernardini sarà in visita al carcere di Cremona accompagnata dai rappresentanti della camera penale di Cremona-Crema, avv. Luca Genesi e Alessio Romanelli. Si tratterà della prima, approfondita ricognizione della difficile situazione della Casa circondariale di via Cà del Ferro all’indomani dell’entrata in funzione del nuovo padiglione. La delegazione che accompagnerà la segretaria radicale sarà completata dagli esponenti dell’associazione radicale di Cremona Maria Teresa Molaschi e Sergio Ravelli. Alle ore 16.30, davanti all’ingresso del carcere, si terrà una conferenza stampa per l’illustrazione dei risultati della visita. "Amnistia, una prepotente urgenza" Incontro pubblico con Rita Bernardini, Sergio Genovesi, Gianluigi Bezzi. Si terrà venerdì 21 febbraio alle 18 presso la sala Monteverdi dell’hotel Impero. Intervenendo nel corso di un importante convegno sulla stato di crisi della giustizia italiana, tenutosi a Palazzo Giustiniani il 28 luglio 2011, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ebbe a descrivere tale stato di crisi "punto critico insostenibile, sotto il profilo della giustizia ritardata e negata […] e sotto il profilo dei principi costituzionali e dei diritti umani negati per le persone ristrette in carcere, private della libertà per fini o precetti di sicurezza e di giustizia" ovvero "questione di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile". Si ricorda che mancano meno di 100 giorni all’ultimatum imposto all’Italia dalla Corte europea dei diritti dell’uomo affinché siano rimosse le cause strutturali che generano i "trattamenti inumani e degradanti" nelle nostre carceri, e il Parlamento non ha ancora discusso il messaggio solenne che l’8 ottobre 2013 il presidente della Repubblica ha inviato alle Camere. Per un approfondimento pubblico della questione, la Camera penale della Lombardia Orientale, unitamente alla sezione di Cremona-Crema, e l’Associazione radicale Piero Welby hanno promosso un incontro sul tema "Amnistia, una prepotente urgenza" che si terrà venerdì 21 febbraio alle 18.00 presso la sala Monteverdi dell’hotel Impero di piazza della Pace. Intervengono la segretaria di Radicali Italiani Rita Bernardini, il presidente della Camera penale della Lombardia Orientale Sergio Genovesi, il responsabile dell’Osservatorio carceri della stessa camera penale Gianluigi Bezzi. L’incontro, aperto a tutta la cittadinanza, sarà moderato dall’avv. Alessio Romanelli, segretario della Camera penale di Cremona-Crema "Sandro Bocchi". Campobasso: Cooperativa per il reinserimento dei detenuti ha evaso il fisco per 4 anni Tm News, 18 febbraio 2014 I finanzieri del Comando Provinciale di Campobasso hanno appena concluso una complessa attività di verifica fiscale nei confronti di una società cooperativa operante nel settore della produzione e vendita di prodotti dolciari. L'attività era operativa negli anni scorsi all'interno di un carcere della Provincia e si avvaleva anche delle prestazioni lavorative di alcuni detenuti. I prodotti erano destinati alla vendita sia all'interno della stessa Casa Circondariale, sia all'esterno, nei normali canali commerciali. La ricostruzione investigativa operata dalle Fiamme Gialle ha interessato ben quattro annualità (dal 2010 al 2013), consentendo di accertare ricavi non dichiarati per oltre 600mila euro. Ulteriori specifiche violazioni sono state individuate in materia di presentazione di dichiarazioni obbligatorie (Iva, Imposte dirette e sostituto d'imposta), nonché con riferimento all'omessa tenuta di scritture contabili e di libri sociali, in un più ampio contesto ispettivo esteso anche ad altre sedi della Cooperativa. Ravenna: convegno "Verso l’umanizzazione della pena: il punto su situazione carceraria" www.ravennatoday.it, 18 febbraio 2014 Si è svolto ieri in municipio l’incontro pubblico dal titolo "Verso l’umanizzazione della pena: il punto sulla situazione carceraria" alla presenza del sindaco Fabrizio Matteucci, del Prefetto Fulvio della Rocca, del questore Mario Mondelli, dell’assessora alle politiche sociali Giovanna Piaia, della direttrice del carcere di Ravenna Carmela Di Lorenzo, del presidente Idio Baldrati e dei componenti della commissione consiliare 2, e da rappresentanti del mondo del volontariato che a vario titolo si occupano della condizione dei carcerati e di disagio sociale. Il tema dell’incontro è stato affrontato dal provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria, Pietro Buffa, e dalla Garante regionale delle persone private della libertà personale Desi Bruno dopo l’intervento di apertura del sindaco. Il provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria, Pietro Buffa ha affrontato il tema sotto il profilo giuridico costituzionale indicando nel rispetto della innata dignità delle persone l’obiettivo delle iniziative che, gradualmente, si stanno mettendo in campo per migliorare il clima relazionale dentro le carceri, come ad esempio le esperienze lavorative di pubblica utilità. È questa una delle condizioni che, se sviluppata, consentirebbe al detenuto di recuperare la socialità a partire dalla percezione dell’esistere degli altri, attenuando il sentimento di isolamento e alienazione che caratterizza la vita in cella. Per tale ragione il provveditore Buffa ha citato il protocollo siglato di recente fra il presidente della Regione Vasco Errani e il ministero della Giustizia che prevede fondi e azioni significative per migliorare la condizione carceraria. La Garante Desi Bruno entrando nel merito della situazione del carcere di Ravenna, dopo averlo visitato, ha affermato che, seppur in sovraffollamento, è tra le situazioni meno problematiche della regione soprattutto dal punto di vista delle relazioni con la direzione e il personale di custodia. L’aspetto più critico che viene denunciato dagli stessi detenuti è il ritardo con cui vengono decise le istanze da parte del giudice di Sorveglianza. La garante ha invitato a continuare la strada intrapresa di raccordo fra istituzioni locali, volontariato e direzione carceraria, per le attività già avviate con i lavori di pubblica utilità (pulizia delle spiagge) e del laboratorio di pasticceria che sta per nascere in via Port’Aurea. Un aspetto questo che è stato rimarcato anche dal prefetto Fulvio della Rocca che ha auspicato uno sviluppo delle iniziative in tale direzione come opportunità di redimersi offerta a coloro che stanno scontando la pena. "La grande sinergia tra carcere e città - ha detto l’assessora Piaia che ha presieduto l’incontro - è incrementata da una proficua collaborazione tra Direzione, Polizia Penitenziaria, Comune e Volontariato. Su tutto il sistema carcerario pende comunque la condanna di Strasburgo per il trattamento inumano e degradante e sono concessi all’Italia ancora pochi mesi per evitare il pesante sanzionamento pecuniario". Sindaco Matteucci: contrario all’indulto e all’amnistia Per il sindaco, "la detenzione in carcere deve essere limitata ai reati più gravi mentre vanno incrementate le pene alternative, le pene pecuniarie e interdittive, gli strumenti risarcitori e conciliativi". Il sindaco di Ravenna, Fabrizio Matteucci, elogia la direttrice del carcere di Ravenna, Carmela Di Lorenzo. Arrivata alla casa circondariale di Port’Aurea nell’agosto del 2009, ricorda il primo cittadino, per prima cosa diede finalmente attuazione, dopo due anni, alla mia ordinanza che definiva gli interventi minimi indispensabili dal punto di vista igienico-sanitario". Quindi, prosegue il sindaco, "ha creato un "clima interno più normale". "Ha realizzato belle iniziative con il Ravenna Festival e per Natale, con la festa per i figli dei detenuti - aggiunge Matteucci. E poi la bella esperienza di "Dante in carcere". Il sindaco sottolinea che Di Lorenzo "ha raddrizzato il rapporto con il mondo esterno al carcere e con i volontari". Ma non è tutto rose e fiori: Matteucci evidenzia "il problema del sovraffollamento dei detenuti, delle drammatiche carenze di organico, della fatiscenza delle strutture. Vedremo se il nuovo Governo sarà in grado di affrontare questa situazione". Secondo il primo cittadino, "l’Italia ha bisogno di una riforma della giustizia civile, amministrativa e penale. La riforma della giustizia deve produrre l’accorciamento dei tempi medi delle sentenze, la modernizzazione dei tribunali, la riduzione dei riti e la certezza di esecuzione della pena. Va affrontata la scandalosa questione delle condizioni di vita nelle carceri: la riforma della Bossi-Fini e della Giovanardi, la riforma della custodia cautelare, l’implementazione di sistemi alternativi alla detenzione". Per il sindaco, "la detenzione in carcere deve essere limitata ai reati più gravi mentre vanno incrementate le pene alternative, le pene pecuniarie e interdittive, gli strumenti risarcitori e conciliativi". Matteucci si dice "contrario all’abolizione dell’ergastolo, cosa di cui ogni tanto si parla: per uno come Totò Reina non riesco a immaginare una pena più indulgente. Il contrasto della criminalità deve investire molto sull’effettività della pena. Sono anche contrario all’indulto e all’amnistia". "Pensare di affrontare il problema dello svuotamento delle carceri con un provvedimento di clemenza ogni sette anni trasformerebbe questo strumento eccezionale in una sorta di condono mascherato, risolvendo l’emergenza carceraria soltanto per qualche mese e senza garantire ai territori e ai Comuni di impostare progetti di reinserimento per evitare la recidiva", conclude il primo cittadino. Ravenna: Garante Desi Bruno; situazione carcere tra meno problematiche della Regione www.ravennanotizie.com, 18 febbraio 2014 Si è svolto ieri in municipio l’incontro pubblico dal titolo ‘Verso l’umanizzazione della pena": il punto sulla situazione carceraria" alla presenza del sindaco Fabrizio Matteucci, del Prefetto Fulvio della Rocca, del questore Mario Mondelli, dell’assessora alle politiche sociali Giovanna Piaia, della direttrice del carcere di Ravenna Carmela Di Lorenzo, del presidente Idio Baldrati e dei componenti della commissione consiliare 2, e da rappresentanti del mondo del volontariato che a vario titolo si occupano della condizione dei carcerati e di disagio sociale. Il tema dell’incontro è stato affrontato dal provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria, Pietro Buffa, e dalla Garante regionale delle persone private della libertà personale Desi Bruno dopo l’intervento di apertura del sindaco. Il provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria, Pietro Buffa ha affrontato il tema sotto il profilo giuridico costituzionale indicando nel rispetto della innata dignità delle persone l’obiettivo delle iniziative che, gradualmente, si stanno mettendo in campo per migliorare il clima relazionale dentro le carceri, come ad esempio le esperienze lavorative di pubblica utilità. È questa una delle condizioni che, se sviluppata, consentirebbe al detenuto di recuperare la socialità a partire dalla percezione dell’esistere degli altri, attenuando il sentimento di isolamento e alienazione che caratterizza la vita in cella. Per tale ragione il provveditore Buffa ha citato il protocollo siglato di recente fra il presidente della Regione Vasco Errani e il ministero della Giustizia che prevede fondi e azioni significative per migliorare la condizione carceraria. La Garante Desi Bruno entrando nel merito della situazione del carcere di Ravenna, dopo averlo visitato, ha affermato che, seppur in sovraffollamento, è tra le situazioni meno problematiche della regione soprattutto dal punto di vista delle relazioni con la direzione e il personale di custodia. L’aspetto più critico che viene denunciato dagli stessi detenuti è il ritardo con cui vengono decise le istanze da parte del giudice di Sorveglianza. La garante ha invitato a continuare la strada intrapresa di raccordo fra istituzioni locali, volontariato e direzione carceraria, per le attività già avviate con i lavori di pubblica utilità (pulizia delle spiagge) e del laboratorio di pasticceria che sta per nascere in via Port’Aurea. Un aspetto questo che è stato rimarcato anche dal prefetto Fulvio della Rocca che ha auspicato uno sviluppo delle iniziative in tale direzione come opportunità di redimersi offerta a coloro che stanno scontando la pena. "La grande sinergia tra carcere e città - ha detto l’assessora Piaia che ha presieduto l’incontro - è incrementata da una proficua collaborazione tra Direzione, Polizia Penitenziaria, Comune e Volontariato. Su tutto il sistema carcerario pende comunque la condanna di Strasburgo per il trattamento inumano e degradante e sono concessi all’Italia ancora pochi mesi per evitare il pesante sanzionamento pecuniario". Ferrara: manifestanti No Tav protestano davanti al carcere, anche con lancio di bombe carta Ansa, 18 febbraio 2014 Ieri, davanti al carcere di Ferrara "circa 80 manifestanti No Tav hanno inscenato una protesta che si è conclusa con l’ormai consueto lancio di bombe carta verso il carcere". Lo spiega Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe e Francesco Campobasso, segretario regionale. "Ci chiediamo per quanto tempo dovremo ancora sopportare queste cose - spiega Durante - senza che vengano assunti provvedimenti adeguati. Non è tollerabile una simile situazione che rischia, comunque, di arrecare danni a cose e persone". Sabato 1 marzo, alle 9.30, il sindacato visiterà il carcere di Ferrara e alle 10.30 ha in programma una conferenza stampa. Nel carcere sono detenuti alcuni esponenti No Tav e anarchici, e bombe carta furono fatte esplodere la notte del 3 febbraio e del 27 ottobre, causando esplosioni contenute e nessun danno. Avellino: in cella di isolamento il detenuto che ha aggredito 4 agenti pdi Polizia penitenziaria www.ottopagine.net, 18 febbraio 2014 Isolamento disciplinare e nuovo formale arresto. Queste le misure adottate per il 24enne detenuto napoletano che due giorni fa si è scagliato contro quattro agenti della polizia penitenziaria nel carcere di Ariano Irpino. Sull’episodio la Procura di Benevento ha aperto un fascicolo al fine di ricostruire l’esatta dinamica dei fatti e definire nel dettaglio l’ipotesi di reato nei confronti del giovane partenopeo che sta già scontando un’altra pena. A quanto apre, sembra che l’episodio di violenza sia scaturito da una perquisizione, personale o della sua cella, alla quale il 24enne si sarebbe opposto con forza. Il tutto si sarebbe svolto nella sua stessa cella. Da qui prima la lite con uno degli agenti al quale ha sferrato un pugno e poi con gli altri secondini accorsi per dare soccorso al collega. "Non c’è stata nessuna rissa - ha chiarito il direttore della Casa Circondariale di rione Cardito, Gianfranco Marcello - ma un caso isolato che non è neppure collegato alla "sorveglianza dinamica". Gli altri detenuti, del resto, non solo non hanno preso parte all’atto di violenza ma hanno anche condannato il gesto. Un comportamento immotivato per quella che è una routine… Detto questo è evidente che ci troviamo in un carcere e non in un collegio e che quindi fatti del genere possono accadere ma non capisco il clamore mediatico dato alla notizia. D’altra parte, qui è davvero una rarità assistere ad episodi come questo. L’ultimo caso risale allo scorso agosto, la nostra resta una struttura moderna…". E su quest’ultimo passaggio, il direttore cita le tantissime attività di reinserimento socio-lavorativo che hanno raggiunto risultati eccellenti. Così come la disciplina comportamentale che genera soddisfazioni alla gestione e piccoli benefit per i detenuti. Circa un mese fa è stato inaugurato il corso di cucina, per aspiranti cuochi. Mentre quello per pizzaioli si è concluso lo scorso dicembre. Attualmente, inoltre, è anche attivo un corso di basket e presto sarà organizzata una mini maratona attorno al carcere. Numerose, poi, sono le iniziative effettuate in collaborazione con il Rotary Club e i concerti svolti nella struttura. Questo solo per ricordare alcune delle buone pratiche del carcere di Ariano Irpino che, però, evidentemente, non possono eliminare del tutto episodi di violenza molto più frequenti in altre strutture detentive. Milano: nel coro dei detenuti di San Vittore c’è un magistrato…. la storia di Roberta Cossia di Chiara Cinelli www.buonenotizie.it, 18 febbraio 2014 In un sistema penitenziario, come quello italiano, in cui il problema strutturale del sovrappopolamento delle carceri è cronaca quotidiana e la violazione dei diritti elementari dei detenuti ne è la drammatica conseguenza, sembrerebbe impossibile pensare alla pena come a un’opportunità di rieducazione. Eppure, non sono poche le realtà e le persone che operano, con perseveranza e passione, in questa direzione. È questo il caso del Giudice di Sorveglianza Roberta Cossia, fra i dieci vincitori della XIII edizione del premio "Il Campione", istituito dal fondatore e presidente dei City Angels Mario Furlan: il costante impegno nella battaglia per il recupero dei detenuti e per la difesa dei loro diritti elementari le è valso il riconoscimento di "Campione per la Legalità" 2013. Convinta dell’importanza di conoscere la vita dei detenuti dall’interno, lo scorso ottobre Roberta è entrata a far parte del coro del Reparto "La Nave" del carcere di San Vittore a Milano, sezione destinata ai detenuti tossicodipendenti; il coro, diretto da Maria Teresa Tramontin, è attivo da dieci anni e riscuote un grande successo presso i carcerati. Roberta ci racconta, con passione, quella che considera "l’esperienza più bella e umanamente ricca di significato vissuta in 24 anni di magistratura". Negli anni, ha sempre partecipato alle feste organizzate nel Reparto, convinta che la presenza di magistrati di sorveglianza in queste occasioni possa dare un pò di coraggio sia ai detenuti che agli operatori che ci mettono il cuore e l’anima. "A giugno dello scorso anno li ho sentiti cantare "Va Pensiero" e ho avuto una specie di folgorazione: erano anni che pensavo sarebbe stato importante provare a stare in mezzo a loro durante una di queste attività che noi chiamiamo "trattamentali" - perché questa è la terminologia dell’ordinamento penitenziario - ma che di fatto consistono nelle attività che gli educatori e gli operatori dei reparti organizzano proprio a scopo rieducativo; erano anni che ci pensavo, perché avevo capito da tempo che è fondamentale per loro pensare di essere ascoltati, pensare che sia possibile rientrare nella società civile, pensare che esiste e deve esistere una chance per tutti; pensare, soprattutto, che questo pezzo di strada si può fare insieme, ognuno con il proprio ruolo, naturalmente, ma insieme". Dalla folgorazione iniziale alla decisione di diventare parte attiva del coro il passo è stato breve. Dopo il parere positivo della Responsabile del Reparto, la dott.ssa Grazia Bertelli, e la necessaria autorizzazione della Direzione, Roberta Cossia ha sostenuto, l’ottobre scorso, la sua prima audizione, alla presenza della direttrice del coro Maria Teresa Tramontin, mezzosoprano del Coro Sinfonico di Milano Giuseppe Verdi, del violinista Carlo De Martini e del pianista Pietro Cavedon: "È stata un’esperienza emozionante; quando sono andata quella mattina all’audizione e alla prima prova, i detenuti forse non pensavano che sarei stata presente a tutte le prove successive e, invece, non ne ho mancata una". L’attività del coro, così come le altre iniziative rieducative all’interno del Reparto La Nave, hanno un alto valore formativo e una grande valenza rieducativa per le persone che vi partecipano. Sono la conferma di come la pena possa diventare una concreta opportunità di recupero per i detenuti: "Molti di loro sono in custodia cautelare, per cui normalmente si pensa, a livello di amministrazione penitenziaria, che non abbia senso investire energie per attività di recupero nei confronti di soggetti che, anche solo ipoteticamente, potrebbe essere assolti un domani; ma il Reparto della Nave è la dimostrazione del contrario: i numeri dicono che l’aver intercettato delle persone spesso alla prima esperienza detentiva ha fatto sì che non rientrassero mai più in carcere e questo, a livello di sicurezza sociale, è un risultato straordinario. Quanto al coro, ho capito che è un’esperienza veramente formativa sotto molti punti di vista: perché cantare insieme agli altri insegna, prima di tutto, a rispettarsi l’un l’altro, a non prevaricare il prossimo e soprattutto a rispettare le regole, cosa questa non comune; per molti significa anche un grande rinforzo di autostima, perché cantare ai concerti dà una soddisfazione enorme soprattutto a persone che, come loro, provengono spesso da realtà disastrate". Conoscere la vita dei detenuti dall’interno, mescolarsi alle loro vite, è stata e continua ad essere un’esperienza di grande valore umano e professionale per Roberta Cossia: "Per quanto mi riguarda, nel coro, ci tengo ad essere considerata una di loro e sono sicura che lo hanno capito benissimo; essere dall’altra parte del tavolo mi fa bene, mi aiuta a considerare le persone per quello che sono, delle persone, appunto". "Personalmente penso che la giustizia, i giudici in generale, debbano uscire, per quanto possibile, dalla mentalità vendicativa, dal concetto retribuzionista della pena che è stato dominante in particolare nell’ultimo quarto di secolo, soprattutto perché i risultati che sono stati ottenuti con le misure alternative alla detenzione e con i benefici penitenziari - il ricorso cioè a una giustizia un pò più umana - sono vistosamente migliori in termini di abbattimento di recidiva e, quindi, di maggiore sicurezza per tutti". Pavia: l’ex detenuto incontra gli studenti e racconta il carcere di Maria Grazia Piccaluga La Provincia Pavese, 18 febbraio 2014 Il carcere entra nella scuola. Fiorano, detto "Fiore", è un ex detenuto. Ha un lavoro, una moglie e una figlia. Ma agli studenti della 4DL del liceo linguistico Cairoli ha raccontato la sua recente vita dentro la cella. La solitudine in cui si sprofonda pur trovandosi in tre in una stanza che a malapena può ospitare due persone, la difficoltà a condividere gli spazi con altri sconosciuti che spesso parlano una lingua diversa, la diffidenza, la paura. Due ore di lezione speciale, voluta e organizzata dalla docente di Lettere Luisa Previtera. "Proprio discutendo con la nostra professoressa abbiamo scoperto di avere profonde lacune sull’argomento" spiega Giulia, portavoce della classe . "Due ore intense che penso siano servite a sgretolare molti pregiudizi" dice don Dario Crotti, direttore della Caritas diocesana, che da anni frequenta l’ambiente del carcere insieme ai volontari. Appuntamento l’altra mattina in aula Tobia del Cairoli, l’aula magna dell’istituto di corso Mazzini. L’insegnante di Lettere è riuscita a realizzare un incontro a più voci: oltre a don Dario, anche il funzionario giuridico pedagogico Manuela Socionovi, l’assistente capo della polizia penitenziaria Domenico Di Marco, due studentesse universitarie che fanno volontariato a Torre del Gallo, Francesca ed Elisabetta. E lui, Fiorano. Il protagonista. Sedie disposte in cerchio, studenti e ospiti si sono presentati a vicenda. A ognuno è stato chiesto di dire la prima cosa che venisse in mente a proposito del carcere. Pensieri che don Dario ha annotato su un foglio per poi riannodarli al termine dell’incontro. Ma quei pensieri nel corso delle due ore sono mutati. "Il racconto di Fiorano mi ha fatto vedere le cose dalla sua prospettiva - ammette Asja - mi ha fatto cambiare idea sulla vita del carcerato che pensavo fosse anche troppo facile". "Che la vita in cella fosse così non l’avrei mai immaginato" aggiunge Giulia T. "IN queste due ore siamo stati in grado di lasciare fuori dalla porta i pregiudizi, abbiamo imparato che bisogna conoscere prima di giudicare. Ma soprattutto abbiamo capito che il cambiamento è possibile" riflette Elena. La professoressa si era resa conto proprio da alcune discussioni nate durante le lezioni che i suoi alunni avessero una conoscenza parziale, a volte fuorviante, della vita dentro il carcere. "Invece Fiorano ci ha aperto un mondo - dicono gli studenti - I detenuti non possono uscire, l’ambiente è claustrofobico, non possono socializzare e nemmeno fidarsi di qualcuno, sono privati di ogni cosa ed è questa la punizione vera". "Ci ha colpito quello che ha detto l’agente: 2educo i detenuti come educherei i miei figli". Si è parlato di rieducazione, di recupero, di riscatto. Temi che hanno acceso l’interesse nei giovani della 4DL, tanto che Cristina accarezza già "l’idea di fare volontariato". Ferrara: in carcere prende il via il torneo di calcio a 5 organizzato dalla Uisp cittadina La Nuova Ferrara, 18 febbraio 2014 Oggi prende il via il torneo di calcio a 5 organizzato dalla Uisp, in collaborazione con la Casa circondariale di Ferrara. Sono dodici le squadre partecipanti, per un totale di quasi cento detenuti che si affrontano fino ad aprile, con le fasi finali a maggio. Già disputata l’1 febbraio, invece, una partita di pallavolo tra i detenuti che svolgono attività continuativa per tutto l’anno ed il gruppo della Lega pallavolo Uisp Ferrara. L’incontro si ripeterà l’1 marzo. L’attività motoria in carcere è resa possibile da un protocollo d’intesa a livello nazionale fra Uisp e il Ministero della giustizia e a livello locale grazie ad una convenzione avviata nel 2003 e rinnovata in seguito. E, soprattutto, grazie all’impegno costante della Commissione sportiva, composta dal referente Davide Guietti, dalle educatrici e dai rappresentanti dei detenuti. Oltre agli appuntamenti già visti, le altre proposte sono allenamenti di volley bisettimanali, un progetto di yoga e l’annuale corsa podistica del Vivicittà. Pescara: l’artista Povia canta per i detenuti reclusi dal carcere di San Donato Agi, 18 febbraio 2014 Una giornata dedicata alla musica, alla poesia e alla solidarietà quella organizzata dal carcere di San Donato di Pescara, nel quale i detenuti incontreranno l’artista Povia per un concerto riservato a loro. L’artista canterà i suoi più grandi successi, da "I bambini fanno ooh" passando per "Luca era gay" per finire con il brano vincitore di Sanremo "Vorrei avere il becco", accompagnato dalla sua storica chitarra acustica, un concerto quindi cantautorale. Il cantante milanese salirà sul palco del carcere di San Donato domani alle 15,30. L’iniziativa è sponsorizzata dal patronato Inca Cgil di Pescara e regionale Abruzzo. L’inca di Pescara da anni svolge attività di consulenza previdenziale ed assistenziale all’interno del carcere, mediante una presenza settimanale (il martedì). Giuseppe Povia in questi giorni è in Abruzzo in merito ad un progetto "Scuole in tour con Povia" nato insieme al cantautore ed organizzato dal pescarese Stefano Francioni. Questo nuovo progetto nasce con il desiderio di trasmettere ai ragazzi delle scuole medie e superiori tutti i valori dell’uomo: infatti tramite le sue canzoni l’artista tratta diversi temi come gli incidenti stradali dovuti all’alcol con "Maledetto Sabato" scritta subito dopo la morte del suo migliore amico nel 1992 per un incidente dovuto al troppo alcol, l’omosessualità con la canzone "Luca era gay" il rapporto genitori-figli con "I bambini fanno ooh", ma soprattutto parla del pregiudizio perché, come sottolinea l’artista "ciò che rovina l’uomo non è il giudizio ma il pregiudizio" . Attualmente è in produzione il suo nuovo tour teatrale che partirà da ottobre e girerà i teatri di tutta Italia. Immigrazione: il Consiglio comunale di Torino chiede la chiusura di tutti i Cie d’Italia Agi, 18 febbraio 2014 Torino è la prima grande città italiana a chiedere la chiusura dei Cie. Il Consiglio comunale ha approvato con 18 voti favorevoli, 11 contrari e 7 astensioni una mozione proposta dal consigliere Marco Grimaldi (Sel) che impegna il Sindaco e la giunta a chiedere al Governo di procedere alla chiusura dei Centri di identificazione e espulsione. L’atto invita inoltre a "ribadire a tutte le istituzioni, dal prefetto al parlamento italiano, che i Cie sono un’esperienza fallimentare, sottolineando che rinchiudere immigrati senza documenti sino a 18 mesi, è una inqualificabile violazione dei diritti umani oltre che uno spreco di risorse pubbliche" e a "invitare il parlamento a prevedere una nuova legislazione che abroghi la Bossi-Fini". Tra i punti accolti nel testo della mozione e proposti in forma di emendamenti dal consigliere Silvio Viale, anche l’appello al parlamento perchè sia attuata una delibera dell’Onu del 1990 relativa alla protezione dei lavoratori migranti e delle loro famiglie, la richiesta al ministero della Giustizia di dare attuazione alla circolare che prevede l’identificazione degli stranieri detenuti durante il periodo di detenzione in carcere e quella al ministero dell’Interno per la riduzione da subito la permanenza nei Cie ad un massimo di 30 giorni. Immigrazione: tentata evasione dal Cie di Roma, due extracomunitari bloccati da polizia Ansa, 18 febbraio 2014 Alcuni immigrati hanno provato ad evadere la notte scorsa dal Cie di Ponte Galeria, a Roma. Lo conferma il Garante dei Detenuti del Lazio, Angiolo Marroni. Secondo quanto si apprende, sarebbero un paio gli extracomunitari ad aver provato a lasciare la struttura dove nei giorni è montata la protesta in seguito all’espulsione di tre marocchini che presero parte alla protesta delle "bocche cucite". I due immigrati sono stati bloccati dalle forze dell’ordine. Silp-Cgil: sistema Cie sgretolato, attivi 5 su 13 "Il tentativo posto in essere la scorsa notte da due immigrati che hanno provato ad evadere dal Cie di Ponte Galeria, a Roma, conferma, ancora una volta, l’implosione dell’approccio securitario del contrasto all’immigrazione irregolare nel nostro Paese". Lo sostiene il segretario generale del sindacato di polizia Silp-Cgil, Daniele Tissone. "Il sistema dei Cie - secondo Tissone - si è, oramai, totalmente sgretolato: dei 13 esistenti solamente 5 sono a malapena operativi. Inoltre, rispetto agli obiettivi posti dal legislatore tesi al rimpatrio degli irregolari, assistiamo oggi, agli scarsi risultati ottenuti che registrano solamente il 40% degli effettivi allontanamenti rispetto al totale delle persone che transitano nei Cie". Se consideriamo, prosegue il segretario del Silp, "che a così modesti risultati conseguono altissimi costi economici per la gestione ed il mantenimento dei Cie, è il caso, oltre alla riduzione dei tempi di permanenza, ripensare la legislazione attuale che affronta esclusivamente in maniera securitaria il fenomeno immigratorio con un eccessivo sbilanciamento tra stanziamenti di natura repressiva a scapito di investimenti finalizzati alle politiche di accoglienza e di inclusione sociale che andrebbero rivolte ai tanti stranieri che vivono e lavorano onestamente nel nostro Paese". India: caso marò, nuovo rinvio; è il 26esimo, richiamato l’ambasciatore a Roma Corriere della Sera, 18 febbraio 2014 Bonino: "Inaccettabile ritardo, l’incapacità indiana di gestire la vicenda è manifesta". Ennesimo rinvio sul caso Marò: la Corte Suprema indiana ascolterà lunedì prossimo, 24 febbraio, il parere del governo sulla possibilità di applicare la legge anti-terrorismo e anti-pirateria, il Sua Act, nel giudizio contro Massimiliano Latore e Salvatore Girone. Quel giorno però, ha scandito il giudice V. S. Chauhan, sarà davvero il termine ultimo. Il procuratore generale E. G. Vahanvati ha riconosciuto in aula che il governo indiano, pressato dalla comunità internazionale - preoccupata che l’accusa di terrorismo contro i militari italiani possa mette in crisi l’intero impianto delle missioni internazionali anti-pirateria - è diviso sul tema: "C’è un dibattito tra il ministro degli Esteri, dell’Interno e della Giustizia - ha spiegato - e abbiamo ancora bisogno di tempo per decidere". In apertura del dibattimento la difesa dei due militari italiani aveva ribadito che il Sua Act è inapplicabile e chiesto con forza, di fronte alle lungaggini giudiziarie indiane, il rientro in patria dei due Marò, ormai da due anni trattenuti in India senza ancora alcun capo di imputazione. "A fronte dell’ulteriore, inaccettabile rinvio deliberato questa mattina dalla Corte Suprema indiana dell’esame del caso dei Fucilieri di Marina Latorre e Girone e della manifesta incapacità indiana di gestire la vicenda, l’Italia proseguirà e intensificherà il suo impegno per il riconoscimento dei propri diritti di Stato sovrano in conformità con il diritto internazionale. L’obiettivo principale dell’Italia resta quello di ottenere il rientro quanto più tempestivo in Patria dei due Fucilieri". Così ha dichiarato la Ministro Bonino apprendendo le notizie provenienti da Delhi. Bonino ha anche richiamato a Roma l’ambasciatore Daniele Mancini. L’obiettivo principale dell’Italia resta quello di ottenere il rientro quanto più tempestivo in patria dei due Fucilieri. India: il caso marò… quello che l’Italia non dice di Maurizio Chierici Il Fatto Quotidiano, 18 febbraio 2014 Meno male che resta la Bonino, garanzia di efficienza per i nostri marò prigionieri in India. Speriamo di riaverli a casa malgrado i pasticci delle diplomazie anche se è esagerato considerarli "prigionieri". Vita d’albergo, Tv con satellite. E poi passeggiate e studi. Salvatore Girone ha superato l’esame d’ammissione al corso serale dell’istituto tecnico Marconi di Bari. Media dell’8 via Skype. E la Farnesina si preoccupa della dieta. Menu mediterraneo che l’India paga senza battere ciglio: pizza, pane, cappuccino, eccetera. Girone è un secondo capo del battaglione San Marco; primo capo Massimiliano Latorre. Due anni fa hanno puntato i loro Berretta (dotazione Nato) sul barcone di pescatori confusi per pirati: due morti. Chi sopravvive avvisa la Guardia costiera che obbliga la petroliera italiana nel porto di Kochi. Pasticcio raccontato con protocolli disperatamente partigiani. Trascurano le registrazioni dei satelliti, le analisi dei proiettili. "Abbiamo sparato in acqua", ed ecco il ricamo dei colpi sul barcone. Senza contare che la nostra nave non navigava in acque internazionali, 33 miglia dalla costa come giura il comandante. Latorre e Girone premono il grilletto a 24,5 miglia "zona contigua" che autorizza l’India a giudicare i colpevoli. Lo racconta Matteo Miavaldi nel libro "I due Marò", edizioni Alegre. Vive in Bengala, caporedattore del giornale China Files. Se il buonsenso della Bonino rifiuta che la sventatezza dei marò diventi "terrorismo", non è ragionevole trasformare l’incapacità in senso del dovere. L’ultimo saluto del Letta con valigia in mano li assicura con "sentimenti di vicinanza" mentre il Quirinale annuncia per il ritorno gli onori dovuti. Onori perché? Il pasticcio l’ha disegnato l’ex ministro La Russa: scorte armate in divisa ai mercantili che affrontano il mare dei pirati mentre ogni paese affida l’accompagnamento a contractors , mercenari privati. L’Italia di due governi fa si affida alla Marina Militare non sempre addestrata a dovere. Dalla roccaforte della petroliera gigante i marò sparano su un peschereccio lungo 12 metri, velocità lumaca. Da una parte sei rambo di professione più 24 marinai che immaginiamo un po’ armati. Sul barcone 16 pescatori, due folgorati, gli altri dormono. Indovinare chi è Golia. Il groviglio giudiziario indiano trasforma gli sbadati in capitani coraggiosi nella sfida a Sandokan immaginari. Un filo nero lega il La Russa alla perizia italiana affidata al finto ingegnere Luigi di Stefano, non solo vicepresidente della CasaPound che subito inonda Roma con manifesti da ultima spiaggia: "Riprendiamoci i nostri soldati". A un atto di guerra si risponde con la guerra, cose così. Nel convegno a Montecitorio, Di Stefano ammette d’aver basato la perizia su informazioni di giornali e YouTube, subito sbugiardate dal satellite Maritime Rescue Center di Mumbai. Quando i prigionieri torneranno, immagino che la Procura militare avrà qualche domanda sulla loro professionalità. Evitiamo sbrodolamenti patriottardi, tipo medaglia d’oro, valor civile al contractor Fabrizio Quattrocchi, ucciso in Iraq. Medaglia che ancora rattrista la vedova Calipari e le famiglie dei carabinieri bruciati a Nassiriya. Per loro cortesie di routine. A Quattrocchi si è messa in bocca "vi faccio vedere come muore un italiano" quando la registrazione di Al Jazeera non esalta l’orgoglio di un idealista. Solo due parole: "Sono italiano". Per fortuna all’Onu non sanno che Roma, Firenze e Trieste gli hanno dedicato una strada. Ma per i marò l’Italia ha coinvolto Ban Ki-Moon. Evitiamo il ridicolo internazionale sull’incapacità che diventa eroismo. India: la Corte Suprema ha commutato in ergastolo pena morte a 3 omicidi Rajiv Gandhi Agi, 18 febbraio 2014 La Corte Suprema indiana ha commutato in ergastolo la pena di morte inflitta a suo tempo a tre estremisti tamil, gli ultimi per i quali era ancora prevista, in relazione all’omicidio dell’allora premier Rajiv Gandhi, assassinato il 21 maggio 1991 da un’attentatrice suicida. Il presidente del collegio, P. Sathasivam, ha motivato la decisione con l’eccessivo ritardo nel vagliare la richiesta di clemenza dei condannati, da parte non solo dell’attuale presidente Pranab Mukherjee ma anche dei suoi predecessori: dall’originaria presentazione dell’istanza, ha ricordato il magistrato, sono trascorsi invano ben undici anni. In senso contrario si era espresso il procuratore generale Goolam Vahnvati per conto del governo centrale guidato dal Partito del Congresso, di cui è leader la vedova del primo ministro ucciso, Sonia Maino Gandhi, di origini italiane. I tre, ha ricordato, "mai hanno pronunciato una parola di pentimento". La Corte non gli ha però dato ascolto, e ha anzi rinviato al governo dello Stato sud-orientale del Tamil Nadu, dove avvenne l’omicidio, l’eventuale concessione della grazia e la conseguente scarcerazione degli interessati, noti soltanto con il nome: Murugan, Santhan e Perarivalan, tutti appartenuti alle Tigri di Liberazione del Tamil Eelam, movimento separatista già attivo nello Sri Lanka ma debellato nel 2009, che fece eliminare il premier indiano come vendetta per l’invio di truppe di New Delhi sull’isola di Ceylon. I tre facevano parte di un gruppo di 26 co-imputati che nel 1998 furono condannati tutti alla pena capitale. Un anno più tardi il verdetto fu commutato in carcere a vita per 22 di loro, e successivamente anche per una donna chiamata Nalini. La pena di morte era rimasta finora ferma soltanto nei confronti di Murugan, Santhan e Perarivalan. Il mese scorso la stessa Corte Suprema aveva però emesso una pronuncia con valore di precedente che ha imposto forti restrizioni sulle esecuzioni in India. Ucraina: in vigore amnistia per 234 manifestanti; cala la tensione e la procura chiude le inchieste Agi, 18 febbraio 2014 Primi segnali di distensione in Ucraina, dopo tre mesi di proteste contro il presidente Viktor Yanukovich e la sua politica filo-russa. A seguito dello sgombero del municipio di Kiev e altri edifici pubblici, occupati da dicembre dai manifestanti pro-Ue, è entrata in vigore l’amnistia per 234 oppositori che rischiavano fino a 15 anni di carcere. "I reati commessi dai manifestanti saranno stralciati", ha annunciato la procura generale ucraina. L’opposizione, intanto, rimane in presidio nella piazza dell’Indipendenza di Kiev per chiedere al presidente un avvicinamento all’Europa e una riforma della Costituzione che riduca i suoi poteri in favore del governo e del Parlamento. "La decisione di evacuare il municipio è stata controversa", ha ammesso durante un comizio uno dei leader dell’opposizione, Vitali Klitschko, "ma quando sei dietro le sbarre non hai la stessa prospettiva". "Sono soddisfatto", ha commentato Ruslan Andriyko, uno dei dimostranti che ha guidato l’occupazione del municipio, divenuto in questi mesi il "quartier generale della rivoluzione". Due leader dell’opposizione, Klitschko e Arseniy Yatsenyuk, dovrebbero incontrare a Berlino il cancelliere tedesco, Angela Merkel, per discutere della crisi e chiedere il sostegno della Germania. Procura: con amnistia inchieste chiuse in un mese Il procuratore generale d’Ucraina, Viktor Pshonka, ha ribadito in un video su internet che "nel giro di un mese dall’entrata in vigore della legge d’amnistia, saranno chiuse tutte le inchieste" contro i manifestanti antigovernativi. La legge d’amnistia per i dimostranti è entrata in vigore oggi, dopo che ieri gli insorti hanno sgomberato gli edifici amministrativi occupati, conditio sine qua non per l’applicazione della legge, e dopo una riunione durata circa cinque ore tra Pshonka e i leader dell’opposizione. Rimangono nelle mani dei manifestanti la centralissima piazza Indipendenza (Maidan Nezalezhnosti) a Kiev, trasformata in un fortino, tappezzata di tende militari e circondata da barricate alte fino a cinque metri, e - sempre nella capitale - il palazzo dei sindacati e il palazzo d’Ottobre. Tutti i 234 manifestanti arrestati sono stati scarcerati nei giorni scorsi. Non pochi restano però ai domiciliari e continuano a essere accusati di reati per i quali rischiano fino a 15 anni di reclusione. Zimbabwe: amnistia per 2.000 detenuti. associazioni diritti: nelle carceri si muore di fame Ansa, 18 febbraio 2014 Le autorità dello Zimbabwe hanno annunciato un’amnistia di cui beneficeranno circa 2.000 detenuti, per lo più donne e bambini, mentre nelle carceri del paese i detenuti muoiono di fame. Lo riferiscono le associazioni per i diritti umani. Tutte le donne prigioniere saranno liberate tranne quelle condannate al carcere a vita o alla pena di morte, e la stessa clemenza sarà applicata ai detenuti under 18 "a prescindere dal crimine o delitto" commesso, riferisce la stampa locale. L’amnistia vale anche per i malati terminali, i detenuti oltre i 70 anni e i condannati a pene detentive inferiori ai tre anni, che abbiano già completato un quarto della loro pena. Sono esclusi i condannati per omicidio, stupro, rapina, furto di bestiame e detenuti che scontano pene inflitte da un tribunale militare. L’anno scorso, un gruppo di avvocati per i diritti umani (Zlhr) aveva denunciato la morte di più di un centinaio di prigionieri, soprattutto a causa della mancanza di cibo. Corea Nord: Onu; nel Paese crimini contro umanità, centinaia di migliaia morti nei campi Ansa, 18 febbraio 2014 La Corea del Nord è colpevole di numerosi crimini contro l’umanità. È quanto afferma il rapporto della commissione d’inchiesta Onu sulla violazione dei diritti umani a Pyongyang diffuso oggi a Ginevra. "La gravità, la scala e la natura di queste violazioni rivelano uno stato che non ha alcun parallelo nel mondo contemporaneo", aggiunge il rapporto della Commissione di inchiesta. Il documento di quasi 400 pagine descrive l’inferno dei campi di prigionia e le scomparse forzate anche all’estero, nonché le politiche di indottrinamento e di monopolio del cibo da parte del regime. Pyongyang non ha concesso l’accesso al Paese alla commissione di inchiesta, istituita da una risoluzione approvata il 21 marzo 2013 dal Consiglio Onu dei diritti umani. Composta da tre principali esperti, la commissione ha condotto le indagini tramite interviste di vittime e testimoni all’estero in condizioni di estrema riservatezza per non mettere né loro, né le loro famiglie in pericolo. La Cina ha negato l’accesso alla Commissione. Centinaia di migliaia morti nei campi Negli ultimi 5 decenni, "centinaia di migliaia di prigionieri politici sono morti nei campi di prigionia della Corea del Nord". Lo denuncia la Commissione d’inchiesta dell’Onu. Le persone nei campi è stata gradualmente eliminata con una politica deliberata di fame, lavori forzati, esecuzioni, tortura, stupri, aborti forzati e l’infanticidio. "Le indicibili atrocità" commesse contro i detenuti di questi campi di prigionia politica, detti kwanliso, "somigliano agli orrori dei campi creati dai peggiori Stati totalitari del XX secolo", si legge nel rapporto della Commissione reso noto oggi a Ginevra. Il regime di Pyongyang nega l’esistenza dei campi, ma vi sono testimonianze di ex guardiani e detenuti. Inoltre - afferma il rapporto di quasi 400 pagine - immagini satellitari provano che sono ancora operativi e benché il loro numero sia diminuito, "a causa dei decessi e di qualche rilascio, si stima che tra 80mila e 120mila mila persone siano attualmente detenute in quattro grandi campi di prigionia politica". Cina non appoggia Onu per accusa crimini contro umanità Il governo cinese ha dichiarato oggi che "non appoggerà" il rapporto con cui le Nazioni Unite accusano la Corea del Nord di crimini contro l’umanità davanti alla Corte Internazionale di Giustizia. "Le questioni riguardanti i diritti umani dovrebbero essere risolte con un dialogo costruttivo e su un piano di parità", ha dichiarato la portavoce del ministro degli Esteri cinese. A settembre, una commissione d’inchiesta dell’Onu aveva denunciato "le atrocità" perpetrate nei campi di prigionia della Corea del Nord, citando i racconti dei sopravvissuti: "i bambini venivano annegati e parenti e amici uccisi davanti ai nostri occhi", hanno detto alcuni detenuti. La Corea del Nord ha sempre negato tutto, affermando che "le prove di tali atrocità erano state fabbricate da forze ostili alla Corea, come Washington, Tokyo e Bruxelles". Tagikistan: detenuto-barbiere uccide a "forbiciate" il direttore del carcere della città di Kulob Agi, 18 febbraio 2014 Incredibile episodio di violenza all’interno di un carcere del Tagikistan. Il direttore dell’istituto penitenziario della città di Kulob, che si trova nel sud ovest del Paese, infatti è stato assassinato da un detenuto barbiere a colpi di forbici. Lo ha annunciato il ministero degli Interni del Tagikistan. A quanto si apprende da fonti di stampa locali che citano fonti governative, la vittima avrebbe chiesto al detenuto del carcere, che di mestiere faceva il barbiere, di tagliargli i capelli. Qualcosa però è andato storto e, non si sa se per un diverbio o per precedenti contrasti, il detenuto mentre faceva il suo lavoro ha colpito il direttore del carcere con 17 colpi di forbici. Il barbiere galeotto, pur condannato a 17 anni di reclusione per aver ucciso un giovane con 57 coltellate, sembra non fosse considerato pericoloso all’interno del carcere. Per questo all’uomo era stato affidato il compito si svolgere il lavoro di barbiere tra le mura della prigione e addirittura il direttore si era messo nelle sue mani. Il direttore dopo le ferite inferte dall’uomo è stato immediatamente soccorso e trasportato in ospedale ma è stato inutile. Il dirigente infatti è morto durante il trasporto e i medici del nosocomio non hanno potuto far altro che constarne il decesso.